[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.05.2023 – Vik van Brantegem] – Dmitry Peskov, Portavoce del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha dichiarato che l’unica base legale per risolvere la situazione in Artsakh/Nagorno-Karabakh sono gli accordi trilaterali tra Russia, Armenia e Azerbajgian e che non ci sono altre alternative disponibili. Qualsiasi azione comune per ridurre la tensione nella regione deve basarsi su questi documenti, ha detto Peskov ha mettendo in guardia contro i tentativi di minare le basi per l’accordo.
«Il Nagorno-Karabakh non faceva parte dell’Azerbajgian nel 1991. La regione aveva indetto un referendum e si era separata dalla SSR azera. Il popolo del Nagorno-Karabakh è determinato a separarsi dall’Azerbajgian dal 1988. Nonostante le sfide, comprese quelle legali, crede nel proprio diritto all’autodeterminazione. Referendum e decisioni dei Soviet Supremi hanno legittimato la loro causa. Hanno il diritto di determinare il proprio futuro» (Ruben Vardanyan).
Inoltre, la Repubblica di Nagorno-Karabakh è stata anche firmataria del Protocollo di Bishkek, l’accordo provvisorio di cessate il fuoco, firmato il 5 maggio 1994 a Bishkek, la capitale del Kirghizistan dai rappresentanti dell’Armenia (Presidente del Parlamento, Babken Ararktsian), della non riconosciuta Repubblica di Nagorno-Karabakh (Presidente del Parlamento, Karen Baburyan), della Repubblica di Azerbajgian (Primo Vice Presidente del Parlamento, Afiyaddin Jalilov) e del rappresentante della Russia al Gruppo di Minsk dell’OSCE, Vladimir Kazimirov. Il protocollo pose fine alla prima guerra del Nagorno-Karabakh e congelò la questione. Il cessate il fuoco è stato violato in diverse occasioni dall’Azerbajgian, in particolare nel 2008, nel 2016 e con la guerra dei 44 giorni del 2020.
L’Azerbajgian ha chiesto l’espulsione del clero armeno dal monastero di Dadivank. Il Difensore civico per i diritti umani della Repubblica di Artsakh ha scritto in un post su Twitter che l’Azerbajgian tenta di espellere i sacerdoti armeni dal monastero di Dadivank nella regione di Karvachar dell’Artsakh, occupata dalle forze armate dell’Azerbajgian: «La falsificazione della storia dell’Artsakh e l’”albanizzazione” del suo patrimonio culturale e religioso armeno sono inaccettabili. Esortiamo l’UNESCO ad agire inviando la sua missione in Artsakh».
Pare che la svolta è arrivata al monastero di Dadivank: «I monaci armeni dovrebbero lasciare il monastero di Khudaveng [Dadivank]», ha dichiarato il Presidente del Comitato di Stato per il lavoro con le organizzazioni religiose dell’Azerbajgian, Mubariz Gurbanli, secondo l’agenzia di stampa statale azera APA. Sostiene che gli Armeni non hanno alcun legame con il monastero poiché appartiene all’Albania caucasica e, prima o poi, la sua gestione sarà affidata alla comunità religiosa albanese Udi.
In risposta, la Santa Sede di Etchmiadzin della Chiesa Apostolica Armena ha riferito che, nonostante un’altra dichiarazione provocatoria da parte azera, i sacerdoti armeni continuano il loro servizio spirituale a Dadivank grazie alle forze di mantenimento della pace russe.
Dopo la firma della Dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco tra Armenia, Russia e Azerbajgian il 9 novembre 2020, l’Azerbaigian ha ottenuto il controllo della regione di Karvachar, dove si trova il monastero di Dadivank. Nonostante ciò, la Chiesa Apostolica Armena ha continuato a svolgere le funzioni religiose presso il monastero assediato, con il clero che vi è rimasto per mesi senza garanzie di sicurezza. Tuttavia, nella primavera del 2021, l’Azerbaigian ha bloccato unilateralmente l’ingresso al monastero per i cristiani armeni dopo aver terminato la cooperazione con il contingente di mantenimento della pace russo.
Del monastero Dadivank, circondato dall’esercito azero e protetto dalle truppe di mantenimento della pace russe dal novembre 2020 abbiamo riferito più volte, per esempio [QUI, QUI e QUI].
Fare il tè con le erbe selvatiche in Artsakh. A causa del #ArtsakhBlockade in corso, Nakhshun Tea ha perso 100% del commercio estero e l’80% dei clienti locali.
«Il dialogo è la chiave per raggiungere una pace duratura nella regione del Caucaso meridionale» (Anthony Blinken, Segretario di Stato USA).
Solo Blinken sembra ottimista dopo i colloqui di Washington. Cosa pensiamo del dialogo con un regime autocratico guerrafondaio genocida abbiamo scritto ieri.
L’Azerbajgian vuole i “cani armeni” fuori dal Caucaso
di Benoit Lannoo [*] De Morgen, 2 maggio 2023
(Nostra traduzione italiana dal neerlandese)
Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, definisce il dittatore azero Aliyev un “alleato affidabile”, mentre questo non fa mistero del suo desiderio di “porre fine” al genocidio armeno.
Alla fine del mese scorso, le truppe azere hanno installato un posto di blocco sul lato armeno del Corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’enclave in territorio azero che si autodefinisce “Repubblica di Artsakh”. Ciò viola l’accordo che il 9 novembre 2020 ha posto fine all’ultima guerra aperta tra le ex repubbliche sovietiche di Armenia e Azerbajgian. Gli “attivisti ambientalisti” che bloccano il corridoio dal 12 dicembre scorso affermano di sospendere ora il blocco, ammettendo apertamente che la loro azione è stata orchestrata da Baku. La Corte Internazionale di Giustizia di Den Haag ha stabilito a febbraio che l’Azerbajgian deve garantire il “libero passaggio per tutte le persone e i veicoli” verso l’enclave nel Nagorno-Karabakh.
Il dittatore azero, Ilham Aliyev, trae vantaggio dal fatto che Vladimir Putin, che ha garantito l’attuazione dell’accordo del 2020, ha altre priorità dalla sua invasione dell’Ucraina. Con la perdita del sostegno di Mosca, l’Armenia non ha quasi più alleati; solo la Francia è tradizionalmente preoccupata per gli Armeni. Alla televisione azera, un popolare presentatore insegna ai bambini a cantare una canzone anti-Macron. Così risponde sempre Baku: la virulenta propaganda anti-armena è uno dei pilastri dello stato di polizia di Aliyev. L’altro pilastro è la ricchezza del suolo del Mar Caspio. La scorsa estate, von der Leyen era ancora a Baku per sostenere un raddoppio delle forniture di gas dall’Azerbajgian agli Stati membri europei.
Aliyev ora riceve sostegno da Mosca per interessi comuni nel mercato energetico, riceve droni da Israele che in realtà erano destinati ad attaccare l’Iran, riceve sostegno dalla Turchia, che spera in aree contigue di lingua turca. Anche in Vaticano l’attenzione alla sofferenza del popolo armeno è diminuita da quando la Fondazione Heydar Aliyev ha investito molti petrodollari nel restauro, tra l’altro, delle catacombe romane. “Abbiamo lasciato che Putin facesse a modo suo per anni”, ha detto a Zeno Chris Van den Wyngaert, famoso specialista in diritti umani ed ex giudice presso la Corte Penale Internazionale den Haag. Ha giustamente fatto riferimento alla tiepida risposta occidentale alla distruzione russa della capitale cecena di Grozny all’inizio del millennio o all’apatia internazionale per l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014. Dovremo mai dire la stessa cosa sull’aggressione anti-armena dell’Azerbajgian: abbiamo lasciato che Aliyev facesse a modo suo per anni?
Perché l’uomo forte di Baku non fa mistero del fatto che “cacciare i cani armeni” dal Caucaso meridionale è il suo obiettivo finale. “L’Armenia non ha valore; è una colonia governata dall’estero, una terra artificiale sull’antico territorio dell’Azerbajgian”. Questo odio anti-armeno non è di ispirazione religiosa. Sia l’Armenia che l’Azerbajgian furono completamente secolarizzati durante il dominio sovietico. Ma su ogni pezzo di terreno conquistato dagli Azeri, l’antica eredità armeno-cristiana viene cancellata. Gli Azeri controllano anche Google Maps con i loro soldi: Shushi, per esempio – la “Gerusalemme del Caucaso” che fu conquistata da Baku nel 2020 – ora è diventata lì Şușa, le moschee si ritrovano, ma la cattedrale è scomparsa, appena come tutti i residenti Armeni della città etnicamente pulita.
[*] Benoit Lannoo è uno storico della chiesa ed esperto di cristianesimo orientale.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-02 19:33:332023-05-04 19:34:25142° giorno del #ArtsakhBlockade. La pulizia etnica degli Armeni dell’Artsakh prosegue e il mondo non va oltre gli appelli all’Azerbajgian (Korazym 02.05.23)
Letizia Leonardi (Assadakah News Agency) – Per i 120 mila armeni dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), ostaggio di pseudo ambientalisti azeri che hanno bloccato, dal 12 dicembre dello scorso anno, l’unica via di comunicazione con l’Armenia e il resto del mondo, la situazione si fa sempre più drammatica. Oltre al fatto che scarseggiano sempre di più viveri, medicinali e beni di prima necessità, tre giorni fa le forze di sicurezza azere hanno bloccato per circa 14 ore il passaggio dei veicoli delle truppe di pace russe che trasportavano beni umanitari dall’Armenia all’Artsakh, fermandoli sulla strada nei pressi della città di Shushi. Il 23 aprile gli azeri hanno inoltre creato un checkpoint nei pressi del ponte Hakari, una sorta di posto di blocco al confine con l’Armenia per effettuare controlli. I presunti attivisti per l’ambiente sono stati sostituiti da agenti in borghese e soldati del governo dell’Azerbaijan. Per gli abitanti la situazione appare sempre più inaccettabile. Filmati della propaganda di Baku mostrano un funzionamento pacifico del posto di blocco ma in realtà gli armeni denunciano atti di vessazione che sfociano anche in minacce e in violenze, tanto che qualche armeno ha dovuto ricorrere a cure mediche. Alcuni residenti di quattro comunità interessate al blocco del Corridoio di Lachin sono stati fermati dagli azeri mentre tornavano da Goris scortati dalle forze di pace russe. E mentre continuano ad essere feriti, dagli azeri, soldati armeni che si trovano nella postazione difensiva nei pressi del villaggio di Tegh (alcuni versano in gravi condizioni), i ministri degli Esteri della Repubblica d’Armenia Mirzoyan e dell’Azerbaijan Bayramov hanno tenuto recentemente un incontro a Washington promosso dal Segretario di Stato USA Blinken per arrivare a un accordo che sembra sempre più lontano. Il movimento “NO alla pulizia etnica dell’Artsakh” sta promuovendo intanto una petizione (anche in lingua inglese). Le richieste sono quattro:
1) Ritiro delle forze armate azere dai territori armeni occupati dopo il 9 novembre 2020. 2) Piena osservanza di un regime di cessate il fuoco. 3) Immediato sblocco del corridoio e comunicazione ininterrotta con l’Armenia attraverso un corridoio largo 5 km, rimozione del checkpoint. 4) Garantire il diritto al ritorno dei prigionieri di guerra e dei profughi in patria.
Il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, ha incontrato il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, per sottolineare “l’importanza dei colloqui di pace tra Armenia e Azerbaigian” e ha promesso “il continuo sostegno degli Stati Uniti”. Nonostante anni di tentativi di mediazione tra di loro, l’Armenia e l’Azerbaigian devono ancora raggiungere un accordo di pace che risolva questioni in sospeso come la demarcazione dei confini e il rilascio dei prigionieri.
Armenia e Azerbaigian: colloqui di pace a Washington
Le tensioni sono tornate a salire tra i due paesi sulla contesa regione del Nagorno-Karabakh, dove le forze di pace russe sono state dispiegate nel 2020 per porre fine a una guerra, la seconda che Armenia e Azerbaigian hanno combattuto per l’enclave dal crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Difatti L’Azerbaigian ha istituito un nuovo posto di blocco domenica scorsa sul corridoio Lachin, una strada per il Karabakh che attraversa il territorio azero, in una mossa che l’Armenia ha definito una grave violazione del cessate il fuoco del 2020. La decisione è stata presa a causa dei ricorrenti trasferimenti illegali di armi dall’Armenia alla regione del Karabakh attraverso questa autostrada e strade non asfaltate che la aggirano. Nonostante gli avvertimenti dell’Azerbaigian e le misure di controllo locali, questi tentativi sono continuati con l’obiettivo di militarizzare i territori azeri parzialmente abitati da residenti armeni.
Armenia: cresce la dipendenza economica dalla Russia
La crescente dipendenza economica dalla Russia crea anche rischi politici per l’Armenia, che ha recentemente cercato legami più stretti con l’Occidente, in particolare con l’UE. Infatti dopo che l’Armenia si è mossa verso la ratifica dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, che ha recentemente emesso un mandato di arresto per il presidente russo Vladimir Putin, la Russia ha avvertito delle “conseguenze estremamente negative” per l’impegno con la CPI. Oltre ad essere il mercato principale per le merci armene, Mosca è il fornitore monopolistico di gas e altre risorse energetiche, compreso il combustibile nucleare per la centrale nucleare di Metsamor, che fornisce il 40% della produzione di elettricità domestica .
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-01 19:28:402023-05-04 19:29:43Armenia e Azerbaigian: colloqui di pace a Washington (Corrierpl 01.05.23)
Il primo genocidio del secolo scorso, tra il 1915 e il 1922. L’idea delle “marce della morte” , ideata contro gli armeni, fu riproposta dai nazisti alla liberazione dei campi dì sterminio, a cominciare da Auschwitz.
CorriereTv
Questa storia davvero infame e agghiacciante mi trasmette ciò che ho sempre rispettato e amato profondamente: il culto della memoria. Quanti sanno davvero che il primo genocidio del secolo scorso non è stato quello degli ebrei, nei campi di sterminio creati dai nazisti, ma quello degli armeni che fu commesso in terre ottomane tra il 1915 e il 1922? Anzi, dico di più. Il termine genocidio divenne storia grazie a Raphael Lemkin che con straordinaria perizia ne analizzò le origini. Ecco perché mi ha colpito e devo dire sconvolto un prezioso libro appena pubblicato, “Alfabeto dei piccoli armeni”, scritto da Sonya Orfalian, Sellerio editore. Sonya, armena in tutto, non racconta la sua storia ma quella dei tanti bambini e minorenni che hanno vissuto convulsamente gli anni del genocidio armeno, dove quasi a parlarne era un crimine. Sia nelle famiglie, dalle quali affioravano poche imbarazzate parole, sempre a bassa voce, sia in un mondo poco disposto a capire e a comprendere le dimensioni di un’immane tragedia. Il libro è come un diario, sintetizzato in 36 capitoli, creati su altrettante storie personali, come le lettere dell’alfabeto armeno, e diffonde il sapore e l’orrore di quel momento storico. Sono testimonianze molto dolorose, a cominciare dalla prima. E’ la storia di Mariam, una bimba di dieci anni che ha visto la sua mamma e altri famigliari bruciati vivi dagli invasori in mezzo alla strada. La piccola si salvò per puro caso. Sapete come? Perché fu costretta a riprendere la “marcia delle morte”, scortata dagli aguzzìni, pronti a sparare e a uccidere chiunque non fosse in grado di camminare. E’ un mostruoso dettaglio, che i nazisti pochi anni dopo copiarono per sfuggire agli alleati che stavano arrivando per salvare gli ebrei dallo sterminio. La mia cara amica Liliana Segre riusci’ prima salvarsi dalla morte ad Auschwitz, dove era sopravvissuta mentre suo padre era finito subito in una camera a gas. Poi, costretta a marciare per chilometri, con i nazisti che, armi in pugno e rabbiosi per la sconfitta, erano pronti a uccidere. Proprio questo ripetersi della storia è la parentesi che il libro di Sonya Orfalian racconta con straordinaria bravura ed efficacia. Come a ricordarci che la storia non cambia quasi mai, anzi mai, ma tutto si ripete vergognosamente per amore del Dio denaro, degli interessi personali o collettivi, del desiderio feroce di presentarsi al mondo como i veri protagonisti della Storia. ANTONIO FERRARI PER IL CORRIERE TV (LaPresse/Ap/Youtube)
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-01 19:27:122023-05-04 19:28:23Eliminare gli Armeni all’alba del 1900 (Corrieretv 01.05.23)
Qui sul bordo del lago di Sevan, di un azzurro pervinca zampillante di trote argentee (le più squisite del mondo: ai tempi dell’Unione Sovietica i compagni del Soviet supremo se ne approvvigionavano per via aerea), la natura grida con la bellezza armena di pietre e cielo: pace, pace, pace. Mi pare di essere stato trasportato, dentro la saga di J.R.R. Tolkien, nella contea degli Hobbit. L’aria è insieme dolce e frizzante, i prati smaltati di margherite, ma poco lontano da qui gli orchi di Saruman battono il passo.
C’è una differenza rispetto alla trama de Il Signore degli anelli: nessuna compagnia di nani, elfi, uomini e mezzi uomini irromperà per frapporsi allo scempio. Finora gli hobbit-armeni-molokani sono rimasti soli. Ancora oggi, mentre scrivo, centoventimila armeni, di cui trentamila sono bambini, stanno nell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) sotto assedio azero. Niente pane, nessun medicinale può raggiungere i miei fratelli. L’Onu chiede, l’Unione Europea esige, tutti giudica…
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.05.2023 – Vik van Brantegem] – Il movimento attraverso il Corridoio di Berdzor (Lachin), che collega l’enclave armena del Nagorno-Karabakh all’Armenia e al mondo esterno è ancora impossibile senza le forze di mantenimento della pace russe o il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Per farlo dimenticare, la macchina della propaganda azera ha messo in scena l’ennesimo primitivo, ridicolo, patetico e criminale spettacolo di menzogne azere, trasmessa dai media statali dal nuovo checkpoint illegale azero presso ponte di Hakari, all’ingresso dell’Artsakh dall’Armenia, all’inizio del Corridoio di Lachin [QUI].
«Il checkpoint [azero sul ponte Hakari] è destinato in breve tempo a trasformarsi in un punto di arresto, un punto di intimidazione, un punto di estorsione, un punto di sequestro. Sappiamo cos’è» (Davit K. Babayan).
Tsavuht danem
Lasciami sopportare il tuo dolore
Il bene sia con voi
Condivido con grande gioia la notizia del conferimento da parte del Presidente della Repubblica di Armenia della Medaglia della Gratitudine della Repubblica di Armenia all’amico e collega Renato Farina, editorialista di Libero Quotidiano, consegnata dall’Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia, S.E. Tsovinar Hambardzumyan, venerdì 28 aprile 2023 alle ore 11.00 presso l’Ambasciata armena a Roma, alla presenza di S.E. Sargis Ghazaryan, già Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia; Stefano Folli, editorialista de la Repubblica; Gianni Letta, Presidente onorario dell’Associazione Davide De Luca – Una Vita per l’Intelligence. Avevo previsto di esserci anch’io, come pure alla commemorazione del giorno precedente, di cui ho riferito [QUI], ma non è stato possibile, purtroppo.
Canta il sogno del mondo Ama
saluta la gente
dona
perdona
ama ancora e saluta.
Dai la mano
aiuta
comprendi
dimentica
e ricorda solo il bene.
E del bene degli altri
godi e fai godere…
E vai, leggero dietro il vento
e il sole
e canta…
canta il sogno del mondo:
che tutti i paesi
si contendano
d’averti generato David Maria Turoldo
Gegham Stepanyan, il Difensore civico per i diritti umani della Repubblica di Artsakh ha commentato: «Come commenterò il video condiviso dalla macchina della propaganda azera? Usare la sofferenza delle persone per uno spettacolo da quattro soldi, nient’altro. Presenterò i dettagli dopo le interviste ai cittadini dell’Artsakh visti nel video».
La propaganda azera è fallita ancora una volta, quando hanno offuscato i veicoli delle forze di mantenimento della pace russe, che accompagnavano i 4 Armeni dell’Artsakh di ritorno da Goris alle loro case nel villaggio di Hin Shen, completamente isolato a causa dei posti di blocco illegali azeri, mentre sono stati fermati illegalmente dai terroristi dell’Azerbajgian al loro posto di blocco, per filmare questo falso promo “controllo passaporti” nel corridoio di Berdzor (Lachin).
Tenendo conto della manipolazione delle informazioni in corso da parte dell’Azerbajgian in merito alla presunta libera circolazione dei cittadini dell’Artsakh al posto di blocco sul confine tra l’Artsakh e l’Armenia, il Centro di Informazione dell’Artsakh comunica: «L’Azerbajgian continua a bloccare l’Artsakh e causa ostacoli e minacce alla libera circolazione di cittadini, veicoli e merci dell’Artsakh. L’esistenza del check point azero e la strada chiusa nell’area di Shushi sono i maggiori ostacoli e pericoli che violano le disposizioni della Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020 e la decisione della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite. Per quanto riguarda il caso manipolato dai media azeri, queste persone sono residenti in quattro comunità della regione di Shushi sotto blocco bilaterale, che sono rimaste a Goris a causa dell’installazione del posto di blocco e stavano tornando al loro luogo di residenza con l’accompagnamento delle forze di mantenimento della pace russe e sono stati fermati inaspettatamente da ufficiali azeri.
Tutti gli sforzi della parte azera per mantenere il posto di controllo illegale e per controllare e ostacolare il movimento di cittadini, veicoli e merci dell’Artsakh sono inaccettabili. Pertanto, ribadiamo che il movimento di andata e ritorno tra l’Artsakh e l’Armenia è organizzato e accompagnato esclusivamente dalle truppe di mantenimento della pace russe e dal Comitato Internazionale della Croce Rossa per garantire la minima sicurezza dei cittadini dell’Artsakh su tale percorso. Le persone che richiedono il movimento in entrambe le direzioni dovrebbero rivolgersi agli organi statali competenti, al fine di risolvere il problema con i meccanismi menzionati».
Il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Gurgen Nersisyan, ha scritto sulla sua pagina Facebook, che gli Azeri, mettendo i cittadini dell’Artsakh in una situazione disperata, li costringono a soddisfare le loro richieste: «Dal 23 aprile 2023, l’Azerbajgian ha istituito un posto di blocco illegale al confine tra Artsakh e Armenia, nel Corridoio di Lachin, a seguito del quale diverse comunità della regione di Shushi dell’Artsakh sono rimaste sotto blocco completo, essendo tagliate fuori sia da Stepanakert e che dall’Armenia. Dal 23 aprile, la situazione umanitaria dei residenti delle comunità di Mets Shen, Hin Shen, Yegtsahogh e Lisagor della regione di Shushi è peggiorata di giorno in giorno, si è cercato di fornire cibo e medicine a queste comunità attraverso l’ufficio Artsakh della Croce Rossa, ma questi sforzi non hanno dato risultati. Con l’assistenza delle forze di mantenimento della pace russe, tre minori che erano rimasti nella città di Goris [in Armenia] sono stati restituiti ai genitori nei primi giorni, mentre l’Azerbajgian aveva proibito il ritorno degli altri. Al fine di risolvere le urgenti questioni umanitarie dei residenti dei [summenzionati] villaggi sottoposti a blocco completo e bidirezionale, un gruppo di residenti ha fatto appello alle forze di pace russe che prestano servizio sul posto, che hanno permesso loro di passare attraverso il posto di blocco vicino il ponte Hakari in auto private senza ispezione, assicurando [loro] in anticipo che non ci sarebbe stato alcun intervento di supervisione da parte degli Azeri. I nostri cittadini hanno attraversato la strada unilateralmente e senza interruzioni con l’assistenza delle forze di mantenimento della pace russe. Ma a causa dell’istituzione del posto di blocco, hanno incontrato gli Azeri al posto di blocco sulla via del ritorno da Goris al loro luogo di residenza. Questi ultimi [cioè gli azeri], mettendo i nostri cittadini in una situazione disperata, li hanno costretti a soddisfare le loro richieste, [e] hanno registrato un video per mostrare la prossima messa in scena. Questa è un’altra prova che il posto di blocco illegale dell’Azerbajgian ostacola il movimento ininterrotto di cittadini, veicoli e merci dell’Artsakh, violando le disposizioni della Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020 e la decisione della Corte Internazionale di giustizia delle Nazioni Unite. Il popolo della Repubblica di Artsakh sta aspettando il ripristino del regime del Corridoio di Lachin definito dalla Dichiarazione tripartita, un corridoio largo 5 km esclusivamente sotto il controllo delle forze di mantenimento della pace russe».
Rappresentanti delle autorità della Repubblica di Artsakh hanno incontrato oggi 1° maggio 2023, il nuovo comandante delle forze di mantenimento della pace russe nell’Artsakh, il Tenente Generale Alexander Lentsov. Il Ministro di Stato dell’Artsakh, Gurgen Nersisyan, che ha partecipato all’incontro, sulla sua pagina Facebook ha fornito dettagli sulle discussioni che hanno avuto luogo durante l’incontro. Nersisyan ha detto che il comandante delle forze di mantenimento della pace russa discuterà con la parte azera nei prossimi giorni in merito alle questioni sollevate dalla parte dell’Artsakh. Nersisyan ha anche fatto appello alle autorità dell’Armenia e alla comunità internazionale: «Poco fa si è concluso l’incontro con il comandante di nuova nomina presso la sede delle forze di mantenimento della pace russe. Da parte dell’Artsakh hanno partecipato all’incontro il Presidente della Repubblica di Artsakh, il Ministro di Stato, i Ministri dell’Interno e della Difesa. Abbiamo riaffermato la posizione della Repubblica di Artsakh rispetto alla situazione creatasi. E la nostra posizione è la seguente.
La risoluzione della situazione dovrebbe essere basata sulla Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020 e il punto 6 di tale Dichiarazione stabilisce quanto segue:
Artsakh dovrebbe essere collegato con l’Armenia attraverso il Corridoio di Lachin largo 5 chilometri.
Il Corridoio di Lachin dovrebbe essere sotto il controllo delle forze di mantenimento della pace russe.
L’Azerbajgian deve garantire la sicurezza del traffico di cittadini, veicoli e merci in entrambe le direzioni attraverso il Corridoio di Lachin.
Dopo averci ascoltato, il comandante delle forze di mantenimento della pace russe ha affermato che nei prossimi giorni avrà incontri con la parte azera e che sarà in grado di affrontare la questione e fornire informazioni alla fine della settimana.
Faccio appello ai cittadini della Repubblica di Armenia, alle autorità, affinché prendano tutte le misure, tutte le misure politiche e diplomatiche possibili per garantire la sicurezza dei cittadini della Repubblica di Artsakh, per proteggere il diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh e per garantire l’adempimento delle disposizioni della Dichiarazione tripartita.
Faccio appello alla comunità internazionale affinché garantisca l’adempimento dell’impegno dell’Azerbajgian di sbloccare il corridoio che collega l’Artsakh all’Armenia.
La conseguenza della vostra inerzia o passività è la sofferenza quotidiana dei residenti dell’Artsakh.
Faccio appello agli Armeni di tutto il mondo: rivolgete il vostro sguardo all’Artsakh, vedete le persone che mantengono l’Artsakh armeno a costo della sofferenza».
L’incontro tra Antony Blinken e Ararat Mirzoyan a Washington, 30 aprile 2023.
Il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, tiene un incontro con il suo omologo azero, Jeyhun Bayramov, a Washington, ha riferito il Dipartimento di Stato americano. Prima dell’incontro, il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, tiene incontri separati con Mirzoyan e Bayramov.
L’incontro tra Ararat Mirzoyan e Jeyhun Bayramov a Washington, 1° maggio 2023.
Il Ministero degli Esteri dell’Armenia ha presentato i dettagli dell’incontro del Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, del Segretario di Stato americano, Anthony Blinken, e del Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian, Jeyhun Bayramov, oggi 1° maggio 2023 a Washington: «Sono state discusse le questioni della situazione della sicurezza nella regione, il processo di normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbajgian. Si è fatto riferimento alla situazione umanitaria creatasi a seguito del blocco illegale del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian».
Ieri, 30 aprile 2023 il Segretario di Stato Blinken ha scritto in un post su Twitter: «Oggi ho parlato con il Presidente dell’Azerbajgian Aliyev per esprimere il mio sostegno ai continui sforzi volti a garantire la pace con l’Armenia e la nostra disponibilità a facilitare. Ho ribadito la posizione degli Stati Uniti secondo cui dovrebbe esserci movimento aperto di persone e commercio nel Corridoio di Lachin».
Questo è come chiedere a Hitler la soluzione del “problema” ebraico! Il Governo Biden semplicemente sta portando avanti una politica a favore dell’Azerbajgian camuffata da neutralità a favore della pace. Ecco i fatti concreti:
Gli aiuti militari statunitensi continuano ad arrivare all’Azerbajgian.
Nessuna assistenza umanitaria degli Stati Uniti destinata all’Artsakh.
Rifiuto di sanzionare l’Azerbajgian per le violazioni degli accordi sottoscritti e impegni presi.
È mai possibile garantire la pace tra Armenia e Azerbajgian con le politiche azere di metodi coercitivi e un chiaro uso della forza contro la pacifica popolazione armena dalla fine degli anni ’80? Nel concetto di Blinken pace significa mancanza di coercizione, equilibrio di potere e paura di subire ritorsioni. Parlare diplomaticamente con l’aggressore non è una via per la pace e l’aggressore l’ha anche detto spudoratamente. La diplomazia non porta a nessun risultato positivo con il regime autocratico e genocida azero, la cui ideologia è ancora nel 2023 il panturchismo.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-01 19:24:202023-05-04 19:24:53141° giorno del #ArtsakhBlockade. L’Azerbajgian deve essere obbligato a rispettare i suoi impegni internazionali. Pacta sunt servanda (Korazym 01.05.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 30.04.2023 – Vik van Brantegem] – Nel giorno 140 dell’assedio dell’Artsakh, non solo l’autocrate Aliyev impedisce al cibo di entrare nell’Artsakh, ma il Comandante in capo delle Forze Armate dell’Azerbajgian fa sparare le sue truppe sui civili, sui contadini che lavorano nei campi che cercano di coltivare il cibo sotto il #ArtsakhBlockade. Secondo notizie non confermate, l’Azerbajgian starebbe preparando un’altra provocazione dal Karvachar occupato, usando una folla di civili in marcia verso il bacino idrico di Sarsang in Artsakh.
«Che l’avvenire sia pieno di culle, non di tombe», l’augurio di Papa Francesco durante il suo viaggio apostolico in Ungheria. Un augurio che ripetiamo, estendendolo anche al martoriato popolo armeno.
Il 30 aprile 1991, l’OMON (Unità Speciale Mobile della Polizia) dell’Azerbajgian sostenuta dal Ministero dell’Interno dell’URSS ha lanciato un’operazione Ring su larga scala per la deportazione della popolazione armena dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. Di conseguenza più di 20 villaggi sono stati distrutti, quasi 10.000 Armeni sfollati e centinaia uccisi.
OMON è il nome generico per indicare le ex unità speciali antiterrorismo della polizia russa dipendenti dal Ministero dell’Interno della Federazione Russa e in passato dell’Unione Sovietica.
Le unità OMON nacquero nel 1979, quando la prima unità venne creata in vista delle Olimpiadi di Mosca, per garantire che non avvenissero attentati terroristici, come accadde alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. Successivamente, l’unità venne impiegata in situazioni d’emergenza come arresti ad alto rischio, sequestri e liberazione di ostaggi e, inoltre, in risposta ad attacchi terroristici.
Le unità OMON vennero inizialmente impiegate come polizia antisommossa, per sorvegliare e fermare dimostrazioni di piazza, atti di vandalismo e altre situazioni d’emergenza; più avanti però vennero addestrate ad operare in un più ampio insieme di situazioni, come cordoni, pattugliamento delle strade e qualche volta operazioni paramilitari e militari.
Dal 2016 questo corpo speciale è stato fuso con altre strutture simili come SOBR (Squadra Speciale di reazione rapida) e Truppe Interne in un unico grande servizio: il Servizio Federale delle Truppe della Guardia Nazionale della Federazione Russa o Rosgvardia. Il loro motto è “Noi non conosciamo pietà e non ne chiediamo”.
Anche alcuni Stati dell’ex Unione Sovietica, come Bielorussia, Azerbajgian ed altri, hanno mantenuto gli OMON all’interno delle loro forze di polizia.
L’OMON, così come il SOBR, è un’unità spetznas dell’MVD, per questo il loro addestramento è più lungo e impegnativo rispetto alle altre forze di polizia.
«La comunità internazionale non può più stare a guardare senza agire. Ecco perché vi chiedo di unirvi a me nel firmare la petizione del movimento “NO alla pulizia etnica dell’Artsakh” che chiede alla comunità internazionale di prevenire la pulizia etnica e il genocidio perseguiti dall’Azerbajgian contro gli Armeni dell’Artsakh e di garantire l’attuazione delle disposizioni della Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020» (Ruben Vardanyan).
Petizione lanciata dall’Artsakh Movement
Fermare la politica dell’Azerbajgian di pulizia etnica e genocidio degli Armeni in Artsakh
«Chiediamo la fine della politica dell’Azerbajgian di pulizia etnica e genocidio degli Armeni in Artsakh e la garanzia dell’attuazione della Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020:
Agli Stati membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ONU)
Ai leader dei Paesi copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE: Stati Uniti d’America, Repubblica francese, Federazione Russa
Al Presidente della Federazione Russa, in qualità di capo del Paese che attua la missione di mantenimento della pace in Artsakh
Al Primo Ministro della Repubblica di Armenia, quale capo del governo dello Stato che ha assunto la responsabilità giuridica e politica della Repubblica di Artsakh con la dichiarazione di indipendenza della Repubblica di Armenia
Dalla firma, il 9 novembre 2020, della Dichiarazione tripartita (di seguito denominata Dichiarazione tripartita) da parte del Primo Ministro della Repubblica di Armenia Nikol Pashinyan, del Presidente della Repubblica di Azerbaigian Ilham Aliyev e del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, l’Azerbajgian ha regolarmente violato e continua a violare impunemente una serie di disposizioni del documento: in particolare, uccidendo i residenti della Repubblica di Artsakh, occupando nuovi territori, sparando ai civili impegnati nei lavori agricoli, mantenendo l’Artsakh sotto blocco dal 12 dicembre 2022 e istituendo un posto di blocco sul Corridoio di Berdzor (Lachin) il 23 aprile 2023, interrompendo così completamente la connessione dell’Artsakh con il mondo esterno.
Non solo c’è attualmente una grave crisi umanitaria nell’Artsakh, ma l’Azerbajgian sta anche apertamente conducendo una politica genocida di pulizia etnica e privando gli autoctoni dell’Artsakh della loro patria.
Dalla firma della Dichiarazione tripartita, l’Azerbajgian ha gravemente violato le seguenti disposizioni:
Secondo la prima disposizione, le parti avrebbero dovuto restare sulle loro posizioni e doveva essere mantenuto un pieno regime di cessate il fuoco. Tuttavia, a seguito degli attacchi delle unità delle forze armate azere, gli insediamenti Khtsaberd, Hin Tagher, Parukh e Karaglukh della Repubblica dell’Artsakh sono passati sotto il controllo dell’Azerbajgian dopo la firma della Dichiarazione tripartita. Le forze armate azere hanno occupato anche altri territori.
Secondo il punto 6 del documento, il Corridoio di Lachin (largo 5 km) assicurerebbe il collegamento del Nagorno-Karabakh con l’Armenia e sarebbe sotto il controllo delle truppe di pace della Federazione Russa. Dal 12 dicembre 2022, l’Azerbajgian ha chiuso il Corridoio di Lachin. Dal 23 aprile 2023, l’Azerbaigian ha istituito unilateralmente un posto di blocco lì, tenendo in ostaggio 120.000 Armeni dell’Artsakh, tra cui circa 30.000 bambini.
Secondo il punto 7 del documento, gli sfollati interni ei rifugiati devono rientrare nel territorio del Nagorno-Karabakh e nelle regioni adiacenti sotto la supervisione dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Il paragrafo 8 del documento prevede lo scambio di prigionieri di guerra, ostaggi e altre persone detenute, nonché i corpi dei morti. L’Azerbajgian ha impedito l’attuazione di questi due punti con tutti i mezzi possibili sin dal primo giorno della firma della Dichiarazione tripartita.
Inoltre, il 7 dicembre 2021 e il 22 febbraio 2023, la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha emesso due misure provvisorie, chiedendo all’Azerbajgian di cessare immediatamente le sue gravi violazioni del diritto internazionale. Anche la Corte Europea dei Diritti dell’uomo (CEDU) ha adottato tali decisioni provvisorie nel 2020-2022. Tuttavia, fino ad oggi, l’Azerbaigian si rifiuta ancora di attuare le decisioni di questi due tribunali, anche se si tratta di atti di immediata esecuzione.
Noi, cittadini della Repubblica di Artsakh, attraverso questa petizione-richiesta, attiriamo l’attenzione dei leader dei suddetti Paesi e dell’intera comunità internazionale sull’attuazione da parte dell’Azerbajgian di una politica di pulizia etnica e genocidio degli Armeni della Repubblica di Artsakh, nonché alle gravi violazioni delle disposizioni della Dichiarazione tripartita da parte della leadership politico-militare dell’Azerbajgian per questo stesso scopo.
Chiediamo l’applicazione senza indugio di tutti i meccanismi internazionali al fine di garantire l’attuazione delle disposizioni della Dichiarazione tripartita, nonché delle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite e della CEDU.
Tenendo conto della situazione attuale, noi, a nome dell’intera popolazione dell’Artsakh, chiediamo garanzia dell’attuazione delle disposizioni della Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, nonché delle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite del 7 dicembre 2021 e del 22 febbraio 2023 e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2020-2022:
ritiro delle forze armate azere dai territori armeni occupati dopo il 9 novembre 2022, pieno rispetto del regime di cessate il fuoco;
sblocco immediato del corridoio, fornitura di comunicazioni ininterrotte con l’Armenia attraverso il corridoio largo 5 km;
smantellamento dei checkpoint azeri;
garanzia del diritto dei prigionieri e dei profughi a tornare in patria.
Se i destinatari non si adoperano attivamente per adempiere ai predetti punti entro 7 giorni dalla pubblicazione della presente pubblica petizione-domanda, dovremo ricorrere a tutti i mezzi e metodi necessari per tutelare il nostro diritto all’abitare la patria e il futuro di I nostri figli.
Il movimento “NO alla pulizia etnica dell’Artsakh”».
«Avete taciuto abbastanza. È ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito» (Santa Caterina da Siena).
«Il mondo non sarà distrutto da chi fa il male, ma da chi lo guarda senza fare nulla» (Albert Einstein).
«Quelli a cui piace marciare in fila a ritmo di musica: può essere solo per errore che hanno ricevuto un cervello, un midollo spinale sarebbe più che sufficiente per loro» (Albert Einstein).
«Oggi ho parlato con il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, per ribadire il mio sostegno ai continui sforzi per garantire la pace con l’Azerbajgian e la volontà degli Stati Uniti di facilitare [il processo]. Il dialogo diretto e la diplomazia sono l’unica via per una pace duratura nel Caucaso meridionale» (Antony Blinken, Segretario di Stato USA, 29 aprile 2023).
Occorre che lo dica all’autocrate dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev. La situazione degli Armeni in Artsakh/Nagorno-Karabakh peggiora di giorno in giorno. La crisi umanitaria sul terreno causata dal doppio blocco militare azero del Corridoio di Berdzor (Lachin) è solo un preludio alla pulizia etnica. Gli Stati Uniti hanno una responsabilità e non possono dare il via libera ai crimini azeri contro il popolo armeno dell’Artsakh.
Martedì prossimo 2 maggio 2023, il Commissario Europeo per l’Energia, Kadri Simson, ospiterà a Brussel il dialogo energetico Unione Europea-Azerbajgian con il Ministro dell’Energia della Repubblica di Azerbajgian, Parviz Shahbazov. Dopo il loro incontro a Baku, in Azerbajgian, all’inizio di quest’anno in occasione della 9ª Riunione ministeriale del Consiglio consultivo del gas meridionale, faranno il punto sulla cooperazione energetica tra l’Unione Europea e l’Azerbajgian e discuteranno su come portarla avanti. In particolare, l’Unione Europea e l’Azerbajgian si scambieranno informazioni sulla situazione dell’approvvigionamento di gas, comprese le misure messe in atto dall’Unione Europea nell’ultimo anno per diversificare l’approvvigionamento energetico e porre fine alle importazioni russe di combustibili fossili nell’Unione Europea. Discuteranno dell’espansione del corridoio meridionale del gas a sostegno degli sforzi dell’Unione Europea e di ulteriori vie praticabili per la fornitura di gas del Caspio all’Unione Europea. In un memorandum d’intesa su un partenariato strategico nel campo dell’energia firmato lo scorso anno, i due partner si sono impegnati a raddoppiare la capacità del gasdotto per fornire all’Unione Europea almeno 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno entro il 2027. Discuteranno anche su come portare avanti la loro cooperazione sulla transizione verso l’energia pulita, comprese le politiche sulle energie rinnovabili, l’efficienza energetica e le emissioni di metano. A Baku questo febbraio, l’Unione Europea e l’Azerbajgian hanno tenuto la prima riunione del Consiglio consultivo per l’energia verde. Anche i rappresentanti della Banca europea per gli investimenti (BEI) e della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) parteciperanno al dialogo sull’energia a Brussel per fornire una panoramica degli strumenti finanziari disponibili per sostenere lo sviluppo dell’energia pulita in Azerbajgian.
«Dal 24 febbraio dello scorso anno, quando la Russia ha lanciato la grande invasione dell’Ucraina, l’Unione Europea ha premuto il pedale del gas nelle relazioni con l’Azerbajgian. Dopo ogni nuova dichiarazione di intenti/nuovo accordo con l’Azerbajgian, quest’ultimo ha attaccato l’Armenia/Nagorno-Karabakh» (Rasmus Canbäck, autore e giornalista svedese indipendente).
È stato raggiunto un punto di svolta nel lungo conflitto tra Armenia e Azerbajgian. La scorsa settimana, il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha annunciato che l’Armenia può raggiungere la pace solo a una condizione: limitare le sue ambizioni territoriali ai confini della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia. In altre parole, deve rinunciare alla sua pretesa sul Nagorno-Karabakh, dopo aver combattuto molteplici guerre con l’Azerbajgian per il controllo della regione montuosa.
Pochi giorni dopo, il 23 aprile, l’Azerbajgian ha istituito un posto di blocco nel Corridoio di Lachin, la cosiddetta “strada della vita” tra l’Armenia e la non riconosciuta Repubblica di Nagorno-Karabakh. Sembra che Yerevan sia pronto decisamente a cedere il Karabakh.
L’annuncio di Pashinyan è stato ampiamente pubblicizzato e ha sbalordito molti con la sua franchezza, anche se in sostanza non c’era nulla di nuovo in esso. Per diversi anni, a partire dalla sconfitta nella guerra del 2020, il governo armeno ha cercato di trovare una formula per il futuro del Karabakh che soddisfacesse Baku e non provocasse una diffusa insoddisfazione in Armenia.
Già nell’aprile dello scorso anno, Pashinyan aveva parlato di un cambio di priorità. La questione chiave per Yerevan non era lo status del Karabakh, ma le “garanzie di sicurezza e diritti” per coloro che vi abitano. In altre parole, il Karabakh farebbe parte dell’Azerbajgian, ma ci sarebbero difficili negoziati su questioni specifiche come lo status della lingua armena. Il Primo Ministro ha anche cercato di evitare responsabilità affermando che la decisione di Yerevan era stata presa su richiesta di partner internazionali “vicini e lontani”.
A settembre, Pashinyan ha annunciato di essere pronto a firmare un accordo di pace con Baku: e sì, molti Armeni lo considererebbero un traditore, ma la cosa principale era “pace e sicurezza a lungo termine per l’Armenia, con un territorio di 29.800 mq chilometri” – cioè i confini della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia, senza il Karabakh.
Sullo sfondo di queste dichiarazioni, Baku ha gradualmente ampliato l’area che controlla nel Karabakh. I partner internazionali di Yerevan non si sono fatti coinvolgere e il governo armeno ha deciso di non rispondere, poiché ciò avrebbe inevitabilmente irritato non solo Baku ma anche i mediatori internazionali.
L’Azerbajgian non ha nemmeno affrontato alcuna conseguenza quando nel dicembre 2022 ha bloccato il Corridoio di Lachin che collega Armenia e Karabakh (Baku ha affermato che non c’era alcun blocco da parte sua). La risposta dell’Armenia si è limitata a utilizzare un percorso alternativo che si era aperto in primavera: una pista sterrata che anche i fuoristrada potevano percorrere a malapena. Anche quello è stato presto vietato, tuttavia, con gli Azeri che hanno sparato alla polizia armena utilizzando questa rotta e successivamente allestendo un posto di blocco.
Dopodiché, era solo questione di tempo, prima che l’Azerbajgian istituisse un posto di blocco sulla strada principale per Stepanakert, la capitale della non riconosciuta Repubblica di Nagorno-Karabakh. È successo il 23 aprile. Le forze di mantenimento della pace russe non sono state coinvolte, anche se secondo gli accordi tripartiti del 2020 il Corridoio di Lachin doveva essere sotto il loro controllo.
Il posto di blocco pone numerosi nuovi e difficili problemi agli Armeni. Quali documenti richiederanno le guardie di frontiera azere? Possono arrestare gli Armeni semplicemente perché sembrano sospetti? Consentiranno solo l’ingresso in Armenia, ma sosterranno che non ci sono motivi per tornare in Karabakh?
Le risposte a queste domande dipendono in gran parte dal fatto che gli Armeni accetteranno questa nuova realtà. In questo momento, sembra che l’abbiano già fatto. Yerevan ha capito che, in definitiva, né le proteste di massa né i partner internazionali che non fanno altro che “esprimere preoccupazione” possono fare la differenza per il destino del Karabakh.
La scorsa estate, gli Armeni del Karabakh hanno accettato di dirigere i colloqui con Baku. Ufficialmente, l’obiettivo dei negoziati è solo quello di fornire elettricità e gas alla repubblica non riconosciuta, ma è chiaro che i colloqui riguardano più di questo. Yerevan concorda sul fatto che gli Armeni del Karabakh debbano fare i propri affari: questa è una concessione a Baku che consente anche a Yerevan di evitare responsabilità.
Quindi cosa ci aspetta per il Karabakh? Non ci sono motivi per aspettarsi la pulizia etnica di cui si è parlato a Yerevan o la guerra partigiana che Baku potrebbe temere. A giudicare dai commenti delle autorità azere, intendono trattare gli Armeni del Karabakh come fanno con le altre minoranze nazionali, come i Lezgin, i Talysh e i Tats. Non ci saranno aree autonome speciali o programmi di adattamento. Tuttavia, non sarà facile per gli Armeni rimasti in Karabakh ottenere un passaporto azero. Di fronte alla nuova, brutale realtà, potrebbero decidere di trasferirsi in Armenia.
Ciò solleverà un’altra domanda: se gli Armeni etnici saranno in grado di vendere le loro proprietà in Karabakh o se ne saranno appropriati. Le autorità azere probabilmente adotteranno approcci diversi nei confronti degli abitanti nativi della regione e dei coloni provenienti dall’Armenia.
Date queste circostanze, il risultato più realistico sembra essere l’emigrazione di massa degli Armeni del Karabakh. Rimarranno solo i residenti anziani con un forte attaccamento alle loro case. Non prendono parte alla vita politica né creano problemi alle autorità.
Tutto ciò senza dubbio farà arrabbiare la società armena. Non è solo una questione di orgoglio nazionale, ma anche di difficoltà materiali: non sarà facile ospitare circa 100.000 immigrati in un Paese di meno di 3 milioni. Ma questi problemi non sono niente in confronto alla minaccia di una guerra permanente e di basso livello lungo l’intera lunghezza del suo confine.
Un recente evento nel villaggio di Tegh, nella regione armena di confine di Syunik, è stato un serio promemoria della realtà di quella minaccia. Gli Azeri si sono offesi per il fatto che gli Armeni stessero costruendo lì un nuovo posto di guardia. C’è stata una sparatoria e soldati di entrambe le parti, sette in totale, sono stati uccisi.
Le autorità armene ora sanno che la Missione di osservazione dell’Unione Europea che hanno invitato per i prossimi due anni non li salverà miracolosamente. Quando sono iniziate gli scontri, gli osservatori europei non erano sul posto. Il loro rapporto osservava semplicemente che “in assenza di un confine delimitato, il confine del 1991 dovrebbe essere osservato e le forze di entrambe le parti dovrebbero tornare a una distanza di sicurezza da quella linea”. Yerevan era così deluso che Pashinyan parlò di nuovo della disponibilità a collocare al confine una missione concorrente dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva guidata dalla Russia.
A Yerevan si teme che le tensioni al confine possano continuare anche dopo la conclusione del conflitto in Karabakh. C’è anche, ad esempio, la questione dell’exclave azera di Nakhichevan, che secondo l’accordo tripartito del 2020 dovrebbe essere collegata via terra al resto dell’Azerbaigian. Le controversie sul suo status rischiano nuove escalation.
Gli Armeni hanno già attraversato le fasi di negazione e di rabbia del dolore, e ora sono in procinto di negoziare. Prima che possano raggiungere la fase finale dell’accettazione, dovranno attraversare la depressione, che sarà attenuata dai discorsi a Yerevan sullo sviluppo pacifico attraverso, ad esempio, l’apertura di un confine terrestre con la Turchia e il rilancio dei legami economici con essa. Dichiarazioni sull’ampliamento della cooperazione con gli Stati Uniti e l’Unione Europea perseguono gli stessi obiettivi.
Le relazioni con la Russia, intanto, dovranno essere riviste, poiché il principale argomento di discussione, il Karabakh, scomparirà. Per la maggior parte degli Armeni, il Cremlino sarà visto come un alleato inaffidabile che li ha abbandonati nel momento del bisogno. Solo pochi esponenti dell’opposizione delle vecchie élite sosterranno che è tutta colpa di Pashinyan, e che se solo avesse riconosciuto la Crimea come territorio russo, tutto sarebbe stato diverso. Sotto tutti gli altri aspetti, l’influenza di Mosca sarà pari a quella di Ankara, Brussel e Washington.
Persino Stalin concesse al Nagorno-Karabakh lo status di Oblast autonomo, inserendo illegalmente la regione nell’Azerbajgian sovietico negli anni ’20. Un secolo dopo, l’atteggiamento nei confronti dei diritti umani e del diritto internazionale è peggiorato. Gli Armeni dell’Artsakh ora devono affrontare più violazioni.
Mappa della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia e della Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh, nella Grande Enciclopedia Sovietica del 1926.
L’integrità territoriale dell’Azerbajgian non ha niente a che fare con il Nagorno-Karabakh
di Anzhela Mnatsakanyan Greek City Times, 26 novembre 2020
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
È opinione comune che il Nagorno-Karabakh sia un conflitto irrisolvibile in quanto i due principi del diritto internazionale si contraddicono: il diritto all’autodeterminazione e il diritto all’integrità territoriale.
Ma il quadro è diverso in quanto l’Artsakh – lo storico nome armeno del Nagorno-Karabakh – non ha niente a che fare con l’integrità territoriale dell’Azerbajgian, e vi mostrerò perché.
Periodo pre-sovietico
L’Artsakh è parte integrante dell’Armenia storica, è menzionato nelle opere di Strabone, Plinio il Vecchio, Claudio Tolomeo, Plutarco, Dione Cassio e altri autori antichi. Fonti greche antiche chiamavano l’area Orkhistene.
Al contrario, l’Azerbajgian è un paese relativamente giovane, apparso per la prima volta sulla mappa politica nel 1918 con il nome di Repubblica Democratica di Azerbaigian (1918-1920). Non è mai stato formalmente riconosciuto dalla comunità internazionale o dalla Società delle Nazioni. Durante il 1918-1920, il 95% della popolazione del Nagorno-Karabakh era armeno. Convocarono il loro primo congresso, che proclamò il Nagorno-Karabakh come unità politica indipendente. Il potere legislativo in Nagorno-Karabakh era esercitato dalle Assemblee degli Armeni del Karabakh.
Tra il maggio 1918 e l’aprile 1920, l’Azerbajgian, sostenuto dalle unità militari turche, commise atti di violenza e uccisioni di massa contro la popolazione armena del Nagorno-Karabakh.
Gli sforzi del governo dell’Azerbajgian per risolvere il problema del Karabakh con mezzi militari hanno provocato l’organizzazione dell’autodifesa del Karabakh. Subito dopo, unità militari della Repubblica di Armenia arrivarono per salvare la popolazione oppressa del Karabakh e liberare completamente il Karabakh. Il 23 aprile 1920, la Nona Assemblea degli Armeni del Karabakh dichiarò il Nagorno-Karabakh parte inalienabile della Repubblica di Armenia.
Periodo Sovietico
Il 30 novembre 1920, l’allora governo sovietico dell’Azerbajgian adottò una dichiarazione sul riconoscimento del Nagorno-Karabakh, dello Zangezur e del Nakhichevan come parte dell’Armenia sovietica. Il 4 luglio 1921, l’Ufficio caucasico del Partito comunista russo convocò una riunione plenaria nella capitale della Georgia, Tbilisi, durante la quale confermò nuovamente il fatto che il Nagorno-Karabakh apparteneva alla Repubblica Socialista Sovietica Armena.
Tuttavia, nella notte tra il 4 e il 5 luglio 1921, una nuova decisione fu dettata dal leader sovietico Joseph Stalin, che affermava: “Procedendo dalla necessità di stabilire la pace tra Musulmani e Armeni (…) includere il Nagorno-Karabakh nella RSS di Azerbajgian, concedendole un’ampia autonomia regionale con un centro amministrativo di Shushi, compreso nella regione autonoma.
Questi fatti dimostrano che il Nagorno-Karabakh non apparteneva alla RSS di Azerbajgian, né durante la sovietizzazione dell’Azerbajgian né dopo l’istituzione del potere sovietico in Armenia, quando Baku riconobbe tutti i territori contesi come armeni.
D’altra parte, con o senza violazioni procedurali, la legittimità di questo forum è seriamente messa in discussione.
La decisione dell’Ufficio caucasico del Comitato centrale del Partito comunista russo-bolscevico è un atto giuridico senza precedenti nella storia del diritto internazionale: il partito politico di un Paese terzo, privo di potere legale o giurisdizione, ha deciso lo status del territorio del Nagorno-Karabakh.
Nel 1988, in risposta alle rivendicazioni di autodeterminazione della popolazione armena del Nagorno-Karabakh, le autorità azere organizzarono massacri e la pulizia etnica degli Armeni sull’intero territorio dell’Azerbaigian, in particolare a Sumgait, Baku e Kirovabad.
Processo di indipendenza
Il 2 settembre 1991, sulla base della legge dell’URSS sulle “Procedure di risoluzione dei problemi sulla secessione di una Repubblica dell’Unione dall’URSS”, una sessione congiunta di deputati di tutti i livelli del Nagorno-Karabakh e della regione di Shahumyan ha proclamato il indipendenza della Repubblica del Nagorno Karabakh (RNK), che è stata rafforzata dal referendum sull’indipendenza del Nagorno-Karabakh, dove il 99,89% dei partecipanti ha votato “a favore” dell’indipendenza.
Il 18 ottobre 1991, la Repubblica di Azerbajgian ha proclamata la sua indipendenza con l’adozione di un “Atto costituzionale sull’indipendenza dello Stato”. La stessa legge costituzionale considerava l’instaurazione del potere sovietico in Azerbajgian come “annessione da parte della Russia sovietica” che “rovesciava il governo legale dell’Azerbajgian”. Pertanto, la Repubblica di Azerbajgian ha dichiarato illegale l’istituzione del potere sovietico a Baku e ha rifiutato l’intera eredità politica e legale sovietica. Quando la Repubblica di Azerbajgian rifiutò l’eredità legale sovietica nel 1991, il soggetto internazionale al quale i territori erano passati nel 1920 cessò di esistere. Rifiutando l’eredità legale della RSS di Azerbajgian del 1920-1991, la Repubblica di Azerbaigian ha perso tutte le rivendicazioni sui territori passati all’Azerbajgian sovietico nel luglio 1921, vale a dire il Nagorno-Karabakh.
È importante sottolineare che il Nagorno-Karabakh e l’Azerbajgian sono diventati indipendenti secondo la stessa legge sovietica interna, quindi le basi legali dell’indipendenza di queste due repubbliche sono equivalenti.
Fase attuale
Nel 1991, l’Azerbajgian ha lanciato una guerra contro il Nagorno-Karabakh, che è durata fino al maggio 1994, quando l’Azerbajgian, il Nagorno-Karabakh e l’Armenia, attraverso la mediazione della Russia, hanno firmato un accordo di cessate il fuoco. Il fatto che l’Azerbajgian abbia firmato un accordo di cessate il fuoco con il Nagorno-Karabakh è la prova che il Karabakh era considerato un’entità giuridica distinta.
Durante tutti questi anni, le autorità azere, disponendo di tutte le risorse necessarie e di un partner militare permanente (la Turchia), hanno continuato a violare l’accordo di cessate il fuoco. Gli scontri al confine si sono trasformati in guerre nell’estate 2014 e nell’aprile 2016, entrambe le volte le attività militari sono state interrotte dalla mediazione della Russia.
Il 27 settembre 2020 l’Azerbajgian, sostenuto dalla Turchia e con il coinvolgimento di combattenti terroristi stranieri, ha lanciato una nuova guerra contro l’Artsakh. Migliaia di soldati di entrambe le parti sono stati uccisi prima del cessate il fuoco.
Tuttavia, ora la Repubblica di Artsakh non ha uno status e non vi è alcuna garanzia reale che gli Armeni dell’Artsakh non affronteranno la nuova pulizia etnica.
Quindi, possiamo concludere che l’integrità territoriale della Repubblica di Azerbaigian non ha nulla a che fare con la Repubblica di Artsakh, in quanto l’Artsakh/Nagorno-Karabakh, non ha mai fatto parte dell’Azerbajgian indipendente, né nel 1918-1920 né dopo il 1991.
Il dittatore azero Aliyev – nell’ambito del festival tecnologico Teknofest organizzato a Istanbul il 29 aprile 2023, indossando la giacca rossa sponsorizzata dal produttore di drone turche Bayraktar – interferisce in modo molto sfacciato negli affari interni turchi. Aliyev dà il suo sostegno a Erdoğan nella sua candidatura per la rielezione: «Al vertice degli Stati turchi tenutosi ad Ankara il mese scorso, tutti gli stati turchi hanno espresso il loro sostegno ad Erdoğan».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-30 19:25:062023-05-04 19:25:47140° giorno del #ArtsakhBlockade. L’Armenia è pronta a rinunciare al Nagorno-Karabakh. Cosa ci aspetterà? (Carnegie Endownment) (Korazym 30.04.23)
…….Il 27 aprile si è celebrato l’anniversario dello Yetz Megernh, il Grande Male, ovvero il genocidio armeno che portò allo sterminio di un popolo. Ma da quasi 140 giorni c’è il rischio della ripetzione di eventi simili, dato che il corridoio di Lachin, unica via d’accesso tra il Nagorno Karabakh / Artsakh e la capitale dell’Armenia Yerevan, è bloccato da attivisti ecologici che si dice siano legati al governo azerbaijano. Da parte sua, il governo azerbaijano nega un coinvolgimento e lamenta l’esagerazione delle accuse armene.
Di fatto, però, la situazione è drammatica, tanto che l’Oeuvre d’Orient, che si occupa da 170 anni dei cristiani in 20 Paesi, ha denunciato che “con il blocco nel corriodio di Lachin il genocidio armeno continua”.
“Dal 12 di dicembre – si legge ancora nella comunicazione – l’Azerbajgian ha dispiegato un blocco armato nel corridoio di Latchine, l’unica via che collega il Nagorno all’Armenia, unica fonte di approvvigionamento di cibo, medicine ed energia e dove c’è una situazione di carenza di beni di prima necessità (cibo, prodotti per l’igiene, medicine, carburante ed elettricità). Oggi, 20.000 studenti non frequentano più la scuola in Nagorno-Karabakh e 860 imprese locali hanno sospeso le loro attività economiche. I 120.000 armeni che vivono nella regione stanno soffrendo grandi difficoltà”.
L’associazione francese arriva a sottolineare che il governo di Baku “dimostra uno spirito non dissimile da quello degli autori del genocidio armeno del 1915. Con questo blocco, l’Azerbaigian intende svuotare l’intera popolazione armena del Nagorno-Karabakh, soffocandola”.
La questione del corridoio di Lachin è stata affrontata anche da Papa Francesco nei suoi appelli dopo l’Angelus, mentre il 19 gennaio 2023, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulle conseguenze umanitarie del blocco chiedendo all’Azerbaigian di aprire immediatamente il corridoio”.
Il blocco del corridoio è una delle conseguenze del conflitto del 2020, che si è concluso con una pace dolorosa per l’Armenia, costretta a cedere il controllo di diversi territori e a lasciare isolate alcune delle grandi vestigia storiche della presenza armena nella regione. Da tempo, si parla di un “genocidio culturale” in atto nella storica terra dell’Artsakh….
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-29 19:19:562023-05-04 19:21:21FOCUS ASIA Crisi Lachin, le parole di L’Oeuvre d’Orient (AciStampa 29.04.23)
Korazym.org/Blog dell’Editore, 29.04.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi alle ore 18.00, in una postazione di difesa vicino al villaggio di Tegh (la cui parte orientale è stata occupata illegalmente dall’Azerbajgian poche settimane fa) nella provincia armena di Syunik, all’ingresso del Corridoio di Berdzor (Lachin) verso l’Artsakh, un militare armeno ha ricevuto una ferita da arma da fuoco da parte di un cecchino azero. Ecco, l’Azerbajgian si prepara alla “pace” con tutti i mezzi che ha a disposizione in previsione del prossimo ciclo di discussioni sull’accordo sulla regolamentazione delle relazioni tra Armenia e Azerbajgian a Washington. Il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, sarà in visita di lavoro nella capitale degli Stati Uniti dal 30 aprile, ha riferito il portavoce del Ministero degli Esteri della Repubblica di Armenia.
Subito dopo che l’Azerbajgian ha rafforzato il suo assedio di 139 giorni al Nagorno-Karabakh con due posti di blocco militari sul Corridoio di Berdzor (Lachin), dopo molte violazioni del cessate il fuoco e incursioni, tra le minacce di nuovi attacchi all’Armenia. Il Gran Premio F1 dell’Azerbajgian rimarrà nel calendario fino al 2026. Nel frattempo la Turchia chiude senza preavviso il suo spazio aereo per la compagnia aerea FlyOneArmenia, subito dopo che l’autocrate dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha visitato la Turchia e ha incontrato il Presidente Turco, Recep Tayyip Erdoğan.
Filmati dal nuovo posto di blocco militare dell’Azerbajgian all’inizio del Corridoio di Lachin, allestito presso il ponte Hakari il 23 aprile 2023, mostrano i camion delle forze di mantenimento della pace della Russia nel Nagorno-Karabakh che passano in Armenia. Sono schierate su entrambi i lati del ponte. Dalle ore 21.00 circa di ieri sera fino alle ore 11.10 di oggi, le forze armate azere hanno bloccato il movimento dei veicoli delle forze di mantenimento della pace russe che trasportano beni umanitari dall’Armenia all’Artsakh, fermandoli sulla strada nei pressi di Shushi, per circa 14 ore. A seguito di trattative tra il comando delle forze di mantenimento della pace russe e la parte azera, è stato consentito il movimento dei veicoli a Stepanakert. I camion contenevano principalmente cibo e articoli per la casa, che sono stati caricati secondo le modalità prescritte nella città di Goris della Repubblica di Armenia per soddisfare i bisogni primari della popolazione dell’Artsakh sotto blocco azero.
«Those who would give up essential Liberty, to purchase a little temporary Safety, deserve neither Liberty nor Safety» (Benjamin Franklin, Pennsylvania Assembly: Reply to the Governor, 11 novembre 1755).
«All’inizio credevo che esprimere il mio pensiero pubblicamente sarebbe stato un piccolo contributo alla crescita delle persone. Ora so che non è così. Milioni di animali, dediti solo al proprio laido ego, preferiranno sempre adulare il potere che criticarlo. Siamo senza speranza» (Il Sofista).
«Francia: Parigi sosterrà qualsiasi soluzione che garantisca alla popolazione armena del Nagorno-Karabakh di continuare a vivere lì in sicurezza preservando la storia, il patrimonio e la cultura. È un loro diritto inalienabile. La soluzione dell’Azerbajgian: cittadinanza forzata o espulsione. La fine» (Anush Ghavalyan).
Martuni, Repubblica di Artsakh
Queste montagne mi raccontano leggende
Sulla volontà incrollabile del popolo dell’Artsakh
Antiche leggende dei secoli passati
Ci hanno raggiunto e sono diventati canti nelle nostre anime Պիտի ապրենք արարենք Dobbiamo vivere e creare
Il #ArtsakhBlockade non è finito, il blocco continua in condizioni peggiori ed è solo entrato in una fase più pericolosa. Prosegue infatti l’assedio dell’Artsakh in due punti chiavi: il posto di blocco istituito nei pressi del ponte Hakari il 23 aprile 2023 e il lato bloccato dal 12 dicembre 2022 nei pressi di Shushi il 12 dicembre 2022, dove ieri gli agenti in borghese del governo dell’Azerbaigian travestiti da “eco-attivisti” erano già stato apertamente sostituito dalle forze armate azere. Ciò dimostra che nonostante gli obblighi assunti dalla Dichiarazione Tripartita del 9 novembre 2020 e da altri documenti internazionali, nonché la decisione della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite e le numerose sollecitazioni della comunità internazionale, l’Azerbajgian sta rafforzando il blocco della popolazione dell’Artsakh e peggiorando di giorno in giorno la situazione umanitaria e di sicurezza.
Più di un secolo fa non si conoscevano i segni premonitori delle atrocità di massa. Oggi troppo spesso li si vedono, ma vengono ignorati, rispondendo solo quando è troppo tardi. Non c’è mistero che l’Azerbajgian intenda la pulizia etnica. Lo dice senza mezzi termini. L’Armenia e l’Artsakh continuano a dover affrontare un livello pericolosamente crescente di ideologia genocida, che ha già causato guerre devastanti nell’Artsakh, tutte precedute da un sistematico incitamento all’armenofobia e culminate con atrocità di massa.
«Heydar Aliyev, il padre di Ilham Aliyev che gli ha consegnato il potere prima della sua morte era un ufficiale del KGB. I leader occidentali lo “onorano” per ottenere idrocarburi a buon mercato sapendo bene che era un tiranno autoritario di grado A. Alcuni utenti di Twitter e alcuni “think tank” lo onorano poiché ricevono tutte le spese rimborsate e i viaggi pagati e il loro prossimo stipendio dal dinastico regime autocratico dell’Azerbajgian. Successivamente rivedranno la storia e onoreranno Joseph Stalin, Pol Pot, Idi Amin, Kim Jong Il e Osama Bin Laden. Questi bastardi cercano solo qualcuno con riserve di idrocarburi o un libretto degli assegni. Non è difficile da capire» (Aroutin Hartunian).
«Se volete un esempio da manuale per spiegare come gli Stati possono violare il diritto internazionale e il concetto di diritti umani, basta dare un’occhiata alle azioni dell’Azerbajgian nel Nagorno-Karabakh. L’Azerbajgian è un Paese che può calpestare le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite e godere ancora del sostegno degli Stati membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite» (Anush Ghavalyan).
L’autocrate dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha annunciato nell’ambito del festival tecnologico Teknofest organizzato a Istanbul il 29 aprile 2023, che un centro Bayraktar della compagnia militare turca Baykar sarà stabilito in Azerbajgian. In particolare, Aliyev ha affermato di aver raggiunto un accordo su questo quando il Direttore della società Baykar, Selçuk Bayraktar, ha visitato Baku all’inizio di aprile [QUI]: «Abbiamo raggiunto un accordo sulla creazione di un centro Bayraktar in Azerbajgian. Nel prossimo futuro verrà istituito un centro Bayraktar in Azerbajgian dove si svolgeranno attività educative e produttive».
Aliyev ha detto che nell’ambito di quella visita, [il 3 aprile 2023, foto sopra] Selçuk Bayraktar gli ha presentato un modello del nuovo prodotto dell’azienda, Kızıl Elma (mela rossa). È un veicolo aereo senza pilota supersonico a propulsione a reazione in grado di volare a bassa quota, rendendo difficile il rilevamento: «Spero che nel prossimo futuro anche Kızıl Elma sarà nel cielo dell’Azerbajgian».
Il noto professore del Massachusetts Institute of Technology, Max Tegmark, le cui interessi scientifici spaziano dall’intelligenza artificiale alla natura ultima della realtà, ha espresso riserve sul ruolo del MIT nella formazione del produttore dei droni Bayraktar, in un’intervista a un giornale tedesco («Ci vergogniamo di aver dato un’istruzione a Selçuk Bayraktar»). Bayraktar reagisce su Twitter: «Abbiamo riavuto le nostre terre. Possiamo solo esserne orgogliosi!» Ovviamente, la Turchia non ha avuto alcun ruolo nei massacri in Artsakh nel 2020.
«Victoria Gevorgyan, 9 anni, è stata la prima vittima civile della guerra dei 44 giorni dell’Artsakh. È stata uccisa da un drone dell’Azerbajgian [prodotto e fornito con orgoglio da Selçuk Bayraktar] nella sua casa di Martuni nell’Artsakh» (ZM).
«Selçuk Bayraktar è
– un orgoglioso ASSASSINO DI MASSA di oltre 4.000 giovani coscritti armeni, incluso mio cugino;
– un fiero sostenitore del regime genocida dell’Azerbajgian che fa morire di fame 30.000 bambini armeni in #ArtsakhBlockade;
– un fiero assassino di civili curdi, etiopi, siriani, yazidi [QUI]
[In riferimento all’articolo su Spiegel International che segue] Invece di glorificare questo “genio” la cui innovazione aiuta i regimi autoritari a uccidere in massa persone, fate un articolo su migliaia di genitori e famiglie in lutto, tutte vittime dei suoi attacchi di droni. Questo non è un personaggio di Holywood, non è un Elon Musk» (Nara Matini).
Aspettando sotto le ali
Il produttore di droni Bayraktar visto come possibile successore di Erdoğan
L’imprenditore Selçuk Bayraktar: “Abbiamo l’obbligo morale di aiutare l’Ucraina”
Selçuk Bayraktar ha cambiato il modo in cui viene condotta la guerra moderna e alcuni hanno iniziato a chiamarlo l’Elon Musk della Turchia. Cresce la speculazione che possa seguire le orme di suo suocero Recep Tayyip Erdoğan e salire ai vertici della politica turca
di Şebnem Arsu e Maximilian Popp a Istanbul Spiegel International, 25 aprile 2023 Articolo apparso originariamente in tedesco nel numero cartaceo 17/2023 del 22 aprile 2023 di Der Spiegel
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Sono passati pochi giorni dai terremoti del 6 febbraio e Selçuk Bayraktar si trova davanti a un mucchio di macerie nel mezzo dell’area del disastro. Sembra stanco e triste. Più di 50.000 persone sono morte nel disastro e centinaia di migliaia hanno perso la casa. Nel video che Bayraktar pubblica su Twitter, promette di costruire 1.000 nuove case e 2.000 container abitativi per le vittime.
Bayraktar in realtà non è un operatore di emergenza. Non è nemmeno un membro del governo turco. È comproprietario della compagnia di difesa turca Baykar. Lui e suo fratello Haluk si sono fatti un nome in tutto il mondo come costruttori di droni. Gli aerei telecomandati della compagnia hanno guadagnato una sorta di status di culto in Ucraina perché hanno aiutato l’esercito del Paese a respingere l’invasione russa all’inizio della guerra. Un soldato ucraino ha persino dedicato loro una canzone pop e lo zoo di Kiev ha battezzato un cucciolo di lemure Baykar.
Bayraktar è sposato con Sümeyye Erdoğan, la figlia più giovane del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, portando molti a credere che potrebbe essere nella posizione di succedere a suo suocero come prossimo leader della Turchia.
Dopo 20 anni al potere, questa è la prima volta che Erdoğan dovrà seriamente temere di non vincere la rielezione il 14 maggio. Il candidato dell’opposizione Kemal Kiliçdaroğlu è attualmente in testa alla maggior parte dei sondaggi.
Ma qualunque sia l’esito, Erdoğan ha già annunciato che questa sarà l’ultima volta che si candiderà, e gli osservatori ritengono che stia cercando un successore a cui cedere le redini. I suoi stessi figli non hanno alcuna reale possibilità di entrare in carica per vari motivi, e Berat Albayrak, il marito della figlia maggiore Esra, ha fallito nel suo incarico di Ministro delle Finanze. Motivo per cui l’attenzione si è sempre più concentrata su Bayraktar, il cui nome è spuntato sempre di più nel dibattito su un successore di Erdoğan. Quando gli è stato chiesto di recente in uno show televisivo, Bayraktar ha respinto la speculazione come “pettegolezzo”.
Anche se Erdoğan venisse votato fuori carica, il successo di Bayraktar lo ha reso così popolare in Turchia che nessun governo potrà ignorare lui e la sua compagnia. La sua influenza sulla politica turca è destinata solo ad aumentare.
Baykar è diventata il più grande esportatore di armi della Turchia nel 2021, con un fatturato annuo di 664 milioni di dollari, e l’azienda è cresciuta ulteriormente a seguito della guerra in Ucraina. L’anno scorso, Baykar ha consegnato droni e altre tecnologie per un valore di 1,18 miliardi di dollari a 18 Paesi.
I militari hanno schierato i droni Bayraktar TB2 sui campi di battaglia in Libia, Nagorno-Karabakh ed Etiopia. “Ciò ha consentito una rivoluzione operativa abbastanza significativa nel modo in cui le guerre vengono combattute in questo momento”, ha detto al New Yorker Rich Outzen, un ex esperto di Turchia presso il Dipartimento di Stato americano.
Il quartier generale di Baykar alla periferia di Istanbul sembra più un campus universitario che una fabbrica di armi. Un pomeriggio dell’estate scorsa, si potevano vedere dipendenti prevalentemente giovani che attraversavano un vasto sito in jeans e magliette. Un gruppo ha giocato a pallavolo nel campo sportivo dell’azienda.
Selçuk Bayraktar ha decorato il suo ufficio all’ultimo piano di un edificio in vetro e cemento con modellini di aeroplani, una giacca da volo appesa a un attaccapanni.
Bayraktar ha 43 anni e non sembra dissimile da una star del cinema con la sua barba incolta, il mento squadrato e i capelli corti e scuri. Suo padre, Özdemir, ha fondato l’azienda negli anni ’80 come fornitore dell’industria automobilistica. Sua madre, Canan, era un’economista e scienziata informatica. Bayraktar afferma di essere stato affascinato da qualsiasi cosa avesse a che fare con la tecnologia da bambino, in particolare gli aeroplani. “Per me è uno stile di vita”.
Successivamente Bayraktar si è trasferito negli Stati Uniti, dove ha studiato ingegneria in Pennsylvania e al Massachusetts Institute of Technology. È tornato in Turchia nel 2007 e ha contribuito a fondare la divisione droni a Baykar. La svolta è arrivata sette anni dopo, quando l’azienda ha dotato l’esercito turco di droni nella lotta contro il fuorilegge Partito dei lavoratori curdi (PKK). Bayraktar ama condividere la storia di come ha viaggiato lui stesso in prima linea nelle montagne del sud-est della Turchia per sviluppare ulteriormente il drone.
Il drone Bayraktar TB2 ha un’apertura alare di soli 12 metri, un’elica di coda e tre ruote. È armato con un massimo di quattro bombe o missili a guida laser. Non può volare tanto lontano quanto i modelli americani o israeliani, né può trasportare gli stessi carichi pesanti, ma costa solo 5 milioni di dollari, circa un sesto del drone Reaper statunitense. Ciò rende il drone estremamente attraente per le potenze militari di piccole e medie dimensioni.
In Libia, i droni Bayraktar TB2 hanno aiutato il governo ufficiale di Tripoli a reprimere una rivolta del signore della guerra Khalifa Haftar. In Nagorno-Karabakh, hanno svolto un ruolo decisivo nella vittoria dell’Azerbajgian sull’Armenia, dopo di che l’autocrate Ilham Aliyev ha celebrato presentando filmati di attacchi di droni su schermi video nella capitale Baku. Gli Ucraini li schierarono principalmente nei primi mesi di guerra, prima che le difese aeree russe adattassero la loro strategia. È evidente il fatto che i droni vengano forniti principalmente a paesi vicini al governo Erdoğan.
Baykar è il fiore all’occhiello dell’industria della difesa turca, che è cresciuta di dieci volte da quando Erdoğan è salito al potere nel 2003. “Non siamo più mendicanti”, ha detto Erdoğan durante un discorso alle reclute militari turche. “Tutti li vogliono da noi”, ha detto dei droni. Durante la campagna elettorale, ha presentato prodotti per la difesa, tra cui una nave da guerra da cui in futuro verranno lanciati droni. Ma gli esperti avvertono che la proliferazione in gran parte incontrollata di droni come il Bayraktar TB2 sta rendendo i conflitti imprevedibili.
Ci sono anche segnalazioni di civili colpiti da attacchi. Ismail Shamdin si era costruito una nuova vita a Qamishli, nel nord-est della Siria, dopo che lui e la sua famiglia erano fuggiti dalla milizia terroristica dello Stato Islamico. Come racconta al telefono sua sorella Huriya, Shamdin – che ha una figlia e due gemelli di quattro mesi – è riuscito a trovare lavoro come meccanico di automobili in città. Era in officina la scorsa estate quando è stato colpito da un drone turco, dice Huriya, uccidendolo sul colpo. Sua sorella crede che il vero obiettivo fosse un ufficiale delle forze curde in Siria che aveva portato la sua auto in riparazione.
La Turchia ha condotto la guerra contro il PKK e la sua propaggine siriana, l’YPG, per anni, e sempre più sono i droni TB2 che vengono schierati per questo scopo. Secondo l’amministrazione autonoma curda in Siria, solo lo scorso anno diverse dozzine di civili sono morte in attacchi di droni turchi. Il senatore degli Stati Uniti Bob Menendez del Partito Democratico ha definito le vendite di droni turchi “pericolose, destabilizzanti e una minaccia per la pace e i diritti umani”.
In un’intervista nel suo ufficio di Istanbul, Selçuk Bayraktar respinge ogni critica al programma dei droni. Sostiene che i droni sono più precisi di altre armi e, poiché gli attacchi vengono filmati, insiste sul fatto che esiste una maggiore responsabilità.
A Bayraktar piace presentarsi come un secchione della tecnologia, un pensatore che si preoccupa più del codice informatico che della politica. In realtà, però, ha modellato con cura la sua immagine dal suo matrimonio con Sümeyye Erdoğan nel 2016. Pubblica regolarmente benedizioni islamiche su Instagram e Twitter, dove ha circa due milioni e mezzo di follower su ciascuna piattaforma. Fornisce inoltre sostegno a iniziative educative. Quando appare in pubblico, indossa spesso una giacca da volo rossa.
E mentre il Presidente Erdoğan sta perseguendo la diplomazia navetta tra Kiev e Mosca nella guerra in Ucraina, Bayraktar si è chiaramente schierato con l’Ucraina. “Abbiamo l’obbligo morale di aiutare l’Ucraina”, dice. Poi cita Benjamin Franklin: “Coloro che rinuncerebbero alla Libertà essenziale, per acquistare un po’ di Sicurezza temporanea, non meritano né Libertà né Sicurezza”. Ma si astiene dal commentare direttamente l’attualità politica.
Alla domanda sulle sue ambizioni politiche, Bayraktar dice solo che la sua principale responsabilità al momento è per Baykar. Deve aver seguito molto da vicino come suo cognato Berat Albayrak si è schiantato e bruciato durante il suo breve periodo al governo.
Bayraktar porta molto sul tavolo che potrebbe contribuire a garantire il successo nella politica turca. Ad esempio, suo padre Özdemir era un confidente dell’ex Primo Ministro islamista Necmettin Erbakan, e il prototipo del drone Bayraktar TB2 era dedicato a Erbakan. Attraverso il suo matrimonio con Sümeyye, Bayraktar ha anche accesso ai circoli di potere turchi. E può puntare su una carriera di successo nel settore privato. Alcuni in Turchia lo stanno già paragonando all’imprenditore Elon Musk.
Erdoğan è impegnato a garantire la sua rielezione al momento. Ma Bayraktar è abbastanza giovane da aspettare dietro le quinte fino al suo turno.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-29 19:10:412023-05-04 19:11:19139° giorno del #ArtsakhBlockade. “Coloro che rinuncerebbero alla Libertà essenziale, per acquistare un po’ di Sicurezza temporanea, non meritano né Libertà né Sicurezza” (Korazym 29.04.23)
Con riferimento all’articolo “L’Azerbaigian non potrebbe avere sentimenti di odio verso il Karabakh” pubblicato sul vostro sito il 17 aprile 2023, FarodiRoma pubblica la lettera di risposta dell’ambasciatore armeno presso la Santa Sede, Garen Nazarian
Sono innanzitutto grato per avere, come già in passato, l’opportunità di presentare il punto di vista dell’Armenia in merito alla soluzione di questioni esistenti e che rivestono un’importanza vitale, tra cui i diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh per raggiungere una pace globale e sostenibile nella regione. Purtroppo, il neo ambasciatore dell’Azerbaijan presso la Santa Sede Mukhtarov continua a diffondere sulla
stampa locale narrazioni prive di fondamento, esponendo chiaramente quanto il suo Paese sia lontano dalla pace e quali, invece, siano le reali intenzioni dei suoi leader.
Più di una volta l’Armenia ha ribadito il suo impegno nel processo di pace, sottolineando l’importanza che l’Azerbaijan abbandoni le sue aspirazioni massimaliste, la sua politica aggressiva e la sua retorica bellicosa nei
confronti della popolazione del Nagorno-Karabakh e dell’integrità territoriale della Repubblica d’Armenia.
Nel contesto del blocco illegale del corridoio di Lachin da parte dell’Azerbaijan in corso ormai da quattro mesi, l’Armenia si aspetta iniziative concrete da parte dell’Azerbaijan verso l’attuazione degli impegni assunti e, in particolare, il rispetto della decisione della Corte internazionale di giustizia del 22 febbraio 2023 di ripristinare la libera circolazione lungo il corridoio di Lachin, rigorosamente in linea con le disposizioni della Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 firmata dai leader di Azerbaijan, Russia e Armenia.
A oggi le continue aggressioni militari dell’Azerbaijan, come la recente provocazione dell’11 aprile scorso nel territorio della Repubblica d’Armenia, nell’area del villaggio di Tegh nella regione di Syunik, compromettono i nostri sforzi e quelli dei partner internazionali per raggiungere una pace sostenibile.
E le violazioni di altre disposizioni della citata Dichiarazione trilaterale non finiscono qui. Vorrei ricordare a Ilgar Mukhtarov che, in barba ai numerosi appelli della comunità internazionale e di rinomate organizzazioni
per i diritti umani che hanno presentato casi di trattamenti inumani, l’Azerbaijan continua a detenere illegalmente in ostaggio prigionieri di guerra e civili armeni contro cui vengono orchestrati processi farsa.
Nonostante tutte le difficoltà, la parte armena si impegna ed è pronta a compiere ogni tentativo necessario per raggiungere la pace e la stabilità nella nostra regione.
Garen Nazarian, Ambasciatore d`Armenia presso la Santa Sede
Nella foto: “Cattedrale del Santissimo Salvatore Ghazanchetsots a Shushi, 1847”
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-28 19:17:292023-05-04 19:18:33“L’Armenia si impegna per raggiungere la pace e la stabilità nella regione del Caucaso”. L’ambasciatore armeno replica all’omologo azero (Faro di Roma 28.04.23)
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