125° giorno del #ArtsakhBlockade. Non chiudiamo gli occhi, non accettiamo le menzogne, guardiamo a quello che sta accadendo nel Caucaso meridionale e le responsabilità (Korazym 15.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 15.04.2023 – Vik van Brantegem] – Nel giorno 125, entrando nel quinte mese del #ArtsakhBlockade, l’Azerbajgian continua a rifiutare «ad adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire la circolazione senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio di Lachin in entrambe le direzioni» come ha ordinato la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite in una decisione legalmente vincolante il 22 febbraio 2023 e continua ad interrompere la forniture di elettricità e di gas dall’Armenia all’Artsakh.

«I bambini della scuola materna passeggiano nella piazza del Rinascimento a Stepanakert. È il quinto mese del #ArtsakhBlockade» (Siranush Sargsyan).

L’Azerbajgian ha occupato almeno 215 chilometri quadrati di territorio armeno dal 2020. Dopo la sconfitta dell’Armenia nella guerra del Nagorno-Karabakh del 2020, le forze armate azere hanno occupato del territorio sovrano dell’Armenia in diverse occasioni. L’ultima avanzata è avvenuta proprio il mese scorso vicino al villaggio di confine di Tegh, nella regione di Syunik, nel sud dell’Armenia. Secondo le immagini satellitari, le forze armate azere sono avanzate nell’Armenia vera e propria, occupando in totale almeno 215 chilometri quadrati del territorio sovrano dell’Armenia dal 2020.

La politica di frontiera aggressiva dell’Azerbajgian e i suoi obiettivi principali
di Tigran Grigoryan
Civilnet.am, 14 aprile 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

L’11 aprile è scoppiato un combattimento mortale tra le forze armate azere e armene nelle vicinanze del villaggio di Tegh nella regione armena di Syunik. Come si può vedere chiaramente nel filmato pubblicato dal ministero della Difesa armeno, un gruppo di militari azeri si è avvicinato a un’area in cui i militari armeni stavano conducendo lavori di ingegneria e ha aperto il fuoco nella loro direzione. A causa di questa provocazione, è iniziata una scaramuccia, che ha provocato vittime da entrambe le parti.

Alla fine di marzo, le forze azere hanno preso il controllo di una strada temporanea che collega il nuovo percorso del Corridoio di Lachin con l’Armenia e sono avanzate di diverse centinaia di metri nel territorio sovrano dell’Armenia. Le forze armate dell’Azerbajgian hanno installato postazioni militari su parti di terreni agricoli appartenenti ai residenti di Tegh. Il micidiale scontro a fuoco avvenuto l’11 aprile è stato preceduto da giorni di trattative tra le parti.

Gli sviluppi delle ultime settimane vicino a Tegh fanno parte della politica di frontiera aggressiva postbellica dell’Azerbajgian. Mentre tutti i mediatori hanno sollecitato le parti a realizzare la delimitazione e la demarcazione del confine tra Armenia e Azerbajgian, Baku si è impegnata de facto in un proprio processo di “delimitazione e demarcazione”, modificando i fatti sul campo e acquisendo il controllo su altezze chiave e altre aree di importanza strategica lungo il confine.

Questa tattica di annessione strisciante è stata utilizzata da Baku sia in Armenia che nel Nagorno-Karabakh. L’aggressiva politica di frontiera di Baku persegue due obiettivi principali: in primo luogo, trarre vantaggio dalla situazione geopolitica instabile sul terreno e occupare quanto più territorio possibile; e in secondo luogo, avere un’altura in tutte le aree della linea del fronte, sia in Armenia che nel Nagorno-Karabakh.

La cosa ancora più preoccupante è che l’aggressiva politica di frontiera di Baku è accompagnata da tentativi di delegittimare l’Armenia e il diritto all’autodifesa dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh. Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha affermato pubblicamente in diverse occasioni che all’Armenia non dovrebbe essere permesso di avere un esercito, e ha anche criticato i Paesi che vendono armi all’Armenia.

L’attacco su larga scala dell’Azerbajgian contro l’Armenia nel settembre 2022 è stato giustificato dall’affermazione che le forze armate armene stavano piantando mine antiuomo lungo la linea del fronte all’interno del territorio dell’Armenia. Baku ha anche cercato di disarmare l’esercito di difesa dell’Artsakh, forza di autodifesa del Nagorno-Karabakh.

Anche l’atteggiamento negativo dell’Azerbajgian nei confronti della Missione di monitoraggio civile dell’Unione Europea fa parte di questo approccio. Il regime di Aliyev mira a imporre militarmente le sue richieste massimaliste all’Armenia, e ogni piccolo ostacolo in questo processo è visto come un problema. In poche parole, Baku sta cercando di normalizzare le sue politiche aggressive sul campo, negando nel frattempo all’Armenia e al Nagorno-Karabakh il diritto all’autodifesa.

Lo scontro a fuoco vicino a Tegh assomigliava allo schema sopra menzionato. L’Azerbajgian è avanzato per la prima volta nel territorio sovrano dell’Armenia e ha iniziato a installare le sue postazioni militari in quella zona. Quando la parte armena ha cercato di installare le proprie posizioni, le forze armate azere hanno iniziato la scaramuccia mortale.

Questa politica di frontiera aggressiva è uno dei principali strumenti nella cassetta degli attrezzi di Baku e sarà continuamente utilizzata anche in futuro. Non ci sono reali garanzie che l’Azerbajgian abbandonerà questa tattica, anche se si svolgerà un vero e proprio processo di delimitazione e demarcazione. Non è un caso che in uno dei suoi recenti discorsi Aliyev abbia affermato che la delimitazione sarà effettuata alle condizioni dell’Azerbajgian.

A questo proposito, è estremamente importante impedire la normalizzazione della politica di frontiera aggressiva di Baku. La mancanza di una forte risposta internazionale incentiva il regime di Aliyev a continuare a perseguire questa tattica sul campo. Dichiarazioni neutre e richieste a entrambe le parti di ridimensionare non sono affatto utili. C’è solo una parte che sta intensificando la situazione sul campo. Tutti gli attori internazionali che assimilano le narrazioni armate dell’Azerbaigian contribuiscono indirettamente al successo di questa politica.

Il bue che chiama l’asino cornuto

«Condanniamo l’incendio della bandiera nazionale dell’Azerbajgian alla cerimonia di apertura del Campionato europeo di sollevamento pesi in Armenia. È preoccupante che gli organizzatori non abbiano adottato misure di sicurezza contro tali azioni di odio. Gli autori dovrebbero essere puniti di conseguenza!» (Aykhan Hajizada, Portavoce del Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian).

Il Ministero della Gioventù e dello Sport e il Comitato Olimpico Nazionale della Repubblica di Azerbajgian hanno rilasciato una dichiarazione congiunta: «La bandiera dell’Azerbajgian è stata bruciata in modo dimostrativo da una persona ufficialmente accreditata alla cerimonia di apertura del Campionato europeo di sollevamento pesi a Yerevan, la capitale dell’Armenia, il 14 aprile 2023. La commissione di un tale atto barbaro alla cerimonia alla presenza del Primo Ministro dell’Armenia e la sua approvazione da parte del pubblico armeno, e la descrizione della persona che ha commesso quell’atto come un eroe, è un chiaro esempio di odio etnico, razzismo, xenofobia, e l’azerbajgianfobia in questo Paese, così come è in completa contraddizione con i nobili obiettivi e principi dello sport, che promuove la pace e la comprensione reciproca tra le nazioni. La politicizzazione dello sport è assolutamente inaccettabile. A causa delle pressioni psicologiche in Armenia, dove prevale un tale clima di odio e la sicurezza non è garantita, la normale partecipazione degli atleti azeri alle competizioni è impossibile. Tenendo conto di ciò, è stata presa la decisione di riportare gli atleti azeri in patria. L’Armenia dovrebbe garantire il loro ritorno sicuro. Chiediamo alla comunità internazionale e alle istituzioni sportive internazionali di condannare fermamente questo atto barbaro. Chiediamo anche alla Federazione europea di sollevamento pesi di imporre sanzioni contro l’Armenia. Riteniamo che questo incidente dimostri che l’Armenia non è in grado di organizzare competizioni sportive internazionali e garantire la sicurezza degli atleti».

«Mentre tornano a casa, lasciate che prendano un paio di bandiere dell’Azerbajgian dal loro posto genocida del #ArtsakhBlockade come premio di consolazione» (Nara Matini).

«”Bruciare la bandiera dell’Azerbajgian non aiuta ad avvicinarci alla pace”. Sai cos’altro no? Blocco dell’Artsakh. Torturare prigionieri di guerra armeni. Esecuzione di civili armeni. Occupazione del territorio armeno sovrano. Distruggere il patrimonio culturale armeno. Incitamento all’odio contro gli Armeni» (Alex Galitsky).

«L’organo investigativo dell’Armenia ha dichiarato che non vi era alcun elemento criminale nelle azioni del designer armeno Aram Nikolyan, che ha incendiato la bandiera dell’Azerbajgian alla cerimonia di apertura del Campionato europeo di sollevamento pesi tenutosi a Yerevan», ha dichiarato Alexander Gochubayev, l’avvocato di Aram Nikolyan. «È positivo che nella fase iniziale delle indagini, l’organo investigativo abbia affermato che non vi è alcun elemento criminale. Secondo le informazioni preliminari, non verrà aperto alcun procedimento penale contro Aram Nikolyan», ha osservato Gochubayev.

«Mentre in Azerbajgian l’assassino con l’ascia, che ha ucciso l’Armeno addormentato, è diventato un eroe, in Armenia un ragazzo ha bruciato la bandiera dell’Azerbajgian e contro di lui è stato avviato un procedimento per teppismo. Vedi la differenza?» (Tatevik Hayrapetyan).

Twittare sconvolto su una bandiera e difendere un regime governato da un autocrate cleptocrate che corrompe politici e giornalisti per mascherare le sue violazioni dei diritti umani e crimini di guerra, è assolutamente folle rispetto a ciò che la Turchia e l’Azerbajgian hanno fatto agli Armeni negli ultimi 100 anni, non degno per un tweet di protesta, anzi, negandolo.

Il retweet dell’Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania: «Durante la cerimonia di apertura dei Campionati europei di sollevamento pesi del 2023 a Yerevan, in Armenia, ha avuto luogo l’atto barbaro e la bandiera dell’Azerbajgian è stata incendiata. Ciò è profondamente inaccettabile e dimostra che l’Armenia non è pronta ad ospitare tali eventi».

L’Azerbajgian è colpevole di molte violazioni dei diritti umani e ha commesso atroci crimini di guerra contro gli Armeni, nella più totale impunità: decapitazione di civili innocenti, tortura di prigionieri di guerra, mutilazioni di cadaveri, uccisione di poliziotti, militari e civili armeni durante il regime di cessate il fuoco, e #ArtsakhBlockade, l’elenco è lungo. Per la cronaca: la persona che ha dato fuoco alla bandiera azera era il fratello di un civile che è stato decapitato da un soldato azero per ordine del Presidente dell’Azerbajgian. L’Azerbajgian è la definizione di terrorismo di frontiera. È sconvolgente che le forze armate azere possano continuare a uccidere gli Armeni impunemente. Basta sciocchezze da parte di questo diplomatico di Aliyev in Germania.

«L’atto barbaro è la fame e il congelamento di 30.000 bambini armeni sotto il #ArtsakhBlockade da parte dell’Azerbajgian. Bruciare una bandiera che rappresenta il regime genocida azero si chiama protesta contro le sue azioni barbariche» (Dao Paris).

L’attività lavorativa alla miniera di Sotk (che sorge sul confine tra Armenia e Azerbajgian, è stata interrotta dalla parte armena a causa di ripetuti colpi di arma da fuoco sparati dalle forze armate azeri. Anche l’11 aprile, quando c’è stato l’attacco mortale delle forze armate azere a Tegh, hanno sparato alla miniera di Sotk [QUI].

Non noto proteste indignate da parte di chi si strappa le veste per una bandiera bruciata, per questa ennesima violazione del cessato il fuoco con lo scopo di impedire la vita economica.

Poi, parlando della bandiera dell’Azerbajgian: «La bandiera dell’Azerbajgian è stata conservata intatta presso la Yerevan Brandy Factory per decenni. Il “Barile della Pace” è stato installato nella fabbrica di cognac di Yerevan in onore della visita dei co-Presidenti del gruppo OSCE di Minsk il 6 novembre 2001. I governi sono cambiati, ma non è stato rimosso; è conservato. In questo barile viene invecchiato il cognac prodotto nel 1994, anno simbolo del cessate il fuoco della Prima Guerra del Karabakh. Il barile si chiama “Pace” e verrà aperto quando il conflitto del Nagorno-Karabakh sarà risolto. Il cognac è buono quando è invecchiato, ma in questo caso spero che si apra il prima possibile. Poiché ciò non è avvenuto, i visitatori del Museo Ararat lasciano le loro firme direttamente sulle pareti dietro il barile. In questo modo, le persone mostrano il loro sostegno all’instaurazione della pace ed esprimono opposizione alla guerra» (Roberto Anayan).

La persona che ha bruciato la bandiera dell’Azerbajgian è stata arrestata con l’accusa di teppismo e la bandiera è stata immediatamente sostituita.

L’Azerbajgian continua a negare di aver bloccato il Corridoio di Berdzor (Lachin), ma per qualche motivo misterioso, per i media e i troll azeri rimane un evento degno di nota ogni volta che gli “eco-attivisti” lasciano passare un convoglio del Contingente di mantenimento della pace russo o del Comitato Internazionale della Croce Rossa, che sono gli unici “veicoli civili” (altrettanto misterioso cosa trovano di “civile” in questi mezzi di trasporto militari e umanitari) che fanno passare (e non sempre senza creare problemi o senza respingimenti), passaggio che di volta in volta deve essere concordato previamente con le autorità statali azeri. La notizia quotidiano è sempre corredata da ampia documentazione fotografica e video.

«Continua il libero passaggio dei veicoli civili sulla strada Lachin-Khankandi, dove si svolge l’azione di protesta contro lo sfruttamento illegale dei giacimenti minerari nelle aree sotto il temporaneo controllo delle forze di mantenimento della pace russe, riferisce da Shusha il corrispondente di APA. Sono state create le condizioni per il passaggio senza ostacoli dei veicoli appartenenti al Contingente di mantenimento della pace russo attraverso la strada Lachin-Khankandi, riferisce il corrispondente dell’APA assegnato a Shusha. I veicoli appartenenti a Contingente di mantenimento della pace russo hanno effettuato il passaggio senza alcun ostacolo. 5 camion hanno attraversato l’area di protesta da Khankandi e si sono mossi senza ostacoli verso Lachin» (Azeri-Press Agency, agenzia stampa statale dell’Azerbajgian).

Credono a tutte menzogne ma di fronte alla verità chiedono fonti e prove

Una volta che viene scoperto il castello di menzogne molti menzogneri reagiscono mostrando aggressività e rabbia nei confronti di coloro che mettono in discussione quanto sostenuto, non perché scoperti ma perché non creduti; oppure si impegnano per credere e far credere di essere delle vittime, di avere ragione di essere ingiustamente attaccato.

8 tipiche reazioni del menzognero quando viene smascherato

  1. Tende ad alzare il tono di voce. In questo modo rimarca ciò che sta dicendo, affermando la sua autorità.
  2. Aggiunge dettagli superflui alla storia. In questo modo spera di rendere il racconto ancora più reale.
  3. C’è una dissonanza tra ciò che viene detto e il linguaggio del corpo. Ad esempio potrebbe raccontare un fatto, facendo un lieve cenno di diniego con il capo.
  4. Si mette sulla difensiva reagendo con rabbia. Le persone che sanno di dire la verità si offendono semplicemente. Al contrario chi mente, tende ad arrabbiarsi.
  5. Prova a cambiare argomento. Il menzognero sarà ben felice di modificare il tema di conversazione, al contrario chi è sincero si sentirà imbarazzato o confuso, cercando di tornare all’argomento precedente.
  6. Inizia a sudare. Alcune persone quando mentono tendono a sudare di più. A questo dato bisogna tuttavia prestare molta attenzione.
  7. Detesta ripetere. Chi dice falsità non sopporta ridire le cose, per questo motivo cercherà di evitarlo. Se viene incalzato a farlo, è bene osservare il linguaggio del corpo e i segnali che indicano che si sta mentendo, come lo sguardo assente che evita il contatto o i movimenti più veloci di braccia e gambe per esempio.
  8. Non ama il confronto diretto. Tende quindi a raccontare la menzogna ricorrendo più a messaggi scritti o audio. In questo modo si ha la possibilità di riflettere e di prendere tempo.

«In verità [per] quelli che non credono, non fa differenza che tu li avverta oppure no: non crederanno. Allah ha posto un sigillo sui loro cuori e sulle loro orecchie e sui loro occhi c’è un velo; avranno un castigo immenso. Tra gli uomini vi è chi dice: “Crediamo in Allah e nel Giorno Ultimo!” e invece non sono credenti. Cercano di ingannare Allah e coloro che credono, ma non ingannano che loro stessi e non se ne accorgono. Nei loro cuori c’è una malattia e Allah ha aggravato questa malattia. Avranno un castigo doloroso per la loro menzogna. E quando si dice loro: “Non spargete la corruzione sulla terra”, dicono: “Anzi, noi siamo dei conciliatori!”. Non sono forse questi i corruttori? Ma non se ne avvedono. E quando si dice loro: “Credete come hanno creduto gli altri uomini”, rispondono: Dovremmo credere come hanno creduto gli stolti?”. Non sono forse loro gli stolti? Ma non lo sanno. Quando incontrano i credenti, dicono: “Crediamo”; ma quando sono soli con i loro dèmoni, dicono: “Invero siamo dei vostri; non facciamo che burlarci di loro”. Allah si burla di loro, lascia che sprofondino nella ribellione, accecati. Sono quelli che hanno scambiato la retta Guida con la perdizione. Il loro è un commercio senza utile e non sono ben guidati. Assomigliano a chi accende un fuoco; poi, quando il fuoco ha illuminato i suoi dintorni, Allah sottrae loro la luce e li abbandona nelle tenebre in cui non vedono nulla. Sordi, muti, ciechi, non possono ritornare» (Sura II – Al-Baqara [La Giovenca], 6-18).

Istituto Lemkin per la Prevenzione di Genocidio
Intervista a SarahTanzilli

(Nostra traduzione italiana dall’inglese [QUI])

Qualche settimana fa, la responsabile del programma dell’Istituto Lemkin, Léa Périllat, ha avuto l’opportunità di incontrare Sarah Tanzilli, membro dell’Assemblea nazionale francese.

Tanzilli è profondamente impegnata con il popolo dell’Armenia e dell’Artsakh, avendo lei stessa radici armene. Difende nel Parlamento francese gli interessi del popolo armeno e si batte per garantire la sua sicurezza di fronte alle crescenti minacce esistenziali dei suoi vicini Azerbajgian e Turchia. In particolare, ha presentato lo scorso ottobre una risoluzione “per chiedere la fine dell’aggressione dell’Azerbajgian contro l’Armenia e per stabilire una pace duratura nel Caucaso meridionale”.

Durante questa intervista, Tanzilli ha discusso del blocco in corso nell’Artsakh, della questione della distruzione del patrimonio culturale armeno, della logica dei blocchi politici o del ruolo della Francia nella prevenzione di un nuovo genocidio alle porte del continente europeo.

Come un razzo composto da più fasi, Tanzilli vede la politica dello Stato azero nei confronti del popolo armeno come un accumulo di politiche e sviluppi che culmineranno nell’eliminazione e nella totale scomparsa della popolazione.

Vorrei iniziare questo scambio con il blocco in corso nell’Artsakh. Dal 12 dicembre, il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’autoproclamata repubblica all’Armenia, è bloccato dai manifestanti azeri. Più di 120.000 abitanti armeni sono rimasti intrappolati in una situazione sempre più precaria. L’Istituto Lemkin per la Prevenzione di Genocidio ha denunciato il blocco fin dal primo giorno, ma la situazione è stata contenuta e centinaia di migliaia di persone restano al freddo. Come persona con radici armene ed estremamente impegnata per la causa del popolo armeno, come affronti questa situazione (a livello personale)?
È molto importante capire cosa sta succedendo e contestualizzare la situazione. Prima di esprimere la mia opinione su questo, volevo davvero insistere sul contesto. Il blocco che i 120.000 Armeni dell’Artsakh stanno affrontando oggi fa parte di un processo che mira a impedire a queste persone il rispetto dei loro diritti fondamentali da oltre 30 anni.
È stato un popolo che, nel contesto della caduta dell’URSS, ha lottato per la sua libertà e dopo 6 anni di guerra, ha vissuto 30 anni di isolamento sul piano politico ed economico, ha lottato con tutte le sue forze per costruire uno stato efficace e protettivo. Due anni fa, nella guerra dei 44 giorni, la morte è letteralmente caduta sulle loro teste. A quel tempo, nonostante la situazione estremamente precaria che vivevano le popolazioni locali, nonostante il destino a cui erano sottoposti coloro che stavano per tornare in questo territorio, nonostante le previsioni che si facevano allora, 120.000 dei 150.000 Armeni dell’Artsakh hanno fatto la scelta di tornare o rimanere in Artsakh. Ho voluto sottolinearlo perché mostra la loro determinazione a vivere nella loro terra.
Secondo me, l’obiettivo di questo blocco è rompere questa determinazione, rompere questa determinazione in modo che quando finirà, perché non posso immaginare che non finirà prima o poi, queste popolazioni saranno spinte a fuggire. Lo dico in questo momento perché è questo che mi tocca particolarmente perché anche i miei nonni, i miei bisnonni sono stati costretti a lasciare le loro case, a lasciare le terre che erano state loro per diversi millenni. Furono mandati in esilio. Così, attraverso la storia degli Armeni dell’Artsakh, riaffiora tutta la storia dei sopravvissuti al genocidio del 1915. Come hai detto, questa storia è la storia della mia famiglia, quindi mi colpisce particolarmente.
Allo stesso tempo, fa eco al mio impegno per il riconoscimento del genocidio armeno, alla mia mobilitazione negli ultimi 20 anni per allertare la gente sulla minaccia che il blocco turco-azero rappresenta per il popolo armeno.
Per molto tempo ci è stato detto che questa storia fa parte del passato. Ma ciò che sta accadendo oggi in Artsakh, ciò che accade dal 2020, è proprio la prova che non è nel passato, che è ancora attuale e che questa dimensione genocida dello sterminio della popolazione armena, prima in Anatolia e poi oggi nel Caucaso, è ancora rilevante.

C’è qualcosa nella sua risposta che ha attirato immediatamente la mia attenzione: queste sono persone che sono lì da centinaia e migliaia di anni. Anche se, spesso, vengono presentati come se fossero lì da qualche anno, quindi non hanno niente da fare lì e quindi le aspirazioni azere nei loro confronti sono del tutto legittime.
Questa affermazione si sovrappone a una domanda che volevo farla, ovvero che essendo lì da centinaia di anni, hanno un patrimonio, hanno la loro cultura, hanno uno stile di vita, hanno edifici, strutture che sono lì da centinaia o addirittura migliaia di anni. Ciò che sta accadendo negli ultimi 30 anni e più è una distruzione quasi sistematica da parte dell’Azerbajgian, in particolare del patrimonio culturale e religioso degli armeni sia in Armenia che in Artsakh. La Francia ha firmato un gran numero di convenzioni e trattati volti a preservare il patrimonio culturale di Paesi nel mondo. Nel caso del conflitto in Artsakh, l’Assemblea Nazionale ha approvato lo scorso novembre una risoluzione, invitando le parti a preservare il patrimonio culturale e religioso del territorio armeno e del Nagorno-Karabakh sotto il controllo azero. Cosa può fare la Francia per la continua distruzione del patrimonio culturale armeno nella regione del Caucaso meridionale? Come possiamo preservare questo patrimonio secolare, come possiamo rendere le persone consapevoli che ciò che sta accadendo fa parte di un processo più ampio che è genocida?
Ha ragione; infatti, la politica di eradicazione delle popolazioni armene è sempre stata accompagnata da una politica di distruzione delle tracce fisiche della presenza armena su questi territori.
Basta guardare Ani, una grande capitale del Medioevo, che è un luogo importante per la civiltà e la cultura armena. Basta vedere lo stato in cui questo territorio è abbandonato per capire che la politica missilistica a più stadi dell’Azerbajgian funziona. Dopo aver fatto sparire le popolazioni, vogliono far sparire ogni traccia di queste popolazioni per poter riscrivere la storia legata a questi territori (che è lo stadio finale del razzo); e, così facendo, cancellare la presenza armena dalla storia di questi territori.
Quindi, per agire su questo tema, abbiamo uno strumento che esiste a livello internazionale, che è destinato ad essere fortemente mobilitato su questo tema: l’UNESCO. Tuttavia, questa azione a favore della conservazione del patrimonio culturale non può essere portata avanti isolatamente perché c’è anche la questione dell’integrità degli Stati territoriali che stabilisce che abbiamo l’autorizzazione degli Stati ad intervenire per preservare il patrimonio.
È fondamentale che le organizzazioni internazionali facilitino il processo di protezione di questo patrimonio. Questo è dove sta il problema; lo sappiamo perfettamente. Dal 2020, ci sono state importanti mobilitazioni per fare pressione sull’UNESCO affinché agisse, ma invano. Questo era già avvenuto nell’enclave azerbajgiana di Nakhichevan, dove negli anni ’90 c’erano stati forti appelli all’intervento dell’UNESCO perché quasi tutti i khachkar (croci di pietre specifiche dell’architettura religiosa armena, molto sintomatiche della presenza di armeni in questi territori) erano mirata.
Infine, purtroppo, le azioni che sono state intraprese non hanno avuto successo perché oggi non abbiamo trovato soluzioni per finanziare queste organizzazioni internazionali e l’Azerbajgian ha capito benissimo che potrebbe usare i petrodollari per finanziare l’UNESCO e, alla fine, guadagnarsi una reputazione di benevolenza . Direi addirittura che l’UNESCO è diventato compiacente nei confronti dell’Azerbajgian e che abbiamo un’organizzazione internazionale che non è affatto all’altezza della gravità della situazione a livello culturale e del patrimonio.

Raphael Lemkin, l’uomo che ha coniato il termine “genocidio”, includeva specificamente non solo lo sterminio fisico di un popolo, ma anche situazioni che privano un gruppo di persone del diritto a una vita sicura e protetta. Eppure questo è il tipo di violenza a cui stiamo attualmente assistendo nel blocco dell’Artsakh, dove le persone vengono intenzionalmente private di calore, elettricità e luce in pieno inverno dalle forze statali azere. Attualmente, questo evento è evidenziato solo come una crisi umanitaria, ma dovrebbe anche essere riconosciuto come parte di un processo di genocidio e ricevere l’attenzione internazionale, ma non lo è. Cosa impedisce ai governi europei, compresa la Francia, e l’Unione Europea, di riconoscere nuovamente questi modelli simili così vicini al proprio suolo?
Farei una distinzione tra la Francia e l’Unione Europea. Penso che la posizione in Francia e la posizione in Europa non siano del tutto identiche. È vero che l’angolo adottato in termini di azione è un angolo umanitario e penso che sia una scelta che si fa per permettere di sbloccare più velocemente la situazione perché, ovviamente, quando spieghiamo che c’è una crisi umanitaria, non è una diplomazia internazionale di aiuti umanitari che può essere messa in atto. Lo vediamo molto chiaramente in questo momento per quanto riguarda la Turchia dopo il terremoto. Pertanto, questo angolo non è del tutto privo di interesse.
Penso che in Francia si possa ritenere che la classe politica sia abbastanza unanime nel condannare il blocco per quello che è. Ha ragione, fa parte di una politica di genocidio, una politica di pulizia etnica, di eradicazione della popolazione, senza dubbio. Questo fa parte di una dinamica che non è iniziata 2 anni fa, che non è iniziata 20 anni fa, che è iniziata 150 anni fa.
È molto più complicato convincere l’Unione Europea ad agire. Sia che si possa chiamarla una crisi umanitaria o un’azione legalmente qualificata di genocidio; l’azione è molto debole da parte dell’Unione Europea.
Alla fine di novembre, l’Assemblea Nazionale francese si è pronunciata e ha adottato una forte risoluzione a favore dell’Armenia. Questo era ovviamente prima del blocco, ma ho già chiarito che la comunità internazionale nel suo insieme non ha molto da guadagnare sostenendo l’Armenia se non il suo onore e il rispetto dei suoi principi.
D’altra parte, abbiamo uno Stato, l’Azerbajgian, che presenta molti interessi e opportunità. Il Presidente della Commissione Europea ha qualificato l’Azerbajgian, che è, dopotutto, una delle dittature più dure del pianeta, come un partner affidabile. Perché il nostro Presidente della Commissione Europea definisce l’Azerbajgian un partner affidabile? Perché ha in programma di sostituire parte delle importazioni di gas dell’Unione Europea dalla Russia con gas dall’Azerbajgian. Devo confessare che non ho ancora compreso appieno la logica di ciò dal punto di vista economico, perché hanno in programma di finanziare turbine eoliche offshore nel Mar Caspio per fornire elettricità a una parte dell’Europa, e in particolare all’Europa dell’Est. Quindi chiaramente, ci troviamo in una situazione in cui il Presidente della Commissione Europea non intende sacrificare quelli che considera gli interessi dell’Unione Europea con l’Azerbajgian.
Alla fine, non importa per loro che l’Azerbajgian fornisca gas all’Unione Europea che proviene effettivamente dalla Russia, e non importa che le società del gas russe sanzionate siano azionisti del fornitore di gas azero SOCAR, non importa, e penso che sia importante sottolineare questo punto, che questo accordo tra Putin e Aliyev è potenzialmente la ragione dell’inerzia delle forze militari russe [come forze di mantenimento della pace nell’Artsakh]. Continuiamo a trovarci in una situazione in cui abbiamo la Commissione Europea che non solo non agisce per sbloccare questa situazione, ma che, al contrario, è in definitiva molto attiva nel creare le condizioni che spiegano questo blocco.

Lei ha ribadito che l’Armenia e il popolo dell’Artsakh, nonostante la loro incrollabile determinazione, e cito, “non rimarranno soli di fronte alla petro-dittatura azera da un lato e al potere militare-imperialista turco dall’altro”. Ha ricordato ancora una volta che l’Armenia e l’Artsakh devono allearsi. In Francia sappiamo che ci sono milioni di Armeni, e anche il Presidente della Repubblica ha ripetuto nelle interviste che non li deluderebbe. Ma concretamente oggi non si fa nulla, almeno in relazione al blocco. Perché la Francia, il Signor Macron e il suo governo, non adottano misure concrete per porre fine a questa situazione?
Ha ragione a specificarlo. Credo sia importante precisarlo e lo scopo della nostra conversazione è parlare del blocco, perché oggi è la priorità. Ma dobbiamo essere consapevoli che la minaccia non è solo per l’Artsakh, ma anche per l’Armenia.
Ce ne siamo accorti lo scorso settembre durante l’offensiva del 13 e 14 settembre. L’obiettivo ideologico dell’Azerbajgian è lo sradicamento del popolo armeno; l’obiettivo strategico dell’Azerbajgian e della Turchia è il corridoio che collega la Turchia all’Azerbajgian e garantire la continuità geografica di tutti i Paesi di lingua turca dell’Asia. Quello che manca e che ostacola la costituzione di questo blocco geografico è il piccolo collegamento tra Nakhichevan e Azerbajgian. In realtà sappiamo benissimo che la minaccia grava sia sull’Artsakh che sull’Armenia.
Penso che dovremmo riconoscere che il Presidente Macron è riuscito a coinvolgere i suoi partner europei facendo votare il Consiglio Europeo sullo spiegamento di una missione di monitoraggio al confine armeno-azerbajgiano. Questo non è un lusso perché è una sorta di scudo, una sorta di protezione, una garanzia per l’Armenia.
Noi (i parlamentari) rimaniamo mobilitati. La posizione dell’Assemblea Nazionale o la posizione del Senato non è necessariamente la posizione del governo, del Presidente della Repubblica o del Quai d’Orsay (Ministero degli Affari Esteri). Siamo fortemente mobilitati per garantire che ci sia davvero un sostegno concreto, compreso l’aiuto militare. Sul piano difensivo, oggi, mi sembra che la priorità degli amici dell’Armenia dovrebbe essere quella di rafforzare l’Armenia. Rafforzare l’Armenia prima di tutto a brevissimo termine significa darle la possibilità di difendersi militarmente. E poi, a lungo termine, rafforzare l’Armenia significa creare le condizioni per consentirle di essere più forte a livello energetico, a livello economico per ottenere la sovranità.
Per rispondere al problema di cui parlavamo prima quando abbiamo detto che “beh, non abbiamo nulla da guadagnare, tranne il nostro onore”, per aiutare l’Armenia. Se riusciamo a rafforzare economicamente l’Armenia, a stabilire grandi società internazionali in Armenia, sono convinto che l’interesse della comunità internazionale nel suo insieme per questo Paese sarà più importante.
E penso, bisogna dirlo con molta franchezza, abbiamo un limite che è legato alla logica di blocchi che prevalgono nelle relazioni internazionali. Le faccio un esempio un po’ più lontano da noi, ma che mostra chiaramente di cosa si tratta. Non sono molti gli Stati che vengono in appoggio all’Armenia, ce n’è uno: è l’India. Perché l’India sostiene l’Armenia? Perché l’India ha una situazione piuttosto complicata con uno dei suoi vicini, il Pakistan. E il Pakistan è in strettissimo rapporto con la Turchia, con l’Azerbajgian, al punto che il Pakistan non solo non riconosce l’Artsakh (quello ovviamente), ma non riconosce la Repubblica di Armenia. Quindi, ovviamente, l’India vede un certo interesse in termini di logica dei blocchi e relazioni internazionali per venire a sostegno dell’Armenia. Credo che questo sia parte di una chiave di lettura della situazione e uno degli elementi che pone maggiori difficoltà per riuscire a coinvolgere le forze democratiche in un approccio proattivo per rimuovere questo blocco e venire concretamente in aiuto dell’Armenia.

Vorrei rivolgere a lei come deputato una domanda relativa al suo lavoro. In che modo, quotidianamente, attraverso il suo mandato nell’Assemblea Nazionale, porta avanti la causa armena? Come mette in atto un processo che permetta, a livello politico francese, di sensibilizzare non solo i vostri colleghi (la classe politica francese è abbastanza unanime su quanto sta accadendo in Armenia e in Artsakh) ma nel vostro collegio elettorale che consenta concretamente i francesi a rendersi conto di ciò che sta accadendo?
Ho un distretto che è già abbastanza sensibile a questo problema poiché ho un comune chiamato Décines-Charpieu che molto rapidamente dopo il genocidio ha accolto rifugiati e sopravvissuti. Rappresentano il 1/3 della popolazione di questo comune. C’è una storia. A Décines è stato costruito il primo edificio non religioso della comunità armena in Francia. A Décines è stato costruito il primo monumento commemorativo in onore e memoria delle vittime del genocidio armeno. Poche persone, inoltre, non conoscono o non hanno un amico, un vicino, un compagno di classe, eccetera, che sia di origine armena, che sia Armeno a causa delle successive ondate migratorie. Ho la fortuna di avere un collegio elettorale molto sensibile a questo argomento. Quello che sto cercando di fare è collocare questo evento in un contesto internazionale più ampio che dovrebbe, a mio avviso, interessare e interessare i francesi di oggi.
Per molto tempo (diciamo dalla caduta del muro [di Berlino] e fino a pochi anni fa), abbiamo pensato che il liberalismo avesse sostituito la storia e che la questione della rinascita degli imperi e della guerra fosse una cosa del passato. All’epoca si riteneva che tutti gli Stati avessero interesse a preservare e mantenere la pace, perché questa era la condizione sine qua non di un sistema che funzionasse bene sul piano economico. Abbiamo visto che ovviamente non è così semplice.
La proliferazione e il rafforzamento dei regimi dittatoriali e delle democrazie è all’opera. Ne parlavamo in particolare della Turchia, e così via, e alla fine ci siamo resi conto che ci sono realtà che si impongono e che ci sono Stati democratici e altri no. Un regime che prima o poi diventa dittatoriale entrerà in una logica imperialista perché, per durare, un potere dittatoriale deve colpire l’esterno. Questo è ciò che sta accadendo con la Russia, questo è ciò che sta accadendo con la Turchia.
È così che cerco di affrontare la questione, che se non siamo in grado di mostrare solidarietà tra regimi democratici, allora credo che noi stessi saremo minacciati a un certo punto.
La logica che dobbiamo avere è una logica geografica, ma è anche una logica di valore. Perché le democrazie sono in ritirata e ad un certo punto rischiamo di ritrovarci completamente soli. Questo è ciò che ci sta accadendo alla fine, quando guardiamo alla guerra in Ucraina. L’Europa e gli Stati Uniti, alla fine, sono molto soli. Perché in altri paesi meno democratici si preoccupano meno delle libertà individuali e delle libertà collettive delle persone. Beh, a loro non importa molto se uno stato invade un altro stato. Credo che sia necessario riattivare una logica di solidarietà tra democrazie che, a mio avviso, dovrebbe prevalere su tutto il resto.
Prima parlavamo della logica dei blocchi. È certo che oggi, se guardiamo in modo molto neutrale e freddo alla situazione dell’Armenia e al suo rapporto con l’Azerbajgian e la Turchia, possiamo vedere che l’Europa e gli Stati Uniti, che sono in un’alleanza militare con la Turchia all’interno della NATO; che sono in un’alleanza, nel caso dell’Europa, a livello energetico con l’Azerbajgian, si oppongono a questa alleanza intorno alla Russia. Ma sono profondamente convinto che questa sia solo una scelta di default. Una scelta che non è una scelta. L’Armenia non ha la possibilità di scegliere la propria alleanza perché dall’altra parte ci sono Stati che vogliono la scomparsa dell’Armenia e dell’Artsakh e delle persone che vi abitano. Finché restiamo chiusi in queste logiche di blocco, le modalità di sostegno dell’Unione Europea, della Francia, degli Stati Uniti saranno limitate e questo nonostante tutta la volontà che il Presidente Macron potrà avere di trovare soluzioni.
Il Consiglio di coordinamento delle associazioni armene di Francia ha incontrato non molto tempo fa il Presidente e lui stesso ha manifestato la sua determinazione a cercare di trovare una soluzione, in particolare per quanto riguarda il Corridoio di Lachin e il blocco dell’Artsakh. Siamo su un territorio dove ci sono soldati russi. Un’operazione fisica su questo territorio, da parte di un esercito europeo o francese, pone interrogativi e richiede prudenza e vigilanza, tanto che oggi, alla luce dell’intero contesto internazionale, questa opzione sembra molto complicata da attuare. Sì, ci sono molte, molte cose che si sovrappongono, motivo per cui la mia risposta è un po’ complicata.

In chiusura, volevo solo lasciare la parola a lei, se vuole dire qualcosa in particolare o se ha un messaggio da trasmettere.
Il messaggio che posso trasmettere è proprio quello che consiste nel dire che oggi, la cosa certamente più utile è sensibilizzare l’opinione pubblica nei regimi democratici su questa situazione. In particolare per quanto riguarda la dimensione profondamente genocida del blocco e della politica che è stata sviluppata globalmente da Turchia e Azerbajgian. Perché in realtà, come ha detto prima, questa politica di genocidio esiste da 150 anni. È profondamente nutrito tra le popolazioni turche e azere, a cui viene insegnato in tenera età che l’Armeno è una sotto-razza, che è peggio di un cane, che merita la morte. In Turchia c’è un insulto, che è abbastanza rivelatore, un insulto che è “sperma armeno”. C’è una dimensione razzista che è drammatica; si ritiene che biologicamente, geneticamente, queste persone non abbiano il diritto di vivere.
Questa politica genocida non si è mai fermata. Si esprime col rimbalzo quando se ne presenta l’occasione; quando le condizioni sono favorevoli. Oggi è chiaro che, alla luce degli accordi impliciti tra Russia e Azerbajgian sul gas, ci sono tutte le condizioni affinché nessuno si muova e tutti lascino bloccare, attaccare o aggredire gli Armeni, sia che si tratti di Russi o altri.
Questa politica di genocidio è ovviamente una minaccia per queste popolazioni in primo luogo, ma questi regimi dittatoriali sono anche minacce per le nostre democrazie. Sono anche minacce per gli Europei, per i Francesi e anche se sono sulla loro isola, per gli Americani.
Credo che se c’è una cosa che dobbiamo riuscire a fare, è far passare questo messaggio nel modo più globale, generale e collettivo possibile. La leva più efficace che abbiamo è certamente riuscire a coinvolgere l’opinione pubblica in queste democrazie e quindi far muovere i politici attraverso l’opinione pubblica. I politici hanno ovviamente un ruolo importante da svolgere; i media hanno un ruolo importante da svolgere; lei stessa ha un ruolo da svolgere e lo svolgi molto bene perché è molto mobilitato a diffondere messaggi inequivocabili su ciò che sta accadendo lì.
Ecco il mio messaggio: non tacciamo, non chiudiamo gli occhi, guardiamo in faccia la realtà di quello che sta accadendo laggiù, e prendiamola per quello che è e proviamo, attraverso l’opinione pubblica, a fare democrazie muoversi e siamo molto onesti anche per far muovere gli Stati Uniti. A livello internazionale, nessuno è uguale agli Stati Uniti, e il potere che ha e la sua forza trainante è essenziale.
Un altro messaggio in relazione a questo. Dicevamo prima della logica dei blocchi. Ciò pone delle difficoltà, ma può anche essere una reale opportunità per bloccare il processo in corso in modo molto pragmatico e di breve termine. Anche l’Europa e gli Stati Uniti hanno influenza su Turchia e Azerbajgian per dire basta.
Un ultimo elemento di cui volevo parlare prima sulle risposte perché è un punto fondamentale per capire fino in fondo cosa sta accadendo, soprattutto sul Corridoio di Lachin. È importante ricordare che l’accordo del 9 novembre 2020, che ha posto fine alla guerra dei 44 giorni, è un accordo trilaterale che coinvolge Armenia, Azerbajgian e Russia. La Russia è legalmente responsabile della sicurezza della popolazione armena dell’Artsakh e della loro libera circolazione. Dopo l’Azerbajgian, il secondo Stato, direttamente responsabile di quanto sta accadendo, è quello che si è assunto la responsabilità che ciò non accadesse: è la Russia. Infine, è quasi una doppia punizione per queste popolazioni perché la presenza della Russia costituisce un elemento di sbarramento per consentire l’intervento delle forze occidentali. La presenza della Russia chiaramente non è una garanzia dei diritti fondamentali e della libera circolazione delle popolazioni.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Brucia la bandiera dell’Azerbaigian, gli atleti lasciano l’Armenia (Euronews 15. 04. 23)

L’Azerbaigian si è ritirato dai Campionati europei di sollevamento pesi in programma a Yerevan, la capitale dell’Armenia.
A motivare l’abbandono della competizione l’episodio avvenuto nelle scorse ore: un uomo è salito sul palco della cerimonia di apertura del torneo, ha afferrato una bandiera dell’Azerbaigian e le ha dato fuoco.
Gli atleti azeri e i loro accompagnatori hanno lasciato l’Armenia.

I funzionari armeni hanno dichiarato che l’uomo che ha bruciato la bandiera era un dipendente della televisione pubblica armena, invitato alla cerimonia di apertura.

Dopo l’incidente è stato portato in una stazione di polizia ma è stato rilasciato senza accuse.

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Armenia. Un uomo dà fuoco alla bandiera dell’Azerbaigian durante la cerimonia di apertura dei Campionati europei di sollevamento pesi

124° giorno del #ArtsakhBlockade. Grazie alla primavera, la Montagna del Giardino Nero nutre gli Armeni sotto assedio (Korazym 14.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.04.2023 – Vik van Brantegem] – Giorno 124 del blocco azero dell’Artsakh, intrappolando 120.000 Armeni, per spingerli di andare via dalle loro terre ancestrali. Pulizia etnica strisciante.

L’Azerbajgian continua a negare di aver bloccato il Corridoio di Berdzor (Lachin), ma per qualche motivo misterioso, per i media e i troll azeri rimane un evento degno di nota ogni volta che gli “eco-attivisti” lasciano passare un convoglio del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

«La stagione in cui le montagne ci nutrono».

«Finalmente. La primavera è arrivata e gli Armeni nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh assediato potranno mangiare ortaggi e verdure. Grazie Madre Natura. Questo spiega anche perché, oltre al #ArtsakhBlockade, l’Azerbajgian spesso apre il fuoco contro gli abitanti dei villaggi che svolgono lavori agricoli» (Nara Matini).

«Il #ArtsakhBlockade ha i suoi vantaggi, per quanto strano possa sembrare. La gente iniziò a coltivare ogni centimetro di terra libera. La gente dell’Artsakh piace scherzare, anche nelle situazioni più difficili. “Piantare verdure è come un esercizio di fitness per noi”, dicono. Artsakh vive con la gente dell’Artsakh» (Front Artsakh).

«Un regime malato porta a un governo malato. Un governo malato crea una società malata. Una società malata vive in una realtà malata. Ci vorranno decenni, se non secoli, per spazzare via le conseguenze del regime di Aliyev in Azerbajgian» (Irina Safaryan).

Gli sforzi da parte armena verso la pace si stanno scontrando con la retorica aggressiva senza sosta e le continue aggressioni militari da parte azera

Oggi 14 aprile 2023, il Ministro degli Esteri della Repubblica di Armenia, Ararat Mirzoyan, ha partecipato alla riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri degli Stati membri della Comunità degli Stati Indipendenti, che si è tenuta nella città di Samarcanda, in Uzbekistan
Nel discorso della parte armena è stato osservato che l’incontro si svolge nell’anno del 30° anniversario della firma della Carta della CSI, ed è una buona occasione per riaffermare la lealtà degli Stati membri della CSI alle disposizioni fondamentali di quel documento chiave, in particolare per la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali in conformità con le norme e i principi del diritto internazionale, l’inviolabilità dei confini, il riconoscimento dei confini esistenti e il rifiuto delle aspirazioni territoriali illegali.
Nel contesto della situazione della sicurezza nel Caucaso meridionale, la parte armena ha sottolineato che gli sforzi della parte armena volti a stabilizzare la situazione e stabilire una pace a lungo termine si sta scontrando con la retorica aggressiva senza sosta e le continue aggressioni militari di Baku, tra quella che si è svolta l’11 aprile nel territorio della Repubblica di Armenia, nella parte del villaggio di Tegh nella regione di Syunik. È stato sottolineato che le azioni dell’Azerbajgian contraddicono le dichiarazioni rese a seguito degli incontri di Praga e Sochi.
Nel contesto del blocco illegale di quattro mesi del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian, è stato sottolineato che l’Armenia si aspetta passi attivi da tutte le parti coinvolte per l’attuazione degli obblighi assunti con la dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, così come l’ordine del 22 febbraio 2023 della Corte Internazionale di Giustizia di ripristinare la circolazione attraverso il Corridoio di Lachin.
Riferendosi alle violazioni delle altre disposizioni della dichiarazione tripartita, è stato sottolineato che, nonostante i numerosi appelli della comunità internazionale e di rispettabili organizzazioni per i diritti umani, l’Azerbaigian continua a detenere illegalmente in ostaggio prigionieri di guerra armeni e civili, conducendo processi farsa e sottoponendoli a trattamenti disumani.
Riassumendo, è stato osservato che, nonostante tutte le difficoltà, la parte armena è impegnata a rispettare gli impegni esistenti ed è pronta a compiere tutti gli sforzi per raggiungere la pace e la stabilità nella regione.

Il Ministro degli Esteri armeno ha presentato al collega russo i dettagli della provocazione di Baku nei pressi del villaggio di Tegh

A margine della riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri della Comunità degli Stati Indipendenti a Samarcanda, si è svolto un incontro tra il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, e il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. Hanno discusso di questioni relative alla sicurezza e alla stabilità regionali. Hanno avuto uno scambio di vedute sulla definizione delle relazioni tra Armenia e Azerbajgian, sui temi della demarcazione e della sicurezza dei confini, sullo sblocco di tutti i collegamenti economici e di trasporto nella regione e sul conflitto del Nagorno-Karabakh. Mirzoyan ha presentato i dettagli della provocazione delle forze armate azere l’11 aprile vicino al villaggio di Tegh nella regione di Syunik della Repubblica di Armenia, osservando che questa è stata un’altra manifestazione della politica aggressiva dell’Azerbajgian. È stata toccata la situazione che si è sviluppata in Nagorno-Karabakh a causa del blocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian, in corso da 4 mesi. È stata sottolineata la necessità di porre fine al blocco del Corridoio di Lachin in conformità agli obblighi assunti con la Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020. Nel corso dell’incontro i Ministri degli Esteri armeno e russo hanno toccato anche i temi dell’agenda bilaterale.

La Francia chiede il ritiro delle forze armate azere dai territori dell’Armenia che hanno occupato

Il Ministero degli Esteri francese ha rilasciato una dichiarazione sull’attacco azero dell’11 aprile alle truppe armene vicino al villaggio di Tegh in Armenia. Nella dichiarazione, il Ministero degli Esteri francese ha espresso profonda preoccupazione per ciò che ha descritto come “violenza vicino all’insediamento di Tegh nel territorio armeno al confine tra Armenia e Azerbajgian l’11 aprile”: «La Francia ricorda che la delimitazione deve avvenire esclusivamente attraverso negoziati e invita le parti a proseguire gli sforzi in questa direzione. Il rispetto per l’integrità territoriale dell’Armenia e il ritiro delle forze azere dalle posizioni occupate della parte armena della linea di contatto sono di notevole importanza per prevenire futuri incidenti e mantenere le basi per una pace sostenibile nella regione. La Francia sostiene pienamente le attività della missione di monitoraggio dell’Unione Europea schierata sul lato armeno del confine, che svolge un ruolo chiave nel ridurre la tensione. La Francia continuerà ad agire insieme all’Unione Europea a vantaggio dell’adesione al cessate il fuoco, del dialogo e della ripresa dei negoziati tra Armenia e Azerbajgian».

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha commentato l’attacco mortale delle forze armate azere dell’11 aprile contro le forze armate armene: «L’uso della forza è inaccettabile»

In risposta a una domanda del servizio armeno di Voice of America, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha affermato che l’uso della forza per risolvere le controversie è inaccettabile e interrompe il processo negoziale: «Siamo dispiaciuti per lo scontro mortale tra le forze armene e azere dell’11 aprile, che ha causato diverse vittime. Esprimiamo le nostre condoglianze alle famiglie delle persone uccise e ferite. Il conflitto non può avere una soluzione militare e l’uso della forza per risolvere le controversie è inaccettabile. L’unico modo per una pace sostenibile è attorno al tavolo dei negoziati, mentre l’uso della forza interrompe i negoziati».

Importante conferma che la Missione di monitoraggio dell’Unione Europa in Armenia (EUMA) comunica ad AZ dove sarà e quando. Quindi… qual è lo scopo della Missione? Se l’Azerbajgian sa dove si trova, che senso ha la Missione, dove sta monitorando certamente le forze armate azere non si muovono

«Nell’ufficio regionale di Yeghegnadzor, in mezzo ai distretti vinicoli armeni, incontriamo Markus Ritter, capo della Missione di monitoraggio dell’Unione Europea in Armenia (EUMA). L’intervista è stata condotta il 23 marzo. (…) Oggi ci sono 103 persone di stanza in Armenia, metà delle quali sono osservatori civili e il resto personale amministrativo. Il mandato è solo all’interno del territorio dell’Armenia, non dell’Azerbajgian. Nonostante ciò, la missione di monitoraggio deve relazionarsi con l’Azerbajgian nel proprio lavoro. “Pattugliamo lungo la zona di confine. Quando lo facciamo, informiamo Baku tramite il Rappresentante speciale dell’UE per la regione, Toivo Klaar, una settimana prima dei nostri piani. Questo per garantire che sappiano dove siamo e cosa stiamo facendo. Serve anche a prevenire malintesi e incidenti. È così che comunichiamo con l’Azerbajgian”, afferma Markus Ritter. Tuttavia, ricontrollando la storia con Toivo Klaar, le informazioni condivise con noi durante l’intervista con Ritter sembrano prive di sfumature fondamentali. (…) Toivo Klaar chiarisce inoltre che il programma settimanale viene inoltrato alla squadra azera uno o due giorni prima dell’inizio di ogni settimana, non un’intera settimana prima come si può interpretare la citazione di Markus Ritter» (Rasmus Canbäck – Blankspot, 13 aprile 2023 [QUI]).

Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh
Commento alla Visita della Delegazione delle Commissioni Nazionali TURKSOY per l’UNESCO nella Città occupata di Shushi – 13.04.2023

«Condanniamo fermamente la visita l’8 aprile della delegazione delle Commissioni nazionali per l’UNESCO degli Stati membri dell’Organizzazione internazionale della cultura turca nella città armena occupata di Shushi. È ovvio che questa visita illegale, così come lo svolgimento di altri eventi simili nella città armena occupata di Shushi, mirano a legittimare da parte dell’Azerbajgian e dei suoi alleati i risultati della guerra di aggressione scatenata da Baku nel 2020 e l’uso illegale della forza contro la Repubblica di Artsakh e il suo popolo. Sottolineiamo ancora una volta che la città di Shushi è parte integrante dell’Artsakh, sia negli aspetti territoriali, culturali, economici e storici.
La visita delle Commissioni Nazionali per l’UNESCO a Shushi appare ancora più blasfema e provocatoria sullo sfondo del blocco illegale dell’Artsakh che va avanti ormai da 4 mesi, così come della sistematica distruzione di monumenti religiosi, storici e culturali armeni e la falsificazione della loro identità nei territori che passarono sotto il controllo delle forze armate azere, compresa l’antica città armena di Shushi, e il persistente ostacolo da parte delle autorità azere all’invio di una missione di valutazione dell’UNESCO nel Nagorno-Karabakh per condurre un inventario e valutazione dello stato dei siti del patrimonio culturale.
Con tali azioni, le autorità azere cercano di ottenere dai rappresentanti dei singoli Stati e delle strutture internazionali la tacita approvazione dei loro piani criminali per effettuare la pulizia etnica volta a lasciare l’Artsakh senza Armeni e tracce della secolare presenza armena. L’abuso dei legami di parentela tra Paesi e popoli per falsificare la storia e promuovere le proprie narrazioni politiche è inaccettabile e non contribuisce a rafforzare la pace e la comprensione reciproca tra i popoli.
A questo proposito, ricordiamo ancora una volta che i continui atti di vandalismo e profanazione da parte dell’Azerbajgian contro le chiese armene e altri monumenti culturali e religiosi nell’Artsakh, inclusa la città armena occupata di Shushi, costituiscono gravi violazioni del diritto internazionale, così come l’Ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia del 7 dicembre 2021 sull’indicazione di misure provvisorie».

Mancanza d’acqua nel “bastione dell’ecologia”. Le cave di sabbia ostacolano l’agricoltura dell’Azerbajgian
Arevelkcenter.com. 14 aprile 2023

(Nostra traduzione italiana dal russo)

Sembra che per gli “ambientalisti” del Corridoio di Berdzor (Lachin), che da quottro mesi bloccano illegalmente la strada tra la Repubblica di Armenia e l’Artsakh, si stia cercando una sede di servizio più idonea, peraltro, sul territorio dell’Azerbajgian. Come scrive uno dei fiori all’occhiello della propaganda di Aliyev, “la situazione di crisi con l’acqua potabile e per l’irrigazione continua a peggiorare in Azerbajgian”. È vero, la propaganda collega questo con il riscaldamento globale e la distribuzione irregolare delle precipitazioni, in modo che le critiche allo Stato non si presentino. Per questo si potrebbe chiudere, non solo i media, ma anche la redazione.

La critica, tuttavia, è nascosta in questo “materiale”. L’origine è il lavoro in depositi e cave di sabbia e ghiaia, che “non si ferma un minuto, continuando a danneggiare i fiumi, aggravando un problema già grave”. In particolare, questo problema esiste nei villaggi di Gorkhmazob e Tangivan. Nel primo caso, il territorio in cui si trova la cava appartiene allo Stato e il comune non ha il diritto di controllarne l’attività. E lo Stato, rappresentato dal Ministero dell’Ecologia, ritiene che il lavoro della cava sia pienamente conforme agli standard legislativi e ambientali. Quanto a Tangivan, qui, due anni fa, i materiali, basati sugli appelli dei residenti e sulle indagini del Ministero dell’Ecologia, sono stati inviati alla Procura Generale. E il lavoro della cava, come si ricorda, “non si è fermato un minuto”.

È chiaro, ovviamente, che gli “ambientalisti” nel Corridoio di Berdzor (Lachin) non protesteranno contro le attività delle cave di Tangivan e, ancor di più, della cava di Gorkhmazob situata sul demanio. Per questo, anche l’Azerbajgian potrebbe essere chiuso. E non le cave.

Però, gli “ambientalisti” potrebbero almeno non aggravare la situazione dell’agricoltura nella regione del Terter, che dipende molto dalle acque del bacino idrico di Sarsang nell’Artsakh. E continuando il blocco dell’Artsakh, gli “ambientalisti” contribuiscono direttamente all’abbassamento del livello del bacino, perché a causa della loro ostruzione della fornitura di elettricità dall’Armenia, l’Artsakh deve aumentare lo sfruttamento delle acque del Sarsang per ottenere l’elettricità mancante.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Cava, la memoria del genocidio degli armeni (La Città di Salerno 13.04.23)

Oggi l’incontro per ricordare la strage perpetrata tra il 1915 e il 1919: ad Alessia c’era una comunità

Oggi alle 18,30, a Palazzo di città, si terrà un incontro organizzato dall’Associazione “Joined Cultures” per commemorare il genocidio perpetrato dai turchi nei confronti del popolo armeno, prima, durante e dopo la prima guerra mondiale. All’evento saranno presenti il sindaco Vincenzo Servalli, la responsabile del sodalizio organizzatore, Emilia di Mauro, e Robert Attarian ed Emanule Aliprandi della comunità armena di Roma. Le manifestazioni per ricordare quest’efferata strage di armeni continueranno anche nei prossimi giorni: domani alle 11,30, infatti, sarà inaugurata la mostra “Armeni in Italia. Un viaggio che passa che per Cava”, organizzata dalla biblioteca comunale “Canonico Aniello Avallone” e dal Comitato a difesa del luogo di cultura della città formatosi spontaneamente qualche mese fa. La rassegna ospitata nei locali della biblioteca sarà visitabile dalle 9 alle 13, dal lunedì al venerdì, e dalle 16 alle 18 nei giorni di martedì e giovedì e si concluderà il 28 aprile. Mira a far conoscere un importante manoscritto ed alcune rare edizioni armene (databili tra il XVII e il XVIII secolo), conservate nella Biblioteca comunale e ricordare, soprattutto, il genocidio del popolo armeno e le deportazioni e uccisioni perpetrate dall’Impero ottomano tra 1915 e 1919: causarono oltre un milione di morti.
Nella rassegna ,saranno esposte, oltre alle preziose edizioni, anche alcuni documenti dell’Archivio storico comunale, che ne attestano l’acquisto da parte del sindaco Giuseppe Trara Genoino il 15 maggio 1872, atti del catasto onciario del 1754 e altri di collezioni private. Lo scorso anno il Comune di Cava de’ Tirreni, con una delibera consiliare approvata il 21 aprile, aveva adottato una proposta con la quale ha riconosciuto il 24 aprile come “Giorno della Memoria del Genocidio degli Armeni”. La città, infatti, ha anche ospitato per secoli una comunità armena che si era stabilita nella frazione Alessia. L’iniziativa metelliana, ad ogni modo, rientra nella campagna nazionale “Il Maggio dei Libri 2023”, che invita a portare i libri e la lettura anche in contesti diversi da quelli tradizionali, per intercettare coloro che solitamente non leggono ma che possono essere incuriositi se vengono stimolati nel modo giusto. (fra.ro.)

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123° giorno del #ArtsakhBlockade. La comunità internazionale difenda gli Armeni con azioni risolutive per mettere fine ai crimini dell’autocrazia azera (Korazym 13.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 13.04.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi, il #ArtsakhBlockade è in essere da 4 mesi. Dalle ore 10.30 del 12 dicembre 2022, intorno alle ore 10:30 (ore 07.30 di Roma), un gruppo di Azeri in abiti civili, presentandosi come presunti “attivisti ambientalisti” ha bloccato all’altezza di Shush, città occupata dalle forze armate dell’Azerbajgian l’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert lungo il Corridoio di Lachin, l’unico collegamento dell’Artsakh con l’Armenia e il mondo.

Prima del blocco, una media di circa 2.450 persone transitava quotidianamente lungo il corridoio in entrambe le direzioni, il che significa che in condizioni normali durante 122 giorni ci sarebbero state 298.900 entrate e uscite dall’Artsakh. Tuttavia, durante i 4 mesi di blocco, solo 1.638 persone sono state trasferite da e verso l’Artsakh con l’aiuto del Comitato Internazionale della Croce Rossa e la Missione di mantenimento della pace russa. Ciò significa che durante i 122 giorni di blocco, il movimento delle persone è diminuito drasticamente, di 183 volte.

Inoltre, da quando l’ultima volta l’Azerbajgian ha interrotto la fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh è passato già un mese e la linea di alta tensione che porta dell’energia elettrica dall’Armenia all’Artsakh è interrotta dall’Azerbajgian già da 3 mesi.

«Perché difendere l’Armenia?
Perché è uno dei Paesi più belli del mondo con i suoi monasteri antichissimi arroccati nel cielo.
Perché hanno abitato la propria terra fin dalla notte dei tempi, molto prima che i Turchi Ottomani, venuti dall’Asia, invadessero e colonizzassero il loro territorio, all’alba del secondo millennio.
Perché questo piccolo popolo di 3 milioni ha come ricchezza solo alcune miniere d’oro, la sua storia, la sua fede, la sua cultura, la sua lingua, per noi troppo poco rispetto ai giacimenti di gas e di petrolio azeri e ai Tap.
Perché il suo grande crimine è di essere un Paese cristiano, il più antico Paese cristiano nella storia, in mezzo all’Islam.
Perché sono spesso raggiunti da quel destino a cui speravano di sfuggire: quello dei loro antenati vittime del primo genocidio moderno.
Perché Turchi, Azeri e l’Esercito islamico del Caucaso hanno commesso tali orrori contro il suo popolo che persino le sue mura hanno pianto sangue.
Perché di fronte a loro noi Europei, per citare un giornalista francese, “siamo indifferenti come le mucche che, parafrasando Paul Claudel, guardano passare i treni dove, nel vagone ristorante, i viaggiatori mangiano vitello tonnato”.
Perché la compassione, la chiamata al rispetto dei diritti umani, il dovere all’assistenza umanitaria, hanno le loro regole diplomatiche, economiche e morali che non prevedono Armeni, da cancellare dal “nuovo ordine mondiale”.
Perché mi ricordano quella frase di Chesterton, per il quale “il vero soldato combatte non perché odia ciò che ha davanti, ma perché ama ciò che ha dietro di sé”» (Giulio Meotti).

«Ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale» (Etty Hillesum).

Parti dell’Armenia e dell’Artsakh occupate dall’Azerbajgian negli ultimi due anni.

Il Presidente armeno, Vahagn Khachaturyan, su raccomandazione del Primo Ministro, Nikol Pashinyan, ha firmato mercoledì un decreto che revoca Arman Maralchyan dalla posizione di Comandante delle truppe di frontiera del Servizio di Sicurezza Nazionale.

«Il Presidente dell’Azerbajgian sta trasferendo artiglieria pesante Dana da 152 mm e lanciarazzi multipli Smerch da 300 mm nell’area di Lachin (Berdzor). Il dittatore Aliyev si sta preparando per una guerra più sanguinosa questa volta. Se la gente di entrambi i paesi non si alzeranno e fermeranno la guerra, questa guerra causerà la morte di migliaia di persone da entrambe le parti. Al terrorista Aliyev piace uccidere le persone. Popolo dell’Azerbajgian, o poveri, non mandare a morire i vostri poveri figli. Ayağa qalx Azərbaycan, Diktator Əliyev balalarınızı qıracaq [Alzati Azerbajgian, il dittatore Aliyev massacrerà i tuoi figli]» (Manaf Jalilzade).

«”Non andare papà”, “Voglio il mio papà”. Il bambino piange [sopra la bara con il suo corpo] per il suo padre. Ma suo padre, e di migliaia di bambini come lui, non torneranno. Perché il terrorista Aliyev ha ucciso migliaia di tali padri per il suo potere in Karabakh. Quei bambini non vedranno i loro padri, non giocheranno con i loro padri, e quando i padri di altri bambini verranno a scuola, questi bambini saranno umiliati. Faccio appello ai genitori dell’Azerbajgian e dell’Armenia: “Non sacrificate i vostri figli alle autorità, non permettete loro di acquistare armi”. Perché ci sono guerre nel mondo, perché le persone muoiono, perché i bambini senza padri, perché i padri senza figli? Non voglio la guerra, non voglio il regime di Aliyev» (Suleyman Suleymanli).

«Un soldato azero catturato oggi in Armenia ha girato un video in diretta vicino a Kapan, in cui dice che lui e il suo amico, catturato in precedenza, “sono penetrati nel territorio dell’Armenia”. Dice che non sono traditori dell’Azerbajgian, che hanno ucciso molti Armeni, tagliandoli la testa: “Abbiamo versato sangue armeno. Abbiamo decapitato Armeni. Non siamo traditori della madrepatria, non chiamateci traditori”. Secondo le prime informazioni sabato scorso ha ucciso una 57enne guardia giurata della Zangezur Copper-Molybdenum Combine» (Karabakh Records).

«Il secondo soldato dell’esercito azerbajgiano, Husein Akhliman oglu Akhundov, arrestato in Armenia. Prima di essere ritrovato dagli abitanti del villaggio, sulla sua pagina social in diretta aveva detto di essere orgoglioso di aver ucciso centinaia di Armeni: “Abbiamo versato sangue armeno. Abbiamo decapitato 4-5 centinaia di Armeni. Ora siamo vivi, non siamo morti. Anche se moriamo, lascia che ciò che facciamo sia apprezzato. Non siamo traditori della madrepatria”.
Husein Akhliman oglu Akhundov è stato ritrovato dopo 3 giorni di ricerche, a 3 chilometri dal villaggio Achanan della regione di Syunik. Il 10 aprile era stato ritrovato nella regione di Syunik un altro soldato delle forze armate dell’Azerbajgian, entrato in Armenia dal Nakhichevan.
Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian ha riferito che i due militari si sono persi a causa di condizioni meteorologiche sfavorevoli in direzione della regione di Shahbuz.
I soldati azeri arrestati in Armenia verranno scambiati con i prigionieri armeni detenuti illegalmente da anni nelle carceri di Baku?
Il 12 aprile, il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha annunciato all’Assemblea Nazionale che i soldati dell’esercito azero sono fuggiti dalle basi militari azere perché i loro commilitoni li hanno oppressi e sottoposti a umiliazioni. Pashinyan ha affermato che non è un dato di fatto che il primo soldato arrestato voglia tornare in Azerbajgian. L’Armenia non può restituire con la forza un militare in Azerbaigian.
È triste che anche durante la sua permanenza nel territorio dell’Armenia, il soldato azero non abbia nascosto il suo odio nei confronti degli Armeni. Era orgoglioso di aver ucciso centinaia di Armeni. Penso che i due prigionieri azeri saranno al sicuro in Armenia e la loro sicurezza sarà assicurata» (Robert Ananyan).

«Uno dei due Azeri che hanno attraversato il confine con l’Armenia tre giorni fa è stato trovato da tre abitanti del villaggio di Achanan, nella provincia di Syunik. Armenian News ha seguito l’incidente con uno di loro, Gor Ohanjanyan. Ha raccontato che il soldato azero è stato trovato in un’uniforme militare azera, in possesso di munizioni miste, maschere e il telefono di una vittima che è stata uccisa nel posto di guardia della Zangezur Copper-Molybdenum Combine. La gente del posto lo ha trattenuto fino all’arrivo della polizia. Il soldato era bagnato e sporco al momento della sua cattura. È stato trovato a tre chilometri dal villaggio di Achanan.
“Abbiamo versato il sangue degli armeni. Abbiamo decapitato gli armeni. E ora siamo ancora vivi, non morti. Anche se moriamo, facciamoci apprezzare. Non siamo traditori della Patria”, dice il soldato azero detenuto in un video che ha registrato sul suo telefono prima dell’arresto.
Secondo la dichiarazione del Ministero della Difesa armeno, lunedì tra l’una e le due del mattino, un militare delle forze armate dell’Azerbajgian è stato trovato e detenuto nel territorio dell’Armenia. C’era un altro soldato con lui e la ricerca di lui è continuata per tre giorni. Il 13 aprile il Ministero della Difesa armeno ha riferito che anche il secondo militare azero è stato preso in custodia dalle autorità armene.
I due Azeri sarebbero stati avvistati per la prima volta a Bnunis, un altro villaggio situato a pochi chilometri da Ashotavan. Il primo militare azero è stato detenuto ad Ashotavan. I residenti locali hanno affermato che questi azeri hanno bussato a lungo alla porta della casa di un residente locale, che aveva aperto la porta, visto soldati mascherati, chiuso la porta e chiamato la polizia. I villaggi di Bnunis e Ashotavan distano circa 20 km dalle posizioni azere» (301.arm).

Gli “eco-attivisti” dell’Azerbajgian su un autobus charter diretto a Shushi a bloccare il Corridoio di Lachin cantano Can Gedirik Almağa. I testi includono: “Che quelle montagne vedano di nuovo i Lupi Grigi; lascia la terra di Oghuz [turchi] e scappa”.

In sovraimpressione: «Fagli vedere il lupo grigio della notte!»

Un altro autobus charter con “eco-attivisti” dell’Azerbajgian diretto a bloccare il Corridoio di Lachin che cantano questa particolare canzone nazionalista turco-azero. Deve essere una specie di una tradizione. Una eco-tradizione. Poi un eco-attivista fa l’immancabile segno sei Lupi Grigi.

«Il rumore sordo della testa mozzata di un Armeno. Zelensky chiede di non essere indifferente sulle decapitazioni di soldati ucraini. Nulla si dice invece delle decine di Armeni, molti civili, decapitati negli ultimi due anni dai nostri “partner” Turchi e Azeri. Teste brandite come nell’Inferno dantesco “a guisa di lanterna” in una guerra combattuta per la terra ancestrale del più antico popolo cristiano del mondo e dove si muore quasi ogni giorno (ieri sette morti al confine armeno). L’Armenia sta per scomparire. Già la sua parte orientale gli è stata tolta. Nessuno ha ripreso le loro storie e i video di queste decapitazioni, tutte disponibili eppure tutte ignorate da giornali e tg (li pubblico io, ma non sono per stomaci sensibili). Gli anziani che rantolano mentre il coltello li decolla; la donna disabile a cui tagliano piedi, mani e orecchie; la soldatessa decapitata, le pietre messe al posto degli occhi, le dita tagliate e infilate in bocca; il marito a cui hanno strappato la pelle dove aveva i tatuaggi… “Siamo come pecore rinchiuse in gabbia circondate da lupi dai denti lunghi”, ha detto il Primate della Chiesa Apostolica Armena, Vrtanès Aprahamian. “I lupi stanno solo aspettando un’opportunità per aprire il cancello e fare a pezzi la loro preda”. Ma gli Armeni non soddisfano i criteri per l’adesione alla pietà woke globale: non sono multiculturali, non sono fluidi e non si accontentano di assistere alla propria eutanasia storica.
Anush Apetyan è stata decapitata, al posto degli occhi ci hanno messo le pietre, le hanno tagliato le dita e gliele hanno infilate in bocca. Solo perché armena. Da uno Stato, l’Azerbajgian, “partner Nato”, spalleggiato dalla Turchia, secondo esercito NATO. Non si sono sentiti comunicati indignati. Un piccolo Paese di 3 milioni di anime cristiane senza sbocco sul mare nel sud del Caucaso e senza idrocarburi, soggetto ai desideri di conquista dei suoi due vicini, due regimi autoritari islamici. Un doppio pericolo per quest’isola di democrazia. Da una parte l’Azerbajgian, guidato da Ilham Aliyev, a capo di una petromonarchia strategica per la UE, che non nasconde più le ambizioni di spazzare via la millenaria Armenia, la nazione cristiana più antica, e di invadere anche Yerevan, che chiama “la parte occidentale” del suo Paese, che esiste solo dal 1918 per volere di Stalin. Dall’altra parte la Turchia di Erdogan, che per creare uno spazio pan-turco che si estenda dallo stretto del Bosforo alle montagne del Kirghizistan deve eliminare l’Armenia. Siamo a un nuovo capitolo di quella che il console tedesco Kuckhoff il 4 luglio 1915 sul genocidio di 1,5 milioni di Armeni definí “la distruzione e l’islamizzazione di un intero popolo”» (Giulio Meotti, 12 aprile 2023).

Josep Borrell Fontelles, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza e Vicepresidente dell’Unione Europea, ha scritto in un post su Twitter che è «profondamente sconvolto dal brutale video della decapitazione di un prigioniero di guerra ucraino. È una spregevole violazione delle Convenzioni di Ginevra. Tutti gli autori ei complici di crimini di guerra devono essere chiamati a rendere conto». In effetti, siamo profondamente sconvolti dalla decapitazione di 19 civili innocenti da parte delle forze militari dell’Azerbajgian durante la guerra in Artsakh del 2016 e del 2020, innescata dall’autocrazia dell’Azerbajgian con l’aiuto dei combattenti dell’ISIS e del sostegno militare di Turchia e Israel. Ma non abbiamo mai letto un post su Twitter di Josep Borrell al riguardo. L’Unione Europea ha abbandonato la sua dipendenza dal gas russo durante l’invasione e l’occupazione dell’Ucraina, solo per mettersi alla canna del gas azero (che è in parte gas russo riciclato da Aliyev) durante l’invasione e l’occupazione dell’Armenia.

Dichiarazione sulla inadempienza dell’Azerbaigian in riferimento l’ordine del 22 febbraio della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite di sbloccare il Corridoio di Lachin

L’Istituto Lemkin per la prevenzione del genocidio è indignato per il palese disprezzo dell’Azerbajgian per la decisione vincolante della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sulle misure provvisorie emessa il 22 febbraio 2023, che ordinava all’Azerbajgian di garantire la libera circolazione di merci e persone attraverso il Corridoio di Lachin. L’Azerbajgian non ha ottemperato a questo ordine nonostante abbia accettato la giurisdizione dell’ICJ nel caso del 2021 sull’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (Armenia contro Azerbajgian) ed è stato parte di la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale dal 1996.

L’Istituto Lemkin è ugualmente preoccupato per la mancanza di sostegno da parte della comunità internazionale nel far rispettare le decisioni dell’ICJ con meccanismi di attuazione. La natura volontaria del diritto internazionale lo rende inetto quando uno Stato decide di non attuare le decisioni dei tribunali internazionali. L’Istituto Lemkin sostiene con forza mezzi più potenti per attuare tali decisioni e ritiene che sia nell’interesse di tutti gli Stati farlo.

Il 22 febbraio, l’ICJ ha emesso una decisione in cui si afferma che l’Azerbajgian deve “adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio di Lachin in entrambe le direzioni”. La decisione del 22 febbraio arriva dopo che l’ICJ ha emesso misure provvisorie in quello stesso caso, il 7 dicembre 2021, ordinando all’Azerbajgian di “proteggere dalla violenza e dai danni fisici tutte le persone catturate in relazione al conflitto del 2020 che rimangono in detenzione e garantire la loro sicurezza e l’uguaglianza davanti alla legge; adottare tutte le misure necessarie per prevenire l’incitamento e la promozione dell’odio razziale e della discriminazione, anche da parte dei suoi funzionari e istituzioni pubbliche, nei confronti di persone di origine nazionale o etnica armena.

Diverse settimane dopo, l’Azerbajgian non solo non ha ancora rispettato l’ordine del 22 febbraio 2023, ma ha anche avviato nuove azioni militari oltre a continuare a violare gli ordini emessi dal dicembre 2021 fino ad oggi. L’Istituto Lemkin ribadisce che le decisioni dell’ICJ sono vincolanti per le parti in un determinato caso, il che significa che qualsiasi ordine emesso dall’ICJ nel caso Armenia contro Azerbajgian è vincolante per entrambe le parti. Ciò significa che sia l’Azerbajgian che l’Armenia devono rispettare gli ordini della Corte Internazionale di Giustizia alla luce dei trattati e degli accordi che entrambe le parti hanno concordato ai sensi del diritto internazionale. Pertanto, il mancato rispetto da parte dell’Azerbajgian delle misure provvisorie della ICJ è una palese violazione del diritto internazionale e una flagrante inadempienza degli obblighi internazionali dell’Azerbajgian.

Ci sono stati pochissimi sforzi compiuti dalla comunità internazionale per costringere l’Azerbajgian a revocare il blocco nel mese successivo all’ordine della Corte Internazionale di Giustizia. La dichiarazione di più alto profilo fatta è stata quella di Anders Fogh Rasmussen, l’ex Segretario Generale della NATO, che ha espresso il suo sgomento per il blocco in corso e ha avvertito di una “catastrofe umanitaria”, ma non ha offerto molto altro. Anche la missione internazionale dell’Unione Europea incaricata di monitorare il Corridoio di Lachin, oggetto di proteste da parte dell’Azerbajgian, si è dimostrata finora incapace di cambiare efficacemente la situazione, avendo finora rilasciato solo dichiarazioni secondo cui riferirà i risultati a Brussel. L’inviato dell’Unione Europea nel Caucaso meridionale, Toivo Klaar, continua il suo vergognoso tentativo di giocare su entrambi i lati della questione.

Ricordiamo che il blocco è iniziato il 12 dicembre 2022, quando i civili azeri che si dichiaravano ambientalisti hanno eretto delle barricate per protestare contro le “attività minerarie illegali” e l’uso del corridoio per il trasporto di armi. In realtà, alcuni dei bloccanti hanno legami con il governo azero e il blocco ha più scopi politici che legittimi interessi ambientali. Queste barricate sono anche una chiara violazione del Trattato di pace trilaterale firmato il 9 novembre 2020 da Armenia, Azerbajgian e Russia, che include disposizioni che prevedono la libera circolazione lungo il Corridoio di Lachin.

I nostri lettori ricorderanno la dichiarazione del 12 febbraio dell’Istituto Lemkin che esprimeva indignazione per i tiepidi sforzi e il continuo silenzio compiuti dalla comunità internazionale per costringere l’Azerbajgian a cambiare le sue azioni. L’Istituto Lemkin ribadisce ancora una volta il suo appello alla comunità internazionale affinché agisca e faccia pressione sull’Azerbajgian affinché revochi immediatamente il blocco, promulghi sanzioni per gli atti criminali del regime di Aliyev e promuova un ambiente pacifico favorevole a una soluzione diplomatica che protegga adeguatamente i diritti degli Armeni autoctoni in Artsakh.

L’Istituto Lemkin vorrebbe portare all’attenzione dei responsabili politici internazionali le implicazioni che il mancato rispetto da parte dell’Azerbajgian di un tribunale internazionale comporta per i casi futuri. Qualsiasi Stato che non si conformi alle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia e alla decisione di qualsiasi altra corte o organo internazionale a cui i Paesi hanno sottoposto i loro conflitti, mina e sconfigge gli scopi e i principi fondamentali della comunità internazionale. Se l’Azerbajgian riesce a farla franca non ottemperando agli ordini della Corte Internazionale di Giustizia, ciò costituisce un terribile precedente e rende inutili gli organi internazionali nei procedimenti futuri. Inoltre, ignorare le violazioni dell’Azerbajgian invita solo a più violenza. La comunità internazionale rischia di distruggere la fiducia nelle istituzioni internazionali se continua a chiudere un occhio sull’inadempienza dell’Azerbajgian.

L’Istituto Lemkin chiede che venga intrapresa un’azione significativa per portare l’Azerbajgian in conformità sia con le misure provvisorie del 21 dicembre 2021, sia con l’ordine della Corte Internazionale di Giustizia del 22 febbraio 2023 di revocare il blocco del Corridoio di Lachin, affinché l’Azerbajgian sia sanzionato una volta per tutte per le sue azioni criminali e che la comunità internazionale dimostri rispetto per i principi che ha adottato per porre fine ai crimini atroci e alle guerre senza fine in tutto il mondo.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Gerusalemme, Fuoco sacro: Chiese contro Israele per le ‘irragionevoli’ restrizioni al rito (Asianews 13.04.23)

Gerusalemme (AsiaNews) – In Terra Santa monta la protesta dei leader cristiani per le crescenti restrizioni imposte da Israele alle celebrazioni della Pasqua ortodossa, in calendario il 16 aprile. Dopo la cancellazione dei permessi di viaggio per la comunità di Gaza, a poche ore di distanza è arrivato anche il provvedimento che limita gli accessi ai luoghi di culto nella città santa, in particolare il Santo Sepolcro in occasione del tradizionale rito del Fuoco sacro. L’ultimo appello, in ordine di tempo, è del Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc), che segue quello del Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, della Custodia di Terra Santa e del Patriarcato armeno che avevano già espresso “grave preoccupazione” per la libertà religiosa.

La cerimonia pasquale del fuoco, sottolinea in una nota il reverendo Jerry Pillay, segretario generale Wcc, è “una delle più importanti” per la Chiesa ortodossa, ma ha un grande valore per “l’intera comunità cristiana di Terra Santa e per i pellegrini presenti da tutto il mondo”. Le restrizioni, prosegue, prevedono “un limite di 2mila fedeli” che potranno accedere al luogo di culto, con un drastico ridimensionamento rispetto ai 10mila dello scorso anno e dei precedenti, a eccezione di quelli in cui erano in vigore le norme anti-Covid. Il leader cristiano denuncia inoltre “la presenza di 200 poliziotti all’interno della chiesa” e i rigidi “controlli per la sicurezza in tutta la città vecchia” di Gerusalemme che, di fatto, “impediscono l’accesso e la partecipazione alla processione”.

Fedeli e vertici delle Chiese di Terra Santa considerano tanto “inutili”, quanto “dannose” le restrizioni imposte dal governo israeliano e che si sommano alle tensioni in atto da tempo nell’area, unite agli attacchi dell’ultimo periodo contro edifici e luoghi simbolo cristiani. Negli ultimi anni, conclude il rev. Pillay, i leader cristiani hanno diffuso “numerose dichiarazioni congiunte” in cui denunciano la “crescente minaccia” costituita da “estremisti e radicali” che proliferano all’interno “della società israeliana”. Da qui l’appello alle massime istituzioni dello Stato ebraico, perché ritirino le “pesanti restrizioni” che “mettono in pericolo la libertà del culto”.

In precedenza era intervenuto anche il Comitato che unisce armeni, greco-ortodossi e la Custodia, con una nota in cui si denunciava l’impossibilità di coordinamento con le autorità israeliane che stanno imponendo “restrizioni irragionevoli e senza precedenti” all’accesso ai luoghi di culto. La polizia, prosegue il testo, “sta ingiustamente e in modo inappropriato” imponendo alle Chiese “l’onere” di emettere inviti oltre a imporre “ostacoli” che “impediranno ai fedeli di partecipare”, soprattutto “i membri della nostra comunità”. In conclusione i leader cristiani di Gerusalemme rinnovano l’impegno al rispetto dello status quo e assicurano che le celebrazioni saranno effettuate “come avviene da 2mila anni” senza restrizioni e “chi vuole è libero di venire e partecipare”, mentre le autorità “agiscano come meglio credono. Le Chiese intendono essere libere di celebrare e vogliono continuare a farlo in pace”.

Per giustificare blocchi e restrizioni la polizia ricorda quanto avvenuto nel 2021 al Monte Meron, in occasione del primo raduno religioso post-Covid, quando in occasione di un pellegrinaggio ebraico sono morte nella calca 45 persone. Tuttavia, i leader cristiani ricordano come non siano mai avvenuti incidenti in occasione delle funzioni religiose, anche le più importanti e partecipate, mentre imporre limiti e accessi è solo una violazione alla libertà religiosa frutto di una crescente estremizzazione della leadership politica – e di parte della società – israeliana.

Concetti espressi anche dal patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa che, in un’intervista ad AsiaNews nei giorni precedenti la Pasqua, si era detto “contrario all’idea stessa che ci debbano essere dei permessi per andare nei luoghi di culto”. “Restrizioni e problemi”, aveva aggiunto, sono parte di un “quadro politico” che ha registrato un ulteriore inasprimento col “nuovo governo di estrema destra religiosa. Sono tutti aspetti che fanno parte di un unico contesto”.

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Cresce la tensione tra Iran e Azerbaijan (Contropiano 13.04.23)

Venerdì un uomo armato ha ucciso una guardia di sicurezza e ferito altre due persone presso l’ambasciata dell’Azerbaigian in Iran , in un attacco che Baku ha bollato come “atto di terrorismo”. Il ministero degli Esteri azero ha affermato che l’attacco è stato il risultato del fatto che Teheran ha ignorato le preoccupazioni e le richieste di migliori misure di sicurezza presso l’ambasciata.

“Purtroppo, l’ultimo sanguinoso atto terroristico dimostra le gravi conseguenze della mancata attenzione necessaria ai nostri continui appelli in tal senso”, ha affermato Baku. Il portavoce del ministero degli Esteri azero Aykhan Hajizada ha detto che il personale dell’ambasciata “viene evacuato dall’Iran. Tutte le responsabilità dell’attacco sono dell’Iran”, ha detto Hajizada, aggiungendo che una recente campagna contro l’Azerbaigian sui media iraniani ha “incoraggiato l’attacco”.

Baku ha anche convocato l’ambasciatore iraniano in Azerbaigian.

Il capo della polizia di Teheran, il generale Hossein Rahimi, ha replicato che l’aggressore è stato arrestato ed è stata avviata un’indagine secondo cui l’attentatore era motivato da “problemi personali” ed era sposato con una donna azera.

Le autorità iraniane hanno condannato l’incidente, ma hanno minimizzato i discorsi su qualsiasi motivo politico per l’attacco.

Occorre rammentare che in Iran vivono  milioni di azeri di etnia turca e da tempo Teheran accusa Baku di fomentare sentimenti separatisti nel suo territorio. L’attacco è avvenuto in un clima di crescenti tensioni tra l’Azerbaigian e l’Iran, dopo che Baku ha nominato questo mese il suo primo ambasciatore in Israele.

Nella prima intervista rilasciata dopo il suo arrivo a Tel Aviv, l’ambasciatore azero Mammadov ha smentito le notizie dei media stranieri riportate da Haaretz, secondo cui l’Azerbaijan avrebbe preparato un campo d’aviazione destinato ad assistere Israele nel caso in cui decidesse di attaccare i siti nucleari iraniani, o avrebbe permesso al Mossad di aprire una filiale in Azerbaijan per monitorare ciò che accade in Iran.

Teheran teme invece che il territorio azero possa essere utilizzato per una possibile offensiva contro l’Iran da parte di Israele, uno dei principali fornitori di armi di Baku. In passato alcune delle operazioni di intelligence israeliana – attacchi informatici soprattutto – contro gli impianti nucleari iraniani sarebbero partiti proprio dall’Azerbaijan.

Il giornale israeliano Haaretz, riferiva ampiamente sui quasi 100 voli cargo della Silk Way Airlines dell’Azerbaijan che, negli ultimi sette anni, erano atterrati alla base aerea di Ovda, l’unico aeroporto in Israele attraverso il quale è possibile far entrare e uscire esplosivi dal Paese. Il rapporto affermava che Israele aveva fornito al suo alleato musulmano armi, comprese armi più potenti durante i periodi di conflitto tra Azerbaijan e Armenia, in cambio dell’accesso all’Iran.

Ad aumentare la tensione c’è stato poi l’attentato del mese scorso contro Jan Fazil Mustafa, un deputato azero critico nei confronti dell’influenza iraniana. L’Azerbaigian ha anche recentemente arrestato otto persone con l’accusa di spionaggio per conto di Teheran.

La guerra nel Nagorno-Karabakh e il conflitto tra Armenia e Azerbaijan riaccesosi nel 2020, hanno cambiato lo scenario ai confini settentrionali dell’Iran. Per tre decenni il territorio montuoso era stato nelle mani degli armeni, prima che fosse conquistato dall’Azerbaigian usando armi avanzate turche e israeliane . Il confine tra gli armeni del Karabakh e l’Iran, si è accorciato di 132 km a causa della disfatta armena nella guerra del 2020.

Un esempio di queste tensioni sono gli avvertimenti emessi dall’esercito iraniano sull’interruzione delle rotte di transito per le merci iraniane verso la Russia e sui potenziali cambiamenti di confine tra Iran e Armenia con l’apertura della rotta di transito del Corridoio Zangezur.

L’Azerbaijan, dal 12 settembre 2022, ha iniziato a far pagare dei dazi ai camion iraniani diretti nell’Armenia meridionale ma che attraversano alcune sezioni del territorio, internazionalmente riconosciuto come azero, ma di fatto controllato dalle forze armene sin dalla prima guerra tra i due Paesi avvenuta negli anni ’90.

Il previsto corridoio che collega l’Azerbaigian e la sua exclave di Nakhchivan alla Russia e alla Turchia senza posti di blocco armeni, è progettato per facilitare la connettività tra Asia, Europa e Medio Oriente. La rotta di transito del Corridoio di Zangezur è progettata anche per collegare Turchia, Azerbaigian e Asia centrale, una regione che Ankara e Baku descrivono come il “mondo turco” e che da tempo manifestano ambizioni alla sua riunificazione.

L’esercito iraniano  e le forze del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) hanno quindi aumentato la loro presenza militare ai confini nord-occidentali del paese mentre aumentano le tensioni tra l’Azerbaigian e l’Armenia.

Il 23 marzo, i media locali  hanno pubblicato  un video non confermato di aerei iraniani da combattimento che manovravano nel cielo, affermando che i caccia iraniani F4 e F14 volavano vicino al confine con l’Azerbaigian per dissuadere Baku  da qualsiasi nuova operazione militare nella provincia separatista del Nagorno-Karabakh, una regione popolata principalmente da armeni ma rivendicata dall’Azerbaigian.

Si delinea dunque un nuovo possibile focolaio di crisi nel cuore dell’Asia centrale che, oltre Iran, Azerbaijan e Armenia, vede agire potenze regionali come Turchia e Israele in un gioco continuo di alleanze a geometria variabile.

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Lomazzo, incontro col console armeno Kuciukian (Ilsaronno 13.04.23)

LOMAZZO – Nei giorni scorsi alla sala consiliare del Municipio di Lomazzo, dove è allestita la mostra dedicata all’Armenia, è stata ospitato per un incontro pubblico Pietro Kuciukian. Figlio di un sopravvissuto al genocidio ameno, il console armeno in Italia – Kuciukian – ha coinvolti i presenti in un grande excursus storico, dall’Ottocento ad oggi, sulla situazione geopolitica dell’Asia centrale, un territorio al centro di drammi e di conflitti irrisolti che si intersecano con l’attualità. Dalle cause della tragedia del genocidio armeno, alla diaspora che ne è seguita, al complesso quadro geopolitico dove la giustizia tra i popoli è spesso calpestata da interessi economici.

Fino al 15 aprile rimane visitabile al palazzo del municipio la mostra dedicata all’arte armena, che presenta gli interventi di restauro curati da Paolo Arà Zarian e Christine Lamoureux in tre chiese particolarmente rappresentative dell’arte armena. La mostra è visibile con ingresso libero negli orari di apertura del municipio, dal lunedì al sabato dalle 9 alle 12 e nei pomeriggi di martedì e giovedì dalle 15 alle 17.30.

PROSEGUE L’ESCALATION NEL NAGORNO-KARABAKH (DifesaOnline 12.04.23)

(di Giorgio Armento)
12/04/23

Nel pomeriggio di ieri – 11 aprile – si è verificato uno scontro a fuoco tra l’esercito armeno e quello azero in una località di confine, con morti e feriti per ambo le parti. Si tratta, dopo settimane di violazioni, di un ulteriore passo verso la rottura della tregua che dal 2020 ha congelato il conflitto tra le due nazioni.

Gli scontri si sono verificati in prossimità del villaggio di Tegh, nella regione armena di Syunik, alle 16:00 ora locale, quando alcuni soldati armeni intenti in operazioni ingegneristiche sono entrati in contatto con una pattuglia azera. Ne è seguito uno scontro a fuoco durato alcune ore in cui hanno perso la vita, secondo fonti governative, 4 soldati armeni e 3 azeri. Tra i numerosi feriti vi sarebbe il comandante delle forze speciali armene Golayen.

Ad esacerbare la tensione avrebbe contribuito l’avvistamento di droni di sorveglianza iraniani sull’area degli scontri (il ministero della difesa armeno ha tuttavia dichiarato ufficialmente di non possedere droni iraniani, ndr). Sebbene in seguito all’episodio entrambi i paesi abbiano posto in stato massima allerta i contingenti schierati ai rispettivi confini, le ostilità sono rimaste limitate al villaggio di Tegh e sono completamente cessate in serata.

La responsabilità dell’incidente

Le autorità di entrambi i paesi si accusano reciprocamente di aver provocato l’incidente. Il Ministero della Difesa armeno, in una nota diffusa nel pomeriggio, afferma che si sia trattato di un attacco condotto da parte azera con mitragliatrici e colpi di mortaio contro una posizione in cui erano in corso opere del genio militare delle forze armate armene. Alcuni video pubblicati dai media in Armenia e rilanciati dallo stesso Ministero della Difesa poche ore dopo sembrano confermare tale versione.

Da parte sua il governo azero nega ogni responsabilità, bollando l’intero episodio come una ennesima provocazione armena alla quale le proprie forze armate hanno reagito adeguatamente. È rilevante a questo proposito osservare come, sebbene a pochi chilometri dal corridoio di Lachin, il teatro degli scontri si trovi in territorio armeno e non nella regione contesa.

Settimane di tensione

L’episodio è avvenuto dopo settimane di crescente tensione nel Nagorno-Karabakh. Yerevan ha denunciato numerose violazioni della tregua da parte azera negli ultimi mesi, molte delle quali confermate dalla Federazione Russa, che con un contingente schierato in Artsakh svolge il ruolo di garante della tregua secondo gli accordi trilaterali del 2020. Contestualmente le autorità dell’autoproclamata repubblica di Artsakh lamentano il perdurare del blocco del corridoio di Lachin, posto pretestuosamente dalle forze azere dal 12 dicembre dell’anno scorso.

Parallelamente dal mese di marzo si sono inaspriti i toni tra le autorità azere e quelle iraniane, con accuse da parte di Baku di attività terroristiche condotte dall’Iran e l’espulsione di personale diplomatico iraniano dal territorio azero. Per tutta risposta l’Iran ha schierato poche settimane fa un contingente al confine meridionale dell’Azerbaigian, che staziona in stato di allerta e conduce ricognizioni aeree sulla regione.

Considerata la somiglianza agli avvenimenti che riaccesero la miccia del conflitto nel 2020, in un clima di simile tensione è lecito temere che episodi come quello di ieri possano portare ad una rottura definitiva della tregua e ad un terzo capitolo della guerra tra Armenia e Azerbaigian. Tuttavia i rapporti di forza nella regione sono cambiati, e la disponibilità armena ad ingaggiare un conflitto armato è fortemente ridimensionata.

L’Armenia isolata

Se già dalla guerra del 2020, grazie al sostegno turco, i rapporti di forza nel Nagorno-Karabakh si erano rovesciati in favore di Baku, l’Azerbaigian sembra ad oggi intenzionato ad approfittare della condizione di isolamento in cui si trova l’Armenia in seguito al recente mutamento degli equilibri nel caucaso meridionale.

La Federazione Russa, storico sostenitore di Yerevan, in seguito alla guerra in Ucraina ha infatti riallacciato i rapporti con l’Azerbaigian, attraverso i cui gasdotti ha trovato una via per finanziarsi aggirando le sanzioni occidentali. Ancor più dell’interesse economico, nel disimpegno dal teatro caucasico per la Federazione Russa pesa il timore che un irrigidimento in difesa dell’Armenia possa innescare un coinvolgimento diretto russo in un conflitto ai propri confini meridionali, aprendo così un secondo fronte di guerra che difficilmente la Federazione può permettersi nelle circostanze attuali.

La scarsa disponibilità russa ad impegnarsi in sua difesa ha spinto nell’ultimo anno l’Armenia a disertare le esercitazioni con l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e intraprendere un dialogo con la Nato. Recentemente era stata annunciata l’adesione armena alla grande esercitazione Nato Defender 23, prevista per fine aprile. Tuttavia, senza che sia stata fornita una spiegazione da parte della Nato o delle autorità armene, poche ore prima degli scontri di ieri l’Armenia risultava depennata dalla lista di paesi partecipanti all’esercitazione.

Anche ammesso che i rapporti con la Nato proseguano e che l’intoppo sia stato momentaneo, ci vorrebbero comunque anni perché le forze armate armene siano di fatto integrabili nel trattato atlantico, considerata la completa dipendenza dalla Russia in termini di standard ed equipaggiamento che hanno avuto in questi anni, in continuità col periodo sovietico.

In una dichiarazione odierna la portavoce del Ministero degli Esteri Russo, Maria Zakharova, ha manifestato il disappunto della Federazione riguardo l’eventuale partecipazione armena ad esercitazioni nell’ambito Nato.

Nel limbo in cui sembra trovarsi l’Armenia, l’unica certezza pare la determinazione iraniana ad intervenire contro l’Azerbaijan in caso di escalation. Per la repubblica islamica, all’interesse di contenere la presenza turco-azera ai propri confini, si aggiunge la necessità mantenere aperta una via di comunicazione terrestre verso la Russia per aggirare l’accerchiamento occidentale.

A margine di tale contesto, vale la pena osservare come in Italia la storica sensibilità alla causa armena si sia affievolita di pari passo col crescere dell’importanza del gas azero nella strategia energetica nazionale. Il ministro Crosetto, in visita a Baku il 12 gennaio, ha annunciato collaborazioni militari con l’Azerbaijan, mentre proseguono le trattative con per un raddoppio della portata del gasdotto Tap entro il 2027.

Evidentemente gli sviluppi nel Caucaso meridionale rischiano di avere un impatto significativo ben al di là della dimensione regionale.

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Ancora scontri tra Armenia e Azerbaigian, UE: “Rispettare linea di confine del 1991”. (Sardegnagol 12.04.23)

Continuano gli scontri armati nel Caucaso. Ieri, come ricordato dal SEAE al confine tra l’Armenia e l’Azerbaigian, nella zona di Tegh, il conflitto tra i due Paesi ha provocato la morte e il ferimento di diversi militari armeni e azeri.

Incidente, hanno dichiarato dal Servizio europeo per l’azione esterna, che “sottolinea ancora una volta che in assenza di un confine delimitato, la linea del 1991 deve essere rispettata”.

Da rispettare, quindi, gli impegni assunti dalle due parti, compresi quelli raggiunti a Praga nell’ottobre 2022 in merito al riconoscimento reciproco dell’integrità territoriale in linea con la Dichiarazione di Almaty del 1991. “L’UE – si legge nella nota odierna del SEAE – sollecita inoltre l’intensificazione dei negoziati sulla delimitazione del confine e continua a tenersi pronta a sostenere questo processo, rinnovando i nostri appelli alla moderazione e alla risoluzione di tutte le controversie con mezzi pacifici”.

Sul contrasto nella zona, secondo le informazioni del Ministero della Difesa della Repubblica dell’Azerbaigian, l’11 aprile, unità delle forze armate dell’Armenia hanno sottoposto a fuoco intenso le posizioni opposte dell’esercito dell’Azerbaigian, di stanza nella direzione del distretto di Lachin. “Provocazioni – reca il comunicato dell’Ambasciata azera in Italia – che dimostrano che l’Armenia non è interessata al processo di pace”.

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