Le gaffe di Commissione e Parlamento Europeo mettono a rischio le forniture di gas e petrolio azero (Scenari Economici 11.04.23)

Il gas e il petrolio dell’Azerbaigian sono fondamentali per lo sforzo dell’UE di sostituire i combustibili fossili russi, ma queste speranze rischiano di schiantarsi contro l’ambizione delle autorità europee di diventare, in qualche modo, arbitre nel Caucaso.

L’UE ha inviato una missione civile per aiutare a sorvegliare il lato armeno del teso confine montuoso tra i due Paesi, fatto che ha notevolmente irritato l’Azerbaigian, che come noto ha un problema di confini con l’altra repubblica caucasica.  Allo stesso tempo, un rapporto del Parlamento europeo che condanna la situazione dell’Azerbaigian in materia di diritti umani ha scatenato l’indignazione di Baku. 

Tutto ciò getta un’ombra sull’accordo di alto profilo dell’UE con l’Azerbaigian per raddoppiare le sue forniture annuali di gas al blocco a 20 miliardi di metri cubi entro il 2027.

Parlando con POLITICO a condizione di anonimato, un alto funzionario del servizio diplomatico dell’UE ha lamentato il fatto che la missione di monitoraggio sembra aver inasprito le relazioni. “Speravamo in uno scenario diverso con Baku. Stiamo condividendo con l’Azerbaigian tutte le informazioni rilevanti sui pattugliamenti e così via, perché non vogliamo problemi“.

Con la Russia distratta dalla sua catastrofica guerra contro l’Ucraina, Bruxelles sperava di rafforzare la sua presenza nel Caucaso meridionale, costruendo legami economici con l’Azerbaigian e offrendo al contempo sostegno politico alla vicina Armenia, nel tentativo di mantenere un equilibrio tra i due Stati rivali. I diplomatici della UE speravano di tenere il piede in due scarpe, ma il gioco non ha funzionato. I 100 osservatori civili mandati da Bruxelles sono visti come un’interferenza inaccettabile da Baku.

In un discorso del mese scorso, il presidente azero Ilham Aliyev ha criticato le interferenze esterne nello stallo del suo Paese con l’Armenia sulla regione contesa del Nagorno-Karabakh. “I mediatori coinvolti nel conflitto del Karabakh [cercano] non di risolvere la questione ma di congelarla”, ha dichiarato, sostenendo che Baku rifiuta i tentativi di “stancarci con negoziati senza senso”.

Nel 2020, Aliyev ha lanciato con successo un’offensiva militare per riconquistare ampie zone del Nagorno-Karabakh, una regione separata all’interno dei confini riconosciuti a livello internazionale dell’Azerbaigian, ma controllata dalla caduta dell’URSS dalla popolazione di etnia armena. Il conflitto si è concluso con un cessate il fuoco mediato dalla Russia, ma le tensioni stanno aumentando e si teme un ritorno ai combattimenti veri e propri. “Molti armeni credono che ci sarà un’offensiva di primavera da parte dell’Azerbaigian”, ha dichiarato alla Deutsche Welle Markus Ritter, capo della missione dell’UE. “Se questo non accade, la nostra missione è già un successo”.

Giorni prima, i media statali del Paese hanno affermato che la missione dell’UE sta in realtà contribuendo a “provocare l’Azerbaigian in una nuova guerra”, lasciando che “l’UE si assuma la colpa” di un eventuale nuovo conflitto.

“L’Azerbaigian e la Russia dicono sostanzialmente la stessa cosa: che la missione dell’UE è un’operazione di spionaggio militare sotto la copertura del monitoraggio”, ha aggiunto il funzionario UE. “Hanno cercato di screditare la missione, che è esclusivamente civile e non armata, fin dall’inizio e non c’è molto che possiamo fare al riguardo”.

Vaqif Sadıqov, capo della missione dell’Azerbaigian presso l’UE, ha dichiarato a POLITICO che la presenza degli osservatori vicino al confine con l’Azerbaigian preoccupa Baku. “Si tratta di una questione bilaterale tra l’Armenia e l’UE, ma sta accadendo a poche centinaia di metri dai nostri posti di frontiera e in un ambiente pesantemente militarizzato dove abbiamo guardie di frontiera russe, guardie di frontiera armene, unità regolari russe, unità regolari armene e, più vicino al confine iraniano, i militari dell’Iran. Ora abbiamo anche le forze di pace dell’UE. Quindi abbiamo legittime questioni di sicurezza”, ha affermato. Sadıqov ha avvertito che la missione potrebbe essere vista come un tentativo di Bruxelles di rafforzare la propria presenza nella regione.

Quindi le iniziative della Commissione e del Parlamento rischiano di fr saltare i tentativi dei Paesi europei di fornirsi dall’Azerbaigian, sostituendo così parzialmente l’approvvigionamento energetico proveniente dalla Russia. Purtroppo il massimalismo di Bruxelles viene pagato, nei fatti, dai cittadini, il cui benessere non viene quasi mai considerato né dalla Commissione né dal Parlamento.

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I parenti dei militari armeni detenuti in Azerbaigian hanno bloccato l’autostrada Gyumri-Bavra (Avia 11.04.23)

I residenti dell’Armenia hanno bloccato la strada, chiedendo il rilascio dei loro parenti prigionieri.

I parenti dell’esercito armeno, catturati nel dicembre 2020 in Karabakh e attualmente detenuti in Azerbaigian, martedì hanno bloccato l’autostrada che porta al confine armeno-georgiano. Chiedono il rilascio dei loro cari. L’evento si è svolto nella regione di Shirak in Armenia.

“Parenti di coloro che sono stati catturati nelle posizioni di combattimento nel villaggio di Khtsaberd, nella regione di Hadrud, questa mattina hanno bloccato l’autostrada interstatale Gyumri-Bavra (un villaggio vicino al confine con la Georgia – ndr)”, – i giornali riportano.

Uno dei manifestanti ha affermato che la questione del rilascio dei militari detenuti non è stata risolta. Il rapporto rileva che 26 residenti della regione di Shirak sono in cattività in Azerbaigian.

Alla fine di settembre 2020 sono riprese le ostilità nel Nagorno-Karabakh, che hanno provocato vittime civili. Le parti fecero diversi tentativi per concludere una tregua, ma l’accordo tripartito raggiunto la notte del 10 novembre ebbe successo. Con la mediazione di Mosca, l’Azerbaigian e l’Armenia hanno concordato un cessate il fuoco completo, per lo scambio di prigionieri e corpi dei morti. Tuttavia, i parenti dei soldati detenuti affermano che la questione del rilascio dei loro cari non è stata ancora risolta. I territori occupati dall’esercito azero rimasero sotto il controllo di Baku.
Подробнее на: https://avia-pro.it/news/rodstvenniki-uderzhivaemyh-v-azerbaydzhane-armyanskih-voennyh-perekryli-trassu-gyumri-bavra

Il giro del mondo in… tante birre: Armenia (Giornaledellabirra 10.04.23)

La posizione strategica dell’Armenia è come un ponte che collega due mondi apparentemente distanti: Oriente ed Occidente. Un ponte non solo geografico, l’Armenia si trova, infatti, incastonata ai piedi del Caucaso tra Georgia, Azerbaigian, Turchia e Iran, ma soprattutto un ponte culturale. È una terra che fin dall’antichità ha dato vita a grandi civiltà, terra di conquiste e di ricchezze quasi leggendarie, l’incontro tra la religione ebraica e quella cristiana. Il simbolo dell’Armenia, infatti, è il Monte Ararat, anche se oggi appartiene alla Turchia, luogo sacro dove si è posata l’Arca di Noè al termine del diluvio universale.

Come avete già capito questo Paese è denso di storia: provincia dell’Impero Persiano, le sue vicende si sono intrecciate con l’Impero Romano e con l’Impero Bizantino, senza contare la fondazione del Regno Armeno di Cilicia (1078-1375). Ma il popolo armeno è stato vittima anche di un atroce genocidio compiuto dall’Impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale, in cui persero la vita circa un milione e mezzo di persone. L’Armenia è quindi un Paese sempre al centro della storia sia nel bene che, purtroppo, nel male. Un Paese che ha conosciuto vette impensabili ma anche abissi terrificanti, per questo mi piace pensare che sia un popolo sempre in “fermento” pronto a rialzarsi.

Chissà se in questo fermento la birra ci ha messo lo zampino! Scopriamolo insieme…

LA STORIA DELLA BIRRA IN ARMENIA

La birra in Armenia vanta un cronista d’eccezione, lo storico greco Senofonte. Nella sua opera “Anabasi di Ciro” (IV sec. a.C.), scrive: “C’erano barili pieni di grano e orzo, con i chicchi di quest’ultimo che galleggiavano in superficie. La gente afferrava i chicchi, se li metteva in bocca e si dissetava con i raccolti succosi. Quando i greci chiesero il nome del paese, gli fu risposto che si chiamava Armenia”.

Questa premessa farebbe pensare che la birra sia stata la bevanda distintiva del Paese e invece, negli anni, ha dovuto cedere il passo al vino, come in tanti altri paesi, incluso l’Italia.

Quel poco che si sa sulle tradizioni brassicole armene si sviluppa principalmente negli ultimi duecento anni e ricalca l’andamento della parabola del socialismo russo. Alla fine del XIX sec., nell’Impero Russo, i birrifici iniziavano ad essere un’attività molto redditizia ed anche in Armenia furono aperte le prime fabbriche di birra. Nel 1917 Lenin salì al potere e la maggior parte delle aziende fu nazionalizzata, anche quelle armene tra cui il birrificio più importante della capitale: Zanga Brewery. In questo periodo, l’alcol fu quasi messo al bando perché era diventato un vero problema sociale. L’alcolismo, diffuso tra i lavoratori delle fabbriche, incideva pesantemente sulla produttività.

Negli anni successivi la Seconda Guerra Mondiale, la produzione birraria, finalmente, riprese ma la proposta era monotematica, le uniche birre prodotte erano tutte Pilsner. Chi voleva bere qualcosa di diverso doveva rivolgersi al fiorente mercato nero che riusciva a scavalcare la “cortina di ferro”. La caduta del muro di Berlino e la riorganizzazione della vecchia Unione Sovietica non solo hanno modificato la geopolitica del mondo ma hanno dato addirittura un input insperato alla produzione armena. Due date sono da ricordare: il 2012 segna l’inizio di un vero e proprio cambiamento culturale con l’apertura di nuovi birrifici e taproom che diventano luoghi accessibili a tutti (donne e famiglie comprese). Mentre nel 2016 si assiste alla rivoluzione craft armena, brewpub e birrifici iniziano a differenziare la propria offerta utilizzando anche materie prime locali.

5 BIRRIFICI ARMENI E 5 CURIOSITA’

  1. Il birrificio più popolare dell’Armenia: KILIKIA BEER

 

 

(foto etichetta gentilmente concessa da Mario Bughetti)

Prima di diventare Kilikia Beer, il birrificio si chiamava “Yerevan Beer”. Venne fondato a Erevan, la capitale, nel 1952. Il marchio Kilikia Beer, invece, venne creato nel 1997, per celebrare il passato glorioso del Regno Armeno di Cilicia, da cui prende il nome. Negli anni Duemila “Kilikia” è stato il leader indiscusso del mercato armeno grazie anche ad una vasta gamma di bevande (acque minerali, succhi di frutta e limonate) e prodotti alimentari (composte, marmellate e foglie di vite). 12 le birre in linea, tra cui:

KILIKIA: lager chiara tradizionale dai sentori maltati di cereali bilanciati dall’amaro del luppolo. La birra quotidiana. Gradazione alcolica: 4,6%

DARK: birra che si ispira alle Dunkel tedesche, dal colore bruno. Gli aromi spaziano dal caramello, al biscotto fino ad arrivare alla liquirizia. L’amaro dato dai malti tostati chiude la bevuta. Gradazione alcolica: 4,4%

CELEBRATORY: birra ambrata tipo Vienna Lager. I sentori del malto prevalgono (crosta di pane e caramello) ma sono alleggeriti da una nota fruttata. Gradazione alcolica: 5,3%

  1. Il birrificio armeno con la sede più antica: GYUMRI BREWERY

(foto etichetta gentilmente concessa da Mario Bughetti)

Gyumri Brewery fu fondato nel 1970 con il nome di “Leninakan Brewery”, in onore dello statista russo Lenin e divenne ben presto il secondo produttore di birra del Paese. Ma è la sede attuale a destare molto interesse. L’edificio, infatti, risale al 1898 e all’epoca ospitava la storica fabbrica di birra “Alexandrapol”. Costruito in tufo nero, ha finiture di pregio eco di fasti lontani. È stato parzialmente distrutto durante il periodo sovietico e reso poi inagibile dal devastante terremoto del 1988. Oggi si possono visitare i locali moderni del birrificio e quelli più antichi del monumentale stabilimento.

GYUMRI GOLD: lager chiara di stampo tedesco. L’erbaceo del luppolo è equilibrato dalle note del malto che ricordano il pane bianco. Gradazione alcolica: 4,5%

GYUMRI EXTRA: una lager ambrata con le note maltate in primo piano. La birra più forte della gamma. Gradazione alcolica: 8%

ARARAT: lager chiara dedicata al simbolo dell’Armenia, il monte Ararat. Facile da bere e dal giusto tocco amaro. Gradazione alcolica: 4,5%

ALEKSANDRAPOL: lager chiara dedicata all’antico nome della città di Gyumry. Classici sentori di pane bianco dati dal malto e quelli erbacei derivanti dal luppolo. Emerge anche una lievissima nota agrumata. Gradazione alcolica: 4,5%

  1. Il primo birrificio artigianale in Armenia: DARGETT

 

(foto etichetta gentilmente concessa da Mario Bughetti)

Inaugurato come brewpub a Erevan nel 2016, vanta subito una collaborazione italiana d’eccezione: Canediguerra. Insieme hanno prodotto una Wheat Ale al melograno, uno dei frutti simbolo dell’Armenia, ottenendo una birra beverina con un piacevole tocco di acidità (gradazione alcolica 4,8). Dal 2019, invece, diventa un vero e proprio birrificio con annessa taproom. Affascinante la storia del nome e del logo che deriva dall’antica mappa del mondo di Babilonia (Imago Mundi). Questo reperto mostra l’incontro dei fiumi Tigri ed Eufrate, le sette città e le sette isole intorno a Babilonia. Conquistando le terre limitrofe, il controllo della città arrivò fino al mare che gli abitanti chiamarono “fiume”, assaggiarono le sue acque che avevano un gusto amaro e da qui il nome Dargett (in armeno Dar-fiume, Get-amaro).

OATMEAL STOUT: birra scura di ispirazione anglosassone con aggiunta di avena. Sentori di caramello, cioccolato e caffè. Gradazione alcolica: 5%

BELGIAN TRIPEL: Ale d’abbazia che presenta note speziate e fruttate supportate bene dal malto. Facile da bere nonostante il grado alcolico. Gradazione alcolica: 8%

APRICOT ALE: una fruit beer che prevede l’uso di frumento e dell’albicocca armena, uno dei simboli del Paese. Golosa come una fetta di torta. Gradazione alcolica: 6%

PALE ALE: birra chiara inglese rivisitata in chiave americana grazie alle note tropicali, fruttate e agrumate dei luppoli statunitensi. Gradazione alcolica: 5,5%

PILSNER: classica Pils boema dagli aromi speziati e floreali dati dal luppolo Saaz. Le note maltate arrotondano la bevuta. Molto beverina. Gradazione alcolica: 4,2%

Altre birre prodotte: Pilsner, Cherry Ale, American Wheat Ale, Weizen, Imperial IPA, IPA, Munich Lager, Baltic Porter, Black IPA, Blonde Ale, Vienna Lager, Blanche, Russian Imperial Stout,

  1. Il primo birrificio biologico in Armenia: BEER ACADEMY

 

 

 

Brewpub aperto nel 2012, si trova poco distante dalla famosa “Cascata”, la scalinata monumentale simbolo della capitale. L’atmosfera del locale è di ispirazione tedesca dai lederhosen indossati dallo staff agli stili di birra proposti. E’ il primo birrificio biologico dell’Armenia perchè utilizza solo malti e luppoli certificati. 7 tipi di birre biologiche in lineatra cui:

ACADEMIA WEIZEN: birra chiara di frumento, con aromi fruttati e floreali. Disponibile solo da maggio ad ottobre. Gradazione alcolica: 4,8%

ACADEMIA DUNKEL: birra scura prodotta con cinque tipi di malto d’orzo e un tipo di grano rosso armeno. Aromi prevalenti di caramello, frutta secca e caffè.  Gradazione alcolica: 4,8%

ACADEMIA HOT: bevanda a base di birra Dunkel con aggiunta di miele, cannella, pepe e noce moscata. La particolarità sta tutta nel servizio: si beve calda a 45°C. Gradazione alcolica: 2,5%

ACADEMIA GINGER: lager chiara con aggiunta di zenzero naturale. Fresca e dissetante. Gradazione alcolica: 4,7%

Le altre birre: ACADEMIA WEIZEN BOCK (gradazione alcolica: 4,6%); ACADEMIA PILS (gradazione alcolica: 4,6%); ACADEMIA BITTER (gradazione alcolica: 6,2%)

  1. Il birrificio armeno dalle origini più strane: DORS CRAFT BEER

Inaugurato nel 2019 nel cuore della capitale, è il più giovane birrificio artigianale di Erevan.

Il suo nome ha origini lontanissime, in olandese “dors” indica il luogo dove in passato veniva immagazzinato il luppolo per essere poi essiccato, una specie di fienile. Questo nome è poi legato ad una storia che i soci fondatori non specificano se sia leggenda o realtà ma merita di essere raccontata: Sven produceva birra nel suo fienile in Olanda e riforniva i pub e i locali giù in città. Tutti quanti ne andavano pazzi perché aveva un gusto particolare, diverso dalle altre birre. Che ci fosse un segreto dietro a tutto questo successo? È merito della bravura di Sven, si diceva. Ma solo lui conosceva il vero motivo. Tutte le notti un cavallo misterioso andava a rubare un sorso di birra nel fienile. Sven non hai mai pensato di catturarlo anzi lo considerava il suo portafortuna. E questo amuleto, oggi, è diventato il logo del birrificio.

FARMHOUSE ALE: birra chiara dai sentori speziati e floreali, nota luppolata sul finale supportata dal malto. Gradazione alcolica: 4,5%

BAVARIAN WEIZEN: birra di frumento in stile tedesco con le classiche note fruttate e speziate, lieve acidità che invoglia la bevuta. Gradazione alcolica: 4,5%

DARK LAGER: birre scura che riprende le Dunkel tedesche. Prevalenti le note maltate di caramello, biscotto e un tocco di cioccolato. Gradazione alcolica: 5,8%

APA: American Pale Ale dal colore ambrato. La luppolatura statunitense si fa sentire con i toni agrumati e fruttati, tutto bilanciato dal malto. Gradazione alcolica: 5,4%

IPA: India Pale Ale color ambra di stampo americano. Sentori maltati di caramello e note agrumate e resinose date dai luppoli. Gradazione alcolica: 5,9%

Completano la gamma: Cherry ale (birra aromatizzata con ciliegie. Gradazione alcolica: 4%); Belgian Blond (gradazione alcolica: 7,1%) e due sidri (uno con le mele e l’altro con le pere).

Mi sorprende sempre scoprire che dietro ad un birrificio, un nome o un logo ci sia tanto da raccontare e l’Armenia non è stata affatto da meno. D’altronde un Paese così ricco di storia, la cui cultura è stata influenzata dai popoli latini, arabi ed orientali non poteva non portarsi dietro un bagaglio pieno di tradizioni e memorie, e questo si riflette anche in tutte le curiosità che vi ho descritto.

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120° giorno del #ArtsakhBlockade. L’assedio azero del Nagorno-Karabakh è una continuazione strisciante del ciclo di genocidio (Korazym 10.4.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 10.04.2023 – Vik van Brantegem] – Per ricordare che la crisi umanitaria causata dall’Azerbajgian con il #ArtsakhBlockade è ancora in corso. Potete trovare alcuni spunti dall’intervista ad Ashot Gabrielyan, un residente locale, nell’articolo di Milena Ayvazyan pubblicato dalla rivista The Perspective [QUI].

«Secondo Ashot, non si aspettavano che il blocco durasse così a lungo. Ha detto che la prima volta la strada è stata chiusa solo per due ore. “Pensavamo tutti che la seconda volta sarebbe stata la stessa cosa. Pensavamo che prima o poi avrebbero aperto la strada”. [Nota dell’autore: prima del blocco, il 3 dicembre 2022, un gruppo di azeri ha chiuso la strada per lo stesso motivo, ma la strada è stata aperta dopo diverse ore di trattative con le forze di mantenimento della pace russe]. Con tutte queste sfide, le persone in Nagorno-Karabakh stanno prendendo in considerazione tutte le alternative per risolvere alcuni dei problemi più urgenti. Come spiega Ashot, “la scarsità di cibo è un problema diffuso nei villaggi, e i buoni forniti per cibo e verdure sono insufficienti per soddisfare i bisogni dei residenti. Di conseguenza, molte persone hanno iniziato a sviluppare nuovi tipi di coltivazione alimentare”. “Ma dobbiamo tenere presente che, a meno che l’Artsakh non sia collegato all’Armenia, la situazione rimarrà critica”, osserva Ashot».

«La speranza non ha niente a che vedere con l’ottimismo. Non è la convinzione che qualcosa andrà bene, ma la certezza che qualcosa ha un senso, indipendentemente da come finirà» (Václav Havel).

La risposta di Ursula von der Leyen alle donne dell’Artsakh

Verso la fine di gennaio 2023, “Donne dell’Artsakh per il Futuro” ha indirizzato una Lettera aperta (sotto forma di petizione sulla piattaforma Change.org) una lettera aperta delle donne dell’Artsakh al Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, madre di sette figli [QUI]. Il 1° febbraio 2023, le donne dell’Artsakh, mamme armene con cartelli e appelli “Madri per i diritti dei loro figli”, si sono rivolte al Capo Delegazione dell’Unione Europea a Yerevan, l’Ambasciatore Andrea Wiktorin, chiedendo di consegnare la loro lettera aperta a Ursula von der Leyen.

Nella Lettera, le madri dell’Artsakh hanno ricordato che l’Artsakh è sotto assedio dal 12 dicembre 2022 e che i diritti fondamentali alla vita, alla salute e all’istruzione di 120.000 residenti dell’Artsakh, inclusi 30.000 bambini, vengono violati nel freddo inverno.

Il 6 febbraio 2023, il quotidiano Aravot ha inviato una richiesta di informazioni scritta all’Ambasciatore Wiktorin. “Le madri dell’Artsakh hanno chiesto a lei e alla Signora Ursula von der Leyen di fermare questo terrore, di impedire all’Azerbajgian di tenere prigionieri 30.000 bambini armeni e di non diventare complici dell’Azerbajgian. Le madri credevano che avresti messo gli alti valori umanistici al di sopra degli interessi politici del momento e che avresti usato la tua influenza per eliminare la crisi umanitaria nell’Artsakh. Per favore, facci sapere se ha letto il contenuto di quella lettera, è stata inoltrata alla signora Ursula von der Leyen e qual è la sua opinione su quella richiesta?»

In risposta alla richiesta di informazioni, la delegazione dell’Unione Europea a Yerevan ha trasmesso ad Aravot la risposta del Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen del 16 marzo 2023 (in inglese e in armeno), che riportiamo di seguito nella nostra traduzione italiana dall’inglese:

«Care donne del Nagorno-Karabakh.
Grazie per la vostra lettera aperta, che ho ricevuto tramite la Delegazione dell’Unione Europea in Armenia.
L’Unione Europea sta seguendo con seria preoccupazione i vari sviluppi intorno al Corridoio di Lachin dall’inizio di dicembre dello scorso anno. Comprendiamo che le restrizioni di movimento lungo il Corridoio di Lachin causano notevoli disagi alla popolazione locale e creano preoccupazioni umanitarie.
Permettetemi di assicurarvi che l’Unione Europea continua a mobilitare gli sforzi diplomatici per risolvere la situazione, e ha ripetutamente invitato l’Azerbajgian e tutti gli altri coinvolti ad adottare le misure di loro competenza per garantire la libertà e la sicurezza di movimento lungo il corridoio, in linea con gli obblighi derivanti dalla dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020. A tal fine, il l’Unione Europea è stata coinvolta in contatti regolari a più livelli con la leadership dell’Azerbajgian e dell’Armenia.
L’Unione Europea ha inoltre intensificato il suo impegno in Armenia attraverso la missione civile a tutti gli effetti della missione CSDP(missione dell’Unione Europea in Armenia) lanciata di recente, che rappresenta una chiara prova del nostro continuo sostegno agli sforzi di allentamento della tensione e dell’impegno a lavorare a stretto contatto con entrambe le parti verso il massimo obiettivo di una pace sostenibile nella regione.
Cordiali saluti».

L’obiettivo dell’Azerbajgian è sottoporre il Nagorno-Karabakh alla pulizia etnica
Dichiarazione del Ministero degli Esteri armeno sul 31° anniversario del massacro degli Armeni di Maragha

«31 anni fa, il 10 aprile 1992, le forze armate azere hanno effettuato un brutale massacro pianificato della popolazione pacifica dell’insediamento armeno di Maragha nella regione di Martakert del Nagorno-Karabakh, a seguito del quale l’insediamento con una popolazione di circa 5.000 fu completamente sottoposto a pulizia etnica, più di 50 civili furono brutalmente uccisi e altrettanti furono fatti prigionieri. Questi dati sono stati documentati nei rapporti delle organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch e Amnesty International. Il destino di molti ostaggi non è stato chiarito fino ad oggi e si ritiene che siano stati fatti sparire con la forza.
Il massacro di Maragha è stato una continuazione dei pogrom organizzati contro gli Armeni a Sumgait, Kirovabad e Baku e una delle manifestazioni dei crimini di massa commessi dalle autorità azere per motivi di identità nazionale. I crimini pianificati contro la popolazione civile del Nagorno-Karabakh, i crimini di guerra, la loro impunità e glorificazione sono diventati parte della politica sistemica dell’Azerbajgian e hanno assunto nuove manifestazioni durante l’aggressione dell’Azerbajgian contro il Nagorno-Karabakh nell’aprile 2016 e su scala più ampia durante la guerra dei 44 giorni del 2020 a seguito della quale decine di migliaia di Armeni sono stati sfollati anche da Hadrut, Shushi e dalle regioni circostanti.
Non è un caso che non solo gli Armeni sfollati dal Nagorno-Karabakh nel periodo 1988-1991 non abbiano mai avuto la possibilità di rientrare nelle proprie case ed esercitare i propri diritti, compresa la gestione delle proprie proprietà private, ma anche oggi l’Azerbajgian viola le disposizioni della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020, impedendo il ritorno di sfollati e rifugiati nel Nagorno-Karabakh e nelle regioni circostanti, che dovrebbe essere effettuato sotto la supervisione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Inoltre, violando le norme del diritto internazionale e gli obblighi internazionali, oggi Baku sta popolando con Azeri gli insediamenti armeni caduti sotto il suo controllo, ad esempio nel villaggio armeno di Talish.
È inoltre degno di nota il fatto che, violando gravemente le decisioni di autorevoli corti internazionali, l’Azerbajgian continui apertamente a dissacrare, vandalizzare e distruggere i monumenti e i santuari religiosi, storici e culturali armeni, con l’obiettivo di cancellare completamente la traccia armena dai territori che sono sotto il suo controllo. Allo stesso tempo, l’incitamento all’odio nei confronti degli Armeni continua ai massimi livelli. Queste azioni sono già state ripetutamente condannate dalle istituzioni internazionali.
A 31 anni dal massacro di Maragha, già da circa quattro mesi l’Azerbajgian blocca illegalmente il Corridoio di Lachin che collega il Nagorno-Karabakh con il resto del mondo. La deliberata creazione di una crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh, le periodiche violazioni del cessate il fuoco e le azioni aggressive delle forze armate azere nel Nagorno-Karabakh, il costante attacco e il terrore della popolazione pacifica dimostrano ancora una volta che l’obiettivo dell’Azerbajgian è sottoporre Nagorno-Karabakh alla pulizia etnica.

«Sopravvissuti del massacro di Maragha.
Come risultato della guerra di 44 giorni del 2020, i residenti e i sopravviventi di Maragha, persero anche New Maragha, fondata dopo la prima guerra del Karabakh. La croce commemorativa dedicata alle vittime di Maragha dopo la guerra dei 44 giorni è stata spostata nel complesso commemorativo di Stepanakert
Lo scopo del massacro di Maragha era spezzare lo spirito della lotta degli Armeni dell’Artsakh attraverso la pulizia etnica e gli sforzi di spopolamento. Oggi l’Azerbajgian sta portando avanti la stessa politica mentre taglia fuori 120.000 cittadini dell’Artsakh dall’Armenia e dal mondo esterno.

In Armenian Weekly “Ricordiamo Maragha” [QUI]» (Siranush Sargsyan).

Oggi rendiamo omaggio alla memoria delle vittime del massacro di Maragha. Al fine di prevenire ulteriormente tali crimini, sottolineiamo ancora una volta l’urgenza di intraprendere azioni attive da parte della comunità internazionale, anche utilizzando i meccanismi internazionali disponibili.
La Repubblica di Armenia riafferma il suo impegno per l’instaurazione di una pace e sicurezza durature e globali nella regione, che è possibile se l’Azerbajgian rinuncia alla politica massimalista e aggressiva, e alla ricerca di soluzioni eque ai problemi esistenti».

++++ Segnalazioni sui social media di diversi gruppi di Azeri all’interno dell’Armenia. Segnalazioni armene di gruppi di ricognizione. Nessuna operazione militare in corso. Nessuna violazione del cessate il fuoco (Nagorno Karabakh Observer) ++++

Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian, Colonnello Generale Zakir Hasanov, con alti membri del Ministero tra cui il Vice Ministro (responsabile della logistica), ha visitato le nuove installazioni militari nel territorio conquistato dopo la guerra dei 44 giorni nel Nagorno-Karabakh del 2020 (secondo il Nagorno Karabakh Oberver presumibilmente nell’area di Kelbajar vicino al confine con l’Armenia) inaugurando un nuovo deposito di artiglieria e missili. Il Ministro delle Difesa dell’Azerbajgian informa che «come risultato dell’attenzione e della cura del Presidente della Repubblica di Azerbaigian, il Comandante in Capo delle Forze Armate, Sig. Ilham Aliyev, il supporto materiale e tecnico dell’esercito è ulteriormente rafforzato e l’infrastruttura militare che soddisfa le moderne standard è in fase di costruzione». Il gruppo dirigente del Ministero della Difesa ha visitato anche il magazzino di armi di artiglieria missilistica appena commissionato. Il Ministro della Difesa, che ha preso conoscenza dell’infrastruttura creata, è stato informato «che nel magazzino sono state create tutte le condizioni per rifornire continuamente le unità dell’Esercito dell’Azerbajgian schierate nella direzione pertinente con armi e munizioni. È stato riferito che il magazzino di nuova apertura ha condizioni che soddisfano gli standard moderni per proteggere la qualità delle armi e delle munizioni durante lo stoccaggio a lungo termine in diverse condizioni climatiche». Il Ministro della Difesa, «prendendo conoscenza delle capacità dei magazzini e dell’infrastruttura militare recentemente commissionata, ha sottolineato la fornitura continua di unità schierate in climi rigidi e terreni accidentati, compresa la fornitura di tutti i tipi di rifornimenti: cibo, merci, mezzi, carburante , munizioni, equipaggiamento militare».

Qualche giorno prima, il Ministro della Difesa dell’Azerbajgian ha visitato il Commando del Training Center di Montagna vicino al villaggio di Ashaghi Seyfali (nella regione di Shamkir, a circa 80 km dal Lago Sevan) per ispezionare le procedure di addestramento secondo il modello turco in moderni metodi di combattimento, alpinismo e altre attività in conformità con le condizioni di combattimento reali nel campus di combattimento nelle aree residenziali. Il Colonnello Generale Hasanov ha osservato «che l’esercito azero ha dimostrato il suo potere a tutto il mondo nelle battaglie di aprile, nell’operazione Gunnut, nella guerra patriottica e nelle operazioni successive». Ha aggiunto che attualmente è in corso un ulteriore rafforzamento e sviluppo dell’esercito azero. Infine, il Ministro della Difesa ha inaugurato una nuova struttura medica.

Un “eco-terrorista” del #ArtsakhBlockade vicino a Sushi, che fa il segno dei Lupi Grigi.

L’Ambasciatore russo in Armenia, Sergey Kopirkin, ha dichiarato che la missione CSTO è pronta a venire in Armenia. Ha confermato che ciò è stato e continua ad essere confermato ai massimi livelli e ha aggiunto che alcuni dettagli sono attualmente in fase di elaborazione. Ha espresso la convinzione che dopo che questi dettagli saranno risolti, saranno in grado di determinare quali decisioni prendere.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

119° giorno del #ArtsakhBlockade. Auguri di Santa Pasqua dal popolo armeno dell’Artsakh sotto assedio dell’Azerbajgian, che opera nell’assoluta impunità (Korazym 09.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 09.04.2023 – Vik van Brantegem] – Santa Pasqua armena nel giorno 119 dell’assedio azero dell’Artsakh/Karabakh. Dal 12 dicembre 2022 gli Armeni dell’Artsakh/Nagorno Karabakh sono bloccati dall’Azerbajgian nella loro Patria, privati del diritto alla circolazione e senza accesso ai loro diritti umani fondamentali. Sì, loro Patria, perché al contrario delle menzogne armenofobe dell’Azerbajgian, l’Artsakh armeno esisteva da secoli prima delle invasioni turche. Queste terre storicamente armene sono state soggette a terrore, aggressione, oppressione, pulizia etnica, genocidio.

Riassumendo: l’Azerbajgian sta occupando nell’Artsakh terre armene e non si fermerà finché non ha ottenuto la soluzione finale, guardando già a Suynik e a Yerevan. Una serie interminabile di Twitter accounts, che rappresentano il regime dell’Azerbajgian, un’autocrazia orribile e ricco di petrolio, diffondono disinformazione, estremo odio anti-armeno, negano i crimini del regime azero, come i pogrom, la pulizia etnica e il genocidio.
«Abbiamo trascorso Natale e Capodanno, Trndez, Giornata della maternità e della bellezza e Pasqua sotto il blocco. Buona Pasqua. È il 119° giorno del #ArtsakhBlockade» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert).

Il video della manifestazione delle donne dell’Artsakh il 7 aprile 2023.

Come abbiamo riferito [QUI], nella Giornata della maternità e della bellezza, «in una manifestazione organizzata il 7 aprile, le donne dell’Artsakh hanno protestato contro il blocco in corso dell’Artsakh da parte dell’AzerbaJgian, hanno ribadito la loro determinazione e inviato messaggi chiari alla comunità internazionale» (Gegham Stepanyan, Difensore dei Diritti Umani della Repubblica di Artsakh).

Armenian News Network/Groong – Episodio 245 – 7 aprile 2023 – Naira Melikyan: respinta al posto di frontiera armeno di Kornidzor.

In questo episodio di Conversazioni su Groong, Hovik Yerevan di Armenian News Network parla con Naira Melikyan –  madre dell’eroe caduto Hayk Melikyan e membro del movimento Miatsum (Insieme) – che condivide informazioni preoccupanti dal suo tentativo di recarsi in Artsakh attraverso la strada di recente costruzione che passa dal villaggio di Kornidzor. Le guardie di frontiera armene hanno respinto il gruppo del movimento Miasin, adducendo problemi di sicurezza: «Dopo che siamo andati e abbiamo visto che c’era questo post di blocco turco (azerbajgiano) tra noi e i Russi, hanno detto che vedi ora capisci perché non ti abbiamo fatto entrare perché andrai direttamente nelle mani dei Turchi (Azeri)». «La Russia non ha permesso all’Azerbaigian di violare l’accordo trilateriale del 9 novembre 2020 e ha istituito un posto di blocco sull’autostrada tra l’Armenia e l’Artsakh. No, il governo di Pashinyan ha permesso all’Azerbajgian di scavare trincee dalla parte armena» (Alison Tahmizian Meuse).

“L’Azerbajgian permette l’uscita dal Nagorno-Karabakh, vieta l’ingresso”: continua il blocco
Nuova procedura per lasciare il Nagorno-Karabakh per l’Armenia
JAM News, 5 aprile 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

“D’ora in poi sarà possibile lasciare l’Artsakh per l’Armenia in caso di emergenza”, ha detto il Ministro di Stato della non riconosciuta Repubblica di Nagorno-Karabakh, Gurgen Nersisyan . L’entrata e l’uscita saranno organizzate dal contingente di mantenimento della pace russo. Chiunque abbia bisogno di partire dovrà prima contattare il Nagorno-Karabakh Interaction Center e ottenere il permesso. La nuova procedura per lasciare la regione del Nagorno-Karabakh è stata approvata dopo che l’Azerbajgian ha vietato l’ingresso a un gruppo di Armeni. Le forze di pace hanno trascorso cinque ore a negoziare senza successo con gli Azeri che bloccano la strada. Coloro a cui è stato impedito l’ingresso hanno affermato che “gli Azeri hanno intimidito le persone irrompendo in una dei veicoli e minacciando apertamente le persone”. È stato riferito che quattro donne hanno avuto problemi di salute e hanno dovuto essere trasportate in ospedale.

Il Ministero degli Esteri della non riconosciuta repubblica ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che “le azioni criminali dell’Azerbajgian stanno diventando sempre più minacciose per natura e portata”.

I media armeni hanno riferito che il 4 aprile, accompagnati dalle forze di mantenimento della pace russe, 27 civili hanno cercato di tornare dalla città di Goris nel territorio del Nagorno-Karabakh. Gli Azeri dichiarandosi attivisti ambientalisti che hanno bloccato il Corridoio di Lachin dal 12 dicembre 2022, hanno fermato un veicolo vicino alla città di Shushi [gli Azeri la chiamano Shusha] e hanno negato loro l’ingresso. Solo quattro donne, apparentemente malate, sono state lasciate passare e portate in ospedale [QUI e QUI].

Il Ministro di Stato della non riconosciuta repubblica ha affermato che le voci sull’evacuazione di residenti locali in Armenia da parte delle forze di mantenimento della pace russe sono “un’altra manifestazione degli attacchi informativi dell’Azerbajgian” e non corrispondono alla realtà. Gurgen Nersisyan ha ricordato che dall’inizio del blocco del Corridoio di Lachin, le persone sono state private della possibilità di recarsi in Armenia, e ora potranno viaggiare solo “in caso di emergenza”. Il processo di trasporto sarà organizzato attraverso le forze di mantenimento della pace russe “al fine di proteggere i cittadini da possibili provocazioni azere” sul tratto di strada bloccato. Ha affermato che la rappresentanza del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Nagorno-Karabakh continuerà a organizzare il trasporto di persone con problemi di salute che necessitano di cure mediche specialistiche.

Il Ministero degli Esteri della non riconosciuta Repubblica di Nagorno-Karabakh ha descritto le azioni degli Azeri nel Corridoio di Lachin del 4 aprile come “terrore psicologico e intimidazione di donne, bambini e anziani”. Nel comunicato si legge che ai cittadini rimasti in Armenia a causa del blocco dell’unica strada non è stato permesso di ricongiungersi con le proprie famiglie: “Questo eclatante incidente dimostra chiaramente che le autorità azere hanno intrapreso il livello successivo di attuazione pratica del loro piano criminale per eseguire la pulizia etnica dell’Artsakh ed espellere la sua gente dalla loro patria storica. Queste intenzioni sono state annunciate pubblicamente dal Presidente dell’Azerbajgian il 10 gennaio 2023 in un’intervista con i media azeri. Successivamente, la leadership politica azera ha ripetutamente rilanciato la minaccia che gli abitanti dell’Artsakh dovessero sottomettersi alle autorità armenofobe dell’Azerbajgian o lasciare la loro patria”.

La dichiarazione sottolinea che “l’Azerbajgian opera nell’assoluta impunità”: “L’inazione della comunità internazionale di fronte a tali gravi violazioni dei diritti umani equivale a tacita approvazione, se non complicità nelle azioni disumane della Baku ufficiale. Un’azione urgente e decisiva da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha il mandato e gli strumenti adeguati, è una necessità assoluta per la fine immediata del blocco illegale e la soppressione dei crimini in corso dell’Azerbajgian davanti agli occhi della comunità internazionale”.

Il Consigliere del Ministro di Stato ed ex difensore civico, Artak Beglaryan, ha fornito i dettagli dell’incidente, che ha appreso da coloro a cui è stato negato l’ingresso. Ha scritto sui social network che gli Azeri “hanno intimidito le persone in auto irrompendo in una di esse e minacciandole apertamente” e ha anche avanzato una condizione preliminare per “accettare la cittadinanza azera”. Quattro donne avrebbero perso conoscenza durante questo incidente. Secondo le informazioni ricevute da Beglaryan, le forze di mantenimento della pace russe hanno chiamato un’ambulanza e le hanno trasportate in ospedale: “La parte azera non ha permesso alle forze di mantenimento della pace russe di chiamare e utilizzare l’ambulanza dell’Artsakh e ha cercato di trasportare i pazienti all’ospedale di Shushi, una città ora sotto il controllo dell’Azerbajgian. Tuttavia, la gente ha iniziato a protestare e ha chiesto che i pazienti fossero trasferiti a Stepanakert [gli Azeri chiamano questa città Khankendi].

Nel contesto della politica statale di discriminazione e odio razziale/etnico in Azerbajgian, nonché delle sue manifestazioni regolari, la comunità internazionale deve comprendere il livello delle minacce esistenziali al popolo dell’Artsakh sotto qualsiasi forma di controllo da parte dell’Azerbajgian”.

Secondo le informazioni fornite dal difensore civico del Nagorno-Karabakh, Gegham Stepanyan, l’Azerbajgian “ha violato un precedente accordo con le forze di mantenimento della pace russe sul ritorno degli abitanti dell’Artsakh, e i negoziati non hanno portato a nulla”. Delle 27 persone che stavano tornando a casa, 23 sono tornate a Goris. Ha ricordato che dall’inizio del blocco del Corridoio di Lachin, Baku ha affermato che la strada è aperta: “Questo incidente dimostra l’essenza delle dichiarazioni false e inventate della leadership azera, le bugie ovvie e palesi e l’inganno della comunità internazionale. Inoltre, consentendo alle persone di lasciare l’Artsakh in vari modi, ma vietando l’ingresso, le autorità azere perseguono apertamente una politica di pulizia etnica”. Secondo il difensore civico, il motivo del mancato rispetto da parte dell’Azerbajgian degli appelli della comunità internazionale e della decisione della Corte Internazionale di Giustizia è “la situazione emergente di permissività, mancanza di rispetto, disprezzo per la missione di mantenimento della pace della Russia, l’assenza di azioni punitive mirate e concrete da parte di tutti gli attori internazionali interessati”.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Caucaso, Cirielli a “Nova: “La regione è strategica, c’è grande voglia di Italia” (Agenzia Nova 09.04.23)

L’Italia guarda al Caucaso come una regione strategica ed è vista dai Paesi della regione come l’unica potenza amica con un approccio non imperialistico. Lo ha detto il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli ad “Agenzia Nova” commentando il suo tour nel Caucaso meridionale che lo ha visto fare tappa in Azerbaigian, Armenia e Georgia.

“C’è grande voglia di Italia nel Caucaso e questo perché l’Italia viene percepita come una potenza economica e politica, ma è l’unica che non viene percepita come imperialista, a differenza di tutte le altre”, ha detto il viceministro. “La mia presenza è stata finalizzata a identifica cosa l’Italia politicamente può fare per dare una mano a questi Paesi. A noi non interessa togliere l’influenza altrui e imporre la nostra. Il nostro unico scopo è garantire che le aree in cui commerciamo siano libere da interferenze. Siamo per la democrazia internazionale, non vogliamo che ci siano potenze che agiscano in modo imperialistico con i nostri partner commerciali”, ha detto il viceministro.

Cirielli nelle tre tappe del tour ha avuto incontri ai massimi livelli politici. “In Azerbaigian ho ricevuto una straordinaria accoglienza e, fra gli altri, ho avuto modo di incontrare il presidente Ilham Aliyev”, ha detto il viceministro. “Abbiamo ottimi scambi commerciali con tutti, in particolare con l’Azerbaigian di cui siamo il primo partner commerciale, primo cliente ed è l’unico Paese che ha una forza economica con grandi prospettive di sostegno a tutta l’area”, ha detto il viceministro. “Il dibattito in Azerbaigian e Armenia è dominato dalla questione del conflitto ma ho notato, nonostante una tensione durata trent’anni, che gli azerbaigiani sono molto disponibili a fare la pace”, ha detto Cirielli, un punto su cui il viceministro ha detto di trovare un punto d’incontro con la leadership armena guidata dal primo ministro Nikol Pashinyan. “La leadership attuale è molto interessata alla pace. Ci sono state delle elezioni dopo la guerra del 2020 che hanno visto il premier vincere ampiamente, a dimostrazione che il popolo armeno vuole la pace”, ha detto Cirielli. Entrambi i Paesi, ha aggiunto, “chiedono una mediazione da parte nostra per trovare una pace onorevole per entrambe le parti e noi cerchiamo di dare loro una mano”.

Terza tappa del tour è stata Tbilisi, capitale della Georgia, paese che “andando d’accordo sia con l’Armenia che con l’Azerbaigian svolge, quindi, un ruolo di mediazione”. “La Georgia ha una grande funzione logistica per l’Europa e l’Italia: si affaccia sul Mar Nero e non è in guerra con Armenia e Azerbaigian, tramite questo Paese gli altri due Stati del Caucaso hanno un contatto verso l’Europa”, ha detto Cirielli che poi ha fornito uno spaccato della situazione in Georgia. “La Georgia ha due regioni occupate dalla Russia e sono molto spaventati dalla Russia. Per questo motivo vorrebbero entrare quanto prima nell’Unione europea e nella Nato – ma soprattutto nell’Ue – e chiedono l’aiuto dell’Italia per ottenere lo status di candidato all’adesione. Chiedono che l’Italia li sostenga in quest’iniziativa e noi lo facciamo di cuore”, ha detto il viceministro.

Riepilogati gli aspetti salienti del suo tour, il viceministro ha tracciato uno spaccato dello stato dell’arte della regione e delle prospettive future. “Il Caucaso è importantissimo per l’energia viste le forniture di gas e petrolio che riceviamo dall’Azerbaigian ed è la porta dell’Oriente, per questo storicamente l’Italia – prima l’Impero romano, poi le Repubbliche marinare, poi il Regno d’Italia – ha sempre visto nel Caucaso una zona importante per i nostri commerci e traffici economici”, ha spiegato Cirielli. “Vogliamo aiutare i Paesi a garantire la loro stabilità e a crescere economicamente. E in tal senso ci sono buone prospettive: io ne ho parlato con il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, e con il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e penso che prossimamente che il ministro prenderà delle iniziative politiche importanti. Vogliamo dare una mano concreta”, ha concluso il viceministro degli Esteri.

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“Baku-mania” italiana: tutte le sfilate di Ministri in Azerbaijan (True-news 08.04.23)

L’Italia ha una relazione speciale con l’Azerbaijan. E Roma in nome degli affari sembra dimenticare la crisi del Nagorno Karabakh.

Perché leggere questo articolo? L’Italia ha una relazione speciale con l’Azerbaijan. E Roma in nome degli affari sembra dimenticare la crisi del Nagorno Karabakh. E il rischio di persecuzione dei cristiani

Viavai intenso tra Roma e Baku, capitale dell’Azerbaijan. I governi Draghi e Meloni hanno amplificato una sintonia già consolidata negli anni precedenti. E creato in nome dei legami energetici e economici un asse tanto strategico quanto problematico. Strategico, perché l’Azerbaijan è una potenza emergente e un alleato nella diversificazione dal gas russo. Problematico, perché l’ex repubblica sovietica resta un’autocrazia monopartitica dallo scarso rispetto per i diritti umani. E, per non farsi mancare nulla, nel 2020 ha anche lanciato una guerra d’aggressione per la riconquista del territorio del Nagorno-Karabakh, conteso con l’Armenia da fine Anni Ottanta.

Diplomazia a tutto campo

La politica internazionale è un contesto problematico e sporco. Spesso si muove attraverso scale di grigi, più che in bianco e nero. Però va detto: all’Azerbaijan, amico dell’Occidente, è concesso un margine di manovra speciale nel nostro sistema di alleanze. E l’Italia, primo partner economico di Baku, è tra i principali autori di questo sdoganamento.

Dalla visita di Sergio Mattarella a Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaijan e dominus della politica locale, del luglio 2018 i contatti bilaterali si sono amplificati. Per un Paese fino a pochi anni fa minoritario nello scacchiere internazionale sorprende il numero di bilaterali che l’Italia ha scambiato con l’Azerbaijan. Aumentando la pervasività dei rapporti con i governi di Mario Draghi e Giorgia Meloni. Autori di un vero sdoganamento della “Baku-mania” italiana.

Luigi Di Maio, nell’aprile 2022, inaugurò una serie di visite proseguite in forma sempre più intensa visitando Baku vicino all’invasione dell’Ucraina. Accompagnato dal Sottosegretario di Stato Manlio Di Stefano, Di Maio ha visitato l’Azerbaijan dedicando parole al miele al nuovo partner di “diplomazia energetica”. Pochi mesi prima, la Settimana della Cucina Italiana nel Mondo tenutasi a Baku a novembre 2021 aveva visto la presenza dello stesso Di Maio e di una parata di Ministri. Tra questi il Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Stefano Patuanelli, e del Sottosegretario all’Istruzione Barbara Floridia.

La corsa dei Ministri di Meloni in Azerbaijan

Col governo Meloni la vicinanza Roma-Baku è ulteriormente aumentata. A inizio febbraio il Ministro della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin ha proposto a Baku, visitando l’Azerbaijan, il raddoppio del gasdotto Tap. Dieci giorni dopo, tra il 12 e il 13 febbraio, è stata la volta del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che nella capitale del Paese caucasico ha incontrato Aliyev e preso in carico la conclusione di un accordo di Ansaldo Energia. Tra le principali imprese attive nel Paese in un elenco che comprende anche gruppi come Leonardo, Snam e i colossi della strategia finanziaria con mano pubblica: Sace, Simest e Cassa Depositi e Prestiti.

La visita più importante è però avvenuta il 12 gennaio, quando in Azerbaijan si è recato il titolare della Difesa Guido Crosetto. L’export di armi italiane in Azerbaijaninaugurata dall’interessamento di Baku per gli aerei Aermacchi A-346 da attacco al suolo già forniti al Turkmenistan, è la nuova frontiera di una partnership a tutto campo. Pecunia non olet, e gli affari dell’industria italiana nel Paese sono sicuramente portatori di opportunità di crescita e creazione di posti di lavoro.

Ma di fronte a un contesto che vede l’Italia attenta promotrice della democrazia e dei diritti, stride la carenza di critiche per gli atteggiamenti azeri nella crisi del Nagorno-Karabakh. In cui negli anni scorsi a far rumore è stato in particolare il blocco azero del conteso corridoio di Lachin.

Rischio pulizia etnica?

L’Armenia accusa l’Azerbaijan di pulizia etnica e di una conversione forzata alle logiche politiche pro-Baku dei territori contesi riconquistati in Nagorno-Karabakh.  Gli abitanti della zona, ha dichiarato a Il Sussidiario Pietro Kuciukian, attivista e saggista italiano di origine armena, si “sono dichiarati indipendenti, ma gli azeri dicono che è un territorio loro. Oltretutto è stato stabilito che il territorio fa parte dell’Azerbaijan, anche se è sempre stato indipendente, da sempre, in epoca ottomana come persiana, ma anche zarista e sovietica. Gli azeri vogliono togliere questa autonomia. La questione per gli armeni è anche culturale“.

Aiuto alla Chiesa che Soffre e altre associazioni hanno sostenuto i profughi cristiani in fuga dalla regione occupata da Baku, e Aci Stampa ha denunciato che 89 chiese medievali, 5840 croci di pietra e 22 mila lapidi in una delle terre cristiane di più antica ascendenza sono andate distrutte dal 2020 a oggi.

I tanti silenzi sull’Armenia

Aliyev è stato ospite d’onore del Forum di Cernobbio nello scorso autunno e l’Azerbaijan viene ritenuto partner strategico. C’è però il fatto chiave della necessità di trovare un equilibrio politico nella regione e di risolvere la coda politica del conflitto del 2020. Giorgia Melonidonna, italiana e cristiana continuerà a dimenticare, nel pur strategico rapporto con Baku, la tutela dei cristiani armeni nei territori riconquistati da Baku e la stabilizzazione della regione? Mario Draghi, cresciuto dai gesuiti, su questo fronte non ha speso molte parole. L’ex democristiano Sergio Mattarella, solerte dal Quirinale a criticare legittimamente altri abusi, come quelli del regime iraniano o della Russia, finora è stato molto più timido sul tema dell’Azerbaijan e dell’Armenia.

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LA PASSIONE DEGLI ARMENI DEL NAGORNO KARABAKH (Politicamentecorretto 08.04.23)

Isolati dal mondo da quasi 120 giorni

A Pasqua saranno 119 giorni che il governo dell’Azerbaigian, con falsi pretesti “ambientalisti”, ha bloccato l’unica strada di collegamento tra il Nagorno Karabakh (Artsakh) e l’Armenia.

Quattro mesi di isolamento per i 120.000 armeni che abitano nella piccola repubblica de facto.

Praticamente senza cibo, senza medicine, senza carburante; con il gas tagliato nel freddo inverno caucasico e la rete elettrica ad alta tensione continuamente sabotata dagli azeri. 30.000 bambini, 20.000 anziani, 9.000 disabili soffrono a seguito di privazioni di cure, cibo e istruzione adeguati. Una vera e propria odissea che passa sotto silenzio, mentre i riflettori sono puntati solo sull’Ucraina.

Il regime di Aliyev, che nella recente classifica mondiale di “Freedom House” si trova alle ultimissime posizioni in tema di rispetto dei diritti civili e politici, sta attuando una vera e propria pulizia etnica della popolazione, non disdegnando di ricorrere alle solite provocazioni militari: violazioni della linea di contatto, mancato rispetto dell’accordo del novembre 2020, colpi di cecchini contro gli inermi agricoltori nei campi, azioni di sabotaggio contro personale dell’Artsakh con conseguente barbara uccisione, violazione dei confini della repubblica di Armenia e occupazione del suo territorio sovrano.

Quattro giorni fa, l’ultimo affronto: un convoglio della forza di pace russa che trasportava 27 donne e anziani dall’Armenia all’Artsakh è stato respinto dagli azeri.

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” ancora una volta invita le istituzioni europee e il governo italiano ad adottare opportune iniziative operative, e non solo parole, appelli e dichiarazioni, affinché venga garantito il diritto alla vita della popolazione degli armeni dell’Artsakh e sia aperto il Corridoio di Lachin, unica strada vitale che collega questo lembo di terra al resto del mondo.

«La  svendita dei valori europei per un pò di gas di un partner, come Ilham Aliyev, definito “affidabile” dalla Presidente Ursula von der Leyen,  si traduce in questo caso in colpevole complicità» dichiara una nota del Consiglio.

«Chiediamo nuovamente al governo italiano, alleato economico, politico e militare dell’Azerbaigian, di attivarsi con Baku affinché sia riaperto il transito sulla strada così come peraltro indicato da una recente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia; e, inoltre, chiediamo alla Presidente del Consiglio, on. Giorgia Meloni, nel rispetto della Costituzione Italiana, a non prestare il fianco a un paese guerrafondaio e dittatoriale, che con gli introiti pagati con i soldi degli Italiani, continua ad investire sugli armamenti con l’intento di risolvere con la violenza e la forza delle armi le contese”.  

Consiglio per la comunità armena di Roma
Segreteria
comunitaarmena.it

118° giorno del #ArtsakhBlockade. La Passione degli Armeni del Nagorno-Karabakh, isolati dal mondo da 4 mesi (Korazym 08.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.04.2023 – Vik van Brantegem] – Da 118 giorno il #ArtsakhBlockade sta causando immense sofferenze e difficoltà agli Armeni che chiamano Nagorno-Karabakh (Artsakh) la loro casa. È una palese violazione dei diritti umani e un chiaro atto di aggressione da parte dell’Azerbajgian, che per troppo tempo ha imposto questo blocco illegale e disumano, interrompendo rifornimenti e risorse vitali. Come durante la guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian per l’Artsakh nel 2020, lo stato terrorista azerbaigiano sta utilizzando ogni mezzo manipolativo per confondere la comunità internazionale su chi fosse allora e chi è oggi l’aggressore. Oggi come allora, gli Armeni dell’Artsakh sono resilienti come sempre per rimanere liberi in nel loro Paese indipendente.

«Essere liberi è meglio che non essere liberi – sempre. Qualsiasi politico che suggerisca il contrario dovrebbe essere trattato come sospetto» (Margaret Thatcher).

A Pasqua saranno 119 giorni che il regime autocrate dell’Azerbajgian, con falsi pretesti “ambientalisti”, ha bloccato l’unica strada di collegamento tra il Nagorno-Karabakh (Artsakh) e l’Armenia. Quattro mesi di isolamento per i 120.000 Armeni che abitano nella piccola repubblica de facto. Praticamente senza cibo, senza medicine, senza carburante; con il gas tagliato nel freddo inverno caucasico e la rete elettrica ad alta tensione continuamente sabotata dagli azeri. 30.000 bambini, 20.000 anziani, 9.000 disabili soffrono a seguito di privazioni di cure, cibo e istruzione adeguati. Una vera e propria odissea che passa sotto silenzio, mentre i riflettori sono puntati solo sull’Ucraina.

Il regime autocrate di Aliyev, che nella recente classifica mondiale di “Freedom House” si trova alle ultimissime posizioni in tema di rispetto dei diritti civili e politici, sta attuando una vera e propria pulizia etnica della popolazione, non disdegnando di ricorrere alle solite provocazioni militari: violazioni della linea di contatto, mancato rispetto dell’accordo del novembre 2020, colpi di cecchini contro gli inermi agricoltori nei campi, azioni di sabotaggio contro personale dell’Artsakh con conseguente barbara uccisione, violazione dei confini della Repubblica di Armenia e occupazione del suo territorio sovrano.

Quattro giorni fa, l’ultimo affronto: un convoglio della forza di mantenimento della pace russa che trasportava 27 donne e anziani dall’Armenia all’Artsakh è stato respinto dagli Azeri.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma ancora una volta invita le istituzioni europee e il governo italiano ad adottare opportune iniziative operative, e non solo parole, appelli e dichiarazioni, affinché venga garantito il diritto alla vita della popolazione degli Armeni dell’Artsakh e sia aperto il Corridoio di Lachin, unica strada vitale che collega questo lembo di terra al resto del mondo.

«La svendita dei valori europei per un po’ di gas di un partner, come Ilham Aliyev, definito “affidabile” dalla Presidente Ursula von der Leyen, si traduce in questo caso in colpevole complicità», dichiara il Consiglio per la comunità armena di Roma in una nota. «Chiediamo nuovamente al governo italiano, alleato economico, politico e militare dell’Azerbajgian, di attivarsi con Baku affinché sia riaperto il transito sulla strada così come peraltro indicato da una recente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia; e, inoltre, chiediamo alla Presidente del Consiglio, On. Giorgia Meloni, nel rispetto della Costituzione Italiana, a non prestare il fianco a un paese guerrafondaio e dittatoriale, che con gli introiti pagati con i soldi degli Italiani, continua ad investire sugli armamenti con l’intento di risolvere con la violenza e la forza delle armi le contese».

Quindi, l’Azerbajgian sta dicendo che il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) è per impedire che vengano trasportati degli armeni dall’Armenia all’Artsakh. Poi, sparano ai contadini disarmati dell’Artsakh. Inoltre, ieri le forze armate dell’Azerbajgian hanno sparato ai contadini che stavano effettuando la semina primaverile nel villaggio di Khnatsakh provincia di Syunik dell’Armenia (che Ilham Aliyev rivendica come “Zangezur occidentale”). Apparentemente gli Azeri non hanno intenzione di fare vittime, ma di impedire il lavoro nei campi, come fanno già da tempo in Artsakh. Il capo villaggio di Knatsakh, Seyran Mirzoyan, ha detto a Armenian News: «Anche io e il mio amico eravamo lì. Loro [gli Azeri] non ci lasciano seminare la terra arata, sparano regolarmente. [Questo] è il primo anno che si presenta un problema del genere».

«#ArtsakhBlockade giorno 118. Mercato centrale di Stepanakert oggi. Centinaia di persone cercano di ottenere frutta e verdura con i loro buoni alimentari, che sono così scarsi che pochissime persone possono riuscirci. Immagina di aspettare ore e tornare a casa a mani vuote» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert).

La Formula 1 organizza i Gran Premi in Azerbaigian dal 2017. Il regime dell’Azerbajgian è un’autocrazia guerrafondaia genocida corrotta, classificato tra le 57 dittature del mondo. Come possono essere organizzate qui le gare di Formula 1? Cos’è questo se non corruzione? #BoycottF1Baku

Petizione su Change.org [QUI] per chiedere al Formula 1-CEO Stefano Domenicali di fare la cosa responsabile e di spostare il Gran Premio fuori dall’Azerbajgian genocida

In quanto evento sportivo internazionale, la Formula 1 ha la responsabilità di ospitare i suoi tornei in paesi che accolgono persone di tutte le razze e generi.

Tuttavia, l’Azerbajgian si classifica come il nono paese MENO libero al mondo in base all’indice 2022 di Freedom House [1].

L’Azerbajgian ha anche una storia di grave armenofobia e tendenze genocide nei confronti del popolo armeno che si manifestano in molti modi. Ciò rende impossibile per il popolo armeno partecipare in sicurezza al Gran Premio di Formula 1.

1. Le persone di origine armena, anche se sono cittadini di altri Paesi, devono affrontare restrizioni all’ingresso in Azerbaigian [2].

2. I leader dell’Azerbajgian hanno una storia di sentimenti di genocidio nei confronti del popolo armeno. Non mancano queste citazioni, ma come pochi esempi, l’attuale Presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ha espresso “l’Armenia non è nemmeno una colonia, non è degna di essere un servitore” [3]. L’ex sindaco di Baku, Hajibala Abutalibov ha dichiarato apertamente alla delegazione tedesca: “Il nostro obiettivo è la completa eliminazione degli Armeni. Voi nazisti avete già eliminato gli Ebrei negli anni ’30 e ’40, giusto? Dovresti essere in grado di capirci [4].

3. Non più tardi del 13 settembre 2022, l’Azerbaigian ha istigato un’invasione ai confini dell’Armenia. L’invasione includeva pesanti attacchi a 36 città e insediamenti civili [5]. Questi attacchi agli insediamenti civili in Armenia sono all’ordine del giorno dal 2020 [6].

4. La violenza militare azera nei confronti del popolo armeno è sempre stata incoraggiata e premiata. Dal 2020, l’esercito azero rilascia regolarmente video di torture, mutilazioni ed esecuzioni di civili e prigionieri di guerra armeni [7]. Più di recente, hanno pubblicato un video di Anush Apetyan, una ex contadina che ha preso le armi per proteggere l’Armenia durante le invasioni del settembre 2022. Nel video, è stata violentata da ufficiali militari. Un occhio è stato cavato, le dita sono state tagliate, le sue gambe sono state tagliate e lei è stata parzialmente decapitata affinché tutto il mondo potesse vederla [7]. Questi ufficiali militari non avevano paura delle conseguenze da parte dei loro superiori, ribadendo che questo comportamento nei confronti degli Armeni è incoraggiato. Ad esempio, quando Ramil Safarov, un tenente azero, uccise nel sonno Gurgen Margaryan con un’ascia a Budapest durante un programma di partenariato per la pace della NATO, fu graziato, promosso e insignito del titolo di “Uomo dell’anno” per le sue azioni [8]. L’Istituto Lemkin per la Prevenzione di Genocidio ha recentemente rilasciato diverse dichiarazioni, tra cui un Red Flag Alert e il sentimento secondo cui “l’Istituto Lemkin ritiene che l’Azerbajgian stia commettendo un lento genocidio – un genocidio di mille tagli” [7]. Hanno invitato il mondo a “prendere provvedimenti immediati” [7]. Inoltre, l’Istituto Lemkin ha annunciato che “i governi, le organizzazioni, le aziende e le agenzie che continuano a dare potere a questi Stati genocidi sono attualmente e continueranno ad essere complici di questi crimini atroci” [7].

Il Gran Premio Formula 1 in Azerbajgian ha portato oltre 500 milioni di dollari all’economia dell’Azerbajgian, il che contribuisce alla realizzazione di questi crimini contro l’umanità da parte dei militari [9].

Ribadiamo: è responsabilità delle organizzazioni sportive garantire che i propri eventi si svolgano in Paesi accessibili e sicuri per le persone di tutte le razze.

[1] Casa della Libertà. Paesi e Territori. Freedomhouse.org [QUI].
[2] Restrizioni e avvisi di viaggio in Azerbaigian (10 agosto 2022). Visto per l’Azerbajgian [QUI].
[3] Ilham Aliyev su Twitter il 29 gennaio 2015 [QUI].
[4] Il Caucaso: conflitti congelati e frontiere chiuse. Ufficio stampa del governo degli Stati Uniti, 18 giugno 2008, p. 50 [QUI].
[5] L’Azerbajgian lancia un attacco su larga scala contro l’Armenia (20 settembre 2022). Rapporto EVN [QUI].
[6] Dichiarazione dell’Istituto Lemkin sulla violazione dell’accordo di cessate il fuoco da parte dell’Azerbajgian e sul suo attacco non provocato all’Armenia [QUI].
[7] Allarme bandiera rossa – Aggiornamento dell’AzerbaJgian (settembre 2022). Istituto Lemkin per la prevenzione del genocidio [QUI].
[8] Ramil Safarov. Wikipedia [QUI].
[9] Cooper, A. (15 gennaio 2020). Il GP dell’Azerbajgian rivendica un aumento di $ 500 milioni dall’ospitare la gara di F1 [QUI].

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

117° giorno del #ArtsakhBlockade. «Non ci arrendiamo!»: risposta delle donne dell’Artsakh ad Aliyev che le vuole “cacciare come cani” (Korazym 07.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.04.2023 – Vik van Brantegem] – Il 7 aprile, l’Armenia e l’Artsakh celebrano la Giornata della maternità e della bellezza. Centinaia di donne si sono riunite al complesso commemorativo di Stepanakert per deporre fiori sulle tombe dei soldati che hanno perso la vita nella guerra dell’Artsakh. Hanno quindi marciato verso il tratto di strada bloccato come parte della loro protesta in corso contro il blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian. Dal 12 dicembre 2022, l’Azerbajgian ha bloccato il Corridoio di Berdzor (Lachin), noto anche come la Strada della Vita in Artsakh. Sono stati circa tre mesi di scarsità di risorse, interruzioni della fornitura di elettricità e gas e ulteriori sfide causate dal blocco. Oggi nel Caucaso meridionale predomina la cultura del nemico e una armeno-fobia costruita con profusione di mezzi e in modo capillare. I segni premonitori del male non sono mai stati colti e fermati in tempo ed è possibile che oggi si giunga di nuovo al male estremo.

«Ho detto che se non lasciano le nostre terre di loro spontanea volontà, li scacceremo come cani e lo stiamo facendo» (Ilham Aliyev, 17 ottobre 2020).

Foto di Siranush Sargsyan.

«Centinaia di donne si sono riunite presso il complesso commemorativo di Stepanakert per deporre fiori sulle tombe dei soldati passati nella guerra dell’Artsakh e poi si dirigeranno verso la strada del blocco. L’obiettivo di questa azione è il blocco in corso dell’Artsakh» (Siranush Sargsyan).

Foto di Siranush Sargsyan.
Foto di Siranush Sargsyan.
Video 1 di Siranush Sargsyan.

«Non ci arrendiamo! Messaggio delle donne dell’Artsakh al mondo sul blocco illegale e disumano in corso da 4 mesi dell’Azerbajgian del Nagorno-Karabakh con l’obiettivo di pulire etnicamente il Nagorno-Karabakh» (Anush Ghavalyan).

Video 2 di Siranush Sargsyan.

«Le forze di mantenimento della pace russe stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per garantire la vita normale del Nagorno-Karabakh, anche in condizioni difficili quando il Corridoio di Lachin è chiuso», ha affermato l’Ambasciatore russo in Armenia, Sergey Kopyrkin, commentando su richiesta di News.am, l’incidente di martedì quando gli Azeri non hanno permesso a un gruppo di residenti in Artsakh di raggiungere i loro parenti in Artsakh. Kopyrkin ha aggiunto che il ruolo delle forze di pace russe è importante, sia per il sostentamento del Nagorno-Karabakh sia per prevenire possibili tentativi di intensificare la tensione nella regione. «Sai molto bene come lavorano le nostre forze di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh; le informazioni su questo sono costantemente pubblicate. Naturalmente, e la leadership dell’Armenia se ne rende conto, le forze di mantenimento della pace russe svolgono un ruolo molto, molto importante nel garantire il sostentamento e la sicurezza del Nagorno- Karabakh», ha osservato Kopyrkin. Per quanto riguarda i tentativi di screditare le forze di mantenimento della pace russe in Artsakh, Kopyrkin ha esortato a non concentrarsi sui commenti, ma sui fatti. Secondo lui, i fatti dimostrano che queste forze di mantenimento della pace russe stanno facendo di tutto per portare a compimento la missione loro affidata.

Il canale Telegram Peacekeeper comunica che “nell’ambito degli accordi raggiunti, il personale militare del contingente di mantenimento della pace russo ha effettuato l’evacuazione di cittadini della Federazione Russa precedentemente giunti nel territorio del Nagorno-Karabakh. A seguito dell’evento, sono state portate fuori 63 persone, di cui 5 bambini”.

«Il regime illegale instaurato dall’Armenia a Khankendi ha introdotto un divieto di viaggio per gli Armeni etnici che vivono nella regione del Karabakh dell’Azerbajgian. Non possono lasciare il Karabakh senza un permesso speciale. Anche gli Armeni che si rivolgono alle autorità dell’Azerbajgian vengono molestati e arrestati come spie» (Nasimi Aghayev, Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania).

«L’ambasciatore barzelletta Nasimi Aghayev prende tutti per idioti con la presa per i fondelli più sfrenata finora. L’uomo noto per aver falsificato certificati da parte di funzionari statunitensi ti dice “la verità e solo la verità” sui 116 giorni di blocco del Corridoio di Lachin: questo gli Armeni fanno a se stessi.
Come pro memoria: “ecoattivisti” sostenuti dallo Stato spediti da Baku su base regolare bloccano l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh al resto del mondo, creando così una crisi umanitaria bloccando l’accesso ai beni essenziali e ai servizi medici. Transiti rari sono effettuati da veicoli russi e della Croce Rossa rendendo totalmente e assolutamente impossibile qualsiasi sua accusa. Ma chi se ne frega. Proprio come per i nazisti la colpa è sempre stata solo degli Ebrei, qualsiasi propaganda alimentata dall’Aliyevjugend ti spiegherà come gli Armeni se lo sono cercati da soli» (Elena Rštuni).

«La decisione del governo sovietico di separare Zangezur, la nostra terra storica, dall’Azerbaijan e consegnarla all’Armenia ha portato alla separazione geografica del mondo turco» (Ilham Aliyev, Presidente dell’Azerbajgian).

L’autocrate Ilham Aliyev pubblicherà presto la “verità” sulle forze armate armene che attaccano la provincia armena di Suynik, che secondo lui è già “Zangezur occidentale”.

Segnaliamo

  • L’analisi Armenia e karabakh: prevenire un male estremo è possibile? di Pietro Kuciukian, Console onorario della Repubblica di Armenia in Italia, pubblicato il 5 aprile 2023 su Gariwo-La Foresta dei giusti [QUI].
  • L’articolo La CSTO è pronta ad intervenire sul confine armeno-azerbajgiano di Silvia Bortuc, Direttrice di SpecialEurasia, pubblicato il 6 aprile 2023 su Notizie Geopolitiche [QUI].

Cosa c’è in gioco nel Nagorno-Karabakh: gli interessi degli Stati Uniti e il rischio di pulizia etnica
di Lara Setrakian
Kennan Cable No. 81, aprile 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese – Le note si trovano nel testo originale, pubblicato dal Wilson Center [QUI])

In un angolo dell’ex Unione Sovietica, oscurato dalla catastrofe in Ucraina, un blocco voluto dal governo dell’Azerbajgian ha tagliato fuori dal resto del mondo circa 120.000 Armeni del Nagorno-Karabakh. Dal 12 dicembre un gruppo di attivisti, con il sostegno di funzionari governativi e forze militari azere, ha bloccato la libera circolazione del traffico lungo l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia, nota come Corridoio di Lachin [1].

Gli Armeni del Nagorno-Karabakh hanno sopportato un inverno implacabile, con solo un rivolo di rifornimenti umanitari consentiti, insieme a interruzioni intermittenti di gas ed elettricità [2]. Gli Stati Uniti e i loro partner hanno avvertito di una catastrofe umanitaria [3], con il Segretario di Stato americano Antony Blinken che ha ripetutamente invitato l’Azerbajgian ad aprire il Corridoio di Lachin [4]. Il mese scorso, la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato al governo azero di fare lo stesso [5]. Ma il blocco continua nel suo quarto mese, minacciando di far deragliare gli sforzi di pace guidati dall’Occidente e di innescare una nuova tornata di conflitti, con il rischio di pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh. Con o senza scontro violento, il governo azero può costringere la popolazione armena a lasciare la regione, rendendo le loro vite e mezzi di sussistenza sempre più difficili da sostenere.

La questione è più di un battibecco territoriale regionale; è diventato parte di un contesto più ampio, con notevoli interessi statunitensi in gioco. Negli ultimi tre decenni, la presenza di potere forte della Russia nel Caucaso meridionale e la sua influenza sulle ex repubbliche sovietiche hanno fornito a Mosca una leva sufficiente per mantenere la pace tra Armenia e Azerbajgian. Ora l’influenza della Russia sta diminuendo e la sua capacità indebolita è stata messa a nudo. Gli Stati Uniti hanno la prima opportunità dopo la caduta dell’Unione Sovietica di acquisire una posizione significativa nel Caucaso meridionale, riscrivendo l’architettura di sicurezza della regione.

Alla Conferenza sulla sicurezza di München a febbraio 2023, Blinken ha affrontato la questione del Nagorno-Karabakh. Seduto a un tavolo con i leader Armeni e azerbajgiani, ha affermato l’impegno dell’America nel processo di pace, insieme ai partner europei. L’ondata di impegno diplomatico occidentale è iniziata dopo il conflitto ucraino e ha visto un forte aumento dopo gli attacchi azerbajgiani contro l’Armenia vera e propria nel settembre 2022.

Il blocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian è un momento cruciale nel conflitto tra Armeni e azeri sul futuro del Nagorno-Karabakh. I due sono stati in tensione sin dagli ultimi anni dell’Unione Sovietica, anche se i semi del conflitto sono stati piantati molto prima. Negli anni ’20, Josef Stalin, allora commissario per le nazionalità dell’URSS, collocò la regione a maggioranza armena del Nagorno-Karabakh entro i confini dell’Azerbajgian sovietico [6], ma concesse agli Armeni della regione un alto grado di autonomia culturale e di auto-determinazione. La conseguente creazione dell’Oblast autonomo del Nagorno-Karabakh nel 1923 fu una mossa progettata per creare conflitto, mantenendo Armeni e Azeri in uno stato di vulnerabilità percepita che avrebbe richiesto a Mosca di intervenire regolarmente [7].

Quella strategia ha avuto successo. A partire dagli anni ’60, dopo le denunce di repressione culturale e politiche demografiche volte a diluire la loro presenza, gli Armeni del Nagorno-Karabakh iniziarono a presentare una petizione alle autorità sovietiche per la riassegnazione alla SSR armena. Incoraggiati dalle riforme della glasnost e della perestrojka, gli Armeni hanno tenuto un referendum nel 1991, con la stragrande maggioranza della popolazione che ha votato per l’indipendenza del Nagorno-Karabakh [8]. Ma il referendum è stato rifiutato da Baku come illegale e il disaccordo ha scatenato pogrom contro gli Armeni dell’Azerbajgian e violenze interetniche, culminate nella prima guerra del Nagorno-Karabakh. Il conflitto ha ucciso circa 30.000 persone tra il 1991 e il 1994 e ha spinto centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le loro case. Gli Azeri furono costretti a lasciare le terre conquistate dagli Armeni e gli Armeni fuggirono da Baku e da altre parti dell’Azerbajgian [9].

Nel Nagorno-Karabakh, gli Armeni locali hanno prevalso sulle forze azere. Per quasi 30 anni hanno costruito un’autoproclamata repubblica indipendente con elezioni democratiche, una stampa libera e una serie di istituzioni pubbliche. Ufficialmente, è rimasto all’interno dei confini territoriali dell’Azerbajgian, non riconosciuto da alcun Paese straniero, sebbene i mediatori internazionali abbiano fatto riferimento al diritto all’autodeterminazione per gli Armeni locali come parte dei colloqui di pace in corso.

Il governo dell’Azerbajgian desiderava da tempo portare il Nagorno-Karabakh sotto il controllo federale di Baku; la terra controllata dagli Armeni prima della guerra del 2020 costituiva il 20 per cento del territorio ufficialmente riconosciuto dell’Azerbajgian. Nel settembre 2020, sfruttando le sue risorse militari superiori e il sostegno diretto della Turchia, l’Azerbajgian ha lanciato un’offensiva per riconquistare il Nagorno-Karabakh e ha ottenuto significativi guadagni territoriali. Dopo 44 giorni di guerra, nel novembre 2020 Armenia, Azerbajgian e Russia hanno firmato un cessate il fuoco mediato da Mosca, noto come accordo trilaterale [10]. L’accordo garantiva il libero passaggio di persone e merci attraverso il Corridoio di Lachin.

L’obiettivo dichiarato di Baku è la piena reintegrazione del Nagorno-Karabakh in Azerbajgian, con la forza se necessario. Secondo la sua proposta, i residenti Armeni sarebbero trattati come cittadini azeri, senza status e diritti culturali o amministrativi speciali. Gli Armeni vogliono continuare i negoziati condotti a livello internazionale che hanno a lungo incluso nozioni di status speciale e protezione civile. La storia della violenza contro gli Armeni in Azerbajgian, inclusa la recente esecuzione di prigionieri di guerra Armeni e la mutilazione sessuale di donne soldato, dà agli Armeni nel Nagorno-Karabakh poca fiducia nella loro sicurezza. Le misure di rafforzamento della fiducia a livello internazionale richiederebbero molto tempo per creare le condizioni per la pace interetnica.

È in discussione anche il trattamento riservato da Baku alle minoranze etniche e religiose che già vivono sotto il suo controllo; mentre l’Azerbajgian gestisce iniziative di spicco sulle relazioni interreligiose per un pubblico internazionale, ha ricevuto il punteggio più basso possibile da Freedom House per il trattamento delle donne e delle minoranze etniche a casa [11]. Secondo Freedom House, il governo dell’Azerbajgian “ha lavorato per soffocare le espressioni pubbliche dell’identità di Talysh e Lezgin, tra gli altri gruppi presi di mira” [12]. Agli Armeni del Nagorno-Karabakh non interessa seguire la stessa sorte.

Per la maggior parte degli ultimi 30 anni Stati Uniti, Francia e Russia hanno lavorato come partner per aiutare a risolvere il conflitto del Nagorno-Karabakh, fungendo da co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) [13]. Era un progetto che catturava lo zeitgeist geopolitico degli anni ’90: la nuova Russia che lavorava con i principali Paesi dell’Occidente per risolvere i problemi negli ex stati sovietici. Mosca ha svolto il ruolo di forza dura nel presidiare il Caucaso meridionale, mentre gli Stati Uniti e la Francia hanno lavorato di concerto con la Russia per promuovere percorsi diplomatici verso la pace.

Oggi esiste ancora il meccanismo per quella cooperazione, ma è difficile immaginare una leadership collaborativa, dato l’aspro divario tra la Russia e l’Occidente sull’Ucraina. Inoltre, l’esaurimento del potere duro della Russia, insieme alla sua dipendenza economica dalla Turchia e dall’Azerbajgian, l’ha lasciata incapace o riluttante a far rispettare la pace quando Baku cambia i fatti sul campo attraverso la potenza militare. Ciò ha lasciato il conflitto tra Armenia e Azerbajgian a costante rischio di escalation.

Gli Stati Uniti e la Russia potrebbero ancora trovare un modo per collaborare alla pace nel Caucaso meridionale, dove i loro interessi almeno in parte convergono. Ma per il momento, lo slancio è con l’Occidente per portare avanti questa risoluzione del conflitto. Gli Stati Uniti hanno esternalizzato a Brussel la facilitazione dei colloqui di pace tra Armenia e Azerbajgian e, nonostante alcune interruzioni periodiche, il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha guidato un’alternativa visibile e praticabile al percorso negoziale precedentemente condotto da Mosca. La principale carenza dell’accordo è che l’Unione Europea ha difficoltà a scoraggiare l’escalation militare o ad esercitare pressioni per porre fine al blocco del Corridoio di Lachin. Le sanzioni economiche sono un’opzione poco allettante per l’Europa [14], poiché l’UE spera di raddoppiare le importazioni di gas naturale dall’Azerbajgian entro il 2027 [15].

Spetta agli Stati Uniti utilizzare strumenti diplomatici ed economici per castigare entrambe le parti quando intraprendono azioni destabilizzanti. Secondo i diplomatici a Yerevan, l’intervento di Washington è stato cruciale per attenuare le riacutizzazioni tra Armenia e Azerbajgian nell’ultimo anno [16]. In particolare, nel settembre 2022, dopo un’invasione azerbajgiana del territorio sovrano armeno attraverso un’incursione di terra e una serie di attacchi aerei, Blinken ha tenuto chiamate con Baku e Yerevan che sono accreditate per aver ridotto le tensioni e rimesso in carreggiata i colloqui di pace [17], Washington ha anche svolto un ruolo chiave nel convincere l’UE a inviare una missione civile di monitoraggio lungo il confine armeno-azerbajgiano su richiesta di Yerevan [18]. Si trattava di interventi consequenziali che segnalavano un ruolo occidentale più efficace nella costruzione della pace regionale.

Se Washington aumenterà il suo impegno diplomatico, aggiungerà un peso sostanziale e costruttivo agli sforzi di stabilizzazione nel Caucaso meridionale. Gli Stati Uniti hanno un’enorme influenza sulla Turchia; in quanto più stretto alleato dell’Azerbajgian, la Turchia ha fornito un’assistenza cruciale a Baku nelle sue operazioni militari intorno al Nagorno-Karabakh [19]. Gli Stati Uniti hanno i mezzi per dissuadere sia la Turchia che l’Azerbajgian dall’intensificarsi delle operazioni militari contro l’Armenia, usando la minaccia di sanzioni mirate e una riduzione dell’assistenza militare. All’inizio di febbraio, l’Armenia ha fatto concrete aperture per la pace, inviando aiuti alla Turchia dopo il suo devastante terremoto, inviando il suo Ministro degli Esteri a incontrare la sua controparte ad Ankara [20], e consegnare una proposta di pace per una pace globale a Baku [21]. Nessuno di questi è garanzia di una soluzione stabile. Ma creano uno slancio che gli Stati Uniti dovrebbero aiutare a far avanzare, scoraggiando l’Azerbajgian dall’usare la forza come tattica negoziale.

Uno degli strumenti diplomatici più acuti dell’amministrazione Biden è la Sezione 907 del Freedom Support Act, che vincola l’assistenza militare degli Stati Uniti all’Azerbajgian alla condizione che “non comprometta o ostacoli gli sforzi in corso per negoziare un accordo pacifico tra Armenia e Azerbajgian o venga utilizzata per scopi offensivi propositi contro l’Armenia” [22]. Nel gennaio 2022, un rapporto del Government Accountability Office ha rilevato che il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti doveva rafforzare i rapporti e la responsabilità sul fatto che l’Azerbajgian stesse soddisfacendo tali condizioni [23]. Otto mesi dopo, l’Azerbajgian ha lanciato il suo attacco su più fronti contro l’Armenia vera e propria. L’obiettivo di misure come la Sezione 907 non è punire l’Azerbajgian o ostacolare le sue relazioni con gli Stati Uniti, ma aumentare il costo dell’escalation militare e dissuadere l’Azerbajgian dal risolvere la questione del Nagorno-Karabakh con la forza.

Se l’Azerbajgian continua a ignorare l’ordine della Corte Internazionale di Giustizia di porre fine al blocco, gli Stati Uniti, in quanto membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dovrebbero spingere per una risoluzione che richieda lo stesso. Ciò riaffermerebbe la necessità di Baku di attenersi a un approccio basato sulle regole e sulla diplomazia ai negoziati e ai suoi impegni nell’ambito dell’accordo trilaterale, ribadendo al contempo la necessità di una soluzione a lungo termine per la protezione civile nel Nagorno-Karabakh. Aiuterebbe a spostare ulteriormente il conflitto nella sfera internazionale, lontano dall’eccessiva dipendenza dalla Russia, e consentirebbe la cooperazione di più paesi, con i relativi meccanismi delle Nazioni Unite per sostenere gli sforzi di costruzione della pace. Affermare la necessità di una soluzione pacifica a lungo termine al conflitto del Nagorno-Karabakh, in linea con gli impegni esistenti, obbligherebbe i membri del Consiglio di Sicurezza a rendere verbale.

Anche un veto russo su una risoluzione sarebbe un risultato geopoliticamente utile; se Mosca non può accettare di collaborare con altri Paesi per promuovere la pace, allora si compromette come attore costruttivo nel Caucaso meridionale. La formula delle truppe russe come unica forza di mantenimento della pace sul terreno si è dimostrata insufficiente [24]. Il rifiuto della Russia di sostenere una risoluzione del Consiglio di Sicurezza sottolineerebbe la necessità di forze di pace internazionali nel Nagorno-Karabakh, una soluzione che il Parlamento Europeo ha chiesto in una risoluzione del gennaio 2023.

Lasciato solo, lo status quo attorno al Nagorno-Karabakh è pericoloso. Mina le istituzioni internazionali, inclusa la Corte Internazionale di Giustizia, la più alta corte delle Nazioni Unite, che ha ordinato all’Azerbajgian di prendere tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento senza ostacoli dentro e fuori il Nagorno-Karabakh. Crea un pericoloso precedente per conflitti futuri, mettendo in moto una tattica di negoziazione coercitiva che assomiglia a un ricatto umanitario: la popolazione locale deve accettare i termini o affrontare condizioni sempre più difficili attraverso limiti di cibo, carburante e forniture di base. Qualunque sia il pretesto per il blocco – l’Azerbajgian afferma che il Corridoio di Lachin è stato utilizzato per trasportare armi e materie prime dalle operazioni minerarie locali – tali affermazioni possono essere sollevate attraverso tribunali internazionali o arbitrato.

Il blocco sta minando la fiducia in un accordo a lungo termine ed erode la fiducia in Baku come vero partner per la pace. Inoltre, il Presidente Ilham Aliyev ha fatto commenti esacerbati e infiammatori, rivendicando parti dell’Armenia moderna chiamandole “Azerbajgian occidentale”. Ha promesso pubblicamente di perseguire alcune di queste affermazioni con la forza, se non vengono concesse volontariamente [25]. Nessuna di queste politiche o svolazzi retorici contribuisce a un clima di stabilità regionale né è nell’interesse degli Stati Uniti.

Allo stato attuale, gli Armeni del Nagorno-Karabakh stanno affrontando gravi difficoltà; con una scarsità di cibo fresco, forniture mediche e accesso incerto a carburante ed energia [26], il blocco è un messaggio ai residenti che possono anche andarsene. Se ciò dovesse continuare all’infinito, o se gli Armeni venissero reintegrati con la forza in Azerbajgian senza garanzie di sicurezza e conservazione della loro cultura, potrebbe esserci un esodo di massa. In tal caso, il blocco avrebbe essenzialmente successo, ponendo fine alla presenza indigena degli Armeni nel Nagorno-Karabakh.

Il conseguente trauma e le ricadute umanitarie potrebbero spingere l’Armenia a un pericoloso punto geopolitico. Minerebbe la leadership in Armenia e causerebbe turbolenze politiche e sociali quasi certe in un Paese che è stato un esempio di transizione democratica post-sovietica. La pacifica Rivoluzione di Velluto del 2018 ha estromesso i leader cleptocratici dell’Armenia in un reset pro-democratico della politica nazionale [27]. Ha introdotto un governo sotto il Primo Pinistro Nikol Pashinyan che ha compiuto passi senza precedenti verso Washington e altre capitali occidentali [28].

Con la svolta democratica dell’Armenia e il mancato rispetto da parte della Russia dei suoi obblighi di sicurezza, le relazioni tra i due Paesi sono scese a un minimo storico. L’opinione pubblica in Armenia ha mostrato livelli di critica senza precedenti nei confronti delle politiche di Mosca nella regione [29], L’incapacità della Russia di mantenere la pace nella regione, mantenere aperto il Corridoio di Lachin e difendere i confini dell’Armenia secondo i suoi obblighi attraverso l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) e gli accordi bilaterali ha fatto sentire gli Armeni traditi [30]. In risposta, l’Armenia ha lanciato diversi rimproveri imbarazzanti a Mosca [31]. Ha declassato la sua partecipazione alla CSTO con una serie di passaggi, tra cui l’annullamento delle esercitazioni militari pianificate in Armenia per il 2023 e il rifiuto di un’offerta della CSTO per il dispiegamento di osservatori militari lungo il confine armeno con l’Azerbajgian [32]M ha invece optato per una missione di osservatori civili dell’UE [33].

Se l’obiettivo di Washington è ridurre l’influenza russa nel Caucaso meridionale, dovrà offrire un’architettura alternativa di pace e sicurezza per il Caucaso meridionale. Deve iniziare ponendo fine al blocco del Corridoio di Lachin. Se il blocco dovesse riuscire a indurre gli Armeni etnici a lasciare il Nagorno-Karabakh, potrebbe produrre un grado di disperazione e insicurezza tale da costringere l’Armenia ad allinearsi con la Russia, e forse con l’Iran. John Heffern, ex Ambasciatore degli Stati Uniti in Armenia, afferma che i successi della guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 “hanno stuzzicato l’appetito dell’Azerbajgian” verso l’invasione dell’Armenia meridionale, in modi che minacciano la stabilità regionale [34].

Un esodo di Armeni dal Nagorno-Karabakh lascerebbe le regioni meridionali dell’Armenia estremamente vulnerabili all’incursione militare azera. Riporterebbe Mosca in una posizione dominante per impostazione predefinita, sulla base del disperato bisogno anche del minimo intervento di forza forte che potrebbe fornire. Farebbe anche avanzare le posizioni iraniane e le proiezioni di potere nel Caucaso meridionale. Sia l’Iran che la Russia si atteggerebbero a protettori della popolazione armena, assicurando la loro impronta lungo il confine strategico iraniano-armeno-azerbajgiano. Nel caso di un’altra incursione dell’Azerbajgian, che diversi diplomatici occidentali a Yerevan ritengono probabile, il potenziale coinvolgimento di truppe russe, iraniane e turche, insieme a flussi imprevedibili di rifugiati, rappresenterebbe un clamoroso fallimento per gli Stati Uniti – e per l’intera comunità internazionale basata sulle regole – se impedisse efficacemente la pulizia etnica in Ucraina per mano della Russia, solo per vederla avvenire contro gli Armeni da parte dell’Azerbajgian. Promuovere la pace nel Caucaso meridionale è un compito che gli Stati Uniti possono e devono assumersi, con serietà e determinazione. Washington ha già l’infrastruttura diplomatica e la leva nella regione per promuovere un accordo negoziato duraturo a un costo relativamente basso, con guadagni significativi in termini di influenza strategica.

Mosca, desiderosa di mostrare i muscoli che le sono rimasti, potrebbe tentare di ostacolare o far fallire una soluzione guidata dall’Occidente. Ma anche con il rischio di disturbi russi, la diplomazia occidentale può fare progressi sostanziali, riducendo il rischio di una violenta escalation e muovendosi lungo la strada stretta, ma reale, verso una svolta tra le due parti. La maggior parte di ciò che deve accadere per la pace regionale si basa sulle politiche di Baku e Yerevan. Le loro decisioni possono essere influenzate dalla saggia diplomazia di Washington e dall’impegno dei leader occidentali a utilizzare tutti gli strumenti disponibili per ridurre il conflitto nel Caucaso meridionale.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]