Terremoto in Turchia e Siria. Mons. Marayati (armeni): “Non uccide il terremoto ma il comportamento sbagliato dell’uomo” (SIR 17.02.23)

“Non dimenticateci”: è l’appello di mons. Boutros Marayati, arcivescovo di Aleppo degli Armeni cattolici in Siria. Al Sir esprime la sua certezza: “Non è Dio la causa del terremoto ma il comportamento sbagliato dell’uomo. Perché quando si costruiscono case, palazzi, strutture non a regola d’arte poi se ne raccolgono i frutti”

(Foto ANSA/Sir)

“Solo un appello: non dimenticateci”. A lanciarlo, attraverso il Sir, è mons. Boutros Marayati, arcivescovo di Aleppo degli Armeni cattolici in Siria. Dalla seconda città siriana, la più colpita insieme a Latakia, Hama e Tartous, tra quelle controllate dal regime del presidente Assad, il presule ci tiene a descrivere i bisogni di una terra da 12 anni afflitta dalla guerra e ora anche dal terremoto. Ma precisa:

“La comunità armeno-cattolica di Aleppo non lamenta danni particolari alle sue strutture come invece era accaduto durante le fasi più cruente della guerra. Molti nostri fedeli hanno perso la casa. Così abbiamo organizzato, con delle squadre di tecnici, dei sopralluoghi per stabilire le case inagibili da ricostruire in toto e quelle da restaurare”. Come tutte le chiese aleppine anche quella armena ha aperto le porte all’accoglienza di chi ha perso tutto, non solo la casa, ma anche la speranza. “Ridare coraggio a questa gente è fondamentale” dice l’arcivescovo che non si sottrae ad alcune domande, le stesse, rivela, che “mi sento rivolgere dai nostri fedeli e non solo”.

Dodici anni, quasi tredici di guerra, poi la povertà, la pandemia, ora il terremoto. Che senso dare a tutto questo?
Sto cercando di dare un senso a tutte queste tragedie che si stanno verificando, ma non riesco. Ciò che riesco a comprendere è che dobbiamo fare sempre la volontà di Dio. Siamo armeni, siamo un popolo martire, abbiamo vissuto momenti molto più duri di questo. Stavolta abbiamo contro la natura, ma siamo il popolo della vita e

la sfida del terremoto non ci fa paura.

Possiamo rinascere. È questo che diciamo alla gente che incontriamo in strada, nei centri, durante le messe, ovunque ci troviamo. Non siamo fatti per restare sotto terra ma siamo fatti per rinascere, come Gesù che risorgendo ha vinto la morte.

(Foto E.Kajmini)

Il terremoto ha aggravato la condizione già tragica del popolo siriano: viene da chiedersi perché Dio permette queste tragedie? Perché Dio non ha impedito il sisma?
Questa è la grande domanda che pervade ogni uomo e che troviamo anche nella Bibbia. L’uomo, davanti alla sofferenza, si chiede sempre il perché. Pensiamo a Giobbe che soffre senza colpa arrivando a perdere i suoi beni, i suoi figli fino ad essere colpito dalla malattia: è la sofferenza del giusto. È la tragedia dell’uomo che si sente debole e abbandonato da Dio. Ma sappiamo che non è così: Giobbe ci insegna che nel bene e nel male dobbiamo restare sempre attaccati a Lui.

La causa delle nostre tragedie, e in questo caso del terremoto, non è Dio ma siamo noi uomini che sfidiamo la natura.

In un’intervista ad una tv un terremotato di Antakya ha detto che non è il terremoto che uccide ma il cemento, le opere dell’uomo…
Quando si costruiscono case, palazzi, strutture non a regola d’arte poi se ne raccolgono i frutti.

Non è Dio responsabile della morte e della sofferenza di tanti uomini, donne, bambini ma l’uomo con il suo comportamento corrotto e sbagliato.

Pensiamo alla guerra in Siria, di cui nessuno più parla. Anche qui il comportamento dell’uomo, la logica degli interessi particolari e non la cura del bene comune stanno determinando sofferenze enormi.

(Foto Parrocchia latina Aleppo)

Allora come reagire davanti a questa tragedia?
Con la solidarietà, restando uniti materialmente e spiritualmente nella consapevolezza che il Signore non ci abbandona. È quello che stiamo facendo dopo il sisma. Come Chiese abbiamo subito aperto le porte a tutti, dando aiuto a chi è nel bisogno. Ma è solo la fase dell’emergenza. Il lavoro più duro, come ho già detto, è rendere di nuovo agibili le case lesionate e ricostruire quelle crollate. Ma abbiamo un nemico potente che ci ostacola…

Chi è?
La paura. La gente è nelle strade, impaurita e sconvolta. In molti dormono nelle auto, nei saloni parrocchiali, nelle tende. Sono sempre vestiti perché vogliono farsi trovare pronti a fuggire ogni volta che arrivano le scosse. Si è diffusa la fobia e non vogliono rientrare in casa. Nemmeno durante la guerra abbiamo patito così tanto la paura. Stiamo cercando esperti, medici e psicologi per aiutare le persone ad affrontare questo stress cui non siamo abituati.

Oggi arriva in Siria il Prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, mons. Claudio Gugerotti. Dopo quella del nunzio apostolico, card. Mario Zenari, un altro rappresentante pontificio viene ad Aleppo per esprimervi la vicinanza di Papa Francesco…
Per noi è davvero importante poter accogliere un rappresentante di Papa Francesco. Questa vicinanza ci incoraggia, non ci fa sentire soli, entra nel cuore della gente e ci aiuta a superare momenti davvero duri. Ma vorrei ricordare anche la presenza fattiva di tante organizzazioni cristiane e agenzie umanitarie. Il loro aiuto è vitale per noi. In questi ultimi anni ci siamo sentiti isolati dal mondo, la guerra in Siria non interessa più nessuno. Purtroppo è servito un tragico terremoto per far tornare a parlare di Siria.

In questi ultimi giorni da più parti si sono levati appelli per chiedere l’allentamento delle sanzioni internazionali alla Siria. Gli Usa hanno deciso di sospenderle per sei mesi così da facilitare l’arrivo di aiuti alla popolazione. Ne sentite gli effetti?
Da anni chiediamo di togliere le sanzioni. Non è un problema politico ma umanitario. Qui c’è gente che muore per mancanza di aiuti, di medicine, l’embargo è antiumano. Abbiamo sentito parlare dell’allentamento delle sanzioni da parte degli Usa ma, almeno adesso, fatichiamo a vederne gli effetti positivi.

Il 26 marzo la Chiesa italiana raccoglierà nelle parrocchie dei fondi da destinare alle popolazioni terremotate di Turchia e Siria.
Sentiamo molto l’affetto della Chiesa cattolica italiana. Ci è sempre stata vicina in questi anni e lo è ancora di più adesso, dopo il terremoto. Ringrazio il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, per questa vicinanza che infonde speranza ai siriani provati e impauriti. Mi sento di lanciare solo un appello: non dimenticateci”.

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Il Molokano su Tempi. Appello per l’Artsakh. Come possono Italia e Israele tradire la loro sorella Armenia? (Korazym 17.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 17.02.2023 – Renato Farina] – Amo tre popoli, tre nazioni, tre Stati, tre storie. In ordine alfabetico Armenia, Israele, Italia. Sono cittadino armeno di religione Molokana. Perseguitati in Russia dal potere politico e da quello ecclesiastico, la mia comunità di “bevitori di latte” (=Molokani) si insediò, accolta con benevolenza, vicino al Lago di Sevan, meraviglia di acque color zaffiro. Come potevano rifiutare gli Armeni dei poveretti inseguiti da tutte le parti, loro che hanno vissuto il genocidio per mano turca (un milione e mezzo di assassinati perché Cristiani e Armeni, essendo i due concetti inseparabili)?

Sono Armeno. E come tale sono Italiano! È nell’isola di San Lazzaro, a Venezia, che la cultura armena ha il suo scrigno immarcescibile di fede e cultura. La mia scrittrice del cuore è Antonia Arslan Armena-Italiana, e in lei questa comunione è sbocciata come una rosa che rifiorisce ogni giorno.

Sono Armeno. E perciò Israeliano. So bene che lo Stato ebraico non riconosce la definizione di genocidio per le stragi e per i pogrom che hanno decimato e sparpagliato nel mondo gli Armeni. Appartiene questo alla volontà di annacquare l’unicità della Shoa, forse dimenticando che Hitler si convinse della praticabilità della “soluzione finale” contro gli Ebrei studiando l’orrendo lavoro della macelleria ottomana e il perfetto silenzio che ne garantì l’impunità internazionale.

Italia e Israele perché allora avete tradito vostra sorella Armenia? D’accordo, è una questione di geopolitica che ha indotto i governi a stringere patti con lo Stato canaglia dell’Azerbajgian incarnato dal suo dittatore Ilham Aliyev. Ma pugnalare l’aggredito e osannare un’autocrazia sterminatrice condurrebbe Dante (con buona pace del bravo Ministro Gennaro Sangiuliano) a far precipitare nell’inferno vicino a Bruto i governi che calpestano un popolo orfano, che sarebbe obbligo biblico.

Sulla schiena del governo italiano appendiamo questa sintesi dell’ignominia perpetrata. Per avere certezze sulle forniture di gas azero per sostituire quello russo, il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha sottoscritto a nome di tutti gli Italiani, e dichiarando di muoversi con l’appoggio informato del Premier Giorgia Meloni, un accordo di collaborazione militare. Addestreremo soldati azeri. Spareranno con maggior precisione le loro cannonate verso il mio villaggio? Proprio in quei giorni era in pieno corso lo strangolamento dei 30 mila bambini armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh con il laccio della fame e dell’embargo di medicinali. Sono stato di nuovo dove i giannizzeri di Aliyev, mascherati da ecologisti, bloccano il corridoio di Lachin impedendo qualsiasi approvvigionamento di beni vitali ai 120 mila armeni che non accettano di essere cacciati dal loro nido millenario. Realpolitik? Servilismo maramaldo e pure suicida. L’Italia sta appoggiando la rinascita dell’impero ottomano sulle ceneri della più antica nazione cristiana. Ma non erano le radici cristiane la cifra annunciata dell’identità del governo Meloni? Verba volant, scripta manent… e gli “scripta” recano le firme congiunte di chi nega il genocidio per poterlo rifare e dei complici morali e operativi. Per favore, Giorgia, ritratta quel patto militare. Il gas non può costare come la vostra anima.

Israele. È sempre più sfacciata l’alleanza con Aliyev in chiave anti-armena. L’Ambasciatore di Israele in Azerbaigian, George Deek, al programma televisivo azero Calibre: «Penso che i rapporti tra Israele e l’Azerbajgian debbano continuare a espandersi. L’evento più significativo (di questa amicizia) è stato quando l’Azerbajgian è entrato nella seconda guerra del Karabakh: siamo stati qui, spalla a spalla con il nostro partner e amico».

Armi turche per l’Azerbajgian

Come come… Di sicuro Israele ha fornito armi innovative, ma anche soldati per usarle? L’Ambasciatore israeliano non ha fornito particolari sull’assistenza militare data durante la guerra dei 44 giorni del 2020. Di recente sono tornati in Azerbajgian dalla Turchia, avvolti da un entusiasmo dedicato di solito agli eroi, i reparti dell’esercito finalmente addestrati a maneggiare i droni Bayraktar forniti dal neo-sultano Erdoğan e decisivi per annientare i male armati resistenti armeni. Traduzione: nel 2020 a combattere con i suoi killer gli Armeni è stata una potenza militare della NATO, essendo gli Azeri incompetenti. Possiamo pensare lo stesso a proposito del Paese e del popolo che amo? Mi rifiuto di crederlo. Combatto, scrivendo su Tempi e parlando in qualunque contesto, chi si presenta per quello che è: un assassino dei miei fratelli. Ma accidenti il nemico fa il nemico. Ma come fanno due popolo amici a non ribellarsi e a non inondare di proteste e disgusto i loro governi che ci sorridono e poi fanno i fornitori e i propagandisti del nostro genocidio? (Aspetto nel mio villaggetto, sul lago di Sevan, le repliche dei due governi. Informate prima del viaggio il vostro partner azero, mica che ci restiate secchi causa fuoco amico).

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di febbraio 2023 di Tempi.

Un Paese messo alla fame in un conflitto invisibile

Il 1° febbraio scorso abbiamo pubblicato un video che racconta Il racconto delle sofferenze subite dalla popolazione dell’Artsakh, dopo che sedicenti ambientalisti azeri dal 12 dicembre 2022 hanno bloccato il Corridoio di Berdzor (Lachin), unica via di comunicazione tra l’Artsakh e l’Armenia. Nel video di Artak Beglaryan, Consigliere del Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, si raccontano le difficili condizioni di vita di bambini, anziani, malati e disabili. La gente è stata costretta a ricorrere alla legna per riscaldare le case, scuole e asili sono stati chiusi, negli ospedali le operazioni chirurgiche sono state sospese. Gli abitanti hanno ricevuto dei voucher che garantiscono ogni mese una quantità stabilita di grano saraceno, pasta, riso, olio e zucchero. «Ma anche fare una semplice zuppa è diventato impossibile». Il video è stato mostrato in anteprima all’incontro Karabakh. Il conflitto invisibile. Cosa sta succedendo alla popolazione dell’Artsakh che – come abbiamo annunciato – si è svolto martedì 31 gennaio 2023 a Milano, cui hanno partecipato la scrittrice Antonia Arslan e Mario Mauro, già Ministro della Difesa e Vicepresidente del Parlamento Europeo, con la moderazione di Emanuele Boffi, Direttore di Tempi.

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Un viaggio in Armenia, restando a Lugano (Ti0.ch 17.02.23)

Questa sera va al Teatro Foce va in scena “Garò – Una storia armena”

LUGANO – Un viaggio in Armenia, senza muoversi da Lugano: lo si potrà fare questa sera al Teatro Foce di Lugano, dalle 21, grazie a “Garò – Una storia armena”, spettacolo della compagnia Anfiteatro scritto e diretto da Giuseppe di Bello e interpretato da Stefano Panzeri.

Attraverso le parole di un Meddah, un narratore della tradizione, apparirà un affresco sul popolo armeno, appassionato, curioso e rispettoso, che alterna momenti intimi emozionanti e profondi ad altri più leggeri e divertenti per raccontare la nascita, i riti di passaggio, i giochi e le feste, che porteranno gli spettatori a entrare in contatto con alcuni dei “colori” di questa cultura straordinaria; ma pure con le ansie e le paure, perché sugli armeni di questo villaggio, come su quelli di tutti gli altri villaggi o città, incombe la folle minaccia di una giovane classe dirigente turca portatrice di un’ideologia nazionalista, che sfocerà nella pianificazione e nell’attuazione del più atroce e terribile dei crimini: il genocidio.

“Garò – Una storia armena” è proposto in collaborazione con la Comunità Armena del Ticino. Prevendita su Biglietteria.ch.

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Armenia, storia breve del Paese (algroud.com 16.02.23)

L’Armenia ha una storia lunga e complessa che si estende per oltre 3000 anni. Qui di seguito sono riportati i punti più importanti della storia dell’Armenia:

  • Età antica: l’Armenia è stata abitata fin dal II millennio a.C. e ha conosciuto una serie di dinastie e imperi locali. Nel 301 d.C., l’Armenia è stata il primo paese a dichiarare il cristianesimo come religione di stato. Questa decisione è stata influenzata dal lavoro dei missionari cristiani, tra cui Gregorio l’Illuminatore, venerato come santo dalla Chiesa apostolica armena.
  • Periodo medievale: nel VII secolo, l’Armenia è stata conquistata dagli Arabi, che hanno introdotto la religione islamica. Nel IX secolo, i Bagratidi hanno fondato un regno indipendente in Armenia. Nel XII secolo, l’Armenia è stata conquistata dai turchi selgiuchidi e poi dai mongoli. Nel XIV secolo, l’Armenia è stata governata dai re armeni della dinastia dei Proshian. Nel XVI secolo, l’Armenia è stata conquistata dagli Ottomani e dai Safavidi persiani, e la popolazione armena ha subito massacri e deportazioni.
  • Periodo moderno: dopo la caduta dell’Impero ottomano, l’Armenia ha dichiarato l’indipendenza nel 1918. Nel 1920, l’Armenia è stata occupata dall’Unione Sovietica e incorporata come Repubblica Socialista Sovietica dell’Armenia. Durante il periodo sovietico, l’Armenia ha conosciuto un periodo di modernizzazione e sviluppo industriale, ma anche di repressione politica. Nel 1988, l’Armenia ha avviato una campagna per il controllo del Nagorno-Karabakh, che ha portato a un conflitto armato con l’Azerbaigian.
  • Indipendenza: nel 1991, l’Armenia ha dichiarato l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Negli anni ’90, l’Armenia ha conosciuto una crisi economica e politica, seguita da un periodo di riforme economiche e politiche volte a favorire la liberalizzazione dell’economia e la democratizzazione del sistema politico. Tuttavia, l’Armenia deve ancora affrontare alcune sfide, tra cui il conflitto con l’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh e la lotta contro la corruzione.

Ordinamento dello Stato

L’Armenia è una repubblica parlamentare, il che significa che il potere esecutivo è esercitato dal governo, mentre il potere legislativo è esercitato dal Parlamento. Il Presidente è il capo di Stato eletto direttamente dal popolo per un mandato di sette anni, ma il ruolo ha principalmente funzioni rappresentative. Il governo è invece guidato dal Primo Ministro, che è il capo di governo ed è nominato dal presidente, in base alla maggioranza dei partiti rappresentati nel Parlamento. Il Parlamento dell’Armenia è composto da 132 membri eletti ogni cinque anni attraverso un sistema proporzionale a lista aperta.

Il sistema proporzionale a lista aperta è un metodo di elezione in cui i voti sono contati in base alle preferenze espresse dagli elettori per i singoli candidati, piuttosto che per i partiti nella loro interezza. In questo sistema, ogni partito presenta una lista di candidati che competono per i seggi disponibili in un’elezione. Gli elettori possono votare per uno o più candidati nella lista del partito, ma anche indicare un ordine di preferenza tra i candidati, esprimendo la loro preferenza per un candidato specifico all’interno della lista.

Il numero di seggi assegnati a ciascun partito è determinato dalla percentuale di voti che il partito riceve. Successivamente, i seggi vengono assegnati ai candidati in base all’ordine di preferenza stabilito dagli elettori nella lista del partito.

Il sistema proporzionale a lista aperta offre maggiore flessibilità agli elettori, che hanno la possibilità di scegliere i candidati che preferiscono all’interno della lista del partito. Inoltre, questo sistema promuove la rappresentanza dei candidati di minoranza all’interno di un partito, che altrimenti potrebbero essere esclusi dalla competizione elettorale. Tuttavia, può essere un sistema complesso e richiedere un conteggio delle preferenze elettorali più elaborato.

Popolazione dell’Armenia

La popolazione dell’Armenia è principalmente di etnia armena, che costituisce circa il 98% della popolazione totale. Tuttavia, ci sono anche alcune minoranze etniche presenti nel paese. Le principali minoranze etniche in Armenia sono:

  • Yazidi: la comunità yazida dell’Armenia è concentrata nella regione di Aragatsotn, a nord-ovest della capitale Erevan. Si stima che ci siano circa 35.000 yazidi in Armenia, che rappresentano circa il 1,2% della popolazione totale.
  • Russi: gli immigrati russi sono presenti in Armenia fin dall’epoca sovietica, quando l’Armenia faceva parte dell’Unione Sovietica. Oggi, la comunità russa in Armenia conta circa 10.000 persone.
  • Curdi: i curdi in Armenia sono concentrati principalmente nella regione di Gegharkunik, nel sud-est del paese. Si stima che ci siano circa 3.000 curdi in Armenia.
  • Assiri: la comunità assira in Armenia è concentrata principalmente nella regione di Armavir, a sud-ovest di Erevan. Si stima che ci siano circa 2.000 assiri in Armenia.
  • Greci: i greci in Armenia sono presenti in piccolo numero, principalmente a Erevan. Si stima che ci siano circa 1.500 greci in Armenia.

È importante notare che la maggior parte delle minoranze etniche in Armenia si sono integrate nella società armena e la maggior parte dei gruppi etnici vivono in pace e armonia.

Economia dell’Armenia

L’Armenia ha un’economia di mercato, che si basa sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sul libero scambio di beni e servizi. Il governo armeno ha adottato politiche economiche di liberalizzazione negli anni ’90, dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica, e ha continuato a sviluppare e rafforzare il suo sistema economico negli anni successivi.

Settori chiave dell’economia armena includono l’agricoltura, l’industria manifatturiera, i servizi e il turismo. L’agricoltura è importante soprattutto per la produzione di frutta, ortaggi e uva, che sono esportati in diversi paesi. L’industria manifatturiera comprende la produzione di prodotti tessili, alimentari, di metallurgia e di elettronica, che sono esportati o utilizzati per la produzione di beni destinati alla domanda interna. Il settore dei servizi è in crescita e comprende la finanza, il commercio, il trasporto e il turismo.

L’Armenia è un membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e ha sottoscritto accordi commerciali con diversi paesi, tra cui gli Stati Uniti e l’Unione europea. Inoltre, il paese fa parte di organizzazioni regionali, come l’Unione economica eurasiatica, che mirano a favorire lo sviluppo economico attraverso la promozione del commercio e dell’integrazione regionale.

Tuttavia, l’economia armena deve affrontare ancora alcune sfide, tra cui la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di energia, la scarsità di risorse naturali e l’elevato tasso di emigrazione dei giovani. Il governo sta cercando di affrontare queste problematiche attraverso politiche volte a favorire l’attrazione di investimenti stranieri e lo sviluppo del settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione

L’arte armena

L’arte armena è una forma d’arte che ha una lunga storia che risale almeno al IV millennio a.C. ed è stata influenzata da diverse culture e periodi storici. L’arte armena include sculture, dipinti, miniature, tessuti, gioielli, architettura e manoscritti.

Uno dei maggiori esempi di arte armena è rappresentato dalle antiche croci in pietra, che possono essere trovate in tutto il paese. Queste croci dette katchkar sono state create in varie epoche storiche e rappresentano un mix di stili architettonici e motivi ornamentali. Le croci armeni hanno spesso figure zoomorfe e vegetali, nonché motivi geometrici e religiosi.

L’architettura armena è anche una forma d’arte importante. Uno degli esempi più noti è la Cattedrale di Echmiadzin, che è la chiesa cristiana più antica del Paese. La cattedrale è stata costruita nel IV secolo ed è stata restaurata diverse volte nel corso dei secoli. L’architettura armena è nota per l’uso di pilastri e archi, oltre alla decorazione elaborata delle pareti e delle cupole delle chiese.

Le miniature armene sono un’altra forma d’arte importante. Le miniature sono state utilizzate per decorare manoscritti e libri per molti secoli. I manoscritti armeni sono famosi per la bellezza delle loro illustrazioni e delle loro calligrafie. Molti di questi manoscritti sono ora conservati in musei in tutto il mondo.

Infine, i tessuti e i gioielli sono anche importanti forme d’arte armena. I tessuti sono spesso decorati con motivi floreali e geometrici, e sono realizzati utilizzando tecniche tradizionali. I gioielli armeni sono noti per l’uso di gemme e metalli preziosi, e spesso presentano motivi simbolici.

In generale, l’arte armena è una forma d’arte molto diversa e interessante che ha avuto un impatto duraturo sulla cultura armena e su quella mondiale.

Rivendicazioni dell’Armenia

L’Armenia sostiene la rivendicazione territoriale del Nagorno-Karabakh, un territorio conteso tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Il Nagorno-Karabakh è una regione etnicamente armena all’interno dell’Azerbaigian, che ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza nel 1991, durante il crollo dell’Unione Sovietica. La regione ha poi subito un conflitto armato tra l’Armenia e l’Azerbaigian, che ha provocato la morte di migliaia di persone e il dislocamento di centinaia di migliaia di profughi.

Attualmente, il Nagorno-Karabakh è sotto il controllo di fatto delle autorità armeni, ma non è riconosciuto come uno Stato indipendente dalla maggior parte della comunità internazionale, compreso l’Azerbaigian. Il governo armeno sostiene la posizione che il Nagorno-Karabakh debba essere riconosciuto come uno Stato indipendente e sovrano, mentre l’Azerbaigian insiste sulla propria sovranità sul territorio e sulla necessità di trovare una soluzione pacifica attraverso il dialogo e la diplomazia.

Oltre al Nagorno-Karabakh, l’Armenia sostiene anche la rivendicazione territoriale sulla regione di Nakhchivan, una exclave azerbaigiana separata dal territorio principale dell’Azerbaigian e confinante con l’Iran, la Turchia e l’Armenia. L’Armenia sostiene che Nakhchivan sia un’area storicamente armena, ma l’Azerbaigian ha respinto queste affermazioni e rifiuta di considerare la possibilità di una cessione territoriale.

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Turchia e Siria, la diplomazia degli aiuti (Terra Santa 16.02.23)

Fulvio Scaglione

16 febbraio 2023

Il terrificante terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria ha prodotto una serie di scosse di assestamento anche in politica. Recep Tayyep Erdogan difficilmente avrebbe immaginato che a muoversi tra i primi per portare aiuto sarebbero state l’Armenia e la Grecia, due Paesi che con la Turchia hanno relazioni a dir poco travagliate.


Tra Armenia e Turchia, divise da rancori profondi fin dal genocidio degli armeni del 1915 e che si sono rinfocolati quando l’Azerbaigian, armato e appoggiato dalla Turchia, ha invaso e occupato parte del Nagorno Karabakh armeno l’anno scorso, non esistono relazioni diplomatiche, e per far passare gli aiuti armeni i turchi hanno dovuto riaprire il ponte del valico di Margara, che avevano chiuso trent’anni fa. Non solo: il ministro degli Esteri armeno, Arat Mirzoyan, ha visitato la città turca di Adiyaman, come tante altre sconvolta dal terremoto, con un gesto che certo influirà sul processo di disgelo che da qualche tempo, anche se con andamento incerto, è in corso tra Erevan e Ankara.

La diplomazia dell’emergenza funziona, pare, anche nell’altro senso: l’Azerbaigian vuole che prima di un accordo tra Armenia e Turchia ne sia firmato uno tra Armenia e Azerbaigian, per certificare lo status quo della recente conquista. E sa che l’appoggio della Turchia è decisivo. Così, per non farsi “superare” dai nemici armeni, ha inviato tra le macerie delle città turche la più folta tra tutte le squadre di soccorso, ben 900 uomini, superando quelle non piccole di (nell’ordine) Spagna, Cina (467 uomini, e la cosa non è passata inosservata), Israele (450, a conferma del miglioramento dei rapporti, come abbiamo già raccontato in questo blog) e Russia (401).

Quasi altrettanto si può dire della Grecia, il Paese che Erdogan ha scelto come «nemico esterno» da conservare mentre andava a sanare vecchie cicatrici con Israele, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Anche da Atene sono arrivati aiuti, consegnati personalmente dal ministro greco della Protezione civile. E il ministro greco degli Esteri, Nikos Dendias, ha visitato la provincia di Hatay, una delle più colpite, insieme con il collega turco Mevlut Cavusoglu. Non basterà a risolvere tutti i problemi (Erdogan ha più volte minacciato l’azione militare contro la Grecia) ma a livello diplomatico qualcosa cambierà.

Non cambia nulla, invece, per la Siria, Paese ridotto in povertà dalla guerra (era totalmente autosufficiente fino al 2011) e tenuto nella miseria dalle sanzioni internazionali, che non hanno ottenuto nulla dal punto di vista politico però accrescono grandemente le sofferenze della popolazione. L’unica cosa sensata e degna era, di fronte a una tragedia come quella del sisma, era sospendere almeno provvisoriamente le sanzioni e far arrivare la massima quantità di aiuti. Finirà, invece, che gran parte dei soccorsi andrà alle zone controllate dai miliziani islamisti appoggiati dalla Turchia (oggi si chiamano Governo di salvezza nazionale, prima erano Hayyat Tahrir al-Sham, prima ancora Al Nusra, all’origine Al Qaeda) che a sua volta controlla gran parte degli accessi alle regioni del Nord dove le scosse hanno fatto più danni e che, ovviamente, indirizzerà i soccorsi dove preferisce. Assad fa il resto, con riserve, ritardi e blocchi che si scaricano sul già sofferente popolo siriano.

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CALAMITÀ NATURALI, FATTORI DI PACE? (Gariwo 16.02.23)

Il professor Mauro Magatti, nell’articolo di spalla del quotidiano Avvenire del 12 febbraio 2023, sosteneva che per la concordia dei popoli non basta il fattore economico. Ad aprire spazi per la pace in questo mondo “scardinato” occorre, sosteneva, “la non-meccanica dello spirito”.

Vorrei sottolineare che nella catena deterministica di azioni e reazioni, esistono accadimenti naturali tragici, inattesi, richiami potenti alla nostra fragilità che possono sollecitare azioni, scelte umane, capaci di modificare il corso degli eventi. Dal passato al presente, ieri e oggi, terremoti devastanti. Più di trent’anni fa, nel 1988 in Armenia, allora repubblica sovietica, all’indomani del terremoto che fece ufficialmente 26.000 vittime, Michail Gorbaciov presidente dell’Urss che si trovava a New York, diramò un ordine, impensabile nell’epoca in cui la cortina di ferro era ancora attiva ed efficace: gli aiuti provenienti da tutte la nazioni potevano giungere senza problemi di autorizzazione in Armenia. Prima fra tutte le nazioni, gli Stati Uniti d’America che inviarono un gigantesco cargo all’aeroporto di Zvartnoz. Anche l’Italia fu tra i primi paesi a portare soccorso con la Protezione Civile, gli Alpini di Bergamo e l’ospedale mobile che fondò nell’area del terremoto il “Villaggio Italia”. Anch’io mi recai a Spitak, l’epicentro del terremoto, in qualità di medico interprete e grande fu la mia meraviglia quando, all’arrivo, vidi che si abbracciavano i militari della NATO con quelli del Patto di Varsavia. Ogni barriera era stata abbattuta, ogni inimicizia scomparsa, l’umanità aveva trovato se stessa.

Oggi assistiamo ad un altro grande evento. Il catastrofico terremoto in Turchia e in Siria ha fatto crollare l’ultimo tratto della “cortina di ferro” . Il confine fra Armenia e Turchia era chiuso da trent’anni, sbarrato da parte turca in seguito alla guerra nel Nagorno Karabagh. In questi giorni sono partiti due aerei cargo armeni con tecnici, operatori, medici, aiuti umanitari alla volta della Turchia orientale e della Siria; ma, fatto più importante, è stato aperto il confine terrestre fra Armenia e Turchia a Margara, nella regione di Armavir, il valico di frontiera più vicino alla Turchia da Yerevan. Lungo il ponte sul fiume Arax sono transitati cinque camion armeni con 100 tonnellate di soccorsi di ogni genere per le popolazioni colpite dalla tragica calamità. Ancora più strana e inimmaginabile è stata l’iniziativa di una colletta fra gli abitanti del Nagorno Karabagh, regione assediata e bloccata da due mesi da parte dell’Azerbaigian, stretto alleato della Turchia; una popolazione affamata, senza gas e elettricità, si mobilita per aiutare i terremotati turchi e siriani. Il bene è riuscito a prevalere in quest’epoca che appare irrimediabilmente attratta dal male.

Inoltre mercoledì 15 febbraio c’è stato un importante appuntamento: il ministro degli esteri dell’Armenia si è recato in Turchia per incontrare il ministro degli esteri turco Cavusoglu.

La capacità dei governanti di modificare il determinismo degli eventi di fronte alle calamità naturali, è frutto della voce della coscienza ? O di un “impeto di umanità” simile all’agire dei giusti che nel buio del male accendono luci di bene? E’ in ogni caso un esempio della “non meccanica dello spirito”. L’auspicio è che possa diventare un precedente per l’assunzione di un “impegno comune rispetto ai problemi planetari”.

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La Basilica di Santa Maria Maggiore di Siponto: punto d’incontro tra l’Oriente e l’Occidente (Manfredonianews 16.02.239

Sull’importanza che la Puglia ha rappresentato,per la sua collocazione geografica, nel passato come ponte tra le culture d’Oriente e d’Occidente,tutti gli storici sono d’accordo.

Siponto è stata uno dei più importanti pilastri di questo ponte e la Basilica di Santa Maria Maggiore ne è la più bella e straordinaria testimonianza. E’ noto che sin dai primi tempi apostolici a Siponto fu attiva una comunità ebraica ,forse la più importante  e, intorno al X Secolo una  comunità Armena  attestata in una zona tra Manfredonia e Foggia :  Casale  Faziosi. Gli Armeni furono, secondo gli storici i primi veri costruttori di chiese Cristiane sia a volta che a cupola di cui furono i precursori. Tante  e bellissime le testimonianza di un  Popolo, quello Armeno, sfortunato e perseguitato, che seminò cultura e religiosità cristiana autentiche. Furono, gli armeni,   costruttori fortissimi di chiese e architetti e teologi insuperabili.

La chiesa di santa Maria Maggiore di Siponto, eretta  nella metà dell’XI Sec. ha infatti dei peculiari influssi architettonici armeni, impreziositi e completati dallo straordinario Romanico Pugliese.

Non è escluso che maestranze Bizantine, che eressero la Santa Maria, abbiano preso a modello le note chiese Armene

Stretti, peraltro, furono i legami dell’Arcivescovo Leone con le gerarchie bizantine nelle quali con tutta probabilità, figuravano dei funzionari armeni. Attinenze architettoniche tra la santa Maria e le chiese armene si possono riscontrare sulle facciate: colonne e arcatelle ma anche dall’impostazione della pianta quadrata e della cupola appoggiata su quattro colonne centrali.

Della originaria cupola della chiesa di Siponto non si sa nulla perché essa crollò  in due eventi sismici successivi: nel 1223  e  nel 1225.  L’attuale copertura   ad una unica volta a crociera è stata realizzata in epoca successiva e con evidenze barocche.

Le foto delle cupole delle chiese armene coeve alla Santa Maria, ci danno cupole poggianti su quattro pilastri centrali   e mi inducono a pensare (è solo un mio pensiero) che anche la Santa Maria avesse una cupola centrale secondo i motivi architettonici   armeni.

E’ questo un altro esempio, se ce ne fosse ancora bisogno, di come la nostra Basilica ,quella in pietra bianca..   merita una   giusta attenzione perché venga sempre di più  tutelata e dovrebbe essere  senza alcun dubbio    annoverata   tra i monumenti      “Patrimonio dell’Umanità”.

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Il terremoto sta trasformando le frontiere della Turchia (Insider Over 16.02.23)

Da quando la terra ha tremato violentemente il 6 febbraio scorso, il sisma ha iniziato a riplasmare la geopolitica turca. Questo non solo perché la corsa agli aiuti ha rivelato una postura internazionale differente nei confronti di Erdogan e del suo Paese, ma perché la tragedia sta modificando radicalmente la permeabilità delle frontiere turche: Ankara, oggi, sembra meno un “fortino assediato”. Quanto durerà questo stato di grazia? Stiamo per assistere a una ridefinizione del Caucaso? Difficile dirlo, vista la fragilità dell’area e le numerose acredini sedimentatesi nel tempo: tuttavia, mentre si contano ancora le innumerevoli vittime, qualcosa di epocale sta accadendo lungo i confini della Turchia.

L’apertura della Grecia

Il Mediterraneo orientale, negli ultimi due anni, era tornato ad essere il teatro della guerra fredda tra Turchia e Grecia. Eppure, il primo rappresentante europeo a recarsi in Turchia è stato proprio il ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias. Dendias è stato accolto in quel della provincia di Adana dal suo omologo Mevlut Cavusoglu che si è affrettato a dichiarare quanto sia “importante il sostegno greco in questi giorni difficili”. Soltanto ieri, durante una conferenza stampa ad Ankara con l’omologo israeliano in visita Eli Cohen, Cavusoglu ha inviato un messaggio di normalizzazione delle relazioni della Turchia con i paesi del Mediterraneo orientale, tra cui Israele e Grecia. “Vogliamo stabilità e pace nella nostra regione. I passi che abbiamo compiuto per normalizzare le nostre relazioni con i paesi della regione, in particolare con Israele, sono evidenti. Spero che la nostra solidarietà durante questo terremoto sia decisiva anche per aprire una nuova pagina con la Grecia. Pertanto, come tutti i paesi della regione, dobbiamo continuare a lavorare per la stabilità, lo sviluppo economico e la pace della nostra regione”, ha affermato.

Nel frattempo, la stampa stressa come mai prima questo riavvicinamento: il quotidiano turco Hurriyet, nella sua prima pagina di martedì scorso, ha ringraziato la Grecia titolando con “Efxaristo poli file” (“grazie mille amico”, in greco) per ringraziare pubblicamente i membri dell’unità di soccorso dell’EMAK in Grecia dopo il completamento della loro missione. Un gesto tutt’altro che simbolico.

Armenia: un confine rimasto chiuso trent’anni

Le ragioni della discordia tra Armenia e Turchia affondano le radici nella notte dei tempi. Da circa trent’anni il valico di Margara e il ponte stradale che permette di attraversare il fiume Aras fino all’altopiano anatolico giacevano deserti e inattraversati: lo scorso sabato, proprio da questa rotta, sono transitati cinque tir di aiuti umanitari partiti da Erevan per raggiungere le zone colpite dal terremoto, dove era già all’opera una squadra di soccorritori armeni. La Turchia aveva chiuso la frontiera nel 1993 durante la prima guerra del Karabakh tra Armenia e Azerbaigian. Dopo la seconda guerra del Karabakh, nel 2020, gli sforzi per normalizzare le relazioni – compresa la riapertura del confine – sono stati ripresi, anche se finora non hanno dato frutti significativi.

A corredo dell’apertura delle frontiere, ieri la visita storica del ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan in Turchia: “Considero simbolico che sabato il confine armeno-turco, chiuso da 30 anni, sia stato aperto ai camion armeni carichi di aiuti umanitari diretti ad Adiyaman”, ha detto Mirzoyan durante una conferenza stampa congiunta con l’omologo turco Cavusoglu. Quest’ultimo ha affermato che l’assistenza umanitaria rafforzerà i negoziati per il ripristino dei rapporti diplomatici tra Armenia e Turchia e l’apertura del loro confine condiviso e che “Il processo di normalizzazione continua nel Caucaso meridionale”. Ma c’è di più: dai due Paesi sembra chiara l’intenzione di cogliere il momento. Mirzoyan ha affermato che i ministri degli Esteri hanno raggiunto un accordo per riparare congiuntamente il ponte di Ani e ripristinare altre infrastrutture lungo il confine tra Armenia e Turchia.

La visita di Mirzoyan in Turchia è stata accolta in modo ambiguo a Baku. Alcuni non hanno nascosto il loro stupore per le azioni di Ankara, mentre altri vi vedono la speranza per la pace nella regione. Baku sta parzialmente guardando con malcontento il riavvicinamento tra Yerevan e Ankara, a giudicare dall’anti-propaganda circa l’assistenza dell’Armenia alle regioni: un comportamento “da fratellino viziato”, commentano molti sostenitori dell’apertura. Del resto, l’Azerbaigian può trarre il massimo vantaggio da un riavvicinamento diretto tra Turchia e Armenia. Azerbaigian e Armenia potrebbero essere prossime alla firma di un trattato di pace, e se la Russia dovesse perdere in Ucraina, potrebbe, con le ossa rotte, abbandonare anche questo campo. Il triangolo Baku-Ankara-Erevan potrebbe, dunque, diventare un prerequisito di stabilità e prosperità nell’area.

Il confine siriano

La riapertura dei valichi di Bab Al-Salam e Al Raeeper un periodo iniziale di tre mesi è un’altra delle svolte epocali di questi giorni. La Russia, alleato chiave di Assad, e la Cina avevano posto il veto dal 2020 all’uso di altri valichi con la Turchia. Fino ad ora, hanno insistito sul fatto che tutte le altre consegne delle Nazioni Unite dovessero passare da Damasco e attraversare la linea del fronte, anche se solo 10 di questi convogli sono stati approvati durante tutto lo scorso anno. Tuttavia è questa l’apertura che genera più dubbi, al di là del suo significato simbolico. Questa opzione, sebbene accettabile a breve termine, non è né abbastanza lunga né abbastanza robusta per far fronte alla portata del dramma umanitario nel nord-ovest della Siria. Le autorizzazioni transfrontaliere dovrebbero inoltre basarsi su una base giuridica più solida, non solo sulla parola del governo siriano. Poiché l’autorizzazione è arrivata dal governo di Assad, non dalle Nazioni Unite, non esiste alcuna base legale o normativa in base alla quale il regime sia obbligato a lasciare aperte le frontiere.

Paesi con relazioni amichevoli con Assad, tra cui Russia, Iran ed Emirati Arabi Uniti, hanno iniziato a inviare rifornimenti alle aree controllate dal governo della Siria subito dopo che i terremoti hanno colpito la vicina Turchia, ma il nord-ovest controllato dall’opposizione – dove circa 4,1 milioni di persone facevano affidamento sull’assistenza umanitaria per sopravvivere anche prima del disastro – non ha ricevuto aiuti dalle Nazioni Unite attraverso la Turchia fino a giovedì scorso. Le Nazioni Unite hanno puntato il dito verso i danni alle strade che portano al valico di Bab al-Hawa, che è l’unica via terrestre che il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha autorizzato a utilizzare. A partire dallo scorso 13 febbraio, 58 camion di aiuti sono entrati nell’enclave dell’opposizione, trasportando cibo, tende e medicinali. Tuttavia, non includevano i macchinari pesanti e altre attrezzature specialistiche richieste dai Caschi Bianchi; Raed Al Saleh, il loro direttore, contesta fortemente l’atteggiamento conciliante delle Nazioni Unite verso Assad e ha affidato il suo risentimento ad un editoriale al vetriolo sulla Cnn, nel quale spara a zero sul Palazzo di Vetro.

Un’onda lunga per la “earthquake diplomacy“?

Al di là di dubbi e resistenze, quella che è già stata ribattezzata earthquake diplomacy è un dato di fatto, ove si mescolano umanità, interessi, prospettive. Qualora l’emergenza umanitaria dovesse protrarsi, risulta difficile immaginare un fulmineo dietro front rispetto alle aperture politiche attuali: il Caucaso, tuttavia, ha abituato a colpi scena continui, per cui nulla è impossibile. Quello che è tangibile è che Erdogan è riuscito a trasformare questa tragedia in un vigoroso “concerto di nazioni” che da Ankara si proietta all’estero e che dall’estero tende la mano ad Ankara. Oggettivamente, al di là degli scopi elettorali del presidente turco, il terremoto ha costretto questa fetta di Caucaso a muoversi, testando meccanismi di cooperazione, efficienza di mezzi e uomini, relazioni bilaterali complicate o addirittura chiuse. Questo è un dato di fatto, un cambio di passo resosi necessario da una brusca quanto tragica accelerazione degli eventi.

I prossimi mesi costituiranno, perciò, lo stress test di questi riallineamenti, con effetti che potrebbero propagarsi anche in ambito Nato. Anche Svezia e Finlandia, al centro di una disputa con Ankara sulla loro membership nell’Alleanza atlantica, si sono prodigate in aiuti umanitari. Questo potrebbe ammorbidire la posizione della Turchia nei confronti dei candidati alla Nato? In fondo è già accaduto. Quando nel 1999 un potente terremoto colpì vicino Izmit, i greci furono tra i primi a rispondere con aiuti, nonostante decenni di inimicizia tra i due vicini. Pochi mesi dopo, quando un terremoto di magnitudo 6.0 colpì Atene, i turchi ricambiarono. Quel cambio di passo portò la Grecia ad abbandonare le sue obiezioni al fatto che la Turchia diventasse un Paese candidato all’adesione all’UE, ormai più di vent’anni fa.

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Giovedì 16 febbraio, festa dei Santi Vartanants (Korazym 16.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.02.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi, giovedì 16 febbraio 2023, nel 67° giorno del criminale #ArtsakhBlockade [QUI], celebriamo con gli Armeni dell’Artsakh, dell’Armenia e della diaspora, la festa dei Santi Vartanants, di San Vartan Mamikonian (388/391-451) e compagni. La statua di San Vartan si trova in piazza Vartanants a Gyumri nella provincia di Shirak in Armenia, al centro del memoriale della battaglia di Avarayr. È la festa armena più popolare, di carattere sia religioso che nazionale, che ricorre solitamente a febbraio, il giovedì che precede la Quaresima, secondo il calendario della Chiesa Apostolica Armena.

Tra i martiri, San Vartan – Comandante in capo dell’esercito armeno nella guerra dei Vartanants e nella battaglia di Avarayr del 26 maggio 451 – è diventato un simbolo di coraggio, sacrificio, patriottismo e fede incrollabile. L’eroi della guerra patriotica e santa contro i Persiani è un simbolo della coscienza, della fede e della ribellione generale degli Armeni contro la tirannia, del loro sforzo per preservare la loro identità, religione e libertà. È un simbolo dei loro infiniti sacrifici e del loro martirio volontario e consapevole. Questo simbolo non è solo motivo di orgoglio per gli Armeni, ma nella storia di tutte le nazioni è una pagina da contemplare per tutti.

Grigor Khanjyan (1926–2000), Vartananks, murale a tempera, 1995-1998, 508×670 cm. Fa parte del murale monumentale situato nella Galleria Khanjyan del Centro per le Arti Cafesjian di Erevan, che illustra eventi importanti della storia dell’Armenia. Fu commissionato per il monumento sovietico originale ma lasciato incompiuto al momento della morte di Khanjyan. Le altre due scene del murale sono l’Alfabeto armeno (1992-1994) e l’Armenia risorta (1998-2000).

La Galleria Khanjyan è stata completamente rinnovata nel 2009. I suoi interni austeri e disadorni incarnano il rispetto che gli Armeni provano per i tesori artistici del loro Paese.

Il significato dietro le scene del murale di Khanjyan è profondo. La battaglia di Avarayr del 26 maggio 451, rievocata nella scena Vartananks, affermò definitivamente il diritto dell’Armenia a praticare liberamente il Cristianesimo. Il Comandante in capo della battaglia, Vartan Mamikonian, è uno dei primissimi eroi armeni di cui gli Armeni vengono istruiti da bambini. Imparano a conoscere la resilienza degli Armeni sullo sfondo di questo dipinto. Il potere che detiene nella narrazione è immacolato.

«Che lo spargimento del nostro sangue sia conforme a quello dei santi martiri. E Iddio si compiaccia del nostro volontario olocausto, e non lasci la sua Chiesa nelle mani dei pagani». Concludevo così Renato Farina suo articolo Semper fidelis. L’eroe armeno San Vartan e quel patto rifiutato col Padrone del mondo, che abbiamo ripreso l’11 agosto 2022 [QUI], con le parole dell’ultimo Molokano (scusate la assonanza poco augurale con l’ultimo dei Mohicani): «L’eroe d’Armenia è un generale e martire. Si chiama Vartan. Combatté contro il re persiano che voleva costringere gli Armeni a rinunciare al loro Cristo per abbracciare il Sole e il Fuoco dello zoroastrismo. […] La battaglia fu perduta. Lui e i suoi uccisi. […] La prossima puntata, a Dio piacendo, racconterò la sua storia. Il suo misterioso ritorno tra noi, al cospetto del Padrone del mondo. Rileggo e non riesco a capire cosa sia successo per indurmi a scrivere l’ultimo rigo. “Il misterioso ritorno tra noi” di Vartan? In realtà volevo semplicemente raccontare che cosa capitò allora (Quinto secolo) nelle terre della Grande Armenia. Intendevo basarmi in modo tranquillo e didascalico su un’opera meravigliosa per raccomandarla a tutti. E invece eccolo passeggiare vicino a me, ha appena visto il Padrone del mondo, che gli ha detto con la consueta sibilante dolcezza: “Armeni, avete dato il sangue a Cristo e avete ricevuto solo morte. Ti ripropongo il patto, nessuno ti chiederà più di rinnegare Cristo, ma devi renderti conto che non è l’unico Signore”».

Una delegazione del Congresso degli Stati Uniti guidata dal Presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, ha fatto una visita a Yerevan dal 17 al 19 settembre 2022, incentrata “sulla forte partnership tra gli Stati Uniti e l’Armenia, radicata nei valori democratici condivisi e nei legami di lunga data tra i nostri popoli” (Ambasciata degli USA in Armenia). Pelosi ha incontrato il Primo Ministro Nikol Pashinyan, il Presidente dell’Assemblea Nazionale Alen Simonyan e altri alti funzionari armeni per discutere delle relazioni USA-Armenia e dell’attuale situazione della sicurezza. Pelosi ha partecipato anche a una cerimonia di deposizione di una corona presso il Memoriale del genocidio armeno Tsitsernakaberd e ha tenuto un discorso al Centro per le Arti Cafesjian. Chi ha scelto questo luogo per l’incontro di Nancy Pelosi, trasmesso live, ha fatto un lavoro fantastico: sotto la terza scena del murale di Grigor Khanjyan, l’Armenia risorta.

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Sessantasettesimo giorno del #ArtsakhBlockade. La minaccia di pulizia etnica degli Armeni dall’Artsakh è un terribile avvertimento di genocidio (Korazym 16.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.02.2023 – Vik van Brantegem] – Il blocco illegale del Corridoio di Lachin ha portato a una crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh, la crisi umanitaria si è ulteriormente deteriorata a causa del blocco energetico e contemporaneamente si sta verificando una crisi ambientale, ha affermato il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan. L’avvertimento sulla minaccia di genocidio contro gli Armeni del Nagorno-Karabakh deve diventare ogni giorno terribile in tutto il mondo, ha aggiunto. Provate ad immaginare lo stress e l’angoscia mentale della gente in Artsakh, separata dai cari in Armenia e dal resto del mondo, per l’ennesima volta in più di 30 anni. Il #ArtsakhBlockade è un disastro umanitario in corso e non sentite vergogna del far finta di nulla e di non vedere?

Una bugia ripetuta abbastanza diventa giornalismo azero.

«Da 67 giorni ormai le persone in Artsakh/Nagorno-Karabakh sono private dei loro diritti umani e più elementari. Un professore dell’Università Statale dell’Artsakh descrive come tiene le lezioni nel nelle condizioni imposte dal blocco dell’Azerbajgian e dalle regolari interruzioni delle forniture di gas ed elettricità» (Anush Ghavalyan, giornalista a Stepanakert).

«Fondamentalmente, puoi andare alle lezioni universitarie indossando abiti da casa. A causa della mancanza di riscaldamento, lavoriamo ancora con i cappotti. A volte non mi tolgo nemmeno i guanti. E durante la lezione vado avanti e indietro nell’auditorium per riscaldarmi. È più difficile per gli studenti, sono seduti, ma sono giovani, sembrano aver meno freddo» (Un docente universitario a Stepanakert).

“Ieri, nel 66° giorno del blocco illegale del Corridoio di Lachin, l’Azerbajgian ha ripristinato la fornitura di gas naturale al Nagorno-Karabakh, per poi interromperla nuovamente due ore dopo. L’ultima volta che l’Azerbajgian ha chiuso il gasdotto di approvvigionamento di gas naturale del Nagorno Karabakh è stato il 7 febbraio, che aveva aperto il 29 gennaio. La fornitura di energia elettrica nel Nagorno-Karabakh è bloccata dal 9 gennaio 2023. Il blocco illegale del Corridoio di Lachin ha portato a una crisi umanitaria nel Nagorno Karabakh e la crisi umanitaria si è ulteriormente aggravata a causa del blocco energetico. Contemporaneamente si sta verificando una crisi ambientale, perché per riscaldare i propri appartamenti la popolazione del Nagorno-Karabakh è costretta a utilizzare la legna, per la quale vengono tagliati i boschi. Questa è una prova indiscussa che espone i motivi ambientali inventati del blocco del Corridoio di Lachin e che le azioni dell’Azerbajgian hanno un obiettivo: completare la loro politica di sottoporre gli Armeni del Nagorno-Karabakh alla pulizia etnica”, ha detto il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan. Ha aggiunto che se finora la comunità internazionale ha trattato con scetticismo questa affermazione dell’Armenia, ora sta diventando sempre più evidente.

Pashinyan ha osservato che non è un caso che negli ultimi tre mesi l’Istituto Lemkin per la Prevenzione del Genocidio abbia rilasciato tre dichiarazioni sul blocco illegale del Corridoio di Lachin e sulla narrazione della leadership azera [QUI]. “In una di queste dichiarazioni, pubblicata il 18 gennaio 2023, l’Istituto Lemkin ha chiesto ai leader mondiali di prendere sul serio la minaccia di genocidio che deve affrontare gli Armeni del Nagorno-Karabakh. Questo monito deve diventare ogni giorno più grave in tutto il mondo e gli sforzi compiuti in questa direzione devono essere continui”, ha concluso Pashinyan.

«Il 12 febbraio segna il secondo mese in cui il Corridoio di Lachin in Artsakh è stato bloccato dall’Azerbajgian. Dopo due mesi, la comunità internazionale non ha ritenuto l’Azerbajgian ancora responsabile dei suoi attacchi contro gli Armeni. L’Istituto Lemkin ribadisce i suoi appelli alla comunità internazionale affinché agisca e ritenga l’Azerbajgian responsabile dei suoi crimini e affinché iniziano i colloqui di pace» (Istituto Lemkin per la Prevenzione di Genocidio – Twitter, 15 febbraio 2023).

Il Portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Ned Price, in una conferenza stampa ha dichiarato che l’Armenia e l’Azerbajgian devono allentare la tensione e procedere verso una pace globale e duratura.

Innanzitutto, va notato l’ormai stantio richiamo ad “ambedue le parti”, che mette sullo stesso piano l’aggressore che non viene identificato (il regime dittatoriale guerrafondaio genocida dell’Azerbajgian, che vuole l’Artsakh e l’Armenia) e le vittime per le quali non viene espresso solidarietà né portato aiuto attraverso un ponte aereo umanitario (l’Armenia e l’Artsakh, che vogliono la pace). Poi, salta agli occhi che non dice niente su una condanna della politica di armenofobia e polizia etnica dell’Azerbajgian e totalmente assente l’intimazione all’Azerbajgian di porre fine al blocco dell’Artsakh e di ritirare le sue truppe dal territorio sovrano della Repubblica di Armenia. Per quando il riconoscimento della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, espressione democratica del diritto all’autodeterminazione del suo popolo armeno cristiano?

“Bene, lascerò che siano quei due governi a parlare del loro impegno. Il nostro messaggio sia all’Armenia che all’Azerbajgian, alle parti stesse, ma anche all’intera regione è la necessità di trovare un modo per allentare le tensioni per rimetterle sulla strada verso una pace globale e duratura. Siamo stati impegnati in questo sforzo; siamo stati impegnati in questo sforzo bilateralmente, siamo stati impegnati in quello sforzo multilaterale e continueremo a fare tutto il possibile come Stati Uniti direttamente con le parti, attraverso istituzioni e gruppi multilaterali, per portare avanti quella causa. La nostra speranza è che altri Paesi inviino esattamente lo stesso messaggio, ma non sono nella posizione di parlare dei messaggi che altri Paesi stanno inviando”, ha dichiarato Price.

Alla richiesta di commentare la “diplomazia del terremoto” in termini di Armenia e Turchia che non avevano mai avuto una relazione prima, Price ha detto: “Bene, accogliamo con favore i Paesi di tutto il mondo che si fanno avanti e si presentano per il popolo di Turchia, per il popolo della Siria, che sono stati devastati da questi enormi terremoti che hanno colpito il 6 febbraio. Un certo numero di Paesi ha dimostrato una generosità di spirito che sarà necessaria se saremo in grado di affrontare tutte le conseguenze e le implicazioni di questi enormi terremoti”.

La natura splendida dell’Artsakh (Foto di Varak Ghazarian).

«Il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, ha compiuto una storica visita ad Ankara il 15 febbraio. Mirzoyan e il Ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, hanno avuto ieri un incontro a porte chiuse. Dopo questo incontro, Mirzoyan ha annunciato di essere riusciti a mettersi d’accordo “con sforzi congiunti per riparare il ponte di Ani, oltre a prendersi cura delle relative infrastrutture fino alla completa apertura del confine”. Cavusoglu ha affermato che l’assistenza umanitaria dell’Armenia aiuterebbe i negoziati sul ripristino delle relazioni diplomatiche tra Armenia e Turchia e sull’apertura del confine che condividono. Mirzoyan ha anche affermato: “Vorrei ribadire ancora una volta la disponibilità e la volontà della Repubblica di Armenia a costruire la pace nella regione e, in particolare, a normalizzare completamente le relazioni con la Turchia, stabilire relazioni diplomatiche e aprire completamente il confine tra Armenia e Turchia”. Questo tipo di affermazione è davvero strabiliante, poiché l’Artsakh è stato bloccato dallo Stato satellite della Turchia, l’Azerbajgian, negli ultimi 67 giorni. I tempi per tentare di far avanzare la normalizzazione diplomatica non potrebbero essere molto peggiori.
La Turchia ha permesso che il ponte Margara si aprisse per far scorrere gli aiuti. Ma farebbero lo stesso per l’Armenia? Probabilmente no. Faranno ciò che serve ai loro interessi e l’Armenia sicuramente no. Per quanto riguarda la normalizzazione diplomatica, i funzionari turchi hanno affermato, contrariamente al desiderio dell’Armenia, che la Turchia sta coordinando le sue decisioni con l’Azerbajgian. Cavusoglu ha detto ai giornalisti quattro giorni prima che “noi [la Turchia] coordiniamo ogni passo con l’Azerbajgian. Che piaccia o no all’Armenia, questa è la realtà. Siamo una nazione e due Stati”. Bene, se sono una nazione, come cerchiamo di normalizzare le relazioni mentre bloccano l’Artsakh dal resto del mondo e hanno creato una crisi umanitaria provocata dall’uomo per la gente dell’Artsakh?» (Varak Ghazarian – Medium.com, 16 febbraio 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

Volodymyr Zelensky, 16 febbraio 2023: «Ho avuto una telefonata con il Presidente dell’Azerbajgian. L’ho ringraziato per il costante sostegno dell’Azerbajgian alla sovranità ucraina e all’integrità territoriale, e per gli aiuti umanitari forniti. Abbiamo discusso della cooperazione su piattaforme internazionali».

«Una squadra vincente non si cambia! Per tutti coloro che affermano che l’Ucraina non aiuta l’Azerbajgian e non è complice di questo paese genocida! Nel 2023 Zelensky è ancora il grande amico del dittatore Aliyev! Un’altra prova! Volodymyr Zelensky, è complice di un dittatore! Si vergogna per aver sostenuto un Paese assassino e genocida come l’Azerbajgian» (Nanou Likjan).

Mettere sotto assedio gli Armeni non è una pratica nuova per gli Azeri. Lo hanno fatto in passato, lo fanno adesso con il ArtsakhBlockade.

Rapporto di Human Rights Watch di luglio 1993, volume 5, numero 10: Spargimento di sangue nel Caucaso: bombardamenti indiscriminati da parte delle forze azere nel Nagorno-Karabakh.

A seguito del terribile terremoto del 1988 in Armenia e dei blocchi imposti dall’Azerbajgian nel 1989 e dalla Turchia nel 1993, gli anni tra il 1988 e il 1995 sono conosciuti in Armenia come gli “anni freddi e bui”. Anni senza carburante, cibo razionato e isolamento totale. Per saperne di più: Armenian energy crisis of 1990s su Wikipedia [QUI].

«Nell’ambito degli accordi raggiunti ieri [15 febbraio 2023], è stata effettuata l’evacuazione dei cittadini della Federazione Russa precedentemente giunti in Nagorno-Karabakh. Sono state portate fuori un totale di 47 persone, inclusi 8 bambini», si legge questa mattina sul canale Telegram della forza di mantenimento della pace russa in Artsakh.

«Questo è uno dei posti più belli del mondo… Hadrut, ora temporaneamente occupata dagli Azeri. Tornerò qui, lo prometto… Ho lasciato qui il mio cuore…» (Liana Margaryan, giornalista a Stepanakert).

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]