Mosca (AsiaNews) – La relazione del Comitato affari esteri del Parlamento europeo, con un appello all’Azerbaigian a far uscire le proprie truppe dal territorio dell’Armenia, è stata accolta a Erevan con grande entusiasmo. A esso si aggiunge la decisione di formare una missione di osservatori della Ue per il controllo della frontiera armeno-azera, considerata una vittoria dell’Armenia in campo diplomatico. Allo stesso tempo, queste mosse hanno provocato la decisa contrarietà della Russia, che rimane il primo partner degli armeni.
Mosca considera poco convincenti le dichiarazioni dei leader di Erevan in favore dell’arrivo dei rappresentanti europei sulla frontiera con l’Azerbaigian. Le parole del premier Nikol Pašinyan sul fatto che la missione debba verificare anche gli spostamenti delle truppe russe e armene, per evitare accuse improprie da parte degli azeri, sono state accolte dal Cremlino con grande perplessità e irritazione.
A Mosca sono convinti che la Ue stia cercando di modificare il sistema della sicurezza nel Caucaso meridionale. La rappresentante degli esteri Maria Zakharova ha parlato di “tentativo di trascinare l’Unione europea nella regione”, mentre “i pacificatori russi garantiscono la tranquillità nel Nagorno-Karabakh”.
A gettare benzina sul fuoco si è aggiunta la notizia che la missione della Ue potrebbe non essere solo civile, con l’aggiunta di un gruppo di gendarmi francesi. Le spiegazioni di Erevan, secondo cui i gendarmi sono più adatti per professione a compilare le necessarie relazioni, non hanno molto convinto la parte russa. In questo contesto le dichiarazioni di Mosca e Erevan sulle intenzioni di rafforzare la reciproca cooperazione, anche in campo militare, suscita tra i politici di Mosca il sospetto che in realtà gli armeni stiano preparando una svolta geopolitica, non gradendo le attenzioni di Mosca a Baku, mentre cerca di tenere a freno l’Armenia.
La mediazione di Mosca è più accettabile per gli azeri che per gli armeni, che ritengono di non essere adeguatamente supportati dagli storici alleati, non solo nei fatti, ma neppure a parole. Gli appelli di Mosca a liberare il corridoio di Lačin, rivolti in egual misura ai due contendenti, sono stati considerati una provocazione e una forma d’ingenuo dilettantismo. Per non parlare delle difficili relazioni di Erevan con la Csto, l’alleanza militare eurasiatica a guida russa, che non ha fatto nulla per difendere un proprio membro dalle aggressioni dell’Azerbaigian, anche qui senza sprecare dichiarazioni in favore dell’Armenia. Addirittura il presidente bielorusso Lukašenko ha consigliato agli armeni di soddisfare tutte le richieste di Baku.
Non stupisce quindi che l’Armenia si sia rivolta alla Ue, dove ha trovato più comprensione rispetto agli “amici” ex-sovietici. Del resto, le circostanze legate alla guerra in Ucraina rendono gli stessi europei assai poco ben disposti nei confronti dei russi, e in questo Erevan rischia di rimanere incastrata tra l’incudine e il martello, rappresentate in questo scenario dall’Azerbaigian e dalla Turchia.
L’attrazione dell’Europa in queste zone potrebbe allarmare anche l’Iran, molto interessato allo sblocco delle vie di comunicazione caucasiche. Teheran si è già dichiarata contraria al coinvolgimento di altri giocatori nella partita, dichiarandosi disponibile a dare una mano per la soluzione dei problemi.
Il politologo armeno Beniamin Matevosyan, commentando tutti questi intrecci su News.am, ha ricordato che lo scontro tra la Russia e l’Occidente si sviluppa in due direzioni, quella dell’Ucraina e quella della Siria, e ritiene assai pericoloso che in Caucaso si apra un terzo fronte. La contraddizione, del resto, è già penetrata all’interno dell’Armenia, col rischio che “l’Artsakh [Karabakh] e l’Armenia stessa diventino un nuovo scenario di guerra globale”
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-15 19:07:162023-02-21 19:08:13Le contraddizioni di Erevan tra Mosca e l’Occidente (Asianews 15.02.23)
BOLOGNA – In occasione dell’inaugurazione della mostra Tracce armene alla Biblioteca Universitaria di Bologna, venerdì 17 febbraio, viene presentata la “Mappa armena” del Conte Luigi Ferdinando Marsili (1691) in gigapixel, digitalizzata grazie alla tecnologia di Haltadefinizione, tech company della casa editrice Franco Cosimo Panini, specializzata nella digitalizzazione di dipinti, documenti e manoscritti antichi.
Dettaglio Ms. 3290, c. 12 verso., Biblioteca Universitaria di Bologna
La Mappa
Il Rotulo 24 del Fondo Marsili, annotato sul verso come Tabula Chorographica Armenica, è una straordinaria mappa della Chiesa armena, rinvenuta nel 1991 nei depositi della Biblioteca durante i lavori preparatori della mostra cartografica “Esplorazioni in Biblioteca”.
Realizzata su 16 fogli di carta incollati su tela, la Mappa, caratterizzata da imponenti dimensioni (358 x 120 cm), è costellata da disegni colorati ad acquerello e da didascalie in armeno relative a centinaia di monasteri, chiese, eremi, santuari e luoghi di culto ripartiti secondo le quattro circoscrizioni o catolicosati esistenti all’epoca della sua realizzazione.
Mappa armena, dettaglio in gigapixel. Campagna di digitalizzazione del Fondo Marsili eseguita da Haltadefinizione, nell’ambito del progetto “Il Museo Luigi Ferdinando Marsili” promosso dalla Biblioteca Universitaria di Bologna.
La tecnologia a servizio dell’arte
Oltre alla monumentale Mappa armena è stata digitalizzata una selezione di documenti e rotuli di pregio del Fondo Marsili.
La tecnologia di photo stitching con scansione sul punto nodale messa in campo permette di acquisire grandi e piccoli formati, con un livello di dettaglio che può superare 1000 ppi.
Haltadefinizione, Campagna di digitalizzazione in altissima definizione presso la Biblioteca Universitaria di Bologna
Gli scatti, decine o centinaia a seconda della dimensione dei documenti, uniti insieme attraverso un algoritmo di stitching che consente di ottenere un’immagine finale con una definizione straordinaria, sono stati effettuati con accorgimenti specifici e utilizzando un rigido protocollo, ripetibile e affidabile, nel totale rispetto dell’opera.
La digitalizzazione dei grandi e grandissimi formati del Fondo Marsili della Biblioteca Universitaria di Bologna è stata eseguita da Haltadefinizione nell’ambito del progetto “Il Museo Luigi Ferdinando Marsili”, cofinanziato dalla Fondazione Carisbo.
Inaugurazione della mostra
Tracce armene alla Biblioteca Universitaria di Bologna
Venerdì 17 FEBBRAIO, ore 10.00
Atrio dell’Aula Magna della Biblioteca Universitaria di Bologna
Prosegue il blocco del corridoio di Lachin che isola di fatto il Nagorno Karabakh e i 120mila armeni che vi risiedono. In settimana ha preso inoltre il via la missione UE in Armenia. Intanto, nell’area, rapporti tesi tra Iran e Azerbaijan
Sono ormai due mesi che il Nagorno Karabakh è isolato. I così detti ambientalisti azeri presidiano – bloccandolo – ancora il tratto di corridoio di Lachin. Il blocco ha creato un tracollo nella sicurezza sanitaria e alimentare della piccola repubblica secessionista, nonché ha dato il via ad una pesante crisi economica. Sono migliaia i servizi e negozi che non sono in grado di lavorare. Inoltre luce e forniture di gas sono discontinue. I soli mezzi che passano sono quelli dei peacekeepers russi e della Croce Rossa.
Il Nagorno Karabakh non è riconosciuto come indipendente da nessun paese al mondo, formalmente nemmeno dall’Armenia. I rapporti fra Stepanakert, la capitale (Khankedi in azero) e Mosca sono particolari, soprattutto in questo momento. I peacekeepers russi sono allo stato attuale i soli garanti della sicurezza dei 120.000 armeni del Karabakh e Stepanakert non manca di esprimere apprezzamento per la loro presenza, a differenza di Yerevan. Ma non è il solo distinguo fra i due “stati” armeni. Dal 2019 a Yerevan non c’è un uomo del Cremlino. Nikol Pashinyan non è una scelta politica di Mosca, ha raggiunto il potere attraverso una rivoluzione pacifica largamente basata su richieste di rinnovamento dello stato in una direzione più legalista, anti corruzione e contro lo strapotere dell’oligarchia.
Invece a Stepanakert è arrivato un uomo che con Mosca ha rapporti di ferro. Ruben Vardanyan è un oligarca sotto sanzione in Ucraina, con affari in Russia nella finanza ma anche in industrie strategiche del paese. Dopo aver vissuto tutta la propria vita professionale in Russia nel 2021 si è spostato nella nativa Armenia e per un certo periodo è sembrato poter diventare un antagonista politico di Pashinyan. Invece si è poi trasferito in Karabakh, ha rinunciato alla cittadinanza russa ed è diventato uno dei ministri dell’attuale governo de facto. L’Azerbaijan e i suoi manifestanti lo indicano apertamente un uomo di Mosca, paracadutato a Stepanakert a preservare gli interessi russi e ad assicurarsi che nessuna soluzione confligga con i piani e la presenza del Cremlino nell’area. Varadanyan sarebbe stato a Mosca nella seconda settimana di febbraio, trasportato fuori dal Karabakh attraverso un convoglio di peacekeeper. Secondo alcune fonti pare che anche il presidente de facto del Karabakh – Arayik Harutyunyan – abbia a sua volta usato lo stesso mezzo per andare a Mosca.
Intanto questa settimana si attiva sul terreno la Missione dell’Unione Europea in Armenia (EUMA). Il 31 gennaio è stato nominato un capo missione provvisorio, la sede principale della missione sarà a Yeghegnadzor con vari uffici sul campo a Goris e altre città armene. I monitor dovrebbero iniziare le pattuglie entro la fine del mese di febbraio.
Russia, Nagorno Karabakh, Iran e Azerbaijan
Secondo molti analisti l’aggressione contro l’Ucraina ha condannato la Russia a un significativo ridimensionamento della propria capacità di influenza. Questo, secondo gli azeri, è il motivo che ha spinto la Russia a mandare un personaggio come Vardanyan in Karabakh, proprio per non perdere terreno. Altri attori regionali infatti hanno sempre giocato un ruolo importante nel Caucaso e possono subentrare al protagonismo russo, in primis la Turchia, che ha trovato nell’Azerbaijan un presidio territoriale importante e vincente. Ma non solo: anche l’Iran.
Proprio i rapporti iraniano-azeri si fanno sempre più tesi, al punto da sfociare in aperte minacce rimbalzate e alimentate dai media. A gennaio è girato un video , e non sarebbe l’unico, con un coro di bambini iraniani in tenuta militare che cantava minacce contro il vicino su un ponte verso l’Azerbaijan.
I rapporti si erano distesi con un intenso lavorio diplomatico a fine mese con l’incontro dei rispettivi ministri degli Esteri a Tashkent e un incontro fra l’ambasciatore iraniano a Baku con il consigliere per la Politica estera all’ufficio del Presidente nella capitale azera. Ma proprio quando i toni si stavano abbassando, un uomo armato ha fatto irruzione nell’ambasciata azera di Teheran uccidendo una guardia. L’attentato all’ambasciata, che potrebbe avere un movente privato, ha riacceso i tizzoni della retorica aggressiva. Baku ha accusato l’Iran di non aver saputo proteggere l’ambasciata e di ignavia nelle indagini, se non di essere il mandante dell’attentato . Nel giro di pochi giorni un’operazione di polizia speciale ha portato all’arresto in Azerbaijan di quasi quaranta iraniani accusati di essere gli uomini dei signori della droga di Teheran che operano in loco.
Il terremoto
Nel pieno di questo groviglio si è verificato il terremoto in Siria e Turchia del 6 febbraio. Il drammatico evento ha molto colpito le opinioni pubbliche regionali, ognuno dei paesi caucasici enumera propri cittadini sotto le macerie turche e siriane. La reazione al terremoto ha riavvicinato le capitali, e non esclusivamente lungo le faglie geopolitiche. Azerbaijan e Georgia hanno mandato immediatamente squadre e aiuti. In questa occasione si è registrato il riavvicinamento fra Yerevan e Ankara, i cui tentativi di ricostruire un rapporto transfrontaliero sono resi molto più complessi dal blocco di Lachin. Il primo ministro Nikol Pashinyan e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si sono sentiti telefonicamente e squadre di soccorso armene hanno raggiunto sia la Turchia che la Siria. È da ricordare peraltro che la martoriata città di Aleppo è sede di una numerosa comunità armena, i cui numeri si erano già diradati però a causa della guerra.
L’Armenia è stata a sua volta vittima di un grande terremoto, nel 1988, e in quella occasione la Mezzaluna Rossa aveva attraversato il fiume Aras ad Alican, punto di ingresso in Armenia, per prestare aiuto. Sarebbe stata l’ultima volta che la frontiera fra i due paesi sarebbe stata aperta. Poi la guerra, l’interruzione delle relazioni diplomatiche e la chiusura dei confini avrebbero trasformato Alican in un passaggio invalicabile fra Armenia e Turchia.
Adesso, 35 anni dopo, di nuovo per un tragico terremoto, il passaggio di Alican è stato aperto , questa volta in direzione opposta, con le squadre di soccorso armeno che sono entrate in Turchia a ricambiare la solidarietà di tre decadi fa. Un gesto che ad Ankara non è passato inosservato.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-15 19:03:142023-02-21 19:04:20Il corridoio di Lachin e il groviglio caucasico (Osservatorio Balcani e Caucaso 15.02.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 15.02.2023 – Vik van Brantegem] –«Gli Armeni etnici nel Nagorno-Karabakh sono soggetti alla stessa pulizia etnica alimentata dai Turchi avvenuta nel 1915. La maggior parte dei giornalisti la ignora o cerca di giustificarla. Non sorprende da una comunità internazionale che ancora non riesce a riconoscere il genocidio» (Ana Kasparian – Twitter, 6 ottobre 2020).
«Loro [Azerbajgian e Turchia] vogliono cancellare gli Armeni dalla faccia della terra. Quando gli viene chiesto dai loro alleati occidentali, fingono che sia tutta una bugia. Ma ogni tanto sbagliano. Che Aliyev aiutasse se stesso. Pensi che si preoccupino dei bambini che muoiono perché non hanno accesso agli omogenizzati in Nagorno-Karabakh? No. Vogliono pulire gli Armeni. Sai a volte sono super trasparenti al riguardo, come lo era Aliyev in quella citazione. Quindi, ancora una volta, per chiunque sia abbastanza ingenuo da pensare che l’intero conflitto sia incentrato solo sul Nagorno-Karabakh: sei una delle persone più ingenue del pianeta, soprattutto considerando la storia dell’Armenia, il genocidio armeno e la violenza e la brutalità che ha portato alla morte di 1,5 milioni di Armeni a partire dal 1915 dal governo turco» (Ana Kasparian – TikTok, 15 febbraio 2023).
Anahit Misak Kasparian è un commentatore politico progressista americano che si è descritta come un’atea che spinge per i valori progressisti, conduttore di media e giornalista. È la conduttrice principale e produttrice del notiziario online The Young Turks, avendo iniziato a lavorare come produttrice sostitutiva per lo spettacolo nel 2007. È figlia di genitori immigrati armeni. I suoi bisnonni paterni hanno vissuto in prima persona il genocidio armeno nel 1915. È cresciuta a Los Angeles.
Gli “eco-attivisti” del #ArtsakhBlockade.
«In una conferenza stampa ospitata oggi dal Centro di risposta alle crisi dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC) a Mosca, il Colonnello generale Anatoly Alekseyevich Sidorov ha dichiarato che gli Stati membri della OTSC sono pronti ad aiutare l’Armenia se l’Armenia ha bisogno di aiuto. Il Colonnello generale Sidoro è un ufficiale dell’esercito russo e l’attuale Capo di Stato Maggiore congiunto della OTSC dal novembre 2015. Bene, Colonnello generale Sidoro, l’Armenia ha bisogno dell’aiuto della OTSC. In realtà, lo riprendo, l’Armenia non ha bisogno del loro aiuto. L’Armenia ha solo bisogno che il tuo Paese (la Russia) adempia al suo ruolo di pacificatore nell’Artsakh, poiché ha completamente fallito in quel ruolo negli ultimi due mesi. L’Azerbajgian ha bloccato l’Artsakh dal resto del mondo poiché la Russia (anch’essa membro della OTSC) rimane in silenzio e non ha fatto assolutamente nulla per correggere la situazione o porvi fine. Non capisco come il colonnello generale Sidoro possa fare commenti del genere mentre il suo paese dovrebbe essere il garante della sicurezza in questa regione e in questo conflitto tra Azerbajgian e Armenia. Mi fa davvero impazzire che la Russia sia diventata compiacente con ciò che è accaduto nel Caucaso meridionale negli ultimi due anni. O sono diventati compiacenti e hanno stretto un accordo con la Turchia per quanto riguarda la situazione o hanno appena perso completamente il potere all’interno della regione. Qualunque sia la risposta, Putin ha invertito con successo la politica estera della Russia che aveva governato per lungo tempo il Caucaso. Ci attendono certamente tempi interessanti non solo per l’Armenia ma per l’intera regione» (Varak Ghazarian – Medium.com, 14 febbraio 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
Fila di macchina ferma, «in attesa… per il gas. Stepanakert» (Marut Vanyan – giornalista freelance a Stepanakert, 15 febbraio 2023).
«Mandateli ad aiutare a salvare le persone dalle macerie in Turchia»
«Dì allo stupido dittatore Aliyev di mandare in Turchia i giovani che hanno bloccato la strada alla gente in Karabakh per salvare le persone intrappolate tra le rovine. Lasciate che le persone vivano la loro vita serenamente. Non lo farai, Aliyev, perché sei il nemico dell’umanità» (Manaf Jalilzade, blogger politico azero, fondatore e capo del canalel Diktator TV, residente a Bern, Svizzera).
L’Armenia invia più aiuti umanitari alla Turchia attraverso il confine terrestre
Vahan Hunanyan, Portavoce del Ministero degli Esteri di Armenia, 14 febbraio 2023: «Il 15 febbraio, il Ministro degli Esteri dell’Armenia, Ararat Mirzoyan, visiterà Turchia. Il Ministro Mirzoyan incontrerà la squadra di soccorso armena che svolge operazioni di ricerca e soccorso nella città di Adiyaman. Ankara si terrà un incontro tra il Ministro degli Esteri di Armenia, Ararat Mirzoyan, e il Ministro degli Esteri di Turchia, Mevlut Cavusoglu.
Toivo Klaar, Rappresentante Speciale per il Caucaso del Sud e la Crisi in Georgia dell’Unione Europea in un post su Twitter: «Questa è una visita storica dopo la decisione dell’Armenia di sostenere il suo vicino bisognoso. Si spera un presagio di sviluppi futuri nel rapporto turco-armeno».
Toivo Klaar twitta su cosa dovrebbe succedere in futuro, ma nessun Tweet sul #ArtsakhBlockade. È il più inutile funzionario dell’Unione Europea per l’Armenia, online e offline. Toivo Klaar, siamo nel giorno 66 del #ArtsakhBlockade. Cosa hai fatto di concreto fino ad oggi per fermarlo?
Il Ministro degli Esteri armeno in Turchia, 15 febbraio 2023: «La comunità internazionale non deve rimanere indifferente di fronte a qualsiasi crisi umanitaria ovunque si verifica»
Il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, ha affermato che l’Armenia non è estranea al dolore che ha colpito migliaia di famiglie in Turchia a causa del devastante terremoto, perché il popolo armeno ha affrontato la stessa tragedia nel 1988. “Esprimo ancora una volta le condoglianze alle famiglie delle molte migliaia di vittime del devastante terremoto, al popolo e al governo della Turchia, e auguro una rapida guarigione a tutti i feriti”, ha detto il Ministro degli Esteri armeno dopo un incontro con il Ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ad Ankara. “Una delle pagine più amare della storia della mia nazione è il devastante terremoto di Spitak del 1988, e oggi non ci è estraneo il dolore che ha colpito migliaia di famiglie in Turchia. Tali disastri naturali e i loro grandezze vanno oltre i confini dei Paesi, diventando tragedie globali. E il mondo deve agire con un fronte unito per superarli. Credo che la comunità internazionale non debba rimanere indifferente di fronte a qualsiasi crisi umanitaria ovunque si verifica nel mondo. Ed è proprio per questo principio che subito dopo il devastante terremoto il governo armeno ha deciso di inviare soccorritori e aiuti umanitari in Turchia. Ringrazio il Signor Cavusoglu per le sue parole di apprezzamento rivolte ai nostri soccorritori e in generale alla presenza e al sostegno armeno”.
Mirzoyan ha affermato che è molto significativo che il confine terrestre armeno-turco, chiuso da oltre 30 anni, sia stato aperto l’11 febbraio per gli aiuti umanitari armeni. “Lo stesso è accaduto ieri sera e tra poche ore un altro lotto di aiuti umanitari raggiungerà Adiyaman”, ha aggiunto.
«È simbolico che sabato il confine armeno-turco, chiuso da 30 anni, sia stato aperto ai camion armeni carichi di aiuti umanitari diretti ad Adiyaman. Lo stesso è successo la scorsa notte, e dopo un altro lotto di aiuti umanitari raggiungerà Adiyaman» (Il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan in un post su Twitter).
C’è chi in un eccesso di ottimismo spera, che gli sforzi dell’Armenia per aiutare la Turchia in questo momento difficile convinceranno la Turchia a fare pressione sull’Azerbajgian per porre fine al #ArtsakhBlockade. Se i leader mondiale pensassero alle persone invece che a se stessi, forse sarebbe possibile intravedere un po’ di pace nella regione.
Samantha Power, Amministratore dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, in un post su Twitter, 13 febbraio 2023: «È così commovente vedere decenni di animosità messi da parte per aiutare persone in disperato bisogno. Per la prima volta in 35 anni è stato aperto un valico di frontiera tra Armenia e Turchia in modo che gli aiuti possano raggiungere le vittime del terremoto. L’Armenia sta inviando 100 tonnellate di rifornimenti e una squadra di ricerca e soccorso».
Disse e passò ad occuparsi di altre questioni mondiali. Samantha Power, dopo 66 giorni di #ArtsakhBlockade, con cui l’Azerbajgian sta privando 120.000 Armeni in Artsakh di beni e servizi essenziali e del diritto fondamentale alla libera circolazione, è giunto il momento di informare finalmente il pubblico su ciò che sta facendo il suo alto ufficio al riguardo.
Samantha Power è un diplomatico e giornalista statunitense di origine irlandese, rappresentante permanente per gli Stati Uniti d’America alle Nazioni Unite dal 2013 al 2017 sotto la Presidenza di Barack Obama. Power ha iniziato la sua carriera coprendo come giornalista le guerre jugoslave.
Riportiamo di seguito alcuni stralci dall’articolo Nagorno Karabakh: pulizia etnica in corso? a firma di Giuseppe Morabito, Senior Fellow del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli, Generale di Brigata dell’Esercito Italiano a riposo, per anni Direttore della Middle East Faculty all’interno del NATO Defence College, membro del Direttorato della NATO Defence College Foundation. L’articolo è pubblicato oggi sul sito del Centro Machiavelli [QUI]:
«Nonostante la condanna della storia (il genocidio degli armeni da parte turca), si deve purtroppo constatare come una politica e una metodologia di persecuzione da parte di Turchia e Azerbaigian verso gli Armeni sia ancora pienamente in atto. (…) Sono passati cento anni dal genocidio ma gli armeni in tutto il mondo non hanno dimenticato e, anzi, non possono dimenticare. (Il conflitto del Nagorno-Karabakh da 30 anni costituisce la sfida principale per la sicurezza e per la stabilità della regione caucasica e ora presenta una serie di minacce, di natura politica e militare per l’Armenia, per l’intera regione e di conseguenza per la stabilità dell’Europa stessa. (…) Nel 1988, nell’ultimo periodo di esistenza dell’Unione Sovietica, gli armeni del Nagorno-Karabakh iniziarono a protestare e a rivendicare diritti che furono loro sempre negati. L’Azerbaigian, non gradendo quelle proteste, rispose con una repressione ai danni degli armeni che vivevano nelle città di Sumgait, Baku e Kirovabad. Furono proprio i massacri di Sumgait ad avere un ruolo decisivo nello scoppio del conflitto del Nagorno-Karabakh in un contesto che tristemente evocava il passato genocidio turco. Nel 1991 con il collasso dell’Unione Sovietica al posto dell’ex repubblica sovietica azera, dunque, si formarono due entità statali separate: la Repubblica dell’Azerbaigian e la Repubblica del Nagorno-Karabakh. In risposta, l’Azerbaigian lanciò una guerra su larga scala che durò dal 1992 al 1994, in cui ci furono più di 30.000 caduti da entrambe le parti. Gli Armeni, nella lotta in difesa della libertà, riuscirono a resistere, a mantenere l’indipendenza del piccolo Stato appena formatosi e a garantirne la sicurezza prendendo il controllo di alcuni territori circostanti. (…) Per quanto riguarda la guerra dei 44 giorni del 2020, la stessa è stata una guerra devastante perché sono state usate armi di nuova generazione, vi è stato un coinvolgimento diretto della Turchia con i suoi aerei e i droni Bayraktar (gli stessi “venduti” e non ‘’donati” all’Ucraina). L’Azerbaigian pare abbia fatto largo uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali come bombe a grappolo e al fosforo bianco; inoltre, si ha il sospetto che la Turchia abbia reclutato migliaia di mercenari (probabilmente ex terroristi Isis) trasferendoli in Azerbaigian per combattere contro gli Armeni, cosa che Ankara aveva certamente fatto durante la guerra civile in Libia. L’ultimo conflitto è durato, appunto, 44 giorni e il 9 novembre 2020, con la mediazione della Federazione Russa, è stata firmata una dichiarazione trilaterale che ha fermato la guerra. La suddetta dichiarazione, tuttavia, non ha portato la pace regionale e, ad oggi, l’Azerbaigian, approfittando della situazione internazionale ancora incerta e dell’appoggio di Ankara, continua la sua politica aggressiva attraverso infiltrazioni e attacchi anche nel territorio dell’Armenia. Purtroppo, quanto sta accadendo dimostra come la leadership dell’Azerbaigian non sia in alcun modo interessata all’instaurazione della pace e della stabilità nel Caucaso meridionale. Il Presidente dell’Azerbaigian – forte del riconoscimento di “partner energetico affidabile” per l’Europa – persegue la sua politica di aggressione all’Armenia con la complicità turca. In conclusione, bisogna ricordare che il Nagorno-Karabakh non è solo un territorio ma è un popolo pronto a seguire la formula europea per la soluzione del problema, ma bisognerebbe porre fine immediatamente al blocco del Corridoio di Lachin e fornire l’accesso al Nagorno-Karabakh alle organizzazioni internazionali. Certamente, va sottolineato che ci sono evidenti freni economici a procedere a una condanna di Baku perché la bozza d’intesa firmata tra UE e Azerbaigian prevede l’impegno azero a raddoppiare la capacità del Corridoio meridionale del gas, in modo da trasportare almeno 20 miliardi di metri cubi ogni anno alla UE entro il 2027. Quanto precede assicurerà un contributo agli obiettivi di diversificazione indicati dal piano “RePowerEu”, ma soprattutto faciliterà il distacco dell’Europa dal gas russo. Infatti, l’Azerbajgian ha già aumentato le consegne di gas alla UE nel 2022. L’importante è che nessuno possa dire: “Non lo sapevo” quando, per liberarci dal ricatto per la carenza energetica susseguente all’aggressione russa all’Ucraina, ci troveremo a testimoniare di aver sottovalutato i danni causati da un altro aggressore produttore di quel gas che tanto interessa alle economie occidentali».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-15 18:24:592023-02-21 18:26:26Sessantaseiesimo giorno del #ArtsakhBlockade. L’importante è che nessuno possa dire: “Non lo sapevo” (Korazym 15.02.23)
Da 30 anni nessuno attraversa il confine tra Armenia e Turchia. II valico del comune di Margara e il ponte stradale che permette di attraversare il fiume Aras fino all’altopiano anatolico è sempre deserto. Sabato però cinque tir con 100 tonnellate di cibo, medicine, acqua e aiuti umanitari sono partiti da Erevan e hanno attraversato il confine per raggiungere le zone più colpite dal terremoto, dove già opera una squadra di soccorritori armeni.
L’Armenia va in soccorso della Turchia
«Siamo felici di aiutare», ha dichiarato il vicepresidente dell’Assemblea nazionale armena, Ruben Rubinian, mettendo da parte per un giorno tutti i validi motivi per cui quei tir, secondo la logica umana, non sarebbero mai dovuti partire.
Non è infatti solo il genocidio armenoa dividere i due paesi. Non sono solo quel milione e mezzo di armeni sterminati tra il 1915 e il 1923 sotto l’Impero Ottomano in disfacimento, guidato dal partito ultranazionalista dei Giovani Turchi, a formare una invalicabile barriera di inimicizia tra i due popoli.
È la pervicace negazione del genocidio da parte della Turchia a impedire che si ristabiliscano rapporti fraterni tra i due popoli. È l’appoggio armato fornito da Ankara all’Azerbaigian a partire dagli anni Novanta, durante le guerre di aggressione di Baku contro gli armeni, quasi a voler completare l’opera iniziata dagli antenati della moderna Turchia 108 anni fa, a impedire ogni riavvicinamento. È l’appoggio diplomatico assicurato dal presidente Recep Tayyip Erdogan al regime di Baku, che dal 12 dicembre con il blocco del Corridoio di Lachin cerca di affamare i 120 mila armeni del Nagorno-Karabakh, a rendere impensabile ogni dialogo.
«Ricorderò sempre l’aiuto del popolo armeno»
Eppure, davanti al terremoto che ha devastato la Turchia, davanti alle 31 mila vittime (e il conto è ancora parziale) rimaste sotto le macerie, davanti alla comune umanità sanguinante e sofferente, l’Armenia ha messo da parte tutte le comprensibili ragioni di inimicizia che la dividono dalla Turchia e ha inviato centinaia di tonnellate di aiuti. Quegli stessi aiuti che l’Azerbaigian, con il sostegno della Turchia, impedisce a Erevan di inviare agli armeni residenti nel Nagorno-Karabakh.
È un gesto semplice, e grandioso, che ha fatto reagire così Serdar Kilic, inviato speciale di Ankara in Armenia: «Ricorderò per sempre il generoso aiuto inviato dal popolo armeno per contribuire ad alleviare le sofferenze del nostro popolo nelle regioni colpite dal terremoto».
L’Occidente impari dall’Armenia
Non è l’Armenia ad aver chiuso il confine con la Turchia. È Ankara che si è sempre rifiutata di avere rapporti con gli armeni per isolare Erevan dal punto di vista internazionale e per costringerla con la forza a rinunciare al Nagorno-Karabakh, formalmente appartenente all’Azerbaigian ma storicamente armeno.
In un momento di gravissima crisi con l’Azerbaigian, la mano tesa dall’Armenia alla Turchia è anche utile dal punto di vista politico e diplomatico. Ma questo non toglie nulla alla sua magnificenza. L’Armenia è il primo paese cristiano della storia e ha pagato e sofferto per questo lungo i secoli. Facendo suo in modo inaspettato il famoso insegnamento del Discorso della montagna («Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano»), la piccola Armenia ha confermato la sua grandezza.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-14 17:59:082023-02-21 18:02:01La grandezza del popolo armeno che invia aiuti al nemico turco (Tempi 14.02.23)
L’Azerbaigian ha lanciato una nuova offensiva contro l’Armenia per riappropriarsi del Nagorno-Karabakh, un territorio conteso tra le due nazioni. Questa volta però non si tratta di una offensiva militare, ma legale. Baku accusa Erevan di stare distruggendo l’ambiente dell’enclave a maggioranza armena e per questo intende dare il via a un arbitrato interstatale ai sensi della Convenzione di Berna del Consiglio d’Europa sulla conservazione della vita selvatica e degli habitat naturali europei. Entrambi i Paesi sono firmatari del trattato internazionale vincolante, insieme all’Ue e ad altri 50 Stati, ma il trattato non è mai stato utilizzato per arbitrare questioni ecologiche tra due nazioni, e questo sarebbe il primo caso.
“Negli ultimi due anni abbiamo scoperto prove scioccanti di danni ambientali nei territori liberati nella guerra del 2020”, ha dichiarato a Politico il viceministro degli Esteri azero Elnur Mammadov, secondo cui ci sarebbero stato “danni alla vita animale e alla biodiversità”, in quanto “c’è stato e continua ad esserci uno sfruttamento delle risorse naturali e un inquinamento industriale che danneggia i nostri ecosistemi ancora oggi”. Secondo Mammadov, nel Nagorno-Karabakh sarebbero a rischio oltre 500 specie, tra cui leopardi, orsi bruni, lupi grigi e aquile. Un portavoce del Consiglio d’Europa ha detto al giornale che al momento non è arrivata alcuna richiesta ufficiale. In ogni caso, secondo il testo della convenzione, un comitato permanente composto da tutte le parti contraenti dovrebbe “fare del suo meglio per facilitare un accordo amichevole”. Se ciò non dovesse accadere, si potrà avviare un processo di arbitrato formale: verranno nominati tre arbitri e verrà istituito un tribunale arbitrale. Ma gli esiti della eventuale procedura o che tipo di risarcimento si potrebbe richiedere è difficile sapere.
L’offensiva legale sembra essere solo una continuazione di quella militare. Lo scorso agosto l’esercito azero ha ripreso il controllo la città di Lachin e i villaggi vicini di Zabukh e Sus, di fatto tagliando il corridoio che collega l’Armenia con il territorio popolato da armeni e che dal 1992 si è proclamato indipendente dall’Azerbaigian, costituendosi nella Repubblica dell’Artsakh, uno Stato non riconosciuto da nessun Paese Onu. La regione azera di Lachin, dove si trova il corridoio, era controllata dalle truppe armene fin dalla prima guerra del Nagorno-Karabakh, conclusasi nel 1994 con la vittoria di Erevan.
Nel 2020, durante il secondo conflitto, dove si stima che abbiano perso la vita oltre 6.500 persone, Baku, supportata dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, da sempre sua alleata, ha ripreso il controllo della regione, così come di altri sei distretti intorno al Nagorno-Karabakh e parte dell’enclave separatista. Secondo l’accordo di cessazione delle ostilità sponsorizzato e garantito dalla Russia di Vladimir Putin entro tre anni le parti avrebbero dovuto costruire una via di comunicazione terrestre alternativa tra l’Armenia e la Repubblica dell’Artsakh ma l’Azerbaigian ha violato i patti e ha chiesto agli armeni di lasciare Lachin.
Da metà dicembre, azeri che dicono di essere ambientalisti e che sostengono di protestare contro l’estrazione mineraria illegale hanno bloccato il corridoio e a causa di ciò ora l’enclave separatista, che conta circa 120mila abitanti, sta affrontando interruzioni di corrente e di internet, oltre a problemi di riscaldamento e di accesso a cibo e medicinali. A sostenere le mosse dell’Azerbaijan del presidente Ilham Aliyev, al potere dal 2003 dopo aver preso le redini del governo dal padre, c’è anche l’Italia, visto che lo Stivale importa dal Paese ex sovietico oltre il 13% del suo gas e che la nazione, insieme all’Iraq, è il nostro maggior fornitore di greggio, con circa 5,5 miliardi di euro di media nell’ultimo decennio. I flussi di gas in particolare dal Paese asiatico arrivano attraverso il Corridoio meridionale in Italia dalla Puglia, tramite la Tap, la Trans Adriatic pipeline. La capacità della Tap è al momento di circa 10 miliardi di metri cubi l’anno. Nel futuro, il governo conta di aumentarla gradualmente raddoppiandola a 20 miliardi di metri cubi entro il 2027.
L’Italia è da diversi anni il primo partner commerciale al mondo dell’Azerbaijan, con le nostre importazioni che sono in continua crescita, e sono passate dai 2,9 miliardi di euro del 2016 ai circa 5 miliardi a fine 2019, a fronte di esportazioni pari a circa 300 milioni di euro ed un valore di commesse vinte da aziende italiane intorno ai 7 miliardi negli ultimi 15 anni. Dopo gli annunci sugli accordi stretti da Eni in Algeria e Libia alla presenza di Giorgia Meloni, il governo intende consolidare il ruolo degli azeri nei nostri piani energetici. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso è stato ieri in visita a Baku, per presenziare alla cerimonia per la posa della prima pietra della centrale di Mingachevir in cui Ansaldo Energia realizzerà quattro turbine a gas da 320 MW ciascuna per un importo complessivo di 160 milioni di euro, primo di una serie di progetti che riguarderà le imprese italiane del settore.
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.02.2023 – Vik van Brantegem] –«Nel mondo si infittiscono le tenebre dell’odio, che spesso provengono dalla dimenticanza e dall’indifferenza» (Papa Francesco, parlando in generale nel discorso il 13 febbraio 2023 alla Delegazione dell’Università Sulkhan-Saba Orbeliani di Tbilisi, Georgia).
Foto di David Ghahramanyan @Davidphotograp6 – Fotoreporter di Stepanakert, capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ghahramanyan91@internet.ru +37497363738.
65° giorno di assedio dell’Artsakh. L’Azerbajgian continua la sua politica genocida, lasciando 120.000 Armeni con carenza di beni di prima necessità. Con l’interruzione totale della fornitura dall’Armenia di elettricità dal 9 gennaio e di gas dall’8 febbraio, il sistema elettrico locale sovraccarico con continui blackout sta provocando frequenti incendi nell’Artsakh. In un caso un residente di 50 anni è rimasto ferito ed è ricoverato in ospedale.
«Oggi è la festa dell’amore e in Artsakh non ci sono nemmeno fiori da regalare alle proprie mogli o ai propri cari. E hanno trovato questa soluzione» (Liana Margaryan, giornalista a Stepanakert).
Ieri, come abbiamo riferito, nel 64° giorno del #ArtsakhBlockade, gli Armeni dell’Artsakh si sono riuniti per celebrare Trndez (Tyarndarach) in occasione della presentazione di Cristo al tempio di Gerusalemme, 40 giorni dopo Natale. È consuetudine che tutti, in particolare gli sposi novelli, saltino insieme sul fuoco.
Oggi, 14 febbraio 2023, nella Cattedrale dell’Intercessione della Santa Madre di Dio a Stepanakert, si è tenuta una cerimonia di consegna delle croci benedette ai bambini nati nell’Artsakh bloccato. In Artsakh sotto assedio sono nati 244 bambini.
«I bambini dell’Artsakh invitano la società internazionale a stare con l’Artsakh e ad aprire la strada della vita. L’Azerbajgian, ricorrendo ad azioni criminali e terroristiche, sta tenendo sotto blocco circa 120.000 persone dell’Artsakh, con l’obiettivo di eseguire la pulizia etnica nell’Artsakh. La gente dell’Artsakh vuole vivere pacificamente nella propria patria» (Liana Margaryan, giornalista a Stepanakert).
I geni della propaganda azera del dittatore Aliyev all’opera. Nasimi Aghayev, Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania: «43 civili Armeni hanno utilizzato oggi la strada di Lachin con veicoli del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Rimane aperto ai civili e a tutte le forniture di cui i nostri cittadini Armeni hanno bisogno. Eppure, per mantenere la sua farsa di “blocco”, la giunta Vardanyan continua a impedire ai civili di utilizzare la strada da soli».
Adnan Huseyn risponde a Nasimi Aghayev e ICRC: «Coinvolgono intenzionalmente il CICR nel tentativo di creare una falsa impressione di una crisi e usano il coinvolgimento del CICR come prova. In 2 mesi non ho visto un solo tentativo civile di attraversare la strada. Invece, persistono nel loro modello tradizionale di mendicare, piangere e mentire».
Si trovano ancora gente problematiche, che nel 65° giorno di #ArtsakhBlockade negano che gli “eco-attivisti” sostenuti dal governo dell’Azerbajgian stanno bloccando il Corridoio (parola oscena per i stipendiati di Aliyev) di Lachin per oltre 2 mesi, violando i diritti fondamentali di movimento e impedendo l’accesso adeguato a beni e servizi essenziali.
Ironia della sorte, il dittatore guerrafondaio genocida Aliyev parteciperà il prossimo 27 febbraio alla 52ª sessione ordinaria del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (27 febbraio-4 aprile 2023) a Ginevra.
La Comunità armena della Svizzera organizza per lo stesso giorno dalle ore 14.00 una manifestazione presso la Place des Nations.
La vergogna di @ItalyinBaku
Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Senatore di Fratelli d’Italia: «Un accordo importante che apre la strada ad una più ampia presenza del Made in Italy e delle nostre eccellenze produttive industriali in Azerbajgian».
MIMIT-Ministero delle Imprese e del Made in Italy: «A Baku il Ministro Adolfo Urso e il Presidente azero hanno presenziato alla firma dell’accordo tra Ansaldo Energia e Azerenerji. @ItalyinBaku
Jeyhun Bayramov, Ministro degli Esteri della Repubblica di Azerbaigian: «Ho avuto un ampio scambio con la delegazione guidata da Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy. Abbiamo discusse opportunità per rafforzare ulteriormente il partenariato strategico multidimensionale tra l’Azerbajgian e l’Italia. L’ho informato sulla situazione postbellica, sul processo di riabilitazione e reintegrazione».
Il Ministro di Fratelli d’Italia avrà chiesto a questo punto spiegazioni “sulla situazione postbellica” nel Corridoio di Lachin? E espresso la preoccupazione del Governo Meloni per il “processo di riabilitazione e reintegrazione” attraverso la pulizia etnica con l’assedio degli Armeni in Artsakh?
Ripetiamo le parole di Antonia Arslan dall’intervista che segue, sulla “fascinazione dell’Italia” per l’Azerbajgian: «Subito dopo la Guerra dei Quaranta Giorni, un nutrito gruppo di parlamentari di tutti i partiti si è recato a Baku (sottolineo: tutte le forze politiche) a rendere omaggio a Baku. E tutte queste dimostrazioni, che noi riteniamo essere solo “di facciata”, per i popoli mediorientali sono simboli che valgono più di mille parole. Il gesto di Erdoğan che riserva solo uno strapuntino alla von der Leyen, ad esempio, non è solo un gesto scortese, ma un simbolo. Così come l’omaggio reso dai politici italiani è un simbolo. Ed anche il convegno internazionale tenuto a Shushi, storico crocevia della Via della Seta, città nelle mani degli Azeri dal 2020, vicina a Stepanakert, è un simbolo potente: sono stati invitati tutti gli ambasciatori, solo pochi hanno rifiutato (Francia, Stati Uniti e pochi altri) e l’Italia era presente».
I Ministri italiani che fanno la staffetta a Baku e con loro il Governo Meloni si coprono di vergogna. A futura memoria, quando diranno, sazio del caviale di Aliyev: «Wir haben es nicht gewußt» (Non lo sapevamo).
«L’indifferenza generale del mondo è la sfortuna degli Armeni. Dà l’opportunità all’Azerbajgian e alla Turchia, che sono forze del pan-turchismo, responsabili del genocidio del 1915, di “finire il lavoro” lontano dai sguardi» (Nanou Likjan).
«Questo video racconta uno dei molteplici episodi che descrivono le vere intenzioni degli agenti “eco-attivisti” del governo azero, che hanno bloccato per 2 mesi l’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia e al mondo. Insultano i cittadini dell’Artsakh, una parte indivisibile del popolo armeno, e si rallegrano per il loro blocco della strada. Questo è indicativo del loro atteggiamento e delle loro vere intenzioni. Questa registrazione video è del 14 dicembre 2022, il 2° giorno della chiusura della strada. Questo video è stato incluso e analizzato in un prossimo rapporto, in cui le prove hanno identificato ed esposto molti cosiddetti “eco-attivisti”» (Center for Law and Justice “Tatoyan” Foundation, 14 febbraio 2023).
Oggi, entrati nel terzo mese del #ArtsakhBlockade, rileggiamo l’intervista ad Antonia Arslan per La Nuova Bussola Quotidiana di esattamente un mese fa, quando il #ArtsakhBlockade era entrato nel secondo mese.
La prossima guerra potrebbe scoppiare nel Caucaso, fra Armenia e Azerbajgian. Si tratta di una profezia facile su una crisi di cui pochi ancora parlano. Da più di un mese, ormai, il Nagorno-Karabakh, un pezzo di Armenia storica incastonato nell’Azerbajgian, è completamente assediato e la popolazione è priva di ogni mezzo di sostentamento.
Dietro al pretesto di una manifestazione ecologista, gli Azeri hanno chiuso il Corridoio di Lachin, impedendo l’arrivo, dall’Armenia, di viveri, carburante e beni di prima necessità ai 120mila armeni che abitano nella regione (di fatto indipendente, anche se non riconosciuta internazionalmente). La situazione umanitaria è critica. Manca letteralmente tutto, nel pieno del rigido inverno delle montagne caucasiche. Impossibile non vedere anche l’aspetto religioso del lungo conflitto che scoppia a intermittenza da trent’anni. Il Nagorno-Karabakh (Artsakh) è un’enclave cristiana nell’Azerbajgian musulmano. E rientra in un conflitto più ampio, con l’Armenia tradizionale alleata della Russia contrapposta all’Azerbajgian sostenuto dalla Turchia.
La scrittrice Antonia Arslan, autrice del celebre romanzo sul genocidio armeno La Masseria delle Allodole, è una delle poche voci in Italia che lanciano l’allarme sulla crisi del Caucaso. La Nuova Bussola Quotidiana l’ha intervistata sulla tragedia degli Armeni del Karabakh e sullo strano silenzio della stampa occidentale. “Mai come ora, dal 1915, gli armeni rischiano l’annientamento”, spiega a La Nuova Bussola Quotidiana, constatando come “un allineamento terribile” di eventi e di congiunture internazionali faccia sì che tutto il mondo stia voltando le spalle al suo popolo.
Antonia Arslan, siamo alle soglie di una nuova guerra? L’Armenia è in una condizione di debolezza e certamente non si sogna neppure di attaccare. Purtroppo, dall’altra parte, l’Azerbajgian, con la Guerra dei Quaranta Giorni del 2020, ha dimostrato di essere armato fino ai denti, con equipaggiamenti di ultima generazione. Se vuole, se il suo Presidente Ilham Aliyev decide di attaccare, purtroppo c’è ben poco da fare per fermarlo. Io spero con tutto il cuore e prego che ciò non si verifichi. La situazione è molto delicata, anche perché è ancora in corso la guerra in Ucraina.
Come gli Armeni stanno vivendo la loro alleanza con la Russia? Con molto rancore. Perché gli Armeni si sentono abbandonati. Il sentimento comune è quello di isolamento. La politica del Caucaso e delle regioni vicine è talmente complessa, un intreccio di nazionalismi, vecchi rancori, odio religioso, che ogni cosa che accade su un fronte si ripercuote su un altro. La Russia ha aggredito l’Ucraina ed è impegnata enormemente su quel fronte. Mentre il cessate il fuoco del 2020 in Armenia lo si deve all’intervento della Russia, che tuttora schiera truppe di interposizione fra Azerbajgian e quel che resta del Karabakh indipendente. Al momento non sono proprio in grado di intervenire.
L’ultimo blocco del Corridoio di Lachin dura da più di un mese… È questo il punto. La strada di Lachin è sempre stata regolarmente interrotta, per brevi periodi, anche di un giorno, dal 2020 ad oggi. Questo prolungarsi del blocco che sta causando una terribile situazione umanitaria, è la novità. Non si può entrare e uscire dal Karabakh neppure per via aerea, perché tutti gli aeroporti sono ormai sotto il controllo degli azeri ed è impossibile aggirare il blocco. Solo la Croce Rossa è autorizzata a passare, ma ha potuto attraversare il blocco per non più di cinque volte stando a fonti giornalistiche in loco. I generi di prima necessità sono razionati, frutta e verdura scomparse. Siamo nel Caucaso ed è pieno inverno e tutto quel che arrivava dall’Armenia è bloccato.
Come fanno a sopravvivere gli Armeni del Nagorno Karabakh? Da montanari. Coraggiosissimi, aggrappati alla loro terra come ostriche allo scoglio, si accontentano, si arrangiano, non si lamentano. Manca il riscaldamento, le scuole sono chiuse: abbiamo cercato di riaprire la nostra scuola a Stepanakert (Scuola professionale armeno-italiana Antonia Arslan, ndr). Sono gli Armeni del Caucaso: i più autentici, quelli che a suo tempo non hanno subito il genocidio perché erano sotto la Russia zarista e non sotto l’Impero Ottomano. E adesso però sono sotto una minaccia costante di genocidio, una minaccia dichiarata. Erdogan lo disse chiaro e tondo: “Dobbiamo finire il lavoro iniziato dai nostri antenati”. L’odio coltivato è praticato con la distruzione di ogni traccia di memoria armena: le lettere armene scalpellate via dai muri, le chiese distrutte. Per reazione, gli Armeni vogliono restare e resisteranno più che possono.
Le distruzioni di cui parla non sono di epoche remote… Alcune sono recentissime, dopo la guerra del 2020. Ci sono foto che ci mostrano spianate dove prima sorgevano chiese. E questo avviene in tutti i territori conquistati. Ma l’esempio più significativo è in un’altra regione, quella del Nakhichivan, su cui il professor Ferrari (docente di Letteratura armena all’Università di Venezia) sta preparando un libro molto importante. Abitata da una maggioranza di Armeni, era stata attribuita all’Azerbajgian da Stalin. Gli Armeni, sin dagli albori dell’URSS, sono stati cacciati dal Nakhichivan, verso l’Armenia con cui confina. Tutte le tracce della presenza armena, edifici, chiese, cimiteri, sono state sistematicamente distrutte. Una serie di fotografie dimostrano, ad esempio, come al posto località delle Sette Chiese vi fosse una spianata con le fondamenta però ancora visibili. Ora non si vedono più neppure quelle. Secondo gli Azeri, quel territorio “non è mai stato abitato da Armeni”. L’ultimo cimitero storico di cui abbiamo foto, quello di Julfa, è stato raso al suolo con gran uso di esplosivi, nel 2007. Era l’ultima testimonianza di un cimitero armeno le cui prime tombe erano dell’Ottavo Secolo. Ora è una spianata nuda e brulla.
È questa la sorte che toccherebbe anche al Nagorno-Karabakh? È quello che accadrà anche nel Karabakh nel momento in cui gli ultimi Armeni decidessero di andarsene. Sparirebbero monumenti millenari stupendi, dove sono stati trovati affreschi, siti archeologici di importanza immensi. Temiamo per il monastero di Dadivank, del Nono Secolo, nelle mani degli Azeri dal 2020, dove nel 2014 erano stati riscoperti antichi affreschi di straordinaria bellezza da parte dell’architetto armeno Arà Zarian e dalla restauratrice belga Christine Lamoureux. Non è stato distrutto perché è troppo celebre. Ma si rischia che, una volta spenta l’attenzione mediatica, faccia la fine delle altre chiese.
A cosa si deve la disattenzione mediatica sul Caucaso? A mio parere è dovuta, soprattutto, alla disattenzione dell’Unione Europea. Non solo è totalmente silente, ma, peggio ancora, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è andata personalmente a ringraziare Aliyev in Azerbajgian per la vendita del gas. Ora: la vendita (non il regalo) del gas è già uno scambio. Perché metterci quel “di più” del ringraziamento pubblico, perché inginocchiarsi con scene patetiche? Dove è finita la grande diplomazia europea? E d’altra parte c’è stata un’ampia opera di lobbying sul Parlamento Europeo da parte dell’Azerbajgian. E molti Eurodeputati hanno cambiato il loro atteggiamento e le loro opinioni dalla sera alla mattina, come è avvenuto con il Qatar. Un altro motivo è un certo riflesso condizionato provocato dalla guerra in Ucraina. Siccome i Russi sono dalla parte dei cattivi, allora anche quel che fanno in Armenia è un male?
E come mai anche il Vaticano sembra così distratto? L’Azerbajgian ha anche finanziato il restauro di catacombe (quelle dei Santi Marcellino e Pietro e poi quelle di Commodilla) a Roma, opera per la quale è stata espressa grande riconoscenza [QUI, QUI e QUI]. L’Azerbajgian si presenta poi come un Paese in cui la libertà di religione è pienamente garantita. Questa fascinazione riguarda anche la politica italiana: subito dopo la Guerra dei Quaranta Giorni, un nutrito gruppo di parlamentari di tutti i partiti si è recato a Baku (sottolineo: tutte le forze politiche) a rendere omaggio a Baku. E tutte queste dimostrazioni, che noi riteniamo essere solo “di facciata”, per i popoli mediorientali sono simboli che valgono più di mille parole. Il gesto di Erdoğan che riserva solo uno strapuntino alla von der Leyen, ad esempio, non è solo un gesto scortese, ma un simbolo. Così come l’omaggio reso dai politici italiani è un simbolo. Ed anche il convegno internazionale tenuto a Shushi, storico crocevia della Via della Seta, città nelle mani degli Azeri dal 2020, vicina a Stepanakert, è un simbolo potente: sono stati invitati tutti gli ambasciatori, solo pochi hanno rifiutato (Francia, Stati Uniti e pochi altri) e l’Italia era presente.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-14 17:44:492023-02-21 17:45:45Sessantacinquesimo giorno del #ArtsakhBlockade. «L’indifferenza del mondo permette l’Azerbajgian e la Turchia di “finire il lavoro” lontano dai sguardi» (Korazym 14.02.23)
Si arricchisce sempre più di opere di respiro internazionale il catalogo della Leonida Edizioni. La casa editrice di Reggio Calabria, nata nel 2006 ed oggi riconosciuta e apprezzata in tutta Italia per la notevole attività di promozione culturale, ha già avviato le procedure, di concerto con la prestigiosa casa editrice armena Actual Art, per la prossima pubblicazione del poemetto “Saqò del Lorì” del più grande scrittore e poeta armeno Hovhannes Tumanyan. Si tratta della prima traduzione in assoluto dell’opera, seguita da un’appendice con altri scritti dello stesso autore, poesie e un piccolo racconto.
Hovhannes Tumanyan (Dsegh 1869 – Mosca 1923) ha ricoperto un ruolo significativo nella letteratura del paese transcaucasico e ad oggi gode di grande popolarità. Dal padre ereditò l’amore e l’interesse per la dura vita dei contadini armeni, le loro tradizioni, il folklore e le loro storie. In particolare, il giovane Tumanyan si interessò alle loro leggende e fiabe, che sarebbero presto diventate materiale e fonte di ispirazione dei suoi successivi scritti.
“E’ un grande onore per me e per la mia casa editrice – spiega il direttore editoriale della Leonida Edizioni, Domenico Polito – annunciare la pubblicazione, per la prima volta in lingua italiana, del poemetto del grande poeta Tumanyan. Il progetto editoriale tende a confarsi al programma di cooperazione e interscambio culturale già avviato con l’ambasciata dell’Armenia, tradotto nella pubblicazione dello scrittore Yeghishe Charents”. Per ulteriori dettagli è possibile visitare il sito www.editrice-leonida.com ed i canali social della Leonida Edizioni.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-14 17:43:372023-02-21 17:44:32La Leonida pubblicherà la prima edizione italiana di "Saqò del Lorì" (Reggiotoday 14.02.23)
“In Oriente, o siamo cristiani insieme o non lo siamo”: è ruotata intorno a questa affermazione l’apertura, ieri a Betania-Harissa (Libano), dei lavori dell’Assemblea sinodale continentale delle Chiese cattoliche del Medio Oriente (copti, siriaci, maroniti, melchiti, caldei, armeni e latini). Dopo una preghiera per le vittime del terremoto che ha colpito la Siria e la Turchia, è stato padre Khalil Alwan, segretario generale del Consiglio dei patriarchi cattolici d’Oriente e coordinatore generale dell’Assemblea sinodale, ha ricordare il Messaggio pastorale che nel 1992 i patriarchi cattolici d’Oriente avevano inviato ai loro fedeli nel Medio Oriente e a quelli sparsi nel mondo, dal titolo: “La presenza cristiana in Oriente, testimonianza e messaggio”. Per padre Alwan, “questa lettera ha tracciato il cammino delle Chiese cattoliche in Oriente e ne ha sintetizzato l’identità e il futuro con la parola ‘presenza’. Questa ‘presenza’ si incarna effettivamente e autenticamente nella lingua araba e nel patrimonio arabo di cui siamo costruttori e nella civiltà araba che abbiamo contribuito a stabilire. La nostra presenza è anche una presenza al servizio dell’uomo senza distinzioni o discriminazioni. È una presenza ecumenica per una comune cooperazione; è presenza del dialogo con le persone di buona volontà, musulmani ed ebrei e, infine, è una presenza a carattere globale, grazie ai nostri figli sparsi nel mondo, perché è comunione di fede, amore e appartenenza civile ovunque ci troviamo”. “Siamo giunti dalla Terra Santa, Giordania, Libano, Siria, Egitto, Iraq e Armenia – ha ricordato – per ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese e per pregare e riflettere insieme sulle nostre preoccupazioni comuni e condividere le nostre aspirazioni future. Molte cose ci uniscono, siamo uniti dalle condizioni dei nostri Paesi, dove a tutti noi mancano spesso la libertà di religione, la libertà di espressione, la libertà delle donne e la libertà dei bambini. Cerchiamo tutti, secondo le nostre energie, di combattere la corruzione nella politica e nell’economia. Cerchiamo tutti di praticare la trasparenza nelle nostre istituzioni religiose e sociali, e desideriamo praticare una cittadinanza responsabile e combattere la povertà e l’ignoranza. Soffriamo tutti per l’emigrazione dei nostri figli che hanno visto restringersi gli orizzonti per una vita dignitosa, e portando alla diminuzione delle nostre comunità e della nostra testimonianza nella terra che il Signore ha scelto come sua dimora”. Tuttavia, ha aggiunto, “noi, figli della Chiesa, non solo siamo uniti dalle preoccupazioni e dalle difficoltà della vita, ma siamo anche uniti da un solo battesimo, una sola fede, un solo amore e una sola speranza”. “Il cristianesimo d’Oriente, nonostante le sue divisioni, forma nel suo fondamento un’unità indivisibile di fede. Siamo cristiani insieme nella buona e nella cattiva sorte. Una è la chiamata, una è la testimonianza, uno è il destino. Pertanto – ha concluso – siamo chiamati a lavorare insieme. In Oriente, o siamo cristiani insieme o non lo siamo. E se i rapporti tra le Chiese d’Oriente non sono stati sempre buoni per tanti motivi, interni ed esterni, allora è giunto il momento per noi di purificare la nostra memoria cristiana dai depositi negativi del passato, per quanto dolorosi possano essere, per guardare insieme al futuro nello spirito di Cristo e sotto la guida del suo Vangelo e degli insegnamenti dei suoi apostoli”. Ai lavori hanno partecipato anche il card. Jean-Claude Hollerich, coordinatore della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che ha ricordato le tappe del cammino finora percorso e il card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, che si è soffermato su due condizioni necessarie per la buona riuscita del processo sinodale. La prima riguarda “la necessità della partecipazione attiva del popolo di Dio e dei pastori”; la seconda è legata all’importanza dell’ascolto di ciò che lo Spirito Santo dice alla Chiesa. In conclusione, il card. Mar Bechara Boutros Al-Rahi, patriarca della Chiesa maronita, ha ricordato come l’impegno “a vivere come una Chiesa sinodale” significhi impegnarsi a essere “una Chiesa che impara dall’ascolto della Parola di Dio e dalla lettura dei segni dei tempi come rinnovare la sua missione annunciando il Vangelo e annunciando il mistero della morte e risurrezione di Cristo per la salvezza del mondo”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-14 17:42:062023-02-21 17:43:08Assemblea sinodale Medio Oriente: Libano, qui “o siamo cristiani insieme o non lo siamo” (SIR 14.02.23)
La Società finanziaria spagnola Kaufmann con sede a Madrid ha chiesto, nei giorni scorsi, di aderire all’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari. La nuova partnership che si profila, si inquadra nel lavoro dell’Associazione per lo sviluppo di nuovi contatti al fine di allargare il raggio di azione e l’area di influenza della Cooperazione bancaria mondiale, in particolare europea.
Sempre nell’ambito delle relazioni internazionali, è da segnalare anche la pubblicazione, in lingua armena, del volume del Segretario Generale dell’Associazione, Giuseppe De Lucia Lumeno, “Luigi Luzzatti e il popolo armeno”. L’iniziativa editoriale di traduzione e pubblicazione in Armenia viene dopo l’incontro tenuto a Roma nello scorso mese di novembre tra Assopopolari e una delegazione di Farm Credit Armenia (FCA), la Cooperativa di Credito operante in Armenia, guidata da Armen Gabrielyan, CEO della stessa FCA.
«La richiesta di adesione da parte della Kaufmann – ha commentato il Segretario Generale di Assopopolari, Giuseppe De Lucia Lumeno – è l’ulteriore testimonianza della vitalità della cooperazione bancaria e di come nelle relazioni e nelle esperienze internazionali si stia rafforzando uno strumento essenziale per promuovere il valore e l’apporto della cooperazione bancaria all’economia reale attraverso lo scambio di conoscenze e grazie anche alla riscoperta delle proprie radici e della propria storia. L’antico legame tra le Banche Popolari e il popolo armeno, testimoniato dalla scelta di tradurre il libro sul contributo dato da Luigi Luzzatti alla questione armena, è la più chiara dimostrazione di questa riscoperta che conferma la convinzione che il futuro di ciascuno è inscritto nelle proprie radici».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-14 17:25:142023-02-21 17:35:21Cooperazione bancaria europea: Kaufmann chiede di aderire ad Assopopolari (Il Riformista 14.02.23)
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