Sessantaquattresimo giorno del #ArtsakhBlockade. Quali sviluppi tra Baku e Yerevan nei prossimi mesi? Gli Azeri armano l’energia – Parte 2 (Korazym 13.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 13.02.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi, nel 64° giorno del #ArtsakhBlockade, il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan, ha scritto in un post su Twitter: «Da due mesi, le nostre famiglie in Artsakh/Nagorno-Karabakh vivono sotto il blocco e con una crescente incertezza in tutti gli aspetti della vita. Di fronte ad una crisi umanitaria, le condizioni di vita sono diventate sempre più difficili e peggiorate dalle crisi energetiche ed economiche collegati. Creando incertezza, l’Azerbajgian sta portando avanti il suo obiettivo di pulizia etnica/deportazione forzata. Mentre le organizzazioni umanitarie internazionali hanno condannato le azioni dell’Azerbajgian e chiesto la fine del suo blocco, abbiamo bisogno di agire ora per aprire la strada e garantire un accesso affidabile all’energia».

Il popolo dell’Artsakh è resiliente e vuole vivere, in pace nella sua terra.

Oggi, nel 64° giorno del #ArtsakhBlockade, «gli Armeni dell’Artsakh celebrano Trndez, un’antica tradizione in cui gli sposi saltano sopra un falò. Segna anche 40 giorni dopo la nascita di Cristo. Quest’anno il fuoco ci ricorda le nostre attuali condizioni senza gas né elettricità, la nostra unica fonte di calore ed energia. Secondo la leggenda di Trndez, anche il fuoco aiuta a sconfiggere l’inverno. Il fuoco aiuterà coloro che sono sotto assedio a sopravvivere a questo freddo inverno?» (Siranush Sargsyan, 13 febbraio 2023).

Trndez o Tyarndarach è una festa di purificazione nella Chiesa Apostolica Armena e nelle Chiese Cattoliche Armene, celebrata 40 giorni dopo la nascita di Gesù. Perciò, le due Chiese lo celebrano in giorni diversi, rispettivamente il 13 con le celebrazioni alla vigilia del 14 febbraio e il 2 febbraio. La celebrazione del Trndez è di origine zoroastriana ed era collegata al culto del sole/fuoco nell’antica Armenia precristiana, che simboleggia l’arrivo della primavera e la fertilità.

Di seguito riportiamo da EVN Report un’analisi delle sfide che l’Armenia deve affrontare in questo periodo politicamente difficile. Degli esperti Armeni aiutano a dare un senso alle discussioni in corso su un possibile accordo di pace tra Baku e Yerevan e quali sviluppi ci si può effettivamente aspettare nei prossimi mesi (Una pace di Pirro di Artin Der Simonian).

Segue un approfondimento di EVN Report sulla crisi energetica, con il rifornimento elettrica e di gas in Artsakh, la situazione attuale e le cause storiche e attuali (Armare l’energia: i rifornimenti energetici del Nagorno-Karabakh sotto assedio di Ani Avetisyan).

EVN Report è un settimanale online indipendente e senza scopo di lucro, il braccio mediatico di EVN News Foundation registrato nella Repubblica di Armenia nel 2017, sostenuto da un gruppo di giornalisti, scrittori e analisti impegnati con sede a Yerevan, nella diaspora e oltre. La missione di EVN Report è quella di rafforzare l’Armenia, ispirare la diaspora e informare il mondo attraverso rapporti e commenti solidi, credibili e basati sui fatti.

Una pace di Pirro
di Artin Der Simonian
Evnreport.com, 10 febbraio 2023

Dopo la guerra dell’Artsakh del 2020, il processo durato oltre trent’anni per risolvere il conflitto è stato rinvigorito, purtroppo attraverso la forza militare. Dal cessate il fuoco della notte del 9 novembre 2020, l’Azerbajgian ha continuamente utilizzato la diplomazia coercitiva per indurre il governo armeno a fare concessioni nei negoziati in corso. L’esempio più recente è la chiusura del Corridoio di Lachin, ormai al suo secondo mese, e il conseguente blocco di 120.000 Armeni del Nagorno-Karabakh. “Sento che stiamo predicando al coro in totale isolamento dal mondo, poiché la comunità internazionale sembra non sentirci né vederci”, afferma Marina Simonyan, Capo dipartimento presso l’Ufficio del Difensore Civico per i Diritti Umani della Repubblica di Artsakh.

In mezzo a questa incessante pressione, i negoziati tra Yerevan e Baku dovrebbero portare alla firma di un accordo nei prossimi mesi. Il termine “accordo di pace” è spesso usato per descrivere questi colloqui in corso che sarebbero stati mediati sia dall’Occidente, in particolare da Washington e Brussel, sia da Mosca. “Ciò che l’Azerbajgian vuole dall’Armenia non è un accordo di pace; è una vera e propria capitolazione”, secondo Benyamin Poghosyan, Presidente del Center for Political and Economic Strategic Studies, un think tank di Yerevan. Una tale capitolazione alla fine comporterà la completa dissoluzione della Repubblica di Artsakh poiché praticamente tutti gli Armeni saranno costretti a lasciare la regione e l’inizio della penetrazione dell’Azerbaigian nella regione di Syunik, continua Poghosyan.

Gulnara Shahinian, ex Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di schiavitù e fondatrice della ONG Democracy Today a Yerevan, concorda sul fatto che un tale accordo non sarà un accordo di pace, “perché non [si tradurrà in] pace”. Parlando della dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco firmata dopo la guerra dell’Artsakh del 2020, Shahinian osserva che l’accordo è stato “violato più volte” senza ripercussioni da parte del presunto garante del documento, la Russia. “Chi, anche se ci fosse un nuovo accordo, ne farebbe rispettare i termini?” chiede Shahinian.

Data la continua guerra della Russia in Ucraina, Mosca ha dovuto reindirizzare più risorse dalle sue aree storiche di influenza, in particolare in Asia centrale e nel Caucaso meridionale, verso altri fronti. Mentre l’Azerbajgian sta sfruttando questa opportunità per screditare le forze di mantenimento della pace russe, alimentare la paura tra gli Armeni del Nagorno-Karabakh e fare pressioni direttamente sul governo armeno, tali azioni hanno anche contribuito a un crescente sentimento anti-russo tra i consiglieri attorno al Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, e la popolazione armena più in generale.

Questa ansia è molto sentita tra gli Armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh. “Soprattutto, la gente del Nagorno-Karabakh ha paura che scoppi un’altra sanguinosa guerra”, spiega Simonyan. “Essere puliti etnicamente ed esiliati dalla loro terra ancestrale è la più grande paura degli Armeni del Nagorno-Karabakh oggi”.

Sfortunatamente, un’altra guerra rimane una chiara possibilità data la posizione militare incoraggiante dell’Azerbaigian nella regione e la volontà di Baku di usare la forza con una minima condanna internazionale. Mentre la maggior parte delle potenze nella regione preferirebbe un accordo negoziato pacificamente che tenga conto degli interessi di tutte le parti coinvolte, l’attuale contesto rende altamente improbabile un simile accordo. E più improbabile è la conclusione di un accordo, più è probabile che l’Azerbajgian utilizzi il suo vantaggio militare per realizzare le sue ambizioni regionali.

Un tempo di guai

Se Yerevan persegue una “politica estera e interna solida e competente”, allora l’Armenia può preservare l’attuale status quo “offrendo allo stesso tempo all’Azerbajgian e alla comunità internazionale un vero accordo di pace” che soddisferà sia le richieste armene che quelle azere, “creando opportunità per una lunga -pace duratura”, sostiene Poghosyan. Russia e Iran non sono interessati, dice, alla capitolazione dell’Armenia, data la “significativa crescita dell’influenza turca e americana nella regione”. Senza il sostegno russo o iraniano, sarà difficile immaginare che Yerevan accetti una proposta sostenuta dall’Occidente a meno che non includa rigorose garanzie di sicurezza e un chiaro percorso per l’Armenia. Le opinioni divergono, tuttavia, su come Yerevan dovrebbe affrontare una situazione in cui non viene firmato un accordo di pace.

Shahinian sottolinea che “portare una forza internazionale di mantenimento della pace, continuando il dialogo”, sarebbe l’opzione migliore. Pur riconoscendo che un’azione del genere attirerà probabilmente le ire sia di Teheran che di Mosca, Shahinian sostiene che una missione di mantenimento della pace indipendente e sanzionata a livello internazionale offrirebbe all’Armenia maggiori garanzie di sicurezza rispetto all’attuale contingente di mantenimento della pace russo, che non ha un chiaro mandato o un codice di condotta stabilito nell’accordo del 9 novembre. Inoltre, ritiene che l’Unione Europea “dovrebbe essere molto forte nel proprio sistema di valori”, affermando che la situazione generale nel Caucaso meridionale è troppo grave per essere vista solo attraverso una “piccola lente a breve termine”. Se l’Unione Europea investe nello sviluppo della democrazia nella regione, compresa la Georgia, il cui calo degli indici di democrazia ha causato qualche allarme, “allora insieme, Yerevan e Tbilisi potrebbero costruire una strategia di sicurezza comune nel Caucaso meridionale”.

Poghosyan teme che “dato il grado di propaganda anti-armena in Azerbaigian dal 1991”, i negoziati sostenuti dall’Occidente tra Armenia e Azerbajgian, ponendo probabilmente il Nagorno-Karabakh sotto il controllo diretto dell’Azerbajgian, porteranno inevitabilmente all’esodo degli Armeni dal Karabakh, anche con l’ipotetica garanzie di sicurezza. Allo stesso tempo, avverte che un tale piano di Washington e Brussel potrebbe “trasformare l’Armenia in un trampolino di lancio anti-russo e anti-iraniano nel Caucaso meridionale”, uno scenario che probabilmente causerebbe più problemi che soluzioni per Yerevan.

Alla luce della risposta poco brillante di Mosca, vista attraverso gli occhi di molti comuni Armeni, sembra che Yerevan stia cercando di elaborare e implementare una strategia di politica estera multi-vettore. Tuttavia, la scarsa professionalità all’interno del governo armeno, nonché una radicata relazione di sicurezza, politica ed economica con Mosca, complica ulteriormente tali sforzi.

“Ciò che accade tra l’Armenia e l’Azerbajgian è solo uno spettacolo secondario rispetto alle guerre egemoniche globali dei nostri tempi”, afferma George Derlugian, professore di ricerca sociale presso il campus di Abu Dhabi della New York University. “Preparatevi all’esito dei campi di battaglia in Ucraina, al destino del regime a Mosca così come in Turchia e in Iran. Sarà come il gioco del backgammon con più dadi di ferro”, continua, adattando la frase del cancelliere tedesco Theobald von Bethmann-Hollweg prima di entrare in guerra nel 1914.

Indovinare le prospettive di un accordo negoziato tra Baku e Yerevan al momento è “inutile” dato che non sarà né un “accordo di pace” né un “accordo”, secondo Derlugian. Una tale situazione evoca ricordi dell’accordo di Versailles dopo la Prima Guerra Mondiale –– anche un periodo atipico nell’equilibrio di potere globale –– dove la Francia e il Regno Unito cercarono di punire la Germania. “Tuttavia, nel giro di pochi anni, la Germania e la Russia sovietica si erano riprese. Gli accordi tipo Versailles non sono mai duraturi”, conclude Derlugian.

La nazione armena deve affrontare chiaramente un anno impegnativo. Tuttavia, come hanno notato questi esperti, con diplomazia discreta e obiettivi chiari sia in politica estera che interna, Yerevan può mantenere lo status quo fino a quando non si raggiunge un accordo veramente sostenibile e praticabile. A dire il vero, i conflitti globali in corso e le sfide economiche avranno un impatto sullo sviluppo dell’Armenia in futuro. Tuttavia, una comprensione dimensionale completa di tali realtà e agire in conformità con esse è fondamentale e contribuirà a politiche più ponderate e prudenti da parte di Yerevan in mezzo al proprio periodo di difficoltà.

Armare l’energia: i rifornimenti energetici del Nagorno-Karabakh sotto assedio
di Ani Avetisyan
Evnreport.com, 9 febbraio 2023

Il blocco dell’unica ancora di salvezza del Nagorno-Karabakh, il Corridoio Lachin, è accompagnato da ripetute interruzioni del suo approvvigionamento energetico dall’Armenia. Già da due mesi, la regione sta affrontando continue interruzioni di corrente e la regolare sospensione della sua fornitura di gas naturale, poiché i cavi e i gasdotti che forniscono elettricità e gas al Nagorno-Karabakh passano attraverso territori su cui l’Azerbajgian ha ripreso il controllo dopo la guerra dell’Artsakh del 2020.

Tuttavia, prima del settembre 2022, le forze di pace russe avevano la supervisione dei tubi del gas e dei cavi elettrici, di cui solo una piccola parte passava attraverso i territori controllati dall’Azerbajgian vicino a Shushi. Quando il percorso del Corridoio di Lachin è stato modificato nel settembre 2022, gli Armeni locali nell’Artsakh e le forze di mantenimento della pace russe hanno perso il controllo di quell’infrastruttura.

L’intera economia del Nagorno-Karabakh è fortemente dipendente dall’Armenia e il blocco del Corridoio di Lachin l’ha resa più vulnerabile, dando all’Azerbajgian la capacità di armare l’approvvigionamento energetico del Nagorno-Karabakh e il controllo sulle sue infrastrutture critiche.

Quello che è successo

I problemi energetici del Nagorno-Karabakh sono iniziati poco dopo lo scoppio della guerra dell’Artsakh del 2020 alla fine di settembre di quell’anno.

Il Nagorno-Karabakh ha perso la maggior parte delle sue centrali idroelettriche durante la guerra, poiché si trovavano sul territorio che deteneva nei tre decenni precedenti ma di cui aveva perso il controllo. Ciò ha colpito l’economia locale del Nagorno-Karabakh. La regione aveva appena iniziato ad aumentare drasticamente il suo volume di produzione di energia ed è stata improvvisamente riportata ad essere fortemente dipendente dalle importazioni di elettricità dall’Armenia, interrompendo al contempo le esportazioni.

Dalla guerra del 2020, il gasdotto che fornisce gas alla maggior parte della popolazione armena locale è rimasto per lo più nel corridoio di Lachin controllato dalla Russia, con una parte che attraversava il territorio vicino a Shushi, controllato dall’Azerbajgian.

La nuova realtà ha reso l’approvvigionamento energetico un problema per il Nagorno-Karabakh. Nel marzo 2022, la fornitura di gas della regione è stata sospesa per oltre un mese a causa di un danno al tubo vicino a Shushi, lasciando la popolazione senza riscaldamento a temperature sotto lo zero.

Le autorità sia dell’Armenia che del Nagorno-Karabakh hanno accusato l’Azerbajgian di aver deliberatamente fatto saltare in aria l’oleodotto. L’Azerbajgian ha negato le accuse e nel frattempo ha negato alle squadre di riparazione l’accesso all’area. L’Azerbajgian ha riparato i danni circa tre settimane dopo, ma dopo pochi giorni la fornitura di gas al Nagorno-Karabakh è stata nuovamente interrotta; questa volta, l’Armenia ha accusato l’Azerbajgian di aver chiuso la valvola installata durante la riparazione del tubo.

La sospensione della fornitura di gas ha fatto sì che le persone iniziassero a fare affidamento su legna da ardere e sistemi di riscaldamento elettrici, il che ha causato un’ulteriore pressione sulla rete elettrica, rischiando ulteriori danni e interruzioni di corrente.

Tutto ciò, tuttavia, avveniva quando il Nagorno-Karabakh riceveva forniture elettriche ininterrotte dall’Armenia.

Nel settembre 2022 è stato aperto il nuovo percorso del Corridoio di Lachin, appena a nord della città di Lachin (Berdzor). I cavi elettrici e i gasdotti sono rimasti adiacenti alla vecchia strada, interamente sotto il controllo azero.

Le autorità del Nagorno-Karabakh hanno affermato che lo spostamento dei cavi elettrici nelle nuove aree controllate dalla Russia richiederà del tempo, mentre la questione dei gasdotti sarebbe più complicata. “Ci vorrà del tempo per spostare i cavi elettrici. In termini di fornitura di gas […] si dovrebbero cercare altre soluzioni”, ha affermato Hayk Khanumyan, l’allora Ministro dell’amministrazione territoriale del Nagorno-Karabakh.

Le proteste orchestrate dal governo azero che hanno bloccato il Corridoio di Lachin dal 12 dicembre 2022, presumibilmente contro questioni ambientali, sono state accompagnate da numerosi casi di danni ai cavi dell’elettricità e di Internet e al gasdotto che porta collegamenti di comunicazione cruciali e forniture di energia alla regione assediata.

Circa un mese dopo il blocco, l’unico cavo che forniva elettricità al Nagorno-Karabakh è stato danneggiato. Nessun dettaglio è stato fornito dalla parte azera sul motivo per cui la fornitura di elettricità al Nagorno-Karabakh è stata sospesa, mentre la parte armena ha nuovamente accusato Baku di aver deliberatamente danneggiato il cavo e di aver negato l’accesso all’area alle squadre di riparazione. Da allora, il Nagorno-Karabakh ha fatto affidamento su una produzione locale limitata.

A causa della carenza, le autorità di Stepanakert hanno introdotto interruzioni di corrente a rotazione in tutta la regione, partendo da interruzioni giornaliere di due ore a tre interruzioni di due ore, fino a interruzioni giornaliere di sei ore.

Con l’interruzione del gas e le limitate forniture di elettricità nelle temperature invernali sotto lo zero, le stufe a legna sono diventate la fonte di calore più affidabile. Con oltre il 95% del Nagorno-Karabakh abituato a utilizzare il gas per il riscaldamento, in particolare la capitale Stepanakert, dove risiedono più di 50.000 Armeni, passare alla combustione della legna da ardere è stato un adattamento difficile.

Molte strutture ed edifici residenziali a Stepanakert non sono stati adattati all’uso di stufe a legna e alcuni residenti non hanno legna da ardere per il riscaldamento. Il governo ha iniziato a stanziare legna da ardere e stufe a legna a chi ne ha bisogno.

L’interruzione dell’approvvigionamento energetico ha anche causato il rinvio degli interventi programmati negli ospedali. Per risparmiare energia per cure urgenti, scuole e altre istituzioni educative hanno subito diverse chiusure dopo il blocco. Le lezioni sono riprese dopo una settimana di ripristino della fornitura di gas. Tuttavia, i ripetuti tagli del gas e la bassa pressione del gas dopo il restauro non hanno consentito di riscaldare a sufficienza le abitazioni residenziali e le strutture statali.

Anche le stazioni di servizio sono state colpite, interrompendo l’orario dei trasporti pubblici e privando i residenti della possibilità di muoversi liberamente all’interno del Nagorno-Karabakh assediato.

Realtà prebellica: esportazioni e importazioni di elettricità

La fornitura di elettricità al Nagorno-Karabakh dall’Armenia non è sempre stata un problema: prima della guerra del 2020, entrambi i Paesi commerciavano elettricità e attendevano un futuro di cooperazione.

La produzione di energia nel Nagorno-Karabakh stava subendo un cambiamento significativo prima della guerra del 2020, con la regione che ha raggiunto traguardi senza precedenti nella produzione di elettricità. Le centrali idroelettriche, la principale fonte di produzione, sono diventate redditizie in Nagorno-Karabakh nell’ultima parte degli anni 2010, raggiungendo il loro apice poco prima della guerra del 2020.

Nel 2016, nell’Artsakh erano in funzione oltre una dozzina di centrali idroelettriche, che sono salite a 18 nel 2018. All’inizio del 2020, quel numero era cresciuto fino a raggiungere circa quattro dozzine di centrali idroelettriche operanti in diverse regioni del Nagorno-Karabakh. Quando iniziò la guerra dell’Artsakh del 2020, un certo numero di piccole centrali idroelettriche erano in costruzione.

Le centrali idroelettriche, pur rilanciando l’economia della regione, hanno anche attirato l’attenzione dei giornalisti investigativi poiché molte delle centrali idroelettriche costruite nelle regioni di Kalbajar (Karvachar) e Lachin (Kashatagh) appartenevano a funzionari dell’Armenia e dell’Artsakh.

La capacità totale di tutte queste centrali idroelettriche era di circa 187 MW, il che ha permesso ad Artsakh di fornire elettricità alla popolazione locale e di esportarla anche in Armenia.

Il Nagorno-Karabakh era una delle tre entità, insieme all’Iran e alla Georgia, che importavano ed esportavano elettricità in Armenia. L’Armenia produce una media di 7-8 miliardi di kWh di elettricità all’anno, con circa 200 milioni di kWh consegnati al Nagorno-Karabakh prima del blocco.

Circa la stessa quantità di elettricità, da 150 a 200 milioni di kWh, veniva esportata ogni anno dal Nagorno-Karabakh all’Armenia. Il governo armeno aveva in programma di importare un massimo storico di 330 milioni di kWh di elettricità dall’Artsakh nel 2021.

A causa della guerra, tuttavia, l’Armenia dovette soddisfare le richieste dell’Artsakh a scapito dei propri bisogni interni. Sostituire le importazioni dal Nagorno-Karabakh con energia prodotta localmente era molto più costoso.

Il Nagorno-Karabakh, a sua volta, ha dovuto ridurre quasi del tutto le esportazioni verso l’Armenia per soddisfare la domanda locale di elettricità a capacità ridotta.

Centrali idroelettriche perse durante la guerra

Il Nagorno-Karabakh ha smesso di esportare elettricità in Armenia alla fine del 2020, in seguito all’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 tra Armenia, Russia e Azerbajgian. A seguito della guerra, l’Artsakh ha perso territori all’interno e all’esterno dell’ex Oblast Autonomo del Nagorno-Karabakh, insieme a 29 delle 37 centrali idroelettriche che operavano in quelle aree.

Nel 2021 e nel 2022, il Nagorno-Karabakh ha iniziato a esportare piccole quantità di elettricità in Armenia. Le cifre, tuttavia, non sono paragonabili ai volumi prebellici.

Tra gennaio e settembre 2022, il Nagorno-Karabakh ha esportato in Armenia solo 2,5 milioni di kWh di elettricità. Prima della guerra del 2020, il totale delle esportazioni era di circa 225 milioni di kWh.

I dati della Commissione di regolamentazione dei servizi pubblici dell’Armenia mostrano che il Nagorno-Karabakh era solito importare la maggior parte della sua elettricità nel tardo autunno, all’inizio della primavera e nei mesi invernali, esattamente quando l’Azerbajgian bloccava la sua ancora di salvezza – il Corridoio di Lachin – interrompendo le forniture di gas ed elettricità.

Nel 2019, ad esempio, il Nagorno-Karabakh ha importato un totale di 69 milioni di kWh di elettricità, di cui circa il 55 o più dell’80% è stato consegnato in cinque mesi, tra gennaio e marzo e tra novembre e dicembre.

Nei primi nove mesi del 2021, l’Artsakh HEK ha registrato la produzione di oltre 150 milioni di kWh di energia elettrica. Uno dei motivi per cui l’Artsakh HEK, che comprende le sette centrali idroelettriche attualmente in funzione nel Nagorno-Karabakh, è riuscita a sopravvivere alla guerra è che la sua più grande centrale idroelettrica, Sarsang, è rimasta sotto il controllo armeno. Ciò ha contribuito a mantenere una quantità ridotta ma cruciale di produzione locale nel primo anno dopo la guerra. L’impianto di Sarsang, invece, ha dovuto ridurre la sua capacità produttiva per problemi di sicurezza, poiché le aree adiacenti al bacino sono ora sotto il controllo azero. Secondo i dati del secondo trimestre 2021, il volume di produzione della centrale idroelettrica di Sarsang è diminuito del 30%.

Qual è il futuro?

Con il perdurare del blocco quasi senza segni di una rapida risoluzione, i problemi causati dalla carenza di energia promettono di peggiorare, con la popolazione del Nagorno-Karabakh che deve affrontare interruzioni di corrente più lunghe e maggiori difficoltà con il riscaldamento. Ciò si aggiunge alle sofferenze causate dall’incombente crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh a causa della carenza di cibo, medicine e altri beni cruciali causata dal blocco.

Nonostante i rapporti sugli aiuti umanitari delle forze di mantenimento della pace russe e del Comitato Internazionale della Croce Rossa siano stati inviati in Nagorno-Karabakh, la regione necessita ancora del ripristino dell’accesso alle forniture dall’Armenia, forniture che ammontavano ad almeno 400 tonnellate al giorno prima del blocco.

L’Armenia attende la decisione della Corte Internazionale di Giustizia in merito alla sua richiesta di imporre misure provvisorie all’Azerbajgian e ordinare l’apertura del Corridoio di Lachin che ha bloccato da due mesi. Nel frattempo, la comunità internazionale continua a chiedere all’Azerbajgian di garantire la libertà di movimento per gli Armeni nel Nagorno-Karabakh. Allo stesso tempo, questi appelli non vanno oltre le dichiarazioni.

L’Azerbajgian sta approfittando del suo controllo sulle forniture energetiche alla regione. La fornitura di gas continua a essere tagliata dall’Azerbajgian, come riferiscono funzionari del Nagorno-Karabakh. Il taglio più recente è stato segnalato il 6 febbraio e poi ancora l’8, pochi giorni dopo che era stato ripristinato. La nuova fornitura era irta di bassa pressione ed era appena sufficiente per riscaldare le case o far funzionare le stazioni di servizio.

La possibilità di ripristinare l’approvvigionamento elettrico non viene nemmeno espressa dal governo del Nagorno-Karabakh, mantenendo fosche le previsioni per il futuro. Le autorità di Stepanakert si sono rifiutate di fornire dettagli sulla produzione di elettricità nel Nagorno-Karabakh dopo l’inizio dell’assedio e sulla disponibilità della regione ad affrontare un blocco più lungo, affermando che le informazioni rilevanti sono “segrete”.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Sessantaquattresimo giorno del #ArtsakhBlockade. «Il mondo è minacciato più da coloro che tollerano o incoraggiano il male, che dagli stessi malfattori» – Parte 1 (Korazym 13.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 13.02.2023 – Vik van Brantegem] – La dittatura Aliyev dell’Azerbajgian continua la sua guerra silenziosa contro la popolazione armena della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh (nella foto di copertina la chiesa apostolica armena di Stepanakert, la capitale). Gli ultimi 63 giorni del #ArtsakhBlockade sono una chiara indicazione delle intenzioni dell’Azerbajgian, peraltro apertamente dichiarate da Aliyev. Il popolo dell’Artsakh ha determinato il suo destino da tempo. Per gli Armeni dell’Artsakh è chiaro che il diritto all’autodeterminazione conta molto di più, quando l’alternativa è l’annientamento. Possiamo solo chiedere agli Azeri di spazzare via la gabbia dell’indottrinamento e di pensare a come chiedere al loro regime di smettere di commettere un lento genocidio. Questo #ArtsakhBlockade sarà una pagina vergognosa per l’Azerbajgian nei libri di storia.

L’appello mancato per l’Artsakh

Ieri, dopo la preghiera dell’Angelus Domini con i fedeli in piazza San Pietro, il Papa ha chiesto giustizia in Nicaragua con parole dedicate alla repressione del governo di Managua contro le opposizioni: «Le notizie che giungono dal Nicaragua mi hanno addolorato non poco. E non posso qui non ricordare con preoccupazione il vescovo di Matagalpa, Rolando Alvarez, a cui voglio tanto bene, condannato a 26 anni di carcere e anche le persone che sono stato deportate negli Stati Uniti. Prego per loro e per tutti coloro che soffrono in quella cara nazione. Chiedo a voi la vostra preghiera. Domandiamo inoltre al Signore, per l’intercessione dell’Immacolata Vergine Maria, di aprire i cuori dei responsabili politici e di tutti i cittadini alla sincera ricerca della pace che nasce dalla verità, dalla giustizia, dalla libertà e dall’amore. E si raggiunge attraverso l’esercizio paziente del dialogo. Preghiamo insieme la Madonna». Non poteva ovviamente mancare anche un accorato accenno alla tragedia della Turchia e della Siria, travolte da due scosse di terremoto devastanti e alla “martoriata Ucraina”: «Continuiamo a stare vicini, con la preghiera e con il sostegno concreto, alle popolazioni terremotate in Siria e Turchia. Stavo vedendo le immagini di questa catastrofe, il dolore di questi popoli che soffrono per il terremoto. Preghiamo per loro, non dimentichiamolo, preghiamo e pensiamo cosa possiamo fare per loro. E non dimentichiamo la martoriata Ucraina: che il Signore apra vie di pace e dia ai responsabili il coraggio di percorrerle».

Dolore, preoccupazione, preghiera per coloro che soffrono nella cara nazione dell’Artsakh? Richiesta al Signore, per l’intercessione dell’Immacolata Vergine Maria, di aprire i cuori dei responsabili politici dell’Azerbajgian e della Turchia, e di tutti i cittadini Azeri e Turchi alla sincera ricerca della pace che nasce dalla verità, dalla giustizia, della libertà e dall’amore. E che si raggiunge attraverso l’esercizio paziente del dialogo? Il doloro per il popolo dell’Artsakh che soffro per il blocco del Corridoio di Lachin? Una preghiera per questo popolo, di non dimenticarlo e pensare cosa possiamo fare per esso? E di non dimenticare il martoriato Artsakh, che il Signore apra via di pace e dia ai responsabili dell’Azerbajgian e della Turchia di percorrerle? Per i fratelli cristiani armeni del martoriato Artsakh non è pervenuto un tale appello. Proviamo tristezza e un profondo dolore.

«Il mondo è minacciato più da coloro che tollerano o incoraggiano il male, che dagli stessi malfattori» (Albert Einstein)

Nel 1955 Josep Maria Corredor pubblicò un libro in francese sull’importante violoncellista catalano Pau Casals intitolato Conversations avec Pablo Casals: souvenirs et opinion d’un musicien. Il libro utilizzava un formato di intervista per presentare il commento di Casals su una varietà di argomenti. Inoltre, Corredor ha raccolto e stampato opinioni su Casals da diversi personaggi noti, tra cui Albert Einstein: «L’apprezzamento di Pau Casals come grande artista non ha bisogno di aspettare me, perché c’è unanimità tra gli auguri. Ma quello che ammiro particolarmente di lui è il suo atteggiamento caratteristico non solo contro gli oppressori del suo popolo, ma anche contro tutti quegli opportunisti sempre pronti a patteggiare con il diavolo. Ha chiaramente riconosciuto che il mondo è minacciato più da coloro che tollerano o incoraggiano il male, che dagli stessi malfattori» (nostra traduzione italiana dal testo originale in tedesco della lettera di Albert Einstein del 30 marzo 1953 da Princeton NJ, che si trova negli Einstein Archive, The Hebrew University of Jerusalem).

Il Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan ha pubblicato sulla sua pagina Facebook in armeno, russo, inglese e francese [QUI] un appello alla comunità internazionale di “agire, come ha fatto in altre regioni quando ci sono segnali premonitori di genocidio” e ad imporre sanzioni contro l’Azerbajgian. Riportiamo di seguito la nostra traduzione italiana dall’inglese:

«Blocco di due mesi dell’Artsakh: la comunità internazionale deve passare dal colloquio all’azione

Da due mesi l’Azerbajgian, ricorrendo ad azioni criminali e terroristiche, tiene sotto blocco circa 120.000 persone della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, con l’obiettivo di attuare la pulizia etnica nell’Artsakh. Questo blocco illegale contraddice tutte le norme del diritto internazionale e gli obblighi assunti dall’Azerbajgian, compresi quelli nell’ambito della dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020.

Il blocco, basato sulla politica statale azera di odio razziale contro gli Armeni, è onnicomprensivo: priva 120.000 cittadini dell’Artsakh dell’accesso naturale a cibo, energia, assistenza sanitaria e altri beni e servizi vitali, ed è, quindi, un grave, attacco deliberato e massiccio al diritto alla vita e ad altri diritti dei nostri compatrioti.

Dal 20 gennaio, per risolvere la grave carenza di cibo causata dal blocco, il governo dell’Artsakh è stato costretto a limitare l’accesso al cibo introducendo buoni: un chilogrammo di riso, grano saraceno, pasta, zucchero e olio vegetale a persona al mese, la cui portata sarà ampliata nel prossimo futuro.

L’Azerbajgian ha esacerbato la crisi umanitaria nell’Artsakh interrompendo le forniture di elettricità e gas in condizioni invernali rigide. A causa di problemi con il riscaldamento e l’alimentazione, tutte le scuole materne, primarie e secondarie del Paese sono stati chiusi, privando circa 20.000 bambini e adolescenti del Paese dell’opportunità di ricevere un’istruzione. Anche il lavoro di molte imprese economiche è stato sospeso, lasciando disoccupati migliaia di cittadini. La costruzione di circa 3.700 appartamenti e case destinati a persone sfollate con la forza dai territori occupati dall’Azerbajgian, così come altri lavori di costruzione, è stata interrotta. Gli interventi chirurgici programmati nelle istituzioni mediche sono stati annullati, mettendo a repentaglio la salute e la vita di circa 600 cittadini.

Siamo grati al Comitato Internazionale della Croce Rossa e alla missione di mantenimento della pace della Federazione Russa per i loro sforzi per garantire il trasferimento di circa 90 persone in condizioni di salute critiche in Armenia, per riunire decine di famiglie separate e per trasportare la quantità minima di cibo in Artsakh che ci permette di prevenire la carestia nel Paese. Tuttavia, la situazione rimane insopportabile tra la grave carenza di cibo, medicine e altri beni di prima necessità, la continua interruzione delle forniture di gas ed elettricità, la separazione di migliaia di famiglie, il collasso dell’economia e altre condizioni di crisi.

Accogliamo con favore i chiari appelli delle autorità esecutive e legislative di molti Paesi, nonché delle organizzazioni internazionali, all’Azerbajgian affinché revochi immediatamente e incondizionatamente il blocco. Tali richieste e posizioni, tuttavia, sono inefficaci nelle condizioni di fanatica e odiosa intransigenza dell’Azerbajgian. Questo è il motivo per cui la comunità internazionale deve agire, come ha fatto in altre regioni quando ci sono segnali premonitori di genocidio.

Facciamo appello principalmente alla Russia, agli Stati Uniti e alla Francia, che co-presiedono il Gruppo di Minsk dell’OSCE, nonché a tutti i membri della comunità internazionale, affinché adottino congiuntamente o individualmente misure efficaci per aprire la strada della vita dell’Artsakh e prevenire nuovi crimini. In tale contesto, li esortiamo a imporre sanzioni contro tutti gli autori e sostenitori di crimini contro il popolo dell’Artsakh e lo stato dell’Azerbajgian, tra le altre sanzioni, vietando loro di entrare nei loro territori e congelando i loro beni mobili e immobili nelle loro Paesi.

Il tentativo di pulizia etnica da parte dell’Azerbajgian del popolo dell’Artsakh è conforme al concetto legale di crimini contro l’umanità (erga omnes). La sua prevenzione è un obbligo morale, legale e politico vincolante per tutti i firmatari della Carta delle Nazioni Unite. Pertanto, è dovere di ogni membro della comunità internazionale fare del proprio meglio per proteggere il popolo dell’Artsakh e la sua vita dignitosa nella propria patria».

Intervista a Ruben Vardanyan, Ministro di Stato dell’Artsakh, per il quotidiano Shargh di Teheran

Il Prof. Ehsan Movahedian del Tehran International Studies and Research Institute il 10 novembre 2020 – un mese dopo l’accordo trilaterale di cessate il fuoco dopo la guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian in Artsakh, dopo aver preso il 27 settembre 2020 il controllo della frontiera dell’Artsakh con l’Iran – ha posto la domanda che ancora oggi, anzi, più di allora è attuale: «Qualcuno nota il disastro della sicurezza del controllo della Turchia sui confini settentrionali dell’Iran dopo l’accordo di pace tra Azerbajgian e Armenia? Con questo sviluppo, abbiamo perso il controllo delle linee di trasmissione dell’energia e la politica dell’ottomanismo e dell’ISIS in Turchia ha compiuto un pericoloso passo avanti. Erdoğan è una minaccia per la nostra sicurezza nazionale».

Oggi, Movahedian segnala «la prima intervista dal cuore dell’Artsakh sotto assedio con un media iraniano con Ruben Vardanian, il Ministro di Stato dell’Artsakh». L’intervista è stata condotta una settimana fa e pubblicata oggi sul quotidiano di Teheran, Shargh.

L’Iran dovrebbe avere una politica più attiva per stabilire la pace nel Caucaso
Azerbajgian e la Turchia stanno cercando di occupare entrambe le regioni dell’Artsakh e del Syunik
di Ihsan Mohdian
Shargh, 13 febbraio 2023

(Traduzione italiana di lavoro dal persiano)

Da quasi due mesi le milizie affiliate al governo di Aliyev hanno bloccato l’unica via di comunicazione tra l’Armenia e l’Artsakh (Nagorno-Karabakh) e impedito agli Armeni che vivono in quest’area di provvedere ai loro più evidenti bisogni vitali. Ai problemi della popolazione dell’Artsakh si sono aggiunte anche le ripetute interruzioni di elettricità e gas da parte del governo di Baku. Il destino di questo assedio ha un collegamento diretto e vitale con gli interessi nazionali della Repubblica Islamica dell’Iran nel Caucaso. Durante questa azione, Aliyev gode dell’appoggio diretto del regime sionista [1], dell’Inghilterra e della Turchia, e se riuscirà a imporre queste condizioni disumane a 120.000 cittadini dell’Artsakh e sgombererà questa zona dagli Armeni, altra zona vicina alla fascia di confine dell’Iran e Azerbajgian è diventata l’area di influenza delle forze takfiri, wahhabite e delle forze di sicurezza e intelligence affiliate al regime sionista [1], e diventa più facile per Aliyev minacciare e occupare la provincia di Suynik nel sud dell’Armenia, che confina con l’Iran.

In queste condizioni, è di innegabile importanza ottenere informazioni sulle condizioni critiche dell’Artsakh e l’analisi del più alto funzionario presente in questa regione, Ruben Vardanyan, Ministro di Stato del governo dell’Artsakh. Questa è la sua prima intervista con un media iraniano, che contiene molte sfumature e suggerimenti per analisti della regione del Caucaso e attivisti dell’apparato di politica estera della Repubblica Islamica dell’Iran.

La preghiamo di descrivere la situazione attuale nell’Artsakh. Come sopravvivono le persone sotto l’assedio di Baku e qual è il suo piano per aiutare le persone a resistere di più?
La situazione è molto vicina a una crisi umanitaria. Stiamo affrontando una grave carenza di cibo, medicine e altre necessità. Il corridoio di comunicazione dell’Artsakh con il mondo esterno, che chiamiamo anche la strada della vita, è chiuso da 55 giorni. Oltre al problema del blocco, la Repubblica dell’Azerbaigian continua a creare seri ostacoli alla fornitura di gas ed elettricità inviati dall’Armenia all’Artsakh. Pertanto, la leadership di Baku prende tutte le misure possibili e persino impossibili per costringere gli armeni dell’Artsakh a lasciare la loro patria. Lo stesso Aliyev ha detto: “La strada è aperta per coloro che vogliono andare…”.
In qualità di Ministro di Stato, ho avuto molte discussioni e consultazioni con molte persone che cercavano di mitigare l’impatto del blocco. Abbiamo proposto diversi programmi per raggiungere questi obiettivi. Abbiamo anche fatto appello alla comunità internazionale affinché istituisca un meccanismo di risposta umanitaria per collegare l’Artsakh al mondo esterno per scopi umanitari. Ma purtroppo la situazione è molto difficile. Tuttavia, sono stupito dalla forte volontà e dalla resilienza della nostra gente. Sono pronti a sopportare tutti i problemi e non vogliono lasciare la loro patria dove vivono da migliaia di anni. Sono sicuro che il governo di Baku non si aspettava una simile resilienza dall’Artsakh. Pensavano di aver spezzato la volontà del popolo durante la guerra del 2020, ma non è successo. Le persone qui sono molto più forti di quanto pensano gli altri.
Lo scopo di chiudere la via di comunicazione dell’Artsakh è solo uno: spopolare l’Artsakh. Il mondo deve capire che questa non è solo una tragedia umana, ma azioni che a loro volta portano al genocidio in modo che l’Artsakh sia senza Armeni.

Come valuta le prestazioni delle forze di mantenimento della pace russe nella difesa dell’Artsakh? Svolgono i loro doveri?
Le forze di mantenimento della pace russe hanno qui una missione molto limitata. Certo, vogliamo che costringano formalmente Baku ad aprire il corridoio, ma sembra che la situazione geopolitica regionale non permetta alla Russia di farlo. Penso che ci stiamo concentrando troppo sulle forze di mantenimento della pace russe e abbiamo bisogno di una soluzione politica qui. La Russia è il principale mediatore e anche il garante della dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, ma sfortunatamente i Russi attualmente non hanno la leva adeguata per fare pressione sull’Azerbajgian, il che, ovviamente, complica la situazione.
È anche importante per noi che la comunità internazionale dichiari chiaramente che attualmente è impossibile garantire la sicurezza dell’Artsakh senza la presenza di forze di mantenimento della pace, e solo garantendo la sicurezza internazionale di chi vive in Artsakh, possiamo parlare delle questioni dell’Artsakh e della Repubblica di Azerbajgian.

Secondo lei, quali sono i punti di forza e di debolezza della politica della Russia nel Caucaso, soprattutto in relazione all’Armenia e al Caucaso?
Sebbene la Russia sia l’alleato naturale dell’Armenia, la stretta cooperazione della Russia con la Turchia e l’Azerbajgian – sullo sfondo politico dell’odio di questi due Paesi per gli Armeni – cambia significativamente gli equilibri di potere nella regione. È ovvio che la Turchia è la protettrice esclusivamente degli interessi dell’Azerbaigian, che minaccia l’instaurazione della pace nella regione. In questo contesto, considero importante la chiara posizione della Repubblica Islamica dell’Iran per stabilire la pace nella regione e, allo stesso tempo, mi aspetto una politica più attiva nella regione dall’Iran in quanto Paese amico della nazione iraniana.
È un dato di fatto che l’Artsakh sta diventando una questione importante nella regione e anche come Stato non riconosciuto continua a influenzare gli eventi nella regione. Pertanto, siamo pronti a discutere misure congiunte con l’obiettivo di una coesistenza pacifica in primo luogo con i Paesi della regione.

Il governo di Baku prevede di opporsi alla continuazione della missione di mantenimento della pace russa e di sostituire i Russi con forze militari turche e della NATO entro il 2025. Quali saranno le conseguenze di questo evento per l’Armenia e il Caucaso?
Naturalmente, non so se la NATO voglia essere qui – intendo specificamente in Artsakh – perché posso parlare solo per il mio governo. È ovvio che l’azione dell’Azerbajgian contro le forze di mantenimento della pace russe è anche associata all’attiva propaganda anti-russa nella Repubblica dell’Azerbajgian. Credo che Baku intenda impedire ufficialmente la continuazione della missione di mantenimento della pace russa nella regione dal 2025 in poi.
Come ho detto prima, è importante per noi creare garanzie di sicurezza della comunità internazionale in modo che Baku non sia autorizzato a continuare la politica di pulizia etnica. I conflitti esistenti tra l’Occidente e la Russia, così come tra l’Occidente e l’Iran, non dovrebbero essere un ostacolo per garantire la sicurezza dell’Artsakh. Pertanto, spero che i Paesi che sono preoccupati per una vera pace nella regione, compreso il nostro amico Iran, facciano del loro meglio per garantire a lungo questa nell’Artsakh e nell’intera regione.

Come si può fare pressione sul governo di Aliyev per fermare il suo comportamento e la sua politica aggressivi nei confronti dell’Artsakh e porre fine all’assedio di questa regione?
Aliyev pensa che rimarrà sempre impunito, il che è ovviamente inaccettabile. Ma questa è una seria minaccia non solo per l’Artsakh, ma per l’intera regione. Di tanto in tanto minaccia persino l’Iran con rivendicazioni territoriali e altre rivendicazioni ingiustificate e completamente prive di fondamento. Lui e il suo regime devono capire che questo tipo di comportamento avrà gravi conseguenze per loro e forse anche per il loro Paese.
La comunità internazionale ha anche la responsabilità politica e morale di prevenire l’escalation della crisi e garantire la sicurezza e la protezione del popolo dell’Artsakh e l’instaurazione di una pace duratura nella regione.

Lei è d’accordo con l’idea che il regime di Aliyev accetterà di porre fine all’assedio di Artsakh solo se il governo armeno accetterà la creazione e l’apertura del cosiddetto Corridoio di Zangezur? Quali pensa siano le conseguenze di un simile evento?
Non credo sia una coincidenza che il regime di Baku abbia bloccato il Corridoio di Lachin subito dopo l’esercitazione militare congiunta turco-azera lungo il confine con l’Iran. Stavano indagando sulla reazione dell’Iran agli eventi imminenti. L’Azerbajgian e la Turchia hanno crescenti ambizioni militari nella regione, il che è pericoloso per tutti i Paesi della regione.
Per il regime di Baku, le dimensioni di questa storia non si limitano all’Artsakh e alla regione di Syunik dell’Armenia dal punto di vista economico, vogliono entrambi. E se ci ritiriamo dall’Artsakh, il governo armeno potrebbe essere molto vulnerabile nel territorio di Syunik. Pertanto, la resistenza dell’Artsakh oggi è molto necessaria per rendere irraggiungibili i confini millenari di Iran e Armenia. Questa importante questione dovrebbe essere riconosciuta e prestata attenzione sia a Yerevan che a Teheran.

Come valuta la politica della Repubblica Islamica dell’Iran nel Caucaso? In che modo l’Iran può aiutare a porre fine all’assedio dell’Artsakh?
Capisco che l’Iran stia ufficialmente cercando di rimanere neutrale nella regione. Tuttavia, l’Iran è una potenza seria qui. È così da secoli e l’Iran si pone sempre nella posizione di un attore importante che svolge un ruolo di equilibrio. Dobbiamo sottolineare che l’amicizia tra Armeni e Iraniani ha una storia di migliaia di anni e non è mai stata contro Paesi terzi. Non dobbiamo ignorare l’importante ruolo dell’Iran nella creazione del Khamseh di Karabagh dal XVI al XVIII secolo (Melik o re armeni erano leader armeni che si precipitarono ad aiutare Shah Abbas nelle sue guerre con gli ottomani e giocarono un ruolo importante nella sua vittoria. Fu grazie a questi sacrifici che Shah Abbas diede loro il titolo di Melik. Il dominio dei Malik sul Caucaso Continuò fino alla conquista della Russia zarista) [2]. Voglio sottolineare che l’Artsakh è sempre stato importante per la sicurezza dell’Iran, ed è stato solo dopo che l’Azerbajgian ha invaso l’Armenia nel 2020 che Israele è apparso vicino ai confini dell’Iran. Ciò è stato fatto con l’aiuto dell’Azerbajgian e della Turchia. Di conseguenza, dopo l’occupazione di queste terre da parte dell’Azerbajgian, l’Iran ha dovuto affrontare problemi di sicurezza. Pertanto, l’Iran dovrebbe avere una partecipazione politica e un ruolo di stabilizzazione per prevenire l’escalation dei problemi di sicurezza che potrebbero essere disastrosi per l’intera regione.
Voglio anche ricordare le parole del leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, durante la guerra, che ha affermato che la sicurezza degli Armeni che vivono in Karabakh dovrebbe essere preservata. Pertanto, sono fiducioso che l’Iran svolgerà attivamente il proprio ruolo per stabilire una vera pace nella regione, tenendo conto della salvaguardia degli interessi equi per tutte le parti.

Lei è d’accordo con lo svolgimento di un’esercitazione militare congiunta tra Iran e Armenia per prevenire l’aggressione di Aliyev contro l’Armenia? Secondo lei, quando e dove si dovrebbe tenere questa manovra?
Posso solo parlare a nome dell’Artsakh e assicurarvi che la conservazione dell’Artsakh svolge un ruolo importante per la continua sicurezza dell’Iran, e anche che l’Iran svolge un grande ruolo di bilanciatore nel Caucaso meridionale.

Cosa pensa la gente comune in Artsakh della politica di Iran, Russia, Turchia e Gran Bretagna?
Gli Armeni hanno sempre avuto un atteggiamento positivo nei confronti dell’Iran e del popolo iraniano. Armeni e Iraniani hanno qualcosa in comune in termini di beneficio dalla storia antica, dalla cultura e dalla civiltà. Anche il popolo dell’Artsakh considera il popolo dell’Iran come suo amico. L’amicizia secolare è arrivata ai nostri giorni e ci sono molti esempi di ciò. Alcuni anni fa, io stesso ho iniziato a ricostruire la moschea iraniana Ashaghi Govhar Agha a Shushi, che era anche un simbolo della secolare amicizia culturale e di civiltà tra le due nazioni [3]. Circa 130 anni fa, nell’antica città armena di Shushi, oggi occupata dall’Azerbajgian, fu pubblicata la traduzione armena dell’immortale Shahnameh di Firdusi, uno dei pilastri della cultura e dell’identità iraniana [4], che mostra quanto profonde e incrollabili siano le radici culturali e rispetto dell’Artsakh e fino a che punto il popolo iraniano è rispettato nell’Artsakh.
La gente qui capisce che il cambiamento dello status quo dopo i 44 giorni della guerra dell’Artsakh ha creato molti problemi per la sicurezza dell’Iran.
Naturalmente, il ruolo della Russia nella regione è molto importante. Le forze di mantenimento della pace russe sono attualmente in Artsakh, cercando di prevenire un’escalation. Naturalmente, le aspettative della gente dalla Russia sono molto più alte di ciò che la Russia sta facendo nella fase attuale.
La Turchia sostiene indubbiamente la politica aggressiva ed espansionistica dell’Azerbajgian, che, ovviamente, deve affrontare una reazione negativa da parte del popolo. La Gran Bretagna si è anche posta accanto a Israele, l’alleato della Repubblica di Azerbajgian, il che, ovviamente, influisce sull’atteggiamento del nostro popolo.

[1] Il takfirismo è l’”accusa di miscredenza” e fa riferimento al neologismo derivato dall’ideologia deviata dell’Islamismo, strettamente connessa al Jihādismo, sorta tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. Il termine si basa sulla pretesa di bollare un musulmano sunnita o sciita di “empietà massima” e “apostasia”.
Il wahhabismo è un movimento revivalista e fondamentalista islamico sunnita originario di Najd, in Arabia. È associato alle dottrine riformiste dello studioso, teologo, predicatore e attivista islamico arabo del XVIII secolo Muhammad ibn Abd al-Wahhab.
Il sionismo è un’ideologia politica il cui fine è l’affermazione del diritto alla autodeterminazione del popolo ebraico e il supporto ad uno Stato ebraico in quella che è definita “Terra di Israele” (lo Stato di Israele). È emerse alla fine del XIX secolo nell’Europa centrale e orientale come effetto della Haskalah (detto anche illuminismo ebraico) e in reazione all’antisemitismo, inserendosi nel più vasto fenomeno del nazionalismo moderno.

[2] I Cinque Principati del Karabakh, noti anche come Khamsa Melikdoms, erano entità feudali armene sul territorio del moderno Nagorno-Karabakh e terre limitrofe, dalla dissoluzione del Principato di Khachen nel XV secolo fino all’abolizione delle entità feudali etniche da parte dell’Impero russo nel 1822. I cinque principati erano governati dai Melik (dall’arabo “malik”, re), termine che designa un titolo nobiliare armeno in varie terre dell’Armenia orientale. Khamsa significa cinque in arabo. I Principati governati dai Melik divennero noti nella letteratura accademica inglese come Melikdoms o Melikates.

[3] Le bugie e la disinformazione del regime di Aliyev che accusa gli Armeni di distruggere le moschee in Artsakh – 16 novembre 2022 (L’inaugurazione dopo i lavori di restauro della moschea Ashaghi Govhar Agha di Sushi, 14 ottobre 2019) [QUI]http://www.korazym.org/81628/le-bugie-e-la-disinformazione-del-regime-di-aliyev-che-accusa-gli-armeni-di-distruggere-le-moschee-in-artsakh/#more-81628.

[4] Lo Shāh-Nāmeh (in persiano significa “Il libro dei re”), è una vasta opera poetica scritta dal poeta persiano Firdusi attorno all’anno 1000, che racconta il passato mitico e storico del suo paese, l’Iran, dalla creazione del mondo fino alla conquista islamica del VII secolo. L’opera epica – che costituisce epopea nazionale dell’Iran moderno e della Grande Persia (regione comprendente Georgia, Armenia, Azerbajgian, Turkmenistan, Uzbekistan, Turchia e Daghestan) – venne la prima volta nominata da Movses Khorenatsi, uno storico armeno del V secolo. Composto da circa 50.000 distici, lo Shāh-Nāmeh è uno dei poemi epici più lunghi del mondo. L’opera è di fondamentale importanza nella cultura e nella lingua persiana, considerata un capolavoro letterario e definitivo dell’identità culturale etno-nazionale dell’Iran. È anche importante per gli aderenti contemporanei allo zoroastrismo, in quanto traccia i legami storici tra l’inizio della religione e la morte dell’ultimo sovrano sassanide durante la conquista musulmana che ha posto fine all’influenza zoroastriana in Persia.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Al Lirico di Cagliari i musicisti armeni Sergey e Lusine Khachatryan (Unionesarda 13.02.23)

I talentuosissimi Sergey e Lusine Khachatryan debuttano a Cagliari per la Stagione concertistica 2023. Una serata di musica da camera che vede protagonisti, domani alle 20,30, i due musicisti armeni, fratello e sorella, lui violinista e vincitore sia del Concorso “Jean Sibelius” di Helsinki che del “Queen Elisabeth” di Bruxelles, lei pluripremiata pianista.

Un programma costruito attorno alle Sonate di Bach, Schubert, Debussy, Respighi.

Un viaggio in un’ideale macchina del tempo con autori che, a distanza di un secolo, hanno proposto brani immortali e pagine importanti.

Dal Barocco al periodo romantico, da qui all’impressionismo di Debussy per giungere al Novecento italiano con Respighi.

IL PROGRAMMA – La serata si apre con Bach sulle note della Partita II in re minore per violino solo: Chaconne. Si prosegue in un salto di un secolo con Schubert e la sua Sonata in La maggiore per violino e pianoforte op. 162, composta nel 1817.

Ancora un salto di cento anni con Debussy e la Sonata n. 3 in sol minore per violino e pianoforte 148, scritta tra il 1916 e il 1917.

La serata si chiude con Respighi, Sonata in si minore per violino e pianoforte P 110 composta nel 1917.

Intanto il Lirico si è dotato di un servizio bar, riaperto in occasione della serata di apertura della stagione di Lirica e Balletto che ha proposto “Gloria” di Francesco Cilea, regia di Antonio Albanese, in programmazione fino al 19 febbraio. Lo spettacolo di Albanese, accompagnato da applausi finali per coro, orchestra, solisti e direttore, presenta una scenografia d’impatto e ricca di suggestioni. Un’eleganza antica che permea l’opera in un interessante accostamento di due mondi attraverso scene di Leila Fteita e i costumi di Carola Fenocchio: rimandi a una civiltà ancestrale e misteriosa, quella della Sardegna nuragica, e al Trecento italiano, con l’innesto di elementi fantasy tra giochi di luce affidati ad Andrea Ledda e costumi fiabesco medievali.

(Unioneonline/v.l.)

 

Due giornate, a Ravenna e a Bologna, dedicate all’Armenia (Magazine.unibo.it 13.02.23)

Alma Mater e ISMEO organizzano un convegno internazionale: l’iniziativa, che interesserà due città, sarà accompagnata da alcuni eventi culturali aperti al pubblico


Miniatura di un manoscritto armeno copiato a Bologna nel 1368, oggi conservato nella Biblioteca “Matenadaran” di Yerevan (Armenia), con scene dell’Apocalisse

Si terrà il 16 e 17 febbraio a Ravenna e Bologna il convegno “Armenia, un popolo plurimillenario“, organizzato dal Dipartimento di Beni Culturali (DBC) e dal Dipartimento di Storia Culture Civiltà (DISCI) dell’Università di Bologna, e da ISMEO – Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente. Le giornate saranno inaugurate alla presenza del Magnifico Rettore dell’Alma Mater Giovanni Molari e del Presidente dell’ISMEO Adriano Valerio Rossi.

L’idea della due giorni era stata concepita prima della pandemia ed era scaturita dalle attività svolte attraverso il progetto ROCHEMP dell’Università di Bologna e del Ministero dell’Educazione, della Scienza, della Cultura e dello Sport della Repubblica di Armenia, con il supporto di AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Ripresa la possibilità di un convegno in presenza, che costituisca anche un luogo di incontro tra studiosi italiani e armeni, si è voluto dar corso al primitivo progetto, con il fine principale di mettere in luce, per un pubblico accademico, ma anche e soprattutto per un pubblico di studenti dei corsi universitari di Bologna e Ravenna e di appassionati, i vari aspetti della storia e della cultura dell’Armenia, paese che ha svolto un ruolo di straordinaria importanza sia nella cultura del mondo occidentale che in quella del mondo asiatico.

La giornata di Ravenna, il 16 febbraio, dedicata al tema “Gli Armeni tra popoli e imperi“, offrirà un percorso attraverso la storia, l’archeologia e l’arte di questo antico popolo, originario di un altopiano che è ponte naturale tra Oriente e Occidente, ma che è stato anche terra di conquista di grandi imperi, che vi si sono succeduti nei secoli. Pur sottoposti a diverse dominazioni, gli Armeni, grazie al profondo attaccamento alla propria cultura, sono riusciti a mantenere la loro distinta fisionomia, conservandola con tenacia fino ad oggi, a oltre un secolo dal genocidio che li ha colpiti all’alba del Novecento. Si partirà dagli elementi-base di questa civiltà, la lingua e il suo specifico alfabeto, per gettare luce, attraverso relazioni tenute da specialisti italiani e armeni, su momenti particolari della sua lunga storia che ha inizio dalla metà del I millennio a.C. Si passerà dalla protostoria (IV-I millennio a.C.) al periodo urarteo (IX-VII sec. a.C.), dalla dominazione persiana achemenide (VI-IV sec. a.C.) e poi sasanide (III-VII sec. d.C.) al medioevo, ai contatti con Bisanzio e con altre civiltà.

Il convegno sarà accompagnato da alcuni eventi culturali pensati specificamente per una fruizione da parte di un pubblico esterno all’Università. In particolare, il giorno 16 febbraio, presso la Sala Corelli del Teatro Dante Alighieri di Ravenna, dalle ore 18,45 alle 19,45 avrà luogo un concerto di musica tradizionale armena con il tipico duduk, strumento a fiato suonato da Arsen Petrosyan, e il qanun, una cetra, pizzicato da Astghik Snetsunt.

La giornata bolognese del 17 febbraio sarà invece dedicata al tema “Gli Armeni, l’Italia e Bologna” e ripercorrerà, a partire dall’incontro/scontro con l’Impero Romano, le numerose e continue occasioni di contatto intercorse tra gli Armeni e il nostro Paese. Si tratta di relazioni culturali, religiose e commerciali che si susseguirono nel tempo e furono intrattenute non solo a distanza: l’Italia, fin dall’Alto Medioevo, rappresentò per molti armeni (pellegrini, soldati, monaci, mercanti, diplomatici) una meta prediletta, un approdo sicuro, una terra ospitale. Comunità o “colonie” armene si crearono in molte regioni della nostra penisola, insediamenti di diversa durata nel tempo che seppero interagire e integrarsi in vario modo con la popolazione locale e le attività del territorio. Uno dei tanti segni concreti di queste relazioni è rappresentato dal fatto che il primo libro a stampa armeno vide la luce in Italia, a Venezia, nel 1512, città nella quale era attiva da tempo una classe mercantile armena che possedeva un ospizio e una chiesa (“Santa Croce”, tuttora conservatasi) a due passi da Piazza S. Marco. Sempre a Venezia, dal 1717 in poi, troverà accoglienza nell’Isola di San Lazzaro la comunità monastica dei Padri Mechitaristi, che fecero dell’isola un “faro” di diffusione della cultura armena in Italia e in Europa e viceversa, mediante la traduzione e la diffusione dei capolavori della letteratura occidentale tra i loro connazionali. E Armeni vennero anche a Bologna, città nella quale, nel corso del XIV secolo, si era formata, fuori Porta S. Mamolo, una comunità religiosa, la cui chiesa fu consacrata nel 1342. Sempre a Bologna furono copiati e miniati manoscritti armeni, alcuni dei quali mostrano, nelle loro splendide miniature, chiari influssi di arte italiana.

L’attenzione sarà rivolta anche alle tracce tangibili che di questi rapporti sono conservate nelle biblioteche e negli archivi storici italiani. In particolare, la Biblioteca Universitaria di Bologna possiede alcuni “tesori” armeni unici o rari, sia manoscritti miniati che antichi libri a stampa. Tra questi, il primo posto va a un documento eccezionale: la cosiddetta “Mappa armena” del celebre conte bolognese Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730), che la commissionò ad un erudito armeno durante un suo viaggio a Costantinopoli nel 1691. La monumentale mappa, lunga oltre tre metri e mezzo e larga più di un metro, raffigura circa ottocento luoghi sacri della Chiesa armena (santuari, monasteri, chiese), riprodotti in disegni colorati ad acquerello e descritti nelle fitte didascalie in lingua armena che li accompagnano. Della Mappa si conosceva l’esistenza fin dal Settecento, ma non si sapeva dove fosse conservata. Una fortunata circostanza la fece emergere nel 1991 dai depositi della Biblioteca Universitaria di Bologna, a dimostrazione che le biblioteche storiche italiane celano ancor oggi documenti eccezionali che arricchiscono la storia d’Italia e delle sue relazioni con altri popoli, come, nel nostro caso, gli Armeni.

In occasione del convegno, anche a Bologna sono previsti alcuni eventi culturali: nell’Atrio dell’Aula Magna della Biblioteca Universitaria, sede del convegno, verrà organizzata una mostra di manoscritti e antichi libri a stampa armeni, visitabile fino all’11 marzo. Inoltre, si esibiranno anche qui, in un secondo concerto dopo quello ravennate, con i loro strumenti tradizionali (duduk e qanun) i musicisti Arsen Petrosyan e Astghik Snetsunt, in chiusura del convegno (Aula Magna della BUB, 17 febbraio, ore 17); concluderà l’evento una serata letteraria presso il centro culturale CostArena, con letture e rappresentazioni teatrali riguardanti l’Armenia.

Armenia: a Multimillennial People

dal 16 al 17 Febbraio 2023

TUTTE LE DATE DELLA RASSEGNA:

Si terrà il 16 e 17 febbraio a Ravenna e Bologna il convegno “Armenia, un popolo plurimillenario“, organizzato dal Dipartimento di Beni Culturali (DBC) e dal Dipartimento di Storia Culture Civiltà (DISCI) dell’Università di Bologna, e da ISMEO – Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente. Le giornate saranno inaugurate alla presenza del Magnifico Rettore dell’Alma Mater Giovanni Molari e del Presidente dell’ISMEO Adriano Valerio Rossi.

L’idea della due giorni era stata concepita prima della pandemia ed era scaturita dalle attività svolte attraverso il progetto ROCHEMP dell’Università di Bologna e del Ministero dell’Educazione, della Scienza, della Cultura e dello Sport della Repubblica di Armenia, con il supporto di AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Ripresa la possibilità di un convegno in presenza, che costituisca anche un luogo di incontro tra studiosi italiani e armeni, si è voluto dar corso al primitivo progetto, con il fine principale di mettere in luce, per un pubblico accademico, ma anche e soprattutto per un pubblico di studenti dei corsi universitari di Bologna e Ravenna e di appassionati, i vari aspetti della storia e della cultura dell’Armenia, paese che ha svolto un ruolo di straordinaria importanza sia nella cultura del mondo occidentale che in quella del mondo asiatico.

La giornata di Ravenna, il 16 febbraio, dedicata al tema “Gli Armeni tra popoli e imperi“, offrirà un percorso attraverso la storia, l’archeologia e l’arte di questo antico popolo, originario di un altopiano che è ponte naturale tra Oriente e Occidente, ma che è stato anche terra di conquista di grandi imperi, che vi si sono succeduti nei secoli. Pur sottoposti a diverse dominazioni, gli Armeni, grazie al profondo attaccamento alla propria cultura, sono riusciti a mantenere la loro distinta fisionomia, conservandola con tenacia fino ad oggi, a oltre un secolo dal genocidio che li ha colpiti all’alba del Novecento. Si partirà dagli elementi-base di questa civiltà, la lingua e il suo specifico alfabeto, per gettare luce, attraverso relazioni tenute da specialisti italiani e armeni, su momenti particolari della sua lunga storia che ha inizio dalla metà del I millennio a.C. Si passerà dalla protostoria (IV-I millennio a.C.) al periodo urarteo (IX-VII sec. a.C.), dalla dominazione persiana achemenide (VI-IV sec. a.C.) e poi sasanide (III-VII sec. d.C.) al medioevo, ai contatti con Bisanzio e con altre civiltà.

Il convegno sarà accompagnato da alcuni eventi culturali pensati specificamente per una fruizione da parte di un pubblico esterno all’Università. In particolare, il giorno 16 febbraio, presso la Sala Corelli del Teatro Dante Alighieri di Ravenna, dalle ore 18,45 alle 19,45 avrà luogo un concerto di musica tradizionale armena con il tipico duduk, strumento a fiato suonato da Arsen Petrosyan, e il qanun, una cetra, pizzicato da Astghik Snetsunt.

La giornata bolognese del 17 febbraio sarà invece dedicata al tema “Gli Armeni, l’Italia e Bologna” e ripercorrerà, a partire dall’incontro/scontro con l’Impero Romano, le numerose e continue occasioni di contatto intercorse tra gli Armeni e il nostro Paese. Si tratta di relazioni culturali, religiose e commerciali che si susseguirono nel tempo e furono intrattenute non solo a distanza: l’Italia, fin dall’Alto Medioevo, rappresentò per molti armeni (pellegrini, soldati, monaci, mercanti, diplomatici) una meta prediletta, un approdo sicuro, una terra ospitale. Comunità o “colonie” armene si crearono in molte regioni della nostra penisola, insediamenti di diversa durata nel tempo che seppero interagire e integrarsi in vario modo con la popolazione locale e le attività del territorio. Uno dei tanti segni concreti di queste relazioni è rappresentato dal fatto che il primo libro a stampa armeno vide la luce in Italia, a Venezia, nel 1512, città nella quale era attiva da tempo una classe mercantile armena che possedeva un ospizio e una chiesa (“Santa Croce”, tuttora conservatasi) a due passi da Piazza S. Marco. Sempre a Venezia, dal 1717 in poi, troverà accoglienza nell’Isola di San Lazzaro la comunità monastica dei Padri Mechitaristi, che fecero dell’isola un “faro” di diffusione della cultura armena in Italia e in Europa e viceversa, mediante la traduzione e la diffusione dei capolavori della letteratura occidentale tra i loro connazionali. E Armeni vennero anche a Bologna, città nella quale, nel corso del XIV secolo, si era formata, fuori Porta S. Mamolo, una comunità religiosa, la cui chiesa fu consacrata nel 1342. Sempre a Bologna furono copiati e miniati manoscritti armeni, alcuni dei quali mostrano, nelle loro splendide miniature, chiari influssi di arte italiana.

L’attenzione sarà rivolta anche alle tracce tangibili che di questi rapporti sono conservate nelle biblioteche e negli archivi storici italiani. In particolare, la Biblioteca Universitaria di Bologna possiede alcuni “tesori” armeni unici o rari, sia manoscritti miniati che antichi libri a stampa. Tra questi, il primo posto va a un documento eccezionale: la cosiddetta “Mappa armena” del celebre conte bolognese Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730), che la commissionò ad un erudito armeno durante un suo viaggio a Costantinopoli nel 1691. La monumentale mappa, lunga oltre tre metri e mezzo e larga più di un metro, raffigura circa ottocento luoghi sacri della Chiesa armena (santuari, monasteri, chiese), riprodotti in disegni colorati ad acquerello e descritti nelle fitte didascalie in lingua armena che li accompagnano. Della Mappa si conosceva l’esistenza fin dal Settecento, ma non si sapeva dove fosse conservata. Una fortunata circostanza la fece emergere nel 1991 dai depositi della Biblioteca Universitaria di Bologna, a dimostrazione che le biblioteche storiche italiane celano ancor oggi documenti eccezionali che arricchiscono la storia d’Italia e delle sue relazioni con altri popoli, come, nel nostro caso, gli Armeni.

In occasione del convegno, anche a Bologna sono previsti alcuni eventi culturali: nell’Atrio dell’Aula Magna della Biblioteca Universitaria, sede del convegno, verrà organizzata una mostra di manoscritti e antichi libri a stampa armeni, visitabile fino all’11 marzo. Inoltre, si esibiranno anche qui, in un secondo concerto dopo quello ravennate, con i loro strumenti tradizionali (duduk e qanun) i musicisti Arsen Petrosyan e Astghik Snetsunt, in chiusura del convegno (Aula Magna della BUB, 17 febbraio, ore 17); concluderà l’evento una serata letteraria presso il centro culturale CostArena, con letture e rappresentazioni teatrali riguardanti l’Armenia.

 


 

Unibo: due giornate a Ravenna e a Bologna dedicate all’Armenia (Ravennawebtv 13.02.23)

Si terrà il 16 e 17 febbraio a Ravenna e Bologna il convegno “Armenia, un popolo plurimillenario”, organizzato dal Dipartimento di Beni Culturali (DBC) e dal Dipartimento di Storia Culture Civiltà (DISCI) dell’Università di Bologna, e da ISMEO – Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente.Le giornate saranno inaugurate alla presenza del Magnifico Rettore dell’Alma Mater Giovanni Molari e del Presidente dell’ISMEO Adriano Valerio Rossi. L’idea della due giorni era stata concepita prima della pandemia ed era scaturita dalle attività svolte attraverso il progetto ROCHEMP dell’Università di Bologna e del Ministero dell’Educazione, della Scienza, della Cultura e dello Sport della Repubblica di Armenia, con il supporto di AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Ripresa la possibilità di un convegno in presenza, che costituisca anche un luogo di incontro tra studiosi italiani e armeni, si è voluto dar corso al primitivo progetto, con il fine principale di mettere in luce, per un pubblico accademico ma anche e soprattutto per un pubblicodi studenti dei corsi universitari di Bologna e Ravenna e di appassionati i vari aspetti della storia e della cultura dell’Armenia, paese che ha svolto un ruolo di straordinaria importanza sia nella cultura del mondo occidentale che in quella del mondo asiatico.

Lagiornata di Ravenna, il 16 febbraio, dedicata al tema “Gli Armeni tra popoli e imperi”, offrirà un percorso attraverso la storia, l’archeologia e l’arte di questo antico popolo, originario di un altopiano che è ponte naturale tra Oriente e Occidente, ma che è stato anche terra di conquista di grandi imperi, che vi si sono succeduti nei secoli. Pur sottoposti a diverse dominazioni, gli Armeni, grazie al profondo attaccamento alla propria cultura, sono riusciti a mantenere la loro distinta fisionomia, conservandola con tenacia fino ad oggi, a oltre un secolo dal genocidio che li ha colpiti all’alba del Novecento. Si partirà dagli elementi-base di questa civiltà, la lingua e il suo specifico alfabeto, per gettare luce, attraverso relazioni tenute da specialisti italiani e armeni, su momenti particolari della sua lunga storia che ha inizio dalla metà del I millennio a.C. Si passerà dalla protostoria (IV-I millennio a.C.) al periodo urarteo (IX-VII sec. a.C.), dalla dominazione persiana achemenide (VI-IV sec. a.C.) e poi sasanide (III-VII sec. d.C.) al medioevo, ai contatti con Bisanzio e con altre civiltà.

Il convegno sarà accompagnato da alcuni eventi culturali pensati specificamente per una fruizione da parte di un pubblico esterno all’Università. In particolare il giorno 16 febbraio, presso laSala Corelli del Teatro Dante Alighieri Ravenna, dalle ore 18.45 alle 19.45 avrà luogo un concerto di musica tradizionale armena con il tipicoduduk, strumento a fiato suonato da Arsen Petrosyan, e ilqanun, una cetra, pizzicato da Astghik Snetsunt.

Lagiornata bolognese del 17 febbraio sarà invece dedicata al tema “Gli Armeni, l’Italia e Bologna” e ripercorrerà, a partire dall’incontro/scontro con l’Impero romano, le numerose e continue occasioni di contatto intercorse tra gli Armeni e il nostro Paese. Si tratta di relazioni culturali, religiose e commerciali che si susseguirono nel tempo e furono intrattenute non solo a distanza: l’Italia, fin dall’Alto Medioevo, rappresentò per molti armeni (pellegrini, soldati, monaci, mercanti, diplomatici) una meta prediletta, un approdo sicuro, una terra ospitale. Comunità o “colonie” armene si crearono in molte regioni della nostra penisola, insediamenti di diversa durata nel tempo che seppero interagire e integrarsi in vario modo con la popolazione locale e le attività del territorio. Uno dei tanti segni concreti di queste relazioni è rappresentato dal fatto che il primo libro a stampa armeno vide la luce in Italia, a Venezia, nel 1512, città nella quale era attiva da tempo una classe mercantile armena che possedeva un ospizio e una chiesa (“Santa Croce”, tuttora conservatasi) a due passi da Piazza S. Marco. Sempre a Venezia, dal 1717 in poi, troverà accoglienza nell’Isola di San Lazzaro la comunità monastica dei Padri Mechitaristi, che fecero dell’isola un “faro” di diffusione della cultura armena in Italia e in Europa e viceversa, mediante la traduzione e la diffusione dei capolavori della letteratura occidentale tra i loro connazionali.E Armeni vennero anche a Bologna, città nella quale, nel corso del XIV secolo, si era formata, fuori Porta S. Mamolo, una comunità religiosa, la cui chiesa fu consacrata nel 1342. Sempre a Bologna furono copiati e miniati manoscritti armeni, alcuni dei quali mostrano, nelle loro splendide miniature, chiari influssi di arte italiana.

L’attenzione sarà rivolta anche alle tracce tangibili che di questi rapporti sono conservate nelle biblioteche e negli archivi storici italiani. In particolare la Biblioteca Universitaria di Bologna possiede alcuni “tesori” armeni unici o rari, sia manoscritti miniati che antichi libri a stampa. Tra questi, il primo posto va a un documento eccezionale: la cosiddetta “Mappa armena” del celebre conte bolognese Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730), che la commissionò ad un erudito armeno durante un suo viaggio a Costantinopoli nel 1691. La monumentale mappa, lunga oltre tre metri e mezzo e larga più di un metro, raffigura circa ottocento luoghi sacri della Chiesa armena (santuari, monasteri, chiese), riprodotti in disegni colorati ad acquerello e descritti nelle fitte didascalie in lingua armena che li accompagnano. Della Mappa si conosceva l’esistenza fin dal Settecento, ma non si sapeva dove fosse conservata. Una fortunata circostanza la fece emergere nel 1991 dai depositi della Biblioteca Universitaria di Bologna, a dimostrazione che le biblioteche storiche italiane celano ancor oggi documenti eccezionali che arricchiscono la storia d’Italia e delle sue relazioni con altri popoli, come, nel nostro caso, gli Armeni.

In occasione del convegno, anche a Bologna sono previsti alcuni eventi culturali: nell’Atrio dell’Aula Magna della Biblioteca Universitaria, sede del convegno, verrà organizzata una mostra di manoscritti e antichi libri a stampa armeni visitabile fino all’11 marzo. Inoltre, si esibiranno anche qui, in un secondo concerto dopo quello ravennate, con i loro strumenti tradizionali (duduk e qanun) i musicisti Arsen Petrosyan e Astghik Snetsunt, in chiusura del convegno (Aula Magna della BUB, 17 febbraio, ore 17); concluderà l’evento una serata letteraria presso il centro culturale CostArena, con letture e rappresentazioni teatrali riguardanti l’Armenia.

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Lo US building of the year 2022 è una chiesa armena (Requadro.com 13.02.23)

Fiande architectural surfaces annuncia che la chiesa di San Sarkis a Carrollton (Texas) progettata dal premiato architetto David Hotson è stata nominata US Building of the Year per il 2022

L’onorificenza è stata assegnata sulla base di un sondaggio online lanciato su World-Architects, che chiedeva agli utenti di scegliere l’edificio più significativo ultimato negli Stati Uniti nel 2022 da una rosa di quaranta edifici culturali, scolastici, religiosi, residenziali e commerciali progettati da studi di architettura di fama internazionale come Adjaye Associates e Diller Scofidio + Renfro. La chiesa di San Sarkis ha vinto con una maggioranza schiacciante, ottenendo il 64% dei voti espressi complessivamente a favore dei 40 progetti.

La vittoria testimonia l’importanza rivestita dalla chiesa di San Sarkis all’interno della diaspora armena internazionale. Il nuovo edificio di culto è ispirato all’antica chiesa di Santa Ripsima, ultimata nel 618 d.C., che si trova tuttora nei pressi dell’odierna capitale armena, Erevan, e rappresenta un simbolo della perseveranza del cristianesimo armeno.

Per la chiesa di San Sarkis, Hotson ha elaborato un progetto che guarda a questo antico passato come pure al futuro, coniugando tradizioni architettoniche e artistiche armene con tecnologie di progettazione e fabbricazione digitali contemporanee.

La facciata è stata realizzata in collaborazione con Fiandre Architectural Surfaces (Iris Ceramica Group), operatore mondiale nella progettazione, produzione e distribuzione di superfici architettoniche di lusso, utilizzando DYS (Design Your Slabs), la rivoluzionaria tecnologia dell’azienda che permette di realizzare stampe digitali ad altissima risoluzione resistenti ai raggi UV sui rivestimenti ceramici per facciate ventilate per esterni di grande formato di Fiandre.

La stampa ad alta risoluzione ha permesso alla facciata di offrire ai visitatori un’esperienza visiva stratificata, che si rivela man mano che si avvicinano. A una visione d’insieme, l’architettura della facciata riproduce una croce tradizionale armena (“l’albero della vita”) con i caratteristici bracci ramificati. Man mano che ci si avvicina, ci si rende conto che la croce è composta di motivi botanici e geometrici intrecciati tratti dalla tradizione artistica armena. Avvicinandosi ulteriormente, i motivi complessivi si dissolvono in una griglia di minuscoli pixel, ispirati alle decorazioni circolari che simboleggiano l’infinito e ricorrono ampiamente in tutta la tradizione artistica armena. A generare gli 1,5 milioni di pixel che rivestono l’intera facciata è stato uno schema informatico, che li ha resi tutti diversi affinché ciascuno commemorasse uno degli 1,5 milioni di individui unici che hanno perso la vita nel genocidio.

rivestimenti ceramici della facciata sono stati fabbricati in Italia servendosi del processo brevettato di produzione e stampa di Fiandre, mentre sono stati installati da Graniti Vicentia Façades utilizzando il sistema di facciata ventilata brevettato da Granitech (una sezione di Iris Ceramica Group). Oltre alla facciata commemorativa della chiesa, Fiandre ha fornito le finiture ceramiche per pareti e pavimenti interni ed esterni in tutto il complesso di San Sarkis, sfruttando l’ampia gamma di spessori e consistenze disponibili nella collezione Fjord di Fiandre.

“Desidero condividere questo premio con tutte le persone coinvolte nella progettazione e nella realizzazione di questo edificio, compresi tutti i membri della comunità dei fedeli e la diaspora armena internazionale per cui questo edificio riveste un’importanza particolare. La collaborazione più preziosa, tuttavia, è stata quella con il team di Fiandre, il cui contributo in termini di straordinarietà dell’innovazione e impeccabilità dell’esecuzione è stato essenziale per il successo estetico, emotivo ed empirico di questo particolare progetto”, ha dichiarato l’architetto Hotson.

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DAVID HOTSON RILEGGE UN ARCHETIPO DELL’ARCHITETTURA SACRA

Aleppo. «Serve un miracolo. Aiutiamo i cristiani a rimanere in Siria» (Tempi 12.02.23)

Tony El Alabi non ha neanche avuto il tempo di avere paura. Dopo la prima devastante scossa del terremoto che ha squassato le fondamenta di Aleppo, come tutto il nord della Siria, dove sono morte almeno 3.192 persone, è corso con il cuore pesante alla scuola che gestisce, l’istituto dei padri mechitaristi di Aleppo, per vedere se era rimasta in piedi. Ma il sollievo generato dalla scoperta che la struttura era solo parzialmente danneggiata è stato subito spazzato via da un’emergenza ancora più grave: centinaia di famiglie terrorizzate, duemila persone in tutto, senza cibo, vestiti e coperte assiepate nel cortile della scuola, al gelo e sotto la pioggia battente, in cerca di riparo e consolazione.

«Serve un miracolo»

«Non ho soldi per dare da mangiare a tutta questa gente», è stato il suo primo pensiero. Seguito immediatamente da un secondo: «Se anche li avessi non saprei che farmene». Ad Aleppo non ci sono più negozi dove comprare cibo: «È tutto crollato». L’unica possibilità era moltiplicare quel poco che c’era a disposizione, «fare come Gesù insomma: un miracolo».

È quello che gli ha consigliato dal Libano, tra il serio e il faceto, padre Leo Jenanian, vicesuperiore della congregazione armena mechitarista del Medio Oriente, cui appartiene la scuola, e che ha subito messo insieme un carico di aiuti da inviare ad Aleppo.

«Ad Aleppo manca tutto»

Con l’appoggio di Aid to the Church in Need, Caritas e Sos Chrétiens d’Orient, la scuola di Aleppo è stata trasformata in un campo per sfollati: molte famiglie sono ospitate nelle classi, chi può ha portato la propria auto nel grande cortile dell’istituto per dormire nell’abitacolo. «C’è chi ha la casa completamente distrutta, chi danneggiata e chi non lo sa, ma non vuole farvi ritorno per paura che crolli in una delle tante scosse di assestamento che ancora si susseguono in Siria», racconta a Tempi padre Jenanian.

I cristiani armeni dal Libano hanno subito messo insieme un primo tir di aiuti per inviare ad Aleppo pannolini e latte in polvere, innanzitutto. E poi acqua, coperte, cibo in scatola e legname. «Questa gente non ha nulla», spiega. «Ad Aleppo non ci sono né acqua né cibo, mancano riscaldamento ed elettricità. Stiamo inviando anche legname perché possano almeno accendere un fuoco in cortile per scaldarsi». Tutti gli aiuti vengono reperiti in Libano, così da facilitarne l’invio nonostante le sanzioni unilaterali dell’Occidente.

Il piano di aiuti per affrontare l’emergenza

I mechitaristi hanno stilato un piano di aiuti distinto in tre fasi: «La prima cosa è garantire cibo e riparo agli sfollati. Poi bisogna inviare squadre di ingegneri per controllare le case e valutarne l’agibilità. Infine, bisogna riparare quelle danneggiate o distrutte. Tutto ciò costerà moltissimo».

Solo per coprire la prima fase d’emergenza «ci servono 30 mila dollari e stiamo cercando di raccoglierli con i nostri partner internazionali». Non lasciare soli gli abitanti di Aleppo è vitale: «Già prima del terremoto la gente viveva nella miseria per colpa della guerra e delle sanzioni», prosegue Jenanian. «Ora la situazione è peggiorata e non possiamo permetterci un nuovo esodo: Aleppo è una delle ultime città del Medio Oriente dove i cristiani possono vivere liberamente. Se i cristiani, non solo gli armeni, saranno costretti ad andarsene sarà un disastro per la Siria e l’intero Medio Oriente».

@LeoneGrotti

Per effettuare donazioni:
Intestatario del Conto Corrente: Mekhitarist Congregation in Lebanon
Iban: LB47 0014 0000 3604 3532 0365 8510
Numero d’identificazione: 2036865
Causale: Sos Aleppo Centro Accoglienza Scuola Mechitarista

Monaco: artisti armeni ospiti dell’AIAP (Qemagazine 12.02.23)

Il Comitato nazionale monegasco dell’Associazione internazionale delle arti plastiche presso l’UNESCO (AIAP) presenta “Lumière”, una mostra che vuole essere un momento esclusivo per mettere in luce il talento di un gruppo di artisti armeni selezionati per l’occasione.

E’ intitolata “Lumière” la prima esposizione del 2023 organizzata dal Comité National Monégasque de l’Association Internationale des Arts Plastiques auprès de l’UNESCO (AIAP), dedicata in particolar modo all’Armenia. “Vorremmo sottolineare la soddisfazione di beneficiare della luce, dell’opinione, dell’illuminazione. dello sguardo di un amico, una parentesi in un periodo in cui i veli oscuri passano troppo spesso davanti ai nostri occhi. Le opere dei nostri artisti saranno i punti di una luce talvolta discreta, intensa, spettacolare o abbagliante, che vorremmo luce abbagliante che vorremmo offrire agli occhi dei nostri visitatori”. E, continua la nota stampa: “L’arte nasce dalla luce. Appare nelle grotte, alla luce del fuoco. Le ombre sono disegnate e appaiono le forme. Fin dall’antichità, l’artista capisce che questi criteri saranno fondamentali per catturare e catturare e rendere la forza di ciò che percepisce. Questo gioco di luci e ombre, che si protrarrà per tutta la durata del secoli fino ai tempi moderni.

Con un forte simbolismo, associato al potere della divinità, della trascendenza, la luce sarà usata a sua volta per glorificare ma anche per celebrare una certa spiritualità. L’architettura, sia essa romanica, gotica, ortodossa o bizantina, è progettata per e dalla luce. In pittura, appare in modo significativo con l’opera di artisti del XIV secolo come Giotto o il Beato Angelico, che la simboleggiano con l’uso dell’oro. Dal Rinascimento in poi è scomparsa a favore della pittura a olio e dello sviluppo di tecniche particolari come quelle utilizzate da Da Vinci o Van Eyck. L’uso dell’oro in pittura scomparve a partire dal Rinascimento a favore della pittura a olio e dello sviluppo di tecniche particolari, come quelle utilizzate da Vinci e Van Eyck, e fu evidenziato dalle tecniche di chiaroscuro di cui Caravaggio fu l’artista più evidente; si tinse di misticismo con i Romantici e trovò infine la sua forma più eclatante nelle opere di Turner e dei suoi successori, gli Impressionisti. È chiaro che l’uso della luce nella storia dell’arte si è sviluppato parallelamente ai progressi tecnologici. È il caso della principale scoperta del XIX secolo. La questione dell’imprinting e, in particolare, della creazione attraverso la luce, nasce con l’invenzione dell’elettricità e poi della fotografia, il mezzo fotosensibile che materializza il fenomeno della luce, rendendo visibile ciò che non lo è. La luce è diventata allora un materiale, dando libero sfogo a tutte le processi della prima metà del XX secolo: le solarizzazioni di Man Ray o le scritture automatiche di Picasso o Fontana. È diventato un oggetto, in particolare con le luci al neon di Dan Flavin. Gli artisti della seconda metà del XX secolo, emancipandosi sempre più dall’idea di mimesi, si sono rivolti alla questione fenomenologica per mettere in discussione e addirittura alterare le nostre modalità di percezione, giocando sulla le nostre modalità di percezione, giocando sui limiti delle forme sensibili e sulle loro possibili trasformazioni. trasformazioni possibili. L’illuminazione ci permette anche di raccontare storie, di creare ambienti che ambienti che sorprendono o stupiscono, come il “Teatro delle Ombre” di Christian Boltanski o il installazioni di Tim Noble e Sue Webster. È chiaro che il gioco della luce nei tempi moderni non si basa più solo su un’idea di luce. È chiaro che il gioco della luce in epoca moderna non si basa più solo su lampi o tensioni, ma cerca piuttosto di illuminare una molteplicità di letture. Quindi, che sia tecnico o metaforico, l’uso della luce si ritrova in tutta la nostra storia. la nostra storia. Lo accompagna, lo rivela, lo trascende.

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Sessantatreesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Pulizia etnica degli Armeni dell’Artsakh. Questo non è accettabile in alcun modo (Korazym 12.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.02.2023 – Vik van Brantegem] – Il regime dittatoriale di Ilham Aliyev in Azerbajgian, con uno dei peggiori record di diritti umani al mondo, è il più grande nemico dell’umanità. Sponsorizzando la armenofobia ha innescato il disumano #ArtsakhBlockade entrato nel suo terzo mese, mettendo in pericolo la vita di 120.000 Armeni. Nonostante tutti gli appelli internazionali per fermare l’illegale #ArtsakhBlockade, da più di 62 giorni l’Azerbajgian tiene la popolazione dell’Artsakh chiusa in una prigione all’aria aperta, con mancanza di cibo, medicine e necessità quotidiane, fornitura di gas spenta/accesa, blackout elettrica ad intermittenza per 6 ore al giorno, perché l’unica linea ad alta tensione che fornisce elettricità dall’Armenia all’Artsakh è stata danneggiata il 9 gennaio sul territorio sotto controllo dell’Azerbajgian, che non consente di effettuare i lavori di riparazione di emergenza. La giornalista freelance Anush Ghavalyan riferisce che a Stepanakert si stanno verificando inoltre incidenti sulla rete elettrica a causa del sovraccarico. Tutto questo a seguito e in aggiunta delle azioni dei premurosi vicini Azeri, che si dicono preoccupati per la protezione della natura in Artsakh, ma indifferente per i disastri ecologici a casa propria, sulla penisola di Absheron.

L’Azerbajgian mantiene da due mesi il #ArtsakhBlockade nonostante la severa condanna da parte del Parlamento Europeo e di Amnesty International, dopo le condanne di innumerevoli altre istituzioni internazionali e governi. L’Azerbajgian è responsabile di ogni vita armena persa. La società civile internazionale dovrebbe prendere l’iniziativa e dimostrare che i dittatori e i loro facilitatori non possono essere tollerati.

Il terremoto in Siria e in Turchia ci rattrista. Il #ArtsakhBlockade ci fa arrabbiare. I terremoti che non possiamo controllare, mentre il blocco di una strada non è un disastro naturale. Il #ArtsakhBlockade è la vera prova che la popolazione armena della Repubblica di Artsakh non potrebbe mai essere al sicuro sotto nessun tipo di dominio azero. Non c’è democrazia in Azerbajgian. Non esiste protezione dei diritti umani in Azerbajgian. Non c’è tolleranza nei confronti degli Armeni (e delle altre minoranze) in Azerbajgian, che ha condotto anche una politica di pulizia etnica nei territori che ha occupato. Solo l’intervento energico e risolutivo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite può riaprire la #StradaDellaVita dell’Artsakh e impedire che l’Azerbajgian porti a termine l’ennesima pulizia etnica armena. Nel frattempo urge un ponte aereo con la bandiera dell’ONU per far fronte alla crisi umanitaria in corso e salvare vite.

«È evidente che i governi occidentali non siano ancora disposti a sanzionare l’Azerbajgian. Tuttavia, media internazionali affidabili, think thank e ONG possono prendere una decisione di principio di non impegnarsi con soggetti che hanno legami formali o informali con il regime di Baku. Questo tipo di misure può fare la differenza poiché il regime di Aliyev ha a cuore la sua immagine internazionale» (Tigran Grigoryan, Capo del Centro Regionale per Democrazia e Sicurezza in Armenia).

«Questa mattina un devastante terremoto ha scosso la Turchia e la Siria, causando la morte di centinaia di persone e il ferimento di molte altre. Il nostro pensiero va al popolo della Turchia e della Siria. L’Unione Europea è pronta ad aiutare» (Josep Borrell, 6 febbraio 2023) [Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione Europea].

«Terribili notizie questa mattina dalla Turchia» (Toivo Klaar, 6 febbraio 2023). «Di fronte a tanta tragedia in Turchia riscalda il cuore vedere il sostegno che la sua vicina Armenia ha fornito e la risposta positiva che questo ha generato» (Toivo Klaar, 12 febbraio 2023) [Rappresentante Speciale per il Caucaso meridionale e la Crisi in Georgia dell’Unione Europea].

Gli Armeni hanno dato una sonora lezione di democrazia per questi burocrati “democratici” Europei. Poi, Toivo Klaar è stato svegliato dalla sua ibernazione con la scossa del terremoto (ma l’ha avvertito solo in Turchia, non in Siria) il 6 febbraio. Riaddormentatosi, dopo sei giorni si è risvegliato con il rombo dei camion armeni che attraversavano il ponte Margara al confine con la Turchia (chiuso dalla loro vicina dal 1993). Ma dire qualcosa (non si pretende neanche una “condanna”) sul #ArtsakhBlockade (#NagornoKarabakh), dove gli Armeni hanno bisogno di aiuto e supporto di emergenza, no. Riscalderebbe il cuore ancora di più, vedere il Corridoio di Lachin finalmente riaperto dagli Azeri-Turchi.

«Toivo Klaar, ho già iniziato a pensare che tu sia in modalità ibernazione. È bello vederti vivo e svegliato. Qualcosa su #ArtsakhBlockade? O è troppo chiederti di (almeno) parlare delle gravi violazioni dei diritti umani e dell’enorme crisi umanitaria causate dall’Azerbaigian?» (Yana Avanesyan, docente all’Università Statale dell’Artsakh).

Toivo Klaar fa finta di non sapere che l’Armenia si è sempre dimostrato umano, cosa che non si può dire lo stesso per i vicini “Stati fraterni” (“Una nazione, due stati”: questo motto è stato insegnato ad ogni giovane Azero fin dall’infanzia; la Turchia è sempre stata e sempre sarà accanto all’Azerbajgian; siamo Paesi fratelli; siamo una famiglia; eccetera). Toivo Klaar fa finta di non sapere che l’Azerbajgian è uno stato terrorista controllato da un dittatore genocida e sostenuto dal sultano panturco sul Bosforo. Toivo Klaar fa finta di non sapere che l’Armenia e l’Artsakh vogliono la pace e che l’Azerbajgian e la Turchia vogliono l’Artsakh e l’Armenia.

«Dozzine di camion che consegnano rifornimenti in Karabakh, eppure la falsa narrativa persiste. Strada aperta da 2 mesi, ma nessun avvicinamento civile visto».

I camion sono esclusivamente delle forze di mantenimento della pace russe e come fa quotidianamente, Huseyn con i suoi video dal posto di blocco degli agenti statali azeri, sta confermando in modo preciso l’esistenza del blocco. Un genio della comunicazione. Nel contempo denuncia la “falsa narrativa” di coloro (praticamente tutto il mondo) che informano sul #ArtsakhBlockade. Esilarante. Quello che Huseyn sta documentando è che la Russia e il CICR fungono da katechon.

«Due mesi dall’inizio della nostra pacifica protesta ecologica. Nonostante i nostri sforzi, l’attenzione rimane focalizzata sull’etichettarlo come “blocco” o addirittura accusarci di “pulizia etnica”. È scoraggiante vedere che il vero problema, l’ecologia, viene ignorato dagli Armeni e dalla comunità internazionale».

Il portavoce ufficioso del #ArtsakhBlockade-che-non-c’è ma che c’è sul blocco, Adnan Huseyn, con ogni giorno che passa diventa sempre più nervoso e aggressivo, scoraggiato e impaziente, visto che nessuno crede alla sua narrativa che si tratta di una protesta “ecologica” e che la strada è aperta. Lo consigliamo di togliere il disturbo in Artsakh e di trasferirsi sulla penisola di Absheron, dove certamente il suo datore di lavoro Aliyev ben volentieri lo incoraggerà nella protesta per l’ecodisastro a casa sua e lo farà visitare i pozzi di petrolio “ecologici”.

Stepanakert, capitale della Repubblica di Artsakh, ancora resiliente nel 63° giorni di assedio dell’Azerbajgian con l’illegale #ArtsakhBlockade. Canzone di Arthur Khacents եկ գինինք Արցախ (Andiamo ad Artsakh).

«Un altro giorno, un’altra lotta. Al momento, la gente dell’Artsakh non sta morendo di fame, ma se ciò dovesse continuare per un lungo periodo di tempo, la situazione peggiorerebbe sicuramente. Tutti dicono che la gente dell’Artsakh è abituata a vivere in cattive circostanze durante la prima guerra dell’Artsakh, durante i giorni freddi e bui dopo la guerra e l’indipendenza, e durante la seconda guerra dell’Artsakh. Tuttavia, non dovremmo svalutare ciò che è l’attuale blocco. È un tentativo diretto di pulizia etnica degli Armeni dell’Artsakh e questo non va bene e non è accettabile in alcun modo. Il popolo dell’Artsakh merita di meglio, soprattutto perché ha attraversato momenti così difficili in passato.
Con un altro giorno che passa, la frustrazione cresce dentro di me. Frustrazione per un mondo ispirato dalla paura e dall’odio. Un mondo incapace di imparare dal passato e incapace di progredire nelle visioni. Bloccati nelle nostre opinioni e incapaci di prendere il punto di vista degli altri a causa di anni e anni di propaganda vomitata sulla bocca dei cittadini del mondo da coloro che li hanno governati. Che quella figura sia Aliyev o Erdoğan, o fino ai democratici Stati Uniti d’America con Donald Trump. I cittadini del mondo sono costretti a credere che prendere l’opzione estrema sia l’unica opzione rimasta sul tavolo. Eppure, ci sbagliamo così tanto. Ci vengono nutrite un sacco di bugie da diverse parti per spingerci ad allinearci con qualunque propaganda ci venga lanciata in questo momento. In tal modo, noi umani stiamo deludendo la razza umana e le generazioni che seguono. Il terrorismo risiede e domina tutte le estremità del globo, spingendo per il tipo più radicale di odio. Governi che instillano paura per mantenere il potere, iniziando guerre senza senso e litigi con altri per unire il proprio popolo sotto un’unica causa: odio/paura. Cosa possiamo fare per respingere, per sradicare l’odio? Solo l’amore dovrebbe prosperare. Ma come e con quali modalità? Come puoi far capire alle persone che il loro odio è disgustoso ed è la radice del problema? Come puoi dire a un gruppo di persone che si scontrano da secoli di fermarsi? Queste risposte devono essere ricercate e risolte affinché la nostra società progredisca in un modo che preservi e valorizzi ciò che abbiamo e ci permetta di continuare su un sentiero retto» (Varak Ghazarian – Medium.com, 11 febbraio 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

La tragedia dimenticata del Nagorno Karabakh in un articolo di Andrea Bertagni su La Domenica del Corriere del Ticino di oggi, 12 febbraio 2023: «120 mila persone, tra cui 30 mila minorenni, da ormai due mesi e in pieno inverno non hanno da mangiare, sono senza luce, gas, acqua e medicine. Tra due settimane, il 27 febbraio, manifesteranno davanti al palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra. Manifesteranno perché 120 mila persone, tra cui 30 mila minorenni, da ormai due mesi e in pieno inverno non hanno da mangiare, sono senza luce, gas, acqua, medicine, non possono lavorare, studiare, vivere. Sono prigioniere nel Nagorno Karabakh a causa dell’Azerbaijan che ha chiuso il corridoio di Lachin, una striscia di terra che mette in comunicazione il Nagorno Karabakh con l’Armenia. Una striscia vitale per chi vive in Nagorno Karabakh perché dal corridoio passa tutto il necessario per vivere, appunto» [QUI].

“Voglio solo tornare a casa”: gli Armeni del Karabakh nel limbo mentre il blocco continua
Un aspro stallo continua intorno al Nagorno-Karabakh mentre un blocco azero blocca i rifornimenti e separa le famiglie
di Amos Chapple
Radio Free Europe/Radio Liberty, 10 febbraio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Le mani di Margo Baghdasarian tremano mentre racconta la sequenza quasi inimmaginabile di eventi che l’hanno portata ad essere bloccata nell’Armenia meridionale, lontana dal marito, dalla figlia e dai due nipoti.

Margo Baghdasarian parla al telefono con sua figlia all’interno del Nagorno-Karabakh da un hotel a Goris il 9 febbraio (Foto di Amos Chapple/RFE/RL).

Nell’aprile 2016, il soldato figlio di Baghdasarian è stato ucciso combattendo le forze azere durante quella che gli Armeni chiamano la “guerra dei 44 giorni”. Poi, suo genero è morto combattendo l’avanzata delle truppe azere questa seconda guerra del Nagorno-Karabakh nel settembre-novembre 2020. Durante quel conflitto, l’Azerbajgian ha ripreso il controllo di gran parte del Nagorno-Karabakh e dei territori adiacenti che erano stati detenuti dalle forze armene. Più di 6.500 persone sono morte nei combattimenti.

Baghdasarian ha affermato che lo stress della doppia tragedia le ha causato problemi di salute così gravi che ha dovuto sottoporsi ad un’operazione al cuore nella vicina città armena di Goris. “Volevo stare meglio per poter andare ad aiutare la mia famiglia”, ha detto la 61enne. La figlia vedova di Baghdasarian all’epoca era alle prese con due figli senza il padre. Poco dopo che Baghdasarian lasciò la regione separatista del Nagorno-Karabakh per il suo intervento chirurgico a Goris, gli “eco-attivisti” azerbajgiani – generalmente visti come agenti per volere di Baku – il 12 dicembre bloccarono l’unica strada, chiamata Corridoio di Lachin, che porta nel Nagorno-Karabakh. Karabakh.

Da allora Margo Baghdasarian vive nel limbo, una delle centinaia di Armeni del Karabakh che sono stati tagliati fuori dalle loro famiglie. Secondo il municipio di Goris, circa 300 Armeni del Karabakh sono attualmente ospitati nella città, mentre altri 700 circa si sono trasferiti con familiari o amici in altre parti dell’Armenia in attesa di tornare a casa.

Una panoramica di Goris, la grande città armena più vicina al Nagorno-Karabakh, 10 febbraio 2023 (Foto di Amos Chapple/RFE/RL).

Armenia e Azerbajgian si scontrano da decenni sul Nagorno-Karabakh. L’enclave prevalentemente etnica armena fa parte dell’Azerbajgian, ma è stata sotto il controllo delle forze etniche armene sostenute dall’Armenia da quando una guerra separatista è terminata nel 1994.

Mentre il blocco si estende nella sua nona settimana, sembra che i circa 100.000 Armeni etnici intrappolati all’interno del Nagorno-Karabakh si stiano preparando per una lunga e amara prova di volontà.

Marut Vanyan, giornalista freelance che vive a Stepanakert, la più grande città della regione del Nagorno-Karabakh, conosciuta come Khankendi in azero, ha detto che documentare la crisi umanitaria in corso è diventato più difficile, poiché i locali intrappolati lo rimproverano per aver rivelato la difficoltà della vita all’interno la città assediata.

Quando a Stepanakert compaiono frutta e verdura fresca, che si dice siano state trasportate dalle forze di pace di mantenimento della pace russe, il giornalista ha detto che le persone si radunano in “una fila insopportabile e umiliante”, aggiungendo che quando ha cercato di scattare una foto di scaffali vuoti, un uomo gli ha chiesto retoricamente: “Vuoi che gli Azeri lo vedano e lo celebrino?”

Pile di aiuti alimentari, compreso il latte artificiale, in deposito dopo che è stato impedito l’invio in Nagorno-Karabakh nei primi giorni del blocco (Foto di Amos Chapple/RFE/RL).

Per gli amici e la famiglia armena dall’altra parte del blocco, la realtà delle condizioni dei residenti del Nagorno-Karabakh può essere difficile da valutare. Yeva Dalakian, una lavoratrice giovanile a Goris, ha detto che gli Armeni del Karabakh che conosce, sopravvivono in gran parte grazie alla vendita di prodotti estivi come patate e cibo conservato dai villaggi. “Alcuni dei miei amici con cui sto parlando sono tornati al loro villaggio e lavorano da remoto”, ha detto. “Ma il fatto è che le persone in Nagorno-Karabakh sono molto orgogliose e non amano lamentarsi, quindi a volte è difficile capire cosa stia realmente accadendo”.

Alcuni rifornimenti stanno attraversando il blocco, sia apertamente che forse in segreto. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) è stato autorizzato a trasportare alcune forniture mediche e cibo alle persone che ne hanno urgente bisogno all’interno del blocco. All’inizio di febbraio, il CICR aveva trasferito 95 persone attraverso il blocco, per lo più bambini inviati per ricongiungersi con i loro genitori e pazienti molto malati portati fuori.

La gente del posto a Goris afferma che i parenti degli Armeni del Karabakh bloccati si sono avvicinati ai soldati russi per chiedere loro di contrabbandare rifornimenti attraverso il blocco, anche se non è chiaro se qualcuno abbia avuto successo con la tattica.

Un checkpoint armeno alla periferia di Tegh il 9 febbraio. Il checkpoint è attualmente la fine della strada per gli armeni del Karabakh che sperano di tornare a casa (Foto di Amos Chapple/RFE/RL).

Nel municipio di Goris, il Vicesindaco Irina Yolian siede dietro le bandiere dell’Armenia e della Repubblica di Artsakh, non riconosciuta a livello internazionale, la denominazione che gli Armeni usano per la regione del Nagorno-Karabakh. Alla domanda sulla risposta internazionale al blocco in corso, Yolian fa riferimento all’accordo sul gas concluso tra l’Azerbajgian e l’Unione europea la scorsa estate, che ha portato a una controversa dichiarazione del Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen in cui annoverava lo stato autoritario del blocco tra i “partner affidabili e degni di fiducia”. “Quando parliamo di valori umanitari e vite umane, queste cose dovrebbero essere più importanti, ad esempio, del gas”, ha detto la funzionaria di Goris. Ha poi indicato quella che crede sia stata la risposta internazionale in sordina all’invasione dell’Azerbaigian nel territorio armeno indiscusso nel settembre 2022. “Mentre gli Stati occidentali armano l’Ucraina [nella sua lotta contro l’invasione russa del 2022] e sostengono [Kiev] in altri modi, l’Armenia riceve solo parole e auguri”, ha detto Yolian.

Angelina, otto anni, dipinge l’Hotel Goris – dove soggiorna con la madre e la sorella da poco dopo l’inizio del blocco – durante un corso d’arte organizzato per i bambini del Karabakh in una galleria a Goris il 9 febbraio 2923 (Foto di Amos Chapple/RFE/RL).

La funzionaria armena ha puntato il dito anche contro la Russia per aver apparentemente permesso che il blocco continuasse. Il Cremlino è noto per aver interrotto violentemente le proteste interne, ma finora le forze di mantenimento della pace russe non hanno fatto alcuno sforzo per riaprire con la forza la strada per il Nagorno-Karabakh.

Nel suo hotel a Goris, Baghdasarian sottolinea quanto sia grata per l’aiuto che le è stato fornito a Goris, ma i suoi occhi si riempiono di lacrime mentre parla al telefono con sua figlia e sua nipote. “Voglio solo andare a casa. Questo è tutto ciò che chiedo”, ha detto, aggiungendo che la sua città natale di Stepanakert è dove è stato sepolto suo figlio. “Sono nato lì e voglio morire lì. Voglio che la mia tomba sia accanto a quella di mio figlio”.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Sessantaduesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Non abbiamo il diritto di lasciare solo il popolo armeno di fronte a una nuova minaccia di pulizia etnica (Korazym 11.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.02.2023 – Vik van Brantegem] – Sessantaduesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Nessun cambiamento di rilievo nella crisi umanitaria in Artsakh/Nagorno-Karabakh, con mancanza di cibo, medicine, blackout elettrici e sporadici tagli del gas. Rimane in vigore il blocco da parte delle autorità dell’Azerbajgian dal 12 dicembre 2022 dell’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert lungo il Corridoio di Berdzor (Lachin), l’unico collegamento della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh con l’Armenia, isolando 120.000 Armeni della regione. Si sono visti transitare veicoli solo delle forze di mantenimento della pace della Federazione Russa e del Comitato Internazionale della Croce Rosse. L’elenco dei beni forniti con il sistema di razionamento dei tagliandi (foto di copertina) è stato ampliato per tenere conto della carenza di prodotti e della necessità di una distribuzione uniforme alla popolazione. Dal 21 febbraio verranno aggiunti anche frutta, verdura e uova provenienti dalla riserva statale, comunica l’Artsakh InfoCenter.

Cresce l’indignazione internazionale ma il dittatore dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, non ferma il criminale blocco, indifferente per le parole non accompagnate da misure energiche e decisive del Consiglio di Sicurezza delle Nazione Unite. Addirittura, Josep Borrell, il politico ed economista spagnolo con cittadinanza argentina, membro del PSOE, dal 1º dicembre 2019 Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza ha osato dire senza vergogna, che le sanzioni non erano sul tavolo. Quindi, la dittatura azerbajgiana continua la sua guerra silenziosa contro la popolazione civile armena dell’Artsakh che rimane sotto assedio.

«Arrivato ieri sera in Armenia, all’ingresso del Corridoio di Lachin: questa unica via di accesso al Nagorno-Karabakh è bloccata qui dall’Azerbajgian ormai da due mesi. A pochi chilometri da qui, centoventimila civili armeni vivono tagliati fuori dal mondo, privi di tutto. Di fronte a questa immensa crisi umanitaria, l’Europa deve finalmente agire. Perché non abbiamo il diritto di lasciare solo il popolo armeno di fronte a una nuova minaccia di pulizia etnica; e perché, in realtà, qui è in gioco anche la sicurezza dei nostri Paesi» (François-Xavier Bellamy, autore, insegnante di scuola superiore ed ex Vicesindaco di Versailles, Eurodeputato francese, 11 febbraio 2023).

«Per la prima volta dal 1993 i camion hanno attraversato il confine armeno-turco per portare aiuti umanitari alla Turchia».

La Turchia apre il suo confine con l’Armenia per gli aiuti umanitari ai sopravvissuti al terremoto in 10 città turche, la prima volta dal 1993, quando Ankara chiuse il suo confine con l’Armenia. L’Armenia ha inviato aiuti umanitari alla Turchia, informa il Portavoce del Ministero degli Esteri armeno, Vahan Hunanyan. «I camion con aiuti umanitari hanno attraversato il ponte Margara al confine e si stanno dirigendo verso la regione colpita dal terremoto», ha scritto in un post su Twitter.

In Artsakh sotto il genocida blocco azero-turco è stata lanciato una raccolta fondi per aiutare i siro-armeni colpiti dal terremoto. Donano da quel poco che hanno. I deputati e il personale dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh hanno fornito assistenza per un importo di 1 milione e 13mila dram (2.560 dollari) alle famiglie degli siro-armeni colpiti dal terremoto, ha comunicato l’Assemblea Nazionale.

Allo stesso tempo, la Turchia continua a sostenere l’Azerbajgian che provoca un disastro con #ArtsakhBlockade, mettendo in pericolo migliaia di vite armene, mentre il mondo osserva senza fare nulla. Questo non è un disastro naturale ma genocidio in atto.

Un altro esempio di come la tensione tra la Turchia e l’Occidente fosse ai massimi livelli. Il 3 febbraio, 3 giorni prima del terremoto, il Ministro dell’Interno turco, Soylu, aveva lanciato un durissimo monito contro l’Ambasciatore americano. Soylu aveva chiaramente intimato all’Ambasciatore di “togliere le sue sporche mani dalla Turchia”. Quando il bue da del cornuto all’asino.

Secondo l’Accordo trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, le forze di mantenimento della pace russe controllano il Corridoio e l’Azerbajgian deve garantire la sicurezza e il libero transito di persone, veicoli e merci.

Il contingente di mantenimento della pace russo continua a svolgere i suoi compiti in Nagorno-Karabakh, ha informato il Ministero della Difesa della Federazione Russa con un comunicato, osservando che le forze di mantenimento della pace russe stanno monitorando la situazione in 30 punti di osservazione e monitorando l’accordo trilaterale di cessate il fuoco. “Il comando della forza continua i negoziati con le parti armena e azera sulla questione del ripristino del traffico dei veicoli sulla strada Stepanakert-Goris [Corridoio di Lachin]”, si legge nel comunicato, che informa che in generale, dal 23 novembre 2020, le squadre di ingegneria delle truppe di mantenimento della pace russe hanno bonificato 2.508,3 ettari di terreno, 689,5 km di strade, 1.940 edifici e che 26.762 oggetti esplosivi sono stati trovati e neutralizzati. Si osserva inoltre, che al fine di garantire la sicurezza delle forze di mantenimento della pace russe e prevenire possibili incidenti, viene mantenuta una consultazione continua con il quartier generale principale delle forze armate dell’Armenia e dell’Azerbajgian.

«I veri eco-attivisti devono fermare i falsi “eco-attivisti” del regime azero. Tagliando la fornitura di gas/energia a 120.000 abitanti in inverno, l’Azerbajgian provoca danni alla natura costringendo le disperate famiglie armene a tagliare alberi per la sopravvivenza dei propri figli. #StopArtsakhBlockade» (Nara Matini, 11 febbraio 2023).

«Mentre gli Azeri tacciono o in molti si divertono davvero a vedere 30.000 bambini armeni sotto il gelo dal 12 dicembre nel loro genocida #ArtsakhBlockade, possiamo aspettarci una falsa isteria che gli Armeni stiano tagliando alberi [per la loro sopravvivenza]. Cfr il propagandista del regime azero @REZAphotography» (Nara Matini, 11 febbraio 2023).

«Questo fotografo azero ha partecipato attivamente alla guerra di propaganda del dittatore Aliyev. Ricorda la finta isteria dopo che alcuni poveri armeni sfollati hanno tagliato alcuni alberi per sopravvivere in mezzo a guerra/pandemia/inverno» (Nara Matini, 16 febbraio 2021).

Dal rapporto dell’11 febbraio 2021 del Conflict and Environment Observatory: «Ci sono state anche accuse partigiane simili sui media tradizionali e sui social media secondo cui gli Armeni stavano abbattendo intenzionalmente alberi prima di fuggire, parte di una politica informale di terra bruciata. Questi erano generalmente supportati da tre elementi di prova. La prima è un’immagine non straordinaria di 30-40 ceppi d’albero lungo un terrapieno, ma con una nuova crescita visibile – così chiaramente tagliata qualche tempo prima del recente combattimento, come da descrizione originale dell’immagine. Tuttavia, la maggior parte dei post che accompagnano questa immagine contengono la narrazione del recente abbattimento. La seconda prova è un video vicino a Kalbajar che mostra il disboscamento su piccola scala lungo una strada, ma c’è poco che indichi che questo non è un comportamento ordinario o è malintenzionato. L’ultima prova è quella di un unico uomo armeno che abbatte una manciata di alberi accanto a casa sua, ammettendo che si tratta di un atto di sabotaggio. Insieme, queste prove non sono abbastanza forti per supportare le affermazioni di una diffusa deforestazione di massa da parte degli Armeni in fuga, nonostante il volume e la ferocia di tali affermazioni sui social media. Inoltre, le nostre analisi di osservazione della terra non suggeriscono alcuna prova di disboscamenti di vegetazione su larga scala non collegati agli incendi paesaggistici, un ulteriore esempio di armamento della disinformazione ambientale».

Nervosità a Baku per le relazioni tra Teheran e Yerevan
Il blocco azero del Corridoio di Lachin, le mire azere con un preteso “Corridoio di Zangezur” e le conseguenze per la frontiera armena-iraniana

Come abbiamo riferito l’8 febbraio scorso, i media azeri stanno diffondendo informazioni secondo cui «la Repubblica di Armenia e l’Iran si stanno preparando a lanciare un attacco verso Lachin [il Corridoio di Berdzor (Lachin) bloccato dall’Azerbajgian] e Qubadlı. [distretto di Sasanar nella regione di Kashatagh dell’Artsakh, fino all’occupazione azera con la guerra dei 44 giorni del 2020, oggi chiamata Zangezur orientale dall’Azerbajgian, sottinteso che esiste un Zangezur occidentale, cioè Syunik; si trova di fronte alla città di Kapan in Armenia]». Questa «è una menzogna assoluta e non corrisponde alla realtà», ha dichiarato il Portavoce del Ministero della Difesa e Consigliere del Direttore del Servizio di Sicurezza Nazionale della Repubblica di Armenia.

Secondo quanto scrive il 9 febbraio 2023 il quotidiano online azero in russo Haqqin.az, un parlamentare azero ha dichiarato che “le forze armate azere devono entrare immediatamente a Khankendi [come gli Azeri chiamano Stepanakert, la capitale della Repubblica di Artsakh]”. È molto chiaro. Il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) dopo due mesi non ha attenuto alcun risultato. Privare gli Armeni di Artsakh di cibo, gas, elettricità non era sufficiente, ora vogliono solo uccidere quelle persone. E questo è tutto per quanto riguarda l’Artsakh. Poi, ha aggiunto che deve essere preso sotto controllo il territorio della provincia di Syunik dell’Armenia per collegare Zangezur e Nakhchivan [il cosiddetto “Corridoio di Zangezur”, di cui nell’accordo trilaterale del 10 november 2020 non è detto niente e isolerebbe l’Armenia dall’Iran).

Le truppe interne devono entrare immediatamente a Khankendi…
DICHIARAZIONE DEL PARLAMENTARE AZERO
Haqqin.az, 9 febbraio 2023

(Nostra traduzione italiana dal russo)

L’Iran ha cercato a lungo un’opportunità per un intervento militare nel conflitto armeno-azerbaigiano. Probabilmente, ora a Teheran hanno deciso che si era presentata un’opportunità del genere. Il deputato del Milli Majlis Gudrat Gasanguliyev ha detto a Haqqin.az.

“L’Iran comprende che le relazioni della Turchia con l’Occidente non si stanno sviluppando nel migliore dei modi e l’Occidente vuole aiutare l’Armenia a tutti i costi. La Turchia, nostro alleato naturale, è occupato con l’indomani del terremoto. Teheran ritiene che in una situazione del genere, la partecipazione dell’Iran al conflitto dalla parte dell’Armenia ridurrà la pressione dell’Occidente, di cui possono certamente approfittare, espandendo così il programma nucleare e intensificando la repressione interna. Per quanto riguarda gli armeni, l’odio per i turchi, il sentimento di vendetta li ha privati della capacità di ragionare in modo sensato, il che li spinge a ogni sorta di avventure”, ritiene il parlamentare.

Hasanguliyev ha sottolineato che in risposta alle provocazioni dell’Iran e dell’Armenia, dovrebbe seguire immediatamente un deciso contrattacco da Baku ufficiale: “La sovranità statale deve essere ripristinata nei territori dell’Azerbajgian dove vivono gli Armeni etnici. La pace deve finalmente arrivare nella regione, che aprirà la strada allo sviluppo. È necessario inviare immediatamente truppe interne a Khankendi. Inoltre, secondo l’accordo trilaterale del 10 novembre 2020, dovrebbero essere prese misure per costruire strade da Zangezur a Nakhchivan. Questo territorio dovrebbe essere temporaneamente preso sotto controllo e, sulla base di certe garanzie, trasferito alla Russia, che assicurerà la sicurezza delle strade”.

L’Ambasciatore iraniano in Armenia (Foto di Mkhitar Khachatryan/Armenpress).

L’Ambasciatore iraniano in Armenia considera eccellenti ed esemplari le attuali relazioni armeno-iraniane

Quando si parla delle relazioni tra Iran e Armenia, possono essere dipinte come esemplari, basate su relazioni di lunga data, vicinato e fiducia reciproca. Lo ha affermato l’Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica Islamica dell’Iran in Armenia, Abbas Badakhshan Zohuri, al ricevimento ufficiale organizzato il 10 febbraio 2023 a Yerevan in occasione del 44° anniversario della vittoria della Rivoluzione Islamica dell’Iran, alla quale hanno partecipato ministri, deputati, diplomatici stranieri accreditati in Armenia e altri alti funzionari.

L’Ambasciatore iraniano ha innanzitutto ringraziato gli ospiti per aver partecipato al ricevimento ufficiale organizzato in occasione del 44° anniversario della vittoria della Rivoluzione Islamica dell’Iran, ricordando che «44 anni fa, sotto la guida dell’Imam Khomeini, una delle rivoluzioni più popolari del XX secolo, a seguito del quale il regime monarchico autoritario fu espulso dal campo politico iraniano e fu istituito un regime religioso e democratico sotto lo slogan “Indipendenza, libertà, Repubblica islamica”». Secondo l’Ambasciatore iraniano, in questi anni l’Iran ha ottenuto grandi successi in vari campi, a partire dalla scienza per finire con l’economia. Riferendosi ai principi della politica estera iraniana, l’Ambasciatore iraniano ha affermato che la Repubblica Islamica dell’Iran ha basato il suo approccio alla regolamentazione delle relazioni estere sui tre principi di dignità, saggezza e opportunità. Secondo l’ambasciatore iraniano, questi principi concentrano le azioni dell’Iran sull’espansione della cooperazione bilaterale, regionale e internazionale, sostenendo l’instaurazione della pace e della stabilità nella regione.

«Il sostenitore di questo approccio è il popolo iraniano, gli Iraniani sono orgogliosi di essere sempre stati pronti a dialoghi basati sul rispetto reciproco e accordi dignitosi e di aver rispettato gli accordi. La diplomazia dinamica, la ragionevole cooperazione e l’attenzione all’espansione delle nostre relazioni con i nostri vicini sono tra le manifestazioni del nuovo approccio della nostra politica estera, che è particolarmente enfatizzato dall’attuale governo della Repubblica Islamica dell’Iran», ha dichiarato l’Ambasciatore Abbas Badakhshan Zohouri. Ha detto di considerare gratificante il fatto che oggi, quando si parla delle eccellenti relazioni tra Iran e Armenia, possano essere dipinte come relazioni esemplari, che si basano su relazioni di lunga data, vicinato e fiducia reciproca. «Relazioni sostenute dalla lunga storia di interazioni culturali e di civiltà tra i due popoli. Noi, vicini inseparabili, abbiamo sempre condiviso gioie e dolori gli uni degli altri», ha sottolineato l’Ambasciatore iraniano.

Secondo Abbas Badakhshan Zohuri, negli ultimi anni e soprattutto nelle condizioni particolari create dopo la guerra dei 44 giorni, l’Iran ha cercato di aiutare l’instaurazione della pace nella regione del Caucaso meridionale presentando un programmo di iniziative. «Continuano intensi incontri e consultazioni tra i leader di Iran e Armenia. Continueremo a compiere sforzi per garantire la pace e la stabilità nella regione. Nel 2022 ci sono stati incontri reciproci tra i funzionari dei due Paesi a diversi livelli, l’ultima delle quali è stata la visita del Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan e del Vice Primo Ministro Mher Grigoryan nella Repubblica Islamica dell’Iran e, reciprocamente, la visita del Ministro degli Affari Esteri dell’Iran in Armenia. Nel 2022 abbiamo assistito all’istituzione del Consolato Generale della Repubblica Islamica dell’Iran a Kapan [di cui abbiamo riferito QUI], che delinea in modo specifico gli interessi e gli interessi di entrambi i Paesi. L’anno scorso abbiamo organizzato la 17ª sessione della commissione intergovernativa dei due Paesi. Il processo di lancio degli accordi ha creato una piattaforma adatta per lo sviluppo globale delle relazioni tra i due Paesi. Ci auguriamo che insieme e facendo sforzi congiunti, riusciremo ad elevare il livello delle relazioni a un livello degno dell’amicizia tra i due Paesi», ha concluso l’Ambasciatore iraniano.

Voci su Vardanyan da un giornale armeno e i ricami dei media azeri

Secondo i media azero (sotto controllo del regime dell’Azerbajgian), il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan, da alcuni giorni sarebbe “fuggito” a Mosca.

Il 7 febbraio 2023 il quotidiano armeno Hraparak ha affermato che il Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan, si è recato in visita a Mosca “per tenere incontri a vari livelli di governo” e “per chiarire la posizione della Russia” nei confronti del governo dell’Artsakh. Graparak ha riferito inoltre che dopo anche il Ministro di Stato Ruben Vardanyan è partito per la Russia.

L’agenzia di stampa azera Trend, il 7 febbraio in un articolo dal titolo Vardanyan fugge dal Karabakh per la Russia» scrive: «Sorge la domanda, come questi due avrebbero potuto lasciare il Karabakh, se l’Azerbajgian, come affermano, ha bloccato l’unica via d’uscita per gli armeni a Khankendi? Una cosa è chiara che, non importa come Vardanyan abbia lasciato il Karabakh, se in un bagagliaio di un’auto o in una valigia o forse come “carico umanitario”, non tornerà, e anche se ci prova, finirà nella peggiore delle ipotesi».

Il sito Azerbaycan24.az scrive: «Ai media armeni è trapelata l’informazione che il fallito “Ministro di Stato” della formazione illegale a Khankendi, Ruben Vardanyan, è partito per Mosca».

Secondo il sito Caliber.az, «Vardanyan è stato trasportato in Armenia sul retro di uno dei camion del contingente di mantenimento della pace russo, che ha prelevato le uniformi russe consegnate per il riciclaggio. Pertanto, il “progetto Vardanyan” può essere considerato ufficialmente un fallimento».

Il sito News.az aggiunge: «Prima di tutto, grazie alla ferrea volontà del popolo azero e personalmente al Comandante in Capo Supremo [Ilham Aliyev]. Se Vardanyan decide di tornare in Karabakh con un altro pretesto (il che è improbabile), allora questo sarà considerato da Baku come un casus belli e l’esercito azero prenderà le misure corrispondenti».

Il sito Aze.Media scrive: «Intanto fonti di Haqqin.az confermano le notizie sulla fuga di Vardanyan in Russia. L’autoproclamato Ministro di Stato è attualmente a Mosca. Le nostre fonti non hanno dettagli sulla sua fuga, ma Haqqin.az è stato informato che se Vardanyan tornasse a Khankendi, il governo azero perderebbe la pazienza e prenderebbe misure drastiche contro l’oligarca che viola palesemente il diritto internazionale e il diritto azero».

Il sito azero in russo, Haqqin.az il 10 febbraio 2023 ritorna sul caso con un articolo a firma dell’editorialista Ilkin Shafiyev dal titolo Dov’è scomparso Ruben Vardanyan? e scrive, che «non si sa ancora esattamente dove sia andato il miliardario russo Ruben Vardanyan, stabilitosi illegalmente in Karabakh lo scorso autunno e presentato come il “Ministro di Stato” del regime separatista». Con riferimento a «resoconti dei media armeni pubblicati pochi giorni fa», Haqqin.az afferma che Vardanyan «è partito per un viaggio d’affari a Mosca». Però, per il quotidiano azero ha fatto un «viaggio di sola andata – a Mosca», osservando che «Khankendi [cioè, Stepanakert, la Capitale della Repubblica di Artsakh] non commenta le notizie sul “viaggio d’affari” di Vardanyan».

Poi, Haqqin.az afferma che secondo le sue fonti a Yerevan, «il leader dei separatisti [cioè, il Presidente della Repubblica di Artsakh], Arayik Harutyunyan, si sarebbe recato a Mosca per “chiarire le posizioni e la politica della Russia sulla questione del Karabakh”. Le stesse fonti affermano che Harutyunyan è tornato dalla capitale “con uno stato d’animo ottimista”».

Secondo Haqqin.az, Arayik Harutyunyan (definito «il protetto di Pashinyan» e «capo del regime separatista») e Ruben Vardanyan (definito «lo scagnozzo di Mosca» e «oligarca russo con precedenti penali») «molto probabilmente» per uscire dall’Artsakh «hanno utilizzato il trasporto delle forze di mantenimento della pace russe».

Il quotidiano azero cita Tigran Petrosyan, il leader [definito “di opposizione”] del partito Domani Artsakh, non rappresentato nel parlamento dell’Artsakh, secondo cui Arayik Harutyunyan «è andato davvero a Mosca ed è già tornato», ma che Ruben Vardanyan «è ancora in Russia», aggiungendo che «forse è partito con le forze di mantenimento della pace russe o con il personale della Croce Rossa. Non conosco i dettagli, ma il fatto che Vardanyan non sia qui è assolutamente certo».

Il quotidiano azero prosegue: «Il fatto che, nonostante le difficoltà di lasciare Khankendi, Harutyunyan e Vardanyan siano andati nella capitale russa, come si suol dire, separatamente, dimostra seconda Petrosyan i loro disaccordi. “C’è, diciamo, uno scontro tra loro”, ha spiegato l’”oppositore”. “Arayik Harutyunyan ha recentemente incontrato attivamente rappresentanti di vari gruppi. E questi incontri hanno solo lo scopo di sbarazzarsi di Vardanyan”. Petrosyan ha anche osservato che negli ultimi giorni i membri della squadra di Harutyunyan hanno diffuso voci in città secondo cui Ruben Vardanyan o non tornerà affatto o tornerà con una dichiarazione di “dimissioni”. “Ho informazioni che Harutyunyan ha anche incontrato Nikol Pashinyan, che si oppone anche a Ruben Vardanyan”, ha detto Petrosyan».

Allo stesso tempo, Haqqin.az riferisce che il deputato del partito Madre Patria Libera-KMD Aram Harutyunyan [definito «della squadra di Arayik Harutnyunyan»], non conferma l’esistenza di contraddizioni tra Vardanyan e Harutyunyan, che «ha offerto personalmente a Vardanyan la carica di “Ministro di Stato”», aggiunge Haqqin.az e che «a questo proposito, va ricordato che l’Azerbajgian dichiara inequivocabilmente che non avrà affari con Ruben Vardanyan e chiede che l’autoproclamato “Ministro di Stato” lasci immediatamente il Karabakh», perché la presenza di Vardanyan «ha aumentato la tensione nella regione e ha influito negativamente sui contatti dei rappresentanti azeri con la comunità armena locale» e che «anche i rapporti di Vardanyan con le autorità armene sono tetri. Il miliardario critica apertamente Yerevan per la sua passività nella questione dello “sblocco” della strada [nel dizionario di Baku non esiste la parola “Corridoio”] di Lachin. Lo stesso Nikol Pashinyan crede che il vero obiettivo di Vardanyan sia trasferirsi a Yerevan dopo aver guadagnato popolarità in Karabakh e prendere il potere».

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Turchia-Armenia. La sofferenza dei popoli unisce le Nazioni (Jalel Lahbib) (Faro di Roma 11.02.22)

Il governo armeno ha dichiarato martedì che sta inviando squadre di ricerca e soccorso in Turchia e Siria a seguito di un devastante terremoto che ha ucciso almeno oltre 21.000 persone e lasciato migliaia di altre intrappolate tra le macerie degli edifici crollati. Ad annunciarlo è stato il Ministero degli Esteri. Il ministero dell’Interno armeno ha rilasciato più tardi in serata fotografie di membri del servizio di soccorso nazionale che si imbarcano su un aereo cargo insieme al loro equipaggiamento pesante alla presenza del ministro dell’Interno Vahe Ghazarian.

Il primo ministro Nikol Pashinian ha discusso dell’assistenza con i presidenti Recep Tayyip Erdogan della Turchia e Bashar al-Assad della Siria durante conversazioni telefoniche separate. Ha offerto le sue condoglianze ai due Capi di Stato.

Una dichiarazione del governo armeno afferma che Pashinian ha riferito a Erdogan dell’aiuto ricevendo i ringraziamenti per il sostegno inaspettato. Erdorgan ha affermato che questo gesto di solidarietà internazionale contribuirà a “migliorare il dialogo” tra i due Stati vicini che non hanno relazioni diplomatiche. Una dichiarazione separata sulla chiamata di Pashinian con al-Assad afferma che i due leader hanno convenuto che “l’Armenia invierà cibo, come priorità, così come altri tipi di aiuti alla Siria”. Bashar al-Assad ha ringraziato Pashinian per il sostegno e ha notato che il problema principale per loro al momento è legato al cibo.

Secondo quanto riferito, almeno quattro armeni siriani e tre cittadini turchi di origine armena sono morti nel terremoto di lunedì di magnitudo 7,8 della scala Richter. Nella vicina Siria, almeno 386 persone sono morte, di cui 239 per lo più nelle regioni di Aleppo, Hama, Latakia e Tartus, secondo un servizio della TV di stato siriana citato dalla CNN. La città di Aleppo ha una considerevole popolazione etnica armena.

Zarmig Boghigian, direttore del quotidiano in lingua armena “Kantsasar” con sede ad Alepp, ha detto che tra le vittime c’erano una giovane donna e suo figlio. Suo marito e sua figlia sono rimasti gravemente feriti e sono stati ricoverati in ospedale, ha detto Boghigian al servizio armeno di RFE/RL dalla città nel nord della Siria.

Per la prima volta in 35 anni è stata aperta una porta di confine tra la Turchia e l’Armenia per consentire gli aiuti alle vittime dei devastanti terremoti nel sud della Turchia. L’inviato speciale della Turchia per l’Armenia, Serdar Kilic, ha twittato foto di camion che attraversano il checkpoint di Alican sulla sponda turca del fiume Aras che separa i due paesi. “Ricorderò sempre il generoso aiuto inviato dal popolo armeno per aiutare ad alleviare le sofferenze del nostro popolo nella regione colpita dal terremoto in Turchia”, ha detto Kilic, ringraziando i funzionari armeni.

Ankara non ha rapporti diplomatici o commerciali con l’Armenia dagli anni ’90. Sono in disaccordo principalmente su 1,5 milioni di armeni che furono uccisi nel 1915 dall’Impero Ottomano, il predecessore della moderna Turchia. L’Armenia afferma che ciò costituisce un genocidio.

La Turchia ha recentemente ammesso che molti armeni che vivevano nell’impero ottomano furono uccisi in scontri con le forze ottomane durante la prima guerra mondiale, ma contesta le cifre e nega che si trattasse di genocidio.

Oltre al negato genocidio le relazioni tra Armenia e Turchia sono precipitate dopo la guerra del 2020 con l’Azerbaigian, in cui il sostegno turco ha giocato un ruolo chiave nella vittoria dell’Azerbaigian. I due Paesi avevano avviato 2020 un timido processo di riavvicinamento che si è bloccato a seguito di una riacutizzazione delle tensioni nel Caucaso lo scorso autunno, a partire da un’offensiva di settembre dell’Azerbaigian nel territorio armeno e continuando oggi attraverso il blocco azero del protettorato armeno del Nagorno-Karabakh. In entrambi i due avvenimenti nuovamente il sostegno turco al Aserbaigian è stato fondamentale.

All’inizio di gennaio l’Armenia ha annunciato che i rapporti con la Turchia avevano fatto un passo avanti, anche se per lo più simbolico, con il ripristino dei voli cargo tra i due paesi. Yerevan ha anche affermato che una riapertura pilota del confine terrestre dei paesi, che è stato chiuso dal 1993, avrebbe avuto luogo “molto presto”. Questa apertura è avvenuta ieri a seguito della decisione del governo armeno di portare soccorso alla popolazione turca. Garo Paylan, un membro di etnia armena del parlamento turco, è stato colui che ha riferito dell’arrivo della squadra di soccorso dell’Armenia in Turchia. “La solidarietà salva vite!” ha scritto in un tweet.

Jalel Lahbib

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