Rimini, il Comitato Nazarat in difesa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente (Chiamamicitta 16.01.23)

Venerdì 20 gennaio alle ore 21 torna in piazza Tre Martiri l’Appello all’Umano in difesa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente e in tante altre parti del mondo promosso dal Comitato Nazarat di Rimini.

“Questa volta ci soffermiamo su una delle tante situazioni di guerra dimenticate, o anche “oscurate” dal conflitto in atto ormai da quasi un anno tra Russia e Ucraina. Si tratta della repubblica dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) una Repubblica del Caucaso meridionale auto dichiaratasi indipendente il 6 gennaio 1992. 

Come riportato dal giornalista riminese Leone Grotti sul mensile Tempi, da quasi due mesi l’Azerbaigian, ha chiuso il corridoio di Lachin che ha bloccato il transito sull’unica strada che porta in Armenia. Sicché 120mila armeni dell’Artsakh stanno patendo una situazione di gravissima crisi umanitaria. Non arriva loro né cibo, né benzina, né medicine, oltre a tutto quello che serve alle imprese per lavorare. C’è una gravissima crisi sanitaria e mancanza di cure per bambini e anziani; i macchinari sanitari sono fuori uso per mancanza di pezzi di ricambio; gli scaffali dei supermercati sono vuoti. Ma ancor più preoccupante della crisi economica è quella che riguarda le famiglie:  attualmente bloccati in Armenia ci sono un migliaio di genitori che non possono raggiungere i figli piccoli, che perciò devono essere accuditi dai vicini o dai servizi sociali. Ovviamente questi piccoli vivono un tremendo disagio psicologico.

Complessivamente ci sono 120mila armeni che si vedono calpestare i fondamentali diritti umani. Appelli recenti all’Azerbaigian di riaprire quel corridoio sono stati fatti fra l’altro dal Segretario generale delle Nazioni Unite, dal Papa, dal Parlamento europeo, finora senza esito. Anzi l’unico intervento è stato peggiorativo della situazione: l’Azerbaigian ha tagliato la connessione a internet in tutto il Nagorno Karabakh. 

Con tutto ciò abbiamo voluto dedicare l’appello a questa situazione. Dopo la recita del rosario in piazza ci sarà la testimonianza di un armeno dell’Artsakh: si tratta di Hamlet Harutyuyan, un giovane universitario che studia a Ferrara.”, conclude il Comitato Nazarat.

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Antonia Arslan torna a Thiene con il suo ultimo romanzo Il destino di Aghavnì (Altovicentinoonline 16.01.23)

Già ospite nell’ottobre scorso a Thiene in un evento molto partecipato, Antonia Arslan torna nella nostra città giovedì 19 gennaio 2023 ore 18.00 per presentare nella Sala Consiliare del Municipio il suo nuovo romanzo Il destino di Aghavnì.

Commenta l’assessora alla Cultura e alla Biblioteca, Ludovica Sartore. «Si è felicemente instaurato un legame tra la scrittrice, che viene a Thiene per la seconda volta in pochi mesi e dove comunque era già stata negli anni scorsi, e la nostra Città e che rimanda all’attenzione che Thiene ha sempre avuto nei confronti del popolo Armeno. Ricordo, per esempio, recentemente lo spettacolo “Novella Veneziana” di Costan Zarian, una delle voci più significative della cultura armena, in scena al Comunale nello scorso settembre su proposta dell’associazione di volontariato “Il Melograno for disabled armenian children”. Il destino di Aghavnì è un libro davvero molto bello che, nella tragicità del racconto, nel finale si apre alla speranza. Invito la cittadinanza ad intervenire e a non mancare a questo appuntamento in cui la Cultura e l’impegno civile hanno il volto di una donna che conquista anche per la dolcezza e la serenità che sa infondere, nonostante le vicende di cui scrive».

Il romanzo è ambientato nella primavera del 1915, quando in una piccola città dell’Anatolia una ragazza di 23 anni, Aghavnì, esce di casa con il marito e i due figli piccoli senza farvi ritorno.

L’autrice è stata ispirata nel raccontare Il destino di Aghavnì da una vecchia fotografia di famiglia, ritrovata a casa di un cugino in America. Ha scoperto così la vicenda perduta di questa ragazza scomparsa e da qui è venuta l’ispirazione pe scrivere un racconto avventuroso di dolore e coraggio, di morte e di rinascita.

Racconta l’Arslan: «Questa storia non è ‘vera’, ma è molto verosimile. Circa 4 anni fa ho conosciuto un mio cugino che vive a Manchester, New Hampshire. Mi ha mostrato carte e foto di famiglia, fra cui una foto – del 1912 – di 3 sorelle di mio nonno, sorridenti e con vestiti uguali. Due le conoscevo, della terza mi disse: ‘Questa è Aghavnì’, la sorella scomparsa’. Non sapevo che fosse esistita! Quella foto ha lavorato dentro di me per tutto questo tempo, finché lo scorso agosto il personaggio e la sua storia – simile a tante altre storie femminili di quei terribili anni – ha preso forza e consistenza. Il coraggio e lo spirito indomito delle donne armene sono uno dei cardini su cui ruota questo romanzo breve».

Il libro è stato pubblicato dalle edizioni Ares nel novembre del 2022.  L’autrice dopo la presentazione sarà a disposizione per firmare eventuali copie

L’ingresso nella sala del Consiglio Comunale è gratuito e aperto alla cittadinanza.

 

Antonia Arslan è nata a Padova, da padre armeno e madre italiana. Ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova. È stata autrice di saggi e romanzi sul genocidio degli armeni in Anatolia nel 1915, tra cui il famosissimo La masseria delle allodole, che ha vinto il Premio Stresa di narrativa, il Premio dei Lettori di Lucca, è stato finalista del Premio Campiello e che tre anni dopo è stato portato sul grande schermo dai fratelli Taviani. Altre sue opere sono La strada di Smirne (2009), Il libro di Mush (2012-2022) e La bellezza sia con te (2020).

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Bloccato nel limbo: perché l’Artsakh/Nagorno-Karabakh ha più che mai bisogno di uno status legale (Korazym 15.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.01.2023 – Karolina Pawłowska] – Mi è stato detto innumerevoli volte negli ultimi due anni di non impegnarmi, come antropologo, in un discorso politicamente attivo. Allo stesso tempo, stiamo entrando nel secondo mese da quando i cosiddetti eco-attivisti azeri hanno bloccato il Corridoio di Lachin, l’unica strada che porta al Nagorno-Karabakh dall’Armenia.

Sono più di 30 giorni che nessuna fornitura di cibo o medicine può entrare in Artsakh. I negozi di alimentari sono vuoti. I bambini nascono in ospedali con risorse insufficienti. Oltre mille cittadini del Nagorno-Karabakh si sono ritrovati bloccati e separati dalle loro famiglie durante i festeggiamenti per il nuovo anno. Per loro, questo non è solo un altro inconveniente, ma la conseguenza di vivere in un costante stato di conflitto da più di due anni. Anche se a Yerevan siamo andati avanti con le nostre vite dopo la guerra dei 44 giorni, i 120.000 abitanti dell’Artsakh vivono ancora in un perpetuo stato di insicurezza: stanno affrontando quello che Vicken Cheterian ha definito “il secondo assedio” [QUI].

La giornalista americana Lindsey Snell ha già dimostrato che il blocco ha poco a che fare con il movimento ambientalista e, come afferma Sossie Tatikyan in un articolo su EVN Report [QUI], “è composto principalmente da membri dei servizi speciali azeri, ufficiali militari, beneficiari della fondazione di Aliyev e altri sostenitori delle autorità statali”. Tuttavia, la verità rimane irrilevante. Anche se i membri dell’Iniziativa Umanitaria Aurora hanno chiesto almeno un’assistenza modesta sotto forma di un ponte aereo umanitario, una tale iniziativa sembra impossibile da intraprendere. La dottrina della responsabilità di proteggere sembra non applicarsi ai residenti del Nagorno-Karabakh.

In effetti, non c’è mai stata alcuna agenzia umanitaria con sede a Stepanakert a parte il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Quando il conflitto si congelò nel 1994, questo territorio rimase su una base giuridica tecnica all’interno dei confini ufficiali dell’Azerbajgian, nonostante la sua indipendenza de facto. Pertanto, è diventato impossibile accogliere organismi internazionali senza il permesso dell’Azerbajgian. Negli ultimi 30 anni, né le Nazioni Unite né Amnesty International hanno operato a Stepanakert e persino i funzionari designati a questioni relative alla risoluzione dei conflitti non sono stati autorizzati a mettere piede in Nagorno-Karabakh, poiché ciò sarebbe stato tecnicamente inteso come attraversamento illegale del confine azero. Il 99% dei cosiddetti esperti che tendono a parlare apertamente della questione non ha mai visitato l’Artsakh. L’accesso è attualmente sabotato dalle forze di mantenimento della pace russe che, essendo inutili in qualsiasi altro modo, svolgono un lavoro sorprendentemente diligente limitando l’ingresso ai professionisti stranieri.

In quanto Stato non riconosciuto, il Nagorno-Karabakh non può essere membro di alcuna agenzia internazionale, né parte in trattative sul proprio status. Non ha mai fatto parte del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa [OSCE], e invece è stata costretta a fare affidamento esclusivamente sull’Armenia per rappresentare i suoi migliori interessi. Nel frattempo, come ha recentemente riferito Peter Oborne su BylineTimes.com [QUI], Regno Unito e Russia hanno sabotato con successo gli sforzi per firmare una risoluzione delle Nazioni Unite che chiedeva l’immediata revoca del blocco. Come sempre, le grandi istituzioni tacciono o producono dichiarazioni accondiscendenti e dannose come il recente tweet dell’Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite [QUI], che invita entrambe le parti a risolvere la questione. Il mancato riconoscimento blocca di conseguenza il Nagorno-Karabakh, in uno stato di squilibrio di potere sia politico che simbolico, nell’incapacità di esigere un trattamento equo e paritario. Ci sono voluti 30 giorni perché Amnesty International difendesse i valori che sostiene di rappresentare.

Quando poco dopo la guerra dei 44 giorni i residenti dei territori che passavano sotto il controllo dell’Azerbajgian avevano solo pochi giorni per lasciarsi alle spalle tutta la vita, molti la considerarono una valida soluzione politica. Tuttavia, vedo questo come un completo fallimento di tutte le agenzie internazionali nel mantenere qualsiasi standard umanitario all’indomani del conflitto. Non c’è stato alcun tentativo di sostenere o proporre misure che proteggano queste persone da danni economici e psicologici. Il primato della prospettiva politica mette a tacere l’aspetto umanitario del problema: ogni ulteriore spostamento di confine all’interno del Nagorno-Karabakh crea un’opportunità per la grave violazione dei diritti umani e forse un tentativo di pulizia etnica. Dubito fortemente che chi propone questa variante abbracci pienamente il peso morale ed etico di tale soluzione. Come afferma l’antropologa Eviya Hovannisian, i soldati dell’Artsakh che hanno combattuto durante la guerra sarebbero stati i primi a essere perseguitati, accusati di tradimento e severamente puniti. Ciò comprenderebbe una grande percentuale della sua popolazione maschile. Non si discute delle misure di rafforzamento della fiducia necessarie da adottare e l’odio sistemico nei confronti degli Armeni in Azerbaigian è di conseguenza omesso nel dibattito pubblico sul conflitto.

Assistiamo al fatto che il Nagorno-Karabakh viene definito “territorio conteso”, “territorio azero occupato” o “quasi stato”. Queste etichette, sebbene tecnicamente accurate, contribuiscono continuamente a inquadrare in modo impreciso la questione come di natura esclusivamente politica, che a sua volta perpetua una miriade di gravi conseguenze. Se il problema è politico, allora qualsiasi riferimento pubblico diventa politicizzato e può essere ignorato in quanto influenzato da un’agenda, che scoraggia con successo molte forme di difesa. Come vediamo, non solo gli attivisti, ma anche le agenzie internazionali e la stampa sono riluttanti ad affrontare la questione.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana dall’inglese è stato pubblicato il 14 gennaio 2023 su The Armenian Mirror-Spectator [QUI].

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Trentacinquesimo giorno del #ArtsakhBlockade. 120mila Armeni condannati a una lenta morte dagli Azeri spalleggiati dai Turchi, complice il tradimento russo e europeo (Korazym 15.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 15.01.2023 – Vik van Brantegem] – L’assedio criminale azero dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh equivale a condannare il popolo armeno dell’Artsakh a una lenta morte, mentre l’Italia stringe accordi militari con Baku per il gas azero (ovvero, russo riciclato). Tutto il traffico (di persone e merce) da e per la parte ancora libera della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh rimane interrotto dal 12 dicembre 2022. Passano solo veicoli del contingente di pace russi e del CICR. La #StradaDellaVita, lungo il segmento di Shushi dell’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, è chiuso da sedicenti “eco-attivisti” organizzati e pagati dal regime autoritario dell’Azerbajgian, sostenuti dalla polizia azera e sotto l’occhio vigile delle forze armate azere.

Alcuni prodotti alimentari saranno disponibili in Artsakh solo tramite tagliandi di razionamento.

Inoltre, l’Azerbajgian da sei giorni non consente l’esecuzione di lavori di riparazione dell’unica linea ad alta tensione che alimentava l’Artsakh dall’Armenia. Poi, il 12 gennaio vicino al blocco l’Azerbajgian ha tagliato il cavo in fibra ottica che fornisce internet all’Artsakh dall’Armenia. In seguito, Internet in Artsakh è stato ripristinato, ma il territorio rimane isolato da ogni transito e commercio civile.

L’Azerbaigian è una dittatura che nella classifica della libertà di Freedom House sta più in basso dell’Afghanistan. La Russia possiede quote significative nei suoi giacimenti petroliferi e ricicla il gas russo per la rivendita in Europa. È colpevole di crimini di guerra, attualmente impegnato nella pulizia etnica con il #ArtsakhBlockade, con la sicurezza dell’impunità.

L’Azerbajgian sta attivamente distruggendo l’infrastruttura civile dell’Artsakh, affermando nel contempo che il blocco non esiste. Baku ammette indirettamente che esiste il blocco-che-non-c’è, nel sottolineare che i mezzi del contingente per il mantenimento della pace russe e del Comitato Internazionale della Croce Rosso vengono lasciati passare, con l’aggiunto che gli Armeni dell’Artsakh che non vogliono essere cittadini dell’Azerbajgian possono andare via.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha trasportato altri 5 pazienti dall’Artsakh all’Armenia. In totale, da quando l’Azerbajgian ha bloccato il Corridoio di Lachin, la Croce Rossa ha trasportato 31 pazienti dall’Artsakh in Armenia. Un camion del CICR ha portato dall’Armenia all’Artsakh medicine e altre forniture per le strutture sanitarie. Come informa il giornalista Davad Galstyan, il CICR ha detto che il carico in non appartiene a loro, hanno solo assicurato il trasporto e facilitato il suo passaggio sicuro. Se non ci fosse il blocco di cui l’Azerbajgian nega l’esistenza, l’intervento del CICR non sarebbe necessario.

Il 9 gennaio a Stepanakert, le madri si sono riunite pacificamente davanti all’ufficio del Comitato Internazionale della Croce Rossa per il Nagorno-Karabakh, chiedendo di utilizzare tutte le sue connessioni per prevenire la catastrofe umanitaria che minaccia l’Artsakh. Alcune voci si sono levati in Artsakh per puntare il dito contro il CICR, che accusano di non mettere in atto tutte le potenti leve a sua disposizione per mitigare almeno le conseguenze umanitarie e sanitarie del blocco a cui l’Artsakh è sottoposto da più di un mese.

Interpellato in merito, Zara Amatuni, Responsabile della comunicazione e prevenzione della Delegazione del CICR in Armenia ha spiegato: «Ad oggi, abbiamo dato seguito a tutte le richieste che ci sono state presentate dalle autorità [quelle provenienti naturalmente da Stepanakert, che valuta la necessità di ogni operazione]. Per ognuna operazione, per ogni attraversamento del Corridoio, dobbiamo comunque garantire l’accordo e la collaborazione delle tre parti: azera, tramite la nostra delegazione di Baku; armena, tramite l’ufficio di Yerevan; e con tutti i servizi interessati in Karabakh, tramite la nostra struttura in loco. È un’opera di coordinamento e di accordo delle parti, di facilitazione e sostegno del loro processo decisionale».

Anche se il comando delle forze di mantenimento della pace russe non è realmente coinvolto sottolinea Amatuni, tuttavia, essende garante della sicurezza di tutto il traffico attraverso il Corridoio, è ovviamente avvertito di ogni movimento. Anche con il commando il contatto è permanente. Infine, dalla parte di Yerevan, in caso di evacuazione di un paziente, bisogna garantire che il paziente possa essere accolto e curato nelle migliori condizioni possibili dai servizi competenti, a Goris o a Yerevan.

«Alla fine, e questo accade spesso, possiamo essere accusati di non fare abbastanza come organizzazione umanitaria – aggiunge Amatuni -. Ma la situazione è estremamente delicata e complessa, non è solo un problema umanitario. Copre molti aspetti e può essere interpretato da punti di vista molto diversi, considerazioni politiche che ci si vieta di commentare e che non consentono in alcun modo di attribuire responsabilità all’una o all’altra delle parti. Non si può biasimare le autorità del Karabakh per aver deciso chi, precisamente, debba essere evacuato quando sono tutti i suoi abitanti ad aver bisogno di aiuto. E quando le autorità azere dicono “ok, lasciamo andare tutti quelli che vogliono”, allora di chi è la colpa? Chi non fa il proprio lavoro? Ma ancora una volta, questo è un processo globale e ci asteniamo dal commentare le questioni che circondano le nostre discussioni con le parti».

Il governo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh riferisce che a 1.102 bambini programmati per ricevere cure mediche in Armenia è stato impedito di farlo a causa del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin). 847 soffrono di cardiopatie congenite, 93 di asma bronchiale, 66 di malattie periodiche, 80 di epilessia e 16 di diabete. A dieci medici dell’Artsakh è stato impedito di tornare dall’Armenia, causando una carenza di medici nel Paese. Inoltre, se non fosse stato per il blocco, sarebbero arrivate ad Artsakh poco meno di 15.000 tonnellate di beni vitali. Solo una piccola quantità di questa è stata portata dall’Armenia tramite le forze di mantenimento della pace russe e il Comitato Internazionale della Croce Rossa di stanza in Artsakh.

L’Artsakh sta morendo a fuoco lento, senza che la comunità internazionale reagisca. L’Artsakh, popolata da due millenni da Armeni, ha dichiarato la propria indipendenza più di 30 anni fa, ma dopo un referendum e due terribili guerre, la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh non è ancora riconosciuta a livello internazionale e il suo territorio è in gran parte occupato dall’esercito dell’Azerbajgian. I suoi abitanti aspirano solo a poter vivere in pace nella loro Patria ancestrale.

Il Relatore permanente del Parlamento Europeo sull’Azerbajgian, Željana Zovko, ha rilasciato la seguente dichiarazione (nostra traduzione italiana dall’inglese):
«Sono seriamente preoccupato per il blocco del Corridoio di Lachin in Azerbajgian che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia, che è in atto già da circa quattro settimane e impedisce le consegne di cibo e altri beni essenziali, nonché la fornitura di servizi indispensabili, alla regione.
Il blocco dovrebbe essere revocato senza indugio per evitare qualsiasi implicazione umanitaria e un impatto negativo irreparabile sul processo di pace.
Chiedo pertanto al governo dell’Azerbajgian di mettere in atto tutte le misure nell’ambito delle sue competenze e in conformità agli obblighi assunti ai sensi della dichiarazione tripartita di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, necessarie per ripristinare la libera circolazione attraverso il Corridoio e per garantire che gli aiuti umanitari possono essere consegnati alla popolazione locale data la scarsità di cibo, medicinali e altri generi di prima necessità.
Infine, invito l’Armenia e l’Azerbajgian ad affrontare tutte le preoccupazioni relative al funzionamento del Corridoio di Lachin attraverso il dialogo e le consultazioni con tutte le parti coinvolte e le istituzioni dell’Unione Europea a intensificare immediatamente il loro coinvolgimento negli sforzi di mediazione e diplomazia preventiva per contribuire a risolvere crisi in corso e prevenire ulteriori escalation».

Perché questo funzioni, l’Europarlamento dovrebbe assicurarsi che l’affare del gas di Ursula von der Leyen venga sospeso e indagato, Il gas russo è venduto da Baku, riciclato come gas azero. Ciò costringerà il dittatore Aliyev a porre fine al #ArtsakhBlockade.

Il 12 gennaio 2023, nel trentaduesimo giorno – un mese esatto dopo l’inizio – del #ArtsakhBlockade, abbiamo dedicato il titolo [Oggi a Baku Italia firma un protocollo per ampliare la cooperazione militare con Azerbajgian] e la foto di copertina della nostra cronaca quotidiano della situazione esplosiva nel Causaso meridionale, alla scandalosa visita del Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, a Baku, quello stesso giorno.

La seconda azione – dopo quella dell’8 gennaio scorso [QUI] del partito Polo National-Democratico a Gyumri per “bloccare” la 102ª base militare della Federazione Russa in Armenia, chiedendo lo sblocco del Corridoio di Berdzor (Lachin).

Ieri, il 14 gennaio 2023 siamo ritornati sulla questione [Realpolitik dell’Italia? Avevamo un’altra idea delle radici cristiane come valore fondativo di questo governo], con gli articoli di Il Riformista e di Libero Quotidiano. Oggi, anche Il Sussidiario ha riferito della visita del Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto a Baku.

Quegli accordi dell’Italia con chi fa pulizia etnica degli armeni
Perché l’Italia firma accordi di assistenza militare con chi sta affamando la popolazione cristiana dell’Artsakh per cacciarla dalle sue terre?
di Nando Sanvito
Il Sussidiario, 15 gennaio 2023

I casi sono due: o i nostri media sono così ignoranti da non saper valutare il peso delle notizie, oppure sono complici e la censura è stata voluta. Non ci sono altre spiegazioni a giustificare il silenzio che ha accompagnato la visita dell’Italia in Azerbaijan, dove – leggiamo nel comunicato ufficiale del ministero – il ministro ha incontrato tra gli altri l’omologo azero gen. Zakir Hasanov, con il quale ha firmato “un protocollo d’intenti sulla cooperazione nel campo della formazione e dell’istruzione delle Forze Armate”. Con il presidente azero Aliyev inoltre si è parlato delle “prospettive di espansione della cooperazione nei settori dell’energia, delle costruzioni, del turismo, dell’agricoltura, dell’industria della difesa e altro”.

Ora, è vero – come ricorda Il Riformista – che “i rapporti privilegiati tra Italia e Azerbaijan vanno avanti da tempo. La famiglia del presidente Aliyev ha anche una sua Fondazione filantropica che ha staccato sostanziosi assegni per restauri sia a Roma che in Vaticano”, ma è mai possibile che a nessuno del governo italiano sia venuto in mente di rinviare questa visita o quanto meno usarla per fare pressioni sul governo azero al fine di far cessare l’operazione di pulizia etnica in corso nel Nagorno-Karabakh da oltre un mese, con l’impossibilità di 120mila persone di ricevere aiuti alimentari, ricongiungersi coi familiari, ripristinare l’erogazione di energia elettrica, riaprire le scuole?

Abbiamo capito che i governi europei fanno affari con chiunque a prescindere dal rispetto dei diritti umani e dal grado di democrazia che possa vantare l’interlocutore, ma un minimo di pudore e un minimo di decenza andrebbero salvaguardate.

Speriamo che il nostro governo possa rimediare a questa figuraccia. Di certo non lo aiuta il comportamento dei media. Per entrambi ci vorrebbe un cambio di passo, per riacquistare credibilità, ma a occhio c’è poco da essere ottimisti.

Perché tutti tacciono sull’epurazione etnica degli armeni nel Nagorno-Karabakh
Da un mese 120mila armeni ridotti alla fame per l’isolamento provocato dagli azeri spalleggiati dai turchi, complice il tradimento russo e della Ue
di Nando Sanvito
Il Sussidiario, 11 gennaio 2023

L’obiettivo dell’Azerbaijan è ripulire della presenza armena gli ultimi 3-4mila kmq che ancora resistono alla sua sovranità. Per questo hanno chiuso il gasdotto e da un mese impediscono militarmente qualsiasi rifornimento alimentare ai 120.000 abitanti della Repubblica di Artsakh.

In teoria il corridoio di Lachın – e dunque il rifornimento – dovrebbe essere protetto e garantito dalla 15esima Brigata di fanteria motorizzata dell’Esercito russo, in base agli accordi di pace del 2020, ma i soldati di Putin sembrerebbero impotenti di fronte a un’azione di forza dei militari di Baku, travestiti da sedicenti e improbabili attivisti per l’ambiente, che bloccano l’unica strada che collega l’Armenia all’Artsakh.

I negozi sono vuoti da tempo a Stepanakert e siamo in presenza di una tragedia umanitaria per una popolazione che non si può alimentare e riscaldare e nemmeno   trasferire i malati più gravi nell’ospedale della capitale armena.

Eppure un fragoroso silenzio della comunità internazionale accompagna questo disastro. Persino i media ignorano la vicenda. L’unica voce levatasi è stata quella del Papa nell’Angelus del 18 dicembre e a Natale, a cui si è aggiunto un manipolo di intellettuali francesi su Le Figaro.

La ragione di questa silente complicità appare essere tutta geopolitica. L’Azerbaijan è forte dell’alleanza con Turchia e Israele, a cui vende petrolio a copertura di un terzo del suo fabbisogno energetico e a cui fornisce logistica di spionaggio sull’Iran. L’Unione Europea, che pure a ottobre aveva deciso di mandare inviati alla frontiera armena per favorire un piano definitivo di pace, preferisce non disturbare il governo di Aliyev con cui ha appena stretto accordi per una fornitura di 12 miliardi di metri cubi di gas a sostituzione di quello russo. Peccato che nel frattempo gli azeri abbiano stretto la mano a Gazprom per importare 1 miliardo di metri cubi di gas russo per poter onorare il contratto con l’Unione Europea, con tante grazie di Putin che aggira così l’embargo occidentale.

Tra tutti questi interessi chi resta stritolata è proprio la popolazione armena dell’Artsakh, vittima sacrificale di un possibile accordo finale che cancellerebbe l’indipendenza di quella Repubblica e – in cambio della sopravvivenza di un minimo di autonomia e del ripristino del varco di Lachın – costringerebbe il governo armeno ad aprire un analogo corridoio nel sud presso Meghri per consentire alla exclave dell’Azerbaijan – il Nakhchıvan – di commerciare  via terra con la madre patria senza dover più passare per l’Iran.  Ma nulla garantisce che, un secolo dopo il genocidio armeno, l’obbiettivo finale non sia l’Artsakh ma la stessa Armenia!

Qual è l’obiettivo del blocco dell’Artsakh?
di Benyamin Poghosyan
The Armenian Mirror-Spectator, 14 gennaio 2023

Mentre il blocco dell’Artsakh imposto dall’Azerbajgian ha superato il traguardo di un mese senza una conclusione in vista, molti cercano di capire come finirà questa situazione. Per poter rispondere a questa domanda, è necessario analizzare le posizioni dei principali attori che possono influenzare la situazione.

Dal punto di vista dell’Azerbajgian, questa situazione potrebbe continuare per un periodo piuttosto lungo. Dispiegando autodefiniti “eco-attivisti” nel Corridoio di Lachin, l’Azerbajgian ha cercato di creare una plausibile negabilità, sostenendo che lo stato non ha nulla a che fare qui e che il blocco è l’iniziativa della “vivace società civile” dell’Azerbajgian. Tuttavia, molto presto questa bolla è scoppiata e l’Azerbajgian ha cambiato tattica. Ora Baku nega il semplice fatto del blocco, sostenendo che la strada è aperta o chiusa dalle forze di mantenimento della pace russe. Il Presidente Aliyev ha ribadito questa posizione durante la sua conferenza stampa del 10 gennaio, sostenendo che non c’è alcun blocco, o almeno che la strada è aperta per coloro che vogliono lasciare l’Artsakh.

Quindi, dal punto di vista dell’Azerbajgian, è impossibile porre fine al “blocco inesistente” – non c’è alcuna emergenza, e quindi gli “eco-attivisti” possono continuare le loro proteste finché vogliono. Naturalmente, l’Azerbajgian comprende che ogni giorno di blocco aggiunge ulteriore sofferenza agli Armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh, ma ciò contribuirà solo alla realizzazione della posizione ufficiale di Baku: quegli Armeni che non vogliono diventare cittadini azeri dovrebbero lasciare il Nagorno-Karabakh. L’Azerbajgian spera che le crescenti sofferenze degli Armeni li costringano a prendere una decisione definitiva: non hanno futuro nell’Artsakh e l’unica opzione per evitare la fame è lasciare la regione. L’Azerbajgian potrebbe porre fine al blocco “inesistente” come parte di un pacchetto di accordi, che includerà la firma di un accordo di pace con l’Armenia alle condizioni azere.

Il governo armeno critica l’Azerbajgian per il blocco, ma afferma che non negozierà con l’Azerbajgian per porre fine al blocco. Durante la sua conferenza stampa del 10 gennaio, il Primo Ministro armeno ha affermato che l’articolo 6 della dichiarazione del 10 novembre 2020, che riguarda il Corridoio di Lachin, non menziona l’Armenia. Pertanto, Yerevan non ha alcuna base legale su cui negoziare per quanto riguarda la fine del blocco. Il governo dell’Armenia si rivolge alla comunità internazionale, alle organizzazioni internazionali e ai singoli Paesi, cercando di sensibilizzarli sulla crisi umanitaria in Artsakh e convincerli a fare pressione sull’Azerbajgian. L’Armenia ha anche presentato ricorso ai tribunali internazionali, inclusa la Corte Internazionale di Giustizia, sulla questione del blocco, chiedendo loro di adottare misure provvisorie per costringere l’Azerbajgian a porre fine al blocco. Allo stesso tempo, diversi rappresentanti del governo armeno, compreso il Primo Ministro, stanno criticando la Russia e le forze di mantenimento della pace russe per non aver onorato i loro obblighi di garantire il libero passaggio attraverso il Corridoio di Lachin. Queste azioni hanno diffuso più sentimenti anti-russi nella società armena, innescando una dura reazione da parte dei funzionari russi.

Allo stesso tempo, il Primo Ministro armeno sostiene che le autorità del Nagorno-Karabakh dovrebbero occuparsi dei problemi del Nagorno-Karabakh e devono avviare un dialogo diretto con l’Azerbajgian. Al contrario, il governo armeno dovrebbe affrontare le questioni dell’Armenia. L’invito al governo dell’Artsakh ad avviare negoziati con l’Azerbajgian suona piuttosto strano, dato che l’Azerbajgian rifiuta l’esistenza dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh e non negozierà mai con le autorità del Nagorno-Karabakh. Durante la sua conferenza stampa del 10 gennaio, il Primo Ministro armeno ha affermato ancora una volta che tutti i Paesi del mondo riconoscono il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian, suggerendo agli Armeni del Karabakh che dovrebbero accettare questa realtà e cercare di negoziare con le autorità azere per trovare un modo per vivere sotto la giurisdizione dell’Azerbajgian.

Il blocco del Corridoio di Lachin riguarda la Russia. Il Cremlino non è interessato a una nuova escalation nella regione, non è contento della crescente fiducia dell’Azerbajgian per sfidare la Russia e screditare la missione di mantenimento della pace russa, e probabilmente non vuole vedere un ulteriore aumento del sentimento anti-russo in Armenia. Nel frattempo, la Russia comprende che qualsiasi uso della forza contro gli “eco-attivisti” non solo fornirà all’Azerbajgian un argomento per chiedere il ritiro delle forze di mantenimento della pace russe, ma scatenerà anche tensioni nelle relazioni Russia-Turchia. Data la crescente cooperazione economica tra Mosca e Ankara, ulteriori problemi con la Turchia sono l’ultima cosa di cui il Cremlino ha bisogno ora. Pertanto, nella situazione attuale, la Russia non può intraprendere azioni decisive per porre fine al blocco e probabilmente continuerà le attività politico-diplomatiche con scarse possibilità di successo.

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea continueranno a chiedere all’Azerbajgian e alla Russia di aprire il Corridoio di Lachin. Tuttavia, nessun Paese occidentale imporrà sanzioni all’Azerbajgian per fermare le sofferenze di 120.000 Armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh. I politici occidentali sanno molto bene che chiamate, dichiarazioni e pubblicazioni su Twitter non costringeranno l’Azerbajgian a porre fine al blocco. Nel frattempo, l’Occidente è solo felice di vedere come il blocco offuschi l’immagine russa in Armenia e inneschi più sentimenti anti-russi. Se le forze di mantenimento della pace russe lasciano il Nagorno-Karabakh perché non possono garantire la pace, sarà un altro duro colpo per l’influenza russa nello spazio post-sovietico.

Pertanto, gli attuali approcci dei principali attori coinvolti nella risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh non creano le condizioni necessarie per costringere l’Azerbajgian a porre fine al blocco. La situazione attuale potrebbe continuare, aumentando le sofferenze degli Armeni del Nagorno Karabakh. L’unico fattore che può minare l’obiettivo strategico dell’Azerbajgian di espellere il maggior numero possibile di Armeni dal Karabakh è la determinazione forte degli Armeni locali a rimanere nella loro patria.

«Le Figaro non dimentica l’Artsakh e gli Armeni. Il 14 gennaio 2023 titolo in prima pagina, editoriale di Philippe Gélie e tre pagine su “La solitudine dell’Armenia di fronte all’Azerbajgian”. Con reportage di Loris Boichot con la delegazione parlamentare francese e Cedric Gras a Goris e Djermouk» (Jean-Christophe Buisson, Vicedirettore di Le Figaro).

Pro memoria

L’eredità dello stalinismo nelle nazioni post-sovietiche e la pulizia etnica e culturale dell’Azerbajgian in Artsakh/Nagorno-Karabakh – 5 settembre 2022

L’Ambasciatore di Armenia illustra la politica azera di falsificazione dei fatti storici e di appropriazione del patrimonio del popolo armeno – 14 febbraio 2022

Il Ministro degli Esteri Babayan: «L’Artsakh resiste, non farà mai parte dell’Azerbajgian». «L’aggressione azera-turca-terrorista è diretta contro l’intero mondo civile» – 13 febbraio 2022

Azerbaigian: la mitologia storiografica come un’arma di epurazione etnica e culturale – 11 febbraio 2022

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Quegli accordi dell’Italia con chi fa pulizia etnica degli armeni (Il Sussidiario 15.01.23)

I casi sono due: o i nostri media sono così ignoranti da non saper valutare il peso delle notizie, oppure sono complici e la censura è stata voluta. Non ci sono altre spiegazioni a giustificare il silenzio che ha accompagnato la visita dell’Italia in Azerbaijan, dove – leggiamo nel comunicato ufficiale del ministero – il ministro ha incontrato tra gli altri l’omologo azero gen. Zakir Hasanov, con il quale ha firmato “un protocollo d’intenti sulla cooperazione nel campo della formazione e dell’istruzione delle Forze Armate”. Con il presidente azero Aliyev inoltre si è parlato delle “prospettive di espansione della cooperazione nei settori dell’energia, delle costruzioni, del turismo, dell’agricoltura, dell’industria della difesa e altro”.

Ora, è vero – come ricorda Il Riformista – che “i rapporti privilegiati tra Italia e Azerbaijan vanno avanti da tempo. La famiglia del presidente Aliyev ha anche una sua Fondazione filantropica che ha staccato sostanziosi assegni per restauri sia a Roma che in Vaticano”, ma è mai possibile che a nessuno del governo italiano sia venuto in mente di rinviare questa visita o quanto meno usarla per fare pressioni sul governo azero al fine di far cessare l’operazione di pulizia etnica in corso nel Nagorno-Karabakh da oltre un mese, con l’impossibilità di 120mila persone di ricevere aiuti alimentari, ricongiungersi coi familiari, ripristinare l’erogazione di energia elettrica, riaprire le scuole?

Abbiamo capito che i governi europei fanno affari con chiunque a prescindere dal rispetto dei diritti umani e dal grado di democrazia che possa vantare l’interlocutore, ma un minimo di pudore e un minimo di decenza andrebbero salvaguardate.

Speriamo che il nostro governo possa rimediare a questa figuraccia. Di certo non lo aiuta il comportamento dei media. Per entrambi ci vorrebbe un cambio di passo, per riacquistare credibilità, ma a occhio c’è poco da essere ottimisti.

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Nagorno Karabakh, gli armeni aggrappati alla loro terra (Lanuovabg 14.01.23)

La prossima guerra potrebbe scoppiare nel Caucaso, fra Armenia e Azerbaigian. Si tratta di una profezia facile su una crisi di cui pochi ancora parlano. Da più di un mese, ormai, il Nagorno Karabakh, un pezzo di Armenia storica incastonato nell’Azerbaigian, è completamente assediato e la popolazione è priva di ogni mezzo di sostentamento. La scrittrice Antonia Arslan, autrice del celebre romanzo sul genocidio armeno La Masseria delle Allodole, è una delle poche voci in Italia che lanciano l’allarme sulla crisi del Caucaso. La Nuova Bussola Quotidiana l’ha intervistata sulla tragedia degli armeni del Karabakh e sullo strano silenzio della stampa occidentale.

 

Militare dell'Artsakh al confine con l'Azerbaigian

La prossima guerra potrebbe scoppiare nel Caucaso, fra Armenia e Azerbaigian. Si tratta di una profezia facile su una crisi di cui pochi ancora parlano. Da più di un mese, ormai, il Nagorno Karabakh, un pezzo di Armenia storica incastonato nell’Azerbaigian, è completamente isolato. Dietro al pretesto di una manifestazione ecologista, gli azeri hanno chiuso il corridoio di Lachin, impedendo l’arrivo, dall’Armenia, di viveri, carburante e beni di prima necessità ai 120mila armeni che abitano nella regione (di fatto indipendente, anche se non riconosciuta internazionalmente). La situazione umanitaria è critica. Manca letteralmente tutto, nel pieno del rigido inverno delle montagne caucasiche. Impossibile non vedere anche l’aspetto religioso del lungo conflitto che scoppia a intermittenza da trent’anni. Il Nagorno Karabakh (Artsakh) è un’enclave cristiana nell’Azerbaigian musulmano. E rientra in un conflitto più ampio, con l’Armenia tradizionale alleata della Russia contrapposta all’Azerbaigian sostenuto dalla Turchia.

La scrittrice Antonia Arslan, autrice del celebre romanzo sul genocidio armeno La Masseria delle Allodole, è una delle poche voci in Italia che lanciano l’allarme sulla crisi del Caucaso. “Mai come ora, dal 1915, gli armeni rischiano l’annientamento”, spiega alla Nuova Bussola Quotidiana, constatando come “un allineamento terribile” di eventi e di congiunture internazionali faccia sì che tutto il mondo stia voltando le spalle al suo popolo.

Antonia Arslan, siamo alle soglie di una nuova guerra?
L’Armenia è in una condizione di debolezza e certamente non si sogna neppure di attaccare. Purtroppo, dall’altra parte, l’Azerbaigian, con la Guerra dei Quaranta Giorni del 2020, ha dimostrato di essere armato fino ai denti, con equipaggiamenti di ultima generazione. Se vuole, se il suo presidente Ilham Aliyev decide di attaccare, purtroppo c’è ben poco da fare per fermarlo. Io spero con tutto il cuore e prego che ciò non si verifichi. La situazione è molto delicata, anche perché è ancora in corso la guerra in Ucraina.

Come gli armeni stanno vivendo la loro alleanza con la Russia?
Con molto rancore. Perché gli armeni si sentono abbandonati. Il sentimento comune è quello di isolamento. La politica del Caucaso e delle regioni vicine è talmente complessa, un intreccio di nazionalismi, vecchi rancori, odio religioso, che ogni cosa che accade su un fronte si ripercuote su un altro. La Russia ha aggredito l’Ucraina ed è impegnata enormemente su quel fronte. Mentre il cessate il fuoco del 2020 in Armenia lo si deve all’intervento della Russia, che tuttora schiera truppe di interposizione fra Azerbaigian e quel che resta del Karabakh indipendente. Al momento non sono proprio in grado di intervenire.

L’ultimo blocco del corridoio di Lachin dura da più di un mese…
È questo il punto. La strada di Lachin è sempre stata regolarmente interrotta, per brevi periodi, anche di un giorno, dal 2020 ad oggi. Questo prolungarsi del blocco che sta causando una terribile situazione umanitaria, è la novità. Non si può entrare e uscire dal Karabakh neppure per via aerea, perché tutti gli aeroporti sono ormai sotto il controllo degli azeri ed è impossibile aggirare il blocco. Solo la Croce Rossa è autorizzata a passare, ma ha potuto attraversare il blocco per non più di cinque volte stando a fonti giornalistiche in loco. I generi di prima necessità sono razionati, frutta e verdura scomparse. Siamo nel Caucaso ed è pieno inverno e tutto quel che arrivava dall’Armenia è bloccato.

Come fanno a sopravvivere gli armeni del Nagorno Karabakh?
Da montanari. Coraggiosissimi, aggrappati alla loro terra come ostriche allo scoglio, si accontentano, si arrangiano, non si lamentano. Manca il riscaldamento, le scuole sono chiuse: abbiamo cercato di riaprire la nostra scuola a Stepanakert (Scuola professionale armeno-italiana Antonia Arslan, ndr). Sono gli armeni del Caucaso: i più autentici, quelli che a suo tempo non hanno subito il genocidio perché erano sotto la Russia zarista e non sotto l’Impero Ottomano. E adesso però sono sotto una minaccia costante di genocidio, una minaccia dichiarata. Erdogan lo disse chiaro e tondo: “dobbiamo finire il lavoro iniziato dai nostri antenati”. L’odio coltivato è praticato con la distruzione di ogni traccia di memoria armena: le lettere armene scalpellate via dai muri, le chiese distrutte. Per reazione, gli armeni vogliono restare e resisteranno più che possono.

Le distruzioni di cui parla non sono di epoche remote…
Alcune sono recentissime, dopo la guerra del 2020. Ci sono foto che ci mostrano spianate dove prima sorgevano chiese. E questo avviene in tutti i territori conquistati. Ma l’esempio più significativo è in un’altra regione, quella del Nakhchivan, su cui il professor Ferrari (docente di Letteratura armena all’Università di Venezia) sta preparando un libro molto importante. Abitata da una maggioranza di armeni, era stata attribuita all’Azerbaigian da Stalin. Gli armeni, sin dagli albori dell’Urss, sono stati cacciati dal Nakhchivan, verso l’Armenia con cui confina. Tutte le tracce della presenza armena, edifici, chiese, cimiteri, sono state sistematicamente distrutte. Una serie di fotografie dimostrano come, ad esempio, al posto località delle Sette Chiese vi fosse una spianata con le fondamenta però ancora visibili. Ora non si vedono più neppure quelle. Secondo gli azeri, quel territorio “non è mai stato abitato da armeni”. L’ultimo cimitero storico di cui abbiamo foto, quello di Julfa, è stato raso al suolo con gran uso di esplosivi, nel 2007. Era l’ultima testimonianza di un cimitero armeno le cui prime tombe erano dell’Ottavo Secolo. Ora è una spianata nuda e brulla.

È questa la sorte che toccherebbe anche al Nagorno Karabakh?
È quello che accadrà anche nel Karabakh nel momento in cui gli ultimi armeni decidessero di andarsene. Sparirebbero monumenti millenari stupendi, dove sono stati trovati affreschi, siti archeologici di importanza immensi. Temiamo per il monastero di Dadivank, del Nono Secolo, nelle mani degli azeri dal 2020, dove nel 2014 erano stati riscoperti antichi affreschi di straordinaria bellezza da parte dell’architetto armeno Arà Zarian e dalla restauratrice belga Christine Lamoureux. Non è stato distrutto perché è troppo celebre. Ma si rischia che, una volta spenta l’attenzione mediatica, faccia la fine delle altre chiese.

A cosa si deve la disattenzione mediatica sul Caucaso?
A mio parere è dovuta, soprattutto, alla disattenzione dell’Unione Europea. Non solo è totalmente silente, ma, peggio ancora, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è andata personalmente a ringraziare Aliyev in Azerbaigian per la vendita del gas. Ora: la vendita (non il regalo) del gas è già uno scambio. Perché metterci quel “di più” del ringraziamento pubblico, perché inginocchiarsi con scene patetiche? Dove è finita la grande diplomazia europea? E d’altra parte c’è stata un’ampia opera di lobbying sul Parlamento Europeo da parte dell’Azerbaigian. E molti eurodeputati hanno cambiato il loro atteggiamento e le loro opinioni dalla sera alla mattina, come è avvenuto con il Qatar. Un altro motivo è un certo riflesso condizionato provocato dalla guerra in Ucraina. Siccome i russi sono dalla parte dei cattivi, allora anche quel che fanno in Armenia è un male?

E come mai anche il Vaticano sembra così distratto?
L’Azerbaigian ha anche finanziato il restauro di catacombe (quelle dei Santi Marcellino e Pietro e poi quelle di Commodilla) a Roma, opera per la quale è stata espressa grande riconoscenza. L’Azerbaigian si presenta poi come un Paese in cui la libertà di religione è pienamente garantita. Questa fascinazione riguarda anche la politica italiana: subito dopo la Guerra dei Quaranta Giorni, un nutrito gruppo di parlamentari di tutti i partiti si è recato a Baku (sottolineo: tutte le forze politiche) a rendere omaggio a Baku. E tutte queste dimostrazioni, che noi riteniamo essere solo “di facciata”, per i popoli mediorientali sono simboli che valgono più di mille parole. Il gesto di Erdogan che riserva solo una strapuntino alla von der Leyen, ad esempio, non è solo un gesto scortese, ma un simbolo. Così come l’omaggio reso dai politici italiani è un simbolo. Ed anche il convegno internazionale tenuto a Shusha, storico crocevia della Via della Seta, città nelle mani degli azeri dal 2020, vicina a Stepanakert, è un simbolo potente: sono stati invitati tutti gli ambasciatori, solo pochi hanno rifiutato (Francia, Stati Uniti e pochi altri) e l’Italia era presente.

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L’Italia si schiera a favore dello sterminio degli armeni (Il Riformista 14.01.23)

Lo scrive in un tweet. Come se fosse uno dei tanti. Ma quel “cinguettio” rivela una determinazione gravissima: l’Italia intende essere complice del governo azero nella campagna di sterminio della popolazione armena del Nagorno Karabakh. “L’Italia è determinata a rafforzare ulteriormente relazioni e cooperazione con l’Azerbaigian. Oggi a Baku ho confermato al Presidente Ilham Aliyev il nostro sostegno per favorire dialogo con NATO e UE. Comune interesse in diversi settori tra cui difesa ed energia”. Questo è il tweet del ministro della Difesa Guido Crosetto. Armi in cambio di gas, di cui l’Azerbaigian è ricco. E nulla importa che quelle armi possano servire per sterminare una popolazione intera. Ciò che conta è che più del dieci per cento del fabbisogno annuo italiano di gas viene da Baku grazie ad accordi con Eni e Snam.

Dice a Il Riformista Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: “I rapporti privilegiati tra Italia e Azerbagian vanno avanti da tempo. La famiglia del presidente Aliyev ha anche una sua Fondazione filantropica che ha staccato sostanziosi assegni per restauri sia a Roma che in Vaticano. Questo rapporto privilegiato diventa sempre più strategico alla luce della necessità di diversificare le fonti energetiche. La leadership di Aliyev ha sulle sue spalle una recente guerra con l’Armenia, con crimini di guerra a profusione. A ciò si aggiunge una situazione di repressione del dissenso interno ampiamente documentata da Amnesty International ma anche dal Consiglio d’Europa. Il tutto fa pensare che ancora una volta il tema dei diritti, in questa relazione bilaterale, sia all’ultimo posto. Noi abbiamo denunciato negli anni passati una forte repressione nei confronti dell’attivismo giovanile, arresti e intimidazioni nei confronti di giornalisti, come Kadisha Ismailova e altri ancora. E questa repressione si è estesa costringendo all’esilio, per evitare il carcere, tutti coloro che avevano una posizione di pace e non anti armena”.

Secondo il Democracy index dell’Economist, quello di Baku è un regime autoritario e lo piazza al 141esimo posto su 167 Paesi analizzati per lo stato della democrazia. La Russia, per fare un confronto, è 121esima Nell’autunno del 2020 ci sono stati sanguinosi combattimenti tra armeni e azeri nel Nagorno-Karabakh, dove si stima che abbiano perso la vita oltre 6.500 persone. Un accordo di cessate il fuoco tra Armenia e Azerbaigian è stato siglato nel novembre del 2020 con la mediazione di Mosca. In base al documento, l’Azerbaigian ha mantenuto i territori conquistati e l’Armenia gli ha ceduto anche altre zone del conteso Nagorno-Karabakh e dei territori limitrofi. Sempre sulla base dell’accordo, inoltre, la Russia ha inviato circa 2.000 soldati nel Nagorno-Karabakh, con l’obiettivo ufficiale di far rispettare la tregua. A metà settembre si sono registrati altri combattimenti alla frontiera, nei quali si stima che siano morte oltre 280 persone e i due Stati si accusano a vicenda di aver provocato il conflitto.

 

 

Quale sia l’obiettivo strategico del regime di Baku lo chiarisce molto bene Tigrane Yégavian, esperto di geopolitica, in una intervista a Le Figaro, ripresa in Italia da Il Foglio il 30 dicembre. “La priorità degli azeri – rimarca Yégavian – è mettere fine alla presenza armena nell’Artsakh. Il blocco del corridoio di Lachin e l’interruzione provvisoria delle forniture di gas puntano a spingere gli abitanti dell’Artsakh ad abbandonare quelle terre, e, di riflesso, a porre fine alla presenza russa, il cui mandato si giustifica con il mantenimento di una presenza armena su quel territorio. Baku non è soddisfatta della situazione ereditata dal cessate-il-fuoco del novembre 2020, perché i due obiettivi non sono stati raggiunti. L’Artsakh non è ancora stato annientato e l’Armenia si rifiuta di cedere un corridoio extraterritoriale transitante dalla città di Meghri, che porterebbe a compimento la giunzione panturchista tra l’Azerbaijan, la sua enclave del Nakhchivan e per estensione la Turchia. […] L’Armenia e l’Artsakh stanno già affrontando una minaccia esistenziale. Gli eventi avvenuti dal 2020 ad oggi sono lì per ricordare che il genocidio del 1915 continua a fuoco lento, seguendo modus operandi diversi: ingegneria demografica, blocco energetico, atti terroristici, provocazioni quotidiane… l’Azerbaijan e il suo alleato turco fanno di tutto per mettere fine alla presenza armena nell’Artsakh, che alcuni considerano come lo scudo dell’Armenia.  La vasta offensiva militare scatenata da Baku lo scorso settembre ha dimostrato che senza il Nagorno-Karabakh, l’Armenia è priva di profondità strategica e incapace di difendere le sue frontiere seghettate, ereditate dalle erosioni avvenute sotto Stalin. La stretta striscia montagnosa del Syunik è troppo vulnerabile e sottomessa a provocazioni quotidiane. La sua popolazione è conosciuta per la sua tenacia e per il suo carattere indomito, non cede al panico, ma si sente abbandonata da tutti. Se i giovani del Syunik se ne andassero, ci sarebbero delle forti probabilità che l’Armenia venga tagliata fuori dall’Iran e totalmente asfissiata”. L’Italia ha scelto da che parte stare. La peggiore.

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Trentaquattresimo giorno del #ArtsakhBlockade. Realpolitik dell’Italia? Avevamo un’altra idea delle radici cristiane come valore fondativo di questo governo (Korazym 14.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.01.2023 – Vik van Brantegem] – Il blocco criminale azero del Corridoio di Berdzor (Lachin) è sempre attivo, mentre l’Italia stringe accordi militari con Baku per il gas azero (ovvero, russo riciclato). Tutto il traffico (di persone e merce) da e per la parte ancora libera della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh rimane interrotto dal 12 dicembre 2022. Passano solo veicoli del contingente di pace russi e del CICR.

La #StradaDellaVita, lungo il segmento di Shushi dell’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, rimane chiuso da sedicenti “eco-attivisti” organizzati e pagati dal regime autoritario dell’Azerbajgian, sostenuti dalla polizia azera e sotto l’occhio vigile delle forze armate azere.

Inoltre, l’Azerbajgian da cinque giorni non consente l’esecuzione di lavori di riparazione dell’unica linea ad alta tensione che alimentava l’Artsakh dall’Armenia. Poi, il 12 gennaio vicino al blocco l’Azerbaigian ha tagliato il cavo in fibra ottica che fornisce internet all’Artsakh dall’Armenia. L’Azerbajgian sta attivamente distruggendo l’infrastruttura civile dell’Artsakh. Poi, Internet in Artsakh è stato ripristinato, ma il territorio rimane isolato da ogni transito e commercio civile.

Il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan, ha scritto in un post su Twitter: «L’Azerbajgian deve capire che la pace non arriva a costo delle vite armeni. Siamo pronti ad avere un dialogo costruttivo su cosa significhi la pace sia per gli Armeni che per gli Azerbajgiani. Ma non rinunceremo mai al diritto di vivere una vita con dignità, rispetto e libertà nella nostra patria, l’Artsakh».

Armenia, la città di Goris alle ore 14.00 di oggi, sabato 14 gennaio 2023. Qui inizia l’autostrada interstatale per Stepanakert, dal 12 dicembre 2022 bloccato dall’Azerbajgian. Gli Armeni dicono che vogliono vivere. Voi no?

“Le patate sono un lusso”: le scorte vitali diminuiscono mentre gli “eco-attivisti” bloccano una regione separatista sorvegliata dalla Russia di Tamara Qiblawi – CNN, 12 gennaio 2023. Mentre il dittatore dell’Azerbajgian sta mentendo con l’ovvio intento della pulizia etnica degli Armeni dall’Artsakh, la CNN ha impiegato un mese per riferire di questo genocida #ArtsakhBlockade, in cui 30.000 bambini sono sull’orlo della fame, le scuole materne sono chiusi, centinaia di bambini sono lasciati senza cure parentali, cibo e medicine.

Armeni e amici di Qamishli – città nel nord-est della Siria al confine tra Siria e Turchia, adiacente alla città di Nusaybin in Turchia – hanno tenuto una manifestazione di protesta, chiedendo all’Azerbajgian di togliere il blocco dell’Artsakh. Nella loro dichiarazione hanno chiesto di ascoltare la voce dell’Artsakh, che è sotto la minaccia di genocidio.Qamishli è una.

L’Amministratore del United States Agency for International Development (USAID), Samantha Power, ieri sera in un post su Twitter ha scritto: «Il trasporto attraverso il Corridoio di Lachin è bloccato da oltre un mese. Ogni giorno che il traffico commerciale e l’assistenza umanitaria non possono fluire liberamente verso il Nagorno-Karabakh, aumenta il rischio di una crisi umanitaria. La libera circolazione attraverso il Corridoio deve essere ripristinata».

Solo belle parole, che prendono atto di una situazione che perdura da più di un mese, nonostante tutte le belle parole spese in tutto il mondo, senza intervenire. Ma soprattutto, non nomina l’aggressore, l’Azerbajgian e Aliyev, che ingrazia.

È importante informare le persone giuste e sollecitarle ad agire per aprire il Corridoio di Berdzor (Lachin). Chi ha bloccato il Corridoio? Non è stato il meteo. Chi dovrebbe ripristinare la libera circolazione sull’autostradale interstatale Goris-Stepanakert e rimuovere il blocco di Sushi, Signora Power? Possiamo menzionare il colpevole o è un passo eroico oltre il consentito?

L’opinione pubblica (e i governi sono distratti con altri problemi, le forniture energetiche, il cibo, contribuire alla guerra della Russia – e della NATO – in Ucraina, ecc.). Il dittatore azero Aliyev se la ride con le belle parole e con quanto guadagna con il gas continua ad armarsi e da«istruzioni per mantenere la prontezza al combattimento delle unità ad alto livello ed essere costantemente pronti a sopprimere ogni possibile provocazione». Si fa riferimento alle quotidiane accuse di fantomatiche “provocazioni” da parte dell’Armenia e dell’Artsakh, mentre le provocazioni sono droni turchi e israeliani dall’arsenale di Baku, l’esercito azero continua ad occupare territorio sovrano dell’Armenia e presidiare il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin).

Sotto l’amministrazione di Samantha Power, USAID in passato ha valutato che l’invio di aiuti all’Artsakh rappresentava un “rischio” che la popolazione armena tornasse a casa.

14 gennaio 2022
10 settembre 2022

«Il Ministro della Difesa dell’Azerbajgian [Colonello Generale Zakir] Hasanov [l’amico del Ministro della Difese italiano, Guido Crosetto] “ha dato istruzioni per mantenere la prontezza al combattimento delle unità ad alto livello ed essere costantemente pronti a sopprimere ogni possibile provocazione”. Tali ordini sono stati dati il 10 settembre 2022, due giorni prima di attaccare l’Armenia. L’Azerbajgian si prepara a tentare un’altra aggressione!» (Tatevik Hayrapetyan).

Domani è domenica 15 gennaio 2023. Non vorrei che ci svegliamo con la notizia di una nuova guerra, come domenica 27 2020, che non era soltanto uno dei primi giorni del incubo pandemia, ma l’inizio della guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian contro l’Artsakh [QUI]. Quel giorno, avvisato da un amico di quanto stava succedendo, pubblicò il mio articolo quando neanche le agenzie in Italia avevano battuta la notizia. Quel giorno, iniziò la mia copertura quotidiana degli avvenimenti belliche, mantenuto negli anni successivi, e ripreso quotidianamente dal 12 dicembre 2022, quando Aliyev metteva il cappio al collo degli Armeni dell’Artsakh.

Il 12 gennaio 2023 il sito ufficiale del Ministero della Difesa italiano ha dato la notizia Il Ministro Crosetto in Azerbaigian in visita ufficiale [QUI], con le seguenti righe:

«Oggi, il Ministro della Difesa Guido Crosetto si è recato in visita ufficiale in Azerbaigian per una serie di colloqui istituzionali incentrati su temi di comune interesse. A Baku, il Ministro Crosetto ha incontrato il Presidente della Repubblica Ilham Aliyev, con il quale ha affrontato temi di comune interesse nel settore della Difesa ed energetico. “L’Italia – ha detto il Ministro – conferma il suo contributo per un’ulteriore rafforzamento delle relazioni tra Azerbaigian e NATO e tra Azerbaigian e Unione Europea”. Dichiarazione che ha incontrato il reciproco impegno e gradimento. Il Ministro ha aggiunto che: “tale obiettivo è condiviso anche dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni”. Il Ministro Crosetto e il Presidente Aliyev si sono confrontati sulle prospettive di espansione della cooperazione nei settori dell’energia, delle costruzioni, del turismo, dell’agricoltura, dell’industria della difesa e altri ancora. Il Presidente dell’Azerbaigian ha affermato che le relazioni bilaterali, basate sul partenariato strategico, si stanno sviluppando con successo, sottolineando che la cooperazione con l’Italia è particolarmente proficua in vari campi, compreso quello energetico, citando l’efficace funzionamento del Corridoio meridionale del gas (SGC) che rifornisce i mercati europei dal Mar Caspio. A Baku il Ministro Crosetto ha incontrato, inoltre, il Ministro della Difesa Colonel General Zakir Hasanov con il quale ha firmato un protocollo d’intenti sulla cooperazione nel campo della formazione e dell’istruzione delle Forze Armate. A seguire l’incontro con il Capo dei Servizi di Sicurezza Colonel General Ali Naghiyev. Durante la visita, ha poi reso omaggio ai Caduti deponendo una corona al Monumento dei Martiri [foto di copertina]».

Il 12 gennaio 2023, nel trentaduesimo giorno – un mese esatto dopo l’inizio – del #ArtsakhBlockade, abbiamo dedicato il titolo (Oggi a Baku Italia firma un protocollo per ampliare la cooperazione militare con Azerbajgian) e la foto di copertina (sopra) della nostra cronaca quotidiano della situazione esplosiva nel Causaso meridionale, alla scandalosa visita del Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, a Baku, quello stesso giorno [QUI].

Oggi, due giorni dopo, possiamo dire – con tristezza, pensando al patimento della popolazione armeno dell’Artsakh – che non siamo più soli: sulla vicenda – vergognosa per il governo Meloni – oggi sono tornato Il Riformista (“L’idea riformista, l’idea libertaria e l’idea garantista. Informazione e battaglia delle idee. Tutto qui. Le idee – capito? – non la propaganda”, diretto da Paolo Liguori e Piero Sansonetti) e Libero Quotidiano (“Di opinione conservatore e vicino alle idee di centro-destra, che prende posizione rivelando il suo orientamento e la sua linea editoriale nei contenuti e nel taglio delle notizie, garantendo però pluralità di voci e accogliendo tesi e pareri di ogni orientamento”, diretto da Vittorio Feltri, Alessandro Sallusti e Pietro Senaldi).

Riproponiamo la nostra domanda al Ministro della Difesa italiana: «Guido Crosetto, lei è d’accordo con il blocco di 120.000 persone dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian? È passato un mese, siamo sull’orlo di un disastro umanitario e lei è andato a Baku a firmare un protocollo di cooperazione con l’esercito del dittatore Ilham Aliyev, che lei è pure andato ad ossequiare, portando i saluti del Presidente del Consiglio dei Ministri e Capo del partito di cui lei è un cofondatore».

Realpolitik italiana a Baku
Caro Crosetto, attento ad armare gli Azeri
Il Ministro rinnova la fornitura di gas sin cambio di aiuto militare. Contro l’Armenia cristiana?
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 14 gennaio 2023

Con imponente solennità, enfatizzata dalla stessa prestanza fisica di entrambi i protagonisti dell’incontro, il nostro Ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, hanno rinnovato i rapporti di amicizia tra le due nazioni, dando un’ulteriore salutare spinta alle forniture di gas di cui quel Paese è ricco e il nostro bisognoso.

Ma, inopinatamente, con sbattere di tacchi, la cooperazione si è allargata al settore militare. Insomma: l’Italia si impegnerà a istruire reclute e ufficiali. Abbiamo capito giusto? A chi spareranno con maggior precisione grazie ai nostri brillanti istruttori i soldati azeri? Un’idea ce l’avremmo. Ma certo: gli Armeni, in particolare coloro tra questi che costituiscono il resto degli abitanti del Nagorno-Karabakh (Artsakh nella lingua di chi ci vive). L’esercito di Aliyev, dapprima per 44 giorni nel 2020, grazie alla stratosferica superiorità delle armi fornite dagli alleati turchi, ha falciato come grano maturo le truppe dei resistenti.

Le vittime

Gli Armeni – la Nazione cristiana più antica e più perseguitata di tutte, il cui battesimo data 303 d.C. – avevano sperato in qualche fornitura di droni o cannoni da parte della NATO, o almeno in sanzioni commerciali, per fermare la strage. Putin, dopo aver lasciato fare per punire l’avvicinamento di Erevan all’Unione Europea, alla fine obbligò Aliyev a fermarsi, per ragioni legate un po’ all’ortodossia e molto alla necessità di non lasciare mano libera ai Turchi nel Caucaso. Duemila soldati dell’ex Armata rossa dovrebbero salvaguardare la vita dei civili armeni dell’Artsakh. Con i guai del Donbass Mosca conta pochissimo, e la Turchia domina. E così tra i danni collaterali (per modo di dire) della follia neo-zarista, autorevoli osservatori includono pulizia etnica e – Dio non voglia – genocidio (vedi Le Figaro e Le Point). Con la replica degli orrori turchi del 1915: un milione e mezzo di cristiani assassinati.

L’Artsakh

Realpolitik? Certo. Ed essa a volte autorizza – in stato di necessità – un doppio standard. Primum vivere, prima il gas insomma. Per cui l’autarchia russa è demoniaca e la libertà degli Ucraini sacra, mentre la dittatura azera e la strage di Armeni sono peccatucci. Parigi val bene una messa, non è vero? Non troppo zelo, però. Patti militari no, un po’ di pudore. La Realpolitik ha un limite invalicabile: la vita degli altri, specie se fratelli. È quanto accade (adesso) con l’assedio terroristico che l’Azerbajgian sta conducendo contro 120mila armeni (di cui 30mila bambini) che si vogliono annientare prendendoli per fame e confidando in epidemie. Da 33 giorni è bloccato qualsiasi approvvigionamento di viveri e medicinali, Baku ha tolto energia elettrica e gas. Come Mosca fa con Kiev.

Avevo un’altra idea delle radici cristiane come valore fondativo di questo governo.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Il Gran Maestro Dunlap ripercorre le attività dell’Ordine di Malta (Korazym 14.01.23)

Il giorno successivo al discorso di papa Francesco al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede il Luogotenente di Gran Maestro, fra’ John Dunlap, ha tenuto l’Udienza di inizio anno con il Corpo Diplomatico accreditato presso il Sovrano Ordine di Malta, ricordando le principali crisi che hanno caratterizzato lo scorso anno:

“Il Covid-19 ha avuto un forte impatto sulle nostre vite: la Banca Mondiale stima che la pandemia abbia innescato una delle peggiori crisi economiche dal 1870, spingendo ai margini milioni di persone. La guerra in Ucraina ha ulteriormente aggravato la situazione, in primo luogo per il popolo ucraino, con conseguenze di vasta portata. L’impennata dei costi delle materie prime e dell’energia sta portando molte economie alla recessione.

Quasi 8.000.000 ucraini sono fuggiti dai bombardamenti e dalle devastazioni e la maggior parte ha cercato rifugio nell’Unione Europea. Molti Paesi europei hanno dimostrato grande generosità nell’accoglierli, nell’ambito del programma di protezione temporanea per gli ucraini, ma ora stanno affrontando sfide estreme sulla scia della crisi economica ed energetica. L’inverno ha peggiorato le condizioni degli sfollati, creando maggiori rischi per la salute”.

Ma non ha dimenticato le altre guerre nel mondo: “Nello Yemen, la carestia causata da una guerra civile che dura da 8 anni sta uccidendo migliaia di persone; la guerra in Siria, che dura da 11 anni, ha costretto più della metà della popolazione a lasciare le proprie case; in Etiopia, la guerra civile ha causato quasi 800.000 morti e 2.500.000 sfollati in due anni.

Nonostante il cessate il fuoco firmato all’inizio di novembre, i massacri e le violenze non si fermano. Dopo oltre un decennio di instabilità, lo stallo politico in Libia si sta incancrenendo e la prospettiva di una nuova guerra è incombente, mentre la situazione umanitaria in Myanmar è peggiorata dopo il colpo di stato militare del 2021.

Siamo profondamente preoccupati anche per la situazione umanitaria nel Nagorno Karabakh e dovremmo fare del nostro meglio per salvaguardare la libertà e la sicurezza di movimento tra l’Armenia e il Nagorno Karabakh. L’Ordine di Malta incoraggia l’Armenia e l’Azerbaigian a lavorare per una soluzione pacifica delle loro controversie. Non posso esimermi dal menzionare altri conflitti e tensioni nel Caucaso, in particolare in Georgia”.

Ed ha espresso preoccupazione per le violazioni dei diritti umani: “Esprimo la mia grave preoccupazione per le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate in alcuni Paesi contro civili indifesi attraverso discriminazioni, violenze, torture e condanne a morte. Spero che la comunità internazionale intensifichi la propria azione per fermare queste terribili violazioni e il mancato rispetto dei diritti umani fondamentali”.

Tali violazioni sono causate dalle guerre, che causano anche aumenti delle malattie: “La guerra è il nemico numero uno dello sviluppo e della prosperità. Quando i conflitti si protraggono, la povertà aumenta, la violenza e gli abusi si moltiplicano, così come l’inosservanza dei diritti umani. Le guerre e i cambiamenti climatici aumentano le disuguaglianze, la povertà e la frammentazione del mondo in blocchi geopolitici. Per la prima volta dopo molti anni, l’inflazione mette a dura prova molti Paesi.

Attualmente stiamo assistendo a un aumento di malattie che un tempo credevamo sconfitte. Mentre la tubercolosi è aumentata di quasi il 5% nell’ultimo anno, la resistenza agli antibiotici sta salendo a livelli pericolosamente alti in tutte le parti del mondo, rappresentando una minaccia per la salute globale, la sicurezza alimentare e lo sviluppo”.

Inoltre ha ricordato le due ‘morti’ che hanno interessato l’ordine: “Questo è un momento di grande dolore per tutta la Chiesa e per tutti coloro che hanno avuto la grazia di conoscere Sua Santità Benedetto XVI, ma è anche un’occasione di gioia spirituale per il completamento del viaggio terreno e della missione affidatagli come fedele servitore del Signore e della Chiesa.

L’Ordine di Malta ha avuto l’onore di avere per molti anni l’allora cardinale Joseph Ratzinger tra i suoi membri più illustri. La morte improvvisa del mio predecessore fra’ Marco Luzzago, avvenuta lo scorso giugno, è stata un grande shock per tutti noi.

Era un uomo di pace che ha dedicato una parte importante della sua vita alle opere del nostro Ordine con disciplina, umiltà e benevolenza. L’Ordine è sopravvissuto a molte tempeste durante i molti secoli della sua esistenza e ne è sempre uscito rafforzato con una costante espansione nel corso degli anni”.

Poi ha ricordato l’opera di sostegno alla popolazione che svolge nel Medio Oriente: “L’Ordine di Malta continua a svolgere un ruolo importante in Terra Santa. A Betlemme gestiamo un ospedale per la maternità dove ogni anno nascono oltre 4.600 bambini. Questa settimana abbiamo festeggiato la nascita del centomillesimo bambino nell’ospedale.

Le difficili condizioni dei palestinesi in Cisgiordania (con la crisi pandemica che ha colpito duramente la comunità e i problemi economici e sociali che quella regione deve affrontare) hanno aumentato il numero di nascite premature e molte madri soffrono di malnutrizione e altre malattie legate alla povertà.

L’Ospedale della Sacra Famiglia si prende cura delle madri e dei bambini più vulnerabili: il suo reparto di terapia intensiva neonatale, l’unico nella regione, cura molti neonati con malattie congenite, alcuni dei quali nati a sole 25 settimane. La clinica medica mobile gestita dall’ospedale assiste molte donne che vivono nel deserto. Per la maggior parte di loro questa è l’unica possibilità di accesso all’assistenza sanitaria e di sottoporsi a monitoraggi prenatali ed esami del sangue.

In Libano, dove la situazione politica ed economica è molto preoccupante, l’Ordine di Malta gestisce una dozzina di centri medici in tutto il Paese e sviluppa una serie di progetti in collaborazione con le comunità sunnite e sciite.

Questi programmi fortemente radicati insieme alle diverse comunità dimostrano chiaramente che quando le religioni uniscono le forze per azioni umanitarie, non solo promuovono la giustizia sociale e la pace e difendono i diritti umani e i valori della vita, ma soprattutto costruiscono ponti e abbattono muri”.

Eppoi il sostegno a poveri ed emarginati: “Ogni anno rinnoviamo il nostro impegno a favore dei poveri. Le nostre mense per gli indigenti ed i nostri programmi di distribuzione dei pasti aiutano milioni di persone in tutto il mondo.

Ogni anno vengono distribuiti oltre 5.500.000 pasti e, con l’incombere di una crisi alimentare globale di enormi proporzioni, stiamo facendo del nostro meglio per aumentare la portata della nostra azione sia nelle città più popolose che nelle aree più remote.

Continuiamo inoltre a prenderci cura degli anziani sia con progetti di assistenza domestica sia con le nostre case di riposo, soprattutto in Europa, dove gestiamo molte strutture con programmi avanzati per persone affette da demenza e Alzheimer. L’ultima struttura è stata inaugurata solo pochi mesi fa a Vienna, in Austria”.

Ma non mancano progetti per carcerati: “Negli Stati Uniti guidiamo il progetto di pastorale carceraria, per dare sostegno alla popolazione detenuta, alle loro famiglie e alla vita dopo la detenzione, fornendo supporto sociale e psicologico e aiutandoli a riprendere la loro vita nella società. Il programma, attualmente in corso, è attivo in 36 Stati del paese”.

Un riguardo speciale è per i disabili: “Il sostegno ai disabili è un’attività centrale dell’Ordine di Malta e permettetemi di ricordare l’incredibile lavoro che i nostri volontari svolgono ogni anno per preparare il Campo estivo internazionale per giovani disabili.

Un progetto che viene realizzato da circa 40 anni e che ogni anno, in un paese europeo diverso, riunisce centinaia di giovani volontari e disabili provenienti da oltre 20 paesi per trascorrere insieme una settimana all’insegna di attività all’aria aperta, visite turistiche, interazione sociale e sostegno spirituale”.

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Caro Crosetto, attento ad armare gli azeri (Libero 14.01.23)

Gli armeni – la Nazione cristiana più antica e più perseguitata di tutte, il cui battesimo data 303 d.C. – avevano sperato in qualche fornitura di droni o cannoni da parte della Nato, o almeno in sanzioni commerciali, per fermare la strage. Putin, dopo aver lasciato fare per punire l’avvicinamento di Erevan all’Ue, alla fine obbligò Aliyev a fermarsi, per ragioni legate un po’ all’ortodossia e molto alla necessità di non lasciare mano libera ai turchi nel Caucaso. Duemila soldati dell’ex Armata rossa dovrebbero salvaguardare la vita dei civili armeni dell’Artsakh. Con i guai del Donbass Mosca conta pochissimo, e la Turchia domina. E così tra i danni collaterali (per modo di dire) della follia neo-zarista, autorevoli osservatori includono pulizia etnica e – Dio non voglia- genocidio (vediLe Figaro e Le Point). Con la replica degli orrori turchi del 1915: un milione e mezzo di cristiani assassinati.

Con imponente solennità, enfatizzata dalla stessa prestanza fisica di entrambi i protagonisti dell’incontro, il nostro ministro della Difesa Guido Crosetto e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev hanno rinnovato i rapporti di amicizia tra le due nazioni, dando un’ulteriore salutare spinta alle forniture di gas di cui quel Paese è ricco e il nostro bisognoso. Ma, inopinatamente, con sbattere di tacchi, la cooperazione si è allargata al settore militare. Insomma: l’Italia si impegnerà a istruire reclute e ufficiali. Abbiamo capito giusto? A chi spareranno con maggior precisione grazie ai nostri brillanti istruttori i soldati azeri? Un’idea ce l’avremmo. Ma certo: gli armeni, in particolare coloro tra questi che costituiscono il resto degli abitanti del Nagorno-Karabakh (Artsakh nella lingua di chi ci vive). L’esercito di Aliyev, dapprima per 44 giorni nel 2020, grazie alla stratosferica superiorità delle armi fornite dagli alleati turchi, ha falciato come grano maturo le truppe dei resistenti.

L’ARTSAKH
Realpolitik? Certo. Ed essa a volte autorizza – in stato di necessità – un doppio standard. Primum vivere, prima il gas insomma. Per cui l’autarchia russa è demoniaca e la libertà degli ucraini sacra, mentre la dittatura azera e la strage di armeni sono peccatucci. Parigi val bene una messa, non è vero? Non troppo zelo, però. Patti militari no, un po’ di pudore. La Realpolitik ha un limite invalicabile: la vita degli altri, specie se fratelli. È quanto accade (adesso) con l’assedio terroristico che l’Azerbaijan sta conducendo contro 120mila armeni (di cui 30mila bambini) che si vogliono annientare prendendoli per fame e confidando in epidemie. Da 33 giorni è bloccato qualsiasi approvvigionamento di viveri e medicinali, Baku ha tolto energia elettrica e gas. Come Mosca fa con Kiev. Avevo un’altra idea delle radici cristiane come valore fondativo di questo governo.

 

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