Appello dell’onorevole Pozzolo per gli Armeni del Nagorno Karabakh (Primavercelli 03.01.23)

Nella foto il deputato vercellese di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo con il collega di partito Andrea Delmastro.
La guerra in Ucraina tende a oscurare conflitti latenti o annosi, ci si dimentica spesso che il mondo di oggi è costellato di guerre e di crisi più o meno belliche, che portano sofferenza e morte a migliaia di persone innocenti.
A ricordarlo al mondo politico italiano è l’onorevole vercellese Emanuele Pozzolo che fa parte della Commissione Affari Esteri della Camera e che proprio in occasione della sua designazione in questa commissione aveva annunciato di volersi occupare in particolare dei cristiani perseguitati nel mondo.
«Mentre noi abbiamo festeggiato il Natale  e il capodanno nelle nostre famiglie – dichiara Pozzolo -, 120.000 armeni del Nagorno Karabakh sono isolati dal resto del mondo a causa di un blocco operato dagli azeri lungo il cosiddetto “corridoio di Lachin”, l’unica strada di collegamento con l’Armenia».

“Non possiamo stare a guardare”

«L’Occidente non può continuare a stare a guardare in silenzio: scarseggiano cibo, medicine, carburante. La popolazione – compresi 30.000 bambini e 20.000 anziani – è sull’orlo di una crisi umanitaria di dimensioni enormi: da quando nel 2020 l’Azerbaijan, sostenuto esplicitamente dalla Turchia di Erdogan, ha iniziato una operazione bellica per riacquisire il territorio dell’Artsakh, sono continui gli atti di razzie sulle frontiere armene e del Karabakh».

“Ripristinare il collegamento dell’area”

«Assieme all’On. Andrea Delmastro, da sempre particolarmente attento alla situazione complessa che riguarda i nostri fratelli cristiani armeni perseguitati, valuterò l’opportunità – continua l’On. Pozzolo – di sottoporre all’attenzione della Commissione Affari Esteri una risoluzione che spinga le autorità dell’Azerbaijan a ripristinare immediatamente e senza condizioni il transito lungo la strada nel corridoio di Lachin”».

Nagorno-Karabakh sotto assedio, Armenia senza aiuto, la doppia crudeltà delle guerre ignorate (Remocontro 03.01.23)

«Un popolo intero si spegnerà lentamente sotto i nostri occhi impotenti con il metodo militare più ancestrale del mondo: l’accerchiamento», scrive la Revue des Deux Mondes. Miliziani azeri hanno bloccato il corridoio di Laçin, l’unica strada che collegava il Nagorno Karabakh all’Armenia e al resto del mondo. La provincia autonoma armena è ora un’enclave, quasi alla fame.

Guerra grossa cencella guerra piccola

In Asia centrale si sta consumando un’altra tragedia cui stampa e mass media occidentali prestano poca attenzione. Dopo anni di sanguinosi conflitti Armenia e Azerbaigian, entrambe ex Repubbliche sovietiche, sono ora ai ferri corti a causa del Nagorno-Karabakh, enclave armena circondata da territorio azero.
Finora c’era stata una prevalenza armena grazie all’appoggio russo. Dopo l’invasione dell’Ucraina, tuttavia, Mosca ha ben pochi strumenti d’intervento, mentre l’Azerbaigian può contare sul sostegno – anche militare – della Turchia di Erdogan, che ha fornito a Baku droni in abbondanza, grazie ai quali gli azeri hanno ottenuto molti successi.

Forzature azere su spinta turca

Si apprende infatti che, su ispirazione diretta del governo di Baku, è stato bloccato il corridoio di Lacin, l’unica strada che collegava direttamente il Nagorno-Karabakh all’Armenia e al resto del mondo. Le truppe armene sono in ritirata ovunque, mentre è già iniziata la difficile evacuazione dei civili verso l’Armenia.
A questo punto si preannuncia una vera e propria crisi umanitaria, giacché nella enclave scarseggiano gli alimenti, mentre il ministero degli Esteri di Erevan denuncia il rifiuto azero di proclamare una tregua per non peggiorare le condizioni di una popolazione già stremata.

Armenia senza gas e senza amicizie interessate

Il presidente armeno si è rivolto direttamente a Putin chiedendo aiuto ma, per le ragioni anzidette, la Federazione Russa si è limitata a perorare una trattativa senza tuttavia fornire aiuti concreti.
Sul piano internazionale anche gli europei non prendono posizione, poiché l’Azerbaigian fornisce notevoli quantità di gas e petrolio alla Ue. E, infatti, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si è recentemente recata a Baku per firmare un trattato di cooperazione con il presidente azero Ilham Aliyev.

Usa Pelosi e memoria di genocidio

Da parte americana si è registrata solo la visita a Erevan della ex speaker della Camera Usa Nancy Pelosi. Visita che, però, è parsa più un’iniziativa personale che un appoggio ufficiale dell’amministrazione Biden.
In tale situazione molti evocano il “genicidio armeno” ad opera dei turchi ottomani tra il 1915 e il 1916, genocidio riconosciuto dagli organismi internazionali ma sempre negato da Ankara. Gli armeni, insomma, sono ancora una volta soli, questa volta privi anche dello scudo russo che prima li proteggeva.

Pulizia etnica programmata

La situazione internazionale non lascia purtroppo intravedere possibilità di soluzione. I governanti azeri sembrano più che mai decisi a conquistare il Nagorno-Karabakh, da essi sempre considerato quale parte integrante dell’Azerbaigian. Quelli armeni, dal canto loro, altro non possono fare che appellarsi all’Onu, pur constatando che finora i loro appelli sono caduti nel vuoto.

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Ventitreesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Non possiamo permettere che l’Artsakh viene dimenticato (Korazym 03.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 03.01.2023 – Vik van Brantegem] – Per coloro che non seguono la crisi in quel luogo lontano – geograficamente e nel pensiero degli Europei – chiamato Artsakh/Nagorno-Karabakh: la regione ha un solo ingresso/uscita, il Corridoio di Berdzor (Lachin). Tutto il traffico (di persone e merce) da e per l’Armenia (e il resto del mondo) rimane interrotto dal 12 dicembre 2022. La #StradaDellaVita, lungo il segmento di Shushi dell’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, è chiuso con il blocco di sedicenti “eco-attivisti” organizzati dal regime autoritario dell’Azerbajgian, sostenuti dalla polizia azera e sotto l’occhio vigile delle forze armate azere. Ciò significa che i 120.000 cittadini Armeni Cristiani (tra cui 30.000 bambini e 20.000 anziani) dell’Artsakh vengono tenuti in ostaggi, con mancanza di cibo, carburante e medicine. Non possiamo permettere che l’Artsakh viene dimenticato.

Una foto del #ArtsakhBlockade in corso, pubblicata ieri sui social azeri.
Il cartello sul gigantesco pupazzo di neve di plastica dice “proteggi la natura”. Gli “eco-attivisti” qui provengono dalla RİİB-“Regional İnkişaf” İctimai Birliyi (Unione pubblica “Sviluppo regionale”), che è un’organizzazione governativa azerbajgiana nell’ambito della Fondazione Heydar Aliyev (presieduta dalla moglie del Presidente dell’Azerbajgian, Mehriban Aliyeva, Primo Vice Presidente). Quindi, gli “eco-attivisti” della RIIB lavorano per il governo dell’Azerbajgian. Lo scopo principale della RIIB è «partecipare attivamente alla vita socio-economica, pubblica e culturale del Paese, alla costruzione della società civile, sostenere le misure attuate dallo Stato per lo sviluppo delle regioni, è implementare il controllo pubblico, esaminare i ricorsi e le proposte dei cittadini e dialogare con le istituzioni competenti e lavorare nella direzione della risoluzione di progetti in vari campi in cooperazione».
È il 23° giorno dell’#ArtsakhBlockade e solo le foto nei negozi Stepanakert ricordano che qui veniva venduto del cibo. Una conseguenza aggiuntiva dell’#ArtsakhBlockade da parte dell’Azerbajgian, è che migliaia di persone con diete speciali in varie strutture (scuole d’infanzia, ospedali, centri psichiatrici, orfanotrofi, case di cura, ecc.) sono private del diritto ad una corretta alimentazione.

Il 23 dicembre 2020, il Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, e la sua moglie, Mehriban Aliyeva, Primo Vice Presidente dell’Azerbajgian, hanno visitato Qubadli e Zangilan, distretti della regione di Kashatag (Lachin), dal 29 ottobre 1993 una delle 8 regioni della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh (storicamente faceva parte della provincia di Syunik del Regno di Armenia), dal 20 ottobre 2020 occupato dall’Azerbajgian. La capitale di Kashatag è Berdzor (Lachin), nell’omonimo Corridoio, attualmente chiuso dall’Azerbajgian.

Le regioni della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh prima della guerra del 2020: 1. Martakert. 2. Askeran. 3. Stepanakert (capitale). 4. Martuni. 5. Shushi. 6. Hadrut. 7. Shaumyan. 8. Kasatagh. Le linee tratteggiate verticali indicano il territorio al di fuori dell’ex Oblast Autonomo del Nagorno-Karabakh dell’Unione Sovietica e della regione di Shahumyan. Le linee tratteggiate orizzontali indicano il territorio sotto il controllo dell’Azerbajgian già prima della guerra.

Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian ha diffuso via YouTube il filmato della visita della prima coppia azera [QUI], da cui abbiamo tratto le foto che seguono.

Il cartello del villaggio di Gazyan (in armeno Sanasar e anche Vorotan) nel distretto di Gubadli della regione Kasatagh (per gli azeri Lachin) dell’Artsakh/Nagorno Karabakh, occupato dall’Azerbajgian, è stato divelto dai militari azeri all’arrivo di Ilham Aliyev e Mehriban Aliyeva. Grande risultato militare!
Prima Ilham Aliyev calpesta il cartello con il nome in armeno del villaggio di Gazyan.
Poi, Ilham Aliyev e Mehriban Aliyeva calpestano insieme il cartello con il nome in armeno del villaggio di Gazyan.

Il Centro di Studi Sociale di Baku pubblicando le foto, ha commentato: «Durante la sua visita nel distretto di Gubadli l’altro giorno, il capo dello stato ha visto il cartello con il nome del villaggio di Gazyan scritto in armeno e l’ha divelto. Ilham Aliyev è salito su quel cartello. Questo è stato un episodio piuttosto interessante. E questo episodio mi ha ricordato le riprese dei soldati sovietici che calpestano le bandiere tedesche in una parata alla fine della seconda guerra mondiale. Sì, calpestare i simboli ei segni del nemico sconfitto è una componente, un frammento della guerra. Questi sono un must. Questi sono così che il nemico subirà un trauma psicologico e il suo orgoglio sarà distrutto»

Il sito Report.az ha commentato: «Proprio quando le impronte dei piedi del nemico cominciarono a essere cancellate dalle terre dell’Azerbajgian, i brutti nomi che diedero alle terre storiche dell’Azerbajgian furono mandati nel bidone della spazzatura della storia».

[1] Qubadlı, in armeno Sanasar e anche Vorotan (dal nome dell’omonimo fiume), è il capoluogo dell’omonimo distretto all’interno della regione di Kashatagh (Lachin).
Zangilan, in armeno Kovsakan, capoluogo dell’omonimo distretto all’interno della regione di Kashatag (Lachin).

L’International Crisis Group ha commentato ieri, 1° gennaio 2023, che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha provocato ondate di shock in tutto il mondo, ma, come mostra lo sguardo al 2023, si profilano anche molte altre crisi. Ecco la Top 10 dei conflitti da tenere d’occhio nel 2023 secondo l’International Crisis Group: 1. Ucraina. 2. Armenia and Azerbajgian. 3. Iran. 4. Yemen. 5. Ethiopia. 6. Repubblica Democratica del Congo e i Grandi Laghi. 7. Il Sahel. 8. Haiti. 9. Pakistan. 10. Taiwan.

In riferimento ad Armenia and Azerbajgian, l’International Crisis Group scrive:

«Se la guerra in Ucraina si è riverberata nelle crisi mondiali, il suo impatto è stato particolarmente acuto nel Caucaso meridionale. Due anni dopo la loro ultima guerra per il Nagorno-Karabakh, l’Armenia e l’Azerbajgian sembrano avviati verso un altro scontro. I travagli della Russia in Ucraina hanno sconvolto i calcoli nella regione.
Una nuova guerra sarebbe più breve ma non meno drammatica del conflitto di sei settimane nel 2020. Quella guerra, che ha ucciso più di 7.000 soldati, ha visto le forze azere sbaragliare gli Armeni da parti dell’enclave del Nagorno-Karabakh e dalle aree vicine, che era state detenute dalle forze armene dall’inizio degli anni ’90. Mosca alla fine ha mediato un cessate il fuoco.
Da allora, l’equilibrio si è ulteriormente spostato a favore dell’Azerbajgian. L’esercito armeno non ha rifornito le sue truppe o le sue armi, poiché la Russia, il suo tradizionale fornitore di armi, ne è a corto. L’Azerbajgian, al contrario, si è rafforzato. Il suo esercito supera più volte quello dell’Armenia, è molto meglio equipaggiato ed è sostenuto dalla Turchia. Anche l’accresciuta domanda europea di gas azero ha incoraggiato Baku.
I travagli della Russia in Ucraina contano anche in altri modi. Come parte del cessate il fuoco del 2020, le forze di pace russe si sono schierate nelle aree del Nagorno-Karabakh ancora abitate dagli Armeni. La Russia ha rafforzato le sue guardie di frontiera e il personale militare lungo parti del confine tra Armenia e Azerbajgian che, dopo la guerra, sono diventate nuove linee del fronte. L’idea era che il contingente, sebbene piccolo, avrebbe scoraggiato gli attacchi perché Baku sarebbe stato cauto nel pungere Mosca.
Ma le forze russe non hanno fermato diverse fiammate lo scorso anno. Le truppe azere a marzo e agosto hanno conquistato più territorio nel Nagorno-Karabakh, comprese posizioni strategiche di montagna. A settembre, le forze azere hanno conquistato del territorio all’interno dell’Armenia vera e propria. Ogni attacco era progressivamente più sanguinoso.
Anche la guerra in Ucraina ha messo in ombra i colloqui di pace. Mosca ha storicamente avuto la tendenza a guidare gli sforzi di pace sul Nagorno-Karabakh. Il cessate il fuoco del 2020 avrebbe dovuto aprire il commercio nella regione, anche ristabilendo una rotta diretta attraverso l’Armenia dall’Azerbajgian alla sua exclave Nakhchivan al confine iraniano. Il miglioramento del commercio aprirebbe la strada al compromesso sulla spinosa questione del futuro del Nagorno-Karabakh. (Dopo la guerra del 2020, Yerevan ha abbandonato la sua decennale richiesta di uno status speciale per il Nagorno-Karabakh, ma vuole ancora diritti speciali e garanzie di sicurezza per gli Armeni che vivono lì; Baku sostiene che gli armeni locali possono godere di diritti come qualsiasi cittadino Azero [che più come una promessa, suona come una minaccia]).
Alla fine del 2021, Mosca ha accettato una nuova mediazione guidata dall’Unione Europea tra Armenia e Azerbajgian, sperando che avrebbe rafforzato il processo di pace della Russia, che aveva fatto pochi progressi. Dall’inizio della guerra in Ucraina, tuttavia, Mosca vede la diplomazia dell’Unione Europea come parte di un più ampio sforzo per frenare l’influenza della Russia. Nonostante i tentativi delle capitali occidentali, il Cremlino si rifiuta di impegnarsi.
Di conseguenza, ci sono delle bozze di accordi in circolazione – una preparata dalla Russia e altre dall’Armenia e Azerbajgian stessi, sviluppate con il sostegno occidentale (molte sezioni delle quali hanno testi contrastanti proposti dalle due parti). Ogni bozza affronta il commercio e la stabilizzazione del confine armeno-azerbajgiano, con il destino degli Armeni nel Nagorno-Karabakh lasciato a un processo separato e finora non iniziato. La pista bilaterale sostenuta dall’Occidente è probabilmente più promettente, in parte perché è di produzione interna, anche se non è chiaro come risponderebbe Mosca se dovessero raggiungere un accordo. In ogni caso, le due parti sono molto distanti. Baku ha tutte le carte in regola e da un accordo guadagnerebbe di più, sia in particolare in termini di commercio e relazioni estere, che militarmente.
Il pericolo è che i colloqui non vadano da nessuna parte o che un’altra fiammata affondi sia i binari guidati da Mosca che quelli sostenuti dall’Occidente, e l’Azerbajgian prende ciò che vuole con la forza».

Ulteriori tensioni tra Iran e Azerbajgian in arrivo

Il post del 31 dicembre 2022 di Ilham Aliyev (riprendendo quanto detto nel suo discorso in occasione della Giornata di Solidarietà degli Azeri del Mondo e del nuovo anno): «L’apertura del Corridoio di Zangezur è obbligatoria [averrà], che l’Armenia lo voglia o no. Abbiamo dimostrato una forte volontà, e tutto sta andando secondo i piani».

Fine novembre 2022, parlando con i giornalisti stranieri Aliyev ha affermato che il cosiddetto “Corridoio di Zangezur”, diventerà una realtà, nonostante le affermazioni di Yerevan che un tale piano non è stato discusso [e, quindi, certamente non concordato]. Ha aggiunto inoltre che Yerevan non può bloccare le sue richieste, il che tradotto in parole semplici vuol dire che si prenderà ciò che vuole con le buone o con le cattive, quindi, con la forza, come ha sempre fatto.

Il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran ha pubblicato sui social media un video realizzati dalla Forza Quds iraniana, che mostra ragazzini iraniani che corrono verso il distretto di Jabrail (in armeno Jrakan o Mekhakavan, nella regione di Hadrut dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, dal 9 ottobre 2020 occupato dalle forze armate dell’Azerbajgian), vicino ai ponti di Khodaafarin, con bandiere iraniane e la bandiera con il parola Quds (Gerusalemme).

I ponti di Khodaafarin sono due ponti ad arco, che si trovano al confine tra Artsakh/Nagorno-Karabakh e Iran (oggi sotto controllo dell’Azerbajgian) che collegano la sponda settentrionale e meridionale del fiume Aras. Situato sulla storica Via della Seta, il ponte a 11 arcate fu costruito nel XIII secolo (si sono conservate solo tre campate centrali) e il ponte a 15 arcate nel XII secolo (funzionante).

Circola sui social media anche un secondo video, apparentemente correlato al primo.

La Forza Quds (letteralmente “Forza di Gerusalemme”) è uno dei cinque rami del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran specializzato in guerra non convenzionale e operazioni di intelligence militare. Il generale americano Stanley McChrystal descrive la Quds Force come un’organizzazione analoga a una combinazione della CIA e del Joint Special Operations Command negli Stati Uniti. Responsabile delle operazioni extraterritoriali, la Forza Quds supporta attori non statali in molti paesi, tra cui Hezbollah, Hamas, Jihad islamica palestinese, Houthi yemeniti e milizie sciite in Iraq, Siria e Afghanistan. La Forza Quds riferisce direttamente al Leader Supremo dell’Iran, l’Ayatollah Khamenei. Dopo che Qassem Soleimani fu ucciso, il suo vice, Esmail Ghaani, lo sostituì. Nel 2019 il Segretario di Stato americano ha designato il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche e la Forza Quds come Organizzazione terroristica straniera sulla base del “continuo sostegno e impegno del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran in attività terroristiche in tutto il mondo”.

L’Iran è contrario al cosiddetto “Corridoio di Zangezur”, attraverso la regione meridionale di Syunik dell’Armenia, che collegherebbe l’Azerbajgian con l’exclave di Nakhichevan. A tale scopo Baku vuole la cessione di una striscia di territorio sovrano lungo il confine armeno-iraniano, che l’Armenia dovrebbe cedere all’Azerbajgian, con tutte le conseguenze del caso, tra cui l’isolamento dell’Armenia dall’Iran. A tal fine, l’Iran ha aperto un consolato generale nella città armena meridionale di Kapan, creando una zona di influenza, poiché gli sforzi dell’attuale leadership armena sembrano essere in ritardo per quanto riguarda le misure di sicurezza per difendere i suoi confini.

Data la posizione filo-israeliana dell’Azerbajgian (cooperazione militar, importazioni di armi tra cui droni, ecc.) e il suo tacito sostegno ai movimenti nazionali azeri in Iran negli ultimi mesi, i video della Forza Quds racchiudono le due principali minacce che l’Iran percepisce lungo il suo confine settentrionale: Azerbajgian e Israele.

Caucaso, Repubblica dell’Artsakh sotto assedio
L’appello degli armeni: “È pulizia etnica, il mondo fermi l’Azerbaigian”
di Roberto Travan
La Stampa, 2 gennaio 2023

Non c’è pace per gli armeni nel Caucaso. L’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh è isolata, sull’orlo di una grave crisi umanitaria: dal 12 dicembre l’Azerbaijan ha chiuso il Corridoio di Lachin, l’unica via di accesso, la strada su cui transitavano tutte le forniture di beni essenziali, 400 tonnellate di merci al giorno. Baku, la capitale azera, ha inoltre tagliato l’erogazione del gas e dell’acqua potabile. Per i 120.000 abitanti dell’Artsakh – così è stato ribattezzato il Nagorno Karabakh nel 2017 – superare l’inverno sarà difficile, forse servirà un miracolo. Perché il cibo inizia a scarseggiare; gli ospedali sono a corto di medicine; le scuole e gli uffici pubblici chiusi, privi di riscaldamento. Impossibile anche fuggire perché i civili – quasi la metà sono anziani e bambini – sono letteralmente bloccati, in trappola. Quello che si sta consumando è solamente l’ultimo atto del conflitto che si trascina da oltre trent’anni tra Azerbaijan e Armenia per il dominio di una terra le cui radici armene e cristiane sono autentiche, profonde, inestirpabili. Nel 2020 uno degli scontri più duri di sempre, la Guerra dei 44 giorni: gli azeri fiancheggiati della Turchia – Ankara fornì droni e mercenari jihadisti arruolati in Siria – non lasciarono scampo alle deboli e impreparate difese dell’Artsakh. Furono oltre settemila i morti e centomila gli sfollati, vittime che allungarono la drammatica contabilità del conflitto portandola a quasi quarantamila caduti e più di un milione di profughi. L’accordo di cessate il fuoco firmato il 9 novembre 2020 da Russia, Armenia e Azerbaijan prevedeva, oltre a nuove e dolorose concessioni territoriali a Baku, anche il dispiegamento di un contingente russo a protezione di ciò che restava dell’Artsakh, ridotto in meno di un terzo dei suoi precedenti confini. Da oltre venti giorni l’Azerbaijan, disattendendo quel patto, tiene in ostaggio la pacifica enclave armena per completarne, secondo molti osservatori, l’occupazione.

RISCHIO PULIZIA ETNICA. «Gli azeri stanno violando tutte le leggi internazionali che dovrebbero proteggere i civili nelle zone di guerra» denunciano i Difensori dei Diritti umani di Armenia e Artsakh. Secondo le informazioni raccolte nel loro dossier, le proteste ambientaliste che da settimane stanno bloccando il corridoio di Lachin e l’Artsakh sarebbero «inscenate da attivisti appartenenti ad organizzazioni finanziate dal governo dell’Azerbaijan o direttamente riconducibili a fondazioni della famiglia del premier Aliyev». Provocatori, insomma, tra cui «numerosi appartenenti ai servizi speciali di sicurezza azeri e simpatizzanti dei Lupi grigi, formazione terroristica dell’estrema destra turca» spiegano. E non si tratterebbe di un fatto isolato, ma «di una vera e propria strategia per provocare la fuga della popolazione armena e lo spopolamento del Paese». Il rapporto elenca «gli attacchi alle infrastrutture civili; l’interruzione sistematica di gasdotti e acquedotti; le incursioni nei villaggi pacifici per mettere in ginocchio l’agricoltura e l’economia; le campagne di propaganda e disinformazione per terrorizzare la popolazione». Infine il drammatico allarme: «È in corso un’autentica pulizia etnica, il mondo deve intervenire».

LE AMBIGUITÀ DELLA RUSSIA. Neanche la forza di interposizione russa è riuscita fino ad ora a rompere l’isolamento dell’enclave armena. «Non ci ha neppure provato, ha lasciato fare, è stata complice degli azeri e dei turchi», accusa con fermezza Karen Ohanjanyan, attivista e fondatore del locale Comitato Helsinky 92, organizzazione non governativa per i diritti umani. «Putin si è voltato dall’altra parte ignorando anche il patto militare con alcuni Paesi dell’ex Unione Sovietica (il CSTO, ndr): perché non è intervenuto quando l’Azerbaijan ha ripetutamente attaccato l’Armenia negli ultimi due anni?» spiega Ohanjanyan dal suo ufficio a Stepanakert, la capitale della Repubblica de facto. Spera di ottenere maggiori attenzioni da Mosca il nuovo premier dell’Artsakh Ruben Vardanyan, noto filantropo e oligarca russo (con cittadinanza armena) di cui sono altrettanto note le entrature nell’entourage del Cremlino. «L’Azerbaijan non è interessato ad offrire alcuna protezione al nostro popolo» ha dichiarato recentemente senza troppi giri di parole. Laconica la risposta incassata dal portavoce russo Dmitry Peskov: «Sono preoccupato per il blocco dell’unica strada che collega l’Artsakh separatista all’Armenia. E spero i colloqui tra le due parti proseguano». Un legame certamente opaco quello tra Mosca e Yerevan perché la Russia – da anni in Armenia con un forte presidio militare – è da sempre anche uno dei principali fornitori di armi dell’Azerbaijan, il nemico fino a prova contraria. E fino a marzo 2023 fornirà a Baku anche un miliardo di metri cubi di gas, risorsa di cui l’Azerbaijan abbonda essendo la sua principale fonte di ricchezza. Ma di cui ora ha grande bisogno per fronteggiare le maggiori forniture promesse all’Europa; con buona pace delle sanzioni a Mosca per aver invaso l’Ucraina.

L’APPELLO AL MONDO. L’Armenia ha le mani legate dopo la sconfitta del 2020. E il suo premier Nikol Pashinyan sa perfettamente di essere in un vicolo cieco. È immobilizzato in primis dall’ingombrante alleato russo che – in grave difficoltà sul suolo ucraino – certo non può permettersi di aprire un nuovo fronte nel Caucaso; intimorito dalla Turchia che minaccia di portare a termine il genocidio iniziato un secolo fa dall’Impero Ottomano, ecatombe per un milione e mezzo di armeni; attaccato sul campo dall’Azerbaijan, apparentemente intoccabile per i suoi grassi affari con l’Europa affamata di gas; indebolito dalle frequenti proteste popolari contro la grave situazione di isolamento e di crisi in cui langue il Paese. I ministri degli Esteri di Armenia e Artsakh una settimana fa avevano ammonito con chiarezza la comunità internazionale: «L’assenza di una reazione adeguata all’aggressione azera potrebbe causare nuovi tragici sviluppi». Ne ha discusso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 20 dicembre. E l’indomani, dopo la morte di uomo rimasto senza cure per il blocco in corso a Lachin, la Corte europea dei Diritti umani ha intimato all’Azerbaijan di consentire l’evacuazione dei pazienti più gravi. Appello che nei giorni scorsi ha permesso alla Croce Rossa Internazionale di mettere in salvo un neonato e consegnare un convoglio di aiuti umanitari. Ma il giorno di Natale è stato l’intero Artsakh ad appellarsi al mondo: quasi ottantamila persone hanno marciato pacificamente a Stepanakert chiedendo la rimozione dell’assedio che giorno dopo giorno sta inesorabilmente soffocando il Paese. «Siamo le nostre montagne!» hanno gridato scandendo il nome del monumento simbolo dell’intera comunità che sorveglia, possente, l’ingresso della capitale. Montagne aspre, intrise di storia, memoria e dolore: il Caucaso degli armeni che ancora una volta implorano aiuto.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI].

Armenia, mostra del Museo del Marchio italiano (Ansa 02.01.23)

In collaborazione con accademia Belle Arti Jerevan

(ANSA) – ROMA, 02 GEN – È stata inaugurata nei giorni scorsi a Jerevan, presso la Galleria “Albert & Tove Boyajian” dell’Accademia di Belle Arti di Armenia, la seconda esposizione della Mostra del Museo del Marchio Italiano, realizzata con il sostegno dell’Ambasciata d’Italia e frutto di una collaborazione con il Museo del Marchio Italiano e con l’Accademia di Belle Arti di Armenia.

La mostra resterà aperta fino al prossimo 15 gennaio.

La prima esposizione del Museo del Marchio Italiano a Jerevan si è tenuta lo scorso ottobre, presso il Ministero dell’Economia della Repubblica di Armenia, in occasione della Giornata Italiana del Contemporaneo. (ANSA).

 

ZVARTNOTS, DOPO MILLE ANNI DI OBLÌO QUESTO SITO UNESCO RACCONTA PAGINE INDIMENTICABILI DELLA STORIA DELL’ARMENIA (Turismoitalianews 02.01.23)

Mille anni di oblìo, poi la scoperta che ha consentito di rimettere in fila le tessere di una storia complessa ed affascinante, che documenta la diffusione del cristianesimo nel Paese e l’evoluzione di un’architettura ecclesiastica ritenuta unica. Tanto da valere l’iscrizione nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità. L’Unesco non ha avuto dubbi nel considerare questa porzione di Armenia una testimonianza irrinunciabile per il mondo, chiamato a sorvegliare la sua integrità per le generazioni future. Ecco Zvartnots, nella zona di Echmiadzin, la città più sacra dell’Armenia. Quando dici Armenia, parli di un passato che appartiene a tutti noi. Vi dice niente l’Ararat?

 

(TurismoItaliaNews) Un viaggio in Armenia ti lascia addosso qualcosa per sempre. Quando sei nel Paese che custodisce gelosamente un passato condiviso, ti rendi conto di camminare nella storia. E ti viene la pelle d’oca quando ti trovi al cospetto dell’Ararat. Anche se oggi questa montagna alta ben 5.137 metri appartiene territorialmente alla Turchia, nelle immediate vicinanze del confine con Armenia, Azerbaijan ed Iran, la sua storia è indissolubilmente legata agli armeni. Secondo la Bibbia, l’Arca di Noè si arenò su questo monte, che divenne in tal modo il luogo di origine del popolo armeno. Ecco perché l’Ararat è considerata una montagna santa, complice forse anche la sua bellezza straordinaria che l’ha portata a simboleggiare la madrepatria per ogni armeno.

Zvartnots, dopo mille anni di oblìo questo sito Unesco racconta pagine indimenticabili della storia dell’Armenia

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Ma non c’è solo l’Ararat evidentemente. I luoghi che raccontano il passato sono tantissimi e scoprirli uno per uno, ti porta indietro di millenni, tra storia, leggende e grandi personaggi. Come il sito archeologico di Zvartnots, nella zona ovest di Vagharshapat, ovvero Echmiadzin, la sede del Katholicos, cioè il primate della Chiesa apostolica armena (una delle Chiese ortodosse orientali), ad una ventina di chilometri dalla capitale Yerevan. Il suo nome tradotto dall’armeno significa “angeli del cielo” e perpetua una pagina straordinaria della storia del Paese: qui fra il 643 e il 652 il Katholikos Nerses III, detto il Costruttore, ha fatto costruire il monumento più famoso della città, la maestosa Cattedrale di San Gregorio nel luogo in cui si pensava fosse avvenuto l’incontro fra il re Tiridate III (quello che ha proclamato il Cristianesimo religione di stato dell’Armenia nel 301, facendo del proprio Paese il primo stato cristiano della storia) e San Gregorio Illuminatore, fondatore e santo patrono della Chiesa apostolica armena.

Ma in ogni caso un santo “trasversale” dato che viene venerato come santo anche dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa copta e dalla Chiesa ortodossa. Giocoforza è facile intuire come Zvartnots sia un luogo carico di significati per un Paese che fa del suo passato il suo punto di forza. La particolarità della chiesa voluta da Nerses III è che durò neppure tre secoli: nel 930 l’edificio sacro (che si pensa fosse a tre piani) venne distrutto da un terremoto, rimanendo sepolto fino alla sua riscoperta all’inizio del Novecento. Mille anni di oblìo, anche se storia e tradizione hanno continuano a parlarne. Così quando gli archeologi l’hanno riportata alla luce, le impolverate pagine della cultura locale hanno ripreso vigore restituendo al mondo un documento eccezionale. Gli scavi portati avanti fra il 1900 e il 1907, hanno riportato in vista le fondamenta della cattedrale, i resti del palazzo del katholikos e una cantina.

Zvartnots, dopo mille anni di oblìo questo sito Unesco racconta pagine indimenticabili della storia dell’Armenia

Zvartnots, dopo mille anni di oblìo questo sito Unesco racconta pagine indimenticabili della storia dell’Armenia

Zvartnots, dopo mille anni di oblìo questo sito Unesco racconta pagine indimenticabili della storia dell’Armenia

E ciò che colpisce è la straordinarietà dell’architettura: l’interno della chiesa, che era decorato da affreschi, ha una pianta a croce greca a 3 navate, mentre l’esterno era un poligono a 32 facce che da lontano doveva dare l’impressione di essere circolare. Un patrimonio fondamentale per mettere in fila le tessere del mosaico delle vicende storiche dell’Armenia, tanto che nel 2000 l’Unesco ha ritenuto di inserirla nella World Heritage List.

In ogni caso la storia di questi luoghi parte da molto più lontano e cioè fin dall’antichità, come testimoniano i siti archeologici dell’età della pietra, del bronzo e del ferro nelle vicinanze di Echmiatsin. Tanto che le informazioni scritte più antiche risalgono al periodo del re urartiano Rusa II (685-645 a.C.) ed è menzionata anche nell’iscrizione cuneiforme urartiana con il nome di Kuarlini. Il sito Unesco riguarda esattamente tre zone: oltre al sito archeologico di Zvartnots, la delimitazione comprende la Cattedrale Madre di Echmiatsin e la Chiesa di St. Gayane; e la chiesa di St. Hripsime e la chiesa di St. Shoghakat.

Zvartnots, dopo mille anni di oblìo questo sito Unesco racconta pagine indimenticabili della storia dell’Armenia

Zvartnots, dopo mille anni di oblìo questo sito Unesco racconta pagine indimenticabili della storia dell’Armenia

Zvartnots, dopo mille anni di oblìo questo sito Unesco racconta pagine indimenticabili della storia dell’Armenia

Secondo la ricostruzione proposta dagli studiosi (basata su un modello in pietra dell’XI secolo della chiesa di Gagkashen trovato durante gli scavi ad Ani), l’altezza della chiesa era di circa 45 metri, un’altezza insolita per le tecniche di costruzione del settimo secolo. Zvartnots possiede ricchi bassorilievi, che insieme agli altorilievi illustrano frammenti di vita ecclesiastica e profana realizzati con grande maestria. Ecco perché secondo l’Unesco la chiesa di Zvartnots è da ritenere l’apogeo di tutte le conquiste dell’età dell’oro dell’architettura armena (corrispondente all’alto medioevo) nel campo delle costruzioni e delle arti scultoree e decorative. Insomma un unicum che bisogna vedere.

 

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Giovanni Bosi, giornalista, ha effettuato reportages da numerosi Paesi del mondo. Da Libia e Siria, a Cina e India, dai diversi Paesi del Sud America agli Stati Uniti, fino alle diverse nazioni europee e all’Africa nelle sue mille sfaccettature. Ama particolarmente il tema dell’archeologia e dei beni culturali. Dai suoi articoli emerge una lettura appassionata dei luoghi che visita, di cui racconta le esperienze lì vissute. Come testimone che non si limita a guardare e riferire: i moti del cuore sono sempre in prima linea. E’ autore di libri e pubblicazioni.
mail: direttore@turismoitalianews.it – twitter: @giornalista3

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Il Nagorno Karabakh isolato dall’Armenia e dal resto del mondo (Il Folgio 02.01.22)

L’11 dicembre 2022 – scrive Taline Kortian – un consistente gruppo di manifestanti azeri, composto da militanti “ecologisti” e giornalisti ufficiali, molto probabilmente incoraggiati dallo Stato azero, ha bloccato militarmente, da Susa (ora in Azerbaijan), il corridoio di Laçin. Era l’unica strada che collegava il Nagorno Karabakh all’Armenia e al resto del mondo, il suo cordone ombelicale. La provincia autonoma armena è ora totalmente un’enclave. L’Assemblea nazionale dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), la mattina del 12 dicembre 2022, ha dichiarato: “L’autostrada Stepanakert-Goris sul corridoio di Laçin è bloccata dall’Azerbaijan da più di tredici ore”. E lo è ancora. Il ministero degli Esteri armeno ha denunciato “un blocco, una crisi umanitaria, una crisi alimentare” e “una violazione delle due clausole di cessate-il-fuoco”: la protezione del corridoio da parte dei Caschi blu russi e la libertà di circolazione, un tempo garantita agli armeni. Il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha “chiesto aiuto a Putin”, secondo le dichiarazioni ufficiali del suo governo. Gli armeni dell’Artsakh, in pieno inverno, rigido oltretutto, si ritrovano totalmente isolati e sottomessi alla penuria di tutto ciò che per loro è vitale. Nessun import né export è possibile. Condannati a morire di fame, di freddo e di angoscia man mano che le riserve si esauriranno (…).

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Caucaso, Repubblica dell’Artsakh sotto assedio. L’appello degli armeni: “È pulizia etnica, il mondo fermi l’Azerbaijan” (La Stampa 02.01.23)

Non c’è pace per gli armeni nel Caucaso. L’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh è isolata, sull’orlo di una grave crisi umanitaria: dal 12 dicembre l’Azerbaijan ha chiuso il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso, la strada su cui transitavano tutte le forniture di beni essenziali, 400 tonnellate di merci al giorno. Baku, la capitale azera, ha inoltre tagliato l’erogazione del gas e dell’acqua potabile. Per i 120.000 abitanti dell’Artsakh – così è stato ribattezzato il Nagorno Karabakh nel 2017 – superare l’inverno sarà difficile, forse servirà un miracolo. Perché il cibo inizia a scarseggiare; gli ospedali sono a corto di medicine; le scuole e gli uffici pubblici chiusi, privi di riscaldamento. Impossibile anche fuggire perché i civili – quasi la metà sono anziani e bambini – sono letteralmente bloccati, in trappola. Quello che si sta consumando è solamente l’ultimo atto del conflitto che si trascina da oltre trent’anni tra Azerbaijan e Armenia per il dominio di una terra le cui radici armene e cristiane sono autentiche, profonde, inestirpabili. Nel 2020 uno degli scontri più duri di sempre, la Guerra dei 44 giorni: gli azeri fiancheggiati della Turchia – Ankara fornì droni e mercenari jihadisti arruolati in Siria – non lasciarono scampo alle deboli e impreparate difese dell’Artsakh. Furono oltre settemila i morti e centomila gli sfollati, vittime che allungarono la drammatica contabilità del conflitto portandola a quasi quarantamila caduti e più di un milione di profughi. L’accordo di cessate il fuoco firmato il 9 novembre 2020 da Russia, Armenia e Azerbaijan prevedeva, oltre a nuove e dolorose concessioni territoriali a Baku, anche il dispiegamento di un contingente russo a protezione di ciò che restava dell’Artsakh, ridotto in meno di un terzo dei suoi precedenti confini. Da oltre venti giorni l’Azerbaijan, disattendendo quel patto, tiene in ostaggio la pacifica enclave armena per completarne, secondo molti osservatori, l’occupazione.

 

 

RISCHIO PULIZIA ETNICA. «Gli azeri stanno violando tutte le leggi internazionali che dovrebbero proteggere i civili nelle zone di guerra» denunciano i Difensori dei Diritti umani di Armenia e Artsakh. Secondo le informazioni raccolte nel loro dossier, le proteste ambientaliste che da settimane stanno bloccando il corridoio di Lachin e l’Artsakh sarebbero «inscenate da attivisti appartenenti ad organizzazioni finanziate dal governo dell’Azerbaijan o direttamente riconducibili a fondazioni della famiglia del premier Aliyev». Provocatori, insomma, tra cui «numerosi appartenenti ai servizi speciali di sicurezza azeri e simpatizzanti dei Lupi grigi, formazione terroristica dell’estrema destra turca» spiegano. E non si tratterebbe di un fatto isolato, ma «di una vera e propria strategia per provocare la fuga della popolazione armena e lo spopolamento del Paese». Il rapporto elenca «gli attacchi alle infrastrutture civili; l’interruzione sistematica di gasdotti e acquedotti; le incursioni nei villaggi pacifici per mettere in ginocchio l’agricoltura e l’economia; le campagne di propaganda e disinformazione per terrorizzare la popolazione». Infine il drammatico allarme: «È in corso un’autentica pulizia etnica, il mondo deve intervenire».

 

 

LE AMBIGUITÀ DELLA RUSSIA. Neanche la forza di interposizione russa è riuscita fino ad ora a rompere l’isolamento dell’enclave armena. «Non ci ha neppure provato, ha lasciato fare, è stata complice degli azeri e dei turchi» accusa con fermezza Karen Ohanjanyan, attivista e fondatore del locale Comitato Helsinky 92, organizzazione non governativa per i diritti umani. «Putin si è voltato dall’altra parte ignorando anche il patto militare con alcuni Paesi dell’ex Unione Sovietica (il CSTO, ndr): perché non è intervenuto quando l’Azerbaijan ha ripetutamente attaccato l’Armenia negli ultimi due anni?» spiega Ohanjanyan dal suo ufficio a Stepanakert, la capitale della Repubblica de facto. Spera di ottenere maggiori attenzioni da Mosca il nuovo premier dell’Artsakh Ruben Vardanyan, noto filantropo e oligarca russo (con cittadinanza armena) di cui sono altrettanto note le entrature nell’entourage del Cremlino. «L’Azerbaijan non è interessato ad offrire alcuna protezione al nostro popolo» ha dichiarato recentemente senza troppi giri di parole. Laconica la risposta incassata dal portavoce russo Dmitry Peskov: «Sono preoccupato per il blocco dell’unica strada che collega l’Artsakh separatista all’Armenia. E spero i colloqui tra le due parti proseguano». Un legame certamente opaco quello tra Mosca e Yerevan perché la Russia – da anni in Armenia con un forte presidio militare – è da sempre anche uno dei principali fornitori di armi dell’Azerbaijan, il nemico fino a prova contraria. E fino a marzo 2023 fornirà a Baku anche un miliardo di metri cubi di gas, risorsa di cui l’Azerbaijan abbonda essendo la sua principale fonte di ricchezza. Ma di cui ora ha grande bisogno per fronteggiare le maggiori forniture promesse all’Europa; con buona pace delle sanzioni a Mosca per aver invaso l’Ucraina.

 

 

L’APPELLO AL MONDO. L’Armenia ha le mani legate dopo la sconfitta del 2020. E il suo premier Nikol Pashinyan sa perfettamente di essere in un vicolo cieco. È immobilizzato in primis dall’ingombrante alleato russo che – in grave difficoltà sul suolo ucraino – certo non può permettersi di aprire un nuovo fronte nel Caucaso; intimorito dalla Turchia che minaccia di portare a termine il genocidio iniziato un secolo fa dall’Impero Ottomano, ecatombe per un milione e mezzo di armeni; attaccato sul campo dall’Azerbaijan, apparentemente intoccabile per i suoi grassi affari con l’Europa affamata di gas; indebolito dalle frequenti proteste popolari contro la grave situazione di isolamento e di crisi in cui langue il Paese. I ministri degli Esteri di Armenia e Artsakh una settimana fa avevano ammonito con chiarezza la comunità internazionale: «L’assenza di una reazione adeguata all’aggressione azera potrebbe causare nuovi tragici sviluppi». Ne ha discusso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 20 dicembre. E l’indomani, dopo la morte di uomo rimasto senza cure per il blocco in corso a Lachin, la Corte europea dei Diritti umani ha intimato all’Azerbaijan di consentire l’evacuazione dei pazienti più gravi. Appello che nei giorni scorsi ha permesso alla Croce Rossa Internazionale di mettere in salvo un neonato e consegnare un convoglio di aiuti umanitari. Ma il giorno di Natale è stato l’intero Artsakh ad appellarsi al mondo: quasi ottantamila persone hanno marciato pacificamente a Stepanakert chiedendo la rimozione dell’assedio che giorno dopo giorno sta inesorabilmente soffocando il Paese. «Siamo le nostre montagne!» hanno gridato scandendo il nome del monumento simbolo dell’intera comunità che sorveglia, possente, l’ingresso della capitale. Montagne aspre, intrise di storia, memoria e dolore: il Caucaso degli armeni che ancora una volta implorano aiuto.

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Ventiduesimo giorno del #ArtsakhBlockade. 2022, l’anno delle violazioni degli accordi e delle richieste assurde dell’Azerbajgian (Korazym 02.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.01.2023 – Vik van Brantegem] – Tutto il traffico civile tra l’Artsakh/Nagorno-Karabakh e l’Armenia rimane interrotto dal 12 dicembre. Il #ArtsakhBlockade è entrato nel suo 22° giorno con la polizia e i sedicenti “eco-attivisti” del regime autoritario dell’Azerbajgian dispiegati lungo il segmento di Shushi, ad interrompere l’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, la #StradaDellaVita dei 120.000 cittadini armeni cristiani (tra cui 30.000 bambini e 20.000 anziani) dell’Artsakh, tenuti ostaggi in isolamento, con mancanza di cibo, carburante e medicine.

Vogliamo solo vivere”: messaggio di Capodanno di un bambino in Artsakh al mondo.

Il 31 dicembre 2022, ultimo giorno dell’anno, è stata per gli Armeni dell’Artsakh una giornata di raccoglimento e preghiera, che hanno concluso con una veglia a Stepanakert.

La mattina del primo giorno del nuovo anno nelle strade di Yerevan. Non si può spegnere un popolo che vuole cantare, ballare, condividere ed esistere. Guardate quanto sono belli questi giovani armeni, che ballano e celebrano la gioia di vivere in pace.

Farid Shafiyev, il Presidente del Centro di Analisi delle Relazioni Internazionali con sede a Baku, nel suo editoriale per The National Interest del 27 dicembre 2022 dal titolo L’enigma della Strada di Lachin dell’Azerbaigian, scrive (fedele alla linea officiale di Baku): «Il problema principale della Strada di Lachin non è solo l’estrazione illegale di risorse o il danno ambientale, ma anche il suo uso (o uso improprio) per scopi non umanitari».

A parte della rivendicazione azera del Corridoio di Berdzor (Lachin) come territorio dell’Azerbajgian e parlare della “Strada di Lachin”, evitare accuratamente la parola “Corridoio” secondo la dottrina azera, conferma esplicitamente, che il blocco del Corridoio non ha niente a che fare con la preoccupazione per l’ecologia, ma vuole impedire che l’Artsakh si sostiene con lo sfruttamento delle materie prime minerarie che possiede (a differenza dell’Armenia che ne è sprovvista) e inoltre che l’Armenia invia aiuti all’esercito di difesa della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. È solo una questione di tempo che l’Azerbajgian chiude la tenaglia e occupa quello che è rimasto del suo territorio dopo la guerra dei 44 giorni dell’autunno 2020.

Vale la pena di leggere con attenzione la conclusione:
«L’enigma della Strada di Lachin ha tre elementi: la causa immediata, i problemi ecologici e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali dell’Azerbajgian; l’uso del Corridoio di Lachin per scopi militari, contrariamente alla Dichiarazione Trilaterale; e, infine, l’obbligo di aprire collegamenti di trasporto (anche ai sensi della Dichiarazione Trilaterale).
L’Azerbaigian fornisce il passaggio attraverso la Strada di Lachin. Inoltre, i camion armeni e stranieri (ad esempio iraniani) utilizzano altre strade attraverso il territorio dell’Azerbajgian, come la rotta Goris-Kafan. Tuttavia, l’Armenia, con vari pretesti, rifiuta di creare un passaggio dall’Azerbajgian proprio alla sua exclave di Nakhichevan che attraversi il territorio armeno, cosa che è stipulata nell’articolo 9 della Dichiarazione Trilaterale [*].
Nel complesso, la situazione sulla Strada di Lachin evidenzia problemi più fondamentali: la mancanza di un trattato di pace formalizzato (piuttosto che un accordo di cessate il fuoco) e l’attuale stallo dei negoziati tra Armenia e Azerbajgian; le prestazioni delle forze di pace russe; le azioni dei radicali tra gli Armeni del Karabakh e l’arrivo di Ruben Vardanyan; e gli atteggiamenti di attori/spoilers geopolitici, come Francia e Russia».

[*] Il testo integrale dell’Accordo di cessate il fuoco trilaterale del 9 novembre 2020 abbiamo pubblicato il 10 novembre 2020 [QUI].

L’articolo 9 stipula:
«Tutti i collegamenti economici e di trasporto nella regione saranno sbloccati. La Repubblica di Armenia garantirà la sicurezza dei collegamenti di trasporto tra le regioni occidentali della Repubblica di Azerbajgian e la Repubblica autonoma di Nakhichevan al fine di organizzare la libera circolazione di cittadini, veicoli e merci in entrambe le direzioni. Il controllo sulle comunicazioni di trasporto è esercitato dagli organi del servizio di guardia di frontiera dell’FSS della Russia. Le Parti convengono che sarà avviata la costruzione di nuove comunicazioni di trasporto che colleghino la Repubblica autonoma di Nakhichevan con le regioni occidentali dell’Azerbajgian».

Qui non viene menzionato che l’Armenia sarebbe obbligato di concedere un “Corridoio di Zangezur” extraterritoriale sovrano azerbajgiano. Inoltre, la parola “Corridoio” appare soltanto in riferimento al Corridoio di Lachin, nell’articolo 6 che stipula:

«Il Corridoio di Lachin (largo 5 km), che garantirà la comunicazione tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia e allo stesso tempo non influenzerà la Città di Shushi, rimarrà sotto il controllo delle unità di pace della Federazione Russa. Le Parti hanno concordato un piano per la costruzione di una nuova strada lungo il Corridoio Lachin sarà definito entro i prossimi tre anni, fornendo comunicazioni tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia, con la successiva ridistribuzione delle unità di mantenimento della pace russe per proteggere questa rotta. La Repubblica di Azerbajgian garantirà la sicurezza del traffico per i cittadini, i veicoli e le merci in entrambe le direzioni lungo il Corridoio di Lachin».

Ed è precisamente questo provvedimento che viene violato dall’Azerbajgian dal 12 dicembre 2022.

E visto che ci siamo, in riferimento alle accuse di Baku, secondo le quali l’Armenia violerebbe l’Accordo Trilaterale del 9 novembre 2020, visto che non si è ritirata dall’Artsakh, nell’articolo 1 è stipulato espressamente che “la Repubblica di Azerbaigian e la Repubblica di Armenia, di seguito denominate le Parti, rimarranno nelle loro posizioni attuali”. Il ritiro delle forze armate armene di cui nell’articolo 4, è riferito alle zone restituite all’Azerbajgian, come è logico. Poi, il Presidente russo, Vladimir Putin, spiegando i termini dell’intesa, ha sottolineato: “Le forze armate della Repubblica di Azerbajgian e della Repubblica di Armenia rimarranno sulle posizioni che ricoprono attualmente, lungo la linea di contatto nel Nagorno-Karabakh”.

Comunque, dopo l’avvenuto ritiro postbellico dell’esercito armeno dal Nagorno-Karabakh, le truppe russe sono diventate l’unico garante della sicurezza degli oltre 120.000 Armeni che vivono nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. In ogni caso, sono state le già limitate forze armene dell’esercito di difesa dell’Artsakh, ulteriormente indebolite a seguito della guerra, a continuare a proteggere i confini dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh con l’Azerbajgian e a combattere in diversi provocazioni azere dopo il 2020, con scarso o nullo supporto da parte delle forze di pace russe. Sebbene il dislocamento delle truppe russe dopo il cessate il fuoco del 2020 non abbia impedito lo scoppio delle ostilità postbelliche nel Nagorno-Karabakh, né abbia impedito all’Azerbajgian di prendere il controllo di tre insediamenti che avrebbero dovuto essere sotto il controllo russo, la loro presenza è ancora considerata vitale per la sicurezza della popolazione armena locale. Tuttavia, dopo gli ultimi attacchi e il blocco azero del Corridoio di Lachin, si è registrato un netto cambiamento di umore nella regione, con l’inazione della Russia che si è aggiunta ai crescenti dubbi sul ruolo che il Paese svolge nella regione.

Va ricordato che la Russia ha almeno 10.000 soldati all’interno dei confini riconosciuti a livello internazionale dell’Armenia, tra cui circa 4.500 guardie di frontiera e circa 5.000 truppe a Gyumri. Le guardie di frontiera sono per lo più dislocate lungo i confini tra Armenia e Turchia e tra Armenia e Iran, per un totale di 375 chilometri. I restanti 5.000 operano dalla base militare russa a Gyumri, con il permesso di stazionare in Armenia per almeno altri 22 anni, e la possibilità di un’ulteriore estensione. Se le truppe russe si ritirassero dall’Armenia, il confine tra Armenia e Turchia rimarrebbe senza protezione. L’esercito armeno, notevolmente indebolito dalla guerra del 2020, avrebbe enormi difficoltà a presidiare i confini e a rimanere pronto a gestire il rischio concreto di conflitti di frontiera con l’Azerbajgian o addirittura di una guerra su larga scala. Se l’Armenia dovesse chiedere la partenza delle truppe russe senza avere un altro alleato internazionale a garantire la sua sicurezza, gli eventi potrebbero concludersi tragicamente per il Paese. Tenendo conto dell’ulteriore dipendenza economica dell’Armenia dalla Russia, la decisione di mantenere o meno stretti legami con la Russia non è una decisione che l’Armenia può prendere con leggerezza.

2022, l’anno degli incontri e dei negoziati infruttuosi

Il 2022 non è riuscito a passare alla storia come un anno di pace per l’Armenia e l’Artsakh. Le tensioni ai confini non si sono placate, mentre trattative e incontri si sono susseguiti nel corso dell’anno. La mediazione dei contatti diretti Armenia-Azerbajgian è avvenuta nel triangolo Washington-Brussel-Mosca, e negli incontri sono stati coinvolti il Presidente dell’Azerbajgian e il Primo Ministro dell’Armenia, i Ministri degli Esteri, i Vice Primo Ministri e persino i Capi dei Consigli di Sicurezza di ambedue i Paesi.

Il Presidente dell’Assemblea Nazionale dell’Armenia, Alen Simonyan, nel suo messaggio di Capodanno ha detto: «L’anno 2022 è giunto al termine. È stato un anno difficile e impegnativo per tutti noi. Il mondo è in guerre e continui sconvolgimenti. le regole in vigore da secoli stanno cambiando davanti ai nostri occhi, si sta formando un nuovo ordine mondiale e tutto questo non ci aggira. (…) molte questioni importanti rimangono irrisolte. la questione dei nostri prigionieri di guerra, la questione del ritiro delle forze nemiche che hanno invaso il territorio sovrano dell’Armenia e la questione più rilevante della tutela dei diritti dei nostri connazionali che vivono in Artsakh non sono state ancora del tutto risolte. anche in questo momento, 120.000 nostri connazionali sono ancora ostaggi nelle loro case. In altre parole, il problema della sicurezza del popolo armeno non è stato ancora risolto. Questa è la nostra sfida principale. Il lavoro principale dello scorso anno si è concentrato su questo tema e lavoreremo in quella direzione nel prossimo anno 2023, perché credo che la nostra missione sia lasciare una patria in pace per i nostri figli e lo raggiungeremo insieme. E oggi, ultimo giorno del 2022, voglio assicurarvi che insieme realizzeremo questa nostra missione. Possa il 2023 portare prosperità nelle nostre case, possano i nostri soldati tornare presto a casa e possano le nostre case essere piene di amore e conforto. Lascia che il prossimo anno ci porti tutta la felicità e sia un anno di sogni che diventano realtà. Dio ci aiuti. Felice anno nuovo e buon Natale».

Sul fronte delle trattative per il trattato di pace, l’anno si conclude con risultati più quantitativi che qualitativi, rilevando anche che nel 2020 6 punti su 9 della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020 sono stati violati dall’Azerbajgian e l’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia rimane chiusa.

Nel 2022 i principali piani dell’anno non si sono avverati: il documento denominato “Trattato di pace” non è stato firmato, non sono stati compiuti progressi nel lavoro di demarcazione dei confini e di sicurezza delle frontiere, e nella risoluzione del conflitto del Karabakh.

Nel maggio 2022, dopo i negoziati Pashinyan-Aliev a Brussel, è stata annunciata la creazione di commissioni sulla demarcazione dei confini e sulle questioni di sicurezza delle frontiere. Da parte armena, i lavori della commissione sono guidati dal Vice Primo Ministro, Mher Grigoryan, da parte azera dal Vice Primo Ministro, Shahin Mustafayev. Nel corso dell’anno la commissione ha tenuto tre sedute, ma non sembrano esserci risultati oggettivi, né accordi chiari sono stati raggiunti. Secondo gli esperti, le parti hanno approcci incompatibili.

Il punto 9 della Dichiarazione Tripartita del 9 novembre 2020 fa riferimento allo sblocco di tutte le direttrici economiche e di trasporto della regione. Il primo accordo sui passi per attuare questa disposizione è stato raggiunto l’11 gennaio 2021 a Mosca durante l’incontro dei leader di Russia, Armenia e Azerbajgian. Quindi è stato deciso di creare un gruppo di lavoro a livello dei Vice Primi Ministri dei tre Paesi, che si concentrerà sulla creazione collegamenti di trasporto ed economici nella regione.

Dopo l’incontro Pashinyan-Aliev a Brussel nel maggio 2022, quando è stata annunciata la creazione di commissioni sulla demarcazione dei confini e sulle questioni di sicurezza dei confini, Yerevan e Baku hanno annunciato la composizione delle commissioni quasi contemporaneamente. Sia nel caso dell’Armenia che dell’Azerbajgian, le commissioni sono guidate dai Vice Primo Ministri, che sono anche membri della commissione tripartita armeno-azera-russa sullo sblocco dei trasporti.

Il 24 maggio 2022 ha avuto luogo il primo incontro tra Grigoryan e Mustafaev. Si è svolto al confine interstatale tra Armenia e Azerbajgian, a Yeraskh. In questo primo incontro, le parti hanno ribadito la loro disponibilità a lavorare nell’ambito delle commissioni sui temi della demarcazione dei confini e della sicurezza dei confini, nonché a discutere questioni procedurali relative alle attività congiunte delle commissioni. Hanno anche concordato di tenere il secondo incontro a Mosca e il terzo a Brussel.

Il secondo incontro si è tenuto il 30 agosto a Mosca. Quello è stato il giorno il Corridoio di Berdzor (Lachin), che collega l’Armenia all’Artsakh, per iniziativa dell’Azerbajgian. Non è chiaro quali accordi specifici siano stati raggiunti durante l’incontro di Mosca. Nel messaggio ufficiale diffuso dal Ministero degli Esteri armeno si legge: “È stato raggiunto un accordo per lo svolgimento della terza riunione nei termini concordati”. In precedenza, durante la prima riunione, era stato però annunciato che le commissioni si sarebbero riuniti per la terza volta a Brussel. Dopo la seconda riunione, intanto, né il luogo né la data della terza riunione sono stati specificati in un comunicato ufficiale. Anche i dettagli dell’ordine del giorno della riunione di Mosca non sono stati pubblicati. Non si è saputo quali problemi sta portando avanti Yerevan, quali sono le linee rosse, quando verranno negoziate le mappe. Il 14 settembre, in parlamento, il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha annunciato: “Parlando di demarcazione e delimitazione, dobbiamo fare affidamento su motivi legali. Nel caso delle mappe, l’approccio è lo stesso”. Il 23 settembre, Pashinyan ha ricordato ancora una volta gli obiettivi della formazione della commissione bilaterale ei due incontri già avvenuti: “Prima della creazione della commissione lo scorso anno, l’Azerbajgian ha occupato più di 40 chilometri quadrati del territorio dell’Armenia. Successivamente, una delle scuse dell’Azerbajgian era che, secondo loro, l’Armenia si rifiuta di creare una commissione per la demarcazione dei confini. Certo, non ci siamo arresi, ma abbiamo solo insistito affinché fosse creato contemporaneamente un meccanismo di sicurezza delle frontiere”.

Secondo gli esperti, i passi della parte armena sono chiari: presentare a fondo le azioni dell’aggressore azero sulle piattaforme internazionali, ricevere il sostegno della comunità internazionale.

Poi, la terza sessione delle commissioni sulla demarcazione e la sicurezza delle frontiere si è tenuta a Brussel a novembre. Non c’erano molte informazioni sui risultati di questo incontro. Stefano Sannino, il Segretario Generale del Servizio relazioni esterne dell’Unione Europea, ha scritto solo su Twitter: “Sono lieto di dare il benvenuto alle commissioni di frontiera di Armenia e Azerbajgian, guidate dai Vice Primo Ministri, Mher Grigoryan e Shahin Mustafaev, a Brussel, nell’ambito della loro terza sessione. L’Unione Europea invita le parti ad adottare misure per aumentare la sicurezza sul terreno e compiere progressi nella demarcazione delle frontiere”.

Tuttavia, nel corso dell’anno non si sono registrati progressi. nonostante tre incontri, non ci sono ancora risultati sostanziali, non sono stati raggiunti accordi chiari. Gli esperti armeni sottolineano che le parti hanno approcci incompatibili. Il politologo Robert Ghevondyan, esperto del Security Policy Research Center, elenca: “L’Armenia non può permettere un corridoio. Per quanto riguarda lo status dell’Artsakh, non si può accettare che la questione del Karabakh non esista più. Anche l’Azerbajgian ha le sue linee rosse. In questo momento, finché vediamo che la situazione geopolitica è esplosiva, le linee rosse squilibrate, imprevedibili possono rimanere ed essere superate. Non daranno la possibilità di raggiungere accordi definitivi”.

Secondo l’esperto, tali riunioni, commissioni, accordi e trattative hanno un unico obiettivo: prevenire una nuova escalation su larga scala.

Durante il 2022, la parte russa ha annunciato in una o due occasioni di aver formato un team di esperti russi per fornire assistenza consultiva alle parti in materia di demarcazione dei confini. Mosca ha persino affermato di disporre dei materiali necessari, senza specificare di quali mappe specifiche si sta parlando.

Nell’ultimo anno ci sono stato più di una dozzina di contatti diretti tra Armenia e Azerbajgian, passando per Brussel, Praga e Sochi, che hanno permesso di parlare del progetto per un trattato di pace. A marzo, Baku ha pubblicato le sue 5 proposte, dichiarandosi pronta a negoziare un trattato di pace se Yerevan le accetta. In risposta, la parte armena ha affermato che le proposte sono generalmente accettabili, ma devono essere integrate. Nel corso dell’anno le parti si sono scambiate più volte versioni rivedute. L’ultimo scambio è stato alla fine dell’anno. L’Armenia ha proposto due nuovi meccanismi all’Azerbajgian. Il Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’Armenia ha persino lasciato intendere che erano pronti a firmare il documento entro la fine dell’anno: “Nel testo dell’accordo di pace, abbiamo proposto un ‘istituto di garanti’. In altre parole, sia l’organizzazione internazionale che gli Stati dovrebbero creare un istituto di garanti dell’accordo di pace, che possa garantire l’attuazione di questo accordo. A parte questo, abbiamo anche suggerito di creare un meccanismo da applicare a qualche tribunale internazionale, in base al quale se si verifica una crisi intrattabile, allora possiamo rivolgerci al tribunale internazionale. Naturalmente, abbiamo formulato tale raccomandazione sulla base della nostra esperienza”.

La crisi dei contatti diretti tra i leader di Armenia e Azerbaigian è stata registrata dal fallimento dell’incontro previsto a Brussel il 7 dicembre. Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, infatti, ha rifiutato la piattaforma occidentale dei negoziati, insoddisfatto dell’opera di mediazione della Francia.

Nel 2022 le proposte transattive sono state numerose. Yerevan ha inoltrato a Baku 4 proposte per la normalizzazione delle relazioni. Oltre alle proposte relative al trattato di pace, sono state trasferite all’Azerbajgian in tempi diversi anche delle proposte relative all’ulteriore lavoro della commissione per la demarcazione delle frontiere e le questioni di sicurezza delle frontiere, le proposte sulla riapertura delle comunicazioni regionali e la garanzia della sicurezza delle frontiere. Secondo il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pasinyan, la reazione dell’Azerbajgian a tutte le proposte armene inviate in momenti diversi è stata sempre la stessa: “Tuttavia, non abbiamo ricevuto una risposta fino ad oggi”.

La crisi degli incontri, iniziati con discrete strette di mano all’inizio del 2022, si è registrata nuovamente a fine anno, per l’ottava riunione dei Ministri degli Esteri di Armenia e Azerbajgian. Nel dodicesimo giorno del blocco dell’Artsakh, l’Armenia ha rifiutato di partire per Mosca. Sono partite le reciproche accuse e rimostranze. L’Azerbajgian ha avanzato nuove condizioni, parlando di 8 villaggi azeri presumibilmente “occupati” dall’Armenia. Poi, si è scoperto che Baku è molto nervoso per la persona di Ruben Vardanyan, nominato Ministro di Stato dell’Artsakh. L’Armenia ha chiarito ancora una volta che non sono possibili concessioni né alle aspirazioni azere chiamate “Corridoio di Zangezur”, né alle questioni del territorio sovrano dell’Armenia. Richieste al di fuori delle Dichiarazioni Tripartite per Yerevan sono inaccettabili.

Gevorg Papoyan, membro del consiglio del partito al potere Patto Civile, ha dichiarato: “Naturalmente, sono necessarie determinate condizioni per la rinascita del popolo armeno, e per questo la pace è essenziale. Forse è per questo che l’Armenia si batte così tanto per un trattato di pace, ma ciò non significa che siamo pronti a tutto per ottenere quel trattato di pace. Cerchiamo la pace, ma ci prepariamo anche per quella pace, perché comprendiamo che nessuno ci darà quella pace. Il trattato di pace è uno dei nostri importanti impegni e obiettivi, ma forse uno dei primi punti del trattato di pace dovrebbe essere il ritiro dei soldati azeri dal territorio dell’Armenia, il ritiro delle attrezzature militari azere e l’intero territorio di 29.800 chilometri quadrati dell’Armenia dovrebbe essere sotto il controllo delle forze armate armene. Dopo di che si potranno concludere quel eventuale trattato di pace. Ma a questo proposito, devo affermare che non abbiamo molto successo”.

35 anni dopo l’inizio della lotta per l’indipendenza dell’Artsakh, è arrivato l’ora di alzare di nuovo i pugni, a causa di una nuova manifestazione della politica azera: la chiusura dal 12 dicembre del Corridoio di Lachin, l’unico collegamento dell’Artsakh all’Armenia e al mondo. Dal cuore dell’Artsakh, dalla piazza della Rinascita, durante il raduno popolare di Natale, il Ministro di Stato dell’Artsakh, inviso dall’Azerbaigian, ha dichiarato: “Dobbiamo mostrare al mondo che resistiamo, dobbiamo essere uniti e dire insieme la stessa parola. Difenderemo il nostro Stato, difenderemo la nostra dignità, difenderemo la nostra storia e il nostro futuro. L’Azerbajgian continua a negoziare con una mano e a uccidere con l’altra”.

Infine, l’anno 2022 si è concluso con un altro incontro fallito. Aliyev e Pashinyan si sono recati a San Pietroburgo per partecipare all’incontro non ufficiale della Comunità degli Stati Indipendenti, ma il previsto incontro trilaterale ufficiale non ha avuto luogo. Il governo armeno ha riferito che Putin, Pashinyan e Aliyev hanno avuto solo una breve conversazione a tavola. Gli annunci ufficiali sui risultati non sono pervenuti.

È ora di dire che le richiesta dell’Azerbajgian su un Corridoio di Zangezur sono assurdi
di Michele Rubini [1]
19FortyFive, 1° gennaio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Nasimi Aghayev, Ambasciatore dell’Azerbaigian in Germania ed ex console generale a Los Angeles, si è affermato come il “Baghdad Bob” di Baku.

Ha ripetutamente negato il blocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian, raddoppiando la finzione che le forze di pace russe e persino gli Armeni fossero responsabili dell’interruzione dei rifornimenti agli Armeni nel Nagorno-Karabakh. È una logica analoga a suggerire che gli Ucraini nell’Unione Sovietica si siano fatti morire di fame per far sembrare cattivo il dittatore sovietico Josef Stalin.

Per Aghayev, tuttavia, la verità è irrilevante [2].

I diplomatici azeri hanno tre compiti: affermare ogni azione del dittatore Ilham Aliyev, amplificare la sua propaganda e incanalare denaro verso coloro che possono aiutare.

L’Azerbajgian ha calcolato male la volontà della comunità internazionale di accettare i suoi punti di discussione riguardo al blocco da parte dell’Azerbajgian del Corridoio di Lachin e le sue molestie nei confronti degli Armeni che cercano di transitare tra l’Armenia e le loro case nel Nagorno-Karabakh. Anche i diplomatici dei Paesi strettamente alleati con l’Azerbajgian ammettono privatamente la preoccupazione per il comportamento sempre più irregolare di Aliyev. Aliyev, nel 2023, sembra e suona sempre più come Saddam Hussein intorno al 1990.

Con il mondo che rifiuta la narrazione di Aliyev sul Corridoio di Lachin, l’Azerbajgian e i suoi agenti, sia registrati che non registrati, ora cercano di spostare la conversazione sul cosiddetto Corridoio di Zangezur . Un tale Corridoio biforcherebbe l’Armenia meridionale per collegare l’Azerbajgian con la Repubblica Autonoma di Nakhchivan, un’enclave dell’Azerbajgian al confine con Iran e Turchia. Funzionari azeri affermano che il cessate il fuoco del novembre 2020 ha reso obbligatorio un tale corridoio. Sostengono che l’Armenia violi tale cessate il fuoco non consentendo all’Azerbajgian di costruire o gestire una strada attraverso il territorio armeno. In realtà, quel cessate il fuoco non definiva il corridoio né dettagliava il suo controllo e il meccanismo attraverso il quale le merci sarebbero transitate.

Mentre Aghayev e altri affermano che il “corridoio” è necessario per consentire alla Turchia di commerciare liberamente con l’Azerbajgian e più lontano in Asia centrale, ignora che, proprio la scorsa settimana, il Ministro degli Esteri azero, Jeyhun Bayramov, ad esempio, ha riconosciuto che l’Azerbajgian stava costruendo un corridoio alternativo attraverso Iran. Mentre l’Azerbajgian chiede ai suoi propagandisti di strombazzare competizione e scisma tra i due Paesi sciiti, negli ultimi anni Baku e Teheran hanno notevolmente incrementato i legami e i commerci.

Aliyev potrebbe cercare di trasformare il Corridoio di Zangezur in un nuovo casus belli mentre rivendica all’intera Armenia. In realtà, il motivo della mancanza di commercio via terra tra Turchia e Azerbajgian non è né l’intransigenza armena né la mancanza di un nuovo corridoio, ma piuttosto il blocco pluridecennale dell’Armenia da parte dell’Azerbajgian e della Turchia. L’Armenia, l’Azerbajgian e la Turchia affrontano sfide economiche e ciascuno potrebbe trarre enormi benefici se consentisse il libero scambio attraverso i propri confini. Se Aliyev e il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan lo scegliessero, potrebbero porre immediatamente fine al blocco dell’Armenia, aprire i loro confini e consentire il libero traffico di passeggeri e camion commerciali attraverso il loro territorio su un numero qualsiasi di strade. Sfortunatamente, un disprezzo razzista per gli Armeni tende a motivare Aliyev ed Erdoğan più del desiderio di aiutare il proprio popolo.

Le ramificazioni vanno oltre il semplice sviluppo economico. Mentre un pilastro della propaganda azerbajgiana è che l’Armenia è un satellite dell’Iran, questa è una profezia che si autoavvera poiché il blocco azerbajgiano-turco dell’Armenia costringe l’Armenia a usare l’Iran come sbocco economico. Quindi, quelli a Washington che criticano i legami Armenia-Iran, se sinceri, dovrebbero essere in prima linea nelle richieste che l’Azerbajgian e la Turchia cessino il loro blocco.

Le cheerleader dell’Azerbaigian a Washington non giovano alla sicurezza nazionale e agli interessi geopolitici degli Stati Uniti quando consentono ad Aliyev ed Erdoğan di diventare entrambi più irregolari e distaccati dalla realtà. La posizione della Casa Bianca dovrebbe essere un gioco da ragazzi e non dovrebbe esserci alcuna equivalenza morale tra coloro che assediano e coloro che sono assediati. È tempo che la Turchia e l’Azerbajgian pongano fine al blocco dell’Armenia.

[1]Michele Rubini è Senior Fellow presso l’American Enterprise Institute (AEI). Il dottor Rubin è autore, coautore e coeditore di diversi libri che esplorano la diplomazia, la storia iraniana, la cultura araba, gli studi curdi e la politica sciita, tra cui Seven Pillars: What Really Causes Instability in the Middle East? (AEI Press 2019), Kurdistan Rising (AEI Press 2016), Dancing with the Devil: The Perils of Engaging Rogue Regimes (Encounter Books 2014) e Eternal Iran: Continuity and Chaos (Palgrave 2005).

[2] Il 18 dicembre 2022, l’Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, Nasimi Aghayev, ha twittato: «Ogni giorno i camion che trasportano rifornimenti in Karabakh percorrono la strada di Lachin senza alcun ostacolo da parte degli attivisti ambientalisti azeri».
Solo i diplomatici di Aliyev possono interpretare una fornitura episodica di Artsakh da parte delle forze di pace russe come una connessione “senza ostacoli” per i cittadini Armeni. Perché da qualche giorno i suoi capi hanno accusato la Russia di aver chiuso il corridoio, se il video diffuso da Aghayev dimostra chiaramente che “chiudono e aprono” la strada per i “rifornimenti” russi?

Il 19 dicembre 2022, Aghayev ha postato su Twitter un breve filmato con il seguente commento: «Civili che attraversano la strada di Lachin senza ostruzioni da parte di eco-attivisti azeri. La strada è aperta a tutti i civili. L’Azerbajgian è pronto a soddisfare i bisogni umanitari degli Armeni che risiedono nella sua regione del Karabakh. L’oligarca Ruben Vardanyan sta impedendo loro di usare la strada».
Pochi giorni prima, l’Azerbajgian ha dichiarato ufficialmente che la Russia, non Baku, ha chiuso “la strada di Lachin”. Qui Aghayev afferma che è il Ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, che chiude il Corridoio di Berdzor (Lachin). E questo personaggio è l’ambasciatore di Aliyev in Germania. Nel brevissimo filmato diffuso da Aghayev si vede che alcuni civili passano attraverso la folla dei sedicenti eco-attivisti azeri, che occupano la strada.

Il 30 dicembre 2022 Aghayev ha scritto in un post su Twitter: «Armenia must respect its commitment to open the Zangezur Corridor connecting mainland Azerbaijan with its Nakhchivan region. There is no way around it. The whole region will benefit from it» [L’Armenia deve rispettare il suo impegno ad aprire il Corridoio di Zangezur che collega l’Azerbajgian propria con la sua regione del Nakhchivan. Non c’è altra soluzione. Ne beneficerà l’intera regione].

La cartina che accompagna il post su Twitter del 30 dicembre 2022 di Nasimi Aghayev, Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, con il tracciato del cosiddetto Corridoio di Zangezur secondo i piani e le minacce dell’uso della forza di Aliyev.

Immaginiamo che gli Stati Uniti vogliano connettersi all’Alaska. Invece di utilizzare le strade canadesi, richiede dal Canada un corridoio extraterritoriale sovrano. Al rifiuto inizia a bombardare le città canadesi, affama tutti i canadesi, inclusi tutti i bambini sotto assedio. E dichiara: “Non c’è altra soluzione”.

Questo “impegno” dell’Armenia, se l’è inventato di sana pianta Aghayev. Come abbiamo già osservato in precedenza, l’unica volta che la parola “corridoio” appare in documenti firmati dall’Armenia è in riferimento al “Corridoio di Lachin”. Invece, l’intera regione beneficerà dall’apertura del Corridoio di Berdzor (Lachin), dalla liberazione delle parti della Repubblica di Artsakh e della Repubblica di Armenia occupati dalle forze armate dell’Azerbajgian e dal riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Poi, in un altro post su Twitter, Aghayev riesce a comporre un altro cumulo di menzogne, evitando tra altro la parola “Corridoio di Lachin” e chiamando il territorio della Repubblica di Artsakh territorio sovrano dell’Azerbajgian (basandosi del regalo fatto da Stalin), rivelando però la verità: il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) da parte di “eco-attivisti” (per creare un disastro umanitario per i cittadini Armeni della Repubblica di Artsakh, per spingerli di andarsene per disperazioni, non appena il Corridoio verrà riaperto) non ha niente a che fare con la causa ambientalista: «Make no mistake: The Lachin Road was built by Azerbaijan on its own sovereign territory to be used by its Armenian citizens for civilian/humanitarian purposes. NOT for Armenia or the criminal regime in Khankendi to deliver arms, landmines, or stealing natural resources» [Non fare un errore: la Strada di Lachin è stata costruita dall’Azerbajgian sul proprio territorio sovrano per essere utilizzata dai suoi cittadini armeni per scopi civili/umanitari. NON per l’Armenia o il regime criminale di Khankendi [Stepanakert] per consegnare armi, mine antiuomo o rubare risorse naturali].

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI].

«L’Azerbaigian progetta una nuova invasione per eliminare noi armeni» (Tempi 01.01.23)

Più di mille armeni residenti nel Nagorno-Karabakh sono bloccati in Armenia e non possono fare ritorno dai propri familiari da 21 giorni, da quando cioè il regime dell’Azerbaigian ha bloccato per ragioni “ambientaliste” il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’Artsakh al mondo esterno. Tra di loro c’è anche Artak Beglaryan, consigliere del ministro di Stato dell’Artsakh, che si trovava a Erevan il 12 dicembre, quando è iniziato il blocco. «Ho dovuto passare il Natale lontano dai miei due figli di 1 e 4 anni. Questa separazione è molto dura da vivere per me e i miei familiari», dichiara a Tempi Beglaryan, 34 anni, che ha perso la vista da bambino a causa dell’esplosione di una mina durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh. «Al di là dei disagi e delle difficoltà, ho paura che l’Azerbaigian si stia preparando a scatenare una nuova guerra».

Consigliere, qual è la situazione dei 120 mila armeni residenti in Artsakh?
La situazione peggiora di giorno in giorno. A causa del blocco, in Artsakh non può più essere importato nulla e la gente ha bisogno di tutto perché mancano i beni essenziali: cibo, medicine, prodotti per l’igiene personale, benzina. Ci sono anche problemi economico-sociali: chi studiava o commerciava o lavorava o si curava in Armenia non può più farlo da 21 giorni. Molte aziende hanno dovuto fermarsi perché mancano i materiali con cui lavorare, anche l’agricoltura è ferma. Per questo si sta aggravando il problema della disoccupazione e molte famiglie iniziano a essere in difficoltà.

Quante sono le famiglie separate come la sua?
In tutto parliamo di tremila persone. Oltre ai mille residenti dell’Artsakh bloccati in Armenia, ci sono duemila persone, tra stranieri e residenti dell’Armenia, bloccati in Artsakh. Genitori, figli, mariti, mogli che non hanno potuto passare il Natale insieme e non sanno quando potranno rivedersi. Ci sono 270 bambini in Armenia che da 21 giorni non possono riunirsi con i genitori in Artsakh. I problemi materiali non devono farci sottovalutare quelli psicologici.

A che cosa si riferisce?
Il regime azero usa il blocco del Corridoio di Lachin per fare pressione psicologica sui residenti dell’Artsakh, che vivono ormai nel terrore che Baku possa tornare a usare la forza per eliminarci tutti.

Due giorni fa il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha detto di temere lo scoppio di un nuovo conflitto.
I suoi timori sono fondati. L’obiettivo dell’Azerbaigian e del suo alleato, la Turchia, resta quello di completare il genocidio del 1915. Vogliono spazzarci via dalla nostra terra con ogni mezzo: due anni fa hanno scatenato una guerra, pochi mesi fa hanno compiuto un’altra aggressione militare, ora ci isolano dal mondo e se non otterranno ciò che vogliono potrebbero tornare a usare la forza. Ecco perché il mondo deve adoperarsi per fermare il regime.

In che modo?
Pochi giorni fa ho manifestato davanti agli uffici dell’Onu a Erevan. Abbiamo presentato le nostre richieste ai funzionari dell’Onu che le hanno passate ai loro responsabili a New York. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è già riunito, e questo è importante, ora però devono porre fine a questo blocco e adoperarsi perché gli armeni dell’Artsakh abbiano le adeguate garanzie di sicurezza internazionale. Abbiamo bisogno di protezione e aiuti umanitari.

Come si è mossa fino ad ora la comunità internazionale?
Non siamo soddisfatti, anche se ci sono state tante dichiarazioni a nostro favore, anche da parte degli Stati Uniti e della Corte europea per i diritti umani, così come interventi più ambigui. Noi chiediamo che venga inviata una missione Onu in Artsakh per monitorare la situazione e che le agenzie Onu aprano uffici anche qui. Inoltre, servono azioni concrete e sanzioni.

Pensa che risulterebbero efficaci?
Non ho certezze. Ma so che l’Azerbaigian non ha ricevuto alcuna punizione dalla comunità internazionale per i crimini commessi in passato. Ed è per questo che continua a compierne di nuovi. Per prevenire i crimini futuri, bisogna punire quelli attuali.

L’Azerbaigian continua a sostenere che il blocco, nei fatti, non esiste e che privati cittadini hanno diritto di protestare per la protezione dell’ambiente. Che cosa ne pensa?
Non so chi credono di prendere in giro. In Azerbaigian non esistono gruppi ambientalisti e non c’è stata una singola protesta negli ultimi dieci anni. Tutti sanno che il paese è governato da una dittatura che rinchiude nelle carceri i prigionieri politici e costringe all’esilio gli attivisti. Abbiamo prove che dimostrano che questi “ambientalisti” sono in realtà membri delle forze speciali azere, agenti dei servizi in borghese e soldati dell’esercito senza uniforme. Aggiungo che più volte l’Azerbaigian ha detto di essere disposto a riaprire il Corridoio di Lachin a determinate condizioni, provando così di essere l’unico responsabile del blocco.

In base agli accordi trilaterali del novembre 2020 i peacekeeper russi devono garantire la libera circolazione nel Corridoio di Lachin. Perché non lo stanno facendo? Perché l’area non può essere liberata?
La nostra gente si aspetta che la Russia faccia di più e usi la sua importanza per risolvere la situazione. Sono in corso colloqui tra Baku e Mosca ma non conosco i termini del dialogo. Sul perché non liberino l’area non posso commentare.

Qual è il vero obiettivo del blocco?
La pulizia etnica, senza dubbio. L’Azerbaigian vuole occupare l’Artsakh e “liberarlo” dalla presenza degli armeni. Sicuramente hanno anche obiettivi a breve e medio termine, come ad esempio prendere possesso dei nostri complessi minerari. Probabilmente vogliono anche utilizzare il blocco per fare pressione sull’Armenia e spingerla ad accettare un accordo di compromesso sull’Artsakh inaccettabile.

Quali sentimenti sono predominanti in questo periodo, che dovrebbe essere di festa, tra i 120 mila armeni dell’Artsakh?
Personalmente sto soffrendo molto perché da 21 giorni non posso vedere i miei figli e i miei familiari. Tutti poi siamo preoccupati per il futuro: non abbiamo certezze e sappiamo che l’Azerbaigian progetta di invaderci.

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Ventunesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Una lenta asfissia, destinata a provocare un esodo di massa dall’Artsakh degli Armeni Cristiani (Korazym 01.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.01.2023 – Vik van Brantegem] – Tutto il traffico civile tra l’Artsakh/Nagorno-Karabakh e l’Armenia rimane interrotto dal 12 dicembre. Il #ArtsakhBlockade è entrato nel suo 21° giorno con la polizia e i sedicenti “eco-attivisti” del regime autoritario dell’Azerbajgian dispiegati lungo il segmento di Shushi, ad interrompere l’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, la #StradaDellaVita dei 120.000 cittadini armeni cristiani (tra cui 30.000 bambini e 20.000 anziani) dell’Artsakh, che sono entrati nel nuovo anno in isolamento, con mancanza di cibo, carburante e medicine.

Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo della Chiesa Apostolica Armena, Catholicos di tutti gli Armeni, ieri ha inviato al “caro popolo pio dell’Armenia, dell’Artsakh e della diaspora” un messaggio in occasione del nuovo anno, portando dalla Santa Sede di Etchmiadzin “la benedizione, l’amore e gli auguri patriarcali”: «Siamo all’inizio del nuovo anno con le nostre attese e speranze, oltre che con il cuore inquieto e le preoccupazioni. L’anno passato non è stato esente da guai per la nostra gente, abbiamo avuto nuove vittime e perdite. La patria sta ancora affrontando problemi di sicurezza. i nostri confini e insediamenti pacifici sono sotto il fuoco ostile. I nostri bambini dell’Artsakh continuano a lottare per la tutela del loro diritto ad una vita indipendente con uno spirito indomito, affrontando molti disagi, causati anche dal blocco del Corridoio di Lachin. In una situazione così difficile, non siamo stati in grado di unirci pienamente al nostro potenziale nazionale per rafforzare la madrepatria e tirarla fuori da una situazione difficile. Gli aspri scontri geopolitici che scuotono oggi il mondo hanno dato origine a diversi problemi spirituali, sociali ed economici.
Tuttavia, confidando in Dio, ci facciamo gli auguri in questo capodanno. I migliori auguri per la pace nel mondo, la sicurezza e la prosperità della nostra patria, Armenia e Artsakh. Nella nostra anima ci sono principalmente aspettative di recupero delle nostre perdite, superamento dei problemi e rinnovamento della nostra vita nazionale.
Carissimi, la missione del Cristiano è vivere nella speranza ed essere ottimisti, convinti che, come dice l’apostolo, «la speranza non vi delude mai» (Rm 5,5). Gli Stati si distruggono, i popoli scompaiono non per il peso delle prove, ma per l’esaurimento della speranza, per la mancanza di una visione del futuro e della volontà di realizzarlo. La marcia del nostro popolo è stata e continuerà ad essere una storia di fede, speranza e ottimismo basati su Cristo. Viviamo e agiamo con questa fiducia, aggrappandoci saldamente alla nostra identità, ai pegni insostituibili della nostra esistenza: la nostra patria, la nostra lingua e la nostra fede. Allontaniamo la depressione, l’apatia e l’indifferenza e uniamoci con speranza attorno agli interessi nazionali e statali. Rendiamoci conto che questo è il modo per guarire la nostra patria ferita. Per proteggere il diritto all’autodeterminazione del nostro popolo dell’Artsakh, per garantire un futuro luminoso con l’unità patria-diaspora e la permanenza della nostra nazione. Perciò, con l’esortazione apostolica, «stiamo svegli e indossiamo la corazza della carità e della fede e indossiamo l’elmo della speranza della salvezza» (1 Ts 5, 8-9).
La mia preghiera patriarcale è che Dio Onnipotente manterrà la nostra patria in pace e protegga i nostri soldati. Chiediamo la benedizione e il conforto del Signore per le famiglie che hanno subito gravi perdite, la guarigione per i feriti e il rapido ritorno per i nostri figli catturati e dispersi.
Alla vigilia di Capodanno, chiediamo all’Onnipotente di mantenere il nostro popolo in Armenia, in Artsakh e nella diaspora in pace e al sicuro, di unirsi con amore e di concedere benefici patriottici e nazionali nel nuovo anno. Possa il Signore accrescere nelle nostre vite la speranza per il futuro della nostra patria e nazione. E che l’amore e la grazia di Dio siano con noi e tutti oggi e sempre.
Felice anno nuovo».

Il 1° gennaio 2023 Sua Santità Karekin II, insieme ai vescovi e ai fedeli della Santa Sede di Etchmiadzin, ha visitato il pantheon militare Yerablur per rendere omaggio alla memoria degli Armeni che hanno sacrificato la propria vita per l’indipendenza e la difesa della patria. Il Patriarca Supremo e il clero della Chiesa Apostolica Armena hanno innalzato a Dio una preghiera per la pace delle anime dei valorosi martiri. Il Cattolicos di tutti gli Armeni e il clero hanno anche visitato le tombe degli eroi della nazione, portando il loro inchino e la loro preghiera.

Il Nagorno Karabakh Oberver ha menzionato ieri su Twitter segnalazioni di diverse tonnellate di generi alimentari e prodotti di base portati da una colonna di circa 10 camion delle forze di mantenimento della pace russa e distribuiti ai negozi locali a Stepanakert, capitale dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh e nelle province in mezzo alle gravi carenze. Una goccia su ferro roventi, visto che servono 400 tonnellate ogni giorno, che mancano dal 20 giorni (in totale 8.000 tonnellate).

«Albania, Emirati Arabi Uniti, Federazione Russa e Regno Unito hanno bloccato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il passaggio della dichiarazione redatto dalla Francia sull’attuale situazione di stallo nel Corridoio di Lachin» (The Azeri Times, 30 dicembre 2022).

Esiste l’Accordo Trilaterale del 9 novembre 2020, che Aliyev ha convenuto e firmato per garantire il Corridoio di Berdzor (Lachin) per collegare l’Artsakh all’Armenia in sicurezza. Ha acconsentito e ora viola l’accordo. Ecco il fatto incontestabile. Questo tradimento di Aliyev della parola data, si manifesta da 3 settimane e non viene intrapresa alcuna azione per aprire la strada. Ed è il secondo fatto incontestabile. Perché la comunità internazionale permette questo? Perché il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non interviene, non con parole ma con i fatti? Perché le Nazioni Unite, in attesa che intervengono per aprire il Corridoio, non stanno trasportando in aereo rifornimenti salvavita in Artsakh? A questo ritmo di “non intervento” politico, diplomatico e militare, possiamo dire che il 2023 sarà l’anno dell’addio dell’Armenia. Il caviale del Mar Caspio è buono e il gas russo (quasi) ben camuffato riciclato da Aliyev fa spegnere la coscienza degli Europei.

Un convoglio delle forze di mantenimento della pace russe sull’autostrada interstatale Goris-Stepanakert nel Corridoio di Berdzor (Lachin).

Il Presidente della Repubblica di Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha tenuto un discorso in occasione della Giornata di Solidarietà degli Azeri del Mondo e del nuovo anno. Riportiamo di seguito alcuni stralci significativi, dimostrando il vanto dei risultati ottenuti con l’uso della forza e minaccia di uso della forza, nonostante gli accordi sottoscritti con l’Armenia e la Federazione Russa di astenersi di ciò.
«Abbiamo ulteriormente consolidato la nostra storica vittoria sul campo di battaglia due anni fa a livello politico».
«Quest’anno abbiamo ulteriormente aumentato il nostro potere militare e grande attenzione è sempre rivolta a questo settore. L’Azerbajgian ha mostrato la sua potenza militare durante la seconda guerra del Karabakh e, allo stesso tempo, durante i due anni successivi alla guerra, abbiamo acquisito un potenziale militare ancora maggiore grazie alle riforme attuate, alla creazione di nuove unità armate e l’equipaggiamento del nostro esercito con armi e attrezzature moderne. Quest’anno si sono svolte diverse operazioni militari e queste operazioni hanno confermato ancora una volta l’alto livello della nostra capacità di combattimento. L’operazione Farrukh [1], l’operazione “Rivincita” [2], così come gli scontri in direzione del confine tra Azerbaigian e Armenia a settembre hanno portato alla nostra successiva brillante vittoria. Come risultato degli scontri di confine, l’Azerbaigian è stato in grado di rafforzare ulteriormente le sue posizioni su molte altezze strategiche favorevoli [3]».
«L’apertura del Corridoio di Zangezur è obbligatoria [averrà], che l’Armenia lo voglia o no. Abbiamo dimostrato una forte volontà, e tutto sta andando secondo i piani».

[1] Nel tentativo di far de-escalare gli scontri fra il 24 e il 26 marzo 2022 – che hanno causato almeno 3 morti fra gli Armeni – a Farrukh sulle alture di Karaglukh in Askeran, le forze di mantenimento della pace russe hanno negoziato con le parti un ritiro dalle proprie posizioni. Gli Armeni hanno di seguito liberato degli avamposti, mentre gli Azeri non solo non si sono ritirati, ma sono avanzati, e controllano ora le alture di Karaglukh.
[2] Il 3 agosto 2022 le unità dell’esercito azero hanno occupato le alture di Girkhgiz, tra cui Saribaba e diverse alture vantaggiose lungo la catena del Karabakh delle montagne del Caucaso minore, coprendo il territorio delle regioni di Kalbajar e Lachin, e vi hanno stabilito nuove posizioni di combattimento.

[3] Il 13 e 14 settembre 2022 invasione delle forze armate dall’Azerbajgian in diverse aree dell’Armenia, con l’utilizzo di droni, artiglieria e altri mezzi militari. Sono stati uccisi circa 250 Armeni e 80 Azeri, video mostrano prigionieri di guerra armeni giustiziati, 48 km² di nuovo territorio sovrano dell’Armenia sotto il controllo azero su alture strategici per osservare direttamente il territorio armeno.

Libro di testo per il nono grado della scuola secondaria in Azerbajgian “Zəfər tarixi” (La storia della vittoria), dove il Presidente Ilham Aliyev minaccia con la mano, un suo gesto comune. Al nemico armeno: odio, odio, odio. Come andrà a finire il “culto della vittoria” per gli scolari azeri? Dopo la seconda guerra del Karabakh del 2020, il culto militante del sacrificio in Azerbajgian è stato sostituito da un culto militante della vittoria. “Servizio alla patria, lealtà al popolo, odio, odio, odio al nemico!” – uno degli slogan insegnati ai bambini nelle scuole in Azerbajgian. Nelle scuole, l’euforia per la vittoria ha cominciato ad acquisire le caratteristiche dell’agitazione xenofoba. In un servizio televisivo su un canale locale, i bambini di un’assemblea scolastica nel cortile gridano in coro “Servizio alla Patria, lealtà al popolo, odio, odio, odio al nemico!” “Questi bambini sono i soldati, i medici, gli insegnanti di domani; i nostri figli che difenderanno il nostro Paese in prima linea”, commenta il giornalista. È improbabile che qualcuno in Azerbajgian abbia dubbi su di chi stiano parlando questi canti. La parola “pro-armeno” in Azerbaigian è in realtà una maledizione e le radici armene sono prove compromettenti. “Pro-armeno” è chiamato in un altro video virale dal conduttore del canale televisivo locale del Presidente francese, Emmanuel Macron, e il suo nome è gridato da un coro di bambini in un beffardo rimaneggiamento della canzone “Pinocchio”. In alcuni testi contenuti nei manuali scolastici gli studenti sono instillati dall’odio non per il nemico. Nella storia “Viola sanguinaria” in un libro di testo di letteratura per la prima media, un bambino ha fatto un sogno del genere: “Zia Siranush [nome armeno comune] lo ha strangolato con una faccia triste. Con una spada affilata impugnata da Zio Suren [un altro nome armeno comune], il sangue gocciolava. Questo sangue era sulla sua fronte, sulla sua testa, ma soprattutto gli è entrato negli occhi”. Nel libro di testo azera per la stessa prima media c’è una storia “Piccoli ostaggi” con le seguenti parole: “I pazzi Armeni con pinze arrugginite hanno strappato la lingua a coloro che non volevano leggere, li hanno spogliati e li hanno derisi”. Un altro libro di testo di letteratura – già per la quinta elementare – contiene una storia “Il ladro”, che racconta che gli Armeni rubano da anni tutto agli Azeri: musica, ricette culinarie, tappeti e, infine, il Karabakh.
Cos’è l’incitamento all’odio? L’ONU definisce l’incitamento all’odio come “discorso offensivo diretto contro un gruppo o un individuo sulla base delle loro caratteristiche intrinseche (come razza, religione o genere) ed è in grado di minacciare la pace sociale”.

Per l’Armenia
Vittima all’ombra dell’Ucraina
di Jean Yves Camus
Charlie Hebdo, 28 dicembre 2022

(Nostra traduzione italiana dal francese)

Questo è un grido di allarme e un invito all’azione. Lettori che vi impegnate a sostegno dell’Ucraina attaccata dalla Russia, non lasciate che accada, all’ombra della guerra che colpisce Kiev, il crimine che potrebbe portare da un giorno all’altro alla scomparsa anche dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh, come quella del popolo armeno, già martirizzato nel 1915.

Da più di un secolo sappiamo, con prove certe, da quando è stato commesso un genocidio, che l’Armenia e il suo popolo sono scomodi. Ostacolano il disegno comune di Baku e Ankara, che consiste, sotto la copertura di una (reale) parentela dei popoli azero e turco, nello stabilire un continuum geografico e politico tra il Mar Caspio e la Turchia, fino al Mar Nero e al Mediterraneo.

Per realizzare questo sogno, che si chiama panturchismo, ovvero quello di estrarre la maggior ricchezza possibile dal gas naturale e dal petrolio dell’Azerbajgian, è necessario rompere una serratura: quella della presenza armena, in particolare nel Nagorno-Karabakh. Annettere una volta per tutte, quindi spingere le sue pedine nella provincia armena di Syunik per fare il collegamento con un altro territorio appartenente all’Azerbajgian, il Nakhitchevan. Poi, il gioco è fatto, la strada per Izmir e Istanbul sarà aperta. Sarà tracciata ancora una volta sui cadaveri degli Armeni.

Se, tra l’altro, gli alleati turchi e azeri vogliono davvero finire i lavori sulla modalità di “purificazione etnica”, i 120.000 Armeni del Nagorno-Karabakh e i 3 milioni di abitanti dell’Armenia, paese enclave senza risorse naturali, dovranno difendere la loro pelle a caro prezzo. Lo stanno già facendo, mentre gli occhi degli Europei, fissi su Kiev, si stanno allontanando da Yerevan perché il gas di Baku addolcirà il nostro inverno.

L’inverno per gli abitanti del Nagorno-Karabakh è terribile: approfittando del fatto che l’esercito russo, che dal 2020 dovrebbe garantire il cessate il fuoco tra l’Armenia e l’Azerbajgian, è impantanato in Ucraina, Baku blocca dal 12 dicembre il Corridoio di Lachin, unica via di accesso tra Armenia e Nagorno-Karabakh. Non arrivano medicine, cibo o aiuti umanitari. La fornitura di gas è quasi interrotta, gli ospedali non possono curare malati gravi o evacuarli a Yerevan. Si tratta di una lenta asfissia, destinata a provocare un esodo di massa degli Armeni dal Nagorno-Karabakh e ad insediarvi poi, una volta tolto “miracolosamente” il blocco, centinaia di migliaia di Azeri per modificare definitivamente gli equilibri demografici, preludio a un pura e semplice annessione mediante un referendum il cui esito sarà acquisito in anticipo.

Gli accordi sul gas obbligano, l’Unione Europea mantiene un profilo basso e la Francia ribadisce che “sta facendo di tutto per favorire una soluzione pacifica del conflitto”. Queste antifone non impressionano né Baku né Ankara, che hanno un obiettivo specifico, sostenuto da un’ideologia e dai mezzi materiali per realizzarlo. La diaspora armena aiuta le vittime al massimo delle sue possibilità. In tutto lo spettro politico, dai comunisti Pierre Ouzoulias e Anne Hidalgo a François-Xavier Bellamy e Bruno Retailleau, si levano voci per l’Armenia, a cui si aggiungono quelle di Sylvain Tesson, Jean-Christophe Buisson, Valérie Toranian e Franz-Olivier Giesbert nell’ambito dei media. Questo non basta. Dobbiamo riscoprire il vigore di Anatole France, Jean Jaurès e Georges Clemenceau, che suonarono la campana all’epoca dei primi massacri ottomani, poi del genocidio del 1915.

L’Azerbajgian e la Turchia continuano il blocco di 120.000 armeni nell’indifferenza generale
di Antoine Bordier
Entreprendre, 31 dicembre 2022

(Nostra traduzione italiana dal francese)

Dallo scorso 12 dicembre l’Azerbajgian e il suo fratello maggiore Turchia hanno continuato le loro operazioni per bloccare i 120.000 Armeni dell’Artsakh, nella più totale indifferenza. Dal 13 settembre l’Armenia è stata attaccata per la prima volta. Ultima luce sul 2022, quando Erdoğan ha appena presentato la sua candidatura al Premio Nobel per la pace, e quando Aliyev ripete che “andrà fino in fondo”.

Tra un mese, alcuni correranno il rischio di celebrare l’ascesa al potere di Adolf Hitler il 30 gennaio 1933. È vero che l’ha raggiunto democraticamente, nel quadro di elezioni non truccate, sogno). È dopo che tutto va storto. Prima, l’ombra della sconfitta incombeva sulla Germania. La Prima Guerra Mondiale, che fu una vera e propria carneficina, se finì con un armistizio firmato alle ore 05.00 del mattino nella famosa carrozza di Rethondes, provocò un sentimento di rivalsa inespresso da tutto un popolo, fino all’avvento del Dritte Reich. I primi passi di questo avvento ebbero luogo nel 1933. L’anno 1929 lo accelerò. È stato terribile per il mondo e per la Germania. Con le pieghe delle crisi finanziarie ed economiche, diventate globali, si è costruita l’ascesa al potere del nazismo e di Hitler… Purtroppo, sappiamo cosa è successo dopo. Oppure tendiamo a dimenticarlo.

L’ideologia del panturchismo è paragonabile al nazismo, a una nuova ideologia genocida e mortale? Hanno un nucleo comune: l’eradicazione. In questo caso si tratta di riunire, a più o meno lungo termine, nella stessa regione che si estenderebbe dalla Turchia al Kirghizistan e al Kazakistan, i popoli turchi, a scapito degli altri popoli che dovrebbero essere sradicati. Nel Mein Kampf, Hitler scrisse della “razza padrona”. Ha fatto discepoli. Come Stalin…

30 anni fa: è una coincidenza? – i 5 Capi di Stato di questi Paesi si sono incontrati ad Ankara, a cui vanno aggiunti Uzbekistan e Turkmenistan. La loro visione? Ultranazionalismo. La loro retorica? Spacciandosi per Paesi assediati, popoli dimenticati dalla storia che avrebbe voltato loro le spalle. Concretamente, Erdoğan, sul suo terreno, nega la piena cittadinanza ai Curdi e agli Aleviti, e considera i Turchi sparsi nel mondo come un’unica nazione. La sua.

Hitler sognava di diventare Führer, Erdoğan sogna un nuovo impero ottomano, che portasse questo nome: il suo. Per questo, tra l’altro, cerca un nuovo mandato nel 2023, e prepara la sua rielezione e i suoi emendamenti alla Costituzione. Come? Rinchiudendo i suoi oppositori più seri, come il Sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu. Quest’ultimo è stato condannato lo scorso ottobre a due anni e sette mesi di reclusione per “insulti a funzionari”. La democrazia è in subbuglio? No, l’abominio non è abbastanza abominevole.

Armenia e Artsakh: 2 piccoli sassolini nella scarpa

Nel 2022, il puzzle del panturchismo ha accelerato la sua (ri)costituzione. Suo fratello, Ilham Aliyev, il leader dell’Azerbajgian, ha dichiarato a gennaio, durante la visita della Presidente [della regione Île-de-France] in Artsakh: “Se fossimo stati a conoscenza dell’ultima visita illegale di Valérie Pécresse, non l’avremmo lasciata ripartire”. Sta marcando il suo territorio e flettendo i muscoli. Senza dubbio. Solo che non è il “suo” territorio.

Da parte sua, in contemporanea, Erdoğan si recava in Albania per inaugurare una moschea e un intero quartiere veniva finanziato dalla… Turchia. Il panturchismo avanza al proprio ritmo… che sta accelerando. Al ritmo di un Islam che sarebbe conquistatore?

Altra sequenza. A febbraio, quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, Erdoğan ha dichiarato: “La Turchia non riconoscerà alcuna misura che leda la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina” (il 23). E, da parte sua, Aliyev ha incontrato di persona Vladimir Putin. Ha riassunto questo incontro con le sue parole sull’alleanza russo-azera: “[È] molto completo, contiene più di 40 punti, copre le aree più importanti della nostra interazione e sarà di vitale importanza per il futuro delle nostre relazioni bilaterali. Poi ha aggiunto: “La Russia svolge anche un ruolo importante nella creazione di opportunità di normalizzazione tra Armenia e Azerbajgian. Lo apprezziamo. Spero che l’Armenia, come noi, attui i termini della Dichiarazione Tripartita firmata nel novembre 2020”.

Pochi mesi dopo, Erdoğan ha ricordato che la spartizione di Cipro, cioè la Repubblica turca di Cipro del Nord, era sotto la sua protezione. E Ilham Aliyev ha ripreso le sue operazioni militari contro l’Armenia bombardando diverse regioni nell’est e nel sud-est dell’Armenia. Il macabro (ri)silenzio della Comunità Internazionale, delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti, della Francia, dell’Unione Europea e dei loro leader, Antonio Guterres, Joe Biden, Emmanuel Macron, Ursula von der Leyen e Charles Michel, ha rafforzato nelle sue convinzioni e nei suoi piani di invasione il fornitore di gas e petrolio dell’Azerbajgian.

Dal canto suo, Vladimir Putin – la cosa si fa sempre più manifesta, come aveva fatto a suo tempo Stalin – gioca su più scacchiere: quella armena, di cui deve garantire – per convenzione bipartita – la sicurezza, l’altopiano ucraino, dove vincerà prima o poi (piuttosto tardi adesso), e l’altopiano internazionale avvicinandosi ad Azerbajgian, Turchia, Iran, Israele, Cina e India.

Lascia fare Aliyev. E gli avrebbe anche dato il via libera… Il 12 dicembre Aliyev ha deciso di prendere in ostaggio i 120.000 Armeni nel Nagorno-Karabakh. Blocca l’unico accesso: il Corridoio di Lachin. Ecco, di nuovo, totale macabro silenzio internazionale.

Dopo 20 giorni di blocco, a che punto siamo?

Da allora ci sono stati 2 decessi, decine di pazienti sono ora in una fase critica. Farmacie, negozi di alimentari, mercati, stazioni, negozi, ecc. non vengono più riforniti. Ulteriori informazioni sono state comunicate dal Ministro di Stato (l’equivalente di Primo Ministro) Ruben Vardanyan, il 29 dicembre: ” La realtà è che nel cuore dell’inverno, 120.000 persone non hanno carburante, medicine, cibo. La strada è bloccata, abbiamo diverse famiglie separate…”.

Da parte di Ilham Aliyev, come giustifica questo blocco illegale? Difficile per il leader brandire il suo segno ecologico, soprattutto quando sappiamo come sfrutta le sue risorse di gas e petrolio. Un’ecologia d’inganno, dunque. Per ingannare chi? L’Occidente, l’Unione Europea… E ora, con questi cosiddetti ecologisti al soldo del dittatore, tutto il pianeta, che sta soffocando a causa del riscaldamento globale, e che sta soffocando a causa dell’anemia delle sue democrazie e dei suoi valori.

Civiltà in pericolo?

Come si può immaginare un attivista ambientale che blocca 120.000 persone, bloccando il Corridoio di Lachin, l’unica via umanitaria attraverso la quale passano beni di prima necessità, con la motivazione che le miniere in questione appartengono all’Azerbajgian? L’Azerbajgian esiste solo dal 1918. E le terre armene del Nagorno-Karabakh esistono da almeno 2000 anni!

Questa manovra è così barbara, ingannevole e tirannica, che allo stesso tempo non ha nemmeno fatta arrabbiare la comunità internazionale. Come mai?

Ilham Aliyev andrà fino in fondo

Ha detto questa frase durante la guerra dei 44 giorni nel 2020: “Andrò fino in fondo”. Non va sottovalutato, tanto più che dietro di lui, o accanto a lui, ci sono Erdoğan e Putin.

A quali condizioni? Come il serpente che apre le fauci sulla sua preda, che soffoca, aprirà le sue fauci alle seguenti condizioni: che l’Artsakh rinunci alla sua repubblica e ritorni nella maledizione di Baku, dove gli Armeni del Nagorno-Karabakh (re)diventeranno cittadini di seconda classe, che subiscono ingiustizia dopo ingiustizia, pogrom dopo pogrom, violenza dopo violenza. E che l’Armenia abbandoni parte del suo territorio, che un tempo si estendeva da Beirut a Baku. La Turchia e l’Azerbajgian saranno così collegate direttamente. E il panturchismo (ri)nascerà, prima di diffondersi. Lì, Putin fischierebbe la fine del gioco…

Altrimenti? Nel 2023 ci saranno due nuove guerre: contro l’Artsakh, che perderà il 30% dei suoi territori rimanenti, e contro l’Armenia (a est e a sud).

Cosa fare?

La Francia è amica dell’Armenia da un millennio. È rimasta sua amica. Ma anche lei gioca a caldo e freddo. Con l’Artsakh è ancora più complicato. Emmanuel Macron, come aveva fatto con Vladimir Putin, alza il telefono, incontra gli aggressori (Azerbajgian e Turchia) e le vittime (Armenia e Artsakh). Si arrabbia un po’. Ma questo è tutto. Non invia armi. Non intraprende manovre militari congiunte con l’Armenia, che rimane appannaggio di Vladimir Putin. Non condanna.

L’ONU? Non c’è ancora una risoluzione per l’invio dei caschi blu delle Nazioni Unite, che in effetti cambierebbe la situazione. Nessuna condanna specifica.

Così, in Francia, artisti, autori, scrittori, giornalisti, politici, società civile, ecc., tutti si stanno mobilitando. Le firme dei forum indignati si moltiplicano e si susseguono. Ma le linee azere non si muovono. Il blocco c’è ancora.

Solo, alla spicciolata, Croce Rossa e veicoli russi riescono a passare… per curare le emergenze mediche. Ma questo è tutto.

Un premio Nobel per la pace a Erdoğan?

In queste condizioni, firmare contratti per il gas con il tiranno dell’Azerbajgian è un non-senso, peggio, abbandono, complicità, tradimento. L’Unione Europea scuote uno straccio rosso sopra la testa di Aliyev che si precipita sulle barelle dell’Artsakh e dell’Armenia. Il pubblico è senza parole. Pane, giochi e corruzione per le democrazie. La macchina per la stampa di denaro azera sta lavorando a pieno ritmo per innaffiare qualsiasi democratico compiaciuto…Un blocco, sangue e lacrime per gli Armeni. Fino a quando?

E Erdoğan che è candidato al Premio Nobel per la Pace? Come il piromane che accende un fuoco e si offre volontario per spegnerlo. Che sciocchezza, perché continua a negare il genocidio perpetrato dall’Impero ottomano contro 1,5 milioni di Armeni. Come ci siamo arrivati? Il fuoco cova nel mezzo dell’inverno.

Vent’anni fa, nell’ottobre del 2002, Jacques Chirac pronunciò questa frase: “La nostra casa sta bruciando e noi guardiamo altrove”. Questa volta non si tratta del tempo. Questi sono i popoli, la nostra civiltà, gli Armeni, che come gli Ucraini, gli yemeniti, ecc. vivranno il capodanno 2022 nella paura del domani. Alcuni moriranno, avranno lo stomaco vuoto. Mentre altri vomiteranno per la loro vigliaccheria e per i loro piatti di festa… E, nel 2023, la speranza ci sarà alla fine della strada per queste persone a tempo preso in prestito?

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI].

Foto di copertina: continua il blocco criminale azero che dal 12 dicembre isola 120.000 Armeni dell’Artsakh/Nagorno Karabakh, circondati dalle forze armate dell’Azerbajgian. Crisi umanitaria in atto – mancano cibo, medicine, carburante – sotto il silenzio colpevole dei media italiani per compiacere la lobby del dittatore guerrafondaio Ilham Aliyev. Sulla cartina in copertina il tracciato – (ancora) mancante sul territorio sovrano dell’Armenia, del cosiddetto Corridoio di Zangezur che rivendica Aliyev e isolerebbe l’Armenia dall’Iran. Nella cartina sopra, diffusa il 30 dicembre 2022 su Twitter da Nasimi Aghayev, Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, il tracciato è completato secondo i piani e le minacce di Aliyev