Incontro ministri della Difesa di Armenia e Russia: discussa la situazione in Nagorno-Karabakh (Sputniknews 13.12.20)

Il ministro della Difesa armeno Vagharshak Harutyunyan ha incontrato il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu per discutere gli ultimi sviluppi in Nagorno-Karabakh, ha detto domenica il ministero della Difesa armeno in un comunicato stampa.

“Harutyunyan, che è in visita di lavoro in Russia, ha discusso la questione con il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu”, si legge nel comunicato.

L’incontro è avvenuto dopo il primo scontro armato in Nagorno-Karabakh dalla dichiarazione di cessate il fuoco un mese fa.

Sabato, il ministero della Difesa armeno ha detto che l’esercito azero aveva attaccato i villaggi di Hin Tagher e Khtsaberd. Il ministero della Difesa azero ha descritto l’avanzata come una “operazione antiterrorismo”, aggiungendo che il cessate il fuoco, in cui le parti hanno concordato di fermare l’azione militare all’interno delle posizioni effettivamente occupate, sarebbe stato altrimenti rispettato.

I villaggi in questione appartengono alla regione meridionale di Hadrut nel Nagorno-Karabakh. L’Azerbaigian ha ottenuto il controllo della regione durante la caduta del conflitto armato, ma questi due villaggi sono rimasti controllati dalle forze armene.

Il comando delle forze di pace russe, schierate in Nagorno-Karabakh per monitorare la tregua, ha detto di aver informato sia Yerevan che Baku dell’inammissibilità delle violazioni del cessate il fuoco.

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Nagorno-Karabakh: Centemero-Capitanio (Lega), preoccupati da parole Erdogan-Aliyev. Governo italiano prenda posizione (Agenziastampaitalia.it 12.12.20)

ASI) Roma . – “Le dichiarazioni di Erdogan e del Presidente Aliyev, pronunciate durante la parata militare tenutasi a Baku, ci lasciano esterrefatti e molto preoccupati. E’ inammissibile che sia stato apertamente confermato l’appoggio militare e diplomatico della Turchia all’Azerbaijan sin dalle prime ore della guerra.

Da fonti diplomatiche si apprende anche che uno dei generali azerbaijani durante la parata avrebbe fatto il tipico saluto dei Lupi Grigi, gesto che indica l’appartenenza al movimento di cui faceva parte l’uomo che cercò di uccidere Giovanni Paolo II. Un attacco inammissibile nei confronti di tutti i cristiani e dei principi nei quali lo Stato italiano si è sempre identificato. Inoltre durante la parata Aliyev avrebbe rivendicato anche parti del territorio della Repubblica d’Armenia internazionalmente riconosciuta. Se tutto ciò fosse confermato, auspichiamo una presa di posizione da parte del governo italiano. Simili dichiarazioni sono inammissibili per i valori della nostra Repubblica e per rispetto di chi si è battuto per far valere i principi umanitari contro le mire espansionistiche neo ottomane di Erdogan, in spregio ai diritti civili anche dei suoi stessi cittadini”.

Lo dichiarano i deputati della Lega Giulio Centemero, Presidente della sezione Bilaterale di Amicizia Italia-Armenia e Massimiliano Capitanio, Presidente dell’Intergruppo di Amicizia Italia Armenia presso la Camera. 

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BINETTI: PROTEGGERE NAGORNO KARABAKH DALLE MIRE DI TURCHIA E AZERBAIJAN (DIRE 12.12.20)

Roma, 12 dic. – “Il 10 dicembre e’ l’anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo ed e’ ormai tradizione che in tutti i Paesi in cui si tutelano con crescente consapevolezza i diritti umani si svolgano varie celebrazioni per far crescere a livello personale e sociale la responsabilita’ con cui ognuno deve farsi testimone e custode di questa battaglia di pace. Proprio in occasione dell’ultimo anniversario della Dichiarazione, solo due giorni fa, si e’ tenuta a Baku, in Azerbaijan, la parata militare dedicata alla vittoria dell’Azerbaijan contro il Nagorno Karabakh nella guerra contro il popolo armeno che vive nel Nagorno Karabakh. Durante la parata militare, presieduta dai due Presidenti turco e azerbaijano, Erdogan ha apertamente confermato l’appoggio militare e diplomatico della Turchia all’Azerbaijan, facendo dichiarazioni minacciose nei confronti dell’Armenia e del popolo armeno. Aliyev, dal canto suo ha sottolineato come grazie all’appoggio della Turchia e’ stato possibile dimostrare che esiste una soluzione militare al conflitto e si e’ riferito all’Armenia, parlando dell’odiato nemico: La liberazione delle terre azere non significa la fine della lotta. La lotta in ambito politico e militare continuera’ su fronti molto diversi. Sull’altipiano caucasico, in altri termini, la pace appare sempre piu’ a rischio e il clima sociale sempre piu’ compromesso. L’Armenia sempre piu’ soffocata dalla alleanza turco-azera.” Lo sottolinea la senatrice Paola BINETTI, UDC, vicepresidente della Commissione speciale per i Diritti Umani del Senato. (SEGUE) (Com/Tar/ Dire) 10:39 12-12-20
-2- (DIRE) Roma, 12 dic. – “La Dichiarazione universale dei Diritti umani- continua- impone a tutti i Paesi che l’hanno sottoscritta una particolare attenzione nella tutela della Pace nel mondo intero, soprattutto in quelle zone calde in cui il rischio che i conflitti si riaccendano e’ sempre imminente. La pace e’ prerequisito essenziale perche’ ci sia un autentico sviluppo prima di tutto sul piano umano e poi su quello economico e tecnico-scientifico. Non c’e’ dubbio che corra davvero molti rischi il Nagorno Karabakh, enclave armena in una terra che gli azeri considerano loro, e la soluzione piu’ pacifica potrebbe essere solo quella di riconoscere una loro autonomia, come un piccolo Stato a statuto speciale e posto sotto la protezione dell’ONU. Soluzione gia’ presente negli accordi di Madrid, accettata dall’Armenia, ma mai rispettata dagli Azeri. Eppure questo e’ proprio il terreno essenziale in cui vanno fatti rispettare i diritti umani, per tutelare le persone dalla aggressivita’ insita nella legge del piu’ forte e in una logica darwiniana della politica. Per questo auspichiamo ancora una volta l’autonomia del Nagorno Karabakh e il rispetto dei trattati internazionali, a supporto dei paesi piu’ deboli”, conclude. (Com/Tar/ Dire) 10:39 12-12-20 NNNN

Nagorno-Karabakh: Preoccupati da parole Erdogan-Aliyev (La Presse 12.12.20)

Nagorno-Karabakh: Preoccupati da parole Erdogan-Aliyev pronunciate durante la parata militare tenutasi a Baku, ci lasciano esterrefatti e molto preoccupati. E’ inammissibile che sia stato apertamente confermato l’appoggio militare e diplomatico della Turchia all’Azerbaijan sin dalle prime ore della guerra. Da fonti diplomatiche si apprende anche che uno dei generali azerbaijani durante la parata avrebbe fatto il tipico saluto dei Lupi Grigi, gesto che indica l’appartenenza al movimento di cui faceva parte l’uomo che cercò di uccidere Giovanni Paolo II. Un attacco inammissibile nei confronti di tutti i cristiani e dei principi nei quali lo Stato italiano si è sempre identificato. Inoltre durante la parata Aliyev avrebbe rivendicato anche parti del territorio della Repubblica d’Armenia internazionalmente riconosciuta. Se tutto ciò fosse confermato, auspichiamo una presa di posizione da parte del governo italiano. Simili dichiarazioni sono inammissibili per i valori della nostra Repubblica e per rispetto di chi si è battuto per far valere i principi umanitari contro le mire espansionistiche neo ottomane di Erdogan, in spregio ai diritti civili anche dei suoi stessi cittadini”. Lo dichiarano i deputati della Lega Giulio CENTEMERO, Presidente della sezione Bilaterale di Amicizia Italia-Armenia e Massimiliano Capitanio, Presidente dell’Intergruppo di Amicizia Italia Armenia presso la Camera. POL NG01 acp 121649 DIC 20


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Nagorno-Karabakh:CENTEMERO-Capitanio,Governo si schieri
(ANSA) – ROMA, 12 DIC – “Le dichiarazioni di Erdogan e del
Presidente Aliyev, pronunciate durante la parata militare
tenutasi a Baku, ci lasciano esterrefatti e molto preoccupati.
E’ inammissibile che sia stato apertamente confermato l’appoggio
militare e diplomatico della Turchia all’Azerbaijan sin dalle
prime ore della guerra. Da fonti diplomatiche si apprende anche
che uno dei generali azerbaijani durante la parata avrebbe fatto
il tipico saluto dei Lupi Grigi, gesto che indica l’appartenenza
al movimento di cui faceva parte l’uomo che cerco’ di uccidere
Giovanni Paolo II. Un attacco inammissibile nei confronti di
tutti i cristiani e dei principi nei quali lo Stato italiano si
e’ sempre identificato. Inoltre durante la parata Aliyev avrebbe
rivendicato anche parti del territorio della Repubblica
d’Armenia internazionalmente riconosciuta. Se tutto cio’ fosse
confermato, auspichiamo una presa di posizione da parte del
governo italiano. Simili dichiarazioni sono inammissibili per i
valori della nostra Repubblica e per rispetto di chi si e’
battuto per far valere i principi umanitari contro le mire
espansionistiche neo ottomane di Erdogan, in spregio ai diritti
civili anche dei suoi stessi cittadini”.
Lo dichiarano i deputati della Lega Giulio CENTEMERO,
Presidente della sezione Bilaterale di Amicizia Italia-Armenia e
Massimiliano Capitanio, Presidente dell’Intergruppo di Amicizia
Italia Armenia presso la Camera. (ANSA).

Fino a quando Nato e Ue ignoreranno la radicalizzazione della Turchia? (Haffingtonpost 12.12.20)

Lasciamo perdere il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha altro a cui pensare, ma fino a quanto la comunità internazionale, le istituzioni europee e la Nato potranno continuare a ignorare il problema? Il problema è la crescente radicalizzazione religiosa della Turchia di Erdogan, la sua dichiarata vocazione imperiale, la sua minaccia di un nuovo genocidio nei confronti degli armeni. Ne abbiamo avuto ulteriore prova lo scorso 10 dicembre, quando, a Baku, il presidente turco e il suo omologo Azero hanno celebrato non l’anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma la loro vittoria contro il popolo armeno del Nagorno-Karabakh.

Ecco alcuni passaggi del discorso pronunciato da Erdogan: “Il popolo armeno dovrà capire che è impossibile ottenere qualunque cosa su istigazione degli imperialisti occidentali”, che poi saremmo noi, “Yerevan è azera”, “Turchia e Azerbaijan, con il permesso di Allah, supereranno le difficoltà e otterranno un successo ancora maggiore. Che Allah ci aiuti!”, “oggi è il giorno in cui si rallegrano le anime di Enver Pasha e i coraggiosi soldati dell’Esercito Islamico del Caucaso. … Oggi è un giorno di vittoria e orgoglio per tutti noi, per l’intero mondo turco”. Per la cronaca, Enver Pasha è stato uno dei principali artefici del genocidio degli armeni, popolo cristiano, realizzato dall’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916.

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La Russia chiede ad armeni e azeri di rispettare il cessate il fuoco nel Karabakh (Sputniknews 12.12.20)

Mosca ha chiesto alle parti in conflitto nel Nagorno-Karabakh di rispettare rigorosamente la tregua, ha detto ai giornalisti il portavoce del quartier generale delle forze di pace russe nella regione contesa.

Il giorno prima sono stati registrati scontri a fuoco nella zona di Hadrut. L’episodio è stato il primo caso di violazione del cessate il fuoco dal 10 novembre, quando è iniziata l’operazione di mantenimento della pace nel Karabakh.

In precedenza il ministero della Difesa armeno aveva sostenuto che Baku ha ripreso le operazioni militari in direzione dei centri di Khin Taglar e Khtsaberd.

Questi villaggi sono delle enclavi a controllo delle forze filo-armene, il resto della zona di Hadrut è ora sotto il controllo delle forze armate dell’Azerbaigian.

A sua volta le autorità azere hanno accusato Yerevan di provocazioni, sottolineando che l’Azerbaigian doveva prendere “misure adeguate” in risposta al fuoco. Allo stesso tempo, come affermato nel ministero della Difesa azero, “attualmente” si osserva il cessate il fuoco nella regione.

Come notato in precedenza nel bollettino del dicastero militare russo, le forze di pace nel Karabakh stanno monitorando la situazione 24 ore su 24 e controllano il rispetto del cessate il fuoco in 23 punti di osservazione. Nella regione prosegue il ritorno degli sfollati.

Tregua nel Nagorno-Karabakh

All’inizio di questo mese Yerevan e Baku hanno concordato la tregua nel Nagorno-Karabakh, ponendo fine alla guerra di sei settimane nella regione contesa. L’accordo ha comportato la perdita della maggior parte dei territori controllati dalle forze filo-armene del Karabakh e prevede il dispiegamento di un contingente militare di pace russo di 1.960 soldati.

Il ministero della Difesa russo aveva comunicato a novembre che più di 1.200 sfollati avevano fatto ritorno nel Nagorno-Karabakh dal territorio dell’Armenia sotto il vigile controllo dei soldati russi del contingente di pace.

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GEVORKYAN E IL PROGETTO GIOVANI: L’ACCADEMIA PRENDE FORMA (Sienaclubfedelissimi 11.12.20)

Prendono concretezza i progetti di Roman Gevorkyan, presidente del Siena e tra gli uomini chiave della holding che controlla, oltre i bianconeri, anche i lettoni della Dinamo Riga e gli armeni del Noah. Vi raccontavano dell’idea di Gevorkyan di dar vita a un’accademia per la crescita dei giovani calciatori armeni, un settore giovanile all’avanguardia che possa competere con quelli europei. Un’idea certamente ambiziosa che dovrebbe veder coinvolto anche il Siena: i migliori prospetti potranno vivere infatti un’esperienza proprio tra i club controllati dalla holding, incluse dunque anche Noah e Dinamo Riga, dando così continuità al lavoro fatto in accademia in una realtà professionistica.

Il tutto si è reso possibile grazie all’accordo quinquennale, con la possibilità di estendere la durata, tra il Noah e l’accademia calcistica Vagharshapat, un patto siglato col benestare della federazione calcistica armena. L’accordo è stato firmato tra il segretario generale della federazione armena Artur Azaryan e il direttore esecutivo del Noah Artur Sahakyan.

Secondo i patti, il Noah attuerà il proprio programma di investimenti nel giro di cinque anni. Nello specifico verrà implementato l’impianto di illuminazione dello stadio Vagharshapat Academy,  costruita una nuova tribuna con 1000 posti e installati due moderni tabelloni. Il Noah ha inoltre in programma di trasferire prossimamente la sede dei propri match interni alla Vagharshapat Academy.

“Aspettavamo questo momento da molto tempo. Fin dal primo giorno dalla sua fondazione, il Noah non si è prefisso solo di diventare il miglior club e sostenere lo sviluppo del calcio in Armenia, ma anche di aiutare migliaia di giovani talenti armeni nel diventare giocatori di livello mondiale”, ha detto dopo la stipula dell’accordo Artur Sahakyan, direttore esecutivo del Noah.

(Giacomo Principato)

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Diario del genocidio armeno (Ilgiornale.it 11.12.20)

Tra il 1915 e il 1916 ebbero luogo le deportazioni e le eliminazioni compiute dall’impero Ottomano, più note come il genocidio degli armeni.

Al pari di tutti i crimini contro l’umanità, anche questo Olocausto ha i suoi negazionisti. La questione è ancora d’attualità, ove si pensi che il governo turco di Erdogan non ammette che vi sia stato il genocidio, mentre in Francia è reato negarne l’esistenza. Sappiamo però per certo che esso costò al popolo armeno un milione e mezzo di morti e fu scatenato dall’ascesa al potere nell’impero ottomano dei «giovani turchi», i quali temevano un’alleanza armena coi nemici russi. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, i turchi compirono i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli. Continuarono nei giorni successivi: in un mese oltre mille intellettuali, tra giornalisti, scrittori, poeti, furono deportati nell’interno dell’Anatolia e massacrati. Il Maggiore Generale dell’impero Ottomano Friedrich Bronsart von Schellendorf, tedesco, è considerato l’iniziatore delle deportazioni. Le sue sinistre «marce della morte» sono la prova generale delle marce della morte naziste.

Esce in questi giorni Mia nonna d’Armenia di Anny Romand, con prefazione di Dacia Maraini e alcune struggenti foto d’epoca (La lepre, pagg. 128, euro 16; trad. Daniele Petruccioli). Riordinando le cose di famiglia, Anny Romand attrice, scrittrice e fotografa ha rinvenuto un diario di settanta pagine, scritto in armeno, francese e greco dalla nonna materna. In esso è descritto il viaggio terribile di un gruppo di donne e bambini armeni, costeggiando l’Eufrate, lungo le strade dell’Anatolia. Una «marcia della morte» raccontata da una vittima sopravvissuta. In quelle scarne paginette, Anny riconosce il racconto della nonna Serpouhi, ascoltato tante volte da piccola, contro il volere della madre. «Mia madre era molto contrariata quando ci trovava in lacrime, una nelle braccia dell’altra: la farai impazzire, questa bambina!».

Nessuno ascolta la nonna, quando racconta. Solo Anny. L’anziana donna nasce in una famiglia armena borghese di Samsun, sul Mar Nero e segue il padre in Palestina, ingegnere. Tornata in patria alla sua morte, è maritata a 15 anni a un turco di Trebisonda. Che si rivela un buon marito e a cui darà quattro figli. Due di questi sono vivi nell’aprile 1915, all’inizio del genocidio. Durante il quale vengono uccisi, prima il marito, poi la figlioletta di quattro mesi. Serpouhi è spinta a forza col figlio di quattro anni in una delle carovane della morte dirette a Sud. Le atrocità cui assiste sono inenarrabili: vede scaraventare nell’Eufrate due carretti pieni di bambini piccoli. Di fronte ai corpicini dei piccoli che annegano e ai carnefici che li guardano con sorrisi sarcastici, scrive in armeno: «Oh Dio mio, ti scongiuro lasciami vivere per vedere quegli infelici vendicati». Decide allora di lasciare suo figlio a una famiglia di sconosciuti contadini, per offrirgli una possibilità di sopravvivenza. Poi, scappa due volte, arriva sul Mar Nero, se ne sta nascosta due anni; va a Costantinopoli. Fa di tutto per ritrovare il figlio. Lo ritrova in un orfanotrofio nell’attuale Georgia.

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Nagorno Karabakh, l’Azerbaijan ‘sequestra’ la Storia armena. Ma non può distruggerne la memoria (Ilfattoquotidiano 11.12.20)

di Ani Vardanyan*

Abbiamo varcato la soglia del XXI secolo: noi cittadini del terzo millennio crediamo forse che nulla ormai possa stupirci. Eppure la storia si ripete ancora una volta e diventiamo testimoni dell’ennesima tragedia umana. Una tragedia che viene a bussare alle nostre porte travolgendo lo spazio che ci siamo ritagliati per isolarci da tutto ciò che non ci riguarda direttamente.

E anche questa volta possiamo fare la nostra scelta: restare indifferenti facendo finta di essere ignari di ciò che sta accadendo, oppure aprire gli occhi impegnandoci a fermare la politica “memoricida” delle autorità azere verso una delle civiltà più antiche del mondo, la civiltà armena.

In Azerbaijan, un paese dove l’odio verso l’etnia armena è la base della propaganda del regime, un paese dove seminare e alimentare odio verso il popolo armeno è quasi un dovere morale, la cancellazione di qualsiasi traccia della presenza armena nel territorio ha una lunga storia. Si tratta di un odio talmente forte che non ha voluto risparmiare migliaia di khachkar armeni (croci di pietra riconosciute Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco), sistematicamente distrutte negli anni 1998-2005 in Nakhichevan.

Ed è lecito domandarsi il perché di un tale odio verso il popolo armeno, che ha una presenza millenaria documentata da un immenso patrimonio culturale, storico, artistico e religioso nel territorio. Mentre il mondo civile si sveglia lentamente mostrando segni di preoccupazione in quel fazzoletto di terra chiamato Nagorno Karabakh, è già ripartito il ‘genocidio culturale’ messo in atto dalle autorità azere.

Il ministro della cultura azero Amar Karimov che dovrebbe garantire la protezione dei monumenti armeni è impegnato direttamente nella falsificazione della storia che riguarda il patrimonio artistico-religioso armeno. Oltre ai recenti atti vandalici compiuti verso le chiese armene, come nel caso delle due chiese di Shushi (San Salvatore e San Giovanni Battista), si assiste ancora una volta ad una inaccettabile falsificazione dei fatti storici.

Nel quadro dell’iniziativa Let’s get to know our Christian heritage che da come presentata “mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’antico patrimonio cristiano dell’Azerbaijan” diventa evidente come l’Azerbaijan si appropri dei monumenti armeni negando la loro vera origine e attribuendoli all’Albania Caucasica.

Si tratta di un modus operandi accurato e ben elaborato: cancellare le prove, negare l’evidenza dei fatti, creare una storia fittizia e infine fare propaganda. Una tale politica ha delle radici molto profonde. Un esempio calzante può essere la chiesa armena a Nij, “restaurata” nel 2004 mentre vennero cancellate le iscrizioni in lingua armena che ne confermavano l’origine appunto armena.

È doveroso notare che lo sforzo delle autorità azere di creare una storia fittizia spesso sfidi la fantasia umana, come nel caso di Dadivank, un monastero di inestimabile valore architettonico ed artistico dove si trovano le reliquie di San Dadi, discepolo di San Giuda Taddeo. Secondo il ministro Karimov che ne parla personalmente sul social network si tratterebbe di “uno dei migliori testimoni della civiltà dell’antica Albania Caucasica”.

L’Azerbaijan passa dalle parole alle azioni con una velocità frenetica. Pochi giorni fa nella chiesa di Dadivank è stata celebrata una messa da un gruppo di religiosi di nazionalità udi (una popolazione antica del Caucaso di religione cristiana).

L’archeologo e storico Hamlet Petrosyan scrive: “Tranne circa 100 iscrizioni in lingua armena presenti in Dadivank risalenti ai sec. XII-XVII non esiste una sola lettera in un’altra lingua” e aggiunge che quello che sta facendo l’Azerbaijan “non è altro che un atto di sequestro forzato del patrimonio culturale-religioso dai suoi creatori, un evidente genocidio culturale”.

L’Azerbaijan è disposto a creare dal nulla storie inesistenti per centinaia di siti archeologici, chiese, complessi monastici, fortezze, monumenti, cimiteri attribuendo la loro appartenenza a qualsiasi civiltà purché non sia quella armena. È una rete tessuta per anni con l’unico obiettivo di cancellare qualsiasi traccia armena nel territorio.

Goebbels, esponente di spicco del nazismo tedesco, diceva: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà realtà”. Probabilmente ne sono sicure anche le autorità azere e non vi è nulla di più triste di questo. Non per caso le immagini dei monumenti armeni pubblicate sui social network sono spesso accompagnate dall’hashtag #dontbelieveArmenia, che viene a confermare la loro volontà di sfidare la Storia.

Ed è un dispiacere profondo ma sincero che si prova per il popolo azero, intrappolato nella falsità, vittima di una visione distorta della realtà creata dal regime. Sarebbe ridicolo se non fosse infinitamente tragico il disperato sforzo del governo azero di cancellare qualsiasi prova della presenza armena nel territorio. L’Azerbaijan sembra incapace di rendersi conto che si può distruggere solamente ciò che di materiale è fatto, ma mai la conoscenza e la memoria tramandata attraverso la storia.

*Docente di lingua italiana all’Università Brusov di Yerevan e all’Università Americana in Armenia, collabora per alcune testate armene e italiane

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Armeni in subbuglio, dopo la sconfitta nel Karabakh (Asianews)

L’Artsakh minacciato di genocidio culturale (Dopiozzero 11.12.20)

Il 9 novembre, a seguito di una guerra di quarantatré giorni, l’Armenia e l’Azerbaigian hanno concluso, sotto l’egida della Russia, un accordo di cessate il fuoco che detta condizioni capestro alla parte armena. Dopo aver perso diverse migliaia di vittime militari e civili, la repubblica autoproclamata dell’Artsakh (Nagornyj Karabakh) ha dovuto rinunciare all’ottanta percento del suo territorio. Ben oltre cinquantamila persone sono costrette oggi ad abbandonare i loro paesi, chiese e monasteri. Con questo esilio forzato, essi non solo temono di non poter rivedere mai più le proprie case e i propri santuari, ma addirittura di condannarli alla distruzione e allo scempio.

Quale sarà il destino del patrimonio plurimillenario armeno sotto il controllo dell’Azerbaigian?

Mentre l’Azerbaigian si prepara a occupare un territorio punteggiato da migliaia di monumenti medievali e tardo-antichi armeni, i dirigenti azerbaigiani, sostenuti dalla comunità academica del proprio paese, difendono pubblicamente due tesi revisioniste che mirano a negare agli armeni autoctoni il diritto di vivere sulle loro terre ancestrali, nonché a cancellarvi ogni segno visibile della memoria storica armena. La prima tesi poggia sull’idea che il popolo azerbaigiano turcofono e sciita discenda direttamente dall’antico regno dell’Albania del Caucaso, mentre la seconda sostiene che l’insieme dei monumenti cristiani situati sul territorio della Repubblica autoproclamata dell’Artsakh, non diversamente da quelli situati nel territorio dell’Azerbaigian, siano monumenti albanesi.

 

Mappa della regione.

 

Se osserviamo la mappa del Caucaso del sud – il territorio che si stende a sud della catena del Grande Caucaso tra il mar Nero e il mar Caspio – notiamo un netto confine geografico che divide l’ultima propaggine orientale del Piccolo Caucaso, la quale scende ripidamente verso il fiume Kur, e le pianure che si estendono a est fino alla costa caspiana. L’antica regione armena di Artsakh (l’estremità orientale dell’Armenia storica) occupa proprio quei monti che sovrastano la valle del Kur, l’antica frontiera con l’Albania del Caucaso. Il territorio di questo antico regno cristiano – da non confondere con l’Albania nei Balcani – coincideva in gran parte con quello dell’attuale Azerbaigian, in particolare con le pianure della riva sinistra del fiume Kur, estendendosi fino al litorale del Daghestan meridionale. La popolazione di questo regno aveva origini eterogenee e fino all’alto Medioevo parlava diverse lingue caucasiche del Nordest e iraniane.

 

La storia dell’Armenia e dell’Albania del Caucaso furono strettamente legate a partire dalla cristianizzazione dei due regni avvenuta all’inizio del quarto secolo. Secondo Koriùn (442-48) e altre fonti armene, all’inizio del quinto secolo il dotto Mashtòts (362-440) inventò non soltanto un alfabeto armeno, ma anche uno albanese per la lingua dominante di questo regno, una lingua di origine caucasica nordorientale. Le lettere albanesi e il loro valore fonetico ci erano già conosciuti da un manoscritto armeno del 1442, mentre la scoperta nel 1996 di palinsesti con testi albanesi offrì un’inattesa conferma al racconto dello storico armeno. Il deciframento dei palinsesti ha permesso, inoltre, ai filologi di leggere sette iscrizioni albanesi, estremamente frammentarie, rinvenute precedentemente sul territorio dell’Azerbaigian (vedere lo studio di Jost Gippert qui). I legami durevoli tra l’Armenia e l’Albania del Caucaso possono anche essere osservati nei resti delle più antiche chiese albanesi che dimostrano profonde affinità con l’architettura ecclesiastica armena.

 

Monastero di S. Taddeo, o Dadivankʽ (seconda metà del XII-XIII secolo), Artsakh (foto: Artsakh Press Agency).

 

Contrariamente all’Armenia montagnosa, caratterizzata da un terreno accidentato, l’Albania del Caucaso, geograficamente facilmente accessibile e percorribile, fu largamente islamizzata dagli arabi già prima della fine dell’VIII secolo. Di conseguenza, la lingua albanese gradualmente svanì, mentre l’armeno diveniva la lingua dominante di tutte le popolazioni cristiane che rimanevano ancora sull’antico territorio dell’Albania, fossero esse di origine armena, albanese o altre, caucasiche o iraniane. Con la dominazione islamica sul mondo delle pianure che si stendono a oriente del Piccolo Caucaso, le inaccessibili gole dell’Artsakh divennero rifugio per cristiani di varie origini.

 

Quando, verso la fine del decimo secolo, tribù turcomanne e turche cominciarono a penetrare nel Caucaso del sud, esse non vi incontrarono, secondo ogni verosimiglianza, abitanti che scrivessero ancora l’albanese. Gli scambi tra i turchi e gli armeni furono, invece, intensi, come testimoniano i prestiti armeni relativi alla religione, a diverse attività professionali e alla famiglia in azerbaigiano e in turco, per esempio torǝn → torun (nipote), orinak → örnek (esempio), xač → haç (croce). Fu in ambienti urbani armeni che i turchi appresero anche le tecniche di costruzione.

 

Dadivankʽ, iscrizione murale (foto di Hamlet Petrossyan).

 

Per tutto il Medioevo, e addirittura fino a tempi recenti, l’armeno è stato una lingua di scambi economici e culturali attraverso diverse frontiere politiche e religiose, interessando un’area estesa. Ancora oggi a Tbilisi, in Georgia, si possono incontrare georgiani, cristiani siriaci ed ebrei che hanno una perfetta padronanza dell’armeno, mentre nella regione di Urmia (Orumiyeh), in Iran, vivono curdi e cristiani siriaci che conoscono questa lingua. L’armeno è conosciuto dai cristiani siriaci anche di altre regioni del Vicino Oriente, come per esempio Aleppo e la Siria.

 

Una guerriglia storiografica  

 

La teoria secondo la quale l’Azerbaigian rappresenterebbe l’erede diretto dell’Albania del Caucaso fu elaborata in epoca sovietica, nel suo peculiare contesto sociale e culturale. Mentre alle nazioni che componevano l’Unione sovietica era proibito dare una dimensione politica alle loro identità, queste nazioni potevano, sotto certe condizioni, esplorare e coltivare il loro passato, e in particolare l’archeologia, l’architettura, la linguistica e il folclore. Talvolta i popoli sovietici venivano addirittura sollecitati a scoprire le antiche civiltà sul territorio delle loro Repubbliche. Un lungo «processo storico» doveva dimostrare, per ciascuna nazione, l’inesorabile susseguirsi di fasi di sviluppo politico, un percorso in ogni caso coronato dalla rivoluzione socialista e dalla costruzione del comunismo sotto la guida del popolo russo.

 

Il passato di ciascuna di esse, nondimeno, doveva essere ben distinto: vi erano, quindi, un’archeologia armena, una georgiana, una azerbaigiana, una turkmena e così via. La collaborazione tra Repubbliche vicine non era incoraggiata, perché il ruolo di mediatore e l’egemonia culturale erano prerogativa della Russia e del popolo russo. Per questo motivo, con la dissoluzione del regime sovietico e con la perdita di controllo da parte di Mosca sull’insieme del territorio sovietico nella seconda metà degli anni Ottanta, le Repubbliche si trovarono sprovviste di istituzioni e di pratiche di mediazione e di dialogo, che avrebbero consentito una collaborazione per il superamento di dissidi culturali e politici con i loro vicini.

 

La chiesa di Ciceŕnavankʽ (fondazioni dei secc. V-VI, basilica attuale dell’XI-XII secolo), Artsakh (foto dell’autore).

 

Durante il periodo trascorso sin dalla formazione dell’Unione sovietica all’inizio degli anni Venti del secolo scorso, le Repubbliche sovietiche avevano sviluppato tradizioni storiografiche idiosincratiche. Mentre l’Armenia e la Georgia rivaleggiavano tra loro, confrontando racconti concorrenti che risalivano all’inizio del primo millennio prima della nostra era, il loro vicino Azerbaigian, che era un’entità politica recente e portava addirittura un nome che prima del 1917 aveva designato soltanto il territorio a sud del fiume Arasse (cioè, oltre i confini sovietici), si sforzò di elaborare, mimeticamente, una storiografia autoctona che identificava come suo antenato diretto l’Albania del Caucaso. Questa teoria fu sviluppata nelle numerose pubblicazioni di Ziya Buniyatov (1923-1997), riconosciuto come padre della storiografia azerbaigiana, e, più recentemente, di Farida Mamedova. Questa teoria dotava gli azerbaigiani di un’identità autoctona antica, seppure cristiana. Diversi storici russi e occidentali hanno dimostrato a più riprese che Buniyatov falsificava sistematicamente le sue citazioni e le sue traduzioni.

 

Chi può rimproverare a un popolo di volere vedere riconosciuta come propria la storia della terra in cui vive, e dunque anche delle sue civiltà antiche? In una certa misura, non ereditiamo tutti il remoto passato del paese in cui abitiamo, qualunque esso sia? La fonte della nostra preoccupazione per il Caucaso del sud è altrove, e cioè nel fatto che l’Azerbaigian non abbia mai voluto riconoscere che, rivendicando un passato albanese, adotta, implicitamente, un passato armeno. Non soltanto le antiche chiese costruite sul territorio dell’Azerbaigian portavano una volta delle iscrizioni e dei simboli armeni (molti di essi furono documentati prima che venissero distrutti), ma anche la storia dell’Albania cristiana ci è conosciuta quasi esclusivamente da fonti scritte armene, e in particolare dalla Storia dell’Albania del Caucaso composta in armeno alla fine del X secolo da Movsês Kałankatuatsì. I riferimenti che questo autore fa alle vicissitudini dell’Albania e dell’Armenia, come anche la geografia mentale che riusciamo a scorgere nella sua opera, non ci lasciano alcun dubbio sul fatto che egli fosse un armeno.

 

Ammettere che il vicino cristiano e armeno fosse stato il canale di trasmissione dell’eredità lasciata sul territorio dell’Azerbaigian da una civiltà scomparsa, quella dell’Albania del Caucaso, non è mai stato accettabile per il governo o per il mondo accademico dell’Azerbaigian. Di conseguenza, il testo armeno della Storia dell’Albania – l’unico che possediamo – è stato dichiarato dagli azerbaigiani non attendibile perché corrotto dagli armeni, che sono anche stati accusati di averne distrutto l’originale (come emerge nel testo di Buniyatov, Azerbaigian dal secolo settimo al secolo nono, Baku, 1965, scritto in russo). Non è questa la sede per approfondire il tema, ma sono chiare le radici etnico-religiose del mimetismo storiografico a cui abbiamo accennato, del disprezzo per gli armeni da parte degli azerbaigiani e dell’accusa di «corrompere» i libri rivolta ai cristiani.

 

Le conclusioni a cui ci conducono queste brevi osservazioni sono ovvie: una chiesa armena senza iscrizioni armene, senza croci e senza iconografia (scolpita o murale) distintamente armena, e addirittura senza decorazioni rassomiglianti alle stele in pietra armene (i khachkar, croci in pietra accompagnate da elaborati disegni decorativi) conforterebbe la mitologia azerbaigiana relativa alla storia della regione: un’Albania del Caucaso senza legami con l’Armenia. Una civiltà cristiana morta è, quindi, preferibile a una cristianità vivente. Quando il presidente Ilham Aliyev e altri dirigenti azerbaigiani dichiarano oggi la loro intenzione di «conservare i monumenti storici cristiani» sui territori conquistati, essi progettano in realtà un vasto programma di genocidio culturale. Per non attirare l’attenzione della comunità internazionale, questo programma rischia di essere messo in atto a tappe, coinvolgendo inizialmente chiese e cimiteri medievali meno noti. Monumenti che raccontano la storia di un mondo che si espandeva una volta dalla catena del Grande Caucaso fino al Mediterraneo corrono quindi il pericolo di essere annientati.

 

Chiesa armena della Madre di Dio, XVII secolo, al centro di Baku (foto: Geçmişten Günümüze Ermeniler).

 

Per decenni, lettere albanesi sono state cercate invano in Azerbaigian nelle iscrizioni armene scolpite sulle chiese e sulle stele. Tali monumenti sono situati sia negli antichi siti albanesi (sulla riva sinistra del Kur), sia negli antichi siti armeni (sulla sua riva destra). Ormai da anni, non appena l’identità armena di una iscrizione è accertata, essa viene immediatamente cancellata. In questo modo, durante gli ultimi tre decenni, sul territorio dell’Azerbaigian sono scomparse innumerevoli iscrizioni e croci scolpite (come documenta Argam Ayvazian, The Historical Monuments of Nakhichevan, Wayne State University Press 1990).

 

Mentre gli armeni oggi abbandonano le loro chiese ed esumano i loro morti, per paura che loro tombe siano profanate come avvenne una quindicina d’anni a Baku, dove le pietre tombali del cimitero armeno furono usate per la costruzione di un’autostrada, possiamo leggere in diversi media azerbaigiani le promesse fatte da personalità pubbliche di questo paese riguardo ai monumenti armeni dell’Artsakh: non appena essi se ne impadroniranno, «verificheranno», finalmente, la loro autenticità! Pochi dubbi sussistono quanto alla natura, agli scopi e ai risultati di una tale «verifica», che ricorda quegli «studiosi del giudaismo» che, nella Germania nazista, pretendevano di salvare antichità ebraiche dalle mani di ebrei vivi. Tutto ciò che non corrisponde al mito ufficiale dell’Azerbaigian può essere dichiarato falso e, quindi, distrutto.

 

L’attaccamento degli armeni alla piccola regione dell’Artsakh – attribuita nel 1921 all’Azerbaigian da Stalin dietro pressioni della Turchia – difficilmente può essere considerato come la rivendicazione della «Grande Armenia» che i turchi e gli azerbaigiani spesso abusivamente imputano agli armeni. A differenza dall’Armenia occidentale, oggi in Turchia, dove quasi ogni traccia della millenaria presenza culturale degli armeni è stata cancellata nel corso del secolo scorso, l’Artsakh rimane l’ultima scheggia di un mondo dove il legame vivente tra gli abitanti e la terra, il suo paesaggio, la sua antica topografia, i suoi santuari ha resistito malgrado tutto. Un legame che leggiamo sui volti di decine di migliaia di persone che si separano oggi dalle chiese e dai monasteri dove loro e i loro antenati hanno pregato per secoli.

Spetta a tutto il mondo civile mobilitarsi per evitare queste perdite – legami insostituibili al nostro comune passato.

Il 4 di dicembre è stata consegnata alla Segreteria di Stato della Sante Sede una petizione firmata da oltre 160 accademici provenienti da ventitré paesi (studiosi dell’Armenia, della Georgia e del Caucaso, storici dell’arte e architetti) con l’appello urgente di difendere i monumenti armeni sul territorio del Nagornyj Karabakh da ogni manomissione.

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