Ginnastica, Artur Davtyan strozza l’urlo a Carlos Yulo: Campione del Mondo al volteggio, Armenia in festa (Oasport 06.11.22)

Artur Davtyan si è laureato Campione del Mondo al volteggio. L’armeno ha trionfato con pieno merito a Liverpool, regalando due salti superlativi e meritando ampiamente la conquista del primo titolo iridato della carriera. Il 30enne nativo di Yeravan, medaglia di bronzo proprio alla tavola alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e argento agli Europei tre mesi fa, ha stoppato brillantemente il Dragulescu (15.000 con un decimo di penalità per un’uscita di pedana) e poi è stato magistrale con il salto avanti teso con due avvitamenti e mezzo (15.100). L’allievo di Hakob Serobvyan, già Campione d’Europa al cavallo nel 2021, si è imposto con l’eccezionale media di 15.050: si è presentato in pedana per penultimo e ha fatto saltare il banco, strozzando in gola l’urlo di gioia al filippino Carlos Yulo.

Il Campione del Mondo uscente sembrava avere in mano la conferma dopo essersi esaltato con il Dragulescu (15.500) e con il Kasamatsu con tre avvitamenti (14.900), ma la media di 14.950 gli è bastata soltanto per mettersi al collo la medaglia d’argento. Il 22enne, deluso per la caduta che ieri gli ha impedito di vincere al corpo libero, ha mancato l’appuntamento con il terzo sigillo iridato della carriera (è stato anche Campione del Mondo al quadrato nel 2019) ma porta a casa il quinto alloro complessivo nella massima competizione internazionale (a dimostrazione della sua completezza va ricordato l’argento alla paralele pari conquistato dodici mesi fa).

A completare il podio è stato l’ucraino Igor Radivilov (14.733), alla quarta medaglia mondiale al volteggio (argenti nel 2014 e nel 2017, bronzo nel 2019). Il 30enne ha preceduto il rumeno Gabriel Burtanete (14.533) e il brasiliano Caio Souza (14.416), poi a seguire il sudcoreano Junho Lee (14.216).

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Rosa Linn, dall’Eurovision al successo mondiale (rockol.it 06.11.22)

La sera della finale dell’Eurovision Song Contest 2022, lo scorso maggio, Rosa Linn e la delegazione armena della kermesse avevano lasciato il PalaAlpitour di Torino con l’amaro in bocca. Non che “Snap”, tra folk nordico e indie, avesse chissà quali chance di competere con i favoritissimi musicisti ucraini della Kalush Orchestra e della loro “Stefania”, con il carisma del britannico Sam Ryder e della sua “Space man” o con l’esplosività della spagnola Chanel e della sua “SloMo”, finiti rispettivamente primi, secondo e terza in classifica.

Ma dall’esito finale della somma tra i voti delle giurie nazionali e del televoto si aspettavano forse qualcosina in più che un deludentissimo sestultimo posto in classifica. Mai avrebbero immaginato che in una manciata di settimane “Snap” si sarebbe rivelata .la vera hit dell’edizione 2022 della manifestazione continentale.

A più di cinque mesi dall’Eurovision, “Snap” di Rosa Linn è tra le 50 canzoni più ascoltate a livello globale su Spotify ogni giorno. Il singolo, che si è aggiudicato un Disco d’oro in Italia, uno in Portogallo, uno in Spagna, uno in Svizzera e uno in Svezia, oltre che un Disco d’argento nel Regno Unito per l’equivalente di oltre 200 mila copie vendute, conta la bellezza di 279,4 milioni di ascolti nel mondo dal giorno della sua uscita, il 19 marzo scorso, due mesi prima della partecipazione della cantautrice armena, classe 2000, alla kermesse.

Come è possibile? “Controllavo gli streams delle mie canzoni su Spotify ogni giorno, come fanno tutti gli artisti. Ad un certo punto .ho cominciato a notare che arrivavano delle notifiche su TikTok, dove le persone avevano cominciato a usare la mia canzone nelle loro clip. Il numero di streams ha cominciato così a crescere giorno dopo giorno. Attualmente fa una media di 2 milioni di ascolti al giorno. La cosa più pazza è stata vedere ‘Snap’ comparire tra le prime 40 posizioni della classifica americana di Billboard”, ha raccontato Rosa Linn, vero nome Rosa Konstandyan, in un’intervista concessa al portale dell’Eurovision.

Nessuna delle canzoni in gara all’Eurovision quest’anno si avvicina a “Snap”, su Spotify, in termini di streams globali. “Stefania” dei Kalush Orchestra, vincitori della manifestazione, ha appena 39,6 milioni di ascolti. “Space man” del secondo classificato Sam Ryder conta 40 milioni di streams. “SloMo” di Chanel, medaglia di bronzo, ha da poco superato i 50 milioni. “Brividi” dei “nostri” Mahmood e Blanco, che nella classifica finale dell’Eurovision non sono riusciti a spingersi oltre il sesto posto, ha 115 milioni di streams: “L’Eurovision è uno dei ricordi più teneri che ho. Ho amato quella esperienza, ogni secondo lì è stato incredibile. È stata come una favola: da musicista donna cresciuta in Armenia, tra mille difficoltà, mi sono ritrovata catapultata lì. Quando è così ti senti una rockstar: tutti ti amano, tutti cantano la tua canzone”. Oggi su Spotify Rosa Linn vanta 25,4 milioni di ascoltatori mensili: tanti quanti quelli dei Maneskin, che trionfarono sul palco della manifestazione continentale l’anno scorso con la loro “Zitti e buoni”. “È una delle migliori piattaforme per nuovi artisti come me”, aggiunge la cantautrice.

Cresciuta a Vanadzor, una piccola città “con visioni rigorosamente conservatrici”, come spiega lei, Rosa Linn suona il piano da quando aveva sei anni. A 13 anni partecipò allo Junior Eurovision Song Contest con “Gitem”: “A otto anni avevo una chitarra di plastica. Facevo finta di suonarla. Guardavo la parete della mia cameretta e fingevo di avere davanti il pubblico. Ho sempre fatto tutto da sola, organizzavo i concerti senza il supporto di sponsor. Avevo paura, ma non ho rinunciato al mio sogno ‘Snap’ è un invito ad andare avanti, senza fossilizzarci su chi ci ha fatto soffrire, lasciandoci il dolore alle spalle.

Tra le righe della canzone emerge tutto l’amore per la vita, l’euforia la gioia che ci danno le nostre passioni”. Quella cameretta l’ha ricreata sul palco del PalaAlpitour di Torino, durante la sua performance all’Eurovision: “Nelle interviste dicevo che il mio sogno era quello di essere ricordata con questa canzone, nella speranza che potesse avere una vita anche fuori dall’Eurovision: raccontare una storia a tante persone e farlo anche oltre quel contesto”. È quello che è successo.

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Armenia. Il platano dell’Artsakh illumina la nostra terra desolata (Tempi 04.11.22)

L’Occidente non dice una parola, non informa nessuno sui crimini di guerra perpetrati dalle milizie di Aliyev. Tu che mi leggi, sai qualcosa della orribile sorte delle donne-soldato armene, fatte prigioniere?

Araksia, una carissima professoressa di Erevan deve aver scoperto chi è il Molokano e dove abita. Mi ha recapitato, tramite mani amiche, nella rustica dimora da cui scorgo il lago di Sevan guizzante di trote – e che gli azerbaigiani e i turchi vorrebbero annettere all’impero neo-ottomano in fieri –, un segno, un soffio dello Spirito Santo che ha portato via le nubi nere dalla mia mente stanca di produrre scenari di desolazione e di nuovo genocidio. Ha fatto battere il cuore non più per il desiderio di cavarmela o peggio di vendetta, ma inondandomi di pace, che sarà il nostro destino finale, qualunque cosa accada.

Grazie Araksia. Sono stanco di essere profeta di sventura. Ma non potevo astenermi. Era troppo evidente quel che sarebbe successo. L’aggressione dell’Azerbaigian, contro non più soltanto l’Artsakh ma invadendo il territorio stesso della Repubblica d’Armenia, era nelle cose. Non mentano gli analisti occidentali pagati per disegnare l’evoluzione geopolitica delle forze ca…

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Da Venezia nuovi voli verso l’Armenia (Veneziatoday 04.11.22)

Wizz Air ha annunciato il lancio di 3 nuove rotte in partenza dagli aeroporti di Venezia e Verona, generando nuove opportunità di viaggio a basso costo per tutti i clienti italiani. Per quanto riguarda lo scalo Marco Polo, dal 12 gennaio sarà possibile raggiungere Erevan, elegante capitale dell’Armenia, grazie a un nuovo collegamento a frequenza bisettimanale.

Nuovi voli da Venezia e Verona

Inoltre, dal 14 gennaio e per tutta la stagione invernale, saranno attivate altri due nuove rotte che collegheranno l’aeroporto Valerio Catullo alle città polacche di Danzica e Poznań. Le nuove rotte rappresentano un’importante aggiunta al portfolio di destinazioni della stagione invernale 2022-2023 della compagnia aerea. «Questi annunci, – dichiara Paulina Gosk, corporate communications manager del vettore – dimostrano come Wizz Air si impegni quotidianamente per offrire a tutti i suoi passeggeri sempre più rotte internazionali e opportunità di viaggio a basso costo».

«Siamo entusiasti – aggiunge – di queste integrazioni alla nostra offerta: non vediamo l’ora di accogliere i passeggeri italiani a bordo dei nostri aerei per guidarli verso mete unica dove poter dimenticare lo stress della vita quotidiana e godere appieno delle meraviglie che le caratterizzano».

La comunità cristiana degli Emirati Arabi Uniti, tra varietà etniche, liguistiche e confessionali (Wam.ae 03.11.22)

Di Binsal Abdulkader ABU DHABI, 2 novembre 2022 – Più di 40 chiese negli Emirati Arabi Uniti riflettono molti elementi visibili e invisibili delle tante comunità cristiane negli Emirati Arabi Uniti.

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Due chiese per una comunità armena di 10.000 persone

Sebbene la maggior parte delle piccole comunità cristiane svolga i propri servizi negli edifici ecclesiastici di altre comunità di spicco, gli armeni sono un’eccezione. In confronto a una piccola comunità cristiana di circa diecimila membri negli Emirati Arabi Uniti, gli espatriati armeni hanno stabilito due chiese indipendenti – una ad Abu Dhabi e l’altra a Sharjah.
La prima Chiesa armena è stata aperta a Sharjah nel 1998 e la seconda è stata aperta ad Abu Dhabi nel 2014. Appartenente alla famiglia ortodossa, il capo supremo della chiesa è il Catholicos Aram I Keshishian, Catholicos della Santa Sede di Cilicia, con sede ad Antelias, Libano.
“Le nostre chiese riflettono i valori molto apprezzati degli Emirati Arabi Uniti di tolleranza e convivenza religiosa. Il nostro capo supremo la chiama “l’unità degli Emirati Arabi Uniti nella diversità”, dice a WAM il vescovo Mesrob Sarkissian, prelato degli Emirati Arabi Uniti presso la Chiesa armena.
Gli armeni hanno iniziato a venire negli Emirati Arabi Uniti dagli anni ’60 e avevano l’abitudine di condurre la messa nella Chiesa cattolica o nella chiesa anglicana fino a quando non sono state costruite le chiese armene, afferma il vescovo che aveva raggiunto gli Emirati Arabi Uniti nel 2013.
Ora alcune piccole comunità cristiane che non possiedono edifici ecclesiastici stanno svolgendo il loro servizio presso la chiesa armena, dice.
“Siamo felici che tutte le comunità cristiane, grandi o piccole che siano, abbiano il privilegio di avere preghiere in un ambiente pacifico negli Emirati Arabi Uniti”, sottolinea il vescovo

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«Hanno venduto l’Armenia per interesse» (Tempi 02.11.22)

«Per Azerbaigian e Turchia siamo un cancro e non si fermeranno finché non ci avranno eliminati. Ma noi siamo un argine: se cadiamo, l’Europa sarà islamizzata». Intervista al vescovo Abrahamyan

Oltre 200 morti, 7.600 sfollati, più di 200 case distrutte, torture e sevizie inflitte ai soldati armeni catturati. Sono le sofferenze inferte all’Armenia dall’Azerbaigian, che il 13 settembre ha iniziato una feroce campagna di bombardamenti, durata tre giorni, contro Erevan, l’offensiva più grave dalla fine della guerra del 2020. L’attacco, condotto con l’artiglieria e i droni turchi Bayraktar Tb2, ha portato l’esercito azero a conquistare dieci chilometri quadrati di territorio armeno, prima che la Russia riuscisse a negoziare con le parti un fragile cessate il fuoco.
Anche se all’ombra dell’Ararat è tornata la calma, l’Azerbaigian sta ammassando truppe lungo i confini a est, nei territori del Nagorno-Karabakh conquistati due anni fa, e nella Repubblica autonoma di Nakhichevan, l’exclave azera a ovest dell’Armenia. Tutto fa pensare che un nuovo tentativo di invasione potrebbe partire presto e Vrtanes Abrahamyan non ne sarebbe affatto stupito. Il vescovo della Chiesa apostol..

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A Sochi, l’Armenia e l’Azerbajgian hanno dichiarato di “non usare la forza” per risolvere i conflitti (Korazym 02.11.2)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.11.2022 – Vik van Brantegem] – Lunedì 31 ottobre 2022, il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, e il Presidente azero, Ilham Aliyev, si sono incontrati per più di due ore a Sochi, nella Russia meridionale, con il Presidente russo, Vladimir Putin, per discutere sull’attuazione delle dichiarazioni trilaterali del 9 novembre 2020 (sul cessate il fuoco e la cessazione di tutte le ostilità nella zona del conflitto dell’Artsakh/Nagorno Karabakh nella guerra dei 44 giorni [1]), dell’11 gennaio 2021 (sullo sblocco di tutti i collegamenti economici e di trasporto nel Caucaso meridionale [QUI]) e del 26 novembre 2021 (sull’attuazione delle due dichiarazioni precedenti [QUI]).

Putin ha ringraziato Pashinyan e Aliyev per aver accettato il suo invito di venire a Sochi e per i colloqui. Ha aggiunto che la Federazione Russa continuerà a compiere ogni sforzo per raggiungere la pace e la stabilità nel Caucaso meridionale.

Prima dell’incontro trilaterale, il Presidente russo ha avuto un incontro faccia a faccia con il Primo Ministro armeno, il quale ha sottolineato che le sue priorità erano il ritiro dell’Azerbajgian dalle aree dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, dove è dispiegato la forza di pace russa e dal territorio sovrano dell’Armenia, e il rilascio dei prigionieri di guerra da parte dell’Azerbajgian. Poi, Putin ha ricevuto il Presidente azero, che lo ha ringraziato per aver dato un “impulso al processo di normalizzazione”.

Al riguardo, ricordiamo che gli Azeri hanno cominciato la guerra dei 44 giorni contro la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh alle ore 07.15 di domenica 27 settembre 2020 [QUI], bombardando direttamente la capitale Stepanakert e, soprattutto, mirando a punti strategici e socialmente rilevanti come l’ospedale, dove è andato distrutto il reparto maternità, la centrale elettrica, scuole e asili. L’attacco fu portato avanti con missili, bombe a grappolo e al fosforo, drone israeliano-turche. Per 44 giorni gli allarmi si sono susseguiti quotidianamente. A Stepanakert si viveva praticamente negli scantinati.

La minaccia azero-turca agli Armeni che vivono nell’Artsakh (e non solo, anche nella stessa Armenia) è esistenziale e non solo militare. È in atto un genocidio e non solo culturale. Nessuno difende gli Armeni cristiani dagli Azeri islamici, tanto meno l’Europa e l’Occidente “cristiani”, che non hanno mosso un dito per difendergli. Solo Vladimir Putin con la Federazione Russa pone un ostacolo alle mire espansionistiche azero-turche. Il problema principale degli Armeni dell’Artsakh è che si sentono isolati e traditi dall’Occidente. Oggi l’Artsakh cristiano armeno è il baluardo della civiltà occidentale, accerchiata da un Paese islamico turco-azzero, vittima di una politica di pulizia etnica azero-turca. Come abbiamo documentato, anche dopo la firma dell’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, gli Azeri hanno continuato a tagliare elettricità, acqua e internet per rendere la vita impossibile agli Armeni di Artsakh, nella speranza che andrebbero via tutti. Ma questa è la loro terra e qui hanno una missione.

Con la guerra dei 44 giorno dell’autunno 2022, a causa dei missili azeri e dei droni turchi e israeliani, in Artsakh più di 7.000 edifici residenziali sono stati colpiti per un danno stimabile in 80-90 milioni di euro. In sei settimane di guerra sono morte circa 6.500 persone, in battaglia sono caduti circa 3.300 soldati, circa 40.000 Armeni hanno dovuto abbandonare la propria casa. L’aggressore azero, con l’aiuto della Turchia, ha occupato tre quarti del territorio, ha sottratti circa 2.000 monumenti, 10 musei statali e due privati, almeno 20 mila opere d’arte. Con la seconda guerra del Nagorno-Karabakh non solo parte del patrimonio armeno e vigneti storici sono passati nelle mani azere, ma anche 108 scuole, 37 tra asili, istituti di musica e arte, istituzioni culturali, 11 laboratori di ingegneria. La civiltà armena è in pericolo.

Occupata Sushi l’8 novembre 2020, le forze armate azere si sono fermate, a 15 km da Stepanakert. Da allora hanno violato costantemente l’accordo trilaterale di cessate il fuoco, con scontri ai confini e la linea di contatto, e l’invasione del territorio sovrano dell’Armenia stessa, provocando 286 morti: il bilancio più pesante dopo l’aggressione azero del 2020 per il controllo dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, solo temporaneamente in pausa, ha ripetuto il Presidente Aliyev nei sui discorsi belligeranti.

Nella quarta dichiarazione trilaterale, adottata sulla base dei risultati del vertice di Sochi del 31 ottobre perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, che causarono circa 1,5 milioni di morti.usare la forza”, nonché a “risolvere tutte le controversie solo sulla base del riconoscimento della sovranità reciproca e integrazione territoriale”.

Come queste parole vengono interpretate dall’Azerbajgian, l’abbiamo illustrato già più volte in passato: per Aliyev la questione del Nagorno-Karabakh è “risolta”, perché l’Artsakh è considerato tutto per intero territorio azero. Anche più della metà dell’Armenia, incluso la capitale Yerevan, è dichiarato territorio azero e quindi le forze di occupazione di una parte del territorio sovrano dell’Armenia si trovano a casa loro, ha affermato Aliyev.

Nella dichiarazione trilaterale del 31 ottobre 2022 viene anche sottolineato “l’importanza di preparativi attivi per la firma di un trattato di pace tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica di ‘Azerbajgian con l’obiettivo di raggiungere una pace sostenibile e a lungo termine nella regione”. Fatto è che gli Armeni dell’Armenia e dell’Arsakh vogliono la pace, mentre l’Azerbajgian di Aliyev e la Turchia di Erdoğan vogliono l’Artsakh e l’Armenia; vogliono completare il genocidio perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, causando circa 1,5 milioni di morti. Minacciano l’esistenza stessa degli Armeni.

Secondo Le Figaro, il terzo summit di Sochi ha avuto come scopo di riaffermare l’influenza di Mosca nel Caucaso meridionale. Impegnato da otto mesi nella sua offensiva contro l’Ucraina, che ha causato imbarazzo ai tradizionali partner di Mosca, Vladimir Putin ha voluto con questo vertice che la Russia riprendesse il suo ruolo tradizionale di arbitro in questa regione instabile, dove anche l’Unione Europea sotto pressione energetica persegue i propri sforzi di mediazione. Infatti, i colloqui a Sochi su invito della Russia arrivano in un momento in cui i vertici europei e la Francia hanno assunto un ruolo più attivo nella mediazione del conflitto tra l’Armenia e l’Azerbajgian. Ad agosto, il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il Presidente francese, Emmanuel Macron, hanno organizzato colloqui tra Nikol Pashinian e Ilham Aliyev a Brussel. L’Unione Europea e la Russia – che vede con occhi storti gli interventi occidentali in una regione che considera il suo cortile di casa – si sono scambiate aspre critiche sui rispettivi sforzi di mediazione. In particolare Emmanuel Macron ha accusato la Russia di voler “destabilizzare” il processo di pace nel Caucaso meridionale, mentre Vladimir Putin ha definito queste osservazioni “inaccettabili”.

Dichiarazione trilaterale di Sochi del 31 ottobre 2022

«Noi, il Primo Ministro della Repubblica di Armenia Nikol Vovayi Pashinyan, il Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian Ilham Heydar Aliyev e il Presidente della Federazione Russa Vladimir Vladimirovič Putin, si sono incontrato a Sochi il 31 ottobre 2022 e hanno discusso l’attuazione delle dichiarazioni trilaterali del 9 novembre 2020, 11 gennaio e 26 novembre 2021.
Abbiamo riaffermato il nostro impegno a rispettare rigorosamente tutti gli accordi di cui sopra, sulla base degli interessi della soluzione globale delle relazioni armeno-azeri, assicurando pace, stabilità, sicurezza e sviluppo economico sostenibile nel Caucaso meridionale. Abbiamo convenuto di compiere ulteriori sforzi per la soluzione urgente delle restanti questioni, comprese quelle di natura umanitaria.
Prendendo atto del contributo chiave del contingente di mantenimento della pace russo nel garantire la sicurezza nell’area del suo dispiegamento, abbiamo sottolineato l’importanza dei suoi sforzi volti a stabilizzare la situazione nella regione.
Abbiamo convenuto di astenerci dall’uso della forza o dalla minaccia del suo uso, di discutere e risolvere tutte le questioni problematiche esclusivamente sulla base del riconoscimento reciproco della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità delle frontiere, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e la-Dichiarazione di Alma Ata del 1991.
Abbiamo sottolineato l’importanza di preparativi attivi per la firma di un trattato di pace tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica di ‘Azerbajgian con l’obiettivo di raggiungere una pace sostenibile e a lungo termine nella regione. Sulla base delle opzioni di lavoro disponibili, è stato raggiunto un accordo per continuare la ricerca di soluzioni reciprocamente accettabili. La Federazione Russa le fornirà ogni possibile assistenza.
Abbiamo sottolineato l’importanza di creare un’atmosfera positiva tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica di Azerbajgian per la continuazione del dialogo tra i rappresentanti di società, comunità di esperti e leader religiosi con l’assistenza della Russia, nonché per l’avvio di contatti interparlamentari trilaterali volti a rafforzare la fiducia tra i popoli dei due Paesi.
I leader della Repubblica di Armenia e della Repubblica dell’Azerbajgian hanno elogiato la disponibilità della Federazione Russa a continuare a contribuire in ogni modo possibile alla normalizzazione delle relazioni tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica di Azerbajgian, per garantire stabilità e prosperità nel Caucaso meridionale».

Durante la conferenza stampa a conclusione dell’incontro trilaterale con il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, e il Presidente azero, Ilham Aliyev, il Presidente russo, Vladimir Putin, ha affermato secondo quanto riporta ITAR-TASS: «Oggi abbiamo concordato una dichiarazione congiunta. Devo dire francamente che non tutto è stato concordato, alcune cose hanno dovuto essere rimosse dal testo precedentemente elaborato a livello di esperto. Tuttavia, condivido la valutazione generale secondo cui l’incontro è stato utile e che crea le condizioni per ulteriori passi verso la risoluzione della situazione nel suo insieme. Il trattato di pace non è ancora arrivato, ed è troppo presto per parlare qui dei suoi elementi di base, perché è il prodotto di compromessi, che dovrebbero essere mostrati evidentemente da entrambe le parti, a quanto pare, nel corso di uno sforzo mediato, anche con la partecipazione del nostro Paese, se entrambe le parti lo vogliono».

Putin, affermando che durante il vertice trilaterale alcune questioni non sono state concordate dalle parti, si è rifiutato di renderle pubbliche: «Posso dire qualcosa [su queste questioni]? Posso, ma non credo che dovrei. Tali questioni sono molto delicate, e delicate per entrambe le parti, e non credo di doverle rivelare senza il previo consenso dei partner. Se rimangono irrisolti, non è necessario attirare su di loro l’attenzione dei media e del pubblico, dovremmo semplicemente cerca di metterci d’accordo con calma, fuori dagli occhi pubblici».

Commentando la questione, che il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha proposto di estendere il mandato della missione di mantenimento della pace russo in Artsakh/Nagorno-Karabakh anche per 20 anni, il Presidente russo ha affermato: «La questione delle forze di pace è delineata nella nostra dichiarazione congiunta datata [9] novembre 2020, [la dichiarazione di cessate il fuoco] alla fine del conflitto [la guerra dei 44 giorni]. Non c’è niente da aggiungere qui. Ne abbiamo discusso. Ma per questo è necessario il nostro accordo congiunto». Nelle sue parole, la questione dell’estensione del mandato dipende da altre questioni, tra cui un trattato di pace e la delimitazione del confine tra l’Armenia e l’Azerbajgian: «Se queste questioni saranno risolte, la questione delle forze di pace sarà un’altra questione. Se sono irrisolti, o parzialmente risolti, il futuro del nostro contingente di mantenimento della pace dipenderà da questo», ha affermato il Presidente russo, aggiungendo che l’Armenia e l’Azerbajgian «hanno trasmesso le loro parole di gratitudine alla Russia» per il suo lavoro in Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Toccando la questione di demarcazione e delimitazione dei confini tra l’Armenia e l’Azerbajgian, Putin ha affermato: «La demarcazione e la delimitazione dei confini è la questione più importante. In effetti, ne abbiamo discusso molto oggi e ci sono stati alcuni prerequisiti, [dimostrando] che la strada in generale è stata trovata». Ha aggiunto, che la Russia è pronta a fornire anche le proprie mappe, compilate dallo Stato maggiore delle forze armate sovietiche, al fine di facilitare la demarcazione del confine armeno-azero. «Come abbiamo capito, queste mappe sono le più accurate. E siamo pronti ad andare avanti usandoli come base e discutendo la questione con entrambe le parti. Abbiamo concordato con le parti che questi contatti, questi negoziati, queste consultazioni continueranno», ha affermato Putin [2].

L’Artsakh accoglie con favore l’incontro trilaterale tra i leader di Armenia, Russia e Azerbajgian tenutosi a Sochi del 31 ottobre, ma afferma che non ci si dovrebbe aspettare una soluzione definitiva e la pace da quell’incontro. Il Ministro degli Esteri dell’Artsakh, David Babayan, ha commentato così i risultati dell’incontro di Sochi in un’intervista ad Armenpress.
“Prima di tutto dobbiamo capire che un accordo globale è impossibile durante un incontro. Non è possibile perché il conflitto azero-karabakh è uno dei conflitti più complessi al mondo, forse uno come quello arabo-israeliano. La cosa più importante è che è stato convenuto direttamente e indirettamente, che il problema non è stato risolto. È stato convenuto che ci sono problemi su cui non c’è accordo ed che è necessario lavorare su questi. È stato fatto riferimento a diversi accordi, in particolare alla dichiarazione [trilaterale di cessate il fuoco] del 9 novembre 2020. Questo è molto importante ed è il risultato più tangibile”, ha affermato Babayan.
Babayan ha anche affermato che il fatto che il ruolo della missione russa di mantenimento della pace nel Nagorno Karabakh sia stato messo in evidenza durante l’incontro è un altro risultato positivo dell’incontro. Questo dimostra ancora una volta, ha detto, che esiste una rispettiva entità. “Pertanto, dobbiamo guardare ai risultati dell’incontro da questo punto di vista. Certo, qualsiasi documento o riunione potrebbe crollare, ma sono molto importanti. Dobbiamo capire che questa è geopolitica. Abbiamo un incontro importante, un evento che ha stabilito che il processo è in corso, che nulla è stato risolto e che è necessario continuare il lavoro in questa direzione. Inoltre, è stato ribadito che la Russia è pronta a svolgere un ruolo attivo nella regione. Questa è l’essenza del testo della dichiarazione adottata a seguito dell’incontro”, ha affermato Babayan.
Babayan ha inoltre sottolineato l’importanza del vertice di Sochi dal punto di vista degli ultimi sviluppi in cui sono state avanzate proposte per rendere l’Artsakh parte dell’Azerbajgian. Contrariamente a ciò, ha sottolineato Babayan, l’incontro di Sochi ha affermato che la questione è complessa, non è ancora stata risolta e che il lavoro deve ancora essere fatto.
“Dobbiamo capire che i nostri desideri non sempre trovano spazio soprattutto in campo emotivo. Pertanto, dobbiamo lavorare, prima di tutto noi. Dobbiamo essere tenaci, affidarci in primo luogo alla nostra volontà, non essere mai indifferenti e pensare che tutto sia perduto. Se dimostreremo la volontà, come abbiamo fatto durante la manifestazione di Stepanakert, e dimostreremo che qualsiasi status dell’Artsakh all’interno dell’Azerbaigian è inaccettabile per noi, tutto ciò sarà finalmente preso in considerazione”, ha concluso il Ministro degli Esteri della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Lasciare l’Artsakh all’Azerbajgian è denso di pulizia etnica, hanno affermato i rappresentanti delle fazioni di opposizione del Parlamento armeno – Hayk Mamijanyan, capo della fazione “Con Onore”, e Artur Khachatryan, Lilit Galstyan, Anna Grigoryan e Aspram Krpeyan, membri della fazione “Hayastan” – durante un incontro con gli Europarlamentari Peter van Dalen, Fabio Massimo Castaldo e Lars Patrick Berg, ha comunicato il Servizio Stampa del Parlamento armeno. Gli eurodeputati sono in Armenia per familiarizzare con la realtà che l’Armenia deve affrontare, nonché per esprimere la loro solidarietà al popolo armeno in questi tempi difficili.
Durante l’incontro si è fatto riferimento all’aggressione su larga scala dell’Azerbajgian contro il territorio sovrano dell’Armenia e alla soluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh. È stato notato che oggi molte strutture europee hanno adottato una politica di doppi standard e nell’attuale situazione geopolitica fanno prevalere gli interessi energetici sui principi del diritto internazionale. Durante l’incontro è stato fatto riferimento alla relazione sull’Armenia, che sarà discussa al Parlamento Europeo prossimamente.

Dopo il vertice di Sochi, la mattina di martedì 1° novembre, il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, è arrivato a Teheran su invito del presidente iraniano. Pashinyan ha partecipato anche alla cerimonia di firma di alcuni accordi sulla cooperazione bilaterale Armenia-Iran.

[1] L’accordo trilaterale di cessate il fuoco è stato firmato il 9 novembre 2020 in videoconferenza a Baku, Yerevan e Mosca dal Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, dal Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e dal Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. Ha posto fine a tutte le ostilità della guerra dei 44 giorni del Nagorno-Karabakh, dalle ore 00:00 (ora di Mosca, le 01:00 locali) del 10 novembre 2020. Anche il Presidente dell’autoproclamata Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan, ha acconsentito alla fine delle ostilità.

[2] La storica questione dei confini tra l’Armenia e l’Azerbajgian

Nel suo discorso di fine settembre 2022 alla 77ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan avevo affermato, che non c’erano progressi tangibili nella delimitazione e demarcazione dei confini tra Armenia e Azerbajgian, nell’apertura di collegamenti regionali e nel futuro trattato di pace perché l’Azerbaigian sta usando tutti questi argomenti per rivendicazioni territoriali contro l’Armenia:

«Per esempio, uno dei temi più importanti del trattato di pace è il riconoscimento bilaterale dell’integrità territoriale tra Armenia e Azerbajgian. Abbiamo già dichiarato di essere pronti a farlo, ma l’Azerbajgian non lo ha fatto finora. Al contrario, l’Azerbajgian ha pubblicamente espresso che l’intero sud e l’est dell’Armenia e persino la capitale Yerevan, sono terra azerbajgiana. D’altra parte, l’Azerbajgian tiene sotto occupazione dei territori concreti dell’Armenia e, come ho detto, il rischio di una nuova aggressione da parte dell’Azerbajgian rimane molto alto. A questo proposito rivolgo una domanda ufficiale e pubblica al Presidente dell’Azerbajgian. Potresti mostrare la mappa dell’Armenia, che riconosci o sei pronto a riconoscere come Repubblica di Armenia? Perché sto chiedendo questo? Perché potrebbe venire fuori che dal punto di vista ufficiale dell’Azerbajgian solo la metà dell’Armenia e anche meno – è la Repubblica di Armenia. Se l’Azerbajgian riconoscesse l’integrità territoriale dell’Armenia, non in teoria, ma concretamente, intendo l’integrità del nostro territorio riconosciuto a livello internazionale di 29.800 chilometri quadrati, significherebbe che possiamo firmare un trattato di pace riconoscendo reciprocamente l’integrità territoriale. Altrimenti, avremmo un trattato di pace fantasma e successivamente l’Azerbajgian utilizzerà il processo di delimitazione dei confini per nuove rivendicazioni e occupazioni territoriali.
Come forse sapete, a maggio è stata costituita una commissione bilaterale per la delimitazione delle frontiere e la sicurezza delle frontiere e si sono svolte due riunioni della commissione. Prima della formazione della commissione, l’anno scorso l’Azerbajgian ha occupato più di 40 chilometri quadrati di territori dell’Armenia. E poi, una delle scuse dell’Azerbajgian sulle ragioni per cui lo hanno fatto, era che l’Armenia, secondo loro, si rifiuta di formare una commissione per la delimitazione dei confini. Ovviamente non ci siamo rifiutati di farlo, ma abbiamo solo insistito sul fatto che contemporaneamente fosse istituito un meccanismo di sicurezza delle frontiere.
Alla fine, secondo la richiesta dei nostri partner internazionali, che hanno sostenuto che il lavoro della commissione di frontiera stessa sarà un fattore affidabile per la sicurezza delle frontiere, abbiamo deciso di iniziare i lavori. E ora che la commissione per la delimitazione dei confini e la sicurezza è stata costituita e sta lavorando, l’Azerbajgian ha avviato una nuova fase di aggressione. E alcuni di questi partner internazionali tacciono. Ma qual è ora la spiegazione dell’aggressione dell’Azerbajgian? Sapete, se qualcuno ha un eccesso di aggressività, la ragione sarà sempre lì. Come si dice in un film, è sempre possibile trovare una ragione. Ad esempio, perché hanno ucciso il Principe Amleto? Chi ha ucciso, come, quando e perché, non importa. La realtà è che l’Azerbajgian sta tentando e continuerà a utilizzare il processo di delimitazione delle frontiere per rivendicazioni territoriali contro l’Armenia».

Mappa storica della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia, del Dipartimento Generale di Geodesia e Cartografia del Consiglio dei Ministri Sovietico e Dipartimento di Topografia di Guerra dello Stato Maggiore Generale dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, stampata in lingua russa a Tbilisi nel 1952. Versione in alta risoluzione QUI.
In questa mappa di epoca sovietica è indicato chiaramente il confine della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia. Ilham Aliyev nel suo delirio di onnipotenza e di espansionismo turco-azera cita mappe del XIX e XX secolo. Detto dal Presidente di un Paese (l’Azerbajgian) nato nel 1918 a un popolo (quello armeno) che sta lì da due millenni, è decisamente esilarante. Comunque Vladimir Putin e l’esercito della Federazione Russa gli agevoleranno le mappe militari di epoca sovietica.

La delimitazione del confine azerbaigiano-armeno dopo il crollo dell’URSS non è stata eseguita; il confine effettivo corrisponde all’incirca al confine tra l’ex Repubblica Socialista Sovietica dell’Armenia e l’ex Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbajgian. Consiste di due sezioni principali: il confine tra l’Armenia e l’exclave Nakhichevan dell’Azerbajgian a ovest e una sezione più lunga tra l’Armenia e l’Azerbajgian “continentale” nel est. De jure, dall’era sovietica, ci sono state numerose enclavi su entrambi i lati del confine, ma di fatto non esistono ora.

Dal conflitto del Karabakh tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, sia la sezione del confine occidentale del Nakhichevan che la parte settentrionale della sezione orientale del confine sono state la linea di controllo reale, che corre vicino all’ex confine tra la Repubblica Socialista Sovietica dell’Armenia e la Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbajgian, ma per la maggior parte non coincide. La parte meridionale del tratto orientale del confine nel periodo compreso tra l’inizio degli anni ’90 e la fine dell’autunno 2020 era completamente sotto il controllo armeno (sul versante azero il territorio adiacente al confine era controllato dall’autoproclamata Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Non solo la maggior parte dell’ex Regione Autonoma del Nagorno-Karabakh era sotto il controllo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, ma anche le 7 regioni amministrative dell’Azerbajgian ad esso adiacenti. Come risultato della guerra dei 44 giorni, l’Azerbajgian ha ripreso il controllo sulla maggior parte dei territori precedentemente occupati. Le forze di pace russe sono state introdotte nel resto secondo i termini dell’accordo trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020.

Le vicende statali nella Transcaucasia dall’inizio del XX secolo

La Transcaucasia o Caucaso meridionale è la regione geografica posta a sud dello spartiacque principale della catena del Caucaso, in cui entrano l’odierna Armenia, la maggior parte della Georgia e dell’Azerbajgian, e alcune parti dell’Iran e della Turchia.

All’inizio del XX secolo, il Transcaucaso russo era costituito amministrativamente dalle Province di Erivan, Tiflis, Baku ed Elizavetpol, nonché dal Distretto di Zakatala. Le relazioni interetniche nelle aree a popolazione mista erano spesso estremamente tese (così, nel 1905-1907 vi fu uno scoppio di violenza etnica, che provocò migliaia di vittime).

In seguito alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia, le truppe russe che erano avanzate in territorio ottomano, si ritirarono dal Caucaso, lasciando la Transcaucasia disorganizzata e senza governo. Il 28 novembre del 1917 Armeni, Tatari e Georgiani si unirono a Tiflis (Tbilisi) per formare la Seim, l’Assemblea di Transcaucasia, creando così un governo unificato delle tre regioni. Il 18 dicembre 1917 venne firmato l’armistizio di Erzincan tra la Russia e l’Impero Ottomano. Ostile ai bolscevichi e minacciata dall’avanzata turca, la Repubblica Federale Democratica Transcaucasica si ritrovò isolata e debole. Con la firma del trattato di Brest-Litovsk, la Russia restituì alla Turchia i territori della Transcaucasia, impedendo la possibilità di un vero stato transcaucasico. Costretti ad entrare in trattative, i Transcaucasici si incontrarono con i Turchi a Trebisonda.

Il 24 febbraio del 1918 la Seim proclamò la Repubblica Democratica Federativa di Transcaucasia indipendente, rivendicando di fatto certi territori acquisiti dalla Turchia nel Caucaso. Questo nuovo Stato non viene riconosciuto né dai Russi né dagli Ottomani, che prese possesso lo stesso anno dei territori negoziati a Brest-Litovsk.

A maggio 1918 la Repubblica Democratica Federativa di Transcaucasia si divise in tre Stati nazionali: la Repubblica Democratica di Georgia, la Repubblica di Armenia e la Repubblica Democratica di Azerbajgian, che rivendicavano la sovranità su territori con una popolazione mista. Scoppiò una guerra tra Armenia e Azerbajgian, durante la quale le parti cercarono di assicurarsi il controllo dei territori contesi di Nakhichevan, Zangezur e Nagorno-Karabakh.

Nell’aprile 1920, l’Armata Rossa sovietica invase l’Azerbajgian e l’Armenia, ponendo fine all’indipendenza di entrambi i Paesi, e poi nel febbraio-marzo 1921, anche della Georgia.

Tuttavia, i combattimenti continuarono a Zangezur, dove fu proclamata la Repubblica dell’Armenia montanara (corrispondente grossomodo ai territori di Nakhichevan, Zangezur e Nagorno-Karabakh) da ribelli al governo armeno che aveva fatto la pace con l’Impero ottomano e la Repubblica Democratica di Azerbajgian con il Trattato di Batumi, che continuarono a combattere contro i bolscevichi fino alla sconfitta nel luglio 1921.

L’Ufficio del Caucaso fu incaricato di tracciare i confini tra le tre ex repubbliche indipendenti del Caucaso meridionale. Il controllo armeno su Zangezur fu confermato alla fine del 1920. Nel marzo 1921, il Nakhichevan, nonostante fosse stato precedentemente promesso all’Armenia, fu ceduto all’Azerbajgian, in parte su insistenza della Repubblica Turca in conformità con il Trattato di Mosca. Il 3 giugno 1921, l’Ufficio del Caucaso decise di includere il Nagorno-Karabakh in Armenia, ma le controversie tra i delegati armeni e azeri su questo tema continuarono. Il 4 luglio 1921 fu tenuta la riunione finale dell’Ufficio del Caucaso per risolvere la questione, durante la quale era stata confermata la precedente decisione di includere il Nagorno-Karabakh in Armenia.

Tuttavia, il giorno successivo, questa decisione fu annullata e il Nagorno-Karabakh lasciato come parte dell’Azerbajgian, subordinatamente alla concessione al primo dello status di regione autonoma. Le ragioni esatte dell’improvviso cambio di decisione rimangono poco chiare. Alcuni ricercatori ritengono che Joseph Stalin abbia influenzato questo, mentre altri (ad esempio, lo storico Arsen Saparov) sottolineano il fatto che l’incontro finale ha coinciso in tempo con la vittoria delle truppe sovietiche a Zangezur e la sconfitta della Repubblica di Armenia montuosa, dopo di che gli Azeri furono in grado di avanzare le loro richieste con maggiore perseveranza, e le autorità sovietiche ebbero scarsi incentivi a placare la parte armena.

Nel 1922, Georgia, Armenia e Azerbajgian furono fusi nella Repubblica Socialista Federativa Sovietica di Transcaucasia, che faceva parte dell’URSS, per poi essere nuovamente divisi nel 1936.

Le autorità azere erano estremamente riluttanti a garantire al Nagorno-Karabakh uno status autonomo, ritardando questo processo. Inoltre, avanzarono una proposta per creare una vasta regione del Karabakh, che copriva sia le pianure che gli altopiani, il che a sua volta avrebbe portato all’erosione della maggioranza armena negli altopiani. Gli Armeni sollevarono la questione del lento progresso verso l’autonomia con le autorità sovietiche, che hanno risposto facendo pressioni sugli Azeri affinché si attivassero per la creazione di una regione autonoma. Il 7 luglio 1923, le autorità azere annunciarono la creazione della Regione Autonoma del Nagorno-Karabakh. Il suo confine originale fu determinato nel luglio 1923, con emendamenti apportati nello stesso mese per includere Shushi e Khonashen (Martuni). La soluzione di questo problema si trascinò per un anno e la definizione finale dei confini della Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh fu pubblicata solo il 26 novembre 1924. Il confine così dichiarato non era una linea di demarcazione ufficiale di per sé, ma piuttosto una designazione di 201 villaggi che dovevano essere inclusi. Poi il confine fu cambiato di nuovo nel 1925, con l’inclusione di altri villaggi. Il confine così creato era in parte basato su contorni geografici e amministrativi preesistenti, ma prevalentemente basato su fattori etnografici.

Lo storico britannico Svante Cornell scrive che sulla mappa, pubblicata nel primo numero della Grande Enciclopedia Sovietica nel 1926, il territorio della Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh a un certo punto era in contatto con il territorio della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia, tuttavia, come l’autore nota, successivamente una delle modifiche apportate al confine della Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh ha tagliato la regione dalla Repubblica Socialista Sovietica di Armenia e nel 1930 le mappe sono state modificate di conseguenza, lasciando il corridoio di Lachin sul territorio sovrano Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian e separando la Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh dall’Armenia vera e propria.

Numerosi autori (ad esempio Ronald Grigor Suny, Robert Heusen, Thomas de Waal, ecc.) sono del parere che la Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh, costituita nel 1923, non avesse un confine comune con l’Armenia. Come scrive Thomas de Waal, giornalista ed esperto del Caucaso, sulla mappa i confini della regione autonoma creata si avvicinavano ai confini dell’Armenia, ma non li toccavano – tra di loro c’era la Regione di Lachin dell’Azerbajgian.

Oltre al punto di vista sull’assenza di un confine tra la Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh e la vicina repubblica sindacale, i ricercatori non ignorano l’ubicazione tra di loro di un’altra unità amministrativo-territoriale: il Distretto di Kurdistan. Questo distretto, che esisteva dal 1923 al 1929, comprendeva le attuali Regioni di Kalbajar, Lachin e Kubatly. Secondo l’ordine del 6 agosto 1923 sulla formazione di tre nuovi distretti, il Distretto di Kurdistan aveva un confine continuo con la Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh da est. Robert Heusen sottolinea che il Distretto di Kurdistan riempiva lo spazio territoriale tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia. David McDonald sottolineava che il territorio curdo era stretto tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh. Secondo il filosofo e politologo Artur Tsutsiev, la Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh aveva una posizione di enclave, il Distretto di Kurdistan era stato creato tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia, ma, probabilmente, la bozza iniziale doveva unire i confini delle due parti dello Zangezur curdo tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh. Un ricercatore americano, esperto del Caucaso, Harun Yilmaz, osserva che la Regione curda, dove si è formato il Distretto di Kurdistan, si trovava all’estremità occidentale del Nagorno-Karabakh e al confine tra l’Azerbajgian e l’Armenia passò lungo la parte orientale della catena di Zangezur e ad ovest del Nagorno-Karabakh. Il diplomatico americano Philip Remler osservò, che secondo l’ideologia sovietica, i diritti dei Curdi ai confini etnici sarebbero stati violati se i territori di loro residenza, Lachin e Kelbajar, fossero inclusi nella Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh o nella Repubblica Socialista Sovietica di Armenia.

Nel 1928, il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD) dell’URSS pubblicò un Atlante che rifletteva la posizione dei confini che si erano sviluppati entro la fine del 1926. L’atlante includeva non solo mappe, ma anche riferimenti testuali. Nel commento informativo sulla Regione Autonoma del Nagorno-Karabakh, è affermato che “i confini della Regione su tutti i lati rappresentano varie aree che fanno parte della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian”.

Il confine tra l’Azerbaigian e l’Armenia è diventato un confine di stato nel 1991 dopo il crollo dell’URSS e la dichiarazione di indipendenza di Armenia, Azerbajgian e Nagorno-Karabakh nello stesso anno. L’Azerbajgian non ha riconosciuto l’indipendenza di quest’ultimo, che ha portato a una guerra su vasta scala con l’Armenia. Si è conclusa con la vittoria della parte armena e il cessate il fuoco nel maggio 1994. La maggior parte del Nagorno-Karabakh, organizzato come Repubblica di Nagorno-Karabakh, e parte dell’Azerbajgian, compreso il corridoio strategicamente importante di Lachin, rimasero sotto il controllo armeno. Nell’autunno del 2020, a seguito della guerra dei 44 giorni, l’Azerbajgian ha ripreso il controllo dei territori occupati e di due terzi dell’ex Regione Autonoma di Nagorno-Karabakh, e le forze di pace russe sono state dispiegate nelle parti rimasti sotto controllo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh e nel corridoio di Lachin.

Il confine de facto azerbaigiano-armeno – che corrisponde generalmente al confine ufficiale dell’era sovietica – è chiuso, le aree di confine sono fortemente militarizzate e la linea di contatto rappresenta la sua sezione più pericolosa. Le relazioni tra i due Paesi rimangono estremamente tese e le ostilità sono esplose ripetutamente lungo il confine, in particolare nel 2008, 2010, 2012, 2014, 2016, 2018 e 2020,con aggressioni da parte dell’Azerbajgian.

Il confine dell’Armenia con i territori sotto il controllo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh era aperto fino alla guerra dei 44 giorni del 2020 con un posto di blocco al valico di frontiera Teh-Berdadzor. L’Azerbajgian considerava qualsiasi attraversamento non autorizzato del suo confine come ingresso illegale nel suo territorio e negava l’ingresso in Azerbajgian a coloro i cui passaporti dimostravano di averlo attraversato.

Fino al 31 agosto – dopo che il 26 agosto gli Azeri hanno occupato militarmente la Città di Berdzor (Lachin) e i villaggi di Aghavno (Zabukh) e Sus, nella Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh – era possibile viaggiare dall’Armenia all’Artsakh solo attraverso il corridoio di Lachin, controllato dalle forze di pace russe. Nella confusione post-bellica, dopo l’accordo trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 202, infarcita di polemiche politiche e poca comunicazione, forse non dovevamo aspettarci niente di più. Quanto però è accaduto a Berdzor (Lachin), Aghavno (Zabukh) e Sus va oltre ogni immaginazione.

Berdzor, a 25 km a sud-ovest di Stepanakert, è il capoluogo della Regione Kashatagh della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh (che gli Azeri rivendicano come Lachin, il capoluogo della Regione di Lachin dell’Azerbajgian). La piccola città di circa 2.000 abitanti sorge ad un’altitudine media di 889 m sopra la valle del fiume Hakari.

Berdzor, Aghavno e Sus si trovarono nella duplice situazione di far parte dell’ex Distretto azero di Lachin ma anche nel mezzo dello strategico Corridoio di Lachin, che in trent’anni ha cambiato orientamento: prima era una striscia di terra larga nove chilometri che da nord a sud separava il Nagorno Karabakh dalla Repubblica Socialista Sovietica di Armenia, successivamente da ovest a est, svolgeva la funzione di collegamento da Goris (Armenia) via Berdzor a Stepanakert (Artsakh).

Solo pochi tempi prima del 26 agosto, il Governatore della Regione Kashatagh aveva assicurato che i residenti di Berdzor ma anche di Aghavno (dove esisteva il posto di frontiera tra l’Artsakh e l’Armenia) e di Sus sarebbero rimasti nelle loro case. E la stessa valutazione era stata fatta anche dal Sindaco di Berdzor. Ma poi, in previsione del passaggio di consegne del territorio agli Azeri, arrivava all’improvviso l’avviso di sgombero per coloro che erano ancora rimasti in zona. Le notizie giungevano confuse e non si capiva cosa stava effettivamente accadendo.

Guardando la mappa della zona non possiamo stupirci più di tanto. L’unico modo che hanno gli Azeri per accedere alla parte settentrionale della Regione di Lachin è infatti utilizzare la sola strada esistente, che risale la stretta valle del fiume Hakari e passando dal villaggio di Maratuk raggiunge con molti tornanti Berdzor, sulla strada interstatale che da Goris (Armenia) via Berdzor raggiunge Stepanakert (Artsakh). Questa strada strategica è rimasta operativa per gli Armeni fino al 31 agosto, con le postazioni di controllo delle forze di pace russe ancora presenti.

Da Berdzor bisogna riscendere verso ovest e raggiungere Aghavno dove c’è una piccola centrale idroelettrica, un delizioso katchkar nella roccia (nel frattempo rimosso e messo in sicurezza) e dove fino al 27 settembre dello scorso anno era operativo il posto di frontiera tra l’Artsakh e l’Armenia. Da lì verso nord strade strette, spesso neppure asfaltate, collegano una ventina di villaggi sparsi fra le montagne della regione priva di altri collegamenti: a nord alte montagne la separano dalla Regione di Karvachar e a est la catena dell’Artsakh la separa dalle Regioni di Askeran e Shushi.

Quindi l’unica via di accesso è da sud, attraversando i cinque chilometri del Corridoio di Lachin. Il che significa che non è un territorio dove possono risiedere degli Armeni ma solo una via di transito da sud a nord, da est a ovest e viceversa con i Russi a fare da controllori nel traffico.

All’inizio di agosto, le autorità della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh annunciarono che la parte azerbajgiana, tramite le forze di pace russe, aveva chiesto l’organizzazione di un nuovo collegamento tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia lungo una nuova rotta, in sostituzione del Corridoio di Lachin. Ai residenti delle comunità di Berdzor, Aghavno e Sus, dislocate su questo territorio, fu detto che non ci sarebbero più forze di pace russe dopo il 25 agosto e che dovevano lasciare le loro case entro quella data.

A seguito dell’occupazione azera del 25 agosto scorso di Berdzor, Aghavno e Sus, il Ministro dell’organizzazione territoriale e delle infrastrutture della Repubblica dell’Artsakh, Hayk Khanum, ha dichiarato, che era stata aperta la nuova strada di 4,5 km tra l’Artsakh e l’Armenia, in sostituzione del vecchio percorso via Berdzor (Lachin), ora occupato dagli Azeri. Le forze di pace russe si sono trasferite sulla nuova rotta per garantire il passaggio sicuro.

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La musica non ha confini, artisti russi, ucraini ed armeni a Gaiba (Rogivo News 02.11.22)

Al teatro – sala civica XXV Aprile di Gaiba (Rovigo) il concerto della XV^ Tournèe internazionale Giovani Talenti organizzato dall’Associazione Amiderus

 

GAIBA (Rovigo) – Venerdì 4 novembre alle 21.00 si terrà presso il teatro – sala civica XXV Aprile di Gaiba il concerto della XV^ Tournèe internazionale Giovani Talenti organizzato dall’Associazione Amiderus, con giovani musicisti provenienti da Russia, Ucraina e Armenia.

 

Maurizio Marcassa – Presidente e Nadine Lindfors – V. Presidente Associazione Amiderus: “Continua con grande successo la XV^ Tournèe internazionale Giovani Talenti organizzata dall’Associazione Amiderus – Iniziative Culturali Internazionali, con il Patrocinio della Regione Veneto, dell’Aics regionale, dei Comuni ospitanti e dei Rotary Club. La Tournèe quest’anno è promossa in favore della pace e nella convinzione che vadano salvaguardate le relazioni culturali, artistiche e musicali tra i popoli”.

L’Associazione Amiderus ha voluto dare alla Tournèe 2022 un carattere particolare di internazionalità, invitando insieme due musicisti russi, due musicisti ucraini e un musicista di origini armene, come dimostrazione che l’arte e la musica classica sono “ponti di pace” senza frontiere, e che contribuiscono a rafforzare le relazioni tra diverse culture.

Si esibiscono nei concerti della tournèe Vladimir Rodin, pianista, Maria Andreeva, pianista e violinista, Oleg Svitlytskyi, violinista, Veronica Svitlytska, flautista, e Ernest Alaverdian, clarinetto.

Danno sostegno alla iniziativa i Rotary club russi: Rotary Club Sochi, Rotary Club of Krasnodar, Rotary Club Renaissance di Mosca, e vari Rotary Club Italiani, Dal Rotary Club Padova, al Rotary club di Esta, al Rotary Club di Abano Terme,dal Rotary Club di Adria al Rotary Club di Gardone Valtrompia.

Si ringraziano le Amministrazioni Comunali di Padova, Selvazzano Dentro, Adria, Este, Abano Terme, Gaiba, Gardone Valtrompia, il Gabinetto di Lettura di Este, gli Hotels Antonianum, Première e President di Abano Terme, l’Opera Immacolata Concezione di Padova.”

Guido Bottura, Consigliere Comunale che si è occupato dell’organizzazione della serata a Gaiba: “Il Comune di Gaiba è lieto di ospitare il 4 novembre 2022 una tappa della prestigiosa Tournèe Internazionale ‘Giovani talenti – musica classica senza frontiere’. Si tratta di un evento che vede l’esibizione di alcuni tra i migliori concertisti che si sono formati o che stanno completando il loro percorso di studi nei conservatori di Russia e Ucraina risultati vincitori di importanti concorsi internazionali. I giovani musicisti di questi Paesi ci portano un messaggio di pace, decidendo di suonare insieme e facendo prevalere attraverso la forza della musica, la capacità di ascolto, di riflessione, di confronto nel rispetto di tutti i punti di vista. Di grande interesse è il programma della serata con pagine virtuosistiche che si alternano a brani di grande cantabilità composti dai più grandi musicisti dell’Ottocento.”

 

 

Il clan Erdogan e gli affari milionari con Baku nel Nagorno-Karabakh (Renovatio21 01.11.22)

Progetto comune da 100 milioni di euro affidato a uomini di fiducia del presidente turco e del suo omologo azero. La visita dei due leader al parco agricolo da 500 posti di lavoro e 10 mila capi di bestiame. Investimenti anche nelle infrastrutture e nelle miniere di oro e rame. Le gare di appalto assegnate alla «Banda dei cinque».

Ankara e Baku in nome della «fratellanza» islamica e degli interessi comuni rafforzano le relazioni lanciando un progetto comune da 100 milioni di euro, affidato a familiari e uomini di fiducia dei presidenti dei due Paesi.

Una unità di intenti che è andata crescendo dalla vittoria dell’Azerbaigian sull’Armenia nella guerra del 2020, durante la quale la Turchia ha fornito all’alleato consistenti aiuti militari e che oggi passa all’incasso: aziende vicine a Recep Tayyip Erdogan hanno ricevuto almeno centinaia di milioni in contratti, in particolare nella ricostruzione di territori del Nagorno-Karabakh che gli azeri hanno ripreso durante la guerra.

In alcuni casi le relazioni vanno oltre affari e politica: nella regione di Zangilan membri della famiglia Erdogan sono parte attiva di un complesso affare con parenti dell’omologo azero Ilham Aliyev.

I due leader si erano spesi in prima persona nella nascita del parco agricolo di Dost («amiciù) nell’ottobre 2021, un progetto da 100 milioni e 500 posti di lavoro, per un totale di 10mila capi di bestiame; entrambi hanno rivisitato l’area (e il progetto) il 20 ottobre scorso durante una tappa comune nel Nagorno-Karabakh, in cui hanno inaugurato un nuovo aeroporto al confine con Armenia e Iran.

Ad accompagnare Erdogan nel tour vi era Abdulkadir Karagöz, proprietario di Dost Ziraat, principale investitore turco nel parco agricolo, ma soprattutto marito della nipote del presidente, figlia del fratello Mustafa.

Poco dopo il matrimonio celebrato nel 2016, l’uomo ha iniziato a collezionare contratti governativi e un volume di affari sempre crescente, uno dei quali è proprio il progetto agricolo nel Karabakh e inserendo nella compagnia altri membri della famiglia Erdogan.

In alcuni documenti commerciali analizzati da Eurasianet emergono i nomi di altri due nipoti: Üsame, figlio di Mustafa, e Ahmet Enes İlgen, figlio della sorella del leader Vesile İlgen (oggi fuoriusciti).

Per quanto riguarda il lato azero, il referente più importante è Pasha Investments, parte della Pasha Holding, che unisce una serie di aziende e attività riconducibili alla moglie di Aliyev e primo vice presidente, Mehriban Aliyeva. Tuttavia, la gestione di parco agricolo è appannaggio di un altro alleato di Erdogan, Mehmet Zeki Tuğrul, un tempo membro dell’ala giovanile del partito di governo AKP. Il piano è di espanderlo ulteriormente sfruttando il territorio di Lachin, anch’esso conquistato nella guerra del 2020 contro Erevan.

Karagöz non è il solo uomo d’affari turco del clan Erdogan. Fra gli altri troviamo: Cemal Kalyoncu, presidente di Kalyon Holding; Mehmet Cengiz, presidente di Cengiz Holding; Yıldırım Demirören, presidente di Demirören Holding.

Il trio è da sempre un alleato chiave e ne ha accompagnato l’ascesa politica, oltre a essere parte della cricca di aziende nota come «Banda dei cinque», che si è vista assegnare la maggior parte delle grandi gare di appalto per affari miliardari, oggi concentrati su infrastrutture e miniere (oro e rame).

Un’altra compagnia della Banda dei cinque, la Kolin İnşaat, ha ricevuto anch’essa un sostanzioso appalto per la realizzazione di strade nel Nagorno-Karabakh, finalizzato alla costruzione della «Victory Road» in direzione Shusha, con il partner azero Azvirt.

Kolin ha inoltre un ruolo attivo nella creazione di un mercato (situato lungo la «Via dell’amicizia turco-azera») nel villaggio di Agali, dove si sono trasferiti i primi azeri reinsediati nel territorio conteso.

Vi sono circa 30 aziende turche che operano sul territorio, secondo l’ambasciata di Ankara a Baku. «Queste imprese – ha spiegato Yakup Sefer, capo consulente commerciale della Turchia a Baku – hanno già investito oltre un miliardo di euro e le risorse sono destinate a crescere» in futuro.

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L’Italia a caccia di gas aiuta l’Azerbaijan contro l’Armenia (L’Espresso 31.10.22)

Le guerre non sono tutte uguali. Non solo dal punto di vista militare, simbolico o per il numero di caduti; ma per le reazioni che generano nella comunità internazionale. Ciò che sta accadendo tra Armenia e Azerbaijan è l’ennesima riprova che gli interessi economici e la contingenza influenzano i leader mondiali molto di più di concetti indefiniti come l’etica.