A Laura Efrikian menzione speciale del premio Anton Giulio Majano, presentato al Barbella il saggio autobiografico (Chieti Today 28.09.22)

“La via della libertà è sempre la via del coraggio”. Prende spunto da questo passo del saggio autobiografico “Laura Ephrikian – Una famiglia armena” [Spazio Cultura Edizioni 2021, postfazione di Walter Veltroni, in sala voce narrante di Giovanni Maria Forlivesi, contributo tecnico di Carlo De Virgiliis], presentato ieri sera al museo d’arte Costantino Barbella, la menzione speciale dedicata all’attrice trevigiana per la prossima edizione del premio “Anton Giulio Majano” che l’amministrazione comunale, in qualità di ente proprietario del brand artistico della manifestazione, intende rilanciare su palcoscenici di più ampio respiro. Di qui la nuova per così dire “ragione sociale”, laddove l’aggettivo “internazionale” colloca la rassegna teatina “su una dimensione”, spiega il maestro Davide Cavuti, direttore artistico del premio [e della stagione di prosa del Teatro Marrucino], “di alto respiro culturale ed in tal senso la presenza qui a Chieti di Laura Efrikian, che visse momenti fulgidi della sua importante carriera proprio col Maestro Majano [“La Cittadella” 1964, “David Copperfield” 1965, ndc] costituisce un qualificato prologo al futuro prossimo dell’evento, per me è un grande onore potermi occupare in termini di programmazione, idee e contenuti di questo marchio già negli anni passati reso visibile grazie al certosino lavoro di Aurelio Bigi”.

I fiori per Laura Efrikian, un galante omaggio del sindaco Diego Ferrara, riempiono di freschezza il Barbella, gremito per questa presentazione abruzzese del libro, mentre lo scrittore e storico Aurelio Bigi, già commissario straordinario del Marrucino, snocciola dati e curiosità sulle precedenti edizioni e sui vincitori [interpreti e produzioni], a vario titolo, dell’Achille a Cavallo [bronzetto di 40×40 cm, simbolo della città, opera dello scultore Luciano Primavera]: Paolo e Vittorio Taviani, Maurizio Zaccaro, Leo Gullotta, Giuliana Lojodice, Marco Giudici [2002]; Alberto Sironi, Andrea Camilleri, Barbara Bobulova, Massimo Ghini, Giacomo Campiotto, Loretta Goggi, Bianca Maria D’Amato, Renato De Carmine, Roberto Chevalier [2003]; “Renzo e Lucia”, Alessio Boni, Elena Sofia Ricci, Angelo Guglielmi, “La meglio gioventù”, “Elisa di Rivombrosa”, Anna Proclemer, la stessa Laura Efrikian, Claudio Bonivento, Bruno Voglino, Giuseppe Giuliani [2004]. Per la cronaca, si tenne anche una IV edizione, organizzata a Pescara da una nota Associazione, anche se mancò il dovuto raccordo con gli ideatori storici, quelli teatini, del Majano. E poi arriva la targa consegnata dal vice sindaco ed assessore alla Cultura Paolo De Cesare all’attrice che tanto fece commuovere gli italiani per il suo flirt con Gianni Morandi, storia intensa e parallela, culminata nel matrimonio col cantante bolognese, a quella cinematografica nel film di genere romantico-musicale “In ginocchio da te” [1964, regia di Ettore Maria Fizzarotti, sceneggiatura di Giovanni Grimaldi e Bruno Corbucci, produzione Gilberto Carbone per Ultra film, distribuzione Titanus, musiche Ennio Morricone, scenografica Carlo Leva, tra gli interpreti principali Gianni Morandi, Laura Efrikian, Nino Taranto, Enrico Viarisio, Enzo Tortora, Dolores Palumbo, Ave Ninchi, Raffele Pisu]. Le immagini del film scorrono sullo schermo del Barbella, con il soldatino Gianni Traimonti [Morandi] che abbraccia e bacia Carla Todisco [Laura Efrikian] una gradita sorpresa questa per Laura che ringrazia commossa l’amico teatino e promoter Leonida Del Ponte: “mi sarei dovuta aspettare da te questo colpo basso…”. Dietro i riflettori, le foto d’ordinanza, gli applausi ed i plausi c’è la storia di Laura Ephrikian [Treviso 14 giugno 1940], sì la avventurosa ed intensa storia connotata da quel “ph” nel cognome, “sostituito nell’uso artistico con la più scorrevole ‘f’ “, spiega l’attrice e scrittrice, “a seguito del consiglio, che io raccolsi, di Vittorio De Sica, ora però, alla mia età, avverto la necessità di ricomporre le tessere originali della mia famiglia, compreso il cognome”.

Così quel “ph”, logaritmo indice nel sistema immunitario, riporta Efrikian ad Ephrikian e Laura lo assume a difesa identitaria della sua famiglia armena. “Il libro” [Laura Ephrikian – una famiglia armena -], commenta l’autrice, “narra le vicende della mia famiglia, del legame speciale con mio nonno, scappato da ragazzino dalla sua terra per sfuggire ad un vero e proprio genocidio che stava incominciando in tutte le sue drammatiche proporzioni ai danni del popolo armeno”. Vicende di violenze, pulizie etniche, fughe verso la libertà e poi di nuovo lotte per la libertà quando la famiglia Ephrikian si stabilì in Italia offrendo un rischioso contributo alla Liberazione. “Mio nonno che venne catturato dai tedeschi, in qualche modo destabilizzandoli con il suo approccio orientale ai rigori della prigionia, era sempre vicino a me con la sua possenza fisica e la sua grande umanità, più che mai mi sento oggi armena sia con riferimento alle persecuzioni ai danni di questo popolo che la storia, a dir vero poco conosciuta, ci tramanda, sia nello specifico riguardo alle ostilità tra l’Azerbaijan e la Repubblica di Armenia, e pensare che l’Italia acquista gas azero mentre il popolo armeno ha solo la sua cultura e la sua arte da vendere, in questi giorni poi un parallelo è inevitabile e dunque mi chiedo se quegli stessi aiuti che l’Italia e gli altri paesi europei assicurano all’Ucraina possano e debbano come credo essere garantiti anche alla causa di una gente massacrata ed umiliata, ma pur sempre ancora fiera e meritevole di un futuro dignitoso e di libertà…. gente che non ha ricevuto dall’Occidente nemmeno un chilo di pane, non siamo gente di serie B …”. Alla fine, l’apprezzamento per Chieti “la Città bomboniera con i suoi monumenti, il suo centro storico e le sue caratteristiche stradine, dovrò visitarla meglio ma mi sembra sia bellissima …. E poi ha dato i natali ad Antonio Giulio Majano, un regista al quale devo molto, lui mi ha lanciato, pensate un po’, quando seppi che stavano per iniziare le riprese de ‘La Cittadella’, gli telefonai dicendogli in maniera sfrontata: ‘buongiorno, sono Laura Efrikian, la più brava e promettente aspirante attrice del momento, se vuole affidarsi ad interpreti di qualità per il suo sceneggiato questo è il suo giorno fortunato, mi dia subito un appuntamento per un provino, non se ne pentirà …’”. Esuberanza di gioventù, idee chiare, amore per la vita, per l’arte e la libertà. Di questa distinta signora, ancor oggi simbolo di grazia e bellezza, fiera come il popolo delle sue origini, decisa ed innamorata come la ‘Carla’ di “In ginocchio da te”, magnetica come attrice e profonda come scrittrice. “Signora Efrikian, torni a trovarci”, questo l’invito del sindaco Diego Ferrara, mentre si chiudono le luci al Museo d’Arte Costantino Barbella di Chieti, non solo pinacoteca ma anche ‘museo di belle storie’. Come quella di Laura Ephrikian, col ‘ph’, da Treviso.

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Non indicare l’Azerbajgian come l’aggressore aumenterà la sua aggressività contro l’Armenia e l’Artsakh (Korazym 27.09.22)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 27.09.2022 – Vik van Brantegem] – Due anni fa, nel giorno di oggi, le forze armate dell’Azerbajgian, sostenuta dalla madrepatria turca, con l’aiuto di circa 4.000 correligionari terroristi mercenari reclutati dalla Turchia in Siria, attaccava la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Ancora una volta, i turco-azeri preferivano le armi al dialogo diplomatico. L’attacco turco-azero, con i bombardamenti e l’impiego anche di droni turchi e israeliani, provocò la morte di 3.825 militari e civili armeni, nonché migliaia di feriti. Questo Blog dell’Editore era il primi in Italia a seguire da subito la Guerra dei 44 giorni [QUI] e #noinondimentichiamo

Il Presidente dell’Armenia, Vahagn Khachaturyan, nel II anniversario della guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian in Artsakh, ha rivolto un Messaggio alla Nazione, che riportiamo di seguito nella nostra traduzione italiana dall’inglese:

«Caro popolo,
Cari connazionali,
Il 27 settembre 2020, la Guerra dei 44 giorni è stata scatenata dalle operazioni militari dell’Azerbajgian, vanificando gli sforzi compiuti per anni dai Paesi partner e dalle organizzazioni internazionali volti alla soluzione pacifica e negoziata del conflitto del Nagorno-Karabakh senza l’uso della forza.
Due anni fa in questo giorno, la nostra nazione ha affrontato un’altra prova, le nostre forze armate, i volontari, i medici e i cittadini, nuovamente hanno dovuto difendere sul campo di battaglia i diritti inalienabili dei nostri compatrioti dell’Artsakh di vivere e creare nella propria Patria.
La guerra dei 44 giorni è stata una sfida esistenziale per l’Armenia e l’Artsakh piena di perdite irreversibili.
Esprimo le mie più sentite condoglianze e vicinanza ai parenti dei nostri cari caduti nella battaglia. Mi inchino davanti alla loro memoria.
Oggi, in questo periodo difficile e ricco di prove, è dovere di tutti noi apprezzare degnamente il sacrificio dei nostri eroi caduti e capire che sono caduti per amore della vita, per il diritto insindacabile del nostro popolo alla vita e per la pace per cui stiamo ancora combattendo.
Forza e coraggio a tutti noi per il bene della nostra indipendenza e libertà».

Due anni fa, il 27 settembre 2020, gli Armeni si sono svegliati alla notizia che l’Azerbajgian stava attaccando nuovamente nel Nagorno-Karabakh. Sebbene fosse chiaro da subito, che questa attacco non fosse la solita scaramuccia di confine, nessuno avrebbe potuto prevedere, che questo fosse l’inizio di una guerra totale contro la Repubblica di Arsakh, che sarebbe durata sei settimane e concluso con l’occupazione di una grande parte del territorio, incluso la città simbolo di Sushi.

Infatti, nelle prime ore del 27 settembre 2022, l’esercito di Aliyev scatenò un’offensiva su larga scala lungo tutta la linea di contatto con l’Artsakh, facendo ricorso all’intero arsenale a sua disposizione. In risposta, i Governi di Armenia e di Artsakhi dichiarano la legge marziale e la mobilitazione dei riservisti, mentre molti cittadini si arruolavano volontariamente per essere schierati con l’esercito in prima linea a difendere la Nazione.

Stepanakert, la capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Con il forte sostegno turco durante tutta la durata delle ostilità, le forze armate azerbajgiane conducevano una guerra di conquista, con bombardamenti indiscriminati di paesi e città di Artsakh, inclusa la capitale Stepanakert. Case, appartamenti, chiese e persino l’ospedale di maternità di Stepanakert sono stati colpiti da bombe e missili azeri.

Durante l’intero corso dell’aggressione, l’esercito azerbajgiano ha usato delle munizioni proibite, anche contro i civili. Ci sono vaste prove delle torture commesse dalle autorità azere contro i prigionieri armeni. Il fatto che la Turchia ha reclutato terroristi mercenari dalla Siria per combattere contro le forze armene, è stato confermato da organizzazioni internazionali indipendenti e da funzionari di diversi Paesi. Alla fine, due siriani catturati sono stati condannati all’ergastolo in Armenia.

Nonostante tre accordi umanitari di cessate il fuoco, raggiunti durante i 44 giorni di combattimenti, con la mediazione dei Paesi co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE (Russia, Francia e USA), l’Azerbajgian li ha violati quasi immediatamente dopo essere entrati in vigore. Pesanti combattimenti sono continuati per 44 giorni, finché nella notte tra il 9 e il 10 novembre 2020, l’Armenia e l’Azerbajgian hanno firmato un accordo di cessate il fuoco mediata dalla Russia, noto come Dichiarazione del Presidente della Federazione Russa, il Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian e il Primo Ministro della Repubblica di Armenia. In base a questo accordo di cessate il fuoco, la Federazione Russa ha schierato in Artsakh una forza di pace di circa 2.000 militari.

Comunque, a due anni dalla guerra in Artsakh, l’Azerbajgian non rinuncia alle sue aspirazioni espansionistiche. Ad oggi, l’Azerbajgian si rifiuta di attuare gli accordi del cessate il fuoco e non ha restituito ancora tutti i prigionieri armeni. Dopo le sue conquiste in Artsakh, l’Azerbajgian ha iniziato anche un’aggressione contro l’Armenia direttamente. Nel maggio 2021 le forze armate azere si sono infiltrate nel territorio sovrano dell’Armenia e fino ad ora non si sono ancora ritirati, considerando i territori occupati come “terra azera”. Poi, poco dopo la mezzanotte del 13 settembre scorso, l’Azerbajgian da diverse direzioni ha sferrato un’altro attacco militare su larga scala contro il territorio sovrano dell’Armenia, prendendo di mira non solo obiettivi militari, ma anche insediamenti e infrastrutture civili. Almeno 207 persone sono state uccise o sono disperse a causa di quest’ultima aggressione azera e oltre 20 militari armeni sono stati fatti prigionieri.

La sera del 14 settembre è stato raggiunto un cessate il fuoco con la mediazione della comunità internazionale, che tiene in linea di massima, ma la situazione al confine armeno-azero rimane ancora tesa, con ripetute provocazioni da parte dell’Azerbajgian. Questa mattina alle ore 09.00 locali, la situazione al confine armeno-azero era relativamente stabile e non era stato registrato alcun cambiamento nella situazione, ha affermato il Portavoce del Ministero della Difesa, Aram Torosyan.

Lo scopo delle aggressioni militari dell’Azerbajgian sul territorio sovrano dell’Armenia, a parte le mire espansionistiche (occupare territori armeni considerati “azeri”, fino a rivendicazioni sulla capitale Erevan), è stato confermato e spiegato con chiarezza dal Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, durante il suo delirante discorso [QUI], pronunciato il 21 settembre 2022 a Berdzor (Lachin), città della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh dal 26 agosto scorso sotto occupazione delle forze armate azere, insieme ai villaggi di Aghavno (Zabukh) e Sus.

Aliyev ha confermato, che ha occupato posizioni favorevoli per le forze armate dell’Azerbajgian sul territorio sovrano dell’Armenia, per controllare le vie di comunicazione armene: «Siamo sulla nostra terra e stiamo proteggendo la nostra stessa terra. Le nostre posizioni lungo il confine ci danno l’opportunità di anticipare qualsiasi provocazione armena e prendere le misure necessarie. Siamo in una posizione favorevole sul confine tra Azerbajgian e Armenia, dal monte Murov al fiume Araz. Queste posizioni ci danno sia un vantaggio militare, che la possibilità di controllo visivo su una vasta area, compreso il controllo su importanti linee di comunicazione, e siamo già posizionati in queste aree. Non abbiamo avuto accesso a questi confini per 30 anni».

Stepanakert, 27 settembre 2022. Un minuto di silenzio in memoria delle vittime dei 44 giorni di guerra dell’Azerbajgian contro l’Artsakh di due anni fa.

Nel frattempo continuano ad arrivare notizie inconfutabili di crimini di guerra azeri.

«Su piattaforme azere di Telegram, il 14 settembre 2022 sono stati creati 119 adesivi pubblici con foto di soldati e civili armeni torturati e smembrati. Gli adesivi includevano anche la guerra aggressiva del 13-15 settembre 2022 dell’Azerbaigian contro l’Armenia. In 5 giorni sono stati registrati 20.000 casi di download. Con il nostro aiuto specializzato è stato bloccato» (Arman Tatoyan).

«Militari azeri hanno ucciso un soldato armeno, gli hanno scattato una foto, filmato un video e inviato la foto a sua moglie tramite WhatsApp, pubblicato il video su “Storia” di WhatsApp. Il video ha altri militari armeni uccisi in gruppo. Prove oggettive verificate dal Centro Legge e Giustizia Fondazione Tatoyan» (Arman Tatoyan).

All’ONU, Pashinyan denuncia i crimini di guerra dell’Azerbajgian e si rivolge ad Aliyev: “Mostrami la mappa che sei pronto a riconoscere”. Il rischio di una nuova aggressione contro l’Armenia rimane alto – 23 settembre 2022

#NoiStiamoConArmenia L’Azerbajgian è un partner dell’Unione Europa inaffidabile, guerrafondaio e ingordo. I crimini di guerra – 19 settembre 2022

La mancanza di accountability da parte dell’Azerbajgian potrebbe portare ad una maggiore aggressività contro l’Armenia

I recenti attacchi militari dell’Azerbajgian contro l’Armenia sono giunti a dimostrare che, in assenza di adeguate misure di responsabilità, è probabile che le politiche di aggressione dell’Azerbajgian continuino e aumentino, ha affermato il Rappresentante permanente dell’Armenia presso le Nazioni Unite, l’Ambasciatore Mher Margaryan, in risposta alle dichiarazioni dell’Azerbajgian nel contesto del dibattito plenario della 77ª Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York.

“L’ultima offensiva militare scatenata dall’Azerbajgian all’inizio di questo mese, ha preso di mira le regioni orientali e sudorientali dell’Armenia, provocando più di 200 morti. Almeno 20 militari sono stati catturati, circa 8.000 persone, per lo più donne, bambini e anziani sono temporaneamente sfollati”, ha detto Margaryan.

“In flagrante violazione delle Convenzioni di Ginevra e del diritto internazionale umanitario, l’Azerbajgian ha catturato, torturato e ucciso un certo numero di militari armeni, tra cui diverse donne, che sono state esposte alle più spregevoli barbarie, tra cui aggressioni sessuali, omicidi violenti e mutilazioni [QUI]. Le atrocità sono state videoregistrate, acclamate e ampiamente celebrate sui social network in Azerbajgian. L’enorme quantità di prove inquietanti che dimostrano la condotta criminale dell’esercito azero è inconfutabile. È sempre più imperativo che tutti gli atti di atrocità siano indagati a fondo e gli autori siano assicurati alla giustizia”, ha osservato l’Ambasciatore Margaryan. “Sullo sfondo di violenze brutali, insensate e del tutto ingiustificabili scatenate contro l’Armenia e il popolo armeno, sentire il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian dichiarare apertamente dalla tribuna dell’Assemblea Generale, che il suo Paese “ha adottato misure adeguate per neutralizzare la minaccia contro la sua sovranità” e che le forze armate dell’Azerbajgian hanno dimostrato la massima moderazione e professionalità” è a dir poco ridicolo. Nonostante tutti i discorsi su “provocazioni”, “minacce” o qualsiasi altro pretesto che l’Azerbajgian ha cercato di fabbricare per giustificare l’ingiustificabile, resta il fatto che non c’è stato un vero attacco armato dell’Armenia contro l’Azerbajgian”, ha sottolineato Margaryan.

“Nella riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU, convocata il 15 settembre su richiesta formale dell’Armenia, abbiamo ascoltato gli appelli dei membri del Consiglio, che sono stati forti e chiari: gli attacchi sul territorio dell’Armenia sono inaccettabili; tutte le forze armate devono tornare urgentemente alle loro posizioni iniziali e un cessate il fuoco completo deve essere osservato e rispettato incondizionatamente”, ha affermato Margaryan. “I membri del Consiglio sono stati unanimi negli appelli: non ci può essere una soluzione militare o violenta del conflitto. Dodici giorni dopo la riunione del Consiglio di sicurezza, l’Azerbajgian non ha ancora ascoltato gli appelli dei membri del Consiglio. Le forze armate azere continuano a rimanere all’interno del territorio dell’Armenia, i prigionieri di guerra armeni sono ancora in cattività e il potenziamento militare alle frontiere dell’Armenia prosegue”, ha aggiunto Margaryan.

Ha osservato che gli ultimi attacchi dell’Azerbajgian sono giunti solo a dimostrare che, in assenza di adeguate misure di responsabilità, è probabile che le politiche di aggressione continuino e aumentino. Questo deve essere fermato e condannato, a tutti i livelli.

“Abbiamo sentito il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian affermare, che ‘gli sforzi di risoluzione del conflitto sotto gli auspici dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OCSE) non hanno prodotto risultati’. Sebbene comprendiamo che incolpare il formato della mediazione è stato e continua ad essere il conveniente modus operandi per l’Azerbajgian, la verità è che per molti anni l’Azerbajgian ha costantemente rifiutato le proposte di soluzione diplomatica, in palese disprezzo verso il suo obbligo preminente di aderire rigorosamente ai principi del non uso della forza o della minaccia della forza e della risoluzione pacifica delle controversie, come prescritto dalla Carta delle Nazioni Unite”, ha affermato il Rappresentante permanente armeno. “Invece, ha cercato di spingere per una narrativa ingannevole che incolpa le vittime come presunta giustificazione per il suo obiettivo di lunga data di risolvere il conflitto con la forza e non con mezzi pacifici. È proprio per questo motivo che l’Azerbajgian si è opposto con tanta veemenza a qualsiasi idea che porti alla creazione di meccanismi di verifica monitorati a livello internazionale per identificare le violazioni del cessate il fuoco. Tali misure, se stabilite, sarebbero strumentali per porre fine al gioco delle colpe e porre fine a sparare e uccidere persone da entrambe le parti”, ha affermato.

Margaryan ha sottolineato che le affermazioni secondo cui l’Azerbajgian ha risolto il conflitto del Nagorno-Karabakh con la forza e i tentativi di cancellare il nome stesso di questa terra armena, sono la dimostrazione di qualcosa che attesta una crisi profonda: una crisi della ragione, dell’intelletto e dell’umanità , rivelando, invece, una politica a dir poco di pulizia etnica e chiari intenti genocidi. “Sono costretto a ricordare che è stato proprio per tale politica e quel tipo di intenti che il conflitto è scoppiato in primo luogo, quando le aspirazioni pacifiche in materia di diritti umani del popolo del Nagorno-Karabakh sono state accolte con violenza di massa e pogrom della popolazione armena a Sumgait nel febbraio 1988 e a Baku, Kirovabad e in altre città all’inizio degli anni ’90. Centinaia di Armeni che vivevano in Azerbajgian sono stati uccisi, torturati e mutilati, centinaia di migliaia sono stati deportati”, ha osservato Margaryan.

“È davvero profondamente inquietante che, a 30 anni di distanza, lo sterminio degli Armeni e lo spargimento di sangue armeno continuino a rimanere il modo più semplice e veloce per ottenere il sostegno popolare nel Paese vicino”, ha affermato l’Ambasciatore Margaryan.

“Abbiamo sentito il Ministro azerbajgiano affermare che ‘l’Azerbajgian è deciso a reintegrare i suoi cittadini di origine armena residenti nei territori colpiti dal conflitto nel suo spazio politico, sociale ed economico, garantendo gli stessi diritti e libertà a tutti i cittadini dell’Azerbajgian’. Siamo ben consapevoli del modo in cui i diritti e le libertà sono garantiti in Azerbajgian, il cui primato in materia di diritti umani è ben noto nel mondo”, ha osservato Margaryan, ricordando alcune classifiche internazionali relative alla democrazia e ai diritti umani nel Paese vicino. Secondo l’indice sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere, l’Azerbaigian è classificato al 154° posto e si qualifica come un Paese in cui l’intero settore dei media è sotto il controllo ufficiale. La Freedom House qualifica l’Azerbajgian come “non libero” nel suo rapporto sulle libertà globali, così come nel rapporto sulla libertà in rete.

Inutile ricordare la pratica di corruzione ad alto livello in Azerbajgian che è stata periodicamente segnalata dall’Organized Crime and Reporting Project come parte del Global Anti-Corruption Consortium, ha affermato Margaryan.

“Abbiamo sentito il Ministro dell’Azerbajgian parlare a favore dell’invio di una missione dell’UNESCO, mentre il suo Paese continua a negare l’accesso dell’UNESCO alla zona di conflitto del Nagorno-Karabakh, in un’altra manifestazione dell’intento di distruggere le prove della presenza di civiltà armena nella regione e in diretta violazione dell’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia sulle misure provvisorie. Questa politica segue il noto modello di genocidio culturale dell’Azerbajgian, simile a quello perpetrato nel periodo 1997-2006, quando migliaia di monumenti cristiani armeni furono intenzionalmente distrutti e rasi al suolo a Nakhijevan”, ha affermato Margaryan.

“L’Azerbajgian deve ancora rispettare i suoi obblighi umanitari internazionali nei confronti dei prigionieri di guerra armeni, nonché affrontare la retorica anti-armena, anche a livello di funzionari e istituzioni pubbliche, e impegnarsi, in buona fede, per la conservazione del patrimonio culturale e religioso armeno, come reso dalla Corte Internazionale di Giustizia attraverso le misure provvisorie emesse contro l’Azerbajgian ai sensi della Convenzione sull’eliminazione della discriminazione razziale nel dicembre 2021”, ha affermato l’Ambasciatore Margaryan.

“Il Ministro dell’Azerbajgian ha accusato l’Armenia di ‘massiccia contaminazione da mine antiuomo e del continuo rifiuto di fornire informazioni accurate e complete sulle aree minate’. Abbiamo già sentito le affermazioni dell’Azerbajgian, molto spesso usate come pretesto per giustificare un’aggressione armata contro il nostro Paese. Abbiamo anche visto che tali affermazioni, prive di prove concrete come sono, hanno scarso valore in tribunale. Come l’Armenia ha spiegato alla Corte Internazionale di Giustizia, mentre affrontava un’accusa simile lo scorso anno, per decenni l’Armenia ha cercato di completare un processo di sminamento completo. Tuttavia, l’Azerbajgian ha costantemente bloccato tutti questi sforzi umanitari”, ha continuato Margaryan. “L’Armenia ha una lunga esperienza di collaborazione con l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) su attività legate allo sminamento, anche attraverso l’ufficio dell’OSCE a Yerevan. Tuttavia, è stato l’Azerbajgian a costringere l’OSCE nel 2016 a porre fine a tali sforzi di sminamento. Inoltre, l’Azerbajgian, attraverso manipolazioni procedurali, ha rifiutato di prorogare il mandato dell’Ufficio OSCE di Yerevan, cosicché detto ufficio ⎯ che era l’ultima presenza OSCE sul campo nel Caucaso meridionale ⎯ ha dovuto chiudere nel 2017. Va inoltre notato che, nel contesto della risoluzione di tutte le questioni umanitarie in sospeso, l’Armenia ha fornito le mappe delle aree minate in suo possesso, nonostante non abbia alcun obbligo legale in tal senso. Al contrario, questo gesto umanitario non è stato pienamente ricambiato, poiché l’Azerbajgian continua a negare il ritorno di tutti i prigionieri di guerra armeni e di altre persone detenute attualmente detenute in Azerbajgian, in violazione delle Convenzioni di Ginevra e della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020 sull’instaurazione del cessate il fuoco e la cessazione delle ostilità”, ha sottolineato Margaryan.

Ha osservato, che l’Armenia continuerà a fare appello alle Nazioni Unite e ai suoi rispettivi organi, nonché ai pertinenti attori internazionali affinché si facciano carico delle loro responsabilità per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, e per condannare risolutamente gli attacchi criminali dell’Azerbajgian contro l’integrità territoriale dell’Armenia e il suo popolo, per chiedere il ritiro incondizionato delle truppe dell’Azerbajgian dai territori dell’Armenia, per il rimpatrio immediato di tutti i prigionieri di guerra e di altre persone detenute, e di sostenere le norme del diritto internazionale e i valori di pace e umanità.

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La Russia sta perdendo la presa sul Caucaso? (East Journal 26.09.22)

Le sconfitte subite dalle truppe russe in Ucraina, e le difficoltà che il Cremlino sta incontrando nel portare avanti il conflitto, hanno mostrato chiaramente i limiti del gigante russo che, come scriveva il marchese De Custine nel lontano 1839, ha piedi d’argilla. La debolezza russa è occasione per riaprire vecchi conti e rimettere in discussione vecchi equilibri nell’estero vicino di Mosca, vale a dire nel Caucaso e in Asia centrale, dove nuovi scontri hanno riacceso vecchie dispute.

Gli scontri nel Nagorno-Karabakh

Il Nagorno Karabakh, territorio azero a maggioranza armena, si è proclamato indipendente nel 1991, durante la dissoluzione sovietica, generando una guerra tra l’Armenia – che ne sostiene l’indipendenza – e l’Azerbaijan, che ne reclama la sovranità. Un primo conflitto, tra il 1992 e il 1994, ha portato alla vittoria dell’Azerbaijan ma non alla pace. Dopo decenni di instabilità, nel 2020 la guerra è ripresa per sei settimane trovando infine tregua grazie alla mediazione del Cremlino, tradizionale alleato degli armeni ma interessato a mantenere l’equilibrio nella regione caucasica.

Tuttavia, tra il 12 e il 14 settembre scorso l’esercito dell’Azerbaijan ha lanciato una serie di attacchi d’artiglieria e droni sulle posizioni armene sia verso i territori del Nagorno-Karabakh, sia all’interno della stessa Armenia, colpendo anche centri abitati che non si trovano lungo la linea di confine. L’attacco azero è stata un’aggressione deliberata finalizzata a capitalizzare la propria posizione di forza in un momento in cui la Russia appare debole e incapace di mantenere la propria influenza nella regione. Proprio la Russia, infatti, si era fatta garante di una tregua che, nel 2020, aveva messo fine a sei settimane di scontri tra armeni e azeri. L’accordo di cessate-il-fuoco, firmato a Mosca alla presenza di Vladimir Putin, prevedeva la restituzione del Distretto di Kəlbəcər e del Distretto di Laçın all’Azerbaijan e stabiliva la presenza di peacekeepers russi lungo il corridoio di Laçın destinato a collegare il Nagorno-Karabakh all’Armenia, tradizionale alleato di Mosca nella regione.

Malgrado la presenza militare russa, le truppe azere hanno attaccato e hanno avuto facilmente la meglio sul nemico. Gli azeri, addestrati dai turchi secondo gli standard della NATO, e dotati dei famosi droni turchi Bayraktar TB2, sono apparsi decisamente superiori rispetto agli armeni. Anche per questo il ministro della Difesa armeno, Suren Papikyan, ha chiesto all’omologo russo, Sergei Shoigu, di intervenire per riportare la situazione sotto controllo, coinvolgendo l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), un’alleanza militare di sei stati guidata dalla Russia. Ma il Cremlino, impegnato a evitare la débâcle in Ucrainanon ha risorse né capacità per intervenire e l’OTSC si è limitata a esprimere “preoccupazione“.

Abcasia e Ossezia del sud, territori separatisti georgiani

L’Ossezia del Sud e l’Abcasia sono due regioni de iure georgiane, ma de facto indipendenti grazie al sostegno di Mosca. Anche in questo caso il conflitto affonda le sue radici nella dissoluzione sovietica, ma la guerra osseto-georgiana del 2008, nella quale il governo di Tbilisi – allora guidato da Mikheil Saakashvili – cercò di riprendersi i territori separatisti, culminò con l’ingresso dei russi nel conflitto e la conseguente disfatta georgiana. La guerra tra separatisti e georgiani prosegue oggi sul fronte russo-ucraino: soldati osseti sono andati a ingrossare le fila dell’esercito russo mentre l’Abcasia ha dichiarato di voler fare altrettanto. Dalla parte opposta, un gruppo paramilitare, la Legione Nazionale Georgiana, composta di veterani delle guerre in Iraq e in Afghanistan, si trova attualmente in Ucraina a combattere i russi al fianco dell’esercito di Kiev. I georgiani sostengono fermamente la lotta ucraina, in cui rivedono la propria, e sperano che una sconfitta della Russia possa aprire le porte della NATO anche a Tbilisi. Manifestazioni pro-ucraine si sono susseguite, mentre 150mila russi in fuga dal regime sono riparati in Georgia dove cresce sempre più forte la voglia di una rivincita militare malgrado il governo, guidato dal partito Sogno georgiano, guidato dall’oligarca filorusso Bidzina Ivanishvili, si sia mostrato freddo nel sostegno a Kiev.

Il dominio russo sulla regione sta stretto anche agli abcasi che hanno più volte manifestato insofferenza per l’atteggiamento coloniale mostrato dal Cremlino nei loro confronti. Diverso il caso dell’Ossezia del Sud, assai più incline a un’integrazione con la Federazione russa, tanto che un referendum per l’annessione doveva tenersi il 17 luglio scorso salvo poi saltare per lo scetticismo di Mosca, poco incline a creare un ulteriore fronte di scontro con la comunità internazionale.

Conclusioni

L’intero Caucaso meridionale sembra ribollire e molto si agita sotto la cenere dei conflitti mai spenti. Qualora la condizione di debolezza del Cremlino perduri, o nel caso in cui il regime si trovi nella condizione di non poter agire, persino collassando, ecco allora che nuove tensioni e rinnovate ambizioni militari e politiche emergeranno nella convinzione di saldare vecchi conti, ma destabilizzando una regione dai fragili equilibri. Non si deve tuttavia fare l’errore di ritenere la presenza russa un fattore di stabilità. Al contrario la Russia è l’origine dei molti mali del Caucaso, e non da oggi. La logica della violenza e del sopruso portata avanti dai russi in secoli di occupazione, influenza e interferenza nella regione ha infine condotto a una pacificazione mancata: il fondamentalismo islamico, le guerre civili, i separatismi e i conflitti che hanno generato, tutto questo non ci sarebbe stato senza la presenza russa. Oggi, di quella presenza, vediamo i risultati.

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Eurovision 2022, disco d’oro in Italia per “Snap” di Rosa Linn (Eurofestivalnews 26.09.22)

Snap in one, two, where are you? È il motivetto rimasto in testa a tanti dopo l’Eurovision 2022 tenutosi a Torino lo scorso maggio. Un motivetto proveniente dall’Armenia e dalla voce di Rosa Linn che, nonostante un deludente ventesimo posto, nell’estate 2022 ha spopolato in tutto il mondo grazie alla viralità acquisita sul social network TikTok (che è stato anche Entertainment Partner dell’Eurovision 2022) che le ha permesso di raggiungere risultati mai visti per un artista armeno e che difficilmente un artista eurovisivo ha raggiunto con il proprio brano eurovisivo.

Oggi, con la comunicazione delle certificazioni raggiunte nella scorsa settimana da parte di FIMI, si è scoperto che Rosa Linn ha raggiunto il disco d’oro in Italia con il suo brano, pari a 50 mila copie vendute e certificate. Queesto è un dato importantissimo per l’Eurovision in Italia, dal momento che “Snap” è il terzo brano eurovisivo non italiano del terzo millennio ad essere stato certificato in Italia dopo Euphoria di Loreen (disco d’oro raggiunto con 15 mila copie) e dopo Arcade di Duncan Laurence (sempre disco d’oro certificato a 35 mila copie).

In Italia è dal 3 giugno inoltre che “Snap” è stata lanciata nelle radio italiane, ma data la nota resistenza delle case discografiche verso l’evento e a maggior ragione che si tratta di un brano prodotto da un’etichetta indipendente (la Nvak Collective fondata da Tamar Kaprelian), i passaggi in radio sono stati esigui, difatti la certificazione è giunta essenzialmente con gli streams macinati in Italia.

Tuttavia, è probabile che a breve comincerà ad essere maggiormente trasmessa, grazie alla recentissima pubblicazione della versione bilingue di “Snap” cantata da Rosa Linn e da Alfa. Considerato il grande sostegno di Alfa da parte del management di RTL 102.5, la speranza è che il brano possa finalmente prendere piede anche nelle radio italiane che per anni non sono state avvezze alla riproduzione di brani dell’Eurovision (fatta eccezione per pochissimi).

Rosa Linn: dall’Eurovision 2022 al successo internazionale

Cresciuta a Vanadzor, un piccolo paese rurale dell’Armenia, Rosa Linn (al secolo Rosa Kostandyan) scrive e compone le sue canzoni da giovanissima, tentando nel 2013 anche la via dello Junior Eurovision Song Contest (senza tuttavia vincere la selezione nazionale). Selezionata internamente per l’Eurovision 2022, il 19 marzo viene pubblicato “Snap”, che parla di una storia d’amore che si vorrebbe dimenticare con uno schiocco di dita. A Torino riporta dopo cinque anni l’Armenia in finale, e riceve un totale di 61 punti di cui 8 dalla giuria italiana.

Dopo la viralità raggiunta a giugno 2022 grazie ad una versione velocizzata, “Snap” è entrato in classifica in ben 33 Paesi tra cui l’Italia, ed a metà agosto ha superato in termini di riproduzioni su Spotify anche “Brividi” di Mahmood e Blanco, diventando dunque il brano più riprodotto dell’Eurovision 2022 e l’undicesimo brano dell’Eurovision a superare le 100 milioni di riproduzioni.

Attualmente conta quasi 190 milioni di streams su Spotify considerando solo la versione originale, ed è il quinto brano più riprodotto di sempre dell’Eurovision, meglio di lei solo “Fairytale” di Alexander Rybak (anche lui riemerso grazie alla viralità su Tiktok), “Soldi” di Mahmood, “Zitti e buoni” dei Maneskin e “Arcade” di Duncan Laurence (che ad oggi conta ben 800 milioni di streams).

Quella in Italia inoltre non è la sola certificazione ricevuta, difatti anche in Svezia molto di recente “Snap” è stata certificata disco d’oro (equivalente a 40 mila copie vendute), ed aveva poi fatto il suo ingresso nella Hot 100 di Billboard, sia pure in posizioni di retroguardia, oltre ad essere nella top 10 assoluta dell’Airplay europeo (primo brano armeno in assoluto ad esserci riuscito).

È indubbio dunque pensare che sia stata proprio Rosa Linn la vincitrice morale di questo Eurovision italiano, dal momento che per trovare un altro artista armeno che ha avuto un grande successo bisogna tornare al 2014, quando Aram MP3 con la sua “Not alone” (quarta e miglior risultato dell’Armenia con il quarto posto del 2008) raggiunse le classifiche di 11 Paesi al di fuori dell’Armenia, e comunque lo fece in posizioni molto di retroguardia se comparate con quelle raggiunte da Rosa Linn.

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Laura Efrikian presenta “Una Famiglia Armena” al Barbella di Chieti (Abruzzonews 26.09.22)

L’attrice, che sarà a Chieti il 27 settembre per presentare il suo ultimo libro, riceverà una “Menzione speciale” dal Premio Internazionale Anton Giulio Majano.

CHIETI – Domani, martedì 27 Settembre 2022, alle ore 18, il Museo Barbella di Chieti ospiterà la presentazione del libro “Una Famiglia Armena” scritto dall’attrice Laura Efrikian. Durante la manifestazione, Laura Efrikian riceverà una targa speciale dal “Premio Internazionale Anton Giulio Majano” che sarà consegnata dal vice-sindaco Paolo De Cesare; saranno presenti all’iniziativa il sindaco di Chieti Diego Ferrara e il maestro Davide Cavuti, direttore artistico del «Premio Internazionale Majano». Durante la manifestazione verrà presentato anche il libro “Polvere d’Africa” dello scrittore Marco Novati.

“Laura Efrikian è stata interprete di alcuni degli sceneggiati più importanti diretti da Anton Giulio Majano, quali “La Cittadella (1964) e “David Copperfield” (1965)- così il vicesindaco Paolo De Cesare – In occasione della presentazione del suo libro, abbiamo voluto conferirle una “menzione speciale” del Premio intitolato al celebre regista Anton Giulio Majano, un grande personaggio della cultura italiana, nato a Chieti e a cui l’amministrazione comunale ha voluto donare di nuovo lustro, proponendo la realizzazione di un premio a lui dedicato”.

Dopo la serata intitolata “Romanzo Cinematografico”, ideata dal maestro Davide Cavuti per l’appuntamento conclusivo della Stagione di Prosa del “Teatro Marrucino”, l’assessorato alla cultura del comune di Chieti, guidato dal vice-sindaco Paolo De Cesare, ha voluto istituire il “Premio Internazionale Majano” Città di Chieti. Il “Premio Internazionale Majano” si avvarrà della direzione artistica del maestro Davide Cavuti, direttore artistico della Stagione di Prosa del “Teatro Marrucino”.

Anton Giulio Majano nasce a Chieti il 5 luglio 1909; ha realizzato alcuni dei capolavori per la televisione tratti da romanzi e testi di grandi autori: tra le sue tante regie, ricordiamo “Capitan Fracassa” (1958), “L’isola del tesoro” (1959), “Delitto e castigo” (1963), “La cittadella” (1964),“Tenente Sheridan: La donna di fiori” (1965), “La freccia nera” (1968-1969), “E le stelle stanno a guardare” (1971) e molti altri ancora.

Gli Armeni sono forse vittime di serie B? (Informazione Cattolica 25.09.22)

NONOSTANTE L’AGGRESSIONE DELL’AZERBAIJAN RICALCHI QUELLA DELLA RUSSIA ALL’UCRAINA, POCHI SEMBRANO INTERESSATI A FERMARE QUESTO NUOVO CONNONOSTANTE L’AGGRESSIONE DELL’AZERBAIJAN RICALCHI QUELLA DELLA RUSSIA ALL’UCRAINA, POCHI SEMBRANO INTERESSATI A FERMARE QUESTO NUOVO CONFLITTO DIETRO AL QUALE C’E’ IL DITTATORE TURCO ERDOGAN

Il conflitto in Ucraina che sta impegnando la Russia ha come ricaduta l’apertura di altre crisi, in particolare nella incandescente area caucasica, in cui l’Azerbaijan sembra voler cogliere l’opportunità offerta dal venir meno del ruolo di stabilizzazione dell’area assunto dalla Federazione russa per regolare definitivamente i conti con gli Armeni. le truppe azere nella notte tra il 12 e 13 Settembre hanno iniziato una guerra contro la Repubblica Armena, a due anni dalla seconda guerra del Nagorno Karabak, iniziata sempre dall’ Arzebajian per liquidare la provincia armena dichiaratasi indipendente dell’Artsakh. Questa volta ad essere aggredita, secondo modalità che ricorda molto da vicino quanto avvenuto ormai più di sei mesi fa in Ucraina, è l’Armenia.

Dei motivi che hanno scatenato questa guerra parliamo con Emanuele Aliprandi, un italiano che ha origini armene e fa parte del direttivo della Comunità armena di Roma. Aliprandi, analista geopolitico specializzato nelle dinamiche della regione del Caucaso, negli anni si è dedicato con particolare interesse nell’analisi della Questione Armena, in special modo il caso del Nagorno-Karabakh. Su tale tema ha pubblicato “Le ragioni del Karabakh. Storia di una piccola terra e di un grande popolo” (2010), “1915: Cronaca di un Genocidio. La tragedia del popolo armeno raccontata dai giornali italiani” (2021) e per ultimo “Pallottole e petrolio. Il conflitto del Nagorno Karabakh (Artsakh) e la nuova guerra che ha infiammato il Caucaso” (2021) che oltre a fornire una cronaca della guerra dell’autunno 2020 illustra anche le problematiche post conflitto.

L’Italia ha parecchi legami con il popolo armeno, ce li può illustrare brevemente?

«I rapporti tra l’Italia e gli armeni risalgono al medioevo, quando monaci armeni vennero a predicare nella Penisola e si crearono attorno a monasteri e chiese fiorenti commerci, poi nei secoli di queste piccole comunità si sono perse le tracce ma in molte città italiane dal nord al sud ancora oggi vi sono località, vie, chiese e palazzi degli armeni a testimonianza del fatto che erano presenti importanti comunità. L’ultimo flusso c’è stato in conseguenza del genocidio del 1915 che ha portato parecchie famiglie di sfollati e orfani in fuga dall’impero ottomano a stabilirsi in Italia. In Puglia fu creato un villaggio proprio per i profughi armeni».

Gli armeni sono cristiani fin dal IV secolo e lo sono rimasti resistendo alle numerose persecuzioni islamiche, soprattutto degli ottomani senza tuttavia mai ricevere particolare sostegno da parte dell’Occidente. Ricordiamoci in particolare del Metz Yeghern, il genocio perpetrato dai turchi nel 1915 al quale ha accennato. Perché?

«La dimenticanza purtroppo è frutto della politica internazionale, in cui certi interessi e “valori” contano più delle questioni morali. Ha ricordato che gli Armeni sono cristiani da IV secolo; nel monastero di Amaras il monaco Mesrop Mashtots creò l’alfabeto armeno, lo strumento per portare la parola di Dio al popolo. Questo alfabeto e la religione cristiana hanno cementificato gli armeni che vivevano in un contesto geografico particolare, essendo stretti tra popoli di tutt’altra fede, lingua e cultura, che così hanno potuto conservare la loro identità. Purtroppo le questioni internazionali diventano talvolta più importanti della sopravvivenza di un popolo. Nella conferenza di Losanna del 1923 che doveva risistemare il Medio Oriente e il Caucaso dopo la fine dell’impero ottomano gli interessi particolari e la realpolitik prevalsero sull’obbligo morale che le potenze occidentali avrebbero dovuto avere nei confronti degli armeni che erano stati quasi sterminati dai Turchi. Questo nonostante tutti fossero stati coinvolti emotivamente tra il 1915 e il 1918 facendo anche a gara per accogliere la popolazione sopravvissuta. Da allora è cominciata una dimenticanza che ancora continua. Dopo l’aggressione dell’Azerbaijan, che ricorda molto quella all’Ucraina, mi sarei aspettato di vedere sui social qualche bandierina armena, invece questa cosa è passata quasi inosservata».

Quali sono in questa fase storica le spinte e le minacce che devono fronteggiare gli armeni, stretti tra Turchia, repubbliche russe islamiche, e Iran?

«A distanza di più di un secolo da ciò che accadde nell’impero ottomano ad opera dei Giovani turchi e il tentativo di sterminio degli armeni sostanzialmente stiamo rischiando di assistere a qualcosa di simile. Le persecuzioni del sultano Abdul Adid di fine Ottocento, poi riprese dai Giovani turchi, puntavano alla realizzazione del sogno di una unica nazione turca e turcofona che dal Mediterraneo arrivasse all’Asia centrale ma gli Armeni costituivano un ostacolo interrompendo questa continuità. Per fortuna il progetto nel 1915 non ebbe pieno successo nonostante l’eliminazione di un milione e mezzo di armeni. Una parte del popolo rimase, sia pure confinato in uno spazio geografico molto limitato. Oggi assistiamo, attraverso le politiche nazionaliste ed espansioniste di Erdogan, ad un percorso politico molto simile e l’aggressione in atto fa appunto parte di un piano per conquistare l’Armenia meridionale e creare una continuità tra Turchia, Azerbaijan fino ai paesi dell’Asia centrale ex sovietici. Anche se oggi non si può parlare di genocidio vi è un progetto politico di espansionismo molto simile a quello di cento anni fa. Paradossalmente l’Iran, fortemente caratterizzato dalla religione islamica, ha tutto l’interesse a mantenere rapporti con l’Armenia per questioni strategiche, quindi vi sono anche contrasti politici, tuttavia Erdogan e Ilham Aliyev in questo momento stanno cercando di creare il corridoio».

Rimanendo sull’attuale aggressione azera, le mire del presidente Ilham Aliyev sono esclusivamente territoriali o sta eseguendo per così dire gli ordini di Erdogan?

«Per saperlo bisognerebbe essere nella mente di Aliyev e di Erdogan; chi dirige l’altro? Diciamo che in questo momento gli interessi convergono. Tuttavia quello che è accaduto la scorsa settimana è gravissimo perché a differenza di dei trent’anni precedenti lo scontro militare non avviene nel territorio conteso del Nagorno Karabak ma nel territorio della Repubblica di Armenia, dove 36 città e villaggi sono stati bombardati colpendo infrastrutture civili e anche un presidio ospedaliero. E parliamo di un paese membro dell’Onu, che fa parte del Consiglio d’Europa e intrattiene con l’Europa ottime relazioni, invaso da un paese aggressore. Il che ricorda qualcosa che va avanti da Febbraio scorso e sul quale consumiamo fiumi di parole mentre di ciò che è successo la scorsa settimana si è parlato molto, molto meno. Forse perché l’Italia importa gas dall’Azerbaijan».

Lei prima ha notato l’analogia con l’aggressione all’Ucraina, ma forse ne possiamo citare un’altra: la Siria, anch’esso paese invaso e che sta per essere smembrato senza che l’Occidente muova un dito, anzi probabilmente è parte attiva. E anche lì a farne le spese più di altri sono i cristiani…

«Tra l’altro proprio ad Aleppo vi era una foltissima comunità Armena, che si insediò in quella città quando le carovane della morte durante il genocidio terminavano proprio in Siria e attorno ad Aleppo vennero allestiti molti campi profughi. Purtroppo il conflitto, iniziato una decina di anni fa, ha costretto molti ad andarsene. Bisogna dire che in tutti questi scenari di guerra le comunità cristiana sono le prime a subire le conseguenze. E’ una costatazione oggettiva molto amara».

Durante il genocidio si dettero parecchio da fare anche i curdi, le cui tribù parteciparono al massacro…

«Sicuramente i curdi parteciparono ma bisogna dire che nel tempo la comunità curda, anche nel resto del mondo, ha riconosciuto che fu un errore. Loro pensavano infatti di potersi insediare con un proprio stato nelle regioni prima abitate dagli armeni ma i turchi non concessero spazio e oggi abbiamo la situazione del Kurdistan che è una comunità virtuale di milioni di persone che non ha uno stato. Il popolo curdo a differenza della Turchia ha chiesto scusa e si è pentito di quello che è successo e sta pagando le conseguenze con la persecuzione da parte turca».

La Russia ha sempre protetto le popolazioni cristiane ortodosse sui suoi confini ma adesso che si è impantanata nel conflitto ucraino, mostrano oltretutto al mondo la sua debolezza sul piano militare, quale sarà il destino degli armeni?

«Nel momento in cui è scoppiata la guerra in Ucraina la posizione russa si è molto indebolita e Aliyev ed Erdogan, che sta giocando su più fronti, ne hanno approfittato. Questo perché quando un soggetto politico forte che era un po’ il garante della pax caucasica si distrae c’è sempre chi cerca di trarne vantaggio. Comunque dal 2020 qualcosa è cambiato nei rapporti tra Russia e Armenia; forse per la politica un po’ più filo occidentale del presidente Armen Sarkissian. Ma l’Armenia è una piccola repubblica chiusa tra la Turchia, che ha il più forte esercito della Nato, e un Azerbaijan fortemente ostile e quindi ha bisogno di un garante, Spesso l’Occidente non ha dato quell’appoggio che sarebbe stato necessario quindi ha dovuto cercarlo in chi era disposto a garantirlo. E non dimentichiamo che l’Armenia come tante altre repubbliche faceva parte dell’Urss».

Cosa comporterebbe la scomparsa dei cristiani anche dall’area caucasica?

«Se i cristiani spariscono l’impero ottomano si riforma, con una politica sempre più aggressiva ed espansionistica, in parte anche per compensare i gravi problemi interni della Turchia. Di solito in questi casi si trova sempre un nemico esterno cui attribuire tutte le colpe. L’importanza del popolo armeno, non solo nel Caucaso ma nel mondo, è anche data dal fatto che ovunque sono hanno fatto cose importanti. Perdere il popolo armeno sarebbe molto grave per tutta l’umanità e credo di non esagerare».

Quale sostegno avere ricevuto in passato e state oggi ricevendo dalla Santa Sede?

«I legami con la santa Sede risalgono al genocidio, quando papa Benedetto XV levò forte la sua voce per cercare di fermare quello che stava accadendo. La Santa Sede è stata quella che tra le prime ha riconosciuto la Repubblica Armenia quando è diventata indipendente. Io ebbi la fortuna di assistere alla santa Messa in Vaticano celebrata da papa Francesco e ascoltare le sue parole di condanna del genocidio, suscitando le ire della Turchia che ancora oggi nega quel fatto storico. Fu un evento molto importante in cui capimmo il significato dell’aiuto e di quella presenza. In uno dei cortili vaticani c’è la statua di San Gregorio Illuminatore a testimoniare la vicinanza di Roma al popolo armeno. Insomma i legami sono forti».FLITTO DIETRO AL QUALE C’E’ IL DITTATORE TURCO ERDOGAN

Il conflitto in Ucraina che sta impegnando la Russia ha come ricaduta l’apertura di altre crisi, in particolare nella incandescente area caucasica, in cui l’Azerbaijan sembra voler cogliere l’opportunità offerta dal venir meno del ruolo di stabilizzazione dell’area assunto dalla Federazione russa per regolare definitivamente i conti con gli Armeni. le truppe azere nella notte tra il 12 e 13 Settembre hanno iniziato una guerra contro la Repubblica Armena, a due anni dalla seconda guerra del Nagorno Karabak, iniziata sempre dall’ Arzebajian per liquidare la provincia armena dichiaratasi indipendente dell’Artsakh. Questa volta ad essere aggredita, secondo modalità che ricorda molto da vicino quanto avvenuto ormai più di sei mesi fa in Ucraina, è l’Armenia.

Dei motivi che hanno scatenato questa guerra parliamo con Emanuele Aliprandi, un italiano che ha origini armene e fa parte del direttivo della Comunità armena di Roma. Aliprandi, analista geopolitico specializzato nelle dinamiche della regione del Caucaso, negli anni si è dedicato con particolare interesse nell’analisi della Questione Armena, in special modo il caso del Nagorno-Karabakh. Su tale tema ha pubblicato “Le ragioni del Karabakh. Storia di una piccola terra e di un grande popolo” (2010), “1915: Cronaca di un Genocidio. La tragedia del popolo armeno raccontata dai giornali italiani” (2021) e per ultimo “Pallottole e petrolio. Il conflitto del Nagorno Karabakh (Artsakh) e la nuova guerra che ha infiammato il Caucaso” (2021) che oltre a fornire una cronaca della guerra dell’autunno 2020 illustra anche le problematiche post conflitto.

L’Italia ha parecchi legami con il popolo armeno, ce li può illustrare brevemente?

«I rapporti tra l’Italia e gli armeni risalgono al medioevo, quando monaci armeni vennero a predicare nella Penisola e si crearono attorno a monasteri e chiese fiorenti commerci, poi nei secoli di queste piccole comunità si sono perse le tracce ma in molte città italiane dal nord al sud ancora oggi vi sono località, vie, chiese e palazzi degli armeni a testimonianza del fatto che erano presenti importanti comunità. L’ultimo flusso c’è stato in conseguenza del genocidio del 1915 che ha portato parecchie famiglie di sfollati e orfani in fuga dall’impero ottomano a stabilirsi in Italia. In Puglia fu creato un villaggio proprio per i profughi armeni».

Gli armeni sono cristiani fin dal IV secolo e lo sono rimasti resistendo alle numerose persecuzioni islamiche, soprattutto degli ottomani senza tuttavia mai ricevere particolare sostegno da parte dell’Occidente. Ricordiamoci in particolare del Metz Yeghern, il genocio perpetrato dai turchi nel 1915 al quale ha accennato. Perché?

«La dimenticanza purtroppo è frutto della politica internazionale, in cui certi interessi e “valori” contano più delle questioni morali. Ha ricordato che gli Armeni sono cristiani da IV secolo; nel monastero di Amaras il monaco Mesrop Mashtots creò l’alfabeto armeno, lo strumento per portare la parola di Dio al popolo. Questo alfabeto e la religione cristiana hanno cementificato gli armeni che vivevano in un contesto geografico particolare, essendo stretti tra popoli di tutt’altra fede, lingua e cultura, che così hanno potuto conservare la loro identità. Purtroppo le questioni internazionali diventano talvolta più importanti della sopravvivenza di un popolo. Nella conferenza di Losanna del 1923 che doveva risistemare il Medio Oriente e il Caucaso dopo la fine dell’impero ottomano gli interessi particolari e la realpolitik prevalsero sull’obbligo morale che le potenze occidentali avrebbero dovuto avere nei confronti degli armeni che erano stati quasi sterminati dai Turchi. Questo nonostante tutti fossero stati coinvolti emotivamente tra il 1915 e il 1918 facendo anche a gara per accogliere la popolazione sopravvissuta. Da allora è cominciata una dimenticanza che ancora continua. Dopo l’aggressione dell’Azerbaijan, che ricorda molto quella all’Ucraina, mi sarei aspettato di vedere sui social qualche bandierina armena, invece questa cosa è passata quasi inosservata».

Quali sono in questa fase storica le spinte e le minacce che devono fronteggiare gli armeni, stretti tra Turchia, repubbliche russe islamiche, e Iran?

«A distanza di più di un secolo da ciò che accadde nell’impero ottomano ad opera dei Giovani turchi e il tentativo di sterminio degli armeni sostanzialmente stiamo rischiando di assistere a qualcosa di simile. Le persecuzioni del sultano Abdul Adid di fine Ottocento, poi riprese dai Giovani turchi, puntavano alla realizzazione del sogno di una unica nazione turca e turcofona che dal Mediterraneo arrivasse all’Asia centrale ma gli Armeni costituivano un ostacolo interrompendo questa continuità. Per fortuna il progetto nel 1915 non ebbe pieno successo nonostante l’eliminazione di un milione e mezzo di armeni. Una parte del popolo rimase, sia pure confinato in uno spazio geografico molto limitato. Oggi assistiamo, attraverso le politiche nazionaliste ed espansioniste di Erdogan, ad un percorso politico molto simile e l’aggressione in atto fa appunto parte di un piano per conquistare l’Armenia meridionale e creare una continuità tra Turchia, Azerbaijan fino ai paesi dell’Asia centrale ex sovietici. Anche se oggi non si può parlare di genocidio vi è un progetto politico di espansionismo molto simile a quello di cento anni fa. Paradossalmente l’Iran, fortemente caratterizzato dalla religione islamica, ha tutto l’interesse a mantenere rapporti con l’Armenia per questioni strategiche, quindi vi sono anche contrasti politici, tuttavia Erdogan e Ilham Aliyev in questo momento stanno cercando di creare il corridoio».

Rimanendo sull’attuale aggressione azera, le mire del presidente Ilham Aliyev sono esclusivamente territoriali o sta eseguendo per così dire gli ordini di Erdogan?

«Per saperlo bisognerebbe essere nella mente di Aliyev e di Erdogan; chi dirige l’altro? Diciamo che in questo momento gli interessi convergono. Tuttavia quello che è accaduto la scorsa settimana è gravissimo perché a differenza di dei trent’anni precedenti lo scontro militare non avviene nel territorio conteso del Nagorno Karabak ma nel territorio della Repubblica di Armenia, dove 36 città e villaggi sono stati bombardati colpendo infrastrutture civili e anche un presidio ospedaliero. E parliamo di un paese membro dell’Onu, che fa parte del Consiglio d’Europa e intrattiene con l’Europa ottime relazioni, invaso da un paese aggressore. Il che ricorda qualcosa che va avanti da Febbraio scorso e sul quale consumiamo fiumi di parole mentre di ciò che è successo la scorsa settimana si è parlato molto, molto meno. Forse perché l’Italia importa gas dall’Azerbaijan».

Lei prima ha notato l’analogia con l’aggressione all’Ucraina, ma forse ne possiamo citare un’altra: la Siria, anch’esso paese invaso e che sta per essere smembrato senza che l’Occidente muova un dito, anzi probabilmente è parte attiva. E anche lì a farne le spese più di altri sono i cristiani…

«Tra l’altro proprio ad Aleppo vi era una foltissima comunità Armena, che si insediò in quella città quando le carovane della morte durante il genocidio terminavano proprio in Siria e attorno ad Aleppo vennero allestiti molti campi profughi. Purtroppo il conflitto, iniziato una decina di anni fa, ha costretto molti ad andarsene. Bisogna dire che in tutti questi scenari di guerra le comunità cristiana sono le prime a subire le conseguenze. E’ una costatazione oggettiva molto amara».

Durante il genocidio si dettero parecchio da fare anche i curdi, le cui tribù parteciparono al massacro…

«Sicuramente i curdi parteciparono ma bisogna dire che nel tempo la comunità curda, anche nel resto del mondo, ha riconosciuto che fu un errore. Loro pensavano infatti di potersi insediare con un proprio stato nelle regioni prima abitate dagli armeni ma i turchi non concessero spazio e oggi abbiamo la situazione del Kurdistan che è una comunità virtuale di milioni di persone che non ha uno stato. Il popolo curdo a differenza della Turchia ha chiesto scusa e si è pentito di quello che è successo e sta pagando le conseguenze con la persecuzione da parte turca».

La Russia ha sempre protetto le popolazioni cristiane ortodosse sui suoi confini ma adesso che si è impantanata nel conflitto ucraino, mostrano oltretutto al mondo la sua debolezza sul piano militare, quale sarà il destino degli armeni?

«Nel momento in cui è scoppiata la guerra in Ucraina la posizione russa si è molto indebolita e Aliyev ed Erdogan, che sta giocando su più fronti, ne hanno approfittato. Questo perché quando un soggetto politico forte che era un po’ il garante della pax caucasica si distrae c’è sempre chi cerca di trarne vantaggio. Comunque dal 2020 qualcosa è cambiato nei rapporti tra Russia e Armenia; forse per la politica un po’ più filo occidentale del presidente Armen Sarkissian. Ma l’Armenia è una piccola repubblica chiusa tra la Turchia, che ha il più forte esercito della Nato, e un Azerbaijan fortemente ostile e quindi ha bisogno di un garante, Spesso l’Occidente non ha dato quell’appoggio che sarebbe stato necessario quindi ha dovuto cercarlo in chi era disposto a garantirlo. E non dimentichiamo che l’Armenia come tante altre repubbliche faceva parte dell’Urss».

Cosa comporterebbe la scomparsa dei cristiani anche dall’area caucasica?

«Se i cristiani spariscono l’impero ottomano si riforma, con una politica sempre più aggressiva ed espansionistica, in parte anche per compensare i gravi problemi interni della Turchia. Di solito in questi casi si trova sempre un nemico esterno cui attribuire tutte le colpe. L’importanza del popolo armeno, non solo nel Caucaso ma nel mondo, è anche data dal fatto che ovunque sono hanno fatto cose importanti. Perdere il popolo armeno sarebbe molto grave per tutta l’umanità e credo di non esagerare».

Quale sostegno avere ricevuto in passato e state oggi ricevendo dalla Santa Sede?

«I legami con la santa Sede risalgono al genocidio, quando papa Benedetto XV levò forte la sua voce per cercare di fermare quello che stava accadendo. La Santa Sede è stata quella che tra le prime ha riconosciuto la Repubblica Armenia quando è diventata indipendente. Io ebbi la fortuna di assistere alla santa Messa in Vaticano celebrata da papa Francesco e ascoltare le sue parole di condanna del genocidio, suscitando le ire della Turchia che ancora oggi nega quel fatto storico. Fu un evento molto importante in cui capimmo il significato dell’aiuto e di quella presenza. In uno dei cortili vaticani c’è la statua di San Gregorio Illuminatore a testimoniare la vicinanza di Roma al popolo armeno. Insomma i legami sono forti».

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Aram Chačaturjan, un ponte traballante tra lo stalinismo e la libertà creativa (Musicvoice 24.09.22)

La cosiddetta “trimurti” della musica sovietica del Novecento, formata almeno da quelli maggiormente conosciuti in Occidente sulla base di motivazioni del tutto differenti, ossia Dmítrij Šostakóvič, Sergej Prokof’ev e Aram Chačaturjan, fu tra l’altro la promotrice della nascita e della veicolazione di un movimento musicale, denominato I Titani, il cui scopo fu quello di esprimere, tramite un recupero del titanismo romantico, il desiderio di riaffermazione della singola individualità dell’artista attingendo dal grande repertorio della musica popolare e colta russa. Ma sei mai vi fu un movimento musicale composto da personalità così dissimili, se non addirittura antitetiche, questo fu proprio quello espresso dai cosiddetti Titani; questo perché se è pur vero che il movimento in questione non pose paletti o limitazioni rispetto alle necessità e ai bisogni creativi individuali, non bisogna anche dimenticare come questi tre compositori si posero di fronte alla dittatura staliniana e di come reagirono di conseguenza con la loro personalità e con la loro arte.

La cover del CD Da Vinci Classics dedicato alla musica pianistica di Aram Chačaturjan.

Se Šostakóvič fu indubbiamente quello che pagò il prezzo più alto, come ben sappiamo, per via di una scelta artistica che sovente entrò in conflitto con le direttive culturali imposte dall’eminenza grigia Andrej Ždanov, Prokof’ev fu al centro di una situazione decisamente più ambigua, dopo il suo ritorno nella madre patria, sebbene anch’egli fu apertamente accusato di formalismo da parte degli apparati culturali staliniani. Dei tre, fu sicuramente l’armeno Chačaturjan ad essere il più allineato a livello ideologico, al punto di assumere la guida della vita musicale sovietica nel secondo dopoguerra, con il beneplacito della nomenklatura. Non è però ben chiaro se tale allineamento fu frutto di una sincera condivisione ideologica della dottrina ždanoviana basata sul concetto del cosiddetto “realismo socialista”, sancito nel corso del Primo congresso degli scrittori sovietici nell’estate del 1934, oppure se per calcolata convenienza e calibrato opportunismo o, ancora, se la sua musica, votata a una sintassi spontanea, immediata, ottimistica e applicata mediante un linguaggio rigorosamente tonale, infarcito di richiami folkloristici e arricchito da sapienti contrasti timbrici, si sia così idealmente accodata a quanto ufficialmente invocato dal regime comunista.

Reputo che sia stata proprio l’immediatezza, la conseguente semplicità assimilativa della sua musica ad avere, in un certo senso, ostacolato la sua comprensione nell’ambito occidentale, unitamente a quanto invece proposto da Šostakóvič da un lato e da Prokof’ev dall’altro. Lo testimonia il fatto che di Chačaturjan siamo abituati ad ascoltare sempre le solite e famose pagine, vale a dire alcuni passaggi del balletto Gayaneh, a cominciare dall’annosa Danza delle spade, e il suo Concerto per pianoforte. E poi? E poi, tra le altre composizioni del suo ragguardevole catalogo, oltre alla musica cameristica e a quella sinfonica, c’è anche il repertorio per solo pianoforte, come ci ricorda la pianista milanese d’origine bulgara Victoria Terekiev, che con un disco pubblicato dalla Da Vinci Classics ha dato avvio alla registrazione integrale delle opere pianistiche di Aram Chačaturjan, disco che porta l’evocativo titolo di An Armenian in Moscow.

Il compositore armeno Aram Chačaturjan al pianoforte.

In questo primo CD, la pianista milanese presenta i Due pezzi(1926), il Poema(1927), il primo libro del Children’s Album(che va dal 1926 al 1947), la Toccata(1932), la Sonatina(1958) e la Masquerade Suite (1941-44); tale scelta è stata fatta, a mio parere, sulla base o, meglio, sull’urgenza di fornire fin da subito un quadro complessivo della musica, e non solo in chiave pianistica, del compositore armeno, il quale è stato fondamentalmente veicolato da due necessità: la spinta creativa e lo scopo didattico. Quest’ultimo è rappresentato soprattutto dal Children’s Album, la cui stesura iniziò durante gli anni di studio al Conservatorio di Mosca (dove tra gli altri studiò anche con Nikolaj Mjaskovskij) e che fu pubblicato a New York nel 1948 con il titolo di Adventures of Ivan, il cui filo conduttore è quello di uno scolaretto del quale viene raccontata musicalmente la sua quotidianità sulla scia di quanto enunciato dal romanticismo del Kinderszenen schumanniano. Questo desiderio didattico si formò nel compositore armeno ancor prima, negli anni della fanciullezza trascorsa a Tbilisi, una città nella quale, come nel resto dell’Armenia, la musica soprattutto popolare era fatta, vissuta e ascoltata con enorme partecipazione. Il bambino Chačaturjan si nutrì di tale musica e seppe condensarla in seguito, immettendo con moderazione tali pulsioni popolari, distillandola e centellinandola all’interno del suo linguaggio efficacemente tonale. Nei brani dell’album in questione si nota, inoltre, anche un altro aspetto eminentemente “didattico”, quello relativo all’esplorazione della scrittura contrappuntistica, la cui conoscenza è di fondamentale importanza, e questo Chačaturjan lo sapeva assai bene, per poter acquisire una solida base di comprensione della struttura musicale, sia in fase di interpretazione, sia in quella relativa alla composizione.

L’incontro o, per meglio dire, il bilanciamento tra pulsioni popolari e la loro trasformazione in un linguaggio musicale classico, si può notare anche in quello che probabilmente rappresenta il risultato migliore in ambito pianistico del compositore armeno, vale a dire la Toccata, uno dei suoi pochissimi brani che vengono oggigiorno affrontati in sede concertistica. Non bisogna lasciarsi sviare dal fatto che anche questo pezzo nacque come banco di prova didattico a favore degli allievi, visto che ci troviamo di fronte a una composizione la cui chiarezza tecnica permette di valorizzarne il notevole bilanciamento di cui si è accennato. Giustamente, Victoria Terekiev in questo disco ha inserito anche i Due pezzi risalenti al 1926, ossia creati sei anni prima della Toccata, in quanto originariamente questi tre brani avrebbero dovuto confluire all’interno di una Suite; ma ascoltando il Valzer-Capriccio e la Danza, si comprende il perché di questa scelta operata da parte di Chačaturjan, tenuto conto che questi due pezzi, sebbene validamente strutturati, non vantano la medesima qualità compositiva, la medesima densità di scrittura dimostrate dalla Toccata.

Andrej Ždanov, il potente padre-padrone della cultura e dell’arte in Unione Sovietica durante il periodo staliniano.

Anche se non rientra nel genere squisitamente didattico, il Poema, composto dal musicista armeno all’età di ventiquattro anni, è un brano che inevitabilmente guarda più al passato che al presente, tenuto conto delle sue velleità di voler ricostituire una concezione pianistica fatta in nome di Aleksandr Skrjabin. Da qui un impianto tipicamente tardo-romantico, in cui abbondano colori e sfumature timbriche, ma in cui manca ancora un DNA personale, un preciso marchio di fabbrica, una visione che dev’essere ancora acquisita.

Una visione non solo musicale, ma anche estetica, che Chačaturjan seppe poi fissare non certo nel repertorio pianistico, ma nel genere del balletto, del quale il nostro autore ha rappresentato una delle voci più importanti del Novecento storico, trovando in esso il punto di massimo equilibrio tra espressione artistica e compiacimento ideologico da parte della nomenklatura sovietica (ciò fu raggiunto soprattutto con due titoli che hanno fatto storia, Spartacus, da una parte, e il già citato Gayaneh dall’altra). In realtà, i movimenti di danza che contraddistinguono Masquerade non furono  concepiti per un balletto, ma come musica di scena per un’opera teatrale del poeta romantico Michail Lermontov, concepita nel 1835 e conosciuta in Italia con il titolo di Un ballo in maschera. La prima di Masquerade avvenne il 21 giugno 1941 al Teatro Vakhtangov di Mosca, esattamente un giorno prima che l’esercito tedesco scatenasse la campagna di Russia, tramite la famosa “Operazione Barbarossa”, invadendo il territorio sovietico. Il brano più celebre, ripreso anche nella Suite pianistica qui presentata, è sicuramente il Valzer di apertura, il quale nella sua trasognata e struggente bellezza sembra quasi celare un monito, un rimpianto che annuncia l’inizio di una terribile catastrofe. Ma non sono da sottovalutare, nel loro sviluppo tematico e ritmico, anche gli altri quattro brani che compongono la Suite pianistica, ultimata nel 1944.

Da ultimo, almeno per quanto riguarda il programma di questo primo disco, il ritorno al côté “didattico”, rappresentato dalla Sonatina, ancora una volta concepita per gli studenti di musica e dedicata agli alunni di una scuola elementare di musica di Prokop’evsk, nella Siberia sudoccidentale, quando ormai, siamo nel 1958, Chačaturjan era di fatto il deus ex machina musicale del regime sovietico. La base strutturale richiama quello della Toccata, per via di una brillantezza che ormai dimostra la piena consapevolezza dei mezzi espressivi acquisiti dal compositore armeno; una consapevolezza che gli permette di elaborare una scrittura in cui l’elemento tecnico-didattico viene spalmato, diluito in un efficace costrutto tematico, in modo da soddisfare sia le richieste di apprendimento da parte degli allievi, sia il bisogno esecutivo da parte dell’interprete.

La pianista milanese Victoria Terekiev, protagonista di questa registrazione discografica.

Al di là dell’encomiabile decisione di voler proporre un repertorio (ingiustamente) “dimenticato” (perfino Piero Rattalino nella sua esaustiva Guida alla musica pianistica non dedica nemmeno una riga alle opere per pianoforte di Chačaturjan), con un’operazione discografica oltremodo coraggiosa, ciò che colpisce è il tipo di lettura che Victoria Terekiev riesce a fare di queste pagine. Se esiste un possibile denominatore che accomuna il repertorio pianistico del compositore armeno, questo è dato da un sottile senso di irrequietezza, un filo elettrico perennemente attraversato da una tensione che si avverte “interiormente” anche nei momenti più elegiaci, più teneri. Quindi, un pianismo in continua mutazione umorale, il quale dev’essere reso attraverso un prisma interpretativo mai fissato, scolpito nell’arcata generale, ma tradotto in una pletora di segmenti la cui tessitura e la cui espressività devono essere decodificate mediante un sismografo il cui pennino intinto nella sensibilità è sempre in movimento. Ed è appunto quanto riesce a fare la pianista milanese, la quale ha anche la capacità, e ciò rende ancor più prezioso il suo progetto discografico, almeno sulla base di questo primo CD, di rendere mirabilmente omogeneo, nella sua unità, ogni brano qui affrontato.

Che nelle sue vene il sangue slavo che vi alberga abbia fornito un mix irresistibile e ineludibile di rimpianto, nostalgia, vitalismo, slancio e un pizzico di sana follia, va ad aggiungere valore al valore, perché solo in questo modo il pianismo slavo in generale e quello di Aram Chačaturjan in particolare possono essere resi dolcemente e magneticamente fibrillanti, come appunto riesce a fare splendidamente Victoria Terekiev. Se il buongiorno si vede dal mattino, allora prepariamoci ad altri, futuri gioielli dedicati da lei al compositore armeno.

Anche la presa del suono effettuata da Fabio Venturi, con i suoi pregi, ha il merito di valorizzare ulteriormente il dato artistico della registrazione; la dinamica mette in risalto la bontà timbrica dello Yamaha CFX usato da Victoria Terekiev, con la giusta energia e con una notevole naturalezza. Il palcoscenico sonoro ricostruisce adeguatamente al centro dei diffusori lo strumento, che appare leggermente avanzato rispetto all’ascoltatore, fissandolo all’interno dello spazio fisico dell’evento sonoro. Anche l’equilibrio tonale e il dettagli sono rilevanti, con il primo sempre molto pulito e corretto negli scontorni tra il registro medio-grave e quello acuto, e con il secondo oltremodo materico, capace di fornire un’apprezzabile tridimensionalità del pianoforte.

Andrea Bedetti

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