Genocidio armeno, visita guidata all’Isola di San Lazzaro (Italpress 04.05.22)

Oltre cinquanta veneziani hanno partecipato alla visita guidata gratuita all’Isola di San Lazzaro degli Armeni, la piccola isola nella laguna veneziana, ad ovest del Lido, ricca di storia e testimonianze culturali. Dal 1717 ospita l’Abbazia generale della Congregazione Armena Mechitarista, che lì ha dato vita a un centro religioso, culturale e di divulgazione di primaria importanza per il mondo armeno e non solo. L’iniziativa è stata promossa dalla Presidenza del Consiglio comunale di Venezia, in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari, nell’ambito del calendario di appuntamenti per celebrare la Giornata dedicata al ricordo del Genocidio del popolo armeno. Un progetto – è stato spiegato – che s’inserisce nel solco delle iniziative sulla memoria che la città di Venezia porta avanti da anni e che vuole suggellare il profondo legame tra Venezia e la popolazione armena presente in città fin dai tempi della Serenissima. L’isola fu anticamente abitata da diverse congregazioni e famiglie religiose, tra cui i Monaci Benedettini e, a partire dal XII secolo, essendo nella posizione ideale per lo stazionamento in quarantena, in quanto comoda da raggiungere e nello stesso tempo distante dal centro storico, fu destinata a lebbrosario (lazzaretto), gestito dalla Congregazione di San Lazzaro dei Mendicanti; prese quindi il nome da San Lazzaro, il mendicante della parabola evangelica, patrono dei lebbrosi.

Il complesso venne abbandonato nel XVII secolo, ma nel 1717 il Senato della Serenissima permise all’Abate Mechitar di Sebaste, fondatore nel 1700 della comunità monastica a Istanbul e già costretto a rifugiarsi a Modone, nella Morea Veneziana, dal 1702, di stabilirsi sull’isola con un gruppo di monaci armeni che erano fuggiti dalla persecuzione turca. Mechitar ed i suoi diciassette monaci iniziarono in quel periodo il restauro dell’antica chiesa gotica trecentesca che versava in stato di abbandono, fondarono un monastero e bonificarono l’isola, che fu poi, successivamente ingrandita di tre volte, fino all’attuale estensione di tre ettari. Poco a poco l’Abate fece costruire il chiostro e i locali per la Pinacoteca e la Biblioteca multidisciplinare, che, accresciutasi in tre secoli, conta oggi centocinquantamila volumi tra cui 4500 manoscritti armeni, alcuni di inestimabile valore storico e culturale, come l’Evangelario della Regina Mlkhe, dell’864.

Dopo la morte di Mechitar (1749), fu costruita una nuova ala nella quale fu installata la prestigiosa tipografia, che nel corso del XIX secolo pubblicò opere in trentasei lingue e dieci alfabeti diversi oltre alla stampa di opere scientifiche, letterarie e religiose, oltre a traduzioni in lingua armena di capolavori delle letterature europee. L’istituzione dei Padri Armeni Mechitaristi, beneficiò per lo sviluppo dei propri progetti dei lasciti di facoltosi armeni. Il monastero sfuggì alle soppressioni napoleoniche in quanto Napoleone, con un apposito decreto, riconobbe la Congregazione dei Padri Armeni come accademia scientifico-letteraria. All’interno del monastero si trovano, oltre alla stamperia di fine ’700, una pinacoteca, un museo e molti manufatti arabi, indiani ed egiziani, raccolti dai monaci o ricevuti come doni da collezionisti, e la mummia egizia del sacerdote Nemenkhet Amon, dell’VIII scolo a.C., rivestita di una preziosa reticella di paste vitree policrome, originale. Nella biblioteca si possono ammirare molte opere d’arte di Palma il Giovane, Sebastiano Ricci, Jacopo da Bassano, Alessandro Varotari detto il Padovanino, Gian Battista Tiepolo, Ivan Konstantinovic Ajvazovskij.

“L’insegnamento di Mechitar – ha sottolineato Alberto Peratoner, docente di filosofia e teologia, che, insieme ad Eleonora Meneghini ha guidato i visitatori alla scoperta della storia armena – “assume il fatto che tutta la cultura, come espressione dell’umano, costituisca un valore. Per questo motivo venne incentivato, tra gli stessi padri della Congregazione, un lavoro di elaborazione e produzione culturale a carattere enciclopedico, insieme a un’opera di traduzione di testi di varie discipline e culture, in continuità con la storica letteratura di traduzione della cultura armena, da sempre aperta all’arricchimento di apporti esterni, e che permise sin dall’età medievale la trasmissione, attraverso le versioni armene, di testi classici che oggi sarebbero altrimenti irrimediabilmente perduti”.
L’Isola di San Lazzaro degli Armeni può essere visitata solo su prenotazione, generalmente in tre turni: 9.35; 13.25; 15.25. Contatti visite@mechitar.org. Tel 0415260104. (Linea 20 Actv da San Zaccaria). Il calendario di iniziative per ricordare il genocidio armeno continuerà fino al prossimo 11 maggio, con il coinvolgimento dell’Unione Armeni d’Italia, dall’Associazione Civica Lido Pellestrina. Hanno inoltre collaborato: Europe Direct di Venezia, Servizio Vez Rete Biblioteche cittadine, il Club Unesco di Venezia, il Circuito Cinema comunale, l’Associazione Voci di Carta e la Casa del Cinema-Videoteca Pasinetti.
(ITALPRESS).

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Nuova chiesa San Sarkis in Texas: in facciata la commemorazione delle vittime del genocidio armeno (Archiportale.com 03.05.22)

Una croce composta da 1,5 milioni di pixel ispirati ai simboli della tradizione artistica armena onora i caduti del 1915

03/05/2022 –  Nella nuova chiesa armena di San Sarkis a Carrollton (Texas) progettata dal premiato architetto newyorkese David Hotson (membro dell’AIA, l’American Institute of Architects) e ispirata all’antica chiesa armena di Santa Ripsima, si è celebrata la prima funzione domenicale il 24 aprile 2022, data in cui ogni anno la diaspora armena internazionale commemora gli 1,5 milioni di vittime del genocidio armeno del 1915.
La facciata della chiesa rappresenta una croce tradizionale armena – o “albero della vita” – composta di motivi botanici e geometrici intrecciati tratti dall’arte armena. Man mano che il visitatore si avvicina alla facciata, il disegno complessivo si dissolve in 1,5 milioni di minuscole icone (o pixel) ispirate ai simboli circolari che ricorrono in tutta la tradizione artistica armena.

Lavorando con l’architetto Stepan Terzyan, suo storico collaboratore, Hotson ha elaborato un progetto che guarda al futuro come pure al passato, coniugando le antiche tradizioni architettoniche e artistiche dell’Armenia con tecnologie digitali di progettazione e fabbricazione contemporanee.
La più eclatante di queste innovazioni contemporanee è la facciata occidentale della chiesa, che svolge la funzione di discreto ma potente monumento commemorativo degli 1,5 milioni di vittime del genocidio armeno del 1915.
Ogni singolo pixel rappresenta uno degli 1,5 milioni di individui che hanno perso la vita nel genocidio armeno del 1915, tra cui alcuni membri delle famiglie che appartengono alla comunità dei fedeli di San Sarkis. La successione delle singole icone che si estendono sull’intera facciata dell’edificio offre l’esperienza viscerale di misurarsi con la portata di questa atrocità della storia.

Per realizzare la facciata, Hotson ha collaborato a stretto contatto con Fiandre, la casa produttrice di superfici architettoniche che ha sviluppato il rivoluzionario sistema DYS, in grado di eseguire stampe personalizzate per esterni ad altissima definizione resistenti ai raggi UV sui materiali di rivestimento ceramici per facciate ventilate di grande formato di Fiandre.
La massa totalmente grigia dell’esterno della chiesa, rinzaffata con materiali moderni, fa riferimento al carattere scultoreo monolitico delle antiche chiese armene, che erano costruite interamente in pietra. L’accostamento dell’architettura monocroma alla ricca e variopinta vegetazione, immaginata e realizzata dalla paesaggista Zepur Ohanian, richiama alla memoria la forte relazione fra architettura monolitica e paesaggio verdeggiante che è tipica degli antichi edifici di culto e complessi monastici ancora esistenti in tutta la madrepatria armena.

Subito dopo essere entrato in chiesa dalla facciata dell’edificio commemorativo, il visitatore si ritrova nel luminoso santuario, una composizione di volumi spaziali inondati di luce ispirata agli interni di Santa Ripsima. I luminosi archi concavi scolpiti verso l’esterno riflettono indirettamente nello spazio interno l’accecante luce solare texana, ottenendo come risultato un tipo di illuminazione etereo.

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  Scheda progetto: San Sarkis Church
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’Settimana armena’ dall’8 al 16 maggio al Palazzo Appiani (Il Telegrafo 03.05.22)

A Palazzo Appiani dall’8 al 16 maggio si terrà la ‘Settimana armena’. Tante iniziative dedicate alla terra di Armenia con un evento d’eccezione, lunedì 9 maggio, con una conferenza pubblica alla quale parteciperà anche l’Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia.

L’iniziativa è stata organizzata dall’Associazione Area 57 Onlus, con il patrocinio dell’amministrazione comunale, per dare un seguito al riconoscimento del genocidio armeno da parte del Consiglio Comunale di Piombino. Si inizierà domenica 8 maggio, alle ore 17, con l’inaugurazione della mostra fotografica dell’editore, docente e fotografo fiorentino Andrea Ulivi dal titolo ‘Della mia dolce Armenia’, che resterà aperta tutti i giorni, dalle 17 alle 19, fino al 16 maggio, con la presenza della giornalista e scrittrice Letizia Leonardi. Lunedì 9 maggio si terrà, a partire dalle ore 16.45, la conferenza ‘Il riconoscimento del genocidio armeno e il 125° anniversario dalla nascita del poeta nazionale armeno Yeghishe Charents’ con le autorità cittadine e con l’Ambasciatrice Hambardzumyan. Interverranno Letizia Leonardi e l’editore, docente, fotografo Andrea Ulivi, la danzatrice, coreografa e direttrice artistica di Versiliadanza Angela Torriani Evangelisti.

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La passione per il fuoco di Boghossian (Ilgiornaledellarte.com 03.05.22)

Sino al 1° luglio la galleria Il Ponte ospita la mostra personale di Jean Boghossian, l’artista di origine armena (presente con una vasta antologica alla 57ma Biennale di Venezia del 2017), da alcuni definito «the fire artist» per il suo ricorrere sovente al fuoco per trasformare ed elaborare l’immagine, che fa uso di materiali eterogenei e utilizza una vasta gamma di pennelli e torce.

«La fiamma ossidrica, come il pennello, diventa l’estensione del mio braccio» osserva Boghossian, e la mostra fiorentina, a cura di Bruno Corà, si concentra proprio su questo aspetto della sua produzione, esponendo tredici lavori, tra i quali soprattutto carte di medie e grandi dimensioni, e oggetti (tele, libri) trattati con fuoco e fumo, realizzati tra il 2011 e il 2021.

La combustione genera effetti di sfumato tra i due unici colori qui presenti, bianco e nero, dando vita a una gamma di grigi graduati, talvolta con sottili zone brunite, in prossimità delle lacerazioni prodotte dall’azione combustiva della fiamma. Come nota Bruno Corà nel catalogo che accompagna la mostra («Antinomia ardente», Gli Ori), tale scelta ha anche implicito rapporto con Firenze per la modalità leonardesca dello ‘sfumato’, sebbene qui ottenuto col fuoco e non tramite colori.

Ad accoglierci in galleria è un’installazione di dieci grandi tele in sequenza, «Entrée dans la toile», 2018-2022, dove il fumo della combustione genera un grande foro che, attraversandole, crea una sorta di tunnel. L’entrata nell’immagine è quindi fisica ma al tempo stesso metaforica e rimanda ad altre strutture analoghe concepite dall’artista, come quelle della mostra «Cessez le feu!» presso il Palais des Nations di Ginevra nel maggio 2019.

Un titolo che, nota sempre Corà, se suona oggi come monito, ci porta anche a riflettere su quanto il fuoco, anziché distruggere possa invece, nell’opera di Boghossian, avere funzione creatrice poiché, scrive Bachelard, «Il fuoco suggerisce il desiderio di cambiare, di affrettare il tempo, di portare tutta la vita al proprio compimento …».

L’impiego del fuoco e del fumo, presente in molte opere del Novecento (da Burri a Parmiggiani), è gestito da Boghossian con misurata armonia sulle diverse estensioni delle superfici pittoriche, traducendo le contraddizioni e i contrasti del mondo in cui siamo calati ma anche la possibilità di addomesticare il fuoco trasformandolo in forza creatrice, fonte di armonia e bellezza.

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Usa e Armenia firmano un accordo di cooperazione nucleare civile (Trt 03.05.22)

Gli Stati Uniti e l’Armenia hanno firmati un accordo di cooperazione nucleare tra di loro.

Secondo una dichiarazione del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, il segretario di Stato Antony Blinken, che ha ricevuto il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan, ha affermato di voler aumentare la cooperazione nel settore della sicurezza energetica e rafforzare ulteriormente le relazioni economiche e diplomatiche tra i due Paesi.

Alla fine dell’incontro, i due omologhi hanno firmato un accordo di cooperazione nucleare civile.

L’accordo mira a diversificare l’approvvigionamento energetico dell’Armenia.

Mentre, in una dichiarazione scritta in merito all’incontro, il portavoce del Dipartimento di Stato degli USA, Ned Price ha affermato che Blinken e Mirzoyan hanno anche valutati i progressi compiuti dall’Armenia nella costruzione della democrazia e dello stato di diritto e delle sue relazioni con i suoi vicini.

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Chi è Rosa Linn: la cantante armena e le sue canzoni (01.05.22)

Tutto quello che sappiamo su Rosa Linn, la cantante armena che parteciperà all’Eurovision Song Contest 2022.

Rosa Linn, pseudonimo di Roza Kostandyan, è una cantante armena che sarà la protagonista all’Eurovision con il suo brano Snap. Ma scopriamo chi è Rosa Linn e le sue canzoni.

Chi è Rosa Linn

Rosa Linn è una cantante armena, nata a Vanadzor il 20 maggio 2000.

Ancora piccola si avvicina alla musica, infatti a soli 6 anni, inizia a prendere lezioni di pianoforte. Debutta mondo della musica nel 2013, quando prende parte all’ Eurovision Song Contest, partecipando alla competizione junior dello stesso festival con il brano Gitem. Inizia così, la sua carriera professionale, entrando a far parte del collettivo Nvak, fondato da Tamar Kraprelian, cantante del gruppo Genealogy che rappresentò l’Armenia all’Eurovision Song Contest 2015 a Vienna.

Nel 2021 lancia un nuovo singolo King e debutta per la prima volta all’estero grazie alla collaborazione con l’artista americana Kiiara. Dopo questo grande successo, l’11 marzo 2022 è stato annunciato che l’emittente radiotelevisiva armena ha scelto Rosa Linn come rappresentante armena all’ Eurovision Song Contest 2022con il suo brano Snap, un brano country-pop che richiama, come genere, alcune canzoni statunitensi.

L’Armenia torna all’Eurovision Song Contest

L’Armenia torna finalmente nel 2022 all’Eurovision Song Contest dopo circa due anni. Nel 2020 avrebbe dovuto partecipare con Athena Manoukian e la sua Chains on you, ma l’edizione è stata cancellata per la pandemia. Nel 2021, l’AMPTV, l’emittente armena deputata alla trasmissione e alla partecipazione, comunica di non essere riuscita a scegliere in tempo cantante e canzone, a causa della guerra combattuta e persa contro l’Azerbagian per il controllo della zona del Nagorno-Karabakh. Dunque l’ultima rappresentante armena resta quella del 2019, ovvero Srbuk che però non è riuscita a superare le semifinali con il suo brano. Adesso è il momento di Rosa Linn di portare in finale il suo paese. Ci riuscirà? Lo scopriremo solo nella seconda metà della prima semifinale che avverrà il 10 maggio 2022 alle ore 21:00.

Le canzoni di Rosa Linn

Ecco tutti i singoli che ha pubblicato nel corso della sua attività musicale.

  • Gitem, nel 2013;
  • King, nel 2021;
  • Snap, il suo inedito eurovisivo, pubblicato il 19 marzo del 2022.

Vita privata

Non abbiamo notizie relative alla sua vita privata e alla sua vita sentimentale. Attraverso il suo profilo social è possibile capire che ama viaggiare e muoversi sempre con la sua chitarra.

Curiosità

  • In un’intervista la giovane cantante non si aspettava che l’avrebbero selezionata per partecipare al festival, infatti afferma:

Guardando dall’esterno le probabilità sembravano essere contro di me – una ragazza sconosciuta di una piccola città dell’Armenia. Ma il potere della manifestazione è reale quando è combinato con il duro lavoro. Adesso basta mettersi in gioco. Sono entusiasta di far entrare le persone nel mio mondo interiore attraverso la mia musica.

  • Rosa aspira a diventare come Maléna, che ha vinto l’ultimo Junior Contest dell’Eurovision per l’Armenia a Parigi lo scorso dicembre.
  • Oltre a suonare il pianoforte e la chitarra suona anche altri strumenti.

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Armenia – Dipinti murali nelle chiese cristiane VII-XIII secolo (Arte.go 02.05.22)

sede: Palazzo Zuckermann (Padova).
cura: Paolo Arà Zarian, Christine Lamoureux.

La mostra illustra un percorso professionale di studi, di ricerche e di restauri conservativi di cicli di dipinti murali nelle chiese in Armenia e nell’Artsakh (Nagorno Karabagh) che gli autori hanno realizzato con passione e costanza in questi ultimi dieci anni.

La mostra è composta da 27 pannelli fotografici in cui sono presentati i restauri dei dipinti murali di tre chiese: Lmbatavank’, Monastero di Haghbat e Monastero di Dadivank’.

Nelle bacheche saranno presentati tre libri scritti dai curatori Arà Zarian e Christine Lamoureux, locandine, materiale illustrativo, articoli, pigmenti minerali naturali armeni, materiale e attrezzatura di lavoro.

Inaugurazione:
venerdì 6 maggio 2022, ore 17:30
Prenotazione online

Dettagli

Inizio:
Venerdì 6 Maggio 2022
Fine:
Domenica 26 Giugno 2022

Luogo

PALAZZO ZUCKERMANN
Corso Giuseppe Garibaldi, 33
Padova, 35137 Italia 
+ Google Maps
Telefono:
049 8205664
Visualizza il sito del Luogo

ROSA LINN “CANTO IL DOLORE DELL’ARMENIA PER ILLUMINARE UNA VIA PIÙ PACIFICA” (La Stampa 30.04.22)

 

LUCA DONDONI 

Tra i tanti artisti che parteciperanno al prossimo Eurovision Song Contest alcuni, come il nostro Blanco, sono giovanissimi ma hanno storie importanti da raccontare. Rosa Linn, nata Roza Kostandyan in Armenia 21 anni fa, arriverà sul palco di Torino dopo essere entrata per la prima volta a far parte del circuito dell’Eurovision nel 2013, a soli tredici anni. Era la prima volta nella vita che usciva dalla piccola città di Vanadzor dove è nata e partecipò alla competizione junior con il brano Gitem: finì sotto i riflettori tanto da entrare nel collettivo Nvak fondato da Tamar Karpelian. Quest’ ultimo è la voce del supergruppo Genealogy dove i cantanti sono tutti discendenti di vittime del genocidio degli armeni del 1915. Oggi la Linn è considerata una star nel suo Paese e l’anno scorso ha allargato i suoi confini artistici duettando con l’americana Kiiara per il singolo King.
Rosa Linn lei è in gara per l’Armenia dove è tra gli artisti più famosi, ma gli italiani la vedranno per la prima volta.
«E allora mi presento, ma premetto che l’Eurovision è sempre stato un mio sogno fin da quando ero un ragazzina. Ho 21 anni e ho iniziato a suonare il pianoforte quando ne avevo 6 anni, mentre la chitarra l’ho imbracciata a 10. Ho iniziato prestissimo anche a scrivere la mia musica, ma ogni conquista, ogni soddisfazione mi spingevano a fare di più e meglio.
Oggi vedere il sostegno del mio Paese è indescrivibile, mi motiva e il 10 maggio quando parteciperò alla prima semifinale darò il meglio».

La sua canzone si intitola «Snap», qual è il significato?
«Ogni difficoltà è più facile da superare con un po’ più di amore per se stessi. L’ho scritta in un momento di depressione; mi sentivo come se il mondo si stesse sgretolando intorno a me. Spero che a chiunque sia accaduto di sentirsi a terra, demotivato, ascoltando il pezzo sappia che non è solo. Bisogna trovare la forza di plasmare il proprio destino».

Visto che il suo genere ha molto a che fare con il new folk del quale una band come i Lumineers è stata una portabandiera: li conosceva? Quali sono i suoi modelli e dove trova l’ispirazione per scrivere?
«Ho sentito solo un paio di canzoni dei Lumineers ma non posso dire di conoscerli bene.
Il new folk è una corrente molto forte negli Stati Uniti ma io amo diversi generi musicali che vanno dalla classica al jazz sino all’heavy metal. Posso dire che adoro Andrea Bocelli?
Penso che abbia una delle voci più belle del mondo».

L’armenia non partecipò all’Eurovision del 2021 perché era in atto la guerra del Nagorno Karabakh. Come ci si sente a essere il fiore all’occhiello di un Paese con una storia così tormentata?
«Gli ultimi due anni sono stati molto difficili per noi, ma abbiamo trovato la forza per tornare e siamo orgogliosi di far parte di questa famiglia. Spero di usare il dolore del passato per illuminare una via più pacifica. La mia canzone, un invito alla resilienza, ha molto a che fare con l’Armenia».

Ha un’opinione sulla guerra tra Russia e Ucraina?
È un argomento delicato, preferisco non dare una risposta su un qualcosa di enormemente più grande di me».

Lei ha fatto parte del collettivo Nvak, ma adesso è in gara come solista. Fa ancora parte di quel gruppo di lavoro?
«Sono assolutamente parte del Nvak Collective e abbiamo tanti progetti entusiasmanti che presto annunceremo. La nostra è un’etichetta discografica fatta da creativi per creativi, è una struttura innovativa con l’artista al centro». A volte le canzoni sono la definizione di un pensiero politico, un modo per dare forza alle proprie idee. È così? «Per me la musica è sempre stata un riflesso di chi sono dentro e di come mi sento in quel momento della mia vita. È profondamente personale ed è guidata dalla mia emozione piuttosto che da una questione politica. Come artista ho sempre voluto mantenere una certa distanza tra la mia musica e il modo in cui vedo la politica. Dico sempre che la musica è la cosa più bella della terra e non voglio mescolarla con la sporcizia». Conosce l’Italia? E qualche artista del nostro Paese? «Non ci sono mai stata, così quest’ anno ho l’opportunità di visitarla. Amo molto la musica italiana, Adriano Celentano e come ho detto Andrea Bocelli. Penso che la vostra lingua sia una delle più belle per la musica e ammiro la cultura e l’arte creata dai geni italiani». Rosa Linn è nata a Vanadzor, in Armenia: ha iniziato a suonare il pianoforte a 6 anni, a 10 la chitarra Non conosco l’Italia ma amo la vostra musica: Celentano e Bocelli, una delle voci più belle al mondo Faccio parte del collettivo Nvak, fatto da creativi per creativi, una struttura con l’artista al centro I miei brani in genere sono più personali che politici. Vedere il sostegno del mio Paese è indescrivibile rosa linn cantautrice, si esibirà all’eurovision il 10 maggio.

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Due sorelline armene in fuga dal “Grande Male” (Il Giornale 30.04.22)

Lo sterminio degli armeni è uno dei grandi drammi collettivi del Novecento, forse il primo grande dramma di un popolo, tanto che quello armeno ha più volte chiesto che alla sua epopea venisse accordata la definizione di olocausto, al pari di quello degli ebrei. Non a caso, a Erevan, l’odierna capitale dell’Armenia, sorge un monumento in ricordo del Metz Yegern («il grande male»), proprio come a Gerusalemme sorge lo Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto. E, come nel caso del genocidio degli ebrei, ogni anno se ne commemora il carico di sofferenza nel «giorno del ricordo», il 24 aprile.

In un’epoca come la nostra in cui la propaganda si declina a partire dall’uso fuori luogo se non addirittura spregiudicato delle parole «operazione militare speciale» al posto di «guerra» o «genocidio» invece di «strage» la controversia sulla titolarità di un termine come «olocausto» non è cosa da poco. D’altro canto, sul genocidio armeno, consumatosi al crepuscolo dell’impero ottomano, tra il 1915 e il 1923, ancor oggi le parti in causa, ovvero i turchi e gli armeni, non trovano un punto d’accordo, con i primi che negano ogni responsabilità e l’esistenza stessa dei fatti a essi contestati, come pure le cifre delle vittime, nonostante gli storici sostengano che oscillino tra uno e due milioni.

Un’ammissione delle proprie responsabilità metterebbe la fragile democrazia turca in una posizione estremamente imbarazzante, con la questione curda sempre di stretta attualità. E proprio i curdi furono uno dei sinistri strumenti di morte utilizzati dal triumvirato dei Giovani Turchi per realizzare il massacro degli armeni, un popolo presente in Anatolia da ben prima della nascita della religione islamica, ma non assimilabile per il suo profondo credo cristiano e il suo guardare a occidente.

Attraverso L’uccello blu di Erzerum (Fazi Editore, traduzione di Maurizio Ferrara, pagg 520, euro 20), il noirista francese Ian Manook, celebre per la sua trilogia di ambientazione mongola avente per protagonista il commissario Yeruldelgger, traccia un affresco straordinario di un’epoca che in qualche modo ha segnato la sua stessa esistenza, spingendo i suoi nonni a cercare vita e speranza in Francia, una delle destinazioni preferite della diaspora armena. L’unica pecca di questo romanzo ma significa realmente cercare il classico pelo nell’uovo è forse la scelta dell’autore di indulgere eccessivamente in descrizioni di situazioni che, trattandosi dichiaratamente del romanzo del genocidio del suo popolo, rasentano il raccapriccio. E dire che Manook ammette in apertura del libro di aver «accettato di eliminare le due scene di massacro più violente» su richiesta del suo editore.

Protagoniste assolute del romanzo sono due sorelline scampate miracolosamente a uno dei primi pogrom di cui la popolazione armena è vittima e costrette, tra indicibili sofferenze, a unirsi alle carovane di profughi che il triumvirato decide di trasferire in altre zone del Paese. Già nel 1915 l’uso della terminologia veniva fatto con grande scrupolo: guai parlare di deportazione.

Molti storici hanno avanzato la teoria secondo cui il genocidio armeno fu una sorta di prova generale per lo sterminio degli ebrei, tanto che parecchi alti ufficiali dell’esercito tedesco la Germania era alleata della Turchia parteciparono alla pianificazione dei massacri o, comunque, vi assistettero senza mai metterli in discussione. E Ian Manook non è per nulla tenero con i tedeschi, così come non fa sconti ad altri popoli a loro volta coinvolti nei disastri del suo popolo. Il suo torrenziale romanzo, ricco di riferimenti a storia e folklore, contestualizza la vicenda di queste due bambine e di un’altra ragazzina di cui intersecheranno il tragico cammino: il loro percorso di vita si snoderà tra Turchia, Germania, Francia e Unione Sovietica.

L’uccello blu di Erzerum getta uno sguardo disincantato sulla genesi di una follia collettiva che porta a un delirio omicida. Come sappiamo, il XX secolo avrebbe assistito al ripetersi di tale delirio almeno in altre tre occasioni: l’olocausto degli ebrei, l’epurazione dei nemici del popolo da parte dei Khmer Rossi in Cambogia e lo sterminio dei tutsi a opera degli hutu in Ruanda. L’inizio è tristemente comune: il progetto di cancellare un’identità scomoda, facendo leva su paure irrazionali e su spiegazioni storiche fabbricate appositamente per giustificare orrori inammissibili.

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Sono decine di migliaia, a livello mondiale, le applicazioni delle moderne tecnologie antisismiche (Meteweb 30.04.22)

Di Alessandro Martelli, (esperto di sistemi antisismici, già direttore ENEA) – Sono ormai decine di migliaia, a livello mondiale, in decine di Paesi, le applicazioni delle moderne tecnologie antisismiche (isolamento sismico, dissipazione di energia, ecc.), ad edifici, ponti, viadotti ed impianti industriali, sia di nuova costruzione che esistenti. Già nel 2013 esse erano oltre 23.000.

Delle prime applicazioni in Italia e di quelle in Giappone, Cina ed USA ho già scritto in precedenti articoli pubblicati da Meteoweb (Un esempio da seguire: la prevenzione sismica in Giappone, grazie alle moderne tecnologie antisismichePrevenzione sismica grazie alle moderne tecnologie: d’esempio è ora anche la Cina | FOTOPrevenzione del rischio sismico: vasta applicazione delle moderne tecnologie anche negli USA | FOTO), così come ho recentemente scritto su quelle effettuate in alcuni altri Paesi con dispositivi prodotti in Italia (Anche in altri Paesi vi sono importanti costruzioni protette da dispositivi antisismici prodotti in Italia | FOTO). Però, vale la pena di completare questa rassegna menzionando ulteriori prime applicazioni, a varie tipologie di strutture (edifici, in particolare scuole e musei, ed impianti). In particolare, sono da citare quelle che sorgono nei Paesi sottoelencati.

Anzitutto è da ricordare l’Armenia, dove, sebbene si tratti di un Paese non annoverabile tra i più sviluppati, l’utilizzazione dell’isolamento sismico iniziò assai presto, grazie ad esperti come il Prof. Mikayel Melkumyan ed a strette collaborazioni fra l’Università di Yerevan (la capitale) e quella di Berkeley (California, USA). Infatti, gli edifici isolati sismicamente armeni erano già 32 nel 2011. Fra le prime applicazioni armene, è da menzionare l’adeguamento sismico della scuola N. 4 di Vanadzor (in muratura, costruita 55 anni prima), che fu effettuato nel 2002 mediante isolatori in neoprene a smorzamento medio (Medium Damping Neoprene Bearing o MDNB) di produzione nazionale, inserendo pilastri di cemento armato (c.a.) per sorreggere gli isolatori e la sovrastruttura ed un cordolo, pure in c.a., al di sopra degli isolatori per conferire alla sovrastruttura la necessaria rigidezza (Figure 1÷3).

In Armenia, inoltre, sono stati costruiti pure nuovi edifici isolati (pure con MDNB) di notevole altezza, come (nel 2006) il complesso multifunzionale “Our Yard”, di 10÷16 piani (Figura 4), e, successivamente, altri, di 17 e di 20 piani. Infine, molto particolare è stato il progetto per l’isolamento sismico della Chiesa di St. Katoghike di Yerevan, molto cara agli armeni: esso prevedeva il taglio delle fondazioni e l’inserimento di un sistema di isolamento su ruote, per poter spostare la chiesa davanti agli orrendi edifici costruiti ai tempi dell’URSS, che ne nascondevano la vista (Figure 5÷7).

Anche in Nuova Zelanda, Paese pure di non grandi dimensioni, non manca, da tempo, un numero significativo di applicazioni delle moderne tecnologie antisismiche: già nel 2011 erano circa 30 gli edifici neozelandesi protetti dall’isolamento sismico o da sistemi dissipativi e numerosi erano già i ponti ed i viadotti protetti grazie a tali tecnologie. Alcuni esempi importanti di primi edifici isolati neozelandesi sono:

Come ho ricordato sopra, delle applicazioni nella Federazione Russa (dove gli edifici isolati sismicamente erano già circa 600 nel 2011) ho già accennato, scrivendo dell’utilizzazione di dispositivi antisismici italiani all’estero e citando quella nel Sea Plaza Hotel di Sochi. Altri interessanti primi esempi di edifici russi isolati sismicamente sono:

  • la Banca Centrale di Irtusk, protetta di isolatori elastomerici ad alto smorzamento (High Damping Rubber Bearing o HDRB) di fabbricazione cinese (Figura 11);
  • il Teatro Nazionale Drammatico di Gorno-Altaisk, protetto da dispositivi HDRB e da dissipatori viscosi (Viscous Damper o VD, Figura 12);
  • la State Concert Hall di Grozny e la Chiesa Mihailo-Arkhangelskaya di Irtusk, ambedue protette da dispositivi HDRB (Figure 13 e 14);
  • il Centro Commerciale di Sochi, un edificio in cemento armato (c.a.) di 21 piani fuori terra e 2 interrati, alto circa 100 m, che è protetto da 200 dispositivi LRB (Figura 15).

Quanto ad importanti prime applicazioni (di vario tipo) delle moderne tecnologie antisismiche in altri Paesi, non sono da dimenticare quelle effettuate:

  • in Argentina, dove, in considerazione della forte componente verticale del terremoto di progetto (di cosiddetto “near fault”), un edificio residenziale per studenti universitari fu isolato a Mendoza con 4 isolatori tridirezionali (3D), prodotti dalla società tedesca GERB (Figure 16 e 17);
  • in Cile, dove la prima applicazione dell’isolamento sismico risale al 1992 e riguardò l’edificio residenziale della Comunidad Andalucia di Santiago (Figura 18), mentre il primo edificio strategico ad essere isolato (con 114 HDRB e 50 LRB) fu, nel 2005 (al costo di 112,8 milioni di dollari), il Nuevo Hospital Militar La Reina (di area pari ad 80.000 m2), anch’esso situato a Santiago (Figure 19 e 20);
  • in Corea del Sud, dove le prime applicazioni delle moderne tecnologie antisismiche hanno riguardato non solo i viadotti d’accesso del Seo-Hae Granel Bridge ed altri ponti e viadotti protetti da dissipatori viscosi prodotti in Italia (https://www.meteoweb.eu/2022/04/costruzioni-protette-dispositivi-antisismici-prodotti-italia/1787240/), ma anche edifici ed impianti a rischio di incidente rilevante, come, ad esempio, grandi serbatoi di gas naturale liquefatto (Liquefied Natural Gas o LNG), di cui 3 ad Inchon (ciascuno isolato da 392 HDRB, Figure 21 e 22) e 10 a Payeong-Taek (ciascuno con 150 HDRB);
  • in Grecia, dove l’isolamento sismico è già stato utilizzato anche in edifici di interesse storico-artistico, come, nel 2006, il Museo dell’Acropoli di Atene, protetto da 94 isolatori a pendolo scorrevole  di produzione tedesca (Seismic Isolation Pendulum o SIP), come già riportai su Meteoweb nel 2021 (https://www.meteoweb.eu/2021/06/isolamento-sismico-la-protezione-delle-opere-darte-dal-terremoto/1694680/, Figure 23 e 24), oltre che (negli anni 1990) in grandi serbatoi, come i 2 di Revithoussa mostrati nella Figura 25 (di 20 m diametro, interrati alla profondità di 70 m), isolati con 212 isolatori a pendolo scorrevole di produzione statunitense (Friction Pendulum System o FPS);
  • nell’isola de La Martinica, dove sono utilizzati isolatori in neoprene (Neoprene Bearing o NB), assieme a VD, e l’applicazione dell’isolamento sismico fu resa obbligatoria per le scuole ed altri edifici pubblici (nel 2007 erano quattro le scuole isolate ad esser state completate, Figure 26 e 27);
  • in Messico, dove la prima applicazione dell’isolamento sismico (con un sistema “a rotolamento” di concezione nazionale) risale addirittura al 1974 e riguardò la scuola media Legaria di Mexico City (Figura 28) e dove, nel 2007, vi erano altre 6 strutture isolate (oltre a 25 edifici protetti da dissipatori di energia);
  • in Romania, dove fu progettato, a Ploiesti, l’adeguamento sismico con l’isolamento dell’edificio storico (del 1905) Victor Slavescu (Figura 29).

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