sede: Palazzo Zuckermann (Padova).
cura: Paolo Arà Zarian, Christine Lamoureux.
La mostra illustra un percorso professionale di studi, di ricerche e di restauri conservativi di cicli di dipinti murali nelle chiese in Armenia e nell’Artsakh (Nagorno Karabagh) che gli autori hanno realizzato con passione e costanza in questi ultimi dieci anni.
La mostra è composta da 27 pannelli fotografici in cui sono presentati i restauri dei dipinti murali di tre chiese: Lmbatavank’, Monastero di Haghbat e Monastero di Dadivank’.
Nelle bacheche saranno presentati tre libri scritti dai curatori Arà Zarian e Christine Lamoureux, locandine, materiale illustrativo, articoli, pigmenti minerali naturali armeni, materiale e attrezzatura di lavoro.
Tra i tanti artisti che parteciperanno al prossimo Eurovision Song Contest alcuni, come il nostro Blanco, sono giovanissimi ma hanno storie importanti da raccontare. Rosa Linn, nata Roza Kostandyan in Armenia 21 anni fa, arriverà sul palco di Torino dopo essere entrata per la prima volta a far parte del circuito dell’Eurovision nel 2013, a soli tredici anni. Era la prima volta nella vita che usciva dalla piccola città di Vanadzor dove è nata e partecipò alla competizione junior con il brano Gitem: finì sotto i riflettori tanto da entrare nel collettivo Nvak fondato da Tamar Karpelian. Quest’ ultimo è la voce del supergruppo Genealogy dove i cantanti sono tutti discendenti di vittime del genocidio degli armeni del 1915. Oggi la Linn è considerata una star nel suo Paese e l’anno scorso ha allargato i suoi confini artistici duettando con l’americana Kiiara per il singolo King. Rosa Linn lei è in gara per l’Armenia dove è tra gli artisti più famosi, ma gli italiani la vedranno per la prima volta. «E allora mi presento, ma premetto che l’Eurovision è sempre stato un mio sogno fin da quando ero un ragazzina. Ho 21 anni e ho iniziato a suonare il pianoforte quando ne avevo 6 anni, mentre la chitarra l’ho imbracciata a 10. Ho iniziato prestissimo anche a scrivere la mia musica, ma ogni conquista, ogni soddisfazione mi spingevano a fare di più e meglio. Oggi vedere il sostegno del mio Paese è indescrivibile, mi motiva e il 10 maggio quando parteciperò alla prima semifinale darò il meglio». La sua canzone si intitola «Snap», qual è il significato? «Ogni difficoltà è più facile da superare con un po’ più di amore per se stessi. L’ho scritta in un momento di depressione; mi sentivo come se il mondo si stesse sgretolando intorno a me. Spero che a chiunque sia accaduto di sentirsi a terra, demotivato, ascoltando il pezzo sappia che non è solo. Bisogna trovare la forza di plasmare il proprio destino». Visto che il suo genere ha molto a che fare con il new folk del quale una band come i Lumineers è stata una portabandiera: li conosceva? Quali sono i suoi modelli e dove trova l’ispirazione per scrivere? «Ho sentito solo un paio di canzoni dei Lumineers ma non posso dire di conoscerli bene. Il new folk è una corrente molto forte negli Stati Uniti ma io amo diversi generi musicali che vanno dalla classica al jazz sino all’heavy metal. Posso dire che adoro Andrea Bocelli? Penso che abbia una delle voci più belle del mondo». L’armenia non partecipò all’Eurovision del 2021 perché era in atto la guerra del Nagorno Karabakh. Come ci si sente a essere il fiore all’occhiello di un Paese con una storia così tormentata? «Gli ultimi due anni sono stati molto difficili per noi, ma abbiamo trovato la forza per tornare e siamo orgogliosi di far parte di questa famiglia. Spero di usare il dolore del passato per illuminare una via più pacifica. La mia canzone, un invito alla resilienza, ha molto a che fare con l’Armenia». Ha un’opinione sulla guerra tra Russia e Ucraina? È un argomento delicato, preferisco non dare una risposta su un qualcosa di enormemente più grande di me». Lei ha fatto parte del collettivo Nvak, ma adesso è in gara come solista. Fa ancora parte di quel gruppo di lavoro? «Sono assolutamente parte del Nvak Collective e abbiamo tanti progetti entusiasmanti che presto annunceremo. La nostra è un’etichetta discografica fatta da creativi per creativi, è una struttura innovativa con l’artista al centro». A volte le canzoni sono la definizione di un pensiero politico, un modo per dare forza alle proprie idee. È così? «Per me la musica è sempre stata un riflesso di chi sono dentro e di come mi sento in quel momento della mia vita. È profondamente personale ed è guidata dalla mia emozione piuttosto che da una questione politica. Come artista ho sempre voluto mantenere una certa distanza tra la mia musica e il modo in cui vedo la politica. Dico sempre che la musica è la cosa più bella della terra e non voglio mescolarla con la sporcizia». Conosce l’Italia? E qualche artista del nostro Paese? «Non ci sono mai stata, così quest’ anno ho l’opportunità di visitarla. Amo molto la musica italiana, Adriano Celentano e come ho detto Andrea Bocelli. Penso che la vostra lingua sia una delle più belle per la musica e ammiro la cultura e l’arte creata dai geni italiani». Rosa Linn è nata a Vanadzor, in Armenia: ha iniziato a suonare il pianoforte a 6 anni, a 10 la chitarra Non conosco l’Italia ma amo la vostra musica: Celentano e Bocelli, una delle voci più belle al mondo Faccio parte del collettivo Nvak, fatto da creativi per creativi, una struttura con l’artista al centro I miei brani in genere sono più personali che politici. Vedere il sostegno del mio Paese è indescrivibile rosa linn cantautrice, si esibirà all’eurovision il 10 maggio.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-04-30 17:50:232022-04-30 17:52:51ROSA LINN "CANTO IL DOLORE DELL'ARMENIA PER ILLUMINARE UNA VIA PIÙ PACIFICA" (La Stampa 30.04.22)
Lo sterminio degli armeni è uno dei grandi drammi collettivi del Novecento, forse il primo grande dramma di un popolo, tanto che quello armeno ha più volte chiesto che alla sua epopea venisse accordata la definizione di olocausto, al pari di quello degli ebrei. Non a caso, a Erevan, l’odierna capitale dell’Armenia, sorge un monumento in ricordo del Metz Yegern («il grande male»), proprio come a Gerusalemme sorge lo Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto. E, come nel caso del genocidio degli ebrei, ogni anno se ne commemora il carico di sofferenza nel «giorno del ricordo», il 24 aprile.
In un’epoca come la nostra in cui la propaganda si declina a partire dall’uso fuori luogo se non addirittura spregiudicato delle parole «operazione militare speciale» al posto di «guerra» o «genocidio» invece di «strage» la controversia sulla titolarità di un termine come «olocausto» non è cosa da poco. D’altro canto, sul genocidio armeno, consumatosi al crepuscolo dell’impero ottomano, tra il 1915 e il 1923, ancor oggi le parti in causa, ovvero i turchi e gli armeni, non trovano un punto d’accordo, con i primi che negano ogni responsabilità e l’esistenza stessa dei fatti a essi contestati, come pure le cifre delle vittime, nonostante gli storici sostengano che oscillino tra uno e due milioni.
Un’ammissione delle proprie responsabilità metterebbe la fragile democrazia turca in una posizione estremamente imbarazzante, con la questione curda sempre di stretta attualità. E proprio i curdi furono uno dei sinistri strumenti di morte utilizzati dal triumvirato dei Giovani Turchi per realizzare il massacro degli armeni, un popolo presente in Anatolia da ben prima della nascita della religione islamica, ma non assimilabile per il suo profondo credo cristiano e il suo guardare a occidente.
Attraverso L’uccello blu di Erzerum (Fazi Editore, traduzione di Maurizio Ferrara, pagg 520, euro 20), il noirista francese Ian Manook, celebre per la sua trilogia di ambientazione mongola avente per protagonista il commissario Yeruldelgger, traccia un affresco straordinario di un’epoca che in qualche modo ha segnato la sua stessa esistenza, spingendo i suoi nonni a cercare vita e speranza in Francia, una delle destinazioni preferite della diaspora armena. L’unica pecca di questo romanzo ma significa realmente cercare il classico pelo nell’uovo è forse la scelta dell’autore di indulgere eccessivamente in descrizioni di situazioni che, trattandosi dichiaratamente del romanzo del genocidio del suo popolo, rasentano il raccapriccio. E dire che Manook ammette in apertura del libro di aver «accettato di eliminare le due scene di massacro più violente» su richiesta del suo editore.
Protagoniste assolute del romanzo sono due sorelline scampate miracolosamente a uno dei primi pogrom di cui la popolazione armena è vittima e costrette, tra indicibili sofferenze, a unirsi alle carovane di profughi che il triumvirato decide di trasferire in altre zone del Paese. Già nel 1915 l’uso della terminologia veniva fatto con grande scrupolo: guai parlare di deportazione.
Molti storici hanno avanzato la teoria secondo cui il genocidio armeno fu una sorta di prova generale per lo sterminio degli ebrei, tanto che parecchi alti ufficiali dell’esercito tedesco la Germania era alleata della Turchia parteciparono alla pianificazione dei massacri o, comunque, vi assistettero senza mai metterli in discussione. E Ian Manook non è per nulla tenero con i tedeschi, così come non fa sconti ad altri popoli a loro volta coinvolti nei disastri del suo popolo. Il suo torrenziale romanzo, ricco di riferimenti a storia e folklore, contestualizza la vicenda di queste due bambine e di un’altra ragazzina di cui intersecheranno il tragico cammino: il loro percorso di vita si snoderà tra Turchia, Germania, Francia e Unione Sovietica.
L’uccello blu di Erzerum getta uno sguardo disincantato sulla genesi di una follia collettiva che porta a un delirio omicida. Come sappiamo, il XX secolo avrebbe assistito al ripetersi di tale delirio almeno in altre tre occasioni: l’olocausto degli ebrei, l’epurazione dei nemici del popolo da parte dei Khmer Rossi in Cambogia e lo sterminio dei tutsi a opera degli hutu in Ruanda. L’inizio è tristemente comune: il progetto di cancellare un’identità scomoda, facendo leva su paure irrazionali e su spiegazioni storiche fabbricate appositamente per giustificare orrori inammissibili.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-04-30 17:06:172022-04-30 17:06:18Due sorelline armene in fuga dal "Grande Male" (Il Giornale 30.04.22)
Di Alessandro Martelli, (esperto di sistemi antisismici, già direttore ENEA) – Sono ormai decine di migliaia, a livello mondiale, in decine di Paesi, le applicazioni delle moderne tecnologie antisismiche (isolamento sismico, dissipazione di energia, ecc.), ad edifici, ponti, viadotti ed impianti industriali, sia di nuova costruzione che esistenti. Già nel 2013 esse erano oltre 23.000.
Anzitutto è da ricordare l’Armenia, dove, sebbene si tratti di un Paese non annoverabile tra i più sviluppati, l’utilizzazione dell’isolamento sismico iniziò assai presto, grazie ad esperti come il Prof. Mikayel Melkumyan ed a strette collaborazioni fra l’Università di Yerevan (la capitale) e quella di Berkeley (California, USA). Infatti, gli edifici isolati sismicamente armeni erano già 32 nel 2011. Fra le prime applicazioni armene, è da menzionare l’adeguamento sismico della scuola N. 4 di Vanadzor (in muratura, costruita 55 anni prima), che fu effettuato nel 2002 mediante isolatori in neoprene a smorzamento medio (Medium Damping Neoprene Bearing o MDNB) di produzione nazionale, inserendo pilastri di cemento armato (c.a.) per sorreggere gli isolatori e la sovrastruttura ed un cordolo, pure in c.a., al di sopra degli isolatori per conferire alla sovrastruttura la necessaria rigidezza (Figure 1÷3).
In Armenia, inoltre, sono stati costruiti pure nuovi edifici isolati (pure con MDNB) di notevole altezza, come (nel 2006) il complesso multifunzionale “Our Yard”, di 10÷16 piani (Figura 4), e, successivamente, altri, di 17 e di 20 piani. Infine, molto particolare è stato il progetto per l’isolamento sismico della Chiesa di St. Katoghike di Yerevan, molto cara agli armeni: esso prevedeva il taglio delle fondazioni e l’inserimento di un sistema di isolamento su ruote, per poter spostare la chiesa davanti agli orrendi edifici costruiti ai tempi dell’URSS, che ne nascondevano la vista (Figure 5÷7).
Anche in Nuova Zelanda, Paese pure di non grandi dimensioni, non manca, da tempo, un numero significativo di applicazioni delle moderne tecnologie antisismiche: già nel 2011 erano circa 30 gli edifici neozelandesi protetti dall’isolamento sismico o da sistemi dissipativi e numerosi erano già i ponti ed i viadotti protetti grazie a tali tecnologie. Alcuni esempi importanti di primi edifici isolati neozelandesi sono:
il Parlamento di Wellington, costruito nel 1921, che fu adeguato sismicamente con isolatori elastomerici con nucleo interno in piombo (Lead Rubber Bearing o LRB) negli anni 1992÷93 (Figura 8);
Come ho ricordato sopra, delle applicazioni nella Federazione Russa (dove gli edifici isolati sismicamente erano già circa 600 nel 2011) ho già accennato, scrivendo dell’utilizzazione di dispositivi antisismici italiani all’estero e citando quella nel Sea Plaza Hotel di Sochi. Altri interessanti primi esempi di edifici russi isolati sismicamente sono:
la Banca Centrale di Irtusk, protetta di isolatori elastomerici ad alto smorzamento (High Damping Rubber Bearing o HDRB) di fabbricazione cinese (Figura 11);
il Teatro Nazionale Drammatico di Gorno-Altaisk, protetto da dispositivi HDRB e da dissipatori viscosi (Viscous Damper o VD, Figura 12);
la State Concert Hall di Grozny e la Chiesa Mihailo-Arkhangelskaya di Irtusk, ambedue protette da dispositivi HDRB (Figure 13 e 14);
il Centro Commerciale di Sochi, un edificio in cemento armato (c.a.) di 21 piani fuori terra e 2 interrati, alto circa 100 m, che è protetto da 200 dispositivi LRB (Figura 15).
Quanto ad importanti prime applicazioni (di vario tipo) delle moderne tecnologie antisismiche in altri Paesi, non sono da dimenticare quelle effettuate:
in Argentina, dove, in considerazione della forte componente verticale del terremoto di progetto (di cosiddetto “near fault”), un edificio residenziale per studenti universitari fu isolato a Mendoza con 4 isolatori tridirezionali (3D), prodotti dalla società tedesca GERB (Figure 16 e 17);
in Cile, dove la prima applicazione dell’isolamento sismico risale al 1992 e riguardò l’edificio residenziale della Comunidad Andalucia di Santiago (Figura 18), mentre il primo edificio strategico ad essere isolato (con 114 HDRB e 50 LRB) fu, nel 2005 (al costo di 112,8 milioni di dollari), il Nuevo Hospital Militar La Reina (di area pari ad 80.000 m2), anch’esso situato a Santiago (Figure 19 e 20);
in Corea del Sud, dove le prime applicazioni delle moderne tecnologie antisismiche hanno riguardato non solo i viadotti d’accesso del Seo-Hae Granel Bridge ed altri ponti e viadotti protetti da dissipatori viscosi prodotti in Italia (https://www.meteoweb.eu/2022/04/costruzioni-protette-dispositivi-antisismici-prodotti-italia/1787240/), ma anche edifici ed impianti a rischio di incidente rilevante, come, ad esempio, grandi serbatoi di gas naturale liquefatto (Liquefied Natural Gas o LNG), di cui 3 ad Inchon (ciascuno isolato da 392 HDRB, Figure 21 e 22) e 10 a Payeong-Taek (ciascuno con 150 HDRB);
in Grecia, dove l’isolamento sismico è già stato utilizzato anche in edifici di interesse storico-artistico, come, nel 2006, il Museo dell’Acropoli di Atene, protetto da 94 isolatori a pendolo scorrevole di produzione tedesca (Seismic Isolation Pendulum o SIP), come già riportai su Meteoweb nel 2021 (https://www.meteoweb.eu/2021/06/isolamento-sismico-la-protezione-delle-opere-darte-dal-terremoto/1694680/, Figure 23 e 24), oltre che (negli anni 1990) in grandi serbatoi, come i 2 di Revithoussa mostrati nella Figura 25 (di 20 m diametro, interrati alla profondità di 70 m), isolati con 212 isolatori a pendolo scorrevole di produzione statunitense (Friction Pendulum System o FPS);
nell’isola de La Martinica, dove sono utilizzati isolatori in neoprene (Neoprene Bearing o NB), assieme a VD, e l’applicazione dell’isolamento sismico fu resa obbligatoria per le scuole ed altri edifici pubblici (nel 2007 erano quattro le scuole isolate ad esser state completate, Figure 26 e 27);
in Messico, dove la prima applicazione dell’isolamento sismico (con un sistema “a rotolamento” di concezione nazionale) risale addirittura al 1974 e riguardò la scuola media Legaria di Mexico City (Figura 28) e dove, nel 2007, vi erano altre 6 strutture isolate (oltre a 25 edifici protetti da dissipatori di energia);
in Romania, dove fu progettato, a Ploiesti, l’adeguamento sismico con l’isolamento dell’edificio storico (del 1905) Victor Slavescu (Figura 29).
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-04-30 09:12:072022-05-01 09:13:18Sono decine di migliaia, a livello mondiale, le applicazioni delle moderne tecnologie antisismiche (Meteweb 30.04.22)
Dai viaggi è nato un ciclo di conferenze… e non solo. La rassegna “Comabbio racconta l’Armenia” (foto di copertina di Nadia Pasqual), quest’anno alla seconda edizione, nasce dal desiderio di Giusy Tunici, abitante del borgo sull’omonimo lago, di condividere le esperienze di due viaggi in Armenia. I suoi racconti hanno suscitato la curiosità dei concittadini e del Sindaco Marina Paola Rovelli, che l’ha delegata a narrare le sue esperienze.
La risposta entusiasta degli enti locali e degli esperti in materia, via via coinvolti, hanno trasformato il programma iniziale in un progetto molto ambizioso e articolato, che Giusy Tunici si è fatta carico di coordinare. La rassegna si inserisce nell’ambito del progetto “Il paese racconta un Paese” del Comune di Comabbio e intende promuovere la conoscenza di un luogo attraverso la sua storia, la cultura, le tradizioni, le caratteristiche del territorio e della popolazione.
«Tutto – racconta Giusy Tunici – è cominciato da un mio primo viaggio in Armenia. È lì che è nato il mio affetto per questo paese e il suo popolo. Tornata a casa, nel settembre del 2020, ho iniziato a pensare a un evento dedicato all’Armenia, qualcosa di semplice, di tranquillo. A ottobre ho contattato la mia amica Shushan Martirosyan in Armenia, ma il progetto, intanto, aveva già destato l’interesse anche della biblioteca e dell’amministrazione comunale. Col tempo sono state molte le realtà di Comabbio e non che hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa, dando vita a un progetto dal respiro realmente internazionale».
«”Comabbio racconta l’Armenia” – commenta il Sindaco di Comabbio Marina Paola Rovelli – è un progetto ambizioso costruito giorno per giorno con uno scopo: conoscere. Conoscere ci permette di rispettare, e la voglia di confrontarsi con culture diverse ci rende non solo migliori, ma anche più liberi e indipendenti».
Un ciclo di incontri e conferenze sull’Armenia, che analizzeranno molti aspetti, con ospiti di rilievo, in una serie di appuntamenti di respiro internazionale, per far conoscere la cultura armena e il popolo armeno.
La rassegna Comabbio racconta l’Armenia” si svolgerà dal 13 al 15 maggio 2022 nell’incantevole borgo dove il pittore Lucio Fontana amava ritirarsi, con cinque conferenze, quattro concerti, due laboratori, una mostra fotografica e tante proposte di degustazione. Un ricco programma per un progetto ambizioso, che ha raccolto il contributo dei più importanti rappresentanti, studiosi e conoscitori della cultura armena tra scrittori, giornalisti, fotografi, armenisti, storici, musicisti, architetti, artisti e altre personalità provenienti da Italia, Armenia, Stati Uniti e Turchia.
Un progetto che nasce dalla consapevolezza che il livello di maturità di una società si misura anche dalla sua capacità di rapportarsi a ciò che è diverso per origini, cultura e religione. Ente capofila è il Comune di Comabbio, Assessorato alla Cultura, con il patrocinio dell’Unione Armeni d’Italia, del Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena, del Comune di Travedona Monate, del Comune di Mercallo, del Comune di Ternate, della Città di Sesto Calende, della Città di Angera e del Comune di Varano Borghi, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Territoriale di Varese, la Congregazione Mechitarista e l’Associazione Culturale Padus-Araxes.
La rassegna inizierà il 13 maggio alle ore 21.00 con il Concerto d’inaugurazione nella Chiesa di San Martino a Vergiate, con Yenelina Arakelyan (soprano) e Saténik Shahazizyan-Simonyan (organo), che eseguiranno musiche di V. Komitas, M. Yekmalyan e A. Babajanian.
Il 14 maggio alle ore 09.30 verrà inaugurata la seconda edizione del progetto nella Sala Lucio Fontana in via G. Garibaldi 560 a Comabbio, con i Saluti dell’Amministrazione Comunale e dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Varese. Seguiranno:
– L’universale musicale: laboratorio d’ascolto e composizione di base intorno a Padre Komitas – Matteo Manzitti, compositore e musicologo.
– Conferenza: Viaggio in Armenia: luoghi, incontri, esperienze ai piedi dell’Ararat, con Nadia Pasqual, autrice della guida “Armenia e Nagorno Karabakh” (Polaris).
– Conferenza: Il genocidio armeno. Memoria e negazione come fattori identitari di Armenia e Turchia, con Jacopo Santini, docente e fotografo.
Poi, alle ore 18.00 nel Cortile di Casa Marini Balbi in via G. Garibaldi 634 a Comabbio ci sarà il Concerto: I tuoi splendenti riflessi del tramonto. Viaggio nella musica armena con padre Komitas, con Yenelina Arakelyan (soprano), Saténik Shahazizyan-Simonyan (pianoforte), Ariane Llor (clarinetto) e Marco Ruffilli (relatore). In caso di maltempo, il concerto si terrà nella Chiesa Parrocchiale di San Giacomo Apostolo.
Infine, alle ore 21.00 nel Salone Estense in via Sacco 5 a Varese il Concerto: Musica oltre i confini. Studenti del festival Echi Urbani, con la partecipazione di Yenelina Arakelyan (soprano), Saténik Shahazizyan-Simonyan (pianoforte) e Corinna Canzian (violino).
Nella mattinata del 15 maggio, presso la Sala Lucio Fontana a Comabbio si svolgerà il Workshop per studenti aperto al pubblico: Krunk e la musica armena: i quartetti d’archi di Komitas, con Corinna Canzian (violinista).
Seguirà alle ore 12.30 il Concerto con quartetto d’archi degli allievi del workshop Krunk e la musica armena e – dopo l’interruzione per pranzo armeno presso i ristoranti convenzionati – prosegue il programma con:
– Conferenza: Presenza armena in Italia. 1915-1920, con Agop Manoukian, autore del libro e sociologo.
– Conferenza: Gli armeni a Venezia: una presenza secolare, con Aldo Ferrari, armenista, Professore Ordinario Università Ca’ Foscari di Venezia.
– Conferenza: Gli armeni a Venezia. Testimonianze artistiche, con Marco Ruffilli, storico dell’arte
– Discussione finale con tutti i relatori e domande del pubblico.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-04-29 17:00:012022-04-30 17:01:08“Il paese racconta un Paese”. La seconda edizione della rassegna “Comabbio racconta l’Armenia” (Korazym 29.04.22)
In mostra alla Gran Guardia “Mistero armeno. Daniel Varujan in poesie e immagini” dell’illustratrice Silvia Paggiarin dal 30 aprile al 29 maggio.
Dettagli
Sabato 30 aprile, nella sala della Gran Guardia, in piazza dei Signori a Padova, sarà aperta al pubblico la mostra “Mistero armeno. Daniel Varujan in poesie e immagini”, di Silvia Paggiarin.
L’esposizione, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, sarà visitabile, a ingresso libero, fino al 29 maggio 2022, dal martedì alla domenica, con orario: 09.30-12.30/16-19; chiuso il lunedì e il 1° maggio.
In mostra 40 opere tra illustrazioni e relative poesie e quattro pannelli contenenti la biografia e la gigantografia del ritratto del poeta.
La mostra nasce dall’incontro dell’illustratrice Silvia Paggiarin con la poesia di Daniel Varujan, poeta armeno assassinato nel 1915, durante il Genocidio del suo popolo ad opera dei Turchi.
Attraverso le illustrazioni, Silvia Paggiarin dialoga con i versi potenti ed evocativi di Varujan, tessendo una trama preziosa di suggestioni tra Oriente e Occidente, racconti silenziosi e delicati perché così vuole il mistero della vita.
“I turchi bussarono alla sua porta in una notte di aprile, quando i due figli dormivano e il terzo scalciava nel ventre della madre. Appena il tempo per infilare in tasca una penna e un quaderno, poi il viaggio nel buio. Era un cantore dei mari di grano, profeta di una mistica buona e calda come il pane, impastata di miti pagani e cristianesimo, il credo colpevole che gli costò l’esistenza. Chissà come sembrava l’oro opaco dell’Anatolia mentre l’ombra dei suoi passi pestava le stelle fredde dell’addio. Il 26 agosto del 1915 concluse la sua prigionia legato ad un albero, spezzato dalle torture, depredato di tutto. Cominciò poco dopo la forsennata ricerca del quaderno intriso di sangue e versi che di certo tenne con sé fino alla fine dei suoi giorni. Strana cosa la poesia, infetta dell’assurdo e necessario potere di sopravvivere a chi la scrive, figlia ingrata e irresistibile del genio umano. Nel 1921 un agente segreto ingaggiato dalla famiglia recuperò il quaderno da un cumulo di oggetti sequestrati ai prigionieri armeni, penoso bazar del male assoluto, quello che ti punisce nel nome di un Dio, di un tratto somatico, di un’invidia antica”.
Il tesoro ritrovato era “Il Canto del Pane”, capolavoro incompiuto di Daniel Varujan.
Silvia Paggiarin
Diplomata in Arte Applicata e Arte del Tessuto, laureata in Filosofia all’Università di Padova, Silvia Paggiarin si è formata come illustratrice alla Scuola Internazionale di Illustrazione di Sarmede. A partire dal 2009 è stata selezionata in numerosi concorsi e mostre di illustrazione, come la rassegna I colori del Sacro del Museo Diocesano di Padova, la Mostra Internazionale di Illustrazione Le immagini della fantasia di Sarmede e la rassegna Notte di Fiaba al Museo Alto Garda di Riva del Garda.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-04-29 16:56:042022-04-30 16:58:58“Mistero armeno. Daniel Varujan in poesie e immagini", mostra alla Gran Guardia (Padovaoggi 29.04.22)
Domenica 24 aprile nella chiesa di san Nicola da Tolentino, presso il Pontificio Collegio Armeno, si è celebrata la divina liturgia in rito armeno presieduta dal card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, e officiata dal rettore del Collegio, p. Naamo Nareg Luis, in occasione del 107^ anniversario del genocidio armeno.
Anche l’Unione degli Armeni in Italia ha invitato a non dimenticare: “E’ prima di tutto una sfida di conoscenza, per non fermarsi a un uso retorico della memoria. Occorre invece approfondire le complessità del passato per comprendere che l’annientamento di un popolo e della sua identità è un dramma che ci riguarda davvero tutti e, al contempo, ci porta a riscoprire la ricchezza che la cultura armena è ancora in grado di offrire.
E’ una sfida di coraggio, per leggere le conflittualità del presente ed affrontarle senza timori, avendo ben in mente la drammatica lezione del passato, coscienti che la posta in gioco è il nostro futuro, con i suoi valori di integrazione e difesa della propria identità. Per noi, che siamo orgogliosamente anche cittadini italiani, essi sono la vera eredità che proviene da chi ci ha preceduto e possono diventare un patrimonio da condividere con la nazione in cui abbiamo scelto di vivere”.
Il card. Sandri ha tenuto l’omelia e ha presieduto il momento commemorativo al termine del rito presso il Khachkar, (la croce scolpita nella roccia presso il cortile del collegio), chiedendo pace in Ucraina:
“Giunga in modo particolare questo grido ai fratelli e alle sorelle (anche armeni) in Ucraina, annunciando la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte mentre sembra continuare in quei luoghi un Venerdì santo di Passione, Crocifissione e Morte, e sulle vite di migliaia di persone come sui cuori di noi tutti grava pesante la pietra non rotolata via del sepolcro.
Abbi pietà di noi Signore, fa’ risuonare il tuo annuncio ai discepoli, apparendo loro con i segni della Croce, ma Risorto e vivo: ‘Pace a voi!’ Ferma le mani che offendono il giorno Pasquale lanciando missili e bombe, rifiutando l’appello di molti ad una tregua che consenta tra l’altro i corridoi umanitari. Perdona i silenzi incomprensibili che mettono a tacere la coscienza e la profezia di una società di fronte al trionfo della violenza”.
Riprendendo la Liturgia armena il card. Sandri ha ricordato il genocidio armeno: “E tutto questo nel contesto della preghiera del popolo armeno che oggi ricorda i 107 anni dal Genocidio: quella di oggi per noi è una occasione di ricordare nella preghiera, e qui giustamente stiamo compiendo una celebrazione liturgica e non un atto politico.
In che modo allora, come dice il Salmo, oggi la Parola di Dio è lampada ai nostri passi? Il testo degli Atti ci presenta sostanzialmente due quadri, anticipati da un discorso sapienziale del saggio Gamaliele, alla cui scuola si era formato il giovane Saulo.
Egli sostanzialmente chiede ai membri del Sinedrio la capacità di essere prudenti ed aspettare, leggendo i segni dei tempi: egli non è un credente in Cristo, ma quantomeno pone una domanda ai suoi colleghi. Se quanto sta accadendo viene da Dio, nessuno riuscirà a distruggere questa opera. Se viene dagli uomini, si scioglierà da sola come neve al sole”.
Rifacendosi a san Gregorio di Narek il card. Sandri ha chiesto di non dimenticare il genocidio: “La sapienza dei santi armeni lungo i secoli, e soprattutto la lettura sapienziale della storia proposta da San Gregorio di Narek, ci invita 107 anni dopo il Genocidio come credenti in Cristo certamente a non dimenticare e far dimenticare quello che ancora a volte non si vuole constatare o si nega esplicitamente, ma soprattutto a riconoscere il modo eroico, vissuto nella fede, con cui i figli e le figlie del vostro popolo hanno vissuto il grande Male.
Come i ventuno cristiani copti pochi anni fa, hanno tenuto il nome di Gesù sulle labbra mentre un coltello recideva la loro gola, così i vostri antenati hanno patito l’esilio, la fame, le violenze sulle donne e sui bambini, le uccisioni e quanto altro di male è stato loro fatto, non smettendo di ripetere il nome di Gesù, quel nome legato alla storia dell’Armenia sin dal Battesimo del 301”.
Infine ha ricordato l’affidamento del mondo alla Divina Misericordia da parte di san Giovanni Paolo II: “Proprio quest’anno ricorre il ventesimo anniversario dell’affidamento, avvenuto il 17 agosto 2002, del mondo alla Divina Misericordia, fatto da san Giovanni Paolo II:
nel suo libro ‘Memoria ed identità’ egli ha molto riflettuto sul mistero del male che ha attraversato il secolo ventesimo, con i sistemi iniqui quali il nazionalsocialismo e il comunismo sovietico che hanno calpestato in nome di una fatua ideologia la dignità inviolabile dell’essere umano.
Il genocidio armeno è stato una triste anticipazione, passata sotto silenzio, dei drammi che si sarebbero consumanti qualche decennio dopo. Di fronte a questo abisso di male però san Giovanni Paolo II dice, Dio ha posto come argine il mistero della Divina Misericordia”.
Al termine della celebrazione hanno preso la parola gli ambasciatori di Armenia presso la Santa Sede e presso l’Italia ed erano presenti anche altri diplomatici, tra cui l’ambasciatore del Libano presso la Santa Sede
La città di Gerace, guidata dal Sindaco Giuseppe Pezzimenti, ha fortemente voluto celebrare l’iniziativa promossa dalla “Comunità Armena-Calabria e sostenuta dall’Unione dei Talenti Armeni d’Italia”, celebrando il 107 anniversario del “Genocidio del Popolo Armeno”.
Il Vice Sindaco di Gerace Rudi Lizzi, a seguito della commemorazione dell’eccidio subito dal Popolo Armeno, ha dichiarato: “Il rispetto della diversità e delle identità, la pace, il dialogo e la fratellanza fra popoli sono valori universali incarnati dal popolo calabrese e riconosciuti dalla Comunità di Gerace. Per questo motivo abbiamo esposto il Tricolore Armeno nella giornata a ricordo del 107 anniversario del “Genocidio del Popolo Armeno. La Città di Gerace rappresenta un baluardo della libertà umana e della dignità della persona secondo i principi e le disposizioni della Costituzione della Repubblica. La memoria storica, senza alcun pregiudizio ideologico, è la via sicura per sanare vecchie ferite e per incoraggiare e promuovere un saldo percorso di dialogo per la normalizzazione e la pacificazione delle relazioni fra il popolo turco e quello armeno”.
L’Assessore Salvatore Galluzzo, insieme agli altri Consiglieri Comunali presenti, ha evidenziato il rapporto solidale che lega la Calabria al popolo Armeno nel corso dei secoli, che è ben rappresentato da un ricco patrimonio culturale, linguistico, archeologico e monumentale presente nella Locride e nell’area Metropolitana reggina.
Il Vice Sindaco di Gerace Rudi Lizzi, che in qualità di Consigliere della Città Metropolitana di Reggio Calabria ha le deleghe in materia di Istruzione e Minoranze Linguistiche, lo scorso anno è stato promotore di due importanti mozioni di solidarietà e sostegno del Popolo Armeno, poi approvate dal Consiglio Metropolitano all’unanimità, che hanno riconosciuto il “Genocidio del popolo armeno”, avvenuto tra il 1915 e il 1917 a opera dell’Impero Ottomano, e formalmente la Repubblica armena dell’Artsakh.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-04-29 13:03:532022-04-30 17:04:56Gerace ha ricordato il 107 anniversario del “Genocidio del Popolo Armeno” (Rivieraweb 29.04.22)
In prima nazionale, debutta sabato 30 aprile alle ore 20.30, al Teatro Sociale di Como, il nuovo spettacolo di Giuseppe Di Bello intitolato Garò. Una storia armena, con la produzione di Anfiteatro – Progetto Piattaforma di UnoTeatro. Protagonista e solo sul palcoscenico sarà l’attore Stefano Panzeri. Lo spettacolo andrà in scena a pochi giorni di distanza dal 24 aprile, giornata dedicata alla commemorazione delle vittime del genocidio armeno del 1915, una serie di massacri da parte degli ottomani che causarono un milione e mezzo di morti. Garò racconta la storia del giovane Garabed Surmelian, della sua famiglia e della vita a Shevan, un piccolo villaggio di montagna dove tutto scorre ancora con i tempi dettati dalla natura e da riti antichi. Attraverso le parole di un Meddah, un narratore della tradizione, apparirà un affresco appassionato, curioso e rispettoso, che alterna momenti intimi emozionanti e profondi ad altri più leggeri e divertenti per raccontare la nascita, i riti di passaggio, i giochi e le feste, che porteranno gli spettatori ad entrare in contatto con alcuni dei “colori” di questa cultura straordinaria; ma pure con le ansie e le paure, perché sugli armeni di questo villaggio, come su quelli di tutti gli altri villaggi o città, incombe la folle minaccia di una giovane classe dirigente turca portatrice di un’ideologia nazionalista, che sfocerà nella pianificazione e nell’attuazione del più atroce e terribile dei crimini: il genocidio.
E quando il racconto volge al termine in senso tragico e tutto sembra ormai perduto, il Meddah toccherà ancora una volta i cuori con un’ultima storia che consentirà a tutti di tornare a sperare e a respirare.
«La mostruosità di quel genocidio non può e non deve essere solo sostanza della storia del popolo armeno, ma deve diventare parte della coscienza universale perché i morti non smetteranno mai di far sentire la loro voce. – ha raccontato il regista Pino Di Bello – Né dovremmo farlo noi, in loro ricordo, perché solo coltivando la memoria come antidoto, possiamo immaginare, per tutti coloro che verranno, un mondo senza fanatismi, intolleranze e razzismo».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-04-28 17:06:292022-04-30 17:08:22“Garò, una storia armena” è di scena al Teatro Sociale (Ciacomo 28.04.22)
Come ormai da alcuni anni, a Luino si terrà nel fine settimana una celebrazione per ricordare la tragedia del genocidio armeno.Sabato 30 aprile alle 18 nella Chiesa Prepositurale SS. Pietro e Paolo a Luino si terrà una messa in memoria dei martiri del genocidio armeno alla presenza del responsabile della Chiesa armena ortodossa d’Italia padre Tirayr Hakobyan.
Il popolo armeno fu il primo a convertirsi al cristianesimo nel III secolo ed è stato sempre protagonista con la sua cultura in diversi secoli. Nel 1915 gli Ottomani sterminarono 1.5 milioni su 2 milioni di armeni col primo genocidio del ‘900.
«È dovere di tutti ricordare – spiegano i promotori dell’iniziativa – In particolare di una comunità cristiana che vede suggellarsi in ciò un ecumenismo di sangue». Una tradizione che si rinnova e che nel giugno 2021 ha portato una delegazione di giovani armeni della comunità di Milano proprio a Luino per una giornata di gemellaggio molto parrtecipata e significativa.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-04-28 16:29:322022-04-28 16:31:08A Luino una messa per ricordare il genocidio del popolo armeno (Varese News 28.04.22)
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