Cerimonia commemorativa per il 107esimo anniversario del genocidio armeno (Padovaoggi 12.04.22)

Nel quadro storico del primo conflitto mondiale (1914-1918) si compie, nell’area dell’ex Impero Ottomano in Turchia, il genocidio del popolo armeno (1915-1923), il primo del XX secolo. Con esso il governo dei Giovani Turchi, che ha preso il potere nel 1908, attua l’eliminazione dell’etnia armena presente nell’area anatolica fin dal VII secolo a.C.
Gli storici stimano che persero la vita circa i 2/3 degli armeni dell’Impero Ottomano, quindi circa un milione cinquecentomila persone.

Medz Yegern – il Grande Male – è l’espressione con la quale gli Armeni nel mondo designano il massacro subito in Anatolia dal loro popolo, tra il 1915 e il 1916.

Volantino anniversario genocidio armeni

In occasione del 107° anniversario del genocidio, l’associazione Italiarmenia e il Comune di Padova organizzano una cerimonia commemorativa che quest’anno, vista l’attuale situazione di emergenza sanitaria, si svolge in forma ridotta.

Cerimonia commemorativa

Sabato 23 aprile, ore 10
Cortile di Palazzo Moroni, via VIII Febbraio

Deposizione di una corona di alloro, presso il bassorilievo in bronzo, a ricordo dei martiri del genocidio armeno.
Interventi di:

  • Sergio Giordani, sindaco di Padova;
  • Aram Giacomelli, rappresentante della Comunità Armena e dell’Associazione Italiarmenia.

Eventi collegati

  • Venerdì 8 aprile ore 17 – Sala degli Anziani di Palazzo Moroni
    Presentazione del libro di Sandra Fabbro Canzian “Il genocidio armeno. Dalle cause di ieri alle conseguenze di oggi” l’autrice ne discuterà con Pierpaolo Faggi e Nicoletta Prandoni;
  • Sabato 23 aprile ore 11 – Chiesa di S. Andrea
    Liturgia in rito armeno in memoria dei martiri del Genocidio degli Armeni officiata dai Padri della Congregazione Mechitarista dell’isola di San Lazzaro degli Armeni di Venezia;
  • Venerdì 6 maggio ore 17.30 – Musei Civici – Palazzo Zuckermann
    Inaugurazione della mostra “Armenia. Dipinti murali nelle chiese cristiane armene VII-XIII secolo”;
  • Venerdì 27 maggio ore 17 – Sala Paladin di Palazzo Moroni
    Conferenza “La conservazione del patrimonio artistico armeno” con Antonia Arslan saggista e scrittrice, Martina Corgnati storica dell’arte e docente di Storia dell’Arte Medievale presso l’Accademia di Brera di Milano, Arà Zarian architetto restauratore, Christine Lamoureux restauratrice.

Per informazioni

Info web

https://www.padovanet.it/evento/cerimonia-il-107%C2%B0-anniversario-del-genocidio-armeno

 

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Nagorno Karabakh, si torna a parlare di pace (Osservatorio Blacani e Caucaso 12.04.22)

Non è incoraggiante guardare il quadro del conflitto in Nagorno Karabakh: la crisi di Parukh non è finita, intorno alle alture del Daşbaşı vi sono ancora i soldati azeri, la cui comparsa ha innescato la crisi e le polemiche nei confronti dei peacekeeper russi. L’esercito azero sostiene che ha subito fuoco nemico ad Ağdam, con colpi provenienti quindi dal Karabakh ma anche che vi sarebbero stati colpi provenienti da Tavush, quindi lungo i confini di stato azero-armeni. Le controparti, quella armena e i secessionisti karabakhi smentiscono e parlano di provocazioni.

I canali diplomatici incaricati di risolvere la questione del Karabakh risentono della crisi intenzionale che ha il proprio epicentro nell’area post sovietica. Il gruppo di Minsk, a co-presidenza russa, francese e statunitense non si sta riunendo, e non ne è chiara la sorte. L’Azerbaijan l’ha già più volte etichettato come ormai inutile, mentre per l’Armenia e il Karabakh rimane lo strumento negoziale che dovrebbe portare a una soluzione politica.

Il protagonismo russo, in solitaria, non viene meno, ma è chiaro che Mosca è in altre faccende affaccendata, con viva apprensione dei secessionisti karabakhi.

In un momento in cui sembrerebbe impossibile portare avanti una qualche negoziazione intorno al Nagorno Karabakh, in cui i venti di guerra si fanno sempre più minacciosi, qualcosa si muove però in senso contrario, verso la pace.

Eppur si muove

Pace è una parola che suona veramente grossa: le distanze sulla possibile soluzione del conflitto che ha ormai più di 30 anni sembrano incolmabili. Per l’Azerbaijan il Karabakh non esiste, per gli armeni non può esistere sotto la sovranità di Baku. Ma forse lo stato di guerra che permea l’area post sovietica ha messo una nuova urgenza. Sono suonati tutti gli allarmi: in un’area di grande instabilità e imprevedibilità come è adesso quella dell’ex URSS bisogna fare presto, non si può più perdere una sola occasione.

E l’occasione l’ha offerta Bruxelles con il seguito del primo incontro trilaterale del dicembre 2021. C’era stato poi un incontro con le parti in video conferenza con il presidente Emmanuel Macron e il 6 aprile Charles Michel ha di nuovo ospitato il presidente azero Ilham Aliyev e quello armeno Nikol Pashinyan. L’incontro è stato lungamente e approfonditamente preparato e si è poi articolato in due momenti: prima i bilaterali fra il Presidente del Consiglio europeo Michel e le due controparti, poi il trilaterale che è durato più di 4 ore.

Prima dell’incontro, ormai definito Formato Bruxelles o Piattaforma Bruxelles, tra le varie speculazioni qualche voce aveva menzionato l’ipotesi che si sarebbe parlato di accordo di pace, ma serpeggiava un certo scetticismo. L’ultimo scontro a fuoco è recente, gli ostacoli molti, i nodi irrisolti di più.

Invece è prevalso un atteggiamento costruttivo, e il bilancio dell’incontro è stato alla fine positivo. Baku e Yerevan non hanno sempre avuto la stessa percezione del ruolo di Bruxelles rispetto al Karabakh, ma – appunto – sono tempi difficili e si cerca un mediatore percepito come disinteressato e che fornisca delle garanzie sul trattamento degli interessi nazionali delle parti. E Bruxelles pare aver conquistato questa fiducia.

Il comunicato stampa di Michel  a conclusione dell’incontro segnala passi avanti in 4 aspetti fondamentali: le questioni umanitarie, la delimitazione dei confini, la riapertura di tutte le forme di comunicazione, l’avvio dei lavori per un accordo di pace.

Per quanto riguarda la questione umanitaria, rimangono sospese le sorti di prigionieri armeni, e delle salme dei caduti, inclusi quelli della prima guerra del Karabakh, con un totale di quasi 4000 combattenti e civili azeri mai tornati a casa, e di circa 1000 armeni. C’è poi la questione delle mine, che ancora infestano i territori e per cui occorre collaborare, con trasparenza sulle mappe dei campi minati.

Entro fine mese dovrebbe nascere la commissione bilaterale per la delimitazione e la demarcazione del confine azero-armeno, che è stata causa di tensioni e scontri nell’ultimo anno e mezzo. Un nuovo impeto è stato dato anche ai punti delle dichiarazioni precedenti sulla riapertura delle vie di comunicazione via gomma e rotaia che dovrebbero sbloccare tutta la regione caucasica.

Ma soprattutto: i ministeri degli Esteri di Armenia e Azerbaijan hanno ricevuto l’incarico di cominciare a elaborare un Trattato di Pace che dovrebbe essere in grado di ricomprendere e risolvere tutte le questioni che hanno ammorbato le relazioni fra i due stati e i territori contesi per decenni. Uno sforzo diplomatico non indifferente e su cui non grava una data precisa, ma già il fatto che il processo sia stato messo in moto è un cambio di marcia rispetto a quello che si è visto negli ultimi anni.

Altrove, nel negoziato

Russia è la parola assente. Sono state nominate dalle parti le dichiarazioni congiunte che su iniziativa di Mosca hanno portato al cessate il fuoco, all’impegno di riaprire le comunicazioni, a risolvere le questioni transfrontaliere, ma il nome di Vladimir Putin non è mai stato fatto.

Che la Russia non sia disposta a essere accantonata è ben chiaro. Il Cremlino ha commentato positivamente l’esito dell’incontro, sottolineando di aspettarsi un processo estremamente lento per arrivare a una pace. Inoltre il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan l’8 aprile era già a Mosca a incontrare il suo omologo Sergey Lavrov, il quale ha sottolineato il ruolo della Russia nella soluzione del conflitto ed ha chiesto che venga chiarito lo scontro a fuoco del 24 marzo.

Mentre Mirzoyan era a Mosca, Aliyev e il suo ministro degli Esteri Jeyhun Bayramov sentivano i loro omologhi turchi. C’è infatti un altro grande capitolo da sbloccare, e non è certo indifferente alle sorti delle relazioni azero-armene. Se si stabilizzano i rapporti Baku-Yerevan, anche le relazioni bilaterali armeno-turche possono entrare in una nuova fase distensiva.

Insomma vi sono molte aspettative rispetto a quello che può succedere di positivo nel decorso di questo complicato conflitto, ma anche paure e strumentalizzazioni. Nikol Pashinyan arriva al tavolo negoziale da sconfitto e con una opposizione interna che cerca di usare la negoziazione per il Karabakh contro di lui: ogni concessione è pesante come un macigno. I karabakhi sono in trepidazione: si sentono minacciati da quanto succede nel mondo dei secessionisti ex sovietici, fra guerre, annessioni, e scelte russe su cui non si ha il controllo.

Sono tanti i punti nevralgici di questa negoziazione, e molti sono altrove rispetto a Bruxelles. Ma almeno qualcosa si è mosso e si è tornato a parlare concretamente di pace.

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Chi ci guadagna dal nuovo centro di ricerche di Nvidia in Armenia (Formiche.net 12.04.22)

Nvidia, uno dei colossi della tecnologia che progetta schede grafiche e processori, apre a Yerevan lì dove è aspra la competizione tecnologica tra Stati Uniti e Cina

C’è anche la nuova pax del Caucaso dietro la decisione del player americano Nvidia di aprire un nuovo centro ricerche in Armenia. Si tratta di un’area altamente sensibile per via della fortissima competizione tecnologica esistente tra Washington e Pechino, oltre al fatto che l’intero comparto della banda larga è decisivo per quelle economie che stanno provando a rialzare la testa dopo il biennio pandemico.

Nvidia

La decisione nasce nel 2019, allorquando il primo ministro Nikol Pashinyan visitò la sede di Nvidia nel cuore della Silicon Valley. Il gigante della tecnologia ha un fatturato di 27 miliardi di dollari e oltre 20.000 dipendenti in tutto il mondo: a Yerevan opererà per il tramite di Rev Lebaredian, vicepresidente di Omniverse e del settore simulazione. Non solo intelligenza artificiale, dunque, ma anche chip per automobili, comparto in cui Nvidia è leader come dimostra la penetrazione nell’industria automobilistica tedesca, dove Mercedes-Benz dovrà condividere ogni euro speso per la guida autonoma proprio con Nvidia.

Più in generale il colosso si occupa di unità di elaborazione grafica (GPU) per i mercati dei giochi e di unità system on a chip (SoC) per il mercato automobilistico e del mobile computing.

Perché l’Armenia?

Il conflitto in Nagorno-Karabah non si è smaterializzato come per magia, ma sta vivendo una fase di pausa della contrapposizione più aspra, anche per via della crisi numero uno che risponde al nome di Ucraina. La cosiddetta pax caucasica sta portando, quindi, ad una serie di riequilibri a catena, di cui la prima conseguenza sta proprio in novità di carattere commerciale/geopolitico. In quell’area il tema del 5G non è secondario, visto e considerato che la presenza di soggetti cinesi e russi è oggettiva. Viva-MTS, una delle principali società di telefonia mobile in Armenia, è di proprietà della russa MTS. Ma il colosso Nokia, principale avversario di Huawei nella partita per il 5G, è attivo in Armenia grazie ad una partnership dello scorso anno, quando ha raggiunto un accordo con Telecom Armenia relativo alla fornitura di banda larga.

Tavolo Ue

Pochi giorni fa il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan si sono incontrati, sotto gli auspici del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, a margine del Consiglio europeo di Bruxelles, dove ovviamente mancava la Russia. Quest’ultima è da tre decenni soggetto non spettatore tra i due poli, ma presente in moltissime dinamiche. All’indomani dell’invasione in Ucraina l’intero spettro geopolitico caucasico potrebbe mutare rapidamente anche per la nuova strategia decisa da Ue e Turchia. Ankara in precedenza ha appoggiato l’Azerbaigian, mentre da alcuni mesi Erdogan punta a normalizzare i legami con l’Armenia.

Normalizzazione

L’accordo di cessate il fuoco del 2020 merita una rivisitazione, a maggior ragione dopo che il gruppo Osce di Minsk ha di fatto interrotto le sue attività: lo dimostra la decisione dei due Paesi di costituire una commissione di frontiera congiunta che delineerà il confine tra i due Paesi e garantirà una situazione di sicurezza stabile lungo il confine. Normalizzare le relazioni tra i due soggetti presenta anche implicazioni di carattere energetico e geopolitico, passaggio che è propedeutico all’ingresso di nuovi soggetti come Nvidia, che offrono al contempo la possibilità di giocare la partita del 5G fino in fondo, in un settore dove le attenzioni cinesi sono sempre maggiori.

Inoltre i Paesi del Caucaso meridionale stanno iniziando a ragionare sul dopo guerra, sia in base alle conseguenze dirette che avranno dalle sanzioni alla Russia, sia in base al nuovo ruolo che Mosca si è ritagliata dopo aver invaso l’Ucraina.

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Dall’Armenia all’Italia (e alla Svizzera), un viaggio fatto di grinta e passione per il gioco più bello che c’è: il calcio (Varesenoi 12.04.22)

Il 19enne calciatore armeno Erik Hovakimyan si è trasferito in Italia a 10 anni insieme ai suoi genitori e da allora coltiva il suo sogno a forma di pallone, che ora prosegue in territorio elvetico. Questa è la sua storia

Dall’Armenia all’Italia (e alla Svizzera), un viaggio fatto di grinta e passione per il gioco più bello che c’è: il calcio

Erik Hovakimyan è nato 19 anni fa in Armenia, dove ha iniziato fin da bambino a giocare a calcio nel vivaio del Pyunik FC. A dieci anni si trasferisce insieme alla famiglia in Italia, a Perugia, ma vi rimane poco tempo perché i genitori, per motivi di lavoro, devono spostarsi a Varese, dove tuttora risiedono.

Il desiderio di giocare a pallone lo porta in Svizzera, dove si distingue nei vari settori giovanili grazie al suo scatto ed un’innata propensione al dribbling: gli inizi al TossWinterthur (dove chiude da capocannoniere), poi il Locarno e il Rapid Lugano.

Il ritorno in Italia avviene all’Accademia Milano, dove per due anni è seguito con attenzione da un grande maestro di calcio, l’ex granata Patrizio Sala. Nel frattempo viene selezionato per il reality-show di SportItalia e Afm E20, “La Squadra”, incontrando squadre selezionate del Brescia, dell’Atalanta, del Genoa. Un’esperienza straordinaria, a cui segue l’approdo in uno dei settori giovanili più importanti del nostro panorama calcisticoè quello rossoblù della Varesina. Qui Erik ha modo di distinguersi nuovamente, giocando due campionati Allievi nella squadra guidata da mister Giacomo Tenti.

La Svizzera chiama ancora e per Erik il calcio è un viaggio da vivere fino in fondo, qualsiasi sia la destinazione. Che è nuovamente la Svizzera, in particolare il Castello guidato da Oscar Braendli.

Raggiunta la maggior età, che lo porterà anche ad impegnarsi nel lavoro oltreché nello sport, passa al Riva San Vitale, una squadra del Ticino con tradizione, allenata da Stefano Lippman, dove si distingue grazie alle sue performance di velocità, tiro e visione di gioco. Qualità che, l’anno scorso, hanno per esempio attirato le attenzioni dell’Empoli Calcio nella persona del direttore tecnico del vivaio Simone Bombardieri. Da qui è nato anche un contatto con un giornalista e commentatore sportivo armeno, Senik Poghosyan, che ha realizzato un’intervista e un video – mandato in onda sulla tv armena nel programma Prof Football – per raccontare in patria le sue capacità.

Cosa riserverà il futuro è presto per saperlo. Quel che è certo è che il viaggio di Erik, fatto di grinta e passione, prosegue.

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«Armenia, terra senza pace a est dell’alba», incontro e mostra a cura di Centro Peirone e Fondazione Donat-Cattin (Diocesi Torino 22.04.22)

 

Venerdì 22 aprile 2022 ore 17.30, al Polo del Novecento-Palazzo San Celso, in corso Valdocco 4/A a Torino, è in programma l’incontro «Armenia, terra senza pace a est dell’alba».

L’Armenia è l’unica regione del vicino Oriente in cui il cristianesimo ha da millenni una presenza assolutamente preponderante. Questa condizione l‘ha esposta storicamente a un difficile rapporto con le aree confinanti a maggioranza musulmana. Ai problemi di convivenza religiosa e culturale si sono aggiunti quelli di natura geopolitica, come nella recente crisi nel Nagorno Karabakh.

L’evento, a cura del Centro Federico Peirone e della Fondazione Carlo Donat-Cattin, vuole mettere in luce non solo le criticità ma anche esplorare la storia, la cultura e le prospettive di una possibile convivenza pacifica con i vicini di quello che può essere considerato un avamposto europeo verso l’Asia caucasica.

Al termine dell’incontro, alle 19.30, viene inaugurata la mostra fotografica «Armenia oggi, fra passato e futuro» con la presentazione del curatore Garen Kokcijan. La mostra sarà visitabile dal 22 aprile al 15 maggio 2022 con il seguente orario 10­18.

Informazioni: segreteria@fondazionedonatcattin.it

Prenotazioni: reception@polodel900.it o +39 011 0883200

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Erevan e lo Stato unitario con Mosca (Asianews 08.04.22)

Ci sarebbe apertura del premier Pašinyan. Riunirebbe Russia, Armenia, Bielorussia e la parte d’Ucraina occupata dai russi. Commentatore armeno: il popolo si opporrebbe. Avviati tentativi per la ripresa dei negoziati con l’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh.

Mosca (AsiaNews) – Negli ultimi colloqui tra il premier armeno Nikol Pašinyan e il presidente russo Vladimir Putin sembra sia stato accennato, anche senza dichiarazioni ufficiali, alla possibilità che l’Armenia entri a far parte dello “Stato unitario”. Dovrebbe riunire alla Russia anche la Bielorussia e quella parte dell’Ucraina che rimarrà in mano al Cremlino dopo la fine della guerra. L’argomento sta scatenando un’accesa discussione nel Paese, che attende l’aiuto dei russi per contenere l’aggressività dell’Azerbaigian sui territori del Nagorno Karabakh, ma non ha intenzione di rinunciare alla propria indipendenza.

Il noto commentatore politico armeno Armen Bagdasaryan è intervenuto a una trasmissione di Radio Azatutyun per commentare l’argomento, osservando che “ancora qualche anno fa il nostro Paese era un protagonista importante nella regione caucasica, con un esercito regolare e un’economia in ordine, controllando de facto 42mila chilometri quadrati di territorio. Oggi invece tutto questo si è perduto, o quanto meno si è molto ridotto… l’unica carta che ancora abbiamo è il riconoscimento dell’Onu come Stato autonomo, cerchiamo di non perdere anche questa”.

Bagdasaryan esprime l’auspicio che anche in caso di forti pressioni da Mosca il primo ministro “abbia il coraggio di dire di no”, lasciando eventualmente che la questione venga risolta da un referendum popolare e che “la nostra società sia compatta nel difendere fino in fondo la nostra indipendenza”. Altrimenti, egli conclude, “sarà il popolo a dire di no a Pašinyan”.

Un problema di relazioni diplomatiche rende la questione molto spinosa, proprio mentre Armenia e Azerbaigian hanno dichiarato di essere pronte a riprendere le trattative di pace, che dovrebbero avvenire sotto l’egida del “Gruppo di Minsk”, la struttura dell’Osce a cui è affidata la gestione dei negoziati sul Karabakh. I co-presidenti del gruppo sono la Russia, gli Usa e la Francia, ma le vicende belliche in Ucraina rendono praticamente impossibile lo svolgimento delle sue funzioni, come ha spiegato ai giornalisti l’ambasciatore della Polonia a Erevan, Pavel Celnjak.

Il Segretariato generale dell’Osce a Vienna, guidato dalla tedesca Helga Maria Schmid, sta cercando di ricostruire la collaborazione tra i Paesi coinvolti, visto che Francia e Usa hanno cessato le relazioni con la Russia per l’invasione in Ucraina, rivolgendosi anche agli altri Paesi, tra cui la Polonia che ha offerto la sua mediazione “nei limiti del possibile”. Il ministro polacco degli esteri Zbigniew Rau aveva radunato i suoi omologhi dei tre Paesi co-presidenti a Varsavia poco prima dell’inizio del conflitto ucraino, e ha poi visitato sia Erevan che Baku. Il primo aprile Rau ha rilasciato a Erevan una dichiarazione comune con il ministro locale Ararat Mirzoyan, auspicando che le vicende dell’Ucraina non impediscano la soluzione del conflitto tra Armenia e Azerbaigian.

Nel frattempo l’Armenia subisce a sua volta le pesanti conseguenze economiche della guerra in Ucraina, con aumenti dei prezzi dei generi di prima necessità, arrivati a oltre il 12% dall’inizio dell’anno. Il Paese aveva già subito forti rincari, oltre a carenze alimentari ed energetiche dopo la guerra del 2020, e stava cercando con fatica di stabilizzare la situazione con operazioni finanziare guidate dalla Banca centrale, l’ultima delle quali lo scorso 15 marzo.

La crisi economica, diplomatica e militare rende sempre più fragile la posizione del premier Pašinyan, incalzato dalle opposizioni nonostante il consenso popolare che lo ha portato a ottenere un secondo mandato alle elezioni anticipate dello scorso anno. L’ombra minacciosa di Mosca si staglia dall’Ucraina fino al Caucaso.

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Nagorno-Karabakh, Putin sente Pashinyan: “Attuare accordi con l’Azerbaigian”

CINQUE DATE PER COMPRENDERE IL CONFLITTO TRA ARMENIA E AZERBAIGIAN (Oggiurnal 07.04.22)

L’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh è un’enclave a maggioranza armena situata nella Repubblica dell’Azerbaigian. Dagli anni ’20 e dal suo attaccamento dell’Unione Sovietica all’Azerbaigian, questo territorio è stato al centro di un conflitto persistente tra Yerevan e Baku.

► Il 4 luglio 1921, l’URSS annette il Nagorno-Karabakh all’Azerbaigian

L’URSS prese il controllo dell’Azerbaigian nell’aprile 1920, poi dell’Armenia a novembre. Il Nagorno-Karabakh fu annesso all’Azerbaigian il 4 luglio 1921, sebbene il territorio fosse a quel tempo popolato dal 94% di armeni, secondo il lavoro della storica Anahide Ter Minassian, 1918-1920: La Repubblica d’Armenia.

→ RILEGGI. L’Armenia annuncia la tregua con l’Azerbaigian

Dal 1923, il Nagorno-Karabakh divenne un’oblast (regione) autonoma. Tuttavia, rimane parte dell’Azerbaigian sovietico. Secondo lo storico Michel Marian, intervistato dal sito Historia, queste decisioni sono legate a calcoli politici di Joseph Stalin, che voleva particolarmente avvicinarsi alla Turchia, vicina agli azeri.

► Il 20 febbraio 1988, il Nagorno-Karabakh ruppe con l’Azerbaigian sovietico

Il Nagorno-Karabakh approfittò della perestrojka, un periodo di apertura politica in URSS, per proclamarsi Repubblica socialista sovietica nel febbraio 1988. Non si trattava di una completa indipendenza, poiché la regione aveva accettato di rimanere sotto l’ovile di Mosca, ma di un tentativo per tagliare i legami con l’Azerbaigian.

Baku chiede qualche mese dopo, a giugno, il ritorno del Nagorno-Karabakh nel suo territorio. Nel Paese scoppia la violenza. Il pogrom anti-armeno di Sumgaït ha provocato in particolare 32 vittime civili, secondo i dati forniti dalle autorità sovietiche e oltre 200 secondo fonti armene.

Vedi anche:  Il Marocco riapre il suo spazio aereo dopo oltre due mesi di chiusura

► Il 26 novembre 1991 scoppiò la prima guerra

Nel novembre 1991, quando l’Armenia e l’Azerbaigian ottennero la loro indipendenza dall’URSS, il Parlamento di Baku abolì lo status di autonomia dell’oblast del Nagorno-Karabakh. La maggior parte della popolazione armena della regione dichiara la propria indipendenza tramite referendum come Repubblica del Nagorno-Karabakh.

→ PODCAST. “Guerra in Nagorno-Karabakh, il racconto di una foto simbolica”

Combattimenti su larga scala hanno avuto luogo tra l’Armenia e l’Azerbaigian dalla fine dell’inverno 1992. Quando la guerra finì nel 1994, Yerevan controllava gran parte dell’enclave del Nagorno-Karabakh e solo sette distretti a maggioranza azera al di fuori del territorio storicamente armeno, ovvero il 9% del territorio totale dell’Azerbaigian. Il cessate il fuoco, orchestrato dai russi, interviene nel maggio 1994.

Il periodo successivo, tra il 1994 e il 2020, è stato caratterizzato da numerosi scontri tra i due Paesi. Il Nagorno-Karabakh mantiene la finzione della sua indipendenza ma in realtà beneficia del costante sostegno della Repubblica di Armenia. Nell’aprile 2016, i combattimenti con l’Azerbaigian hanno causato 350 morti, secondo il Dipartimento di Stato americano, senza spostare le linee.

Vedi anche:  In Polonia parte il colossale progetto del muro anti-migranti

► Il 27 settembre 2020 l’Azerbaigian contrattacca

Nel settembre 2020, dopo diversi mesi di tensione, l’Azerbaigian ha lanciato diversi importanti assalti di terra contro il Nagorno-Karabakh. Grazie al supporto della Turchia, Baku prende rapidamente il sopravvento.

Il 9 novembre 2020 il primo ministro armeno Nikol Pashinian accetta di firmare l’accordo per la fine delle ostilità sotto l’egida della Russia. L’Azerbaigian mantiene i territori conquistati (compresa parte del Nagorno-Karabakh) e recupera tutti i sette distretti a maggioranza azera controllati dall’Armenia dal 1994. Yerevan conserva il diritto di accesso al Nagorno-Karabakh a livello del corridoio di Lachin.

► Dal 10 novembre 2020 una situazione tesa

Un conflitto di confine è ancora in corso dalla firma degli accordi del 10 novembre 2020. Il 12 maggio 2021 i soldati azeri si sono schierati in Armenia, sequestrando 41 chilometri quadrati del territorio di Yerevan. A luglio si sono verificati scontri che hanno ucciso decine di persone.

Poiché la guerra in Ucraina pone serie minacce alla sicurezza della regione, l’8 marzo l’Armenia ha accusato l’Azerbaigian di aver interrotto la fornitura di gas al Nagorno-Karabakh. Il 24 marzo, le forze di Baku hanno occupato anche il villaggio di Farukh.

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Armenia-Azerbaigian, Michel: “Ue approfondirà cooperazione per garantire stabilità Caucaso” (Varie 07.04.22)

L’Ue intende approfondire la cooperazione con l’Armenia e l’Azerbaigian per lavorare a stretto contatto per superare le tensioni e favorire la stabilità e la pace nel Caucaso meridionale così che possano beneficiarne tutte le persone che vivono nella regione. Sono le parole del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, al termine del vertice trilaterale con il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan. Il presidente Michel ha sottolineato “l’importanza dei gesti umanitari di entrambe le parti per promuovere la fiducia e la convivenza pacifica” e “ha sottolineato la necessità di una risoluzione completa e rapida di tutte le questioni umanitarie in sospeso, compreso il rilascio dei detenuti rimasti e l’affronto esauriente della questione delle persone scomparse, e ha affermato che l’Ue è pronta a sostenere tale sforzo”. L’Unione europea, si legge nella dichiarazione, “continuerà altresì a sostenere le misure di rafforzamento della fiducia tra l’Azerbaigian e l’Armenia nonché gli sforzi umanitari di sminamento, anche continuando a fornire consulenza di esperti e rafforzando l’assistenza finanziaria e l’assistenza alle popolazioni colpite dal conflitto, la riabilitazione e la ricostruzione”.

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Armenia-Azerbaigian: a Bruxelles incontro trilaterale con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel per arrivare agli accordi di pace (Reportdifesa 07.04.22)


Armenia e Azerbaigian verso colloqui pace (Laregione.ch 07.04.22)


Incontro trilaterale a Brussel tra Azerbajgian, Armenia e Unione Europea (Korazym 07.04.22)


Nagorno-Karabakh: Cremlino, ‘progressi positivi’ (Ansa 07.04.22)

Tv e giornali e politici e Vaticano e umanitaristi: gli Armeni sono decapitati dai vostri nuovi “amici” (NL Giulio Meotti 06.04.22)

L’Italia a Baku per il gas. Al governo nessuno fiata sulla “Bucha armena”, civili e soldati Armeni fatti a pezzi dai soldati Azeri, tutto ripreso in video che nessuno ha avuto il coraggio di mostrare

“Sono lieto di annunciare che oggi gettiamo le basi per un ulteriore rafforzamento della cooperazione fra Italia e Azerbaijan, che auspico conduca a un ulteriore consolidamento del nostro partenariato economico e commerciale”. Lo ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in visita a Baku (l’Azerbaijan ha anche annunciato l’apertura di “centri culturali azeri” in Italia). 10 miliardi: tanto vale l’interscambio fra Azerbaijan e Italia. Di Maio ha anche siglato la nascita di una università italo-azera a Baku. Poi il nostro capo della diplomazia è intervenuto su Bucha: “Crimini di guerra, la Corte penale internazionale li punirà”. In attesa che si faccia luce su quanto successo in questa piccola città dell’Ucraina, l’indignazione è d’obbligo. Ma gli Armeni decapitati non hanno meritato un secondo e una riga sulle nostre tv e giornali per aver subito lo stesso. Paolo Mieli sul Corriere della Sera di oggi critica il presidente ucraino Zelensky per aver evocato un “genocidio”. Non so se sia un termine adatto, ma so che c’è un popolo, quello Armeno, che un genocidio lo ha davvero subito, il primo del Novecento, e che continua a subire nell’indifferenza europea. Ma se ad esempio il presidente francese Emmanuel Macron il 9 marzo annunciava un “sostegno incrollabile all’Armenia”, nessuna alta carica italiana ha mai fatto menzione del piccolo stato cristiano nel Caucaso.

Anche senza evocare la sproporzione di perdite militari (1.300 soldati ucraini caduti su 40 milioni di abitanti contro 3.800 soldati armeni caduti su 2.9 milioni di abitanti), restiamo all’orrore per i civili. Mentre l’Italia negoziava a Baku, l’Armenia diffondeva un rapporto: “Ci sono ancora 187 soldati armeni e 21 civili armeni dispersi, mentre l’Azerbaigian tiene ancora 38 armeni prigionieri di guerra, tre dei quali civili”. Sappiamo anche che i soldati azeri hanno ucciso 19 soldati e civili armeni dopo la fine delle ostilità, quando erano loro prigionieri, protetti dalla Convenzione di Ginevra. Abbiamo anche i nomi dei morti ammazzati.

Eppure, tv e giornali potevano vedere tutti i video degli anziani armeni decapitati dalle forze azere nel Nagorno-Karabakh. Decapitati da uomini in uniforme delle forze azere, non bande o miliziani no, ma dall’esercito regolare. “È così che ci vendichiamo, tagliando le teste”, dice un soldato azero fuori campo. Genadi Petrosyan, 69 anni, non voleva lasciare il villaggio mentre le forze azere si avvicinavano. Come Yuri Asryan, 82enne che si era rifiutato di lasciare il villaggio. Nessuno conosce il nome di Victoria Gevorkyan, una bambina armena di 9 anni prima vittima della seconda guerra lanciata dall’Azerbaijan.

Abbiamo orrore dei mercenari usati da Vladimir Putin nella guerra in Ucraina, ma non dei mercenari di Recep Tayip Erdogan nella stessa guerra. Gli stessi mercenari che turchi e azeri avevano chiamato per uccidere gli armeni nel Karabakh, come ha appena raccontato Armenpress: “La Turchia ha inviato 2.000 militanti siriani rimasti nel Nagorno Karabakh dopo aver combattuto per l’Azerbaigian contro le forze armene in Ucraina per combattere contro la Russia”.

In una pagina sono raccolti video atroci realizzati dagli stessi soldati azeri contro gli armeni, civili e militari: un giovane armeno decapitato e i soldati azeri che ridono, esultano e celebrano mentre uno di loro usa un coltellaccio da cucina per tagliargli la gola; un anziano armeno che implora per la vita, mentre un soldato azero lo tiene e gli taglia la gola; soldati azeri che trascinano civili armeni fuori dalle case sul marciapiede e poi li uccidono; soldati azeri che mutilano i soldati armeni, tagliando loro parti del corpo; soldati azeri che bruciano il corpo di un armeno. E così via, di orrore in orrore.

Impossibile dimenticare che quando nel 1988 in Armenia un terremoto fece 25.000 morti, in Azerbaijan ci furono feste e danze di giubilo per ringraziare Allah di aver colpito i vicini “infedeli”.

Una delle vittime armene dei soldati azeri si chiamava Alvard Tovmasyan, disabile che soffriva di malattie mentali. I parenti hanno identificato il suo corpo nel cortile della sua casa a Karin Tak, un villaggio dell’Artsakh. Suo fratello Samvel l’ha riconosciuta dai vestiti. Piedi, mani e orecchie di Tomasyan erano stati tagliati.

Il presidente azero decora Ramil Safarov, l’ufficiale azero che a Budapest a un corso di inglese della Nato ha decapitato Gurgen Margaryan, un altro partecipante, mentre dormiva. Il movente? “Margaryan era armeno”.

Le Monde rivela di un’altra dozzina di video che mostrano scene che vanno da calci in faccia a civili armeni coscienti ad accoltellamenti in faccia a cadaveri con l’uniforme armena. La BBC ha il video di altri due civili armeni uccisi a sangue freddo. Come Valera Khalapyan e sua moglie Razmela, assassinati nella loro casa dai soldati azeri, che poi hanno tagliato loro le orecchie. Uccisi come “cani” (il dittatore azero Alyev così chiama gli armeni) dai soldati azeri non in tempo di guerra, ma di “pace”.

Eppure, il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, Cardinale Gianfranco Ravasi, ha stretto un accordo con la Fondazione Aliev. Il Segretario di Stato della Santa Sede, Cardinale Pietro Parolin, aveva già consegnato al primo Vicepresidente della Repubblica dell’Azerbaigian, Mehriban Alieva, che è anche la moglie del dittatore azero, il nastro con la Gran Croce dell’Ordine di Pio IX, la più alta onorificenza ecclesiastica a un non cattolico. Nel 2013, Ravasi era andato a Baku per organizzare una mostra di arte aver nei Musei Vaticani.

Ieri il ministro degli Esteri dell’Ucraina ha chiesto all’Unesco di espellere la Russia perché in questa guerra una ventina di chiese sono state colpite e danneggiate. Richiesta che è molto facile che venga accolta. Peccato, ancora una volta, per il doppio standard. “Conoscete la chiesa di Santa Maria a Jibrail? È improbabile che l’abbiate visitata in passato, ma non potrete più farlo: è stata completamente rasa al suolo dagli azeri”, scrive su La Croix Nathalie Loiseau, ex ministro degli Affari europei francese. “Siete mai stati a Shushi? Se i vostri passi vi portano lì, non troverete più la Chiesa Verde, profanata e distrutta, come la Cattedrale di San Salvatore che è stata bombardata. A Mataghis, la chiesa di San Yeghishe è stata vandalizzata. Ogni giorno, lapidi, statue e cimiteri armeni vengono demoliti”. Loiseau ha lanciato un appello: “Faccio appello ai presidenti del ‘gruppo di Minsk’, Francia, Stati Uniti e Russia, affinché intervengano con l’Azerbaigian. Faccio appello all’Unione europea affinché ottenga da Baku chiare assicurazioni che il patrimonio culturale armeno sarà preservato. Faccio appello all’Unesco…Non lasciamo che le chiese armene siano distrutte”. Se non fosse che l’Azerbaigian ha ipotecato l’Unesco. Nel 2004 alla vicepresidente dell’Azerbaigian Mehriban Aliyeva (e moglie del presidente Ilham Aliyev) è stato dato il titolo di Ambasciatore di buona volontà dell’Unesco, una posizione che organizzazioni come il Centro europeo per la libertà di stampa e dei media hanno chiesto l’Unesco di ritirare. L’Unesco, a corto di denaro, quando ha perso il 22 per cento del suo budget l’Azerbaigian gli ha dato un contributo di 5 milioni di dollari. Nessun paese europeo, mentre gli Azeri distruggevano le chiese armene, si sono mai sognati di chiedere di cacciarli dall’Unesco.

E la pulizia etnica degli Armeni, la distruzione delle loro chiese e cimiteri quindi della loro memoria, le stragi di civili inermi, hanno avuto il risultato sperato: l’Armenia potrebbe essere sul punto di cedere quel che resta del Karabakh, incapace di difenderlo dall’Azerbaijan.

Non una sola trasmissione televisiva in 44 giorni di guerra contro gli armeni. Non un solo fotogramma apparso sui grandi quotidiani. Non un solo appello della società civile, degli scrittori, dei politici, degli intellettuali, di tutti quelli che si abbeverano ai report di Amnesty International. Eppure ce ne erano. “Ci sono voluti quattro giorni per bandire la Russia dalle principali competizioni sportive, mentre i leader occidentali hanno assistito con gioia al campionato europeo a Baku, quando centinaia di prigionieri di guerra armeni erano ancora detenuti illegalmente e spesso torturati”, scrive questa settimana l’Armenian Spectator. Un doppio standard che si spiega forse con il fatto che “l’Armenia è un paese di 3 milioni di abitanti e ha un Pil simile al Madagascar, di contro l’Azerbaijan è uno dei principali fornitori di idrocarburi in Europa”.

Da qui la totale impunità denunciata da Simon Maghakyan su Time Magazine sempre di questa settimana: “Aliyev ha completato la cancellazione di 28.000 monumenti armeni medievali a Nakhichevan, che avrebbero dovuto essere protetti dall’Unesco ma che secondo Aliyev non sono mai esistiti. Ha promosso un ufficiale azero che aveva ucciso il suo compagno di classe armeno addormentato durante un addestramento della Nato in Ungheria. Akram Aylisli, un tempo l’autore più venerato dell’Azerbaigian, ora vive agli arresti domiciliari per aver scritto un romanzo che commemora l’antichità armena del suo luogo di nascita. I cimiteri armeni recentemente occupati dall’Azerbaigian sono demoliti. Lo scorso marzo, quando il giornalista italiano Claudio Locatelli ha intervistato un soldato azero volontario in Ucraina, quello che Aliyev chiama ‘il modello azero di multiculturalismo’ è stato in piena mostra. ‘Siamo tutti fratelli: musulmani, ebrei, cristiani’, si vantava il soldato. Ma quando gli è stato chiesto degli armeni, ha detto ‘sono peggio degli animali’. Ma tale politica richiede una tacita approvazione internazionale sotto forma di un silenzio quasi universale”.

E quel silenzio glielo abbiamo garantito a dovere. Io invece non sono disposto, in nome della guerra politica, morale ed economica alla Russia, a lasciare che il nostro silenzio, le nostre complicità e le nostre collusioni morali ed economiche ci facciano accettare la guerra di annientamento e di logoramento di 100 milioni di turchi e azeri con cui stanno cancellando uno dei due piccoli paesi che mi stanno a cuore (oltre a Israele): la piccola Armenia. Un paese, come l’Ucraina, che è stato terra di confine tra civiltà diverse, fra alterne vicende e aspri conflitti e che dovettero spesso protettorati, invasioni e devastazioni.

I “massacri hamidiani” di Armeni

I “massacri hamidiani” contro gli armeni iniziarono alla fine del 1894 e si protrassero fino all’estate del 1896. Il sultano Abdul Hamid decise di dare al problema armeno una “soluzione finale”. Un testimone oculare, l’ambasciatore Alberto Pansa, ci ha lasciato una descrizione terrificante: “Gli armeni non si difendono: per le strade quando si trovano davanti al turco si buttano in ginocchio: queste bande armate di un grosso bastone con una punta ferrata con la quale colpiscono alla testa l’armeno che cade insanguinato, passano delle carrette che raccolgono cadaveri, li buttano accatastati su tali carri, il sangue cola ed i cani seguono questo lugubre carro leccando il sangue. Arrivano al Bosforo e ve li buttano. Questo barbaro massacro continua per tre giorni per ordine del sultano che vuol sterminare gli armeni”. Solo in quell’occasione furono trucidati a Costantinopoli migliaia di armeni. Grande fu il lavoro della Conferenza degli ambasciatori per cercare, inutilmente, di far cessare i massacri. L’Italia vi era rappresentata da Pansa, piemontese. Ospitò nell’ambasciata e nei consolati moltissimi armeni, si aggirò per le strade allo scopo di salvarne altri, tanto che per il suo coraggio venne decorato al valor civile. Saverio Fera, presidente del Comitato “Pro Armenia”, disse che occorreva cacciare il “turco dall’Europa” e sostituire l’impero ottomano con una confederazione di popoli liberi. Al tempo l’Italia aveva ancora coraggio. Il presidente del Consiglio Crispi spedì ai Dardanelli due corazzate, la “Umberto I” e la “Andrea Doria”. Crispi ordinò di mettersi a disposizione del comandante inglese, che venne informato che l’Italia aveva pronto un corpo di 50.000 soldati per l’attacco ai Turchi. Ma gli Armeni alla fine vennero abbandonati a se stessi.

Oggi non saremmo neanche più in grado di pronunciare le parole di Francesco Crispi alla notizia dei primi massacri di armeni: “L’Italia ha dei doveri speciali verso gli armeni, la cui cultura intellettuale e religiosa ha in Italia radici più estese e più profonde che in qualsiasi altro Paese d’Europa”.

Oggi la nostra pusillanimità non è neanche più celata.

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Scambio di messaggi di congratulazioni tra Xi Jinping e Vahagn Khachaturian (Italian.cri.it 06.04.22)

Il 6 aprile il presidente cinese, Xi Jinping, e il presidente armeno, Vahagn Khachaturian, si sono scambiati messaggi di congratulazioni per celebrare il 30° anniversario dell’allacciamento delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.

Nel suo messaggio, Xi Jinping ha sottolineato che la Cina e l’Armenia sono tradizionali partner di cooperazione amichevole. Dall’allacciamento delle relazioni diplomatiche 30 anni fa, le relazioni Cina-Armenia hanno mantenuto lo sviluppo sano e stabile. La fiducia politica reciproca tra le due parti si è approfondita, la cooperazione in vari campi è avanzata in modo solido e gli scambi culturali sono diventati sempre più stretti. Dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19, i popoli dei due paesi si sono uniti per combatterla, dimostrando la profonda amicizia che li lega.

Xi Jinping ha inoltre sottolineato di essere disposto a collaborare con il presidente Khachaturian per cogliere questo 30° anniversario come un’opportunità per promuovere ulteriormente le relazioni tra i due paesi e la cooperazione bilaterale in vari campi, così da ottenere maggiori risultati che portino benefici a entrambi i paesi e ai loro popoli.

Vahagn Khachaturian, da parte sua, ha affermato di essere disposto a collaborare con il presidente Xi Jinping per ottenere uno sviluppo sostenibile e stabile delle relazioni amichevoli e di cooperazione a beneficio dei due popoli.

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