Libano: al via il Sinodo per eleggere il nuovo Patriarca di Cilicia degli Armeni cattolici (SIR 23.06.21)

Oggi, 23 giugno, ha preso il via il Sinodo dei vescovi della Chiesa armena cattolica convocato per eleggere il successore del Patriarca armeno cattolico Krikor Bedros XX Ghabroyan, deceduto per malattia lo scorso 25 maggio all’età di 86 anni. L’assemblea sinodale si svolge presso il convento libanese di Nostra Signora di Bzommar, che ospita la sede patriarcale armeno-cattolica. L’Assemblea sinodale elettiva è stata convocata da Boutros Marayati, arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, divenuto dal 26 maggio Amministratore della Chiesa patriarcale di Cilicia degli Armeni, in quanto presule più anziano per ordinazione, secondo il disposto dell’articolo 127 del Codice dei Canoni delle Chiese orientali cattoliche. In tale veste, il compito principale dell’arcivescovo Marayati è stato proprio quello di convocare il Sinodo della Chiesa armena cattolica per eleggere il nuovo patriarca. All’Assemblea elettiva prendono parte 12 membri del Sinodo della Chiesa armena cattolica, provenienti dalle sedi episcopali sparse in Medio Oriente e nei Paesi di maggior concentrazione della diaspora armena. Il nuovo patriarca armeno cattolico, una volta eletto, prenderà parte all’incontro convocato da Papa Francesco il prossimo 1° luglio a Roma per riflettere insieme con i principali responsabili delle comunità cristiane libanesi intorno alla preoccupante situazione del Libano.

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Azerbaigian: Capitanio-Centemero (Lega), liberare e rimpatriare prigionieri di guerra armeni (Agenzianova 22.06.21)

Roma, 22 giu 19:00 – (Agenzia Nova) – “Risulta che l’Azerbaigian continui a detenere in ostaggio numerosi prigionieri di guerra armeni per usarli nelle trattative politiche con il supporto della Turchia. Apprendiamo, inoltre, che qualche giorno fa in internet è apparso un video preoccupante di una conversazione tra i Presidenti della Turchia e dell’Azerbaigian, che confermerebbe il fatto che i prigionieri armeni sono detenuti illegalmente in Azerbaigian e sono usati per ottenere in cambio le mappe dei campi minati o altre concessioni”. Lo denunciano in una nota i deputati della Lega Massimiliano Capitanio e Giulio Centemero. “Serve chiarezza e una urgente e ferma presa di posizione da parte di tutti i partner internazionali per fermare le speculazioni su queste vite umane. L’auspicio – concludono – è che il nostro governo faccia presto sentire la sua voce con una presa di posizione contro chi continua a violare ogni diritto internazionale umanitario. Chiediamo quindi che questi prigionieri e i civili detenuti vengano immediatamente rilasciati e rimpatriati senza precondizioni”.

“LA FAMIGLIA DEI GENOCIDI È UNA MALATTIA UNIVERSALE DELL’UMANITÀ” (Gariwo 22.06.21)

Israel Charny è uno psicoterapeuta israeliano e un noto studioso di genocidi. Charny è uno specialista nel trattamento dei sopravvissuti all’Olocausto, con una lunga e stimata carriera come psicologo clinico e terapeuta familiare. Il professor Charny è anche il direttore dell’Institute on the Holocaust & Genocide a Gerusalemme, che ha fondato insieme a Elie Weisel. È anche co-fondatore ed ex presidente dell’International Association of Genocide Scholars, e autore di libri premiati sul tema dei genocidi, come Genocide: A Critical Bibliographic Review (1988), Encyclopedia of Genocide (1999-2000), e Fascism and Democracy in the Human Mind (2006). Nell’aprile 2021, ha pubblicato il suo ultimo libro, intitolato Israel’s Failed Response to the Armenian Genocide: Denial, State Deception, and Truth versus Politicization of History. Insieme a Yair Auron, storico e direttore associato dell’Institute on the Holocaust and Genocide, il professor Charny ha vinto il President of Armenia Prize “per il suo lavoro accademico decennale sul genocidio armeno e le attività che hanno contribuito al suo riconoscimento internazionale, nonché per le sue significative ricerche nel campo della negazione del genocidio”. In questa intervista, il professor Charny ci parla dei tentativi di Israele di cancellare una conferenza internazionale sui genocidi nel 1982, del rapporto di Israele con il genocidio armeno e altri genocidi, e del suo coinvolgimento personale, come psicoterapeuta, con il tema dei genocidi. Questa intervsista è stata editata per motivi di chiarezza e scorrevolezza.

Professor Charny, partiamo dal suo nuovo libro, intitolato Israel’s Failed Response to the Armenian Genocide: Denial, State Deception, Truth versus Politicization of Historyin cui lei si concentra sui tentativi di Israele di sabotare una conferenza accademica sulla Shoah e sul genocidio armeno nel 1982. Il libro contiene molte informazioni e fonti d’archivio, comprese le sue lettere personali a Shimon Peres, che si è allineato con la politica ufficiale di Israele di negazione del genocidio armeno. Potrebbe dirci di più su questo episodio, che lei ha definito come un “fallimento morale” di Israele?

Nel 1982, io e altri organizzammo una conferenza internazionale a Tel Aviv. La conferenza, intitolata International Conference on the Holocaust and Genocide, fu la prima conferenza mai organizzata sulla nozione di genocidio. Soprattutto, fu la prima conferenza a unire le nozioni di Olocausto e genocidio, collegando l’Olocausto ai genocidi precedenti e in corso di tutti gli altri popoli per “proiettare il genocidio come un problema universale nella storia e nel futuro di tutti i popoli” e per “riconciliare le vittime specificamente ebree con l’universalità di tutte le vittime“. Circa 600 persone si erano preregistrate per partecipare ma, a causa dell’enorme pressione esercitata su di loro affinché non venissero, solo 300 persone parteciparono alla conferenza. Alcuni membri del governo israeliano chiamarono personalmente gli iscritti alla conferenza e chiesero loro, in nome di Israele, di non partecipare alla conferenza. In alcuni casi, Israele inventò persino storie sul fatto che la Turchia avesse minacciato le vite degli ebrei per convincere i partecipanti a non andare. L’obiettivo di Israele era di far annullare la conferenza. Alla fine, la conferenza ebbe luogo comunque, e 300 persone decisero di venire quando seppero che la conferenza sarebbe stata organizzata ugualmente. Fu un’occasione molto commovente. L’atmosfera era elettrica: i partecipanti erano consapevoli della nostra lotta contro il governo e si sono identificati con noi, con il nostro coraggio e la nostra persistenza nel resistere contro i tentativi di cancellare la conferenza.

Perché pensa che fosse necessario organizzare quella conferenza, e cosa pensa che sia giusto imparare da questa esperienza?

Quella conferenza fu il primo tentativo di riunire menti e cuori per guardare al genocidio come un problema universale dell’umanità. Negli anni successivi alla nostra conferenza, altre università hanno collegato l’Olocausto e il concetto di genocidio. Di questo sono felice. L’Olocausto ha certamente la sua particolarità, ma è anche parte di una terribile famiglia chiamata genocidio, in cui nessuno è superiore agli altri o deve essere separato dagli altri. La famiglia dei genocidi rappresenta una malattia universale dell’umanità, fin dall’inizio della storia. È un aspetto tragico della storia umana, e così come ci organizziamo per lottare contro malattie come il cancro o per gestire i problemi ecologici che minacciano l’esistenza del nostro pianeta, dobbiamo anche combattere la naturale presenza del genocidio nel repertorio umano: il genocidio non smette mai di comparire.

Come psicoterapeuta ed esperto di genocidi, la sua prospettiva sulla relazione di Israele con altre atrocità di massa è unica e particolare. Come suggerisce il titolo di uno dei suoi libri – Fascism and Democracy in the Human Mind: A Bridge between Mind and Society -, i meccanismi tipici della vita psichica individuale possono essere applicati alla sfera collettiva e sociale. Per quanto riguarda il rapporto di Israele con il genocidio armeno, come pensa che questi due livelli si intreccino tra loro? Quali sono, secondo lei, i meccanismi all’origine della negazione del genocidio armeno da parte di Israele e, più in generale, della tendenza di Israele a separare la Shoah dagli altri genocidi, rifiutando qualsiasi confronto con essi?

Credi che questo sia il risultato di una complessa combinazione di due spinte inconsce. Da un lato, c’è la base emotiva ed esperienziale dei sopravvissuti, che vedono la loro insopportabile sofferenza come unica e senza precedenti, non paragonabile a quella di nessun altro. Questo è un meccanismo del tutto umano, pienamente giustificato, e che non metterei mai in discussione. D’altra parte, sfortunatamente, questa spinta si collega con un altro processo inconscio, che è abbastanza pericoloso e ha a che fare, paradossalmente, con la creazione di genocidi. Vale a dire, il bisogno inconscio di rendere se stessi – in questo caso il sé collettivo – superiori agli altri e di rendere gli altri inferiori a noi. C’è un pericolo essenziale in questo concetto: superiore è diverso da eccellente, vincente, o dall’essere eccezionale. La superiorità ha a che fare con il dominio, con l’essere più dell’altro, con il creare un contesto in cui l’altro è inferiore a noi. Sono due aspetti distinti, che possono combinarsi facilmente perché entrambi implicano un’enfasi sui nostri valori. Sentirsi superiori agli altri è di per sé una pulsione umana, che ci abita fin dall’infanzia: ma crescendo e diventando adulti, impariamo a superare questa pulsione, raggiungendo un livello superiore di convivenza con gli altri, basato sull’uguaglianza, sull’onore e sul rispetto reciproco.

Come si può realizzare questo livello superiore di coesistenza con gli altri?  

Dobbiamo guardare Israele dal punto di vista dello sviluppo dell’individuo. Tipicamente, il bambino ha bisogni, desideri e imperativi. Lentamente, si spera, nel processo di interazione premurosa con la madre, il padre, i fratelli, i nonni e gli altri bambini, il bambino sviluppa un senso di significato e di valore delle altre persone. Questo si collega strettamente con la capacità di sviluppare l’empatia: quando i bambini vedono che qualcun altro si fa male o si ammala, ne rimangono colpiti, preoccupandosi e allarmandosi. Durante la vita, lentamente ma inesorabilmente, la nostra cerchia si espande e impariamo a prenderci cura degli amici e di altri soggetti che amiamo: è così che si impara non solo a cercare sessualmente qualcuno ma a connettersi con gli altri emotivamente, in modo premuroso e reciproco. Lentamente ma inesorabilmente, il nostro mondo si espande nella consapevolezza che viviamo in un dato contesto, città, stato o paese, che i membri della nostra famiglia – che sia una religione, una nazione o un partito politico – condividono con noi dei valori. Se siamo fortunati, questo processo di sviluppo porta le persone a prendere coscienza che ci sono tanti altri esseri umani in questo mondo, che sono proprio come noi e hanno bisogno degli stessi elementi basilari di protezione che tutti noi cerchiamo. Un livello più alto di convivenza con gli altri, quindi, può essere raggiunto solo attraverso la coltivazione dell’amore: amore per noi stessi e, di conseguenza e in modo più maturo, per le altre persone, comprendendo che siamo tutti figli del miracolo. È un lavoro enorme, ma emozionante e meraviglioso.

Portiamo questo discorso a un livello sociale e collettivo: cos’è che è andato storto in questo processo di sviluppo, nel caso di Israele? E quali sono i soggetti di un possibile cambiamento? A Gariwo, per esempio, ci concentriamo sulle figure dei Giusti – di coloro che hanno scelto il bene in circostanze estreme – per educare la società alla cittadinanza attiva e alla responsabilità. Ma Israele? Pensa che questo sia un compito della leadership, delle istituzioni educative? Come si fa a creare una cultura diversa, che si basi sull’empatia e la connessione con l’altro?

Come ogni soggetto collettivo, Israele deve affrontare la sfida universale di avere a che fare con gli altri. Tuttavia, Israele ha un proprio fardello di una storia di così tante persecuzioni del popolo ebraico che la comprensibile necessità di rafforzare noi stessi – che è al centro del miracolo sionista, della ri-costruzione di Israele – ha occupato tanta parte della storia ebraica. E fare tutto questo mantenendo e sviluppando al tempo stesso un atteggiamento genuinamente universale di cura per le altre persone è una sfida enorme. Molte parti del popolo ebraico sono andate in questa direzione in modo costruttivo. Un verso della preghiera dello Shabbat dice: “tu ci hai scelto al di sopra degli altri popoli”: questo fa parte della preghiera da migliaia di anni. Molti di noi hanno cambiato quella preghiera: ora alziamo i nostri calici e cantiamo: “ci hai scelti insieme agli altri popoli”. Altre parti del popolo ebraico, tuttavia, non hanno colto questa sfida. E questo, per riprendere la sua domanda sulla leadership politica, include la dirigenza religiosa ortodossa di Israele. Anche se la tradizione ebraica offre alcune bellissime massime sulla cura dello straniero e sul prendersi cura degli altri, la leadership ortodossa è diventata ferocemente egocentrica e antagonista, incoraggiando il disprezzo verso gli altri. Questo è contro tutto ciò che l’ebraismo rappresenta. Alla luce di questo, credo che tutti i fattori che lei ha menzionato siano assolutamente rilevanti per costruire una cultura di rispetto reciproco e di empatia con gli altri: buoni leader e buoni educatori sono tutti fondamentali per raggiungere questo obiettivo.

Concentriamoci ora sul genocidio armeno. Perché, secondo lei, Israele si rifiuta di riconoscerlo? Recentemente, un vivace dibattito ha avuto luogo sulle pagine del giornale israeliano Haaretz: alcuni sostengono che Israele si rifiuta di riconoscere il genocidio armeno per motivi religiosi e culturali; altri ritengono che tutto si riducalla politica. Lei cosa ne pensa?

È una combinazione di diversi fattoriIl primo fattore è molto pratico e ha a che fare con la relazione di Israele con la Turchia. In ogni ministero degli esteri del mondo molti credono che le relazioni estere si basino sul fare ciò che è bene per il tuo popolo, ottenendo il massimo vantaggio possibile, e preoccupandosi molto poco di considerazioni di ordine morale. Si chiama realpolitik, e a me non piace. Credo che le relazioni estere dovrebbero certamente basarsi sulla praticità del proteggere se stessi, ma il più possibile, e contemporaneamente, dovrebbero anche basarsi sulla moralità e sulla decenza. Il secondo fattore ha a che fare con il processo culturale di cui abbiamo parlato: tante persone hanno insistito sul fatto che la Shoah non può essere paragonata o collegata in alcun modo ai genocidi di altri popoli. Il non riconoscimento del genocidio armeno da parte di Israele comincia quindi con questioni pratiche e continua con la coltivazione di un proprio senso di superiorità basato sull’esclusione di altri popoli: si tratta di una combinazione piuttosto problematica.


E l’ONU? Dopo che Rafael Lemkin ha coniato la nozione di “genocidio”, l’ONU ha giocato un ruolo centrale nel trasformarlo in un crimine internazionale, definito 
dal punt di vista giuridico. Eppure, l’ONU non ha mai preso ufficialmente posizione su ciò che è accaduto in Armenia tra il 1915 e il 1918, né l’Armenia appare nella descrizione ufficiale dell’ONU sull’origine di questo concetto. Inoltre, recentemente il portavoce del segretario generale dell’ONU Antònio Guterres ha detto: “Non facciamo commenti, come regola generale, su eventi che hanno avuto luogo prima della fondazione dell’ONU”. Lei cosa ne pensa? 

L’ONU riconosce il genocidio armeno, e ogni affermazione contraria è sbagliata. Per molti anni, l’ONU non ha riconosciuto il genocidio armeno, per i motivi di cui parla. Nel 1985, tuttavia, l’ONU ha istituito una commissione guidata da Benjamin Whitaker. La commissione Whitaker ha prodotto un bellissimo rapporto sui genocidi, che ha riconosciuto il genocidio armeno senza alcuna riserva. Quindi, dal punto di vista della storia e della legalità, l’ONU ha riconosciuto il genocidio armeno.

Il rapporto Whitaker elenca il genocidio armeno in un paragrafo [paragrafo 24, parte I, sezione B], insieme ad altri genocidi, affermando che alcuni di essi non sono genocidi dal punto di vista legale ma possono comunque essere definiti tali. Questo deve essere preso come un riconoscimento formale del genocidio armeno da parte dell’ONU? 

Sì, assolutamente.

Un’ultima domanda, di natura personale: come è arrivato a interessarsi, da psicoterapeuta, al genocidio armeno e al tema dei genocidi in generale?

Le racconterò due storie personali. La prima storia è questa: molti anni fa, quando vivevo ancora in America, lavoravo in un ospedale psichiatrico per adolescenti. Un giorno organizzammo una giornata di studio, e arrivarono due ospiti: uno psichiatra e uno psicologo turchi, di cui non sapevo nulla. Per puro caso, mi trovai seduto accanto a loro e così passammo tutta la giornata insieme, condividendo le pause caffè e pranzo. Durante la pausa caffè del pomeriggio, mi ricordai improvvisamente che avevo appena letto, e scoperto, del genocidio armeno in un articolo molto famoso apparso su una rivista chiamata Commentary Magazine. Così chiesi loro di parlarne, dicendo che mi sarebbe piaciuto saperne di più. In pochi secondi, queste persone si girarono e si allontanarono, e non mi rivolsero più la parola per il resto della giornata. Da quel giorno, non ho potuto fare a meno di interessarmi alla negazione del genocidio armeno.

La seconda storia che voglio raccontarle è questa: molti anni fa, dopo aver ricevuto il mio dottorato e dopo cinque anni di esperienza post-dottorato, feci un esame molto avanzato per essere riconosciuto come “specialista”. Specialista significa, per esempio, che quando si firma un modulo di assicurazione per un paziente, questo modulo è automaticamente riconosciuto in tutti gli stati d’America, anche in quelli in cui non si ha la licenza. Significa molte altre cose che definiscono lo specialista come un esperto del comportamento umano. Superai l’esame. Dopo aver ricevuto l’avviso, andai a dormire e feci un sogno. Il sogno riguardava l’Olocausto: vidi i nazisti uccidere gli ebrei, in particolare i bambini. Nel sogno, mi dissi: dicono che sono un esperto del comportamento umano, ma sono in grado di capire perché gli esseri umani possono comportarsi in questo modo? E la risposta è stata: no, non lo so, e la mia lunghissima formazione – che ora mi qualifica come “specialista” – non mi ha insegnato nulla al riguardo. Quello fu per me un punto di svolta: capii che mi sarei occupato di questo argomento per il resto della mia vita.

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Perché la vittoria di Nikol Pashinyan rischia di bloccare l’Armenia (L’Inkiesta 22.06.21)

L’attuale primo ministro armeno ha ottenuto alle ultime elezioni il 54% dei voti e una solida maggioranza parlamentare. Ma il mandato sarà quasi interamente assorbito dall’impegno dei negoziati con l’Azerbaijan, dal rapporto con la Russia e dal duro contrasto con le forze di opposizione che inquina le dinamiche interne

Nikol Pashinyan l’ha spuntata ancora, l’attuale primo ministro armeno, che in tre anni ha guidato una rivoluzione, affrontato le conseguenze di una debacle militare e respinto un tentato golpe, ieri ha incassato una schiacciante vittoria elettorale che grazie al 54% dei voti garantisce alla sua coalizione una solida maggioranza parlamentare.

Contro Pashinyan era sceso in campo tutto il passato recente della storia armena. A sfidarlo infatti, in una combinazione elettorale inedita, c’erano tutti gli ex capi di stato della giovane repubblica post sovietica, dall’indipendenza ad oggi: Robert Kocharyan, Serzh Sargsyan e Levon Ter-Petrosyan, oltre ad un’altra dozzina di partiti e piattaforme politiche differenti, uniti principalmente dal desiderio di far pagare a Pashinyan il prezzo della sconfitta militare.

Unico a tallonarlo nei sondaggi però era Robert Kocharyan, che oltre ad essere stato il secondo presidente della repubblica armena fu nel 1994 il primo presidente della autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh. Dietro al vecchio lupo d’apparato di formazione sovietica infatti si erano radunate tutte quelle forze politiche che Pashinyan e la rivoluzione di velluto del 2018 avevano disarcionato dal potere e che speravano di riprendere il controllo dello Stato.

In campagna elettorale praticamente non si è parlato d’altro che delle responsabilità e delle conseguenze del conflitto con l’Azerbaijan. Gli accordi di “cessate il fuoco” mediati dalla Russia e siglati da Pashinyan sono stati additati come una capitolazione dai suoi avversari.

«Un governo che rappresenta la sconfitta non può essere un buon negoziatore» ha tuonato Kocharyan più volte, aggiungendo che «non è possibile negoziare con il nemico in ginocchio». A gettare ulteriore benzina sul fuoco si è aggiunto poi il delicato tema del ritorno dei prigionieri di guerra armeni. In uno scambio surreale di accuse l’altro ex presidente, Serzh Sargsyan, ha suggerito a Pashinyan di «scambiare suo figlio con 25 soldati detenuti in l’Azerbaijan».

Pashinyan, che non è uomo da chiamarsi fuori da uno scambio di accuse, ha colto l’occasione per rispondere di petto: «Sono d’accordo, e lo dichiaro ufficialmente: offro mio figlio in cambio di tutti i nostri prigionieri, e autorizzo Sargsyan e Kocharian a occuparsi della cosa in quanto specialisti nel traffico di esseri umani. Magari riusciranno anche a farsi due soldi».

«Con una campagna elettorale così non c’è stato spazio per argomenti attinenti alla politica o all’economia del Paese. Onestamente non c’è stato spazio nemmeno per una discussione seria sulle conseguenze del conflitto, le opposizioni infatti hanno accusano e basta, ma nessuna è stata in grado di offrire una narrativa alternativa, o di spiegare cosa avrebbero fatto al posto di Pashinyan» commenta il deputato ed analista politico Mikayel Zolyan. I cittadini Armeni infatti hanno scelto di dare ancora una volta fiducia a Pashinyan dando così indirettamente anche il loro assenso agli accordi di pace da lui siglati.

Sul dibattito elettorale ha pesato molto anche la propaganda martellante del presidente azero che non ha nascosto la volontà di umiliare il nemico sconfitto. Aliyev nell’ultimo mese è comparso all’inaugurazione del Parco dei trofei militari a Baku, dove si staglia un corridoio di elmetti abbandonati da soldati armeni deceduti o in fuga attraverso cui si accede ad un piazzale dove decine di mezzi armeni sequestrati sono messi in mostra assieme a statue di cera di soldati armeni sfigurati dalla paura. Ma il vero colpo Aliyev l’ha assestato ad un settimana dal voto invitando a Shusha, la città sottratta agli armeni e simbolo per gli azeri della loro vittoria, l’amico e alleato Racep Erdogan. A Shusha settimana scorsa i presidenti di Turchia e Azerbaijan hanno firmato un accordo tra le due nazioni di azione congiunta in caso di attacco militare e mandato un chiaro messaggio a tutti coloro che a Yerevan pensavo di sfruttare il desiderio di rivincita in chiave elettorale.

Altra presenza ingombrante nel dibattito elettorale è stato il rapporto con Mosca. Ufficialmente l’offerta politica di entrambi i candidati principali era radicalmente pro-russa, e non potrebbe essere stato altrimenti data la dipendenza economica e militare armena da Mosca. Tuttavia tra i supporter di Pashinyan aumenta la rabbia nei confronti del grande alleato che invece di sostenere Yerevan in modo deciso durante il conflitto con l’Azerbaijan si è limitato a imporre un cessate il fuoco dopo aver lasciato le truppe azere libere di avanzare per quasi un mese.

«Colpa delle velleità europeiste di Pashinyan che hanno incrinato la relazione con Mosca», accusavano i supporter di Kocharyan. Ma la scelta del leader dell’opposizione di apparire sui giornali armeni raffigurato in un sorprendente numero di foto diverse a fianco di Vladimir Putin, per testimoniare la loro lunga amicizia, sembrerebbe non aver dato il risultato sperato.

Pashinyan dunque vince ancora e si dimostra un leader in sintonia con il suo popolo ma vince la guida di un mandato che sarà quasi interamente assorbito dall’impegno di guidare il paese in un negoziato tutto in salita che lo porterà probabilmente a dover mettere la faccia su ulteriori umiliazioni. È proprio sul logoramento di Pashinyan che scommettono tutti i suoi nemici, a Yerevan a Mosca e Baku. Ma il primo ministro armeno ha dimostrato di avere sette vite e se avrà abilità e fortuna, passate le forche caudine dei negoziati, potrebbe tornare con forza rinnovata al suo programma di riforma interna e rendere le fondamenta della sua nuova Armenia più solide che mai.


Cosa cambia in Armenia dopo le elezioni (L’antidiplomatico 22.06.21)

Armenia: Pashinyan annuncia vittoria, Kocharyan denuncia brogli (Ansa 21.06.21)

(ANSA) – YEREVAN, 21 GIU – Il premier Nikol Pashinyan si è dichiarato vincitore delle elezioni legislative anticipate tenutesi ieri in Armenia. Lo scrutinio parziale dei voti dà il suo partito Contratto civile nettamente in testa contro Alleanza Armenia dell’ex presidente Robert Kocharyan. La formazione di Kocharyan contesta però i risultati: “Ci poniamo l’obiettivo di analizzare attentamente le frodi presunte e quelle denunciate. E finché a queste domande non sarà stata data una risposta soddisfacente, l’Alleanza armena non riconoscerà i risultati dello scrutinio”, ha affermato la formazione dell’ex presidente in un comunicato. (ANSA).


Nagorno-Karabakh: Lavrov, presto per valutare impatto risultati elettorali in Armenia


In Armenia il premier Pashinyan vince le elezioni col 53,9% dei voti (Corriere del Ticino 21.06.21)

Armenia, Pashinyan premier con il 53,9% (Il Metropolitano 21.06.21)

Armenia, il premier Pashinyan rivendica la vittoria, l’opposizione denuncia brogli (Cronachedi 21.06.21)

Armenia: Pashinyan rivendica la vittoria, l’opposizione contesta (Tgcom24 21.06.21)

Armenia al voto, il premier Pachinian vince con il 58% dei voti. L’opposizione denuncia brogli (La Repubblica 21.06.21)

Armenia, la “rivoluzione di acciaio” di Pashinyan: vince le elezioni anticipate (La Repubblica 21.06.21)

I risultati delle elezioni in Armenia e le tensioni sullo fondo (Nazione futura 21.06.21)

Il partito di Nikol Pashinyan vince le elezioni armene dopo l’accordo per la cessione di parti del Nagorno-Karabakh all’Azerbaigian (Nbarevolution 21.06.21)

Il primo ministro ad interim dell’Armenia rivendica la vittoria con un partito che guida in anticipo alle elezioni parlamentari (Telecentroodeon 21.06.21)

OSCE: “Elezioni parlamentari regolari” (Euronews 21.06.21)

Il Nagorno-Karabakh è un ricordo: Pashinyan vince le elezioni (Il Manifesto 21.06.21)

Armenia: il primo ministro Nikol Pashinyan vince le elezioni anticipate con il 53,9% (Primapress 21.06.21)

Erevan, Pašinyan vince le elezioni anticipate (Asianews 22.06.21)

 

I giovani della comunità armena in visita a Luino (Varesenews 20.06.21)

giovani della Comunità Armena appartenenti alla Chiesa Armena ortodossa d’Italia si sono recati tutto il giorno a Luino sabato 19 giugno per un pellegrinaggio. Guidati da padre Tirayr Hakobyan sono arrivati alle 9.45 in stazione dei treni a luino accolti dal presidente del Consiglio Comunale Fabrizio Luglio e dal suo predecessore Alessandro Franzetti, referente laico della commissione ecumenica del decanato di Luino.

Dopo una sosta per la colazione, i giovani pellegrini armeni hanno visitato e pregato al Santuario del Carmine, accolti dal previsto e decano di Luino don Sergio Zambenetti. Poi presso la casa parrocchiale essi hanno preparato e consumato un buonissimo pranzo a base di prodotti tipici armeni. Dopo una sosta in Chiesa Preposituralr per la preghiera (bel momento di preghiera ecumenica con il Santissimo esposto) il gruppo ha incontrato a Palazzo Verbania il sindaco di Luino Enrico Bianchi che ha dato il benvenuto a Luino prima della visita alla mostra su Dante guidati da Ottavio Brigandì. La giornata è terminata col bagno presso il lido delle Serenelle, dove gli ospiti hanno potuto apprezzare l’acqua limpida e fresca per un bagno rigenerante.

“È stato bello condividere un’intera giornata con questi magnifici armeni della Comunità di Milano e col responsabile della loro Chiesa padreTirayr. Sarebbe bello approfondire questo gemellaggio non solo spirituale ma civico – afferma Alessandro Franzetti organizzatore della giornata insieme a Padre Hakobyan. I giovani armeni sono persone coltissime e speciali. E hanno apprezzato molto la nostra accoglienza in Cittá e in parrocchia – conclude”.

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Armenia, aperti i seggi per le elezioni politiche anticipate (20.06.21)

(ANSA) – YEREVAN, 20 GIU – I seggi elettorali si sono aperti stamani in Armenia per le elezioni legislative anticipate, pericolose per il primo ministro Nikol Pashinyan dopo la sconfitta militare del piccolo Paese del Caucaso nel Nagorno-Karabakh. L’ex giornalista salito a capo del Governo nel 2018 grazie a una rivoluzione pacifica contro le vecchie élite corrotte affronta il suo principale rivale, l’ex presidente Robert Kocharyan, che accusa il suo avversario politico di incompetenza e a cui si contrappone come leader esperto.

 Un recente sondaggio del gruppo Mpg, affiliato alla Gallup International Association, mostra l’alleanza di Kocharyan in leggero vantaggio con il 28,7% delle intenzioni di voto, e il partito di Pashinyan appena indietro, al 25,2%. Dopo sei settimane di cruenti scontri nel Nagorno-Karabakh, durante i quali hanno perso la vita migliaia di persone, a novembre Armenia e Azerbaigian hanno siglato un accordo di cessate il fuoco mediato dalla Russia. In base all’intesa, l’Azerbaigian ha mantenuto i territori conquistati e l’Armenia gli ha ceduto anche altre zone del Nagorno-Karabakh e dei territori limitrofi. Sempre sulla base dell’accordo, inoltre, la Russia ha inviato circa 2.000 soldati nel Nagorno-Karabakh per garantire il rispetto della tregua. (ANSA)

RUSSIA. Lavrov sulla base turca in Azerbaijan: “Non commento le voci” (Agcnews 20.06.21)

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha respinto le speculazioni che la Turchia potrebbe costruire una base militare in Azerbaigian definendole “voci”.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva detto durante una visita a Baku questa settimana che non avrebbe escluso la possibilità che Ankara potesse costruire una base militare in Azerbaigian secondo un accordo che lui e il presidente Ilham Aliyev hanno firmato il 15 giugno, riporta Rferl.

La cosiddetta Dichiarazione di Susa sulle relazioni alleate tra Azerbaigian e Turchia richiede una maggiore cooperazione tra Ankara e Baku anche nella sfera militare.

A Lavrov il 18 giugno, è stato chiesto cosa ne pensasse sulla possibilità di una base turca in Azerbaigian dopo aver incontrato a Mosca il ministro degli esteri bielorusso Uladzimer Makey. Lavrov ha detto che l’argomento non era stato discusso, aggiungendo «non commentiamo le voci».

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha poi detto il 18 giugno che Mosca sta monitorando da vicino gli sviluppi intorno a una potenziale base turca in Azerbaigian.

Una tale mossa da parte della Turchia, membro della Nato, potrebbe richiedere alla Russia di prendere provvedimenti per garantire la propria sicurezza e i propri interessi. Peskov ha detto che la Russia era in stretto contatto con la Turchia per stabilizzare la situazione nel Caucaso meridionale dopo la guerra di sei settimane dello scorso autunno tra le forze azere e armene sulla regione separatista del Nagorno-Karabakh.

Ankara ha fornito all’Azerbaigian sostegno diplomatico e militare durante il conflitto. La Turchia sta ora gestendo insieme alla Russia un centro di monitoraggio del cessate il fuoco secondo i termini dell’accordo di cessate il fuoco mediato dalla Russia che ha portato alla fine dei combattimenti lo scorso novembre.

Il Nagorno-Karabakh è internazionalmente riconosciuto come parte dell’Azerbaigian. Ma l’etnia armena, che costituisce la maggior parte della popolazione della regione, controlla ancora parte del territorio e rifiuta il dominio di Baku.

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Le case “italianissime” di Trieste costruite da un mercante armeno (Triestenews 19.06.21)

La comunità armena triestina visse, tra settecento e ottocento, una crescita travagliata che non le impedì tuttavia di lasciare un’imponente eredità linguistica e architettonica alla città, seppure con una minore impronta rispetto ai “fratelli” greci e serbo-ortodossi. Quando i padri mechitaristi armeni ritornarono a Trieste nel 1817 la chiesa, così come i paralleli edifici di servizio, vennero collocati in una zona che andava dai Santi Martiri a Via Tigor, approssimativamente su un versante del colle di San Vito. Tutt’oggi il Ministero della Cultura del Friuli Venezia Giulia, attraverso la Soprintendenza, scrive di un “colle armeno“, riferendosi alla tutela di un edificio d’inizio novecento nell’area.
L’identità armena ricevette poi il suo simbolico suggello a inizio novecento, quando sul colle vennero costruiti cinque grandi edifici residenziali, destinati alla bassa borghesia, ad opera di un commerciante di tappeti, Haggi Giorgio Aidinian.

Nato a Smirne nel 1844, Aidnian si trasferì a Trieste nel 1880, aprendo un negozio di tappeti orientali. Sposato con la concittadina Nuvia Sivrian, Haggi Giorgio ebbe ben sette figli tra i quali il più noto fu Pasquale che spostò l’attività di vendita dei tappeti nel nuovo palazzo Dreher (oggi Borsa Nuova) in via Cassa di Risparmio.

Tra il 1905 e il 1909 Aidinian scelse di costruire, su progetto dell’architetto triestino Ruggero Berlam, cinque case d’abitazione in una zona compresa tra via Tigor, via Giustinelli, via Benedetto Marcello e via Gaspara Stampa. Si trattava di fondi appartenenti ai padri mechitaristi; ma Haggi Giorgio aveva in realtà un legame di parentela con l’Abate del monastero mechitarista viennese, Padre Arsen Aydenian (1886-1902), e pertanto non fu difficile convincere i monaci a cedere i terreni.
La prima casa fu costruita in via Giustinelli 3, tra il 1902 e il 1903, dietro progetto di Aidinian e di un sacerdote mechitarista che era responsabile delle finanze della Congregazione. Berlam si limitò in quest’occasione a progettare le facciate con un gusto prettamente cinquecentesco. La parte rivolta al mare presentava un corpo rialzato sopra quello principale, descritto come “una sorta di torretta”, con una bifora e due leoni alati.

La seconda casa Aidnian venne invece costruita tra via Giustinelli 2 e 4 e via Tigor 9, nel giugno 1903; si trattava di un edificio realizzato da Berlam con “un asettico classicismo, ingentilito da fasce policrome“. Qui vissero per un periodo due dei figli di Aidinian, rispettivamente Maria e Giovanni Haggi, ciascuno con le famiglie e i servitori.

Progetto per le case di via Marcello 2 e 4 . Dal volume Gli armeni di Trieste

Nel 1904 Berlam disegnò invece i progetti per altre case armene, rispettivamente in via Benedetto Marcello 2 e 4 e in via Giustinelli 1. Nei primi due casi si tratta di edifici pressoché identici, che sembrano diversi solo perchè presenti su un terreno inclinato. Si trattava di edifici residenziali di cinque piani che Berlam arricchì con tanti particolari medievaleggianti: archetti pensili, finestre centinate a monofora o bifora, colonnine su mensole a mascherone. L’apparato decorativo fu opera rispettivamente del figlio Arduino e del pittore Pietro Lucano (1878-1972).

Per l’ultima casa Berlam ritornò nel dicembre 1904 all’idea originaria, progettando in via Giustinelli 1 un massiccio edificio turrito di cinque piani con uno stile cinquecentesco.
Tra i cinque manufatti è forse l’edificio maggiormente conosciuto, perchè si eleva dal terreno come una fortezza rinascimentale, con quattro torri angolari. Il figlio Pasquale vi aggiunse un muro di sostegno nel 1915 e un garage tra il 1926 e 1928, tutt’oggi esistenti.
È una grandissima ironia, considerando come il committente fosse un armeno triestino proveniente da Smirne, che il gruppo di edifici venisse considerato “il fortilizio dell’architettura italica a Trieste” contrapposto coi suoi motivi rinascimentali ai palazzi di sapore viennese del centro.

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L’antico frutto cinese: mangiamo le albicocche da 5000 anni. Dal “Giardino delle Delizie” alle marmellate di casa nostra (Ilgolfo24.it 18.06.21)

LE ALBICOCCHE IL TIPICO FRUTTO DELL’ESTATE. GLI ANTICHI ROMANI NE FACEVANO LARGO USO – SULL’ISOLA D’ISCHIA LE HANNO PORTE GLI ARABI / ECCO LA LORO STORIA / L’albicocco è una pianta quindi originaria della Cina nordorientale al confine con la Russia. La sua presenza vanta più di 5000 anni di storia. Da lì si estese lentamente verso ovest attraverso l’Asia centrale sino ad arrivare in Armenia (da cui prese il nome, ancora oggi in Liguria vengono chiamate in dialetto “Armugnin” e in dialetto veneto della bassa padovana vengono chiamate “armeini”) dove, si dice, venne scoperta da Alessandro Magno. Nel napoletano e sull’isola d’Ischia vengono chiamate “cosommole” I Romani la introdussero in Italia e in Grecia nel 70-60 a.C., ma la sua diffusione nel bacino del Mediterraneo fu consolidata successivamente dagli arabi: infatti “albicocco” deriva dalla parola araba al-barqūq

Ifrutti di stagione attirano sempre più la nostra attenzione, specie al loro primo apparire. Da secoli l’albicocca è il frutto, dopo l’uva, più coltivato e diffuso nelle campagne dell’isola d’Ischia. E’ il frutto gustoso per eccellenza dell’estate ischitana. Esso primeggiava dal ‘400 nel famoso Giardino delle delizie della Ninfea ai piedi della Torre di Michelangelo. Prim’ancora l’abicocca aveva il suo spazio ai tempi dei pithecussai per avercela portata i greci e gli arabi piantata in più punti dell’isola. La storia dell’albicocca ad Ischia ha cavalcato i secoli, le generazioni, le mutazioni agricole, la trasformazione dei terreni, l’industrializzazione, il mercato e l’uso ai giorni d’oggi per farne del’antico frutto gustosi derivati come la marmellata di albicocche, il liquore di albicocche, l’olio in cosmetica delle albicocche da spalmare sulla pelle ( raccomandato per le pelli secche e sensibili, grazie alla sua ricchezza di acidi grassi insaturi, questo olio ha forte potere penetrante).

Rende la pelle più elastica, e crostate di albicocche, macedonie e cascate di frutta in cui l’albicocca finisce sempre col figurare il frutto più appariscente ed invitante e quant’altro la fantasia dell’uomo riesce a creare. In pratica, le albicocche sono tra i frutti più amati dell’estate ad Ischia che entra fra soli tre giorni, il 21 giugno, e proprio in questa stagione sono utili per proteggere la nostra pelle che viene esposta al sole più a lungo rispetto ad altri periodi dell’anno. Il consumo di albicocche è diffuso soprattutto per il loro contenuto di fibre e di beta-carotene. La polpa delle albicocche è morbida e la loro buccia è vellutata e sottile. Le albicocche vanno mangiate e gustate direttamente con la buccia, proprio così come sono, e possono essere aggiunte alle macedonie, usarle come ingredienti per frullati, succhi fatti in casa e gelati, oppure per preparare delle confetture. Scopriamo quali sono le principali proprietà e i benefici per la salute di questi frutti davvero molto preziosi. Le albicocche sono un frutto ricco di vitamine, sali minerali e fibre.

Sono preziose per la pelle e per gli occhi, dato che sono una fonte da non sottovalutare di vitamina A e di vitamina C. Tra i sali minerali che le albicocche forniscono al nostro organismo troviamo potassio, calcio, ferro, fosforo e magnesio. Inoltre le albicocche sono una fonte preziosa di antiossidanti che sono necessari al nostro organismo per proteggere gli organi e i tessuti dall’azione dei radicali liberi. Le diete ricche di antiossidanti, tra cui troviamo i polifenoli e i flavonoidi, ci aiutano a combattere l’invecchiamento e a mantenere in salute l’apparato circolatorio. I carotenoidi contenuti nelle albicocche sono importanti per proteggere la vista, in particolare dai danni provocati dall’avanzamento dell’età. In particolare i carotenoidi ci aiutano a proteggere la retina, una delle parti più delicate dell’occhio. Le albicocche contengono anche catechine, dei flavonoidi che aiutano il nostro organismo a combattere le infiammazioni.

Non dobbiamo nemmeno sottovalutare la presenza di fibre solubili nelle albicocche che contribuiscono a mantenere sotto controllo il livello degli zuccheri nel sangue. Invece per quanto riguarda i semi di albicocca il dibattito è aperto tra chi li considera un potente anti-tumorale e chi mette in guardia dal loro consumo per via del contenuto di cianuro. Possiamo scoprire quali sono i valori nutrizionali delle albicocche consultando le tabelle dell’Inran. Dai dati disponibili sulle albicocche comprendiamo che questo frutto è considerato benefico soprattutto per il suo elevato contenuto di potassio. Infatti 100 grammi di albicocche fresche contengono 320 mg di potassio. Inoltre è utile sapere che le albicocche, come qualsiasi altro alimento di origine vegetale, non contengono colesterolo. Questo frutto è una fonte di acqua e di sali minerali. L’energia che le albicocche ci forniscono deriva soprattutto dagli zuccheri naturali che contengono. Le albicocche sono anche una fonte preziosa di vitamine con particolare riferimento alla vitamina A (360 microgrammi) e alla vitamina C (13 milligrammi) sempre con riferimento a 100 grammi della parte edibile delle albicocche fresche. Le albicocche sono un frutto molto leggero e poco calorico dato che 100 grammi di parte edibile di questi frutti freschi apportano al nostro organismo soltanto 28 calorie.

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