SYSTEM OF A DOWN, Serj Tankian: “Il ritorno della banda non riguarda le carriere, L’obbiettivo è raccogliere fondi umanitari” (Virginradio 04.12.20)

SYSTEM OF A DOWN, SERJ TANKIAN: “IL RITORNO DELLA BAND NON RIGUARDA LE NOSTRE CARRIERE, L’OBIETTIVO È RACCOGLIERE I FONDI UMANITARI”

Dopo 15 anni i System Of A Down hanno pubblicato due nuovi brani, Protect The Land e Genocidal Humanoidz. Se la band ha deciso di riunirsi in studio di registrazione è per un motivo ben preciso: raccontare, attraverso la musica, il conflitto scoppiato di recente tra l’Azerbaigian e l’Artsakh. I componenti dei SOAD hanno tutti origini armene, per questo motivo si preoccupano molto delle sorti del loro popolo e desiderano che tutti sappiano il dramma che queste persone hanno vissuto negli ultimi decenni e che stanno purtroppo vivendo ancora oggi, anche grazie all’appoggio della Turchia all’Azerbaigian.

Di fronte all’ennesimo violento attacco alla popolazione della Repubblica dell’Artsakh, i SOAD hanno così deciso di pubblicare queste due canzoni: il ricavato sarà interamente devoluto all’Armenia Fund. In una nuova intervista per NBC, Serj Tankian ha raccontato com’è nato questo progetto: “Non ha nulla a che vedere con il gruppo – ha detto – abbiamo deciso di fare tutto questo per attirare l’attenzione e poter così realizzare delle interviste e parlare delle ingiustizie e della catastrofe umanitaria provocata dall’Azerbaigian e dalla Turchia ai danni del popolo armeno dell’Artsakh. L’obiettivo è poi anche quello di raccogliere i fondi umanitari che adesso sono più che mai necessari. Quindi il progetto non riguarda la nostra carriera musicale, non riguarda la band, non riguarda noi, è qualcosa che si trova completamente al di là di tutto questo”.

L’impegno dei SOAD sta già dando i primi risultati: in circa dieci giorni, la band ha già raccolto circa 800mila dollari per questa causa ma non intende fermarsi qui. Nelle prossime settimane, infatti, i musicisti hanno intenzione di organizzare degli eventi di raccolta fondi e delle aste di beneficenza per raccogliere altro denaro da destinare all’Armenia Fund.

Nell’intervista Serj Tankian ha ricordato che la band ha sempre trattato temi politici nelle proprie canzoni e che non ha mai voluto diventare un gruppo da mainstream. Secondo il cantante, gli armeni nell’industria dello spettacolo possono contare anche su altre voci, non solo su quella dei System Of A Down: “Penso ci siano diversi artisti che si occupano della questione armena. Cher lo ha fatto, così come Kim Kardashian e tanti altri. Quando si parla del genocidio armeno, tutti gli armeni sono stati molto disponibili a provare a parlarne e a far crescere la consapevolezza su quanto sta accadendo – ha spiegato Tankian – penso che tutto questo abbia contribuito a ottenere un risultato importante nel 2019, quando il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto formalmente il genocidio degli armeni. Ma al di là del riconoscimento da parte della Casa Bianca, secondo me il problema non è solo ufficializzare quanto accaduto: il problema è la negazione del genocidio da parte della Turchia e dell’Azerbaigian che continuano a essere dei nemici e ad attaccare il popolo armeno in Artsakh, commettendo crimini di guerra che nessuno è mai riuscito a fermare”.

La comunità internazionale – ha proseguito – proprio come 105 anni fa, ci ha lasciati da soli di fronte a dei barbari atti di guerra, alle decapitazioni e ai mercenari provenienti dalla Siria e così via. Per questo motivo, secondo me il problema va oltre il riconoscimento del genocidio. Il problema è che non vengono realizzate azioni per far sì che non ci sia un altro genocidio. Il problema è che non possiamo più fare affidamento sulla comunità internazionale ma che possiamo contare solo su noi stessi. Siamo stati lasciati soli ed è stata davvero dura. In questo momento l’Armenia sta vivendo una catastrofe umanitaria, c’è il caos, le persone che sono state costrette a spostarsi non hanno più una casa nelle molte aree che in pochi giorni sono state consegnate all’Azerbaigian. Gli stessi nemici che stanno commettendo questi crimini di guerra – ha sottolineato – allo stesso tempo stanno facendo propaganda e disinformazione, stanno mentendo al mondo, facendo combattere le loro battaglie ai terroristi e all’esercito turco”.

Di fronte a questa drammatica situazione, Serj Tankian si sente impotente e per questo sta cercando di fare di tutto, insieme ai suoi compagni, per aiutare questa popolazione: “Sono più che commosso, sono arrabbiato – ha detto ancora – sono furioso e non so quali saranno i prossimi passi, ma noi armeni che ci troviamo in altre parti del mondo dobbiamo lavorare davvero duramente per fermare questa ingiustizia. Una cosa bella che ci è accaduta è che la diaspora ci ha reso attivi come mai prima, sia in termini di comunicazione e chiamate all’azione, sia per quanto riguarda la raccolta fondi. E non possiamo fermarci adesso – ha concluso, lanciando un appello – dobbiamo triplicare, quadruplicare i nostri sforzi per aiutare davvero a ricostruire l’Artsakh, per far sì che l’Artsakh venga riconosciuto e che la Turchia e l’Azerbaigian vengano sanzionati e processati per i loro crimini di guerra, per ricostruire così la nostra incatenata, vulnerabile ma trasparente democrazia”.

Vai al sito

Francia-Azerbaijan, tensione per Armenia/ “Riconoscere indipendenza Nagorno-Karabak” (Il Sussidiario 04.12.20)

Sia il senato che la camera dei deputati francesi hanno votato una risoluzione che chiede di riconoscere ufficialmente la Repubblica indipendente del Nagorno-Karabakh, territorio che proprio nelle ultime settimane è stato teatro dell’ennesima guerra tra Armenia e Azerbaijan, guerra che si è conclusa con la vittoria del secondo paese. Il territorio contestato, una piccola enclave all’interno dello stato islamico dell’Azerbaijan, è a maggioranza armena, e una precedente conflitto si era concluso con la vittoria armena. Oggi invece gli azeri hanno ottenuto di occupare parte dei territori del paese, infiltrandosi sempre di più in esso. Con questo voto a maggioranza schiacciante (in senato 305 sì, un solo no e 30 astensioni) la Francia è l’unico paese dell’Unione europeo a prendere una iniziativa decisa a favore degli armeni. Da tempo Parigi è schierata con essi (in Francia vive una grossa comunità armena di oltre mezzo milione di persone), sin da quando ha riconosciuto ufficialmente il genocidio del popolo ameno a opera della Turchia nel 1915, provocando le ire di Ankara. L’Azerbaijan, oggi, è apertamente sostenuto dalla Turchia che con il suo aiuto militare ha permesso la vittoria di questi ultimi.

L’ESPANSIONISMO NEO OTTOMANO

Ha spiegato il motivo del voto il senatore Bruno Retailleau: “se questo conflitto va oltre la sua dimensione locale, è a causa dell’impegno della Turchia, la partecipazione massiccia e decisiva della Turchia di Erdogan, nel nome di una politica espansionista neo-ottomana, nel nome di una politica nazional-islamista. Ed è una minaccia qui, come altrove nel mondo, contro la pace, e contro i nostri interessi.” L’Alto Karabakh è un’enclave Armena in Azerbaigian. Con un’azione militare rapida, Baku ha riportato agli inizi di novembre buona parte del territorio sotto il suo controllo. Le divisioni azerbaigiane si sono fermate solo dopo l’intervento diplomatico personale di Vladimir Putin e l’invio di truppe russe di interposizione a guardia di un piccolo corridoio tra il Karabakh e la Repubblica Armena. Non si è fatta attendere la reazione azera al voto del parlamento francese tramite il ministro degli esteri che ha dichiarato “Come si evince dal nome della risoluzione, i membri dell’Assemblea nazionale, che non hanno alcun contatto con la realtà, vogliono aggiungere delle sfumature religiose alla questione, cercando di presentare la loro posizione filo-armena con false giustificazioni”, si legge in una nota del dicastero. “L’Azerbaigian è uno Stato multinazionale e multiconfessionale, dove persone di diverse religioni e affiliazioni etniche vivono in armonia e pace come una famiglia”. Dichiarazioni tendenziose in quanto l’Azerbaijan è un paese a quasi totale maggioranza islamica. Subito dopo la fine del conflitto, nelle zone armene occupate, è infatti cominciato la distruzione di chiese e conventi peraltro di grande importanza storica e culturale, oltre che religiosa.

Vai al sito


LEGGI ANCHE

>>Erdogan ancora contro Macron: francesi devono mandarlo via il prima possibile (Il Sussidiario 04.12.20)

Nel Nagorno Karabakh per alcuni c’è l’esilio per altri il ritorno a casa (Internazionale 04.12.20)

Settimane di bombardamenti non sono bastati a far uscire i genitori di Irina Safaryan dal loro bunker nella città di Hadrut, nella parte sud del Nagorno Karabakh. Solo quando i soldati dell’Azerbaigian hanno raggiunto la periferia di quest’insediamento le famiglie armene hanno deciso di fuggire.

“Pensavamo di tornare nelle nostre case in tre o quattro giorni, al massimo in una settimana”, racconta Safaryan. Hanno lasciato a casa le foto di famiglia.

I combattimenti per il controllo di questo territorio separatista del Caucaso meridionale sono finiti questo mese, con Hadrut che è finita sotto controllo azero. “Nessuno si aspettava di lasciare il suo territorio e la sua casa, per sempre”, dice Safaryan.

Il Nagorno Karabakh dopo il cessate il fuoco -

Il Nagorno Karabakh dopo il cessate il fuoco

L’esodo degli armeni è lo specchio di un altro di trent’anni fa, quando seicentomila azeri fuggirono dalla prima guerra tra le due repubbliche post-sovietiche per il controllo del Nagorno Karabakh. Tra loro c’era anche Hagigat Hajiyeva. Anche lei aveva creduto di doversi allontanare solo momentaneamente dalla sua casa di Shusha, a meno di cento chilometri da Hadrut, quando era fuggita, nel 1992.

“Quando abbandonammo Shusha pensavamo che le cose si sarebbero calmate e che saremmo tornati”, dice Hajiveva. “Anche dopo l’occupazione armena della città, quando la mia famiglia si trasferì a Baku, la capitale dell’Azerbaigian, continuavamo a pensare che saremmo tornati presto. Ma non è mai successo”.

La vittoria dell’Azerbaigian sull’Armenia nella guerra di sei settimane per il Nagorno Karabakh ha trasformato in profughi decine di migliaia di abitanti armeni. Per i reduci della vecchia ondata di esuli azeri del Nagorno Karabakh, la conquista di questo territorio segna la fine della lunga attesa di un ritorno a casa.

Safaryan, 28 anni, spiega di far parte di una “generazione di guerra”: sia lei sia sua sorella sono nate nel bunker sotterraneo dove la loro madre ha trascorso buona parte del conflitto in questo territorio montuoso, tra 1988 e 1994. Alla fine della guerra la maggior parte della popolazione azera aveva dovuto lasciare il Nagorno Karabakh. La conquista, da parte degli armeni, del territorio che loro chiamano Artsakh, entrò a far parte delle storie che venivano loro raccontate da bambini.

“Guardavo sempre film e documentari, o leggevo libri, sulla guerra e la liberazione dell’Artsakh”, dice.

L’Azerbaigian aveva giurato che un giorno avrebbe riconquistato il Nagorno Karabakh, ma Safaryan era cresciuta sentendosi protetta dalle montagne e dai racconti sul coraggio degli armeni. “Geograficamente Hadrut è molto ben protetta ed era quasi impossibile da espugnare”, dice. “Il senso di protezione non mi ha mai abbandonata. Anche durante l’ultima guerra ero sicura al cento per cento che i nostri soldati avrebbero fatto qualsiasi cosa per vincere”.

La guerra degli anni novanta per il Nagorno Karabakh fu un’escalation di sentimenti nazionalisti che erano stati tenuti sotto controllo per decenni dal potere sovietico. “Armeni e azeri avevano vissuto insieme, ma non c’era fiducia reciproca”, spiega Safarayan. “Avevamo dei vicini, magari anche degli amici, ma la coesistenza non si fondava sulla fiducia”.

Pian piano, da un mese all’altro, le persone hanno cominciato a usare pistole e, dopo alcuni mesi, a lanciare razzi

Dalla sua casa di Baku, la settantaduenne azera Hajiyeva si ricorda di quando, ai tempi in cui l’Unione Sovietica cominciava a vacillare, gli armeni cominciarono a organizzare proteste nella regione. “Chiesi alla mia vicina armena per cosa stessero protestando, e lei mi disse che volevano più teatri e cinema”, ricorda. “Più tardi scoprimmo che volevano l’unificazione con l’Armenia”.

Alla fine degli anni ottanta ci fu un’escalation di violenze, e alla popolazione armena di Shusha fu ordinato di andarsene. “Abbiamo detto addio ai nostri vicini armeni senza rancori”, dice Hajieva. “Abbiamo persino guidato al loro fianco, scortandoli mentre uscivano dalla città”.

La donna pensava che le tensioni si sarebbero calmate, come solitamente accadeva in epoca sovietica. “Pian piano, da un mese all’altro, le persone hanno cominciato a usare pistole e, dopo alcuni mesi, a lanciare razzi”, dice.

“Un giorno gli armeni hanno persino lanciato una granata contro il cinema vicino a casa nostra, distruggendolo”, ricorda Hajiyeva. “Dopo quell’episodio abbiamo deciso di andarcene. Era troppo pericoloso vivere lì”.

La mattina del 27 settembre di quest’anno, Safaryan è stata svegliata dal suono delle esplosioni, vicino alla sua casa di Stepanakert, dove lavorava per il governo regionale. “Ho aperto le mie finestre e ho visto che tutta la città veniva bombardata”, dice.

I primi attacchi contro Hadrut avevano come obiettivo siti militari vicino alla casa della sua famiglia. “I miei parenti si sono svegliati e si sono resi conti che era iniziata la guerra”. I suoi genitori hanno trascorso le settimane successive nello stesso bunker dov’erano nate le ragazze. “Alcuni giorni non potevano neppure uscire a vedere il sole o a respirare un po’ di aria fresca”, dice Safaryan. “Sono stati giorni terribili, durissimi”.

La famiglia è stata trasferita da Hadrut a metà ottobre, due giorni prima che la città venisse conquistata dai soldati azeri. Un aumento delle spese militari, alimentate dai proventi petroliferi, in particolare per l’acquisto di droni turchi e israeliani, ha contribuito a far volgere in maniera decisiva il conflitto a favore dell’Azerbaigian.

“Tutta la strada dove siamo cresciuti e dove giocavamo è stata rasa al suolo dagli azeri”, dice. “Non hanno lasciato niente della mia infanzia. Alcune persone venute da lì ci hanno detto che hanno bruciato tutto”.

Tra i 1.170 soldati che, a quanto dice il governo armeno del Nagorno Karabakh, sono stati uccisi, c’erano vari ragazzi con cui è cresciuta.

I genitori di Safaryan adesso vivono con i nonni della ragazza, a Yerevan. “Per il momento sopravvivono, e nulla più”, dice. “Stiamo cercando di capire cosa fare”.

Sotto accusa
Dopo il 1994 il triste destino degli azeri sfollati dal Nagorno Karabakh nella prima guerra divenne una causa nazionale in Azerbaigian. Ma il senso di trovarsi alla deriva non è mai sparito, dice Hajiyeva. “Alcune persone ci chiedevano perché avevamo lasciato la nostra città”, ricorda. “Era come se ci accusassero di qualcosa. Ci sentivamo insultati, umiliati, diffidenti, perché eravamo stati costretti a lasciare la nostra città”.

Suo nipote Suleyman, di 25 anni, è nato dopo la fuga della famiglia, ma è cresciuto ascoltando le storie della vita della nonna a Shusha. Ha ripercorso il destino della casa di famiglia usando mappe satellitari e filmati della città presenti su internet. “La casa è sopravvissuta all’occupazione”, dice. “Ho sempre seguito alcuni abitanti armeni di Shusha sui social network per vedere cosa accadeva nella mia città”.

In realtà trasferirsi davvero in quella città potrebbe essere più difficile di quanto immagini. “I miei amici, il mio lavoro, tutta la mia vita è a Baku”, dice. “Ma ma mi sono preparato da sempre all’idea che, una volta a Shusha, ricomincerò la mia vita da zero”.

Hajiyeva dice che, dopo così tanti anni, non credeva più che sarebbe mai potuta tornare. “Ho pianto per ore quando ho sentito che Shusha era stata liberata”, dice. “È impossibile spiegare la sensazione a parola. Baceremo il terreno quando torneremo”.

Oltre confine, in Armenia, profughi come Safaryan hanno cominciato la loro lunga attesa di tornare a casa. “Mi sento come se non fossi più nessuno”, dice Safaryan.

“Era tutto quello per cui vivevo e lottavo: fare grandi progetti per Hadrut e ogni singola città o villaggio dell’Artsakh. E ora non c’è più nulla. Niente per cui lottare. E niente per cui vivere”.

Vai al sito

Genocidio armeno, in un libro le prove definitive (La Stampa 04.12.20)

Purtroppo lo sterminio degli armeni non è questione che appartenga al passato. È stato riconosciuto in quanto genocidio dal Papa, dall’Unione europea, dall’Italia e da una trentina di altri Paesi, ma la Turchia continua a negarlo. A provare la natura pianificata del genocidio arriva il libro “Killing orders. Il piano genocidario contro gli armeni” (Edizioni Angelo Guerini) di uno storico turco dissidente, Taner Akçam, che ha dovuto fuggire dal suo Paese per continuare a lavorare e a scrivere.
Il New York Times scrive di Akçam  come “Lo Sherlock Holmes del genocidio armeno” e la rivista Foreign Affairs, la più autorevole in assoluto nel settore della politica internazionale, dice che questo libro è “tra i migliori sul Medio Oriente”. Taner Akçam spiega di averlo pubblicato “nella speranza di eliminare l’ultimo mattone del muro del negazionismo”.
È dura la vita di chi vuol fare ricerca storica senza divieti in certi Paesi. Taner Akçam è stato arrestato per i suoi scritti già nel 1976 e condannato a dieci anni di reclusione per reati d’opinione; un anno dopo è riuscito a fuggire e a rifugiarsi in Germania e poi negli Stati Uniti, dove attualmente ha la cattedra di Studi sul Genocidio Armeno alla Clark University.

Il suo ultimo libro dimostra la natura pianificata dello sterminio armeno pubblicando i telegrammi di Talat Pasha, l’architetto del genocidio. Papa Francesco ha definito quello degli armeni come “il primo genocidio del XX secolo”; il fatto che sia rimasto impunito e negato ha contribuito a far sì che non fosse l’ultimo.

Taner Akçam, Killing orders. Il piano genocidario contro gli armeni, Edizioni Angelo Guerini, 312 pagine, 25 euro

Vai al sito

Perché Corbetta sostiene l’Azerbaijan? Di Giacomo Cella (Ticinonotizie 03.12.20)

CORBETTA – In questi ultimi mesi si è riacceso il conflitto tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karabakh. Stavolta però la sproporzione tra le forze in campo è devastante. Droni, soldati e supporto strategico sono stati forniti agli azeri dalla Turchia di Erdogan. Nulla possono contro le nuove tecnologie i soldati armeni, muniti ancora di vecchie armi e veicoli sovietici.

Ormai solo la fede e la coscienza di essere gli eredi di una delle più antiche comunità cristiane permettono al coraggioso popolo armeno di continuare a lottare. Tutt’attorno si è fatto nuovamente buio, nubi oscure sono riapparse all’orizzonte. Da una parte l’Arzerbaijan dall’altra la Turchia incombono minacciose. Gli incubi del passato sembrano ripresentarsi. Lo sanno bene i tantissimi armeni sparsi in tutto l’Occidente che nel secolo scorso dovettero abbandonare la propria terra natia, in una vera e propria diaspora, per salvarsi dal progetto di rimozione etnica e culturale perpetrato a inizio secolo da Atatürk, erede dell’Impero Ottomano e considerato il padre fondatore dell’odierna Turchia, e poi di nuovo nel corso degli anni 90 dall’Azerbaijan.

 

Adesso, lontani migliaia di chilometri dalla propria terra, gridano affinché coloro che considerano fratelli possano finalmente accorrere in loro aiuto e mettere una volta per tutte la parola fine alla loro triste vicenda. I fratelli di cui implorano l’aiuto siamo proprio noi occidentali. Il più delle volte però la loro voce rimane inascoltata.  Pensiamo infatti a come debbano sentirsi ad apprendere che anche in Italia ci sono comunità che appoggiano coloro che stanno distruggendo chiese e monasteri, simbolo della comune fede cristiana. È il caso dell’amministrazione di Corbetta, provincia di Milano, la quale nell’ultimo consiglio comunale tenutosi il 30 novembre ha approvato una mozione che incredibilmente prende le difese dell’Azerbaijan.

La causa non è del tutto chiara: perché proprio a Corbetta, è stata approvata una mozione del genere che nulla ha a che vedere con i propri abitanti? Questa domanda è legittima e se la stanno facendo tanti in paese. Per questo meriterebbe una risposta. Bisogna dire che la consigliera Elisa Baghin (firmataria della mozione) e il sindaco Marco Ballarini non hanno aiutato affatto a capirne il motivo. Anzi. Al contrario hanno sollevato ancora più dubbi. Hanno infatti sostenuto di esser dalla parte della pace in quell’area del Caucaso per poi però sostenere l’Azerbaijan, che da tempo mira ad annettere una volta per tutte il Nagorno-Karabakh. Il mistero si infittisce se si considera che proprio il sindaco Ballarini nell’ottobre 2019 si è recato personalmente in Azerbaijan, proprio nelle vesti di sindaco del Comune di Corbetta. Cosa spinge a negare la tragica storia armena della quale sono emblema proprio le comunità in diaspora che supplicano aiuto anche qui in Italia?

Infine, se si fosse voluta sostenere veramente la pacificazione dell’area perché non approvare – come proposto dal consigliere della Lega  Riccardo Grittini – una mozione effettivamente equidistante da entrambe le parti in guerra?

Tutto ciò meriterebbe una delucidazione.

Vai al sito


LEGGI ANCHE

Corbetta contro Armenia/2: ‘neppure Dio cancella la storia’. Di Emanuele Torreggiani

Novecento. Genocidio armeno: ecco le carte che inchiodano i turchi (Avvenire 03.12.20)

Lo storico turco Taner Akçam prova l’autenticità dei telegrammi con i quali Talat Pasha organizzò la sistematica e feroce soppressione del “millet” cristiano

Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, sorvegliati da soldati turchi armati. Kharpert, Impero Ottomano, aprile 1915.

Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, sorvegliati da soldati turchi armati. Kharpert, Impero Ottomano, aprile 1915. – WikiCommons

“Le prove sperdute dello sterminio”, così il New York Times definisce i documenti decifrati e pubblicati da Taner Akçam, storico turco che ha pagato anche con la reclusione le sue ricerche sulla strage dei cristiani tra 1915 e 1922, in Killing Orders. I telegrammi di Talat Pasha e il Genocidio Armeno. La versione italiana, pubblicata da Guerini e Associati (pagine 312, euro 25,00), è curata da Antonia Arslan, della quale pubblichiamo qui la prefazione.

Ho conosciuto Taner parecchi anni fa, a St. Paul, in Minnesota. Avevo sentito parlare di lui come di un uomo coraggioso, uno studioso turco che aveva sfidato il suo governo sul tema del Genocidio Armeno, era stato in prigione ed era riuscito a evadere, e ora insegnava a Minneapolis, la città gemella aldilà del Mississippi. Ero curiosa ed emozionata di poterlo conoscere. Ci incontrammo durante un piccolo convegno sull’Armenia organizzato da una bravissima collega proprio a St. Paul: e subito mi affascinò il suo aspetto di gentiluomo orientale, così somigliante ai miei zii di Aleppo e Damasco, con la stessa aria di bonomia sorridente e perbene, un vestire dignitoso e belle cravatte.

Piccoletto di statura, affabile e garbato, ma con un cuore da leone e un’anima d’acciaio: tempra che ha dimostrato in tutti questi anni, sopportando con serena ironia le continue malevole attenzioni del governo turco e riuscendo a portare a termine quest’ultima opera, che lui stesso ha definito, parlando con me mentre mi scriveva una dedica sul suo libro appena uscito negli Stati Uniti, la pistola fumante degli studi sul Genocidio Armeno.

È questo un lavoro meticoloso e accuratissimo, che ha affrontato e risolto il problema di un gruppo di documenti fra i più discussi nell’immensa mole di materiali fino a oggi pubblicati sulla tragedia del 1915-1922, e cioè i famosi telegrammi di Talat Pasha e di alcuni alti esponenti dell’amministrazione ottomana che il funzionario turco Naim Efendi vendette alla fine della guerra ad Aram Andonian, uno dei pochissimi intellettuali armeni che era sopravvissuto, grazie a una serie di fortunate circostanze. Naim Efendi aveva anche scritto brevi note per accompagnare e spiegare i documenti, che più tardi Andonian – pubblicandoli – avrebbe chiamato “Memorie di Naim Bey”.

Il governo di Turchia, impegnato da subito in un’operazione di negazionismo a tutto campo, riuscì col tempo, con un paziente lavoro di disinformazione, a screditare questi testi particolarmente scottanti, sicché fino a oggi anche gli storici più favorevoli alla causa armena evitavano di occuparsene. Ma – come scrive Akçam con molta ironia – «la verità ha la cattiva abitudine di venir fuori, alla fine»: e questo suo libro è basato sull’eccezionale scoperta di un importantissimo archivio, ricco di prove che convalidano e sostengono l’autenticità dei materiali forniti da Andonian. Si tratta di una massa di documentazione raccolta dal sacerdote cattolico padre Krikor Guerguerian, con l’intenzione di servirsene per un dottorato sul Genocidio Armeno. Egli non arrivò mai a completarlo, ma riuscì a costituire un imponente archivio, che è stato messo a disposizione del professor Akçam dal nipote Edmund Guerguerian nel 2015 (e oggi è tutto online, aperto agli studiosi).

Nei primi due capitoli – costruiti con precisione chirurgica e con un inesorabile acume da detective – Akçam accompagna il lettore, passo dopo passo, nella puntuale dimostrazione dell’assoluta veridicità dei telegrammi, attraverso la verifica accuratissima delle modalità di cifratura e una serie di controlli incrociati sui linguaggi usati, sulle firme dei mittenti e perfino sul tipo di carta impiegata. La sua analisi attenta e completa affronta la complessità di queste preziose carte con intelligente e meticolosa acribia: e a me sembrava di vederlo in azione, con la lente di Sherlock Holmes in mano e la saggia pazienza orientale dello studioso che sta seguendo un complicato filo d’Arianna e deve stare attentissimo a non spezzarlo.

Tutte queste verifiche approdano alla scoperta che – grazie anche ai nuovi materiali che integrano clamorosamente quelli già conosciuti – i telegrammi sono tutti veri: costituiscono appunto la pistola fumante, la prova indiscussa delle intenzioni genocidarie del vertice dei Giovani Turchi, e – in particolare – dell’accanimento organizzato nello sterminio di Talat Pasha e dei collaboratori da lui scelti.

Nel terzo capitolo, gli eventi e i personaggi menzionati da Naim Efendi vengono messi a confronto con documenti ottomani contemporanei, verificandone la veridicità e organizzandoli in un discorso coerente, che il lettore segue con passione e un senso di angoscioso stupore. Infine, le numerose appendici (i testi dei telegrammi e delle note di Naim Efendi e lettere estremamente significative finora sconosciute) portano altra legna al fuoco dell’indignazione e dello sgomento: ma quando arriva alla fine, oltre all’ammirazione per la sovrumana pazienza dello studioso–detective, anche l’onesto lettore si sente quasi un eroe, come se anche lui fosse partecipe di questa tardiva ma scintillante vittoria della verità.

Vai al sito

Nagorno, Putin loda premier armeno: l’accordo una scelta coraggiosa (askanews 02.12.20)

oma, 2 dic. (askanews) – Il presidente russo Vladimir Putin ha espresso apprezzamento oggi per il “coraggio” del primo ministro armeno Nikol Pachinian, criticato nel suo paese per aver accettato un cessate il fuoco che consacra la vittoria dell’Azerbaigian dopo sei settimane di guerra in Nagorno Karabakh.

L’accordo, firmato tra Baku e Yerevan sotto il patrocinio russo il 9 novembre, ha sancito importanti successi territoriali all’Azerbaigian ed è considerato catastrofico da molti armeni, che da allora hanno chiesto le dimissioni di Pashinian.

“Il governo armeno è stato costretto a prendere una decisione molto difficile ma necessaria”, ha detto mercoledì il presidente russo durante una riunione in videoconferenza dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CTSC), di cui la Russia e l’Armenia fanno parte. “Queste decisioni sono state dolorose e hanno richiesto coraggio personale da parte del primo ministro armeno”, ha continuato Putin, assicurando che il compito della Russia “è ora quello di sostenere il primo ministro e la sua squadra per organizzare una vita pacifica” in Nagorno Karabakh.

In base all’accordo del 9 novembre, l’Armenia si è impegnata a cedere tre distretti – Lachin, Kalbajar e Aghdam – che erano sfuggiti al controllo azero nel 1994. Questi distretti facevano parte di una zona cuscinetto attorno al Nagorno Karabakh, una regione montuosa popolata principalmente da armeni che si sono separati dall’Azerbaigian dopo una guerra negli anni ’90.

La firma dell’accordo è stata accolta male in Armenia ed ha scatenato diverse proteste nelle ultime settimane. Una parte dell’opposizione considera Nikol Pachinian un “traditore” e chiede le sue dimissioni. L’accordo ha tuttavia consentito la sopravvivenza del Nagorno Karabakh ed ha visto il dispiegamento di 2.000 peacekeepers russi responsabili in particolare di garantire la sicurezza del corridoio Lachin, che è diventato l’unica via di collegamento del Nagorno Karabakh con l’Armenia.

Vai al sito

L’ambasciatrice armena: “Mkhitaryan un campione e un orgoglio nazionale” (Il Romanista 02.12.20)

tifosi romanisti lo conoscevano, perché è da anni un giocatore di spessore internazionale, ma a vederlo da vicino e soprattutto a vederlo nel pieno della sua forma fisica, Henrikh Mkhitaryan ha letteralmente fatto innamorare Roma. Non ci è voluto molto, poi, per capire quanto il numero 77 giallorosso rappresenti anche al di là del rettangolo verde, perché, soprattutto in patria, Micki è molto più che un calciatore.

Capitano della selezione armena e star indiscussa per i suoi connazionali, Henrikh può essere considerato un giocatore atipico, non solo per la sua leadership in campo, ma anche per tutto quello che rappresenta al di fuori. «Mkhitaryan non solo eccelle nello sport, ma ha anche uno spiccato spessore intellettuale ed è una persona di altissimi valori etici e morali», spiega l’Ambasciatrice armena in ItaliaTsovinar Hambardzumyan, che da maggio 2020, dopo il gradimento espresso dal presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella è operativa nel suo ruolo diplomatico nel nostro Paese.

L’ambasciatrice armena in Italia Tsovinar Hambardzumyan

«È uno sportivo che parla sei lingue e ora sta imparando anche l’italiano. Basterebbe semplicemente prestare attenzione a Henrikh durante le partite allo stadio e vedere come lui interagisce con i suoi compagni di squadra e con gli avversari per notare subito le sue impeccabili caratteristiche umane e la sua alta preparazione professionale. Mkhitaryan è amato e apprezzato non solo da parte degli armeni che vivono in Armenia e nel mondo, ma anche dai tifosi in Germania, in Inghilterra, in Italia e in tutto il mondo. Come ambasciatore dell’Armenia in Italia, sono naturalmente molto felice che in questo momento Mkhitaryan stia giocando alla Roma. Il nostro Paese, il nostro popolo non possono che essere orgogliosi di avere un esponente come Mkhitaryan».

Ci può descrivere esattamente quello che rappresenta Mkhitaryan per il popolo armeno?
«È un professionista di alto livello ed è un individuo con altissimi valori morali che rappresenta al meglio l’Armenia e il popolo armeno nel mondo. Credo che sia molto importante il fatto che è proprio Mkhitaryan il miglior esempio di successo per i bambini armeni, con la sua saggezza, con le sue capacità professionali e con la sua umiltà. E non è casuale che sia stato nominato Ambasciatore di Buona Volontà dell’Unicef. Per noi è altrettanto importante che ovunque sia stato Henrikh e in qualunque squadra abbia giocato, non è mai diventato arrogante e non si è mai allontanato dalle proprie radici, ma è rimasto sempre legato alla sua patria e al suo popolo. Henrikh è il Capitano della nostra Nazionale. In un certo senso per me era naturale e prevedibile che, nei momenti più difficili per il popolo armeno, Mkhitaryan si sia schierato con il suo popolo. Nei giorni dell’aggressione turco-azera contro il Nagorno Karabakh Mkhitaryan ha più volte fatto degli appelli di pace, richiamando l’attenzione del mondo sulle violazioni dei diritti umani fondamentali».

Mkhitaryan si è adattato molto bene in Italia ed ha voluto fortemente rimanerci. Cos’hanno in comune i nostri due popoli?
«Secondo me non è solo Mkhitaryan che ama l’Italia, la città e la squadra giallorossa, credo che anche questo paese e questo popolo lo abbiano accolto molto calorosamente. Noi siamo un popolo caloroso ed emotivo, la freddezza e l’indifferenza non fanno per noi. Quindi penso che sia abbastanza naturale che Mkhitaryan si sia sentito a suo agio in questo paese ospitale. Abbiamo sempre parlato dei legami culturali, religiosi e storici tra i nostri popoli, del reciproco rispetto, della simpatia e dei valori condivisi. Ma devo ammettere che per la prima volta ho sentito questa vicinanza in modo così tangibile durante la guerra di settembre. Ho ricevuto e continuo a ricevere moltissimi messaggi e lettere di solidarietà da parte del popolo italiano. Questa straordinaria solidarietà è il frutto dei rapporti tra i nostri due popoli che sono stati costruiti, passo per passo, nel corso dei secoli e non potranno mai essere distrutti. Non sono come i rapporti o i contratti commerciali che possono essere negoziati e firmati in pochi anni. Sono fiera di lavorare proprio in questo paese, dove il valori morali sono sempre considerati più importanti degli interessi materiali, soprattutto nei momenti così drammatici. I nostri due popoli sono legati da profonda vicinanza culturale e religiosa e hanno una storia di rapporti lunghi e complessi da raccontare. Il patrimonio culturale armeno è presente in tutto il territorio nazionale italiano, dal Nord al Sud. Il primo libro in lingua armena fu pubblicato nel 1512 a Venezia. Il primo Catolicos, il Patriarca della Chiesa Apostolica Armena, San Gregorio Illuminatire, è venerato anche in Italia e le sue reliquie sono custodite presso le Chiese di San Gregorio armeno di Napoli e di Nardò. L’isola di San Lazzaro a Venezia è uno dei centri della rinascita della cultura armena nei tempi moderni e uno dei massimi centri culturali e scientifici, dotato di una biblioteca di straordinaria ricchezza. Sul territorio italiano sono numerose le chiese e i santuari armeni, molti dei Santi della Chiesa armena sono venerati in Italia e sono considerati i protettori di tante città italiane».

Ha avuto modo da quando Mkhitaryan è arrivato a Roma di conoscerlo?
«Ho iniziato la mia missione di Ambasciatore a Roma pochi mesi fa e, purtroppo, per note ragioni ho avuto un’agenda lavorativa molto impegnata, lavorando anche nei weekend. Non ho ancora avuto la possibilità di incontrare Mkhitaryan di persona. Spero che prossimamente le condizioni epidemiologiche migliorino per permettere a tutti i tifosi di Mkhitaryan – e anche a me – di andare allo stadio e a tifare per Mkhitaryan e per il suo club. A dire il vero, l’ultima volta che ho visitato lo Stadio Olimpico è stato 12 anni fa per assistere alla partita Roma-Milan. Ero appena arrivata in Italia per motivi di studio e non conoscevo bene la mentalità del calcio italiano. Non sapevo che non si può vivere a Roma, andare allo Stadio Olimpico e tifare per il Milan (ride, ndr). Naturalmente, Mkhitaryan mi ha fatto cambiare le mie preferenze. Ma, per essere sincera, devo dire che fino ad oggi amo anche il Milan. Quindi, anche se ancora non ho avuto l’opportunità di assistere alle partite di Mkhitaryan a Roma, in Armenia ho assistito diverse volte alle partite della Nazionale armena con la partecipazione di Mkhitaryan».

Com’è la situazione in Armenia in questo momento? Che prospettive ci sono nel breve e nel lungo periodo?
«Come sapete, a partire dal 27 settembre l’Azerbaigian, in alleanza con la Turchia, ha iniziato una guerra su vasta scala contro l’Artsakh (Nagorno-Karabakh) devastando la popolazione armena e il suo secolare patrimonio culturale. È stato possibile raggiungere accordi di cessate il fuoco con la mediazione dei copresidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce, Francia, Russia e Stati Uniti, ma gli accordi non sono stati osservati dall’Azerbaigian. Poi, il 10 novembre, con la dichiarazione congiunta dei leader di Russia, Armenia e Azerbaigian, è stato possibile raggiungere un cessate il fuoco e in Nagorno-Karabakh sono state dispiegate le forze di peacekeeping russe. Ora ci attende non solo la fase della soluzione dei problemi sorti a causa della guerra, ma anche l’inizio della fase dei negoziati per la soluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh. Nei territori passati sotto il controllo dell’Azerbaigian a seguito della guerra, continuano atti di vandalismo nei confronti dei monumenti del patrimonio storico, culturale e religioso armeno. È un problema importante che dev’essere affrontato ed è ancora più importante impedire il proseguimento di simili atti di vandalismo».

In una situazione così difficile come quella attuale quale contributo può dare lo sport attraverso i suoi messaggi?
«Io credo che lo sport renda il mondo un posto migliore. Quando ero piccola, ancora andavo a scuola e nei primi anni da studente, sognavo che nella vita le cose fossero come nello sport, che ci fossero delle gare, degli avversari e degli arbitri che garantissero l’equità dei contendenti e che dopo le gare gli avversari si abbracciassero e se ne andassero serenamente ognuno per la propria strada. Credo che la diplomazia sportiva possa contribuire alla creazione di nuove opportunità attraverso lo sport. Non è un caso che in passato durante i Giochi Olimpici si fermavano tutti i conflitti e tutte le guerre dando la possibilità di guadagnare tempo e di tentare di risolvere i problemi pacificamente. Nel 2008, la cosiddetta “football diplomacy” ha segnato l’inizio di un processo di normalizzazione delle relazioni armeno-turche. Tuttavia, in seguito, a causa della politica della Turchia, questo processo è stato fermato». Quanto è importante lo sport nel vostro paese, a che punto è il livello di crescita?
«In Armenia si dà grande importanza allo sviluppo dello sport, che, senza dubbio, contribuisce alla buona salute del corpo e dell’anima umana. Dopo l’indipendenza, grazie alle tradizioni sportive e al talento sportivo degli armeni coltivato durante gli anni sovietici, gli alteli armeni continuarono ad avere successo nelle gare internazionali. In Armenia, c’è un’attenzione particolare per gli scacchi, che sono una materia obbligatoria nelle scuole pubbliche. Sono molto coltivati gli sport come il sollevamento pesi, il pugilato, la lotta, le arti marziali e in queste categorie sportive l’Armenia ha sempre vinto medaglie importanti nelle gare internazionali. Attualmente si sta lavorando molto anche per lo sviluppo del calcio. Di recente, la Nazionale si è aggiudicata la vittoria nel secondo girone del divisione C dell’Uefa League of Nations. Mi auguro che il calcio armeno registri nuovi successi nel prossimo futuro».

Sono tempi duri in tutto il mondo per la gestione dell’epidemia da Covid-19. Come sta andando la gestione in Armenia?
«Purtroppo l’Armenia in questo caso non fa eccezione e, come tutto il resto del mondo, sta combattendo contro la pandemia da coronavirus. Per noi è un periodo particolarmente difficile, perché dobbiamo lottare su due fronti: contro la pandemia e sul campo di battaglia, in una guerra che è stata scatenata nonostante l’appello globale del Segretario generale delle Nazioni Unite di mettere fine a tutte le ostilità durante la pandemia. Spero che sia possibile superare la diffusione del virus e passare a una vita normale in un prossimo futuro. A questo proposito vorrei ricordare che qualche giorno fa la Bbc ha comunicato la notizia che le sperimentazioni cliniche del vaccino anti-covid sviluppato dalla società “Moderna”, fondata e presieduta da un armeno, Nubar Afeyan, hanno dimostrato un’efficenza del 95%».

Come ha accolto la recente iniziativa benefica della Roma di donare capi di abbigliamento e materiale sportivo all’ambasciata armena per farli recapitare ai tifosi del Roma Armenia Giallorossi Fan Club?
«Ringraziamo la Fondazione Roma Cares dell’AS Roma per la decisione di fare una donazione di capi di abbigliamento sportivo ai tifosi della Roma in Armenia nei primi giorni della guerra. È un gesto di buona volontà che è stato molto apprezzato. Noi consideriamo questa donazione, che è già arrivata in Armenia, come una manifestazione di vicinanza e di reciproca simpatia tra Mkhitatryan e la Roma, ma sappiamo anche che la Roma è da sempre impegnata in iniziative benefiche e sociali».

Vai al sito

++Clamoroso a Corbetta (come al Cibali..), l’Amministrazione Ballarini vota documento pro Azerbaigian (e Turchia) contro l’Armenia. Insorge Grittini (Lega) (Ticinonotizie 02.12.20)

CORBETTA – “Lunedì sera in Consiglio Comunale a Corbetta, la maggioranza e il sindaco Ballarini si sono schierati con l’Azerbaigian, alleato della Turchia e compiacente coi jihadisti arrivati in quei territori dalla Siria. Noi della #Lega sappiamo da che parte stare: viva l’Armenia e il popolo armeno. Giù le mani dal Nagorno-Karabakh”.

Con questo post su Facebook il consigliere comunale d’opposizione della Lega, Riccardo Grittini, ha reso nota l’ennesima (a nostro avviso) scelta balzana avvenuta nel comune di Corbetta, retto dal sindaco Marco Ballarini.

La vicenda cui fa cenno Grittini, e su cui poi torneremo, è sicuramente controversa e frutto di tensioni in atto da secoli. Ma leggere nero su bianco il documento proposto dal consigliere Elisa Baghin, nella sua veste di responsabile delle politiche comunitarie (una sorta di ‘ministro degli Esteri’, in pratica…), sinceramente fa sobbalzare.

Corbetta, come giustamente dice Grittini, è il primo Comune dell’area metropolitana che a noi risulti abbia sostenuto APERTAMENTE l’Azerbaigian nella recente guerra in Nagorno Karabakh contro il popolo armeno. La mozione recita come titolo ‘rispetto per la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica dell’Azerbaigian’.

 

Repubblica sostenuta apertamente dalla Turchia del presidente Erdogan e da frange dell’islamismo radicale, prima della tregua firmata a novembre con la mediazione della Russia (il conflitto è cominciato il 27 settembre scorso). Repubblica che ha preso di mira simboli cristiani, chiese, monumenti e fedeli, riaprendo la ferita sanguinaria del genocidio armeno ad inizio del Novecento, che la Turchia (e quindi larga parte del mondo islamico mediorientale) ha SEMPRE NEGATO.

La cosa più incredibile, e a tratti farscesa, è che la maggioranza di Marco Ballarini sia sostenuta da un partito che si chiama RIVOLUZIONE CRISTIANA, la quale nulla ha avuto da ridire nell’assistere a un voto in cui si prende APERTAMENTE PARTE di una fazione islamica vicina al radicalismo, nel momento in cui Erdogan e la Turchia stanno attuando una politica di espansionismo neo ottomano sotto gli occhi (spesso chiusi, o strabici) dell’Europa e del mondo.

Che questo sia accaduto a Corbetta, dove da 4 anni governa una sorta di centrodestra (senza Lega e senza Fdi) che in un momento così delicato, dal punto di vista geopolitico, si schiera apertamente con un governo islamico opposto a una minoranza che subisce sulla propria pelle la violenza anti cristiana (e non certo, e purtroppo, solo da oggi).

E’ incredibile. O forse no. Perché a Corbetta (in questi anni) è accaduto questo. E non solo. Al momento, si è schierato con la Lega e il duro intervento pronunciato da Grittini in Consiglio comuale il movimento Una voce nel Silenzio, che supporta da anni le popolazioni cristiane oggetto di violenza e sopraffazione in ragione della propria fede religiosa.

Fabrizio Provera

Vai al sito

“Battaglia per la difesa dei diritti umani” (quinewsvaldicornia.it 02.12.20)

Genocidio del popolo armeno, approvato in Consiglio l’ordine del giorno presentato dalla consigliera con delega alle Pari Opportunità Roberta Casali

SAN VINCENZO — “Piena solidarietà al popolo armeno nella sua battaglia per la verità storica e per la difesa dei diritti umani”. Questo il messaggio espresso dall’ordine del giorno presentato a firma del gruppo San Vincenzo c’è in occasione dell’ultimo Consiglio comunale e illustrato dalla consigliera con delega alle Pari Opportunità Roberta Casali.

Un ordine del giorno approvato con i voti favorevoli di tutti i consiglieri che verrà trasmesso al ‘Consiglio per la comunità armena di Roma’ affinché venga così inviato alla Direzione del Memoriale del genocidio di Yerevan. Il nominativo del Comune di San Vincenzo sarà quindi inserito nella lista dei ‘Giusti’ per la memoria del Metz Yeghern (il Grande Male) insieme a tutti gli altri che hanno adottato simili soluzioni. Così ha spiegato il Comune in una nota.

Con il termine genocidio armeno si intendono infatti le eliminazioni e le deportazioni di armeni perpetrate dall’impero ottomano tra il 1915 e il 1916, che causarono circa 1,5 milioni di morti. Tale dramma storico è stato riconosciuto come genocidio dalla stessa Corte Marziale ottomana nel 1919, dalla Sottocommissione per i diritti umani dell’Onu nel 1973 e nel 1986, dal Parlamento europeo nel 1987, dal Parlamento italiano il 17 novembre 2000 ed è stato ribadito con nuova risoluzione di riconoscimento in data 10 aprile 2019.

Un ordine del giorno, dunque, volto a rendere la cittadinanza partecipe del sentimento di solidarietà e a far sì che l’opinione pubblica approfondisca il dramma del popolo armeno affinché tali tragedie della storia siano di monito soprattutto alle giovani generazioni. Inoltre Letizia Leonardi, che ha tradotto in italiano Mayrig, opera di Henri Verneuil che rievoca l’infanzia di un piccolo emigrato armeno, regalerà quattro copie dello stesso libro alla biblioteca scolastica dell’Istituto comprensivo Mascagni.

Vai al sito