Siria, sacerdote armeno cattolico: le grandi potenze facciano pressione su Ankara (Vaticanews 14.10.19)

Intervista a monsignor Antranik Ayvazian, sacerdote armeno cattolico che opera tra Hassaké e Qamishli. Mentre prosegue l’operazione militare turca nel nord-est della Siria, chi scappa dalla zona dei combattimenti – spiega – ha bisogno di cibo, vestiti, materassi, coperte, perché è in arrivo la stagione fredda. Ad aggravare la situazione, la fuga di centinaia di jihadisti

Giada Aquilino – Città del Vaticano

L’Unione Europea “condanna l’azione militare della Turchia che mina seriamente la stabilità e la sicurezza di tutta la regione”. Queste le conclusioni del Consiglio degli Affari Esteri a Lussemburgo, in cui si sancisce anche “l’impegno degli Stati a posizioni nazionali forti rispetto alla politica di export delle armi” verso Ankara. Richiesto inoltre un “incontro ministeriale della coalizione internazionale contro Daesh”. Ciò che “possiamo fare è esercitare tutta la pressione possibile per porre fine all’azione” turca, aveva detto a inizio lavori il capo della diplomazia spagnola Josep Borrell, futuro Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue. Circa un embargo dei Paesi membri alle esportazioni di armi verso la Turchia, Borrell aveva spiegato come fosse “difficile raggiungere accordi unanimi”, perché prevalgono intese “Paese per Paese”.

Profughi e assistenza umanitaria

Sul terreno, i curdi siriani hanno annunciato un accordo con il regime di Bashar al-Assad per il dispiegamento dell’esercito nelle zone di combattimento, al fine di impedire l’avanzata turca.

La testimonianza

L’assistenza che è stata fornita finora “è abbastanza”, ma “nei giorni prossimi quando arriveranno altre persone non sappiamo se basterà, sicuramenti ci sarà bisogno di altri aiuti” spiega a Vatican News monsignor Antranik Ayvazian, sacerdote armeno cattolico del nord-est della Siria, responsabile della comunità armena cattolica locale, che opera tra Hassaké e Qamishli.

L’intervista a monsignor Antranik Ayvazian

R. – La gente del nord-est aveva saputo dell’invasione prima che questa iniziasse (mercoledì scorso, ndr) e aveva quindi lasciato le case, prendendo solo il necessario per sopravvivere. L’indomani, il giovedì, purtroppo i nostri figli curdi hanno sparato sul confine e c’è stata una risposta che ha colpito un quartiere cristiano: una famiglia cristiana, siriaca, la mamma e tre figli sono rimasti uccisi. Adesso c’è un’ondata di profughi diretta verso Hassaké e Qamishli.

Come sono accolti i profughi in arrivo in quelle zone?

R. – Sono accolti nelle scuole che appartengono allo Stato e anche noi, come Chiese cattoliche e ortodosse, abbiamo aperto i nostri istituti. Ieri dai nostri depositi, in collaborazione con l’Unicef e altre organizzazioni internazionali, abbiamo mandato biscotti ricchi di vitamine per i bambini e per le donne incinte. Abbiamo mandato tutto ciò che avevamo per dare aiuto a questa gente.

L’Onu ha lanciato un allarme per i prossimi giorni, per le persone che avranno bisogno di assistenza umanitaria…

R. – L’Onu era già presente lì, sul posto. Finora si era parlato di almeno 130 mila persone. Quello che hanno fatto è abbastanza per ora, ma nei giorni prossimi quando arriveranno altre persone non sappiamo se basterà, sicuramenti ci sarà bisogno di altri aiuti. Al momento, abbiamo accolto tutti nelle scuole, nelle chiese, attraverso un coordinamento tra le Nazioni Unite e gli organismi locali.

Cosa raccontano queste persone che arrivano?

R. – Raccontano la paura. C’è un clima di paura terribile anche nelle città. Ad esempio, a Qamishli, hanno chiesto se casomai si dovesse lasciare la città ed andare via perché siamo a poche centinaia di metri dal confine tra Siria e Turchia! Noi abbiamo incoraggiato la gente, abbiamo detto di non aver paura. Da ieri l’esercito siriano ha oltrepassato il fiume Eufrate: questa mattina era solo a 23 km dal confine.

Ci sono notizie di fuga di miliziani dell’Is, almeno 800. Sono notizie confermate?

R. – Gli americani hanno lasciato sette basi nella regione. In una di queste, c’era una prigione dove avevano messo centinaia per non dire migliaia di affiliati all’Is: circa 870 sono fuggiti. Poi, al confine con l’Iraq, dove i profughi che oltrepassano la frontiera sono almeno in 70 mila, anche lì la gente fugge, soprattutto donne jihadiste.

Si assiste ad un mosaico di forze diverse in campo…

R. – Ci sono anche francesi, britannici, polacchi, c’è di tutto! Questo Paese è stato configurato come senza sovranità.

Il Papa all’Angelus ha pregato per le popolazioni locali, tra cui molte famiglie cristiane. Ha invocato un dialogo sincero, onesto e trasparente per la Siria. È possibile?

R.- Sì, quando non c’è interferenza straniera. Ma se le grandi potenze prendessero una decisone molto diretta verso il potere ad Ankara affinché lasciasse il Paese, io dico che non ci sarebbero più problemi nella regione.

Proprio di fronte a questo flusso di persone che arriva verso Hassaké e Qamishli, di fronte alle vittime, qual è la cosa più urgente che serve alla popolazione locale?

R. – Per ora un alloggio e il necessario per vivere. Poi vedremo. Adesso cibo, vestiti, materassi, coperte, perché arriva l’inverno. Questo è ciò che è necessario e speriamo che tutto questo non duri a lungo.

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Ani, metropoli tra Turchia e Armenia (Giornale di Sicilia 14.10.19)

Viaggi

© ANSA

ANI (TURCHIA) – “Lasciatemi vedere Ani prima di morire”, chiedeva in una delle sue opere più famose Hovhannez Shiraz, il poeta del popolo armeno. Le rovine di Ani, capitale dell’impero bagratide (l’antica Armenia) dopo un millennio resistono pochi metri oltre il confine ma non sono raggiungibili: la frontiera tra Turchia e Armenia è ancora chiusa e anche i flebili sforzi diplomatici degli anni scorsi sembrano essersi arenati. È la conseguenza più concreta del genocidio armeno di un secolo fa, quando i turchi deportarono a morte dall’est dell’Anatolia oltre un milione di persone. Anche il padre di Hovhannez fu ucciso dai turchi, nel 1920, durante la guerra di invasione dell’Armenia. E così Ani, il simbolo della grandezza armena, per decenni è rimasta dimenticata nella desolata steppa della Turchia orientale. Un sito archeologico di importanza straordinaria, che in silenzio ha combattuto contro l’oblio, mantenendo in piedi i suoi monumenti più importanti. Nel 2016 è arrivata la possibile svolta: Ani, “la città delle 1.001 chiese”, “la culla della civiltà”, “la città del mondo”, a seconda del soprannome che si preferisce, è stata inserita nella lista dei patrimoni Unesco per l’umanità. Il risultato è un boom di visitatori e turisti.
Nei primi sei mesi del 2019 sono arrivati in 70mila, in un trend in continua crescita: sono numeri importanti perché arrivare fino al confine con l’Armenia, a 50 chilometri dalla prima città degna di questo nome – Kars – non è per tutti, ma regala un’esperienza indimenticabile.
Ani sorge sull’ultimo lembo di terra turco e una parte degli scavi sconfina in territorio armeno (i due Stati sono divisi solo da un fiume). Intorno, in sostanza, non c’è nulla. La steppa è una pianura senza fine, interrotta da piccoli villaggi, campi coltivati, mandrie di mucche e soprattutto oche, la specialità del menu del luogo, che passano la giornata attraversando la strada. Via che si interrompe di fronte alle mura della città, ricostruite e decisamente poco affascinanti.
Dietro, però, si apre una visione così insolita che non può lasciare indifferenti. Ani, un insediamento antico tremila anni, ha attraversato almeno una decina di imperi e ha vissuto il suo periodo più felice durante il periodo armeno, tra il 961 e il 1046, e quello bizantino (1046-1064), prima di cadere in mano araba. La città era una tappa fondamentale sulla via della Seta e proprio il mutare degli itinerari ne determinò il declino in un paio di secoli. Da allora la città è rimasta immutata. E così dietro le mura, a distanza di centinaia di metri l’una dall’altra, sono rimasti in piedi i monumenti di una capitale che doveva essere immensa e brulicante di persone (gli abitanti superarono quota 100mila).
Le chiese armene sono le più affascinanti. La cattedrale, disegnata da Trdat, il più importante architetto armeno dell’epoca, e conclusa nel 1001, con la sua affascinante cupola crollata che dà verso il cielo. La chiesa di san Gregorio, dove le decorazioni sembrano essere state completate ieri e gli affreschi raccontano la vita dei santi cari alla chiesa ortodossa. E soprattutto, la chiesa del Redentore, che è diventata il simbolo della città: datata 1035, la sua forma circolare, con otto absidi all’interno, la rende assolutamente unica e indimenticabile. Nel 1955 un fulmine l’ha aperta in due, facendone crollare una metà, mostrando la fragilità di questo sito che da mille anni convive, e resiste, all’avanzare della natura e del tempo.

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Matteo Salvini: “Turchia mai nella Ue” (Haffingtonpost 13.10.19)

“Chiedo che vengano fermati i finanziamenti europei e italiani alla Turchia”. A dirlo Matteo Salvini a ‘Mezz’ora in più’ su Rai3, a proposito dell’attacco turco in Siria.

Salvini continua: “Non bastano gli appelli, va cancellata qualsiasi ipotesi di adesione della Turchia nell’Unione europea. Non possiamo cedere al ricatto dei migranti, l’Europa dovrà difendere i suoi confini”.

Il leader della Lega ricorda: “Un secolo fa il massacro, il genocidio degli armeni ad opera dei turchi, dell’Impero Ottomano. Può essere paragonato a quello che succede ora, mettendo al posto degli armeni i curdi”.

Salvini poi spiega: “Se questo governo porta documento efficace che ferma finanziamenti alla Turchia e adesione Turchia in Europa, io lo voto. Bisogna fermare i finanziamenti italiani ed europei al regime turco”.

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Armenia chiama Italia: +47% negli scambi e Sarkissian riceve gli imprenditori italiani (Sputniknews 13.10.19)

La due giorni della delegazione imprenditoriale italiana a Yerevan servirà ad individuare ed analizzare nuove possibilità di business nel paese caucasico. I presupposti ci sono: negli ultimi anni l’intescambio tra Italia e Armenia è cresciuto di pari passo con l’intensificazione del dialogo politico tra i due paesi.

Una delegazione di imprenditori affiliati a Confindustria Russia, guidata dal presidente Ernesto Ferlenghi visiterà la capitale dell’Armenia, Yerevan, il 14-15 ottobre. Lo scopo principale della visita sarà l’incontro con il presidente armeno Armen Sarkissian, nell’ambito del quale verranno discusse le prospettive di cooperazione commerciale e industriale tra Italia e Armenia.

Oltre all’incontro con il presidente armeno, nel programma è fissata una serie di colloqui con rappresentanti del business europeo ed italiano attivi nel paese e la visita al centro di formazione e ricerca sulle tecnologie digitali creative Tumo di Yerevan.

Italia-Armenia, interscambio in crescita

Secondo i dati diffusi da Confindustria Russia, l’interscambio tra Italia ed Armenia è cresciuto sensibilmente nel corso degli ultimi anni: l’ultima rilevazione, datata 2018, ha certificato che l’interscambio tra i due paesi ha raggiunto i 183 milioni di euro, in crescita rispetto ai 150 milioni di euro del 2017 ed i 125 milioni di euro del 2016. Cifre alla mano, si tratta di una crescita del 47% negli ultimi due anni, che risulta ancora più repentina se paragonata al valore dell’interscambio fra Armenia e Italia risalente all’anno 2000, che era di 99 milioni di euro.

Alla luce di questa tendenza positiva nella dinamica degli interscambi tra i due paesi è ora estremamente importante compiere ogni sforzo per consolodarla, nonché per cercare nuove aree di interazione tra imprese italiane e armene. Il dialogo bilaterale avviato dai nostri leader politici, che solo nell’arco dei ultimi 15 mesi si sono visti gia tre volte (nel giugno 2018 a Yerevan, nel novembre 2018 e nel settembre 2019 a Roma), certifica il reciproco interesse tra Italia e Armenia ed è ora necessario che questo dialogo attivo prosegua a livello di rappresentanti dei circoli aziendali – afferma il presidente di Confindustria Russia, Ernesto Ferlenghi.

L’Armenia attualmente e fino a fine 2019 è presidente di turno dell’Unione Economia Euroasiatica, alleanza fondata sulla base di una unione doganale e di un unico spazio economico, di cui fanno parte anche Bielorussia, Kazakhstan, Kirgyzstan e Federazione Russa. L’Unione Economica Euroasiatica ha in vigore accordi di libero scambio con Vietnam, Cina, Iran e Cuba.

Confindustria riunisce circa 150.000 aziende italiane nel mondo. All’interno della Federazione Russa, Confidustria Russia opera per lo sviluppo di rapporti di cooperazione tra le aziende italiane e russe, la creazione di joint-venture ed il trasferimento di know how tecnico ed imprenditoriale. I settori di maggiore attività sono meccanica, costruzioni, energetica, alte tecnologie, alimentare.

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Turchia – Siria. Per i cristiani l’incubo di una nuova persecuzione (Sanfrancesco 11.10.19)

Nella partita che si gioca nel Nord siriano, dove la Turchia ha lanciato un’offensiva militare contro i curdi, vengono spesso dimenticati altri “perdenti”: i cristiani. È difficile fornire delle statistiche precise circa l’attuale presenza cristiana nei territori governati dalle milizie curde. Prima della guerra siriana, si contavano comunità cristiane in tutte le principali località: 1.500 famiglie a Raqqa, metà delle quali greco-ortodosse; mille a Tall Abyad, in particolare armene; 300 a Tabqa (al-Thawra); 150 a Deir ez-Zor, principalmente siro-ortodosse, ma anche latine, siro-cattoliche e armene; senza contare le decine di migliaia di cristiani che popolavano le città di Hassaké e Qamishli, nel nordest, e tutta la Valle del Khabur con i suoi 35 villaggi assiri.

Di questa presenza la fondazione tedesca Konrad Adenauer ha tracciato di recente situazione e prospettive in un dossier di 92 pagine che mette in guardia dalle conseguenze di un intervento turco, che sarebbe l’ultimo anello di una serie di sventure che hanno costretto i cristiani all’esodo.

La più dura è stata l’avanzata del Daesh che è riuscita, tra il 2014 e il 2017, a spazzare via buona parte di queste comunità, specialmente nella parte centrale, da Tall Abyad a Raqqa. A Tabqa vivono oggi solo cinque famiglie siro-ortodosse, mentre a Deir Ezzor i cristiani esitano a fare ritorno nonostante la celebrazione, nel febbraio 2018, della prima Messa post-liberazione. In fondo, quei cristiani si definiscono come i “figli dei sopravvissuti”, scampati o al genocidio degli armeni e dei siriaci in Turchia oppure al massacro degli assiri in Iraq.

Il precedente dei cristiani di Afrin, “liberata” dai turchi l’anno scorso, è presente agli occhi di tutti. Tra le truppe dell’Els entrati nel cantone a fianco dei soldati di Ankara c’erano gruppi radicali islamici e addirittura jihadisti. Risultato: i cristiani sono fuggiti verso Kobane dove si contano oggi 300 cristiani, tutti presumibilmente curdi convertiti dall’islam.

La presenza massiccia di cristiani si registra comunque nell’estrema parte nordorientale della Siria. Il vescovo siro-cattolico, monsignor Jacques Behnan Hindo, parla di 5.000 famiglie nella sua diocesi di Hassaké-Nisibi. «In molti si erano già spostati dalle località di frontiera. Ora che il conflitto è diventato più grave temo che saranno in tanti ad emigrare».

Qualcuno cercherà di opporsi al destino con le armi. Tra le milizie che compongono le Forze democratiche siriane (Fds) fanno parte quella del Partito dell’unione siriaca e una sezione femminile detta Forze di protezione delle donne di Bethnarain. Una forza stimata tra 400 e 1000 combattenti cui si aggiunge una forza di polizia, detta Sutoro.

Camille Eid – Avvenire

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Chi sono i curdi, storia di un popolo e di uno Stato mai nato (Skytg24 10.10.19)

Sono circa 35 milioni e vivono nel Kurdistan, a cavallo tra Turchia, Iraq, Siria, Iran e Armenia. Dopo la prima guerra mondiale venne disattesa la promessa degli alleati occidentali di creare una nazione. Da allora i vari gruppi sono diventati minoranze in diversi Paesi

Rappresentano il quarto gruppo etnico più grande del Medio Oriente, la loro popolazione è stimata in circa 35 milioni di persone, ma non hanno mai ottenuto uno Stato nazionale permanente. I curdi sono distribuiti tra Turchia, Iraq, Siria, Iran e Armenia nel vasto altopiano del Kurdistan che racchiude i confini dei cinque Paesi. Anche se comunità curde vivono anche in Europa, soprattutto in Germania. Il sogno del Kurdistan non si è mai materializzato e la questione curda è tornata alla ribalta con l’offensiva dei turchi contro le milizie nel Nord-Est della Siria. (USA E UE VALUTANO SANZIONI CONTRO LA TURCHIA)

Il Kurdistan: lo Stato mai nato

Dopo la prima guerra mondiale e la sconfitta dell’Impero ottomano, i vincitori alleati occidentali avevano previsto la creazione di uno Stato curdo nel Trattato di Sevres del 1920. Una promessa che venne disattesa 3 anni dopo, quando il Trattato di Losanna ha fissato i confini della moderna Turchia senza definire confini geopolitici per il Kurdistan. Così i curdi sono rimasti una minoranza nei diversi Paesi in cui si sono ritrovati a vivere. Finora qualsiasi azione dei curdi per creare uno Stato indipendente è stata sempre repressa.

Le differenze fra i vari curdi

I curdi sono a maggioranza musulmana sunnita e formano una comunità distintiva, unita attraverso cultura e lingua, anche se non hanno un dialetto standard. Ogni gruppo nazionale, però, si differenzia l’uno con l’altro per priorità e alleati. I curdi turchi, i curdi siriani e i curdi iracheni, che insieme hanno combattuto contro l’Isis, sono i gruppi finiti nel mirino di Erdogan. I curdi iracheni hanno da tempo una loro regione autonoma all’interno dell’Iraq (il Kurdistan iracheno), mente i curdi siriani soltanto di recente hanno ottenuto il controllo della regione che abitano, il Rojava.

I legami tra curdi siriani e Pkk

Il Partito dell’Unione Democratica (la sigla in curdo è Pyd), assicura il governo dei territori sotto il controllo curdo attraverso l’ala militare dell’Ypg, unità di protezione popolare. Il Pyd ha espresso un’idea di società socialista-libertaria, un modello raro e innovativo rispetto alle tradizioni islamiche, un modo di pensare vicino a quello espresso dal Pkk, partito dei lavoratori del Kurdistan, di Abdullah Öcalan. Ed è anche per questa sintonia fra Pyd e Pkk che la Turchia ha fatto partire l’offensiva nel Nord-Est della Siria. Ankara considera infatti il Pkk un’organizzazione terroristica e il leader del partito Öcalan è in carcere in Turchia dal 1990.

La lotta contro l’Isis e il supporto degli Usa

Dei curdi siriani negli ultimi anni si è spesso parlato in Occidente anche per la loro battaglia contro l’Isis. L’Ypg ha anche ricevuto il supporto degli Stati Uniti, che individuarono come propri alleati sul terreno nella guerra contro l’Isis i curdi siriani. Nel corso del 2015 i guerriglieri curdi, con il sostegno Usa, riuscirono a riconquistare i propri territori (noti anche come Rojava, o Kurdistan siriano) che erano stati occupati dall’Isis e riuscirono anche ad espandersi in aree abitate da popolazioni arabe. Negli anni successivi, 2016 e 2017, i curdi-siriani rafforzarono il proprio controllo sul Rojava e contribuirono in modo determinante alla sconfitta finale dell’Isis.

Le simpatie occidentali per la causa curda

La causa curda dell’Ypg ha suscitato così grandi simpatie presso l’opinione pubblica occidentale. Non solo per il contrasto all’Isis, ma anche per l’ideologia espressa dal movimento. In un’ottica post-marxista, alle donne vengono riconosciuti gli stessi diritti che agli uomini. Esistono inoltre anche milizie curdo-siriane composte da donne, come ad esempio l’Ypj, Unità di protezione delle donne, che combattono spesso a capo scoperto contro gli estremisti islamici dell’Isis. Il Rojava, poi, è stato anche un esperimento politico-sociale, con l’adozione di una Costituzione di stampo democratico, pluralista e liberale, che enfatizza l’ambientalismo e il ruolo delle comunità locali nella gestione del potere.

Oggi i curdi siriani si sentono traditi

Attaccati dalla Turchia e abbandonati dagli Stati Uniti, i curdi siriani si sentono traditi proprio da quel mondo occidentale che aveva espresso sostegno e stima negli ultimi anni. Ilham Ahmed, presidente del Comitato esecutivo del Consiglio democratico siriano, da Bruxelles chiesto alle istituzioni europee di “non abbandonare i siriani” e di non chiudere gli occhi su Erdogan.”Gli Stati dell’Ue devono ritirare al più presto i loro ambasciatori dalla Turchia perché sta violando troppe leggi internazionali e continua a danneggiare la Siria. Questo crimine va fermato e la Turchia deve essere sanzionata per quello che ha fatto”.

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A Montemerano la storia e il genocidio degli armeni. Ne parla Gregorio Zovighian (Grossetonotizie 09.10.19)

Sabato 12 ottobre, alle 17:30, alla biblioteca comunale di storia dell’arte di Montemerano, si terrà l’incontro con Gregorio Zovighian dal titolo “Gli armeni: la storia, il genocidio”.

Gli armeni sono un popolo di origine antichissima che ha sviluppato nel corso dei secoli una civiltà e una cultura ancora in gran parte poco conosciute. Di loro ci si accorge quasi soltanto quando ci si imbatte in uno dei tanti armeni che in ogni luogo del pianeta si sono fatti conoscere per le loro opere e sono diventati famosi. E allora chi armeno non è si chiede il perché di una diaspora che ricorda sia pur in scala minore quella del popolo ebraico e quale storia abbia alle spalle questo popolo.
Degli armeni ci si ricorda anche ogni volta che viene citato il genocidio compiuto ai loro danni dalla Turchia durante la prima guerra mondiale, forse il più grave atto di persecuzione subito da questo popolo nel corso di una storia che purtroppo non è avara di persecuzioni nei loro confronti.
Siamo comunque in presenza di una grande civiltà e quindi il bisogno di conoscerla meglio diventa ineludibile per tutti coloro che credono non si possa prescindere dalla conoscenza della storia dell’intera umanità per interpretare e comprendere l’oggi.
L’Accademia del Libro intende fornire un contributo a questo approfondimento, invitando a parlare degli Armeni e dell’Armenia Gregorio Zovighian, attento conoscitore della materia da sempre impegnato nella diffusione della storia e della cultura armena.
La storia degli armeni, dall’antichità ai giorni nostri, con particolare riferimento al genocidio del 1915, sarà il tema della conversazione che terrà sabato prossimo a Montemerano. Saranno proiettate diverse immagini illustrative e al termine il relatore sarà a disposizione degli intervenuti per rispondere a domande e richieste di chiarimenti.

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Armenia: Erevan al 69mo posto in rapporti competitività Forum economico mondiale (Agenzianova 09.10.19)

Erevan, 09 ott 11:53 – (Agenzia Nova) – L’Armenia è salita all’interno dell’Indice di competitività globale preparato dal Forum economico mondiale, passando dal 70mo al 69mo posto con un aumento di 1,4 punti. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, aggiungendo che il paese caucasico ha avuto ottimi risultati nella classifica relativa al mercato del lavoro, attestandosi alla 32ma posizione su un totale di 141 paesi. Un miglioramento importante è stato registrato anche all’interno del pilastro sulla stabilità macroeconomica, in cui l’Armenia si è classificata 64ma con un aumento di 25 punti.

Nagorno-Karabakh, scambio di accuse tra Baku e Yerevan. Putin tenta di mediare (Il Manifesto 08.10.19)

Torna alta la tensione tra Armenia e Azerbaigian i due paesi ex sovietici da sempre in conflitto per il controllo dell’enclave del Nagorno-Karabakh divenuta repubblica filo-armena indipendente dall’Azerbaigian nel 1991.

La contesa provocò una lunga guerra tra i due paesi tra il 1992 e il 1994 che costò la vita a oltre 50mila persone, segnata da pogrom e violenze inaudite sulla popolazione civile.

Dopo una pausa di quasi 3 anni degli scontri alle frontiere e una serie di incontri di pace a Minsk mai decollati veramente, la situazione è peggiorata drasticamente nelle ultime settimane. L’escalation sta avvenendo sullo sfondo di dichiarazioni estremamente dure da parte dei leader dei due paesi. In risposta alle parole del presidente armeno Nikol Pashinyan che ha affermato recentemente «il Karabakh è Armenia e punto», Ilham Aliyev, il suo omologo azero, ha risposto a muso duro qualche tempo dopo affermando alla riunione del Club di Valdai giusto l’opposto: «Il Karabakh è Azerbaigian, punto esclamativo!» Ma non stanno volando solo parole tra due paesi, ma già da agosto anche proiettili e scambi di salve di cannone.

La portavoce del ministero degli esteri armeno Anna Naghdalyan ha denunciato ieri una nuova escalation nella zona di conflitto del Nagorno-Karabakh, accusando la parte azera di «deliberato aggravamento della situazione». «A seguito di recenti incidenti, un soldato delle forze armate armene è morto e altri tre sono rimasti feriti», ha detto Naghdalyan, esortando Baku di «astenersi da qualsiasi azione provocatoria lungo il confine internazionale armeno-azero».

A sua volta, il ministero della difesa dell’Azerbaigian ha riferito che solo in un giorno, dal 4 al 5 ottobre, gli armeni avrebbero violato il cessate il fuoco più di 20 volte. E un soldato azero sarebbe stato ucciso negli scontri. La risoluzione n.853 adottata dal Consiglio di sicurezza Onu sul conflitto ha dato implicitamente ragione agli azeri contro le pretese armene, sostenute dalla Federazione russa, di staccare l’enclave e annettersela. Il 29 luglio 1993, in particolare, l’Onu confermava la «sovranità e integrità territoriale dell’Azerbaigian», condanna «il sequestro della regione di Agdam e di tutte le altre regioni occupate di recente della Repubblica dell’Azerbaigian» e chiedeva «il ritiro immediato, completo e incondizionato della partecipazione nel conflitto delle forze di occupazione». Tuttavia Pashanin intervenendo all’ultima sessione generale dell’Onu lo scorso 25 settembre, è tornata a gettare benzina sul fuoco su una questione rimasta per tanto tempo in stand-by.

«Le autorità azere non intendono risolvere questo conflitto. Invece, vogliono sconfiggere il popolo del Nagorno-Karabakh. Non vogliono scendere a compromessi. Il loro obiettivo è la vendetta dopo dei tentativi fallito di aggressione contro il popolo del Nagorno-Karabakh negli anni ’90 e 2016» ha detto il leader armeno. Nella partita si è subito infilato il presidente turco Erdogan, per note ragioni nemico giurato degli armeni, e schieratosi quindi subitaneamente con il leader azero. «È inaccettabile che il Nagorno-Karabakh e le aree circostanti, che sono il territorio dell’Azerbaigian, siano ancora occupate, nonostante tutte le risoluzioni adottate», ha replicato Erdogan.

A trovarsi nella posizione più scomoda ora è Putin. Da sempre la Russia ha basi militari in Armenia ed è alleata strategica di Yerevan. Tuttavia sin dal crollo dell’Urss, Lukoil e altre imprese petrolifere russe detengono lo sfruttamento di parte dell’oro nero che sgorga a Baku. Un affare da oltre 2,5 miliardi di dollari annui a cui Mosca non vuole rinunciare. A questo si aggiunge l’ormai stretta alleanza con la Turchia. Per questo il presidente russo ha moltiplicato i contatti con le parti in causa perché la tensione non scivoli inesorabilmente verso il conflitto armato.

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Le Kardashian tornano in Armenia, figli di Kim battezzati a ‘casa’ (Adnkronos 08.10.19)

Ritorno alle origini per due delle sorelle Kardashian. Kim e Kourtney sono state accolte da una folla festante a Erevan, dove si sono fermate prima di raggiungere il ‘Vaticano’ della Chiesa apostolica armena, la Cattedrale di Etchmiadzin, nella vicina Vagharshapat.

Le due star americane sono arrivate in Armenia, il paese da cui sono emigrati i loro avi alla fine dell’Ottocento), per il battesimo dei tre figli più piccoli di Kim (che ne ha quattro insieme al marito il musicista Kay West. “Non è stata organizzata nessuna cerimonia speciale, come ogni altra famiglia, anche loro si sono registrati in anticipo e si sono presentate nella data programmata”, ha spiegato padre Vahram Melikyan, portavoce della cattedrale. Nel 2015, Kim Kardashian aveva battezzato il primogenito, North, nella Chiesa apostolica armena di Gerusalemme.

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Kim Kardashian battezza i figli in Armenia: assente Kanye West (Il Giornale 08.10.19)

L’assenza del produttore si è fatta notare nel viaggio dell’influencer, che per ora non ne ha spiegato i motivi. Tuttavia, Kim non era sola nel suo viaggio: ad accompagnarla in questa esperienza c’era sua sorella Kourtney, che ha scelto di essere con lei in un momento così importante.

A dare la notizia di questo viaggio è stato il Daily Mail, che ha condiviso alcune foto del battesimo. Kim Kardashian non ha battezzato solo il piccolo Psalm, nato appena 4 mesi fa, ma anche Saint e Chicago, che hanno rispettivamente 3 anni e 20 mesi. La cerimonia si è tenuta nella splendida Cattedrale di Echmiadzin. Quella di Kim Kardashian non è stata una scelta casuale: la modella e la sua famiglia sono originarie proprio di questa città, considerata la più sacra di tutto il Paese. La figlia più grande della coppia, North, adesso ha 6 anni ed è stata battezzata nel 2015 nella chiesa apostolica armena di Gerusalemme. È stata una grandissima festa per Kim Kardashian e per i suoi figli, che hanno potuto rivedere quella parte di famiglia che frequentano poco proprio a causa della distanza.

Finalmente un po’ di relax per Kim Kardashian, che nelle ultime settimane è stata al centro della cronaca per i problemi di salute che sono stati svelati durante il programma televisivo che la vede protagonista. In un primo momento sembrava che la donna fosse affetta da lupus o da artrite reumatoide, due patologie a cui era risultata positiva nei test preliminari. Indagini più approfondite, invece, hanno evidenziato che Kim Kardashian soffre di artrite psioriasica, un’altra patologia molto fastidiosa.