I mille anni di San Miniato: con la musica armena di Tigran Mansurian e l’ORT (Met 27.09.18)

Domani giovedì 27 e venerdì 28 settembre (ore 21.00, ingresso libero), appuntamento con l’ORT e le celebrazioni del Millenario di San Miniato al Monte. Tra le mura della Basilica risuoneranno le musiche di Tigran Mansurian tra cui la prima assoluta dell’opera “Seven Prayers” scritta dall’autore armeno su commissione dell’Abbazia e dedicata a Papa Francesco.

Domani l’atteso appuntamento dell’ORT, inserito nel cartellone degli oltre 50 eventi dedicati alla celebrazione dei 1000 anni dell’Abbazia di San Miniato al Monte. Il calendario è stato inaugurato il 27 aprile scorso, giorno in cui 1000 anni fa il vescovo fiorentino Ildebrando recuperò fra le rovine della precedente chiesa carolingia le reliquie del martire Miniato, un esule armeno ucciso nel 250 dai soldati dell’imperatore Decio, e le collocò più dignitosamente in un altare destinato a diventare la prima, vera pietra di fondazione di una nuova Basilica romanica.

All’interno della Basilica, l’Orchestra della Toscana si esibirà un momento musicale di straordinaria importanza che ribadisce il legame fra San Miniato al Monte e l’Armenia, con le musiche del più grande autore armeno contemporaneo, Tigran Mansurian. La sua musica riflette il patrimonio della tradizione musicale venerabile armena, che risale a più di mille anni fa e spazia dalle melodie di canto medievale ecclesiastico a sistemi scalari specifici e forme musicali. Le sue composizioni sono un’interessante miscela di musica d’arte armena e tradizioni popolari, con melodie luminose ed espressive e squisita tonalità impressionistica.

Il concerto si apre con l’opera Confessing with Faith scritta nel 1998 per la violista Kim Kashkashian e le quattro voci del British Hilliard Ensemble. A seguire la prima esecuzione assoluta di Seven Prayers, una nuova composizione musicale commissionata dall’Abbazia per omaggiare il santo protomartire fiorentino di nascita armena, San Nerses Shnorhali, Catholicos degli Armeni (1102-1173). Con questa opera Mansurian prosegue il lavoro iniziato con “Confessing with Faith”, traendo ispirazione dalla raccolta di orazioni del poeta, musicista e capo religioso del 12.mo secolo, San Nersete detto il “Grazioso” (come recita in armeno il nome Shnorhali). Le 24 preghiere – una per ogni ora del giorno – sono state tradotte nei secoli in greco, latino (Fide Confiteor), italiano e in altre ventinove lingue.
Nel 1994 Mansurian inizio` il lavoro selezionando, per poi metterle in musica, le prime sette preghiere della raccolta, e denominando il brano con il famoso incipit iniziale “Confessing with Faith” (In fede confesso), pubblicato nel 1998. Mentre per la commissione dell’Abbazia, ha arrangiato le successive orazioni, dalla 8 alla 14, confezionando una composizione per baritono, coro e orchestra, dedicata a Papa Francesco Bergoglio. Durante i quattro anni di scrittura di quest’opera, Mansurian ha cercato di avvicinarsi all’ispirazione che conduceva i grandi maestri medievali nel dare vita al “pensiero in musica” che si eleva ai riti cerimoniali, provando a concretizzare tale maestria nel pensiero musicale odierno: “[…] così facendo ho dovuto apprendere nuovamente il processo di trasformazione dalla monodia alla polifonia, dal canto rituale alla scrittura compositiva, e dalla Chiesa alla sala da concerto”.

Tra i protagonisti della serata Stefano Zanobini, prima viola dell’ORT, i cantanti Giulia Peri, Giovanni Biswas, Paolo Fanciullacci, Gabriele Lombardi de L’Homme Armé e il Coro della Cattedrale di Siena “Guido Saracini” condotto da Lorenzo Donati. Sul podio a guidare orchestra e solisti sarà compito di George Pehlivanian, direttore libanese cresciuto a Los Angeles, formatosi sotto la guida di Pierre Boulez e Lorin Maazel.

Entrambi i concerti sono a ingresso libero, fino a esaurimento dei posti disponibili. Non sono previste prenotazioni.

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Una memoria millenaria in mostra: l’Armenia al Metropolitan di New York (Rainews.it 27.09.18)

Una memoria millenaria in mostra: l’Armenia al Metropolitan di New York Inaugurata al Metropolitan Museum di New York una mostra sull’Armenia che rimarrà aperta sino al 13 gennaio prossimo. Il servizio di Dario Laruffa

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Nagorno-Karabakh , diplomatici armeni e azeri riprenderanno i colloqui a ottobre (Agvilvelino.it 27.09.18)

Il ministro degli esteri azero Elmar Mammadyarov e il suo omologo armeno Zohrab Mnatsakanyan hanno raggiunto un accordo durante la loro riunione, tenutasi a margine della sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per continuare i colloqui sulla soluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh in ottobre: lo ha detto il ministero degli esteri azero a Sputnik. I due diplomatici hanno tenuto un incontro con la mediazione dei copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE mercoledì scorso. “L’incontro è durato tre ore. Le parti hanno condotto un interessante e importante scambio di opinioni sugli sviluppi nella risoluzione del conflitto e per garantire una pace stabile nella regione. Le parti hanno convenuto di riprendere i colloqui il mese prossimo”, ha detto il servizio stampa del ministero. I copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE dovrebbero visitare l’area in ottobre, ha aggiunto il servizio stampa.


Armenia sostiene la risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh attraverso l’Osce

L’Armenia sostiene la risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh attraverso la strategia offerta dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Lo ha detto il primo ministro Nikol Pashinyan durante un discorso davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA).

“L’Armenia continuerà il suo impegno costruttivo nella risoluzione pacifica del conflitto nel quadro del Gruppo di Minsk dell’OSCE … che ha l’unico mandato riconosciuto a livello internazionale per affrontare il conflitto”, ha detto Pashinyan all’APN di New York martedì.

L’Azerbaijan, ha aggiunto Pashinyan, deve cambiare il suo atteggiamento di mancanza di rispetto verso i negoziati e abbandonare l’idea di qualsiasi soluzione militare.

Il ministero degli Esteri dell’Azerbaigian ha detto a Sputnik all’inizio di questa settimana che i ministri degli esteri dell’Azerbaigian e dell’Armenia discuteranno la soluzione del conflitto nella regione del Nagorno-Karabakh il 26 settembre a margine dell’assemblea generale delle Nazioni Unite.

La regione del Nagorno-Karabakh, dominata dagli armeni in Azerbaijan, proclamò la sua indipendenza nel 1991, scatenando un conflitto militare che portò alla perdita di controllo di Baku sulla regione. Le violenze tra le forze dell’Azerbaigian e del Nagorno-Karabakh sono aumentate il 2 aprile 2016, causando numerose vittime. Le parti hanno concordato un cessate il fuoco il 5 aprile, ma gli scontri sporadici sono continuati.

 

Erevan, si dimette il Katolikos Karekin II (?) (Asianews.it 25.09.18)

Erevan (AsiaNews) – Tra il Katolikos (patriarca) della Chiesa apostolica armena, Karekin II, e i nuovi dirigenti del Paese, al potere dopo la “rivoluzione di velluto” dello scorso maggio, sembra sia stata raggiunta un’intesa per le dimissioni dello stesso Primate. Lo ha comunicato il 20 settembre il giornale armeno Zhokhovurd, suggerendo che Karekin lascerebbe ufficialmente per motivi di salute.

Commentando la notizia, il sacerdote Vagram Melikyan, direttore del settore comunicazioni della Chiesa armena alla sede di Echmjadzin, ha dichiarato che “riteniamo necessario costatare che nel corso dei 27 anni di storia della III repubblica armena, tutti i governi senza eccezione hanno manifestato il dovuto rispetto alla Chiesa apostolica nazionale e al suo Katolikos, apprezzando la sua opera in favore di tutti gli armeni e dello sviluppo del nostro Stato, conservando l’unità e la solidarietà nazionale”. La dichiarazione lascia intendere il disappunto della gerarchia ecclesiastica per le proteste e le critiche degli ultimi mesi.

Lo scorso 6 luglio, infatti, la residenza di Karekin è sta messa sotto assedio da una manifestazione di protesta, organizzata dal movimento che si esprime sotto lo slogan “Una nuova Armenia, un nuovo patriarca”, guidato dal leader Karen Petrosyan. Si tratta di un gruppo legato al nuovo primo ministro Nicol Pashinian, che la scorsa primavera è riuscito a coinvolgere la popolazione nel rovesciare la vecchia classe dirigente. Il Katolikos è stato a sua volta accusato di connivenza con i politici “rottamati”.

Nato nel 1951, al secolo Nersisyan Grigorevich Kritch, il Katolikos è ordinato sacerdote nel 1972, in piena epoca sovietica. Dopo un periodo di studi e di servizio in Germania, Karekin torna nel grande monastero di Echmjadzin, il “Vaticano” armeno alle soglie della capitale Erevan, per poi completare gli studi all’Accademia teologica ortodossa di Mosca. La Chiesa armena non è in comunione con gli ortodossi, per le antiche divisioni teologiche del Concilio di Calcedonia, ma il rapporto si basa sulla comune fedeltà al regime sovietico.

Fino al 1999 egli rimane vicario del suo predecessore, il Katolikos Karekin I, per diventare alla sua morte il 132mo patriarca degli armeni (la Chiesa armena è una delle più antiche al mondo). Nelle turbolente vicende della politica armena degli anni post-sovietici, il nuovo Katolikos cerca più volte di proporsi con iniziative di pacificazione nazionale.

Le accuse nei suoi confronti riguardano soprattutto una serie di speculazioni, per cui sarebbero stati alienati diversi tesori della Chiesa armena. Tali accuse sarebbero state rivolte da alcuni sacerdoti della Chiesa stessa, come lo ieromonaco Koriun Arakelyan, uno degli ispiratori delle proteste. L’accusa più infamante sarebbe quella di aver limato e staccato una parte della lancia di Longino per regalarla a un sindaco russo, amico di Karekin.  Secondo la tradizione, la lancia del centurione che penetrò il costato di Cristo sulla croce è stata portata dall’apostolo Taddeo in dono ai cristiani dell’Armenia.

La leggenda vuole che chi possiede la lancia di Longino, chiamata Geghard come il monastero in cui era conservata, sia destinato a governare il mondo. La lancia è oggi esposta nel Museo di Echmjadzin, da cui i manifestanti chiedono che venga messa a disposizione per una verifica della sua integrità. Il delirio di onnipotenza era in effetti l’accusa che veniva rivolta al presidente e primo ministro Serž Sargsyan, a cui il Katolikos era molto vicino, poi scalzato da Pashinyan con il sostegno delle masse popolari. Primo caso nella storia della Chiesa armena, per pacificare il mondo ecclesiastico e la stessa società, il patriarca Karekin, avrebbe accettato di dimettersi nonostante l’età ancora non molto avanzata.

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Tutto indica che la notizia sulla presunta rinuncia del Catholicos Karekin II è falsa (Il sismografo 26.09.18)

Da più parti e diverse fonti autorevoli ci segnalano che la notizia lanciata ieri da AsiaNews sulla presunta rinuncia del Katolikos Karekin II è falsa. Il Katolikos Karekin II si trova attualmente  a New York per l’inaugurazione di una importante mostra al MOMA, accompagnato tra l’altro dall’Arcivescovo Barsamian, già Primate di America, da qualche giorno invece nominato Alto Rappresentante del Catholicos presso la Santa Sede. Ieri in una corrispondenza di Vladimir Rozanskij su AsiaNews si leggeva: “E’ la prima volta nella storia della Chiesa armena. Apparenti pressioni della nuova leadership emersa dalla “rivoluzione di velluto”. Karekin è ritenuto troppo amico dell’ex presidente Serž Sargsyan. Alcuni monaci lo accusano di aver manipolato la reliquia della lancia di Longino, quella che trapassò il cuore di Gesù sulla croce.” La notizia, come già detto, non ha nessun riscontro nei fatti conosciuti fino a questo momento e ovviamente non è stata confermata da nessuna fonte autorizzata.

Armenia: premier Pashinyan, elezioni parlamentari anticipate indispensabili per economia nazionale (Agenzianova 24.09.18)

Erevan, 24 set 11:01 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha dichiarato di voler convocare al più presto tutte le forze politiche del paese, per discutere i termini e le condizioni sotto le quali dovranno svolgersi le elezioni parlamentari anticipate. L’annuncio è stato rilasciato dal premier durante un incontro con i rappresentanti della comunità armeno-statunitense, svoltosi nell’ambito della sua visita ufficiale a New York. Stando alle dichiarazioni rilasciate da Pashinyan, le elezioni si sarebbero dovute tenere a giugno dell’anno prossimo, ma, a fronte delle incertezze che affliggono gli investitori e di un ambiente competitivo non ancora favorevole a tutti, è ormai indispensabile anticiparle, in modo da portare a termine il processo di ripresa economica del paese. (segue) (Res)

Vanetsyan eletto in Armenia (Uefa.com 24.09.18)

Artur Vanetsyan è stato eletto neopresidente della Federcalcio armena (FFA).

Vanetsyan, 38 anni, rimarrà in carica per quattro anni. Dopo l’elezione, ha dichiarato di voler guidare la federazione secondo il principio “calcio per tutti” e che farà il massimo per portare il calcio armeno a un nuovo livello.

Il neopresidente ha spiegato che la FFA lavorerà per creare un nuovo sistema nazionale di individuazione e crescita dei giovani talenti.

“Dobbiamo ampliare la geografia del calcio armeno e lavorare su larga scala nelle varie regioni – ha evidenziato Vanetsyan -. Ovviamente, durante questo processo collaboreremo con la UEFA”.

Antonia Arslan: «Il genocidio degli armeni e i miei 57 anni di silenzio» (Corriere della Sera 22.09.18)

Quando qualche settimana fa ha visto Sergio Mattarella scendere dalla scaletta dell’aereo a Erevan, capitale dell’Armenia, alla scrittrice Antonia Arslan, 80 anni, s’è allargato il cuore: «Era la prima volta di un presidente della Repubblica nella terra dei miei antenati. Come armena italiana, mi sono sentita finalmente riconosciuta. E anche come armena veneta. Pochi sanno che la Serenissima si salvò dalla bancarotta grazie a 40 mila ducati d’oro prestati dagli Scerimanian, che nel 1612 avevano aperto una sede a Venezia, terminale dei commerci fin dall’anno 1000. Il che spiega perché nel 1717 il doge Giovanni Corner concesse in perpetuo l’Isola di San Lazzaro degli Armeni al monaco cristiano Mechitar».

Gli Arslan d’Italia

Gli Arslan d’Italia discendono da Yerwant Arslanian, pioniere dell’otorinolaringoiatria, nato nel 1865 a Kharpert e giunto nel nostro Paese a soli 15 anni. La sua passione per gli studi lo salvò dal Metz Yeghérn, il Grande crimine, il genocidio del suo popolo a opera dei turchi, iniziato nel 1894, culminato nel 1915 e proseguito fino al 1922. «Era mio nonno. Nel 1923 ottenne dallo stato civile di troncare le ultime tre lettere del cognome. Lo fece per angoscia, per mimetizzarsi. Una precauzione comprensibile: in quella fornace bruciarono le vite di almeno 25 o 30 parenti».

La nipote

La nipote Antonia non riesce a spiegarsi perché ha atteso quasi mezzo secolo prima di dare corpo, nel romanzo La masseria delle allodole, al ricordo di quell’immane tragedia che segnò la storia della sua famiglia, né come sia stato possibile che il libro abbia totalizzato sette edizioni in soli due mesi nel 2004 e da allora sia già stato ristampato ben 37 volte. «Se penso che non doveva nemmeno uscire…».

Tentarono di boicottarlo?
«No, la colpa fu mia. Anche se ho sempre insegnato Letteratura all’Università di Padova, i libri non erano il mio mestiere, per cui mi affidai a un agente letterario. Uno dei più famosi, non mi chieda il nome. Gli mandai il manoscritto a settembre del 2002. A Natale non l’aveva ancora visionato. La mia amica Siobhan Nash-Marshall, docente di Filosofia teoretica a New York, che ospitai per Capodanno, era indignata. Volle telefonargli. “Ma signora! È in lettura”, si stizzì lui. Ad aprile andai a trovare in America la dantista Teodolinda Barolini, capo del dipartimento di italiano della Columbia University. “E il tuo romanzo?”, mi chiese. Arrossii di vergogna».

Non stento a crederlo.
«Fu lei a trovarmi un altro agente. Io telefonai al primo, dicendogli: in nove mesi si fa un bambino, penso che bastino anche per un libro. Sentenziò: “La trama è debole”. Stavo quasi per crederci, se i registi Paolo e Vittorio Taviani, dopo che fu pubblicato, non mi avessero cercato: “Non abbiamo mai letto niente di più potente! Vogliamo farci un film”. Adesso posso dirlo: quell’agente, secondo me, nemmeno lo sfogliò».

«La masseria delle allodole» uscì quando lei aveva 66 anni. Perché non avvertì il bisogno di scriverlo prima?
«Non lo so, me lo chiedo spesso. Mi limitavo a comporre poesie sulla Guerra dei trent’anni, pensi un po’. All’improvviso, ebbi la percezione che dovevo parlare dell’olocausto armeno prima che i vecchi sopravvissuti morissero. Una necessità scaturita dai precordi».

La sua fonte fu nonno Yerwant.
«Sì, un dono che mi fece per i miei 9 anni. Poi non ne parlò mai più. Era il 1947. “Sto per andarmene, quindi devi sapere”, mi disse. Infatti morì dopo pochi mesi. Fu mio nonno ad accogliere in Italia i tre orfani del fratello Sempad, le femmine Arussiag ed Henriette e il maschio Nubar, che scampò al massacro di tutti i maschi perché la madre Shushanig lo aveva travestito da femminuccia. Anche mio zio Nubar divenne otorinolaringoiatra, a Genova».

Come mai suo nonno affidò proprio a lei i suoi atroci ricordi?
«Ero ammalata, una febbre misteriosa che ogni 15 giorni aumentava. Il nonno dovette farmi 36 punture di penicillina, molto dolorose, in cambio di un premio: 50 lire l’una. Se devo morire, ne voglio 100, replicai. Ci accordammo per 75. Mi portò in convalescenza sulle Dolomiti, a Susin di Sospirolo. E lì, sotto i glicini di un albergo liberty, cominciò a raccontare, a partire dalla madre Iskuhi, che lo aveva partorito a 16 anni e che morì a 19 dando alla luce Sempad. Ricordava ancora il profumo di pesca delle sue gote».

Non la sconvolsero i racconti della carneficina?
«No, neppure quando mi spiegò che il fratello Sempad, farmacista, era stato decapitato dai soldati turchi e la sua testa gettata in grembo alla moglie Shushanig. Mi pareva di leggere l’Enciclopedia della fiaba, che mi avevano regalato. Ero onorata dalla sua fiducia e tranquillizzata dal distacco con cui narrava gli eventi. Avevo già visto gli orrori della Seconda guerra mondiale, mia madre alle prese con i nazisti, le mitragliate che mi fecero finire in un fosso, i due bombardamenti di Padova. La vita del nonno mi sembrava un romanzo d’appendice».

Immagino, catapultato dall’Anatolia a Venezia appena quindicenne.
«Un viaggio mitologico. Suo padre lo affidò a dei banditi, dando loro un gruzzolo in banconote tagliate a metà: ebbero l’altra parte solo quando il figlio gli scrisse dal Collegio Armeno. A 18 anni nonno Yerwant rifiutò i sussidi paterni. Si laureò in Medicina a Padova. Per mantenersi, fece l’infermiere durante un’epidemia di colera. Andò a studiare chirurgia a Parigi, dove, non avendo soldi, mangiava solo albicocche secche. Incontro ancora anziani che da piccoli furono operati da lui. Non esistendo l’anestesia, la tecnica era semplice: uno sberlone del papà e uno della mamma, in contemporanea, il bimbo spalancava la bocca urlando per lo spavento e, zac, in un baleno il nonno gli aveva già resecato le tonsille».

Che motivi avevano i Giovani Turchi per annientare gli armeni?
«Venivano dalle steppe. Avevano bisogno di una patria. La trovarono in Anatolia, sbarazzandosi della popolazione autoctona. Molti di loro avevano studiato in Germania. Fu la prova generale della Shoah. I giornali tedeschi a fine Ottocento scrivevano: “Gli armeni sono gli ebrei del Medio Oriente”».

L’Occidente sapeva, ma tacque.
«Il rapporto di Leslie Davis, console americano a Kharpert dal 1914 al 1917, corredato di foto agghiaccianti, è rimasto sepolto per 70 anni al Dipartimento di Stato Usa. Mio nonno mi raccontò come fecero i seguaci di Mustafa Kemal Atatürk ad abolire il fez».

Come?
«A chi usciva di casa con quel copricapo, glielo inchiodavano in testa. Cambiarono persino i nomi delle città, dei monti, dei fiumi. Neppure i nazisti arrivarono a tanto. Subito dopo, la persecuzione colpì l’ultima minoranza: i curdi».

Quanti armeni furono uccisi?
«Tra 1,2 e 1,5 milioni, forse 2 milioni».

Liliana Segre, uscita viva da Auschwitz, mi disse che il tempo della dimenticanza dura meno di un secolo. Poi i genocidi spariscono dai libri di storia.
«Il nostro sparì subito, tanto da far dire ad Adolf Hitler: “Chi si ricorda il massacro degli armeni?”».

Perché la Turchia nega ostinatamente il vostro olocausto?
«È pervasa da uno sciovinismo spaventoso. I bimbi di 4 anni ogni mattina devono cantare l’inno nazionale. Riconoscere vorrebbe dire anche restituire. Io non possiedo nulla che attesti le origini familiari a Kharpert. Eppure mio nonno aveva quattro fratelli medici che giravano per la città cantando: “Siamo i felici dottori Arslanian”. Furono trucidati».

Si fida di Recep Tayyip Erdogan?
«No di certo. È un uomo astutissimo. Sogna di annettersi la Siria e far risorgere l’Impero ottomano, estirpando i curdi».

Sogna anche di entrare nell’Ue.
«Portare 75 milioni di musulmani in Europa? Al fianco della Germania, con cui va d’accordissimo, Erdogan detterebbe legge a Strasburgo. Provo i brividi».

Quali sentimenti suscitano in lei i migranti che sbarcano sulle nostre coste?
«Pietà, perché mi ricordano Arussiag, Henriette e Nubar. Ma anche coscienza che le persone accolte hanno l’obbligo d’imparare la lingua e adeguarsi alle leggi del Paese ospitante. I miei avi lo fecero. Conosco un armeno di Milano che è andato all’Agenzia delle Entrate per segnalare che si erano dimenticati di fargli pagare le tasse su taluni redditi».

Che riflessi ha avuto sulla sua vita lo sterminio degli armeni?
«Mi ha tolto qualsiasi forma di ansietà. Non mi agito per nulla, mai, perché penso a ciò che accadde ai miei progenitori e mi dico che il peggio del peggio lo abbiamo già vissuto. Credo che ogni individuo abbia dentro di sé un lago profondo, da cui trae forza. A me pare di ritrovarla quando ascolto il nostro canto di comunione, Der voghormia, Dio abbi pietà».

C’è qualcosa che in lei abbia provocato lo stesso orrore del Metz Yeghérn?
«L’Holodomor russo, la carestia pianificata per cancellare un intero popolo. Da 3 a 5 milioni di contadini ucraini che Stalin soppresse portandogli via tutto, non solo il bestiame e le scorte alimentari, ma persino le sementi. Bisogna aver letto Tutto scorre… di Vasilij Grossman per capire che cosa significhi morire di fame guardando i propri campi incolti. L’ultimo boccone il padre lo dà al suo bambino. Dopo qualche mese arriva il poliziotto, apre la porta e dice: “Qua ce ne sono tre, due grandi e uno piccolo. Buttate via tutto”».

Armenia: premier canadese Trudeau in visita a Erevan a ottobre (Agenzianova 22.09.18)

Armenia: premier canadese Trudeau in visita a Erevan a ottobre
Erevan, 22 set 13:27 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro del Canada Justin Trudeau ha annunciato che si recherà in visita ufficiale in Armenia per partecipare alla 17ma edizione del summit della francofonia, in programma a Erevan tra l’11 e il 13 ottobre. Trudeau, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, interverrà al summit della francofonia incentrando il suo discorso sulle sfide comuni alla sicurezza, sulla crescita economica inclusiva e sulla promozione della diversità. A Erevan, il premier canadese avrà anche una serie di incontri istituzionali con i principali esponenti politici del paese caucasico, al fine di valutare possibilità di rafforzamento nei rapporti economici bilaterali. Quella di ottobre sarà la prima visita in Armenia da parte del premier canadese Trudeau.
(Res)

Intrecci armeni. Un catalogo e un romanzo per STANDART 2017 (Artslife 20.09.18)

A Milano, una serata dedicata a STANDART 2017, la Triennale d’Arte contemporanea in Armenia curata da Adelina von Fürstenberg.

Due volumi in una sola serata. Giovedì 20 settembre presso Assab One a Milano verranno presentati “The Mont Analogue”, il catalogo di STANDART 2017 (la Triennale d’Arte contemporanea in Armenia che si è chousa nel dicembre 2017) e  “A Contemporay Art experience”, il primo romanzo dello scrittore italo-tedesco Christian Oxenius. Entrambi sono pubblicati da Skira editore.

Sarà Adelina Von Furstenberg, curatrice di Standard 2017,  insieme agli artisti Marta Dell’Angelo, Riccardo Arena, Giuseppe Caccavalle, Mikayel Ohanjanyan e Christian Oxenius – autore dell’opera – a presentarli. In occasione della serata, sarà proiettato il video: Tararà, 2017 di Marta dell’Angelo & Gohar Matirosyan

Ispirato dalle parole del romanzo incompiuto Mount Analogue dell’autore francese Renè Daumal, A Contemporary Art Experience traccia l’idea di un’arte legata ad una costante ricerca ed esplorazione.

Il romanzo dello scrittore italo-tedesco Christian Oxenius crea un contesto narrativo fittizio nel quale l’esperienza dell’arte diventa fattore di unione di un gruppo di artisti per un viaggio attraverso l’Armenia. Scopo dell’autore è quello di ricercare un nuovo linguaggio per discutere l’arte contemporanea e la sua posizione nel mondo odierno.

Standart 2017 ha permesso agli artisti di creare una connessione tra le loro ricerche e la cultura armena, un dialogo intergenerazionale ispirato da esperienze e memorie condivise. La ricchezza negli approcci e nelle interpretazioni di questa Triennale ha permesso di sottolineare, attraverso gli occhi e le sensibilità di tutti i partecipanti, la rilevanza che l’Armenia ha avuto nel suo triplo ruolo di ospite, sorgente d’ispirazione e soggetto fertile per le ricerche di arte contemporanea.

Giovedì 20 settembre 2018
dalle 18.00 ad ASSAB One,
Via Privata Assab 1, Milano
Metro 2 fermata Cimiano

Standart 2017
Triennial of Contemporary Art in Armenia
The Mount Analogue A Contemporary Art Experience
Concept and Curatorship Adelina Cüberyan v. Fürstenberg
Catalogue  edited by Christian Oxenius
2018, edizione bilingue (inglese-armeno)
16,5 x 24 cm, 104 pagine, 64 colori, brossura
ISBN 978-88-572-3878-4
€ 25,00 £ 22.00 $ 30.00

Christian Oxenius
A Contemporary Art Experience
A Journey Inspired by René Daumal’s Mount Analogue
Illustrations by Benji Boyadgian
2018, edizione inglese
14 x 21 cm, 80 pagine, 20 b/n,
brossura ISBN 978-88-572-3877-7 € 15,00
£ 12.95 $ 19.50 Can $ 25.00

La Mappa Marsili vola a New York (Ansa 20.09.18)

(ANSA) – NEW YORK, 20 SET – La storia armena “a fumetti”, come in un “graphic novel”, ma di tre secoli fa. Un nobile bolognese alla corte di Vienna e un erudito armeno a Istanbul: da questo incontro, nel 1691, vide la luce uno straordinario documento di cartografia antica che da sabato 22 settembre fino al 13 gennaio sarà in mostra al Metropolitan Museum di New York.

Oggetto di lusso per studiosi e mercanti, la mappa del conte Luigi Ferdinando Marsili è il pezzo forte di “Armenia!”, una carrellata di 1300 anni attraverso la storia di un popolo che non sempre ha avuto entità statali, ma che sempre si è riconosciuto nelle sue chiese e nei monasteri. Lunga tre metri e mezzo per 120 centimetri, la mappa è stata srotolata al centro della mostra accanto a reliquiari, codici, tessuti, arredi liturgici e modelli di chiese provenienti dall’Armenia, da Gerusalemme, Antalia nel Libano, Venezia, il Getty di Los Angeles, la Gran Bretagna, Lisbona. Preti e laici in abiti ottomani conversano davanti alla cattedrale di Etchmiadzin fondata nel quarto secolo da San Gregorio. Accanto, in verde, le cime dell’Ararat. Gregorio caccia gli idoli da Mush. Simboli indicano l’importanza delle città per la corte ottomana. Mush, dove la popolazione armena fu obliterata nel 1915 ne ha due, Erzurum in Cappadocia, teatro di massacri alla fine dell’800, tre. “Il conte Marsili ebbe una vita da romanzo”, spiega all’ANSA Giacomo Nerozzi, direttore della Biblioteca Universitaria di Bologna che ha concesso il prestito: “Nel 1691 era a Istanbul e chiese ad un erudito armeno un documento sulla storia della sua terra e della sua gente. Eremia Keomiwrchean mise un’incredibile quantità di dottrina nella mappa: una rappresentazione simbolica, senza riferimenti alle distanze reali, quasi una un’enciclopedia bidimensionale della storia, cultura e religione armene”. Eremia raffigurò quasi 800 siti religiosi, da Nishapur, oggi in Iran, ai monasteri della Crimea, ai maggiori centri ecclesiastici: i catolicosati di Etchmiadzin, Gandzasar, Aght’amar e Cilicia e i patriarcati di Gerusalemme e Costantinopoli. Tutti identificati tranne uno: una grande città al nord che, osserva Nerozzi, merita ulteriori ricerche. La mappa andò “smarrita” pochi anni dopo il ritorno di Marsili a Bologna. Si cercò invano a Vienna, dove il conte aveva prestato servizio. In realtà era rimasta in biblioteca, dove la riscoprì nel 1991 Gabriella Uluhogian, armenologa dell’ateneo bolognese. La mappa Marsili non è l’unico apporto italiano alla mostra sull’Armenia curata da Helen Evans, responsabile per il museo dell’arte bizantina, con l’aiuto di Constance Alchermes. Il monastero di San Lazzaro a Venezia ha prestato preziosi volumi, testimonianza di una antica storia di accoglienza quando nel 1717 la piccola isola nella Laguna fu donata dalla Serenissima a una confraternita di padri fuggiti dall’Armenia dopo l’invasione turca.


AL METROPOLITAN MUSEUM DI NEW YORK ARRIVA LA “TABULA ARMENA” VOLUTA DAL BOLOGNESE MARSILI E REALIZZATA DALL’EREMITA ARMENO C‘ELEPI KEOMIWRCEAN ALLA FINE DEL 1600

La Tabula Corographica Armenica  sui luoghi sacri dell’Armenia risalente al 1691, è un rotolo che nonostante le sue notevoli dimensioni è rimasto ignorato per circa 3 secoli,  nei depositi delle Biblioteca Universitaria di Bologna, fino a che non è riemerso dall’oblio nel 1991 grazie alla studiosa Gabriella Uluhogian ed al contributo dell’ambasciata della Repubblica di Armenia in Italia. La Mappa sottoposta a restauro nello scorso mese di maggio viene presentata il 22 settembre al Metropolitan Museum of Art di New York, dove sarà esposta fino al 13 gennaio 2019.

Lunga tre metri e mezzo per 120 centimetri, la mappa è stata disposta – nella mostra “Armenia” – accanto a reliquiari, codici, tessuti, arredi liturgici e modelli di chiese provenienti dall’Armenia, oltre che  da Gerusalemme, Antalia nel Libano, Venezia, il Getty di Los Angeles, la Gran Bretagna, Lisbona…

Uno straordinario documento, una sorta di storia a fumetti ante litteram,  realizzato verso la fine del 1600 ad opera di un nobile bolognese alla corte di Vienna e un erudito armeno a Istanbul, incontratisi nel 1691.
Fu  composta dall’armeno della comunità di Costantinopoli, il saggio Eremita CELEPI KEOMIWRCEAN  (1637-1695), su commissione dell’aristocratico bolognese, scienziato, militare e gran viaggiatore Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730).  Tracciarla riusci’ a  rappresentare  la Chiesa armena in tutta la sua completezza nel territorio comprendente l’Anatolia, la Ciscaucasia e la Subcaucas

Il conte Marsili donò tutta la produzione e documentazione dei suoi viaggi e ricerche alla città natale, Bologna, che conservò il fondo all’Università di Bologna, ma presto venne dimenticata, poichè nei cataloghi del Fondo Marsili non era citata, fino a che è stata riscoperta.(20/09/2018-ITL/ITNET)

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