Ue-Armenia: premier Pashinyan incontra a Bruxelles Juncker e Tusk (12.07.18)

Erevan, 12 lug 15:29 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha avuto un incontro oggi con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e con quello del Consiglio europeo Donald Tusk. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, le parti hanno discusso delle questioni relative all’approfondimento delle relazioni tra Armenia e Ue e all’espansione del partenariato. Il primo ministro armeno ha anche avuto un incontro casuale con il cancelliere tedesco Angela Merkel. Secondo quanto riportato dall’ufficio stampa del governo di Erevan, Pashinyan e Juncker a Bruxelles hanno discusso delle prospettive delle relazioni nel contesto dei recenti cambiamenti democratici in Armenia. Juncker ha affermato che la natura pacifica e democratica degli sviluppi politici in Armenia è stata incoraggiante e ha espresso la disponibilità ad assistere costantemente il processo di riforme in corso nel paese caucasico. A sua volta, Pashinyan ha ringraziato per l’assistenza fornita negli anni precedenti e ha assicurato che il sostegno sia istituzionale, finanziario e di consulenza dell’Ue sarà utilizzato in modo più mirato. “Il proseguimento della lotta alla corruzione in corso in Armenia da ormai due mesi è tra le principali priorità del nostro governo”, ha dichiarato il premier. (Res)

Pareva una banale caduta in bici, medico (armeno) muore dopo una settimana (Il gazzettino.it 10.07.18)

LIDO – Circa una settimana fa era caduto in bicicletta. Un capitombolo che inizialmente sembrava non aver causato fratture o gravi conseguenze ma che in realtà aveva provocato una emorragia interna che, in pochi giorni, lo ha condotto alla morte. Si è spento venerdì scorso, a 66 anni, il dottor Haroutiun Keucheyan, membro della comunità armena di Venezia, e per circa trentacinque anni medico di famiglia nel Comune di Cavallino-Treporti.


Continuano le proteste contro il Patriarca Karekin. Convocato d’urgenza il Supremo Consiglio spirituale (Agenzia Fides 10.07.18)

Erevan (Agenzia Fides) – Continua la mobilitazione di gruppi di manifestanti armeni che lo scorso 6 luglio sono entrati nella Sede patriarcale del Catholicosato di Echmiadzin per chiedere le dimissioni di Karekin II, Patriarca supremo e Catholicos di tutti gli armeni. I gruppi di contestatori si trovano ancora nell’area della Sede patriarcale, dove hanno anche allestito alcune tende per il pernottamento. La forma plateale di protesta sta creando sconcerto, e viene definita “inaccettabile” dal sacerdote Vahram Melikyan, responsabile dell’ufficio comunicazioni del Patriarcato. Proprio oggi, martedì 10 luglio – riferiscono i media armeni – la situazione critica creatasi intorno al Patriarcato armeno apostolico potrebbe essere vagliata in una riunione del Supremo Consiglio spirituale, convocato d’urgenza per approfittare della presenza ad Erevan di molti membri del Consiglio provenienti dalla diaspora, che in questi giorni sono giunti in Armenia per prendere parte all’incontro pan-armeno dei giovani.
Le contestazioni contro il Patriarca Karekin hanno preso forza sull’onda della crisi politica e sociale che lo scorso maggio ha portato alla esclusione dal potere del primo ministro Serzh Sargsyan, sostituito alla guida del governo dal leader dell’opposizione Nikol Pashinyan. I manifestanti armeni accusano il Patriarca Karekin II di eccessiva vicinanza con gli apparati politici usciti sconfitti dal braccio di ferro politico-istituzionale degli ultimi mesi.
Durante la crisi politica, Karekin aveva richiamato sia il governo che i gruppi di opposizione ad agire nell’ambito della legalità, evitando gli scontri di piazza e le forme di sabotaggio illegali. Tra le altre cose, i contestatori avevano diffuso voci che accusavano il Patriarcato di aver venduto reliquie e beni sacri. Nei giorni scorsi, forse con l’intento di porre fine a tali illazioni, è stata esposta la “lancia di Antiochia”, conservata presso il museo della Cattedrale di Echmiadzin, una delle diverse candidate a essere riconosciuta come l’autentica “Lancia di Longino” (quella con cui il centurione romano trafisse il costato di Cristo sulla croce). (GV) (Agenzia Fides 10/7/2018).

Vai al sito

Papa: in Medio Oriente guerra ‘nel silenzio di tanti e con la complicità di molti’ (Asianews.it 07.07.18)

Francesco a Bari con i patriarchi cattolici e ortodossi per una giornata di preghiera per la pace.          “Vogliamo dare voce a chi non ha voce, a chi può solo inghiottire lacrime, perché il Medio Oriente oggi piange, oggi soffre e tace, mentre altri lo calpestano in cerca di potere e ricchezze”.

Bari (AsiaNews) – Pace per il Medio Oriente, dove imperversano “guerra, violenza e distruzione, occupazioni e forme di fondamentalismo, migrazioni forzate e abbandono, il tutto nel silenzio di tanti e con la complicità di molti”. E’ l’invocazione che si leva da Bari dove, invitati da papa Francesco, sono unite in preghiera le Chiese e le comunità cristiane presenti nella regione.

Là dove “ci sono le radici delle nostre stesse anime”, “l’indifferenza uccide, e noi vogliamo essere voce che contrasta l’omicidio dell’indifferenza. Vogliamo dare voce a chi non ha voce, a chi può solo inghiottire lacrime, perché il Medio Oriente oggi piange, oggi soffre e tace, mentre altri lo calpestano in cerca di potere e ricchezze”.

Accanto a tutti i patriarchi cattolici – Copto di Alessandria, siro di Antiochia, Antiochia dei Maroniti, Antiochia dei greco-melkiti, Nanilonia dei Caldei, Cilicia degli armeni, e latino di Gerusalemme – ci sono gli ortodossi che vedono la contemporanea e non usuale presenza del Patriarcato ecumenico e di quello di Mosca. Accanto a Bartolomeo, c’è infatti il metropolita Hilarion di Volokolamsk, “ministro degli esteri” del Patriarcato di Mosca. E ci sono anche Theodoros II, patriarca greco-ortodosso di Alessandria e di tutta l’Africa, l’arcivescovo Nektarios, in rappresentanza di Theophilos III, patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, , Ignatius Aphrem II patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, Hovakim, vescovo della Chiesa armena di Gran Bretagna e Islanda in rappresentanza di Karekin II patriarca supremo e catholicos di tutti gli armeni, Aram I, catholicos di Cilicia degli armeni, Mar Gewargis III, catholicos patriarca della Chiesa assira d’Oriente.

Per i luterani c’è Sani Ibrahim Azar vescovo della Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa. Ed è presente anche una donna, Souraya Bechealany, segretario generale ad interm del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente.

Un incontro dal tema “Su di te sia pace! Cristiani insieme per il Medio Oriente” cominciato con l’abbraccio di pace tra i leader religiosi presenti che, insieme, hanno reso omaggio a san Nicola, nella basilica che ne conserva le reliquie, e acceso la lampada “uniflamma”, segno di unità tra i cristiani.

Il Papa e i Patriarchi, quindi, sono saliti insieme su pullman e si sono recati alla “Rotonda” sul lungomare di Bari dove si è svolto l’incontro di preghiera con la partecipazione di decine di migliaia di persone.

“Siamo – ha detto Francesco – giunti pellegrini a Bari, finestra spalancata sul vicino Oriente, portando nel cuore le nostre Chiese, i popoli e le molte persone che vivono situazioni di grande sofferenza. A loro diciamo: ‘vi siamo vicini’”.

“Qui contempliamo l’orizzonte e il mare e ci sentiamo spinti a vivere questa giornata con la mente e il cuore rivolti al Medio Oriente, crocevia di civiltà e culla delle grandi religioni monoteistiche. Lì è venuto a visitarci il Signore, «sole che sorge dall’alto» (Lc 1,78). Da lì si è propagata nel mondo intero la luce della fede. Lì sono sgorgate le fresche sorgenti della spiritualità e del monachesimo. Lì si conservano riti antichi unici e ricchezze inestimabili dell’arte sacra e della teologia, lì dimora l’eredità di grandi Padri nella fede. Questa tradizione è un tesoro da custodire con tutte le nostre forze, perché in Medio Oriente ci sono le radici delle nostre stesse anime”.

“Ma su questa splendida regione si è addensata, specialmente negli ultimi anni, una fitta coltre di tenebre: guerra, violenza e distruzione, occupazioni e forme di fondamentalismo, migrazioni forzate e abbandono, il tutto nel silenzio di tanti e con la complicità di molti. Il Medio Oriente è divenuto terra di gente che lascia la propria terra. E c’è il rischio che la presenza di nostri fratelli e sorelle nella fede sia cancellata, deturpando il volto stesso della regione, perché un Medio Oriente senza cristiani non sarebbe Medio Oriente”.

“Questa giornata inizia con la preghiera, perché la luce divina diradi le tenebre del mondo. Abbiamo già acceso, davanti a San Nicola, la ‘lampada uniflamma’, simbolo della Chiesa una. Insieme desideriamo accendere oggi una fiamma di speranza. Le lampade che poseremo siano segno di una luce che ancora brilla nella notte. I cristiani, infatti, sono luce del mondo (cfr Mt 5,14) non solo quando tutto intorno è radioso, ma anche quando, nei momenti bui della storia, non si rassegnano all’oscurità che tutto avvolge e alimentano lo stoppino della speranza con l’olio della preghiera e dell’amore. Perché, quando si tendono le mani al cielo in preghiera e quando si tende la mano al fratello senza cercare il proprio interesse, arde e risplende il fuoco dello Spirito, Spirito di unità, Spirito di pace”.

“Preghiamo uniti, per invocare dal Signore del cielo quella pace che i potenti in terra non sono ancora riusciti a trovare. Dal corso del Nilo alla Valle del Giordano e oltre, passando per l’Oronte fino al Tigri e all’Eufrate, risuoni il grido del Salmo: «Su te sia pace!» (122,8). Per i fratelli che soffrono e per gli amici di ogni popolo e credo, ripetiamo: Su te sia pace! Col salmista imploriamolo in modo particolare per Gerusalemme, città santa amata da Dio e ferita dagli uomini, sulla quale ancora il Signore piange: Su te sia pace! Sia pace: è il grido dei tanti Abele di oggi che sale al trono di Dio. Per loro non possiamo più permetterci, in Medio Oriente come ovunque nel mondo, di dire: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). L’indifferenza uccide, e noi vogliamo essere voce che contrasta l’omicidio dell’indifferenza. Vogliamo dare voce a chi non ha voce, a chi può solo inghiottire lacrime, perché il Medio Oriente oggi piange, oggi soffre e tace, mentre altri lo calpestano in cerca di potere e ricchezze. Per i piccoli, i semplici, i feriti, per loro dalla cui parte sta Dio, noi imploriamo: sia pace! Il «Dio di ogni consolazione» (2 Cor 1,3), che risana i cuori affranti e fascia le ferite (cfr Sal 147,3), ascolti oggi la nostra preghiera”.

Preghiere e canti in arabo e greco hanno fatto seguito alle parole di Francesco. Così il patriarca Bartolomeo in greco ha chiesto: “Signore Gesù Cristo… ispira cose buone nei cuori di coloro che vogliono la guerra e pacifica anche i nostri cuori, libera noi e tutti gli uomini dai desideri malvagi e avidi e semina nei nostri e nei loro cuori uno spirito di giustizia, di riconciliazione e di amore verso tutti i nostri fratelli”.

A Papa e patriarchi, quindi, sono state consegnate simboliche lampade accese (nella foto). Tutti insieme, quindi, sono tornati alla basilica di san Nicola per un incontro a porte chiuse per parlare della situazione dei cristiani: erano il 20% della popolazione del Medio Oriente prima della Prima guerra mondiale, ora sono il 4%.

La Chiesa cattolica vorrebbe che nei Paesi del Medio Oriente si affermasse il principio che in Occidente sembra scontato – anche se oggi qualcuno lo mette in discussione – che tutti i cittadini sono uguali, indipendentemente da razza e religione. Da qui nascono i diritti uguali per ogni persona, compreso quello alla libertà religiosa. Un principio la Chiesa cattolica giudica fondamentale per la coesistenza pacifica. (FP)

Vai al sito

Concluso pellegrinaggio vescovi umbri in Armenia (Ansa 06.07.18)

Si è concluso il pellegrinaggio ecumenico dei vescovi umbri in Armenia, guidato dal cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana e dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo, presidente della Conferenza episcopale umbra.
Presenti i vescovi mons. Domenico Cancian, di Città di Castello, mons. Benedetto Tuzia, di Orvieto-Todi, mons. Paolo Giulietti, ausiliare di Perugia-Città della Pieve e mons. Mario Ceccobelli, emerito di Gubbio.
Nella cattedrale di Gyumri l’abbraccio con mons. Raphael Franois Minassian, vescovo armeno-cattolico e la comunità che ha partecipato alla solenne celebrazione. A loro, in particolare, si è rivolto il cardinale Bassetti, portando il saluto di papa Francesco, e invitandoli a prepararsi con entusiasmo al Sinodo dei giovani. “Siate forti, cercate di vincere il male e custodite le parole di Gesù” ha detto Bassetti.


Chiesa, pellegrinaggio dei vescovi umbri in Armenia: “Comunità viva” (Lanotiziaquotidiana.it 06.07.18)

Il vescovo cattolico armeno Raphael François Minassian: “La presenza tra noi dei nostri confratelli ci dà la speranza e la forza di proseguire la nostra missione”

 

PERUGIA – Nel segno della fraternità, pace e speranza si è concluso il pellegrinaggio ecumenico dei vescovi umbri in Armenia (2-6 luglio), guidato dal cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) e dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia, Renato Boccardo, presidente della Conferenza episcopale umbra (Ceu), insieme ai vescovi Domenico Cancian, di Città di Castello, Benedetto Tuzia, di Orvieto-Todi, Paolo Giulietti, ausiliare di Perugia-Città della Pieve e Mario Ceccobelli, emerito di Gubbio. Un pellegrinaggio in una terra dove tutto rimanda alla storia del cristianesimo delle origini, che nel 301 aveva già le sue comunità organizzate, guidate dal primo vescovo Gregorio Illuminatore. Un pellegrinaggio per conoscere non solo la storia di chiese e monasteri, quanto per incontrare le pietre vive, che oggi sono le comunità dei cattolici armeni.

Incontro con la comunità cattolica a Gyumri Nella cattedrale di Gyumri l’abbraccio con mons. Raphael François Minassian, vescovo armeno-cattolico e la comunità che ha partecipato alla solenne celebrazione: i sacerdoti, i seminaristi, le suore di Mare Teresa di Calcutta, le suore armene dell’Immacolata Concezione, gli operatori della Caritas e una folta schiera di ragazzi e giovani che stanno svolgendo il campo estivo in parrocchia. A loro, in particolare, si è rivolto il cardinale Bassetti, portando il saluto di papa Francesco, e invitandoli a prepararsi con entusiasmo al Sinodo dei giovani “Siate forti, cercate di vincere il male e custodite le parole di Gesù – ha detto Bassetti -; la Chiesa ha fiducia in voi e come dice papa Francesco, non lasciatevi rubare da nessuno la speranza».

Il grazie di Bassetti Il cardinale ha ringraziato per l’accoglienza festosa e per la fraterna ospitalità «in questa terra benedetta da Dio, che, fin dagli inizi del cristianesimo, ha accolto l’annuncio della salvezza», dove già nel 301 il cristianesimo è stata riconosciuta quale religione di stato. «Ci siamo commossi visitando i luoghi dove le piaghe di Gesù si sono particolarmente manifestate – ha aggiunto il presule – nei confronti di tanti fratelli e sorelle uccisi dalle persecuzioni all’inizio del XX secolo, torturati, perseguitati per la loro fede cristiana e per l’appartenenza a questa nazione. Tutto ciò ci porta a riflettere sul nostro essere cristiani oggi non solo a parole ma nei fatti e nella vita. Gesù vuole farci persone nuove; noi chiediamo la forza per camminare e lui libera il nostro cuore delle catene del peccato».  Nella città di Gyurmi, che nel 1988 fu distrutta da un terremoto, è stato ricordato anche il recente sisma che ha colpito Norcia, patria di san Benedetto, e altre zone dell’Italia centrale. Il cardinale Bassetti ha invitato a pregare perché anche in questi momenti non si perda mai la speranza.

L’opera della Chiesa locale Grande è stata la gioia espressa dal vescovo Minassian: «Questa presenza del cardinale e dei vescovi è una consolazione, un incoraggiamento e una soddisfazione, perché abbiamo sete di avere i nostri confratelli presenti qui. Questo ci dà la speranza e la forza di proseguire la nostra missione che non è tanto facile, perché viviamo la separazione tra le Chiese. La loro presenza è un supporto fraterno che ci incoraggia ad andare avanti». Nelle zone dell’Europa orientale sono presenti un milione di armeni cattolici tra Russia, Georgia, Ucraina, Polonia, Armenia e alcune minoranze in Bulgaria e Romania, di questi 150mila sono in Armenia e in particolare a Gyumri, dove esiste un Seminario minore con numerosi giovani che lo frequentano. «Cerchiamo di aiutare i più bisognosi – ha aggiunto il vescovo armeno – le persone in difficoltà morale, sociale, economica, malate e così facciamo qualche volta il lavoro del governo, perché specie i villaggi di frontiera sono dimenticati da tutti. La nostra assistenza con attività in ambito sociale, sanitario, religioso per loro è un incoraggiamento per continuare a vivere». In questi anni sono state accolte circa seimila famiglie di profughi siriani grazie anche agli aiuti concreti della Cei e della Caritas italiana insieme ad altre Caritas europee. Lo stesso vescovo ha accolto nella sua casa quaranta profughi sostenendoli nella quotidianità e dando loro soprattutto speranza per il futuro.

Le impressioni del vescovo Boccardo  «E’ stato un pellegrinaggio alla grande tradizione cristiana di questa terra – ha commentato mons. Renato Boccardo, presidente della Ceu – per attingere alle fonti della grande spiritualità di Gregorio Illuminatore e Gregorio di Narek, che con la loro dottrina hanno segnato i percorsi di questo popolo nella fedeltà al Vangelo. Abbiamo visto come i valori cristiani hanno saputo ispirare una cultura e una società. Nonostante i 70 anni di dominazione sovietica questo popolo non ha smarrito le sue radici cristiane. Abbiamo incontrato la piccola comunità armena cattolica, ascoltando e condividendo la fatica di essere minoranza e con la nostra presenza abbiamo voluto manifestare vicinanza, solidarietà e incoraggiamento. Raccogliamo la testimonianza cristiana senza dimenticare la tragedia del genocidio come stimolo per le nostre comunità ad una rinnovata fedeltà nella processione della vita cristiana».

I luoghi visitati dai vescovi umbri Alle pendici del monte Ararat, che maestoso guarda da oltre confine la piccola Armenia, la vita scorre nella fierezza dell’identità di un popolo disperso nel mondo, ma che non dimentica la forza della propria storia millenaria. Il pellegrinaggio è stato un’occasione per scoprire la ricchezza della tradizione cristiana dell’Armenia, che nel corso dei secoli ha dato una significativa testimonianza di fede. Ad Erevan, capitale dell’Armenia, i vescovi umbri hanno visitato la nuova cattedrale dedicata a San Gregorio Illuminatore, consacrata nel 2001 in occasione del 1700° anniversario dalla fondazione della Chiesa Armena e dell’adozione del cristianesimo come religione di Stato. Nel novembre dell’anno 2000 san Giovanni Paolo II consegnò al Catholicos Karekin II la reliquia di san Gregorio Illuminatore, fino ad allora custodita a Napoli, collocata ora sotto un artistico baldacchino all’ingresso della cattedrale e molto venerata dai fedeli.

Visita al Memoriale I presuli umbri hanno visitato anche il Memoriale del Genocidio degli armeni Tsitsernakaberd, avvenuto alla fine dell’Impero Ottomano (1915-1916), edificato nel 1967 sulla spianata della collina di Dzidzernagapert (Forte delle rondini), che si trova su di una vasta altura che circonda la città di Yerevan. Nel giardino dei giusti crescono 1500 alberi piantati dai leader di tutto il mondo tra cui papa Giovanni Paolo II nel 2001, in occasione della sua storica visita. Ogni anno, il 24 aprile, tantissimi armeni, giunti da ogni parte del mondo, vi salgono per commemorare il Metz Yeghérn, il ‘Grande Male’ che ha visto il massacro di un milione e mezzo di persone.

Nei monasteri E’ stata visitata anche città di Vagharshapat, antica capitale dell’Armenia, dove si trova la cattedrale di Echmiadzin, il Vaticano Armeno, una delle chiese più antiche del mondo (303 d. C.) e alla chiesa di Santa Hripsime (VII secolo), una delle meraviglie dell’architettura ecclesiastica armena. Non è mancata l’escursione ai resti archeologici di Zvartnots, l’antica cattedrale paleocristiana distrutta da un terremoto nel X secolo e che rappresenta l’evoluzione e lo sviluppo architettonico di chiesa armena, a cupola centrale e con struttura a croce, che ha esercitato una profonda influenza sullo sviluppo artistico nella regione. Una giornata è stata dedicata alla visita dei monasteri di Khor Virap (“fossa profonda”), alle pendici dell’Ararat, al confine con la Turchia e luogo di prigionia di san Gregorio Illuminatore, del complesso monastico di Noravank del XIII-XIV secolo e del monastero rupestre di Ghegard (XII sec.) dove la tradizione vuole che sia stata conservata la lancia che trafisse il costato di Cristo e dove sgorga una sorgente d’acqua, considerata benedetta. Qui vi è stato il modo di approfondire i lineamenti del monachesimo eremitico, che è la prima forma di vita religiosa presente in Armenia. La Chiesa armena, nonostante le tragedie della storia e le tante persecuzioni, è apparsa viva e operosa, ricca di testimonianze di fede e di carità.


Armenia: mons. Boccardo (Ceu), “pellegrinaggio alle fonti della grande spiritualità cristiana” (SIR 06.07.18)
Un pellegrinaggio alla grande tradizione cristiana di questa terra per attingere alle fonti della grande spiritualità di Gregorio Illuminatore e Gregorio di Narek, che con la loro dottrina hanno segnato i percorsi di questo popolo nella fedeltà al Vangelo”. Così l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, presidente della Conferenza episcopale umbra, al termine del pellegrinaggio ecumenico con gli altri vescovi umbri in Armenia. “Abbiamo visto come i valori cristiani hanno saputo ispirare una cultura e una società. Nonostante i 70 anni di dominazione sovietica questo popolo non ha smarrito le sue radici cristiane”. L’arcivescovo racconta dell’incontro con la piccola comunità armena cattolica, “ascoltando e condividendo la fatica di essere minoranza e con la nostra presenza abbiamo voluto manifestare vicinanza, solidarietà e incoraggiamento”. “Raccogliamo la testimonianza cristiana senza dimenticare la tragedia del genocidio come stimolo per le nostre comunità a una rinnovata fedeltà nella professione della vita cristiana”.

NAGORNO KARABAKH: Nessuna risoluzione del conflitto all’orizzonte(Eastjournal 05.07.18)

Il 26 giugno si è celebrato a Baku il centesimo anniversario della nascita delle forze armate della Repubblica dell’Azerbaigian. Nel corso della parata militare hanno sfilato per le strade della capitale i nuovi armamenti dell’esercito azero, un avvertimento sul fatto che, come ha sottolineato anche il presidente Ilham Aliyev, non è stata trovata una risoluzione del conflitto in Karabakh che è, a tutti gli effetti, ancora in corso.

Gli analisti armeni hanno notato, in particolare, notato la presenza di nuovi missili tattici e anticarro che potrebbero rappresentare un pericolo per le difese armene, inducendo Erevan a investire nel riarmo. Al contempo, Baku ha annunciato una massiccia esercitazione militare che si terrà tra il 2 e il 6 luglio. Le manovre dovrebbero coinvolgere 120 tra carri armati e altri veicoli corazzati, più di 200 pezzi di artiglieria e fino a 30 carri armati. L’esperto militare Azad Isazade, intervistato dall’agenzia Caucasian Knot, ha spiegato che l’obiettivo dell’esercito azero è semplice: “liberare i territori occupati”.

Manovre e schermaglie

La retorica bellicista non è una novità, come non è un segreto che da tempo il governo azero spenda ingenti somme di denaro per il riammodernamento delle forze armate. Più preoccupante le notizie che arrivano dalle zone al confine tra Armenia e Azerbaigian.

Le schermaglie tra le truppe dei due paesi sono da anni la norma quando si parla della situazione in Nagorno-Karabakh. Nel 2016, è scoppiata quella che è nota come guerra dei quattro giorni che ha causato la morte di centinaia tra civili e militari e ha permesso agli azeri di riconquistare alcune aree sotto il controllo armeno.

L’escalation del 2016, la più grave da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco nel 1994, fa temere che un nuovo conflitto generale sia imminente. L’allarme è suonato già nel luglio del 2017, con accuse da entrambe le parti per il mancato rispetto del cessate il fuoco.

Quest’anno il copione si è ripetuto. Negli ultimi giorni il ministero della difesa azero ha accusato l’esercito armeno di aver violato 118 volte il cessate il fuoco, bombardando le posizioni azere tra il 26 e il 27 giugno. A sua volta, solo una settimana prima il governo del Karabakh aveva accusato le forze armate di Baku di aver bombardato le postazioni armene per 150 volte tra il 17 e il 23 giugno.

La novità del 2018 è che le manovre militari si sono estese al confine tra il territorio dell’Armenia internazionalmente riconosciuto e l’exclave azera del Nakhichevan. Secondo quanto riportato dal portale Eurasianet, le forze azere sono avanzate nella terra di nessuno tra i due paesi, prendendo, poi posizione sulle alture che sovrastano il centro abitato di Areni. La manovra, oltre ad avere scatenato il panico tra gli abitanti del villaggio, ha destato preoccupazione a livello governativo, in quanto Baku sembra in grado di minacciare la strada M2, l’unico collegamento tra Erevan e la frontiera sud con l’Iran.

Una pace sempre lontana

Viene definito come un conflitto congelato quello tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, ma gli eventi degli ultimi anni continuano a dimostrare quanto sia erronea e pericolosa questa etichetta. Il rischio, infatti è quello di dare l’idea di una situazione irrisolta, ma sostanzialmente stabile. Quanto avviene di continuo alle frontiere è la dimostrazione di quanto non sia il conflitto ad essere congelato, ma piuttosto le trattative di pace che dovrebbero portare a una sua risoluzione.

Dopo due anni di guerra, nel 1994 Baku e Erevan firmarono un accordo di cessate il fuoco che però non risolse la situazione giuridica del Nagorno-Karabakh. La regione, che in epoca sovietica aveva uno status di autonomia all’interno della RSS azera per la sua popolazione prevalentemente armena, durante il conflitto si è guadagnata l’indipendenza de facto, rimanendo, però de iure parte del nuovo Azerbaigian indipendente.

Nessuna forza politica sia interna che esterna ai due paesi è mai riuscita a elaborare una risoluzione del conflitto accettabile da entrambe le parti. L’Armenia ha continuato a far leva sul principio di autodeterminazione dei popoli, mentre l’Azerbaigian su quello di intergrità territoriale, il resto lo ha fatto la propaganda rendendo inaccettabile all’occhio dell’opinione pubblica dei due paesi una qualsiasi forma di compromesso.

Il nuovo governo armeno salito al potere lo scorso maggio grazie alla cosiddetta Rivoluzione di velluto, pur rappresentando una grossa novità nel panorama politico regionale, non sembra avere un atteggiamento sostanzialmente diverso dai predecessori per quanto riguarda la risoluzione del conflitto in Nagorno-Karabakh.

Uno degli aspetti dei giorni della rivoluzione armena è che nonostante la quasi totalità delle strade del paese fosse bloccata dai manifestanti, la M11 e la M12, le due vie di comunicazione tra Armenia e Karabakh, siano rimaste sgombre per permettere gli spostamenti all’esercito armeno in caso di attacco azero.

Il  nuovo primo ministro armeno, Nikol Pashinyan ha incontrato Aliyev a Mosca il 14 giugno nel corso della cerimonia di inaugurazione del mondiale. Il premier armeno ha scritto sul suo profilo Facebook che Putin lo ha presentato al presidente azero, ma che l’incontro non è andato al di fuori delle presentazioni. Ci vorrà ben altro se si vorrà veramente trovare una risoluzione del conflitto che avvelena la regione da trent’anni

Vai al sito

Incontro di Bari: la lista dei partecipanti ecumenici (Romasette.it 03.07.18)

 stato il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, a presentare oggi, 3 luglio, ai giornalisti la “lista” dei leader delle Chiese che saranno presenti a Bari sabato prossimo, in occasione della Giornata di preghiera e riflessione per la pace voluta da Papa Francesco. «Regione martirizzata, il Medio Oriente è anche un luogo dove le relazioni ecumeniche sono più forti e promettenti – le parole del porporato -, in particolare tra ortodossi e cattolici». E la presenza a Bari dei Capi delle Chiese ortodosse e orientali, su invito di Papa Francesco, ne è una dimostrazione.

All’incontro di Bari, ha illustrato il cardinale Koch, parteciperanno il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo;Theodoros II, patriarca greco-ortodosso di Alessandria e di tutta l’Africa; l’arcivescovo di Anthedon Nektarios, in rappresentanza in rappresentanza di Theophilos III, patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme; il metropolita Hilarion, in rappresentanza del patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill; il metropolita di Konstantia e Ammochostos Vasilios, in rappresentanza di Chrysostomos II, arcivescovo di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro. Per le Chiese ortodosse orientali, sono presenti Papa Tawadros II, patriarca della Chiesa copto-ortodossa d’Alessandria; Ignatius Aphrem II, patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente; Hovakim, vescovo di Inghilterra e Irlanda, in rappresentanza di Karekin II, patriarca e catholicos di tutti gli Armeni;  Aram I, catholicos di Cilicia degli armeni. Per la Chiesa ortodossa assira, parteciperà Mar Gewargis II, patriarca e catholicos della Chiesa assira d’Oriente. Saranno presenti anche il Rev. Sani Ibrahim Azar, vescovo della Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa, e Souraya Bechealany, segretaria generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente.

logo cristiani insieme per il medio oriente«I cristiani rimarranno nella regione solo se la pace sarà ristabilita», ha osservato il cardinale, aggiungendo che «non è possibile immaginare un Medio Oriente senza cristiani» e che è necessario «proteggere i diritti di ogni persona e di ogni minoranza» e «proseguire il dialogo interreligioso». Su queste quattro “convinzioni” i capi delle Chiese e delle comunità cristiane del Medio Oriente rifletteranno nella Giornata in programma a Bari. Il Medio Oriente, terra delle origini del cristianeismo, ha rilevato Koch, «è anche una delle regioni del mondo in cui la situazione dei cristiani è più precaria. A causa di guerre e di persecuzioni, molte famiglie abbandonano la loro patria storica alla ricerca di sicurezza e di un futuro migliore. La percentuale dei cristiani nel Medio Oriente è diminuita drasticamente nell’arco di un secolo: mentre rappresentavano il 20% della popolazione del Medio Oriente prima della prima guerra mondiale, ora sono solo il 4%».

Dall’inizio della crisi, ha continuato il  presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, «la Chiesa cattolica ha instancabilmente chiesto il ripristino della pace, soprattutto attraverso la ricerca di una soluzione politica. Questa chiamata ha preso anche la forma della preghiera e del digiuno». Poi, entrando nel merito del secondo principio, cioè l’impossibilità di immaginare un Medio Oriente senza cristiani, ha spiegato che questo alla base non ci sono solo ragioni religiose «ma anche per ragioni politiche e sociali, perché i cristiani sono un elemento essenziale di equilibrio della regione». Ma ciò implica – ed è il terzo punto sollevato da Koch – «il rispetto per la libertà religiosa e l’uguaglianza davanti alla legge, basato sul principio di cittadinanza a prescindere dall’origine etnica o dalla religione. È stato ripetutamente sottolineato dalla Chiesa cattolica come principio fondamentale per la realizzazione e per il mantenimento di una coesistenza pacifica e fruttuosa tra le varie comunità in Medio Oriente». Infine, «l’urgente necessità di proseguire il dialogo interreligioso», sul quale Papa Francesco insiste particolarmente nella sua Lettera ai cristiani in Medio Oriente: «Il dialogo interreligioso – ha scritto il Santo Padre – è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada».

Vai al sito

Vescovi umbri: in corso un pellegrinaggio ecumenico in Armenia (SIR 03.07.18)

I vescovi dell’Umbria in Armenia, fino al 6 luglio, per un pellegrinaggio ecumenico. L’obiettivo è quello di “scoprire la ricchezza della tradizione cristiana di questo Paese che, nel corso dei secoli, ha dato una significativa testimonianza di fede”. Momento centrale, giovedì 5 luglio, nella città di Gyumri, dove sono previsti l’incontro con mons. Raphael François Minassian, vescovo armeno-cattolico, e la celebrazione della messa con la comunità cattolica locale. A Erevan, capitale dell’Armenia, i vescovi umbri visiteranno la nuova cattedrale dedicata a San Gregorio Illuminatore, consacrata nel 2001 in occasione del 1700° anniversario dalla fondazione della Chiesa armena e dell’adozione del cristianesimo come religione di Stato. I vescovi umbri visiteranno anche il Memoriale del genocidio degli armeni, a opera dell’Impero Ottomano (1915-1916), edificato nel 1967 sulla spianata della collina di Dzidzernagapert (Forte delle rondini). Prevista anche una visita alla città di Vagharshapat, antica capitale dell’Armenia, dove si trova la cattedrale di Echmiadzin, una delle chiese più antiche del mondo (303 d. C.), e alla chiesa di Santa Hripsime (VII secolo), una delle meraviglie dell’architettura ecclesiastica armena. Una giornata sarà dedicata alla visita dei monasteri di Khor Virap (“fossa profonda”), alle pendici dell’Ararat, al confine con la Turchia e luogo di prigionia di san Gregorio Illuminatore, del complesso monastico di Noravank del XIII-XIV secolo e del monastero rupestre di Ghegard (XII sec.), dove la tradizione vuole che sia stata conservata la lancia che trafisse il costato di Cristo. Qui sarà approfondito il monachesimo eremitico, prima forma di vita religiosa presente in Armenia.

Vai al sito


Vescovi umbri in pellegrinaggio nella cristiana Armenia (Umbria24.it)

I vescovi dell’Umbria, guidati dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo presidente della Conferenza episcopale umbra (Ceu), dal 2 al 6 luglio trascorreranno in Armenia alcuni giorni all’insegna della fraternità e della condivisione, in un pellegrinaggio ecumenico che vuole scoprire la ricchezza della tradizione cristiana di questo Paese che nel corso dei secoli ha dato una significativa testimonianza di fede. Il pellegrinaggio culminerà giovedì 5 luglio, nella città di Gyumri, dove sono previsti l’incontro con mons. Raphael François Minassian, vescovo armeno-cattolico, e la celebrazione della messa con la comunità cattolica locale.

Il pellegrinaggio Ad Erevan, capitale dell’Armenia, i vescovi umbri visiteranno la nuova cattedrale dedicata a San Gregorio Illuminatore, consacrata nel 2001 in occasione del 1700° anniversario dalla fondazione della Chiesa armena e dell’adozione del cristianesimo come religione di Stato. Nel novembre dell’anno 2000 san Giovanni Paolo II consegnò al Catholicos Karekin II la reliquia di san Gregorio Illuminatore, fino ad allora custodita a Napoli. I presuli della terra dei santi Benedetto e Francesco visiteranno anche il Memoriale del genocidio degli armeni ad opera dell’impero Ottomano (1915-1916) edificato nel 1967 sulla spianata della collina di Dzidzernagapert (Forte delle rondini). Ogni anno, il 24 aprile, armeni di tutto il mondo vi salgono per commemorare oltre un milione e mezzo di vittime del massacro. Sul muro di pietra, della lunghezza di cento metri, fiancheggiante il viale di accesso al Memoriale, sono incisi i nomi delle principali città e località interessate dal Genocidio.

Alcuni particolari E’ prevista anche una visita alla città di Vagharshapat, antica capitale dell’Armenia, dove si trova la cattedrale di Echmiadzin, il Vaticano Armeno, una delle chiese più antiche del mondo (303 d. C.) e alla chiesa di Santa Hripsime (VII secolo), una delle meraviglie dell’architettura ecclesiastica armena. Una giornata sarà dedicata alla visita dei monasteri di Khor Virap (“fossa profonda”), alle pendici dell’Ararat, al confine con la Turchia e luogo di prigionia di san Gregorio Illuminatore, del complesso monastico di Noravank del XIII-XIV secolo e del monastero rupestre di Ghegard (XII sec.) dove la tradizione vuole che sia stata conservata la lancia che trafisse il costato di Cristo e dove sgorga una sorgente d’acqua, considerata benedetta. Qui si avrà modo di approfondire i lineamenti del monachesimo eremitico, che è la prima forma di vita religiosa presente in Armenia. Il pellegrinaggio sarà anche occasione per i vescovi umbri di conoscere più approfonditamente la vita della Chiesa armena e della realtà sociale, culturale e religiosa del Paese, un’ex repubblica sovietica, indipendente dal 1990.

 

Armenia-Azerbaijan: frutteto di pace (Osservatorio Balcani E Caucaso (02.07.18)

L’Armenia non ha confini sull’acqua con gli stati vicini. Fa eccezione, in questo caso, il villaggio di Berkaber, nella regione del Tavush, al confine con l’Azerbaijan: lì il confine tra i due stati è disegnato dalle acque. Siamo nel cuore della riserva d’acqua dello Joghaz, creata in tempi sovietici. Su di un lato della riserva vi è il villaggio di Berkaber, in Armenia, sul lato opposto quello di Mezem, in Azerbaijan. La riserva è ora oggetto di disputa e proprio per questo, sul lato armeno, è stato costruito il “Giardino della Pace”.

La vita al confine

La riserva d’acqua dello Joghaz è stata creata artificialmente in tempi sovietici, negli anni ’70. Le autorità decisero al tempo di utilizzare l’area tra il villaggio armeno di Berkaber e quello azero di Mazam per risolvere i problemi irrigui della regione costruendo un bacino artificiale. Armeni e azeri hanno iniziato a costruire il bacino assieme ed assieme hanno curato i campi lungo le sue rive. “Berkaber”, il nome di uno dei due villaggi, significa “raccolto abbondante”. Il villaggio è da sempre famoso per i suoi alberi da frutto.

“Nel 1988 i miei genitori avevano un frutteto di cachi su un terreno di tre ettari. Avevamo più di 800 alberi e negli ultimi 25 anni abbiamo raccolto i frutti. Però, dopo il collasso dell’Unione sovietica, il sogno dei miei genitori si è infranto e il sogno di lavorare la terra è divenuto una lotta estrema”, racconta Ara Khudaverdyan, uno degli abitanti del posto.

Nei primi anni ’90 il villaggio di Berkaber è stato uno dei luoghi più caldi del conflitto tra Armenia e Azerbaijan. Molti edifici del villaggio vennero rasi al suolo. Attualmente 900 ettari di frutteto sono sotto il controllo azero. Nei villaggi armeni, quelli a 500-800 metri dalle posizioni azere, vi è da due decenni una guerra non dichiarata. Nonostante Armenia e Azerbaijan non siano ufficialmente in guerra non vi è giorno in cui a Berkaber non si sentano spari. In questi anni sono risultate danneggiate molte auto e molti edifici, e tra i civili vi sono stati feriti ed anche alcune vittime.

“Il nostro frutteto è sul confine. Dista solo 300 metri. Quando vi lavoro, ad occhio nudo posso vedere i residenti del villaggio azero di Mezem che coltivano i campi. Siamo così vicini che potrei allungare la mano e salutare i miei vicini, ma non lo faccio”, racconta Ara, sorridendo.

Ara ha 32 anni. Racconta che in passato voleva abbandonare il villaggio. Non vi vedeva alcun futuro. Per un po’ di tempo ha vissuto e lavorato nella vicina Georgia. Poi nel 2016, durante il conflitto di aprile è ritornato in Armenia e da quel giorno ha deciso che non se ne sarebbe più andato ed avrebbe aiutato la propria famiglia nel frutteto.

Sognando la pace

Ara sogna il momento in cui la pace, tra i due contendenti, non sia solo formale ma anche effettiva. Ed è proprio sognando la pace che due anni fa ha rimesso in produzione il frutteto con l’aiuto di un donatore privato e lo ha chiamato “Giardino della pace”.

“Nel frutteto lavoriamo spesso di notte in modo da non essere visti dai nostri avversari. Lo coltiviamo io e mio padre, siamo abituati a lavorare al buio. Quando lavoro al frutteto silenzio il cellulare ma accendo sempre la vibrazione e lo tengo in tasca. Siamo d’accodo con la mia famiglia che se per caso il nemico improvvisamente spara o effettua un attacco ci chiamano immediatamente”, racconta Ara.

In questi anni i Khudaverdyans hanno già perso due autovetture, danneggiate da spari arrivati dal versante azero. Fortunatamente, in famiglia, non ci sono mai state vittime.

“A volte la gente mi chiede se non intendiamo utilizzare tecnologie agricole moderne, come ad esempio reti di protezione anti-grandine. Ma io sottolineo sempre che la grandine che cade dal cielo non è per noi un pericolo, ma è più un pericolo il piombo che arriva da parte azera, da cui nessuna tecnologia può proteggersi”, racconta il giovane agricoltore.

Secondo Ara anche dall’altra parte del confine la gente prende precauzioni simili. Anche loro lavorano i campi in particolar modo nelle ore serali.

“Di notte non solo si va a coltivare i campi ma si va anche a pescare. Ci sono ottimi pesci nella riserva, che pescano sia gli armeni che gli azeri. Questo in particolare di notte, altrimenti non si tornerebbe sani e salvi. Vi sono persone nel villaggio che sono state ferite mentre pescavano”, racconta Ara aggiungendo che lui invece a pescare non va, non perché abbia paura di essere ferito ma perché preferisce concentrarsi sul frutteto.

Frutta secca

Alcuni mesi dopo aver riavviato il frutteto – e con lo scopo di piazzare meglio il prodotto – con l’aiuto delle Ong “Border” e del programma “Support of Organic Farming Initiative” Ara Khudaverdyan ha creato un impianto di essiccazione della frutta.

Questo ha permesso di vendere il prodotto non solo sul mercato locale ma anche di esportarlo. Ara ha anche preso parte a due fiere internazionali. Ha presentato i suoi cachi biologici essiccati a Dubai e Londra.

“Grazie alle sue caratteristiche organolettiche ha attirato l’attenzione di persone provenienti da vari paesi. Anche i turchi hanno apprezzato la nostra frutta secca. È un peccato non vi fossero partecipanti provenienti dall’Azerbaijan ad assaggiare questi frutti di pace”, afferma Ara aggiungendo che vi sono già accordi per esportare frutta secca negli Stati Uniti, Russia e Bulgaria.

La famiglia Khudaverdyan intende espandere le proprie attività, per poter stare sui mercati internazionali, augurandosi che, qualsiasi cosa accada, i loro frutteti non vengano abbandonati.

Vai al sito

Russia-Armenia: presidente parlamento Erevan riceve ambasciatore Kopyrkin, focus su Unione economica eurasiatica (Agenzianova 02.07.18)

Mosca, 02 lug 15:49 – (Agenzia Nova) – L’Armenia potrebbe diventare un ponte tra l’Unione economica eurasiatica e l’Unione europea. Lo ha dichiarato il presidente del parlamento armeno, Ara Babloyan, il quale oggi si è congratulato con l’ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Russia in Armenia, Sergej Kopyrkin, per la sua nomina. “L’Armenia può diventare un ponte tra Uee e Ue, facilitando il dialogo tra le due organizzazioni internazionali”, si legge in un comunicato stampa dell’assemblea nazionale di Erevan, diffuso dall’agenzia di stampa “Sputnik”. Babloyan ha espresso la speranza che l’ambasciatore appena nominato contribuisca all’ulteriore sviluppo e rafforzamento dei legami amichevoli armeno-russi. Il presidente del Parlamento ha sottolineato l’importante ruolo della diplomazia parlamentare nelle relazioni alleate e strategiche tra i due paesi. Babloyan ha anche sottolineato l’efficacia della cooperazione nelle piattaforme parlamentari internazionali. Kopyrkin, a sua volta, ha assicurato la volontà di fare ogni sforzo per rafforzare l’amicizia tra i due popoli, senza dimenticare di menzionare il contributo di Babloyan allo sviluppo delle relazioni tra Russia e Armenia. (Rum)