Il Partito Repubblicano armeno ha detto che non proporrà un proprio candidato a primo ministro (Ilpost.it 29.04.18)

Il Partito Repubblicano armeno, quello dell’ex presidente Serzh Sargsyan, che ha dovuto lasciare il potere dopo grandi proteste di massa, ha detto che non proporrà un proprio candidato a primo ministro, nella votazione al parlamento prevista per martedì primo maggio. Il Partito Repubblicano ha detto anzi che sosterrà un candidato di un altro partito: per la prima volta dal 1999, quindi, la forza politica erede del Partito Comunista non esprimerà il primo ministro. Il partito ha detto di aver preso questa decisione per distendere il teso clima politico delle ultime settimane.

Nikol Pashinyan, il capo delle proteste, da giorni dice che dovrebbe essere nominato primo ministro: vuole cambiare il sistema elettorale e poi convocare nuove elezioni democratiche. Per essere eletto, Pashinyan ha bisogno anche dei voti dei parlamentari Repubblicani, che sono 58 sui 105 totali. Sembra invece che tutte le altre forze politiche, compresa Armenia Prosperosa, il secondo partito del paese, lo sosterranno.

In Armenia il primo ministro è eletto dal parlamento: e dopo la riforma del sistema politico promossa da Sargsyan nel 2015 con un referendum, il paese è una repubblica parlamentare in cui i maggiori poteri sono detenuti dal primo ministro. In precedenza era una repubblica semi-presidenziale, con un limite di due mandati per il presidente: raggiunto questo limite Sargsyan, presidente dal 2008 al 2018, si è fatto nominare primo ministro dal parlamento, che controlla, tradendo quanto aveva promesso. Questo ha provocato grandi proteste di piazza, che hanno ottenuto le dimissioni di Sargsyan.

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Armenia, opposizione: “i repubblicani sosterranno Pashinyan” (Euronews 29.04.18)

Il nostro inviato speciale in Armenia, Apostolos Staikos, ha intervistato Tigran Avinyan, portavoce del partito d’opposizione di Nikol Pashinyan, Contratto Civile.

Credo fermamente che tutti i parlamentari attualmente presenti in Aula sappiano quale sia l’interesse dell’Armenia e in questo momento è l’elezione di Pashinyan a Primo Ministro“, spiega Avinyan. “E’ l’unica persona in grado di garantire elezioni libere, trasparenti e democratiche in Armenia“.

Cosa dovrebbe fare ora il partito repubblicano armeno? “Beh, l’unico modo che ha il partito repubblicano di salvare il proprio onore, penso sia sostenere il candidato della gente, Pashinyan”, risponde il portavoce di Contratto Civile. “Credo che lo sappiano già e che sarà la strada che prenderanno”.

All’inizio tutti ci dicevano che non c’era speranza, che sarebbe stato tutto inutile. Però ci speravamo, davvero. Speravamo che la gente avrebbe difeso i propri diritti, combattendo la corruzione, la falsità… E lo hanno fatto, avevamo ragione, lo hanno fatto“.

Apostolos Staikos, euronews: «Fonti del partito repubblicano hanno dichiarato a euronews che l’obiettivo è porre fine alla divisione e portare pace e stabilità nel Paese. Il partito si dice pronto a una nuova tornata di colloqui, senza specificare se sosterrà Nikol Pashinyan come premier“.

“Rivoluzione di velluto” in Armenia: nuova stagione di democrazia? (Ispionline 29.04.18)

Lo scorso 23 aprile, una notizia inaspettata ha sorpreso i numerosi manifestanti che da diversi giorni continuavano a riversarsi nelle strade della capitale armena Erevan. Il suono dei clacson – simbolo di protesta contro Serzh Sargsyan, l’uomo che ha dominato la scena politica armena per oltre dieci anni – non è cessato, ma è diventato improvvisamente simbolo di giubilo e di vittoria: Sargsyan si era dimesso dal ruolo di primo ministro, proprio come chiesto dai manifestanti.

Il successo di questa cosiddetta “Rivoluzione di velluto” in Armenia è dovuto a diversi fattori, sia interni che esterni. A livello interno, la tenacia dei vari gruppi sociali scesi in piazza è stata sicuramente determinante, così come il carattere relativamente decentrato della protesta che – nonostante il ruolo del parlamentare ed ex giornalista Nikol Pashinyan e altri attivisti come iniziatori e coordinatori delle proteste – non aveva una chiara struttura gerarchica. L’Armenia, un Paese di 3 milioni di abitanti con una diaspora stimata di circa 8 milioni di persone e il reddito pro-capite più basso nella regione, è stata recentemente classificata da Freedom House come uno stato autoritario semi-consolidato. Tuttavia, la società civile armena si è dimostrata in questi ultimi anni sempre più attiva: già nel 2013, gli armeni avevano protestato in massa contro il secondo mandato presidenziale di Sargsyan; nel 2015, delle proteste di massa chiamate Electric Yerevan erano riuscite a far revocare al governo un aumento del 17% dei prezzi dell’energia elettrica. Secondo un recente sondaggio, il 70% della popolazione sostiene che gli armeni “dovrebbero partecipare a azioni di protesta contro il governo, poiché ciò dimostra al governo che è il popolo a comandare”.

Questa volta, le proteste hanno tratto origine da una riforma costituzionale avvenuta nel 2015 che ha trasformato il sistema politico del Paese da una repubblica presidenziale a una repubblica parlamentare. Molti armeni temevano che la riforma avrebbe cementato il potere delle autorità in carica, visto che Sargsyan – allora Presidente – stava per arrivare al termine del secondo ed ultimo mandato non rinnovabile. Questi timori si sono rivelati fondati quando il 17 aprile Sargsyan – nonostante avesse inizialmente dichiarato che non si sarebbe candidato – è stato eletto Primo ministro dal Parlamento armeno, conservando dunque, a seguito della riforma costituzionale, il grosso del potere nelle sue mani.

Dopo giorni di proteste essenzialmente pacifiche scoppiate dopo l’elezione di Sargsyan, quest’ultimo si era convinto a negoziare con il l’opposizione in un hotel di Erevan, ma il leader delle proteste, Pashinyan, fu arrestato poco dopo. Un corteo di studenti, sfidando le minacce della polizia, ha cominciato allora a bloccare le strade di Erevan, mentre dozzine di soldati si sono uniti ai manifestanti, secondo i numerosi video pubblicati sui social media. Come ha spiegato l’analista armeno Richard Giragosian in un tweet, “sembra che il vero punto di svolta per le dimissioni del premier armeno sia stata la mossa da parte di alcuni battaglioni armeni di peacekeeping di unirsi ai manifestanti, erodendo la fiducia delle autorità”. Poco dopo, il 23, Sargsyan pubblicava una dichiarazione straordinaria annunciando le proprie dimissioni: “Questa è l’ultima volta che parlerò come capo del governo. Nikol Pashinyan aveva ragione. Io avevo torto. (…) La gente in piazza è contro il mio mandato. Sto esaudendo la vostra richiesta.” La notizia è giunta un giorno prima del 103simo anniversario del genocidio armeno, contribuendo a rendere le commemorazioni, già un evento estremamente sentito nel Paese, ancora più solenni. Durante le commemorazioni, Pashinyan ha avuto un ruolo molto attivo, sfilando alla testa di una colonna di decine di migliaia di persone dirette da Piazza della Repubblica al memoriale del Genocidio. L’opposizione armena ha poi ottenuto un’altra vittoria giovedì 26, quando il parlamento ha dichiarato che avrebbe tenuto una sessione speciale e nuove elezioni, fissate per il primo maggio, nelle quali Pashinyan (che è a capo del partito “Contratto Civile”) sembra essere il favorito. Nel tentativo di calmare la piazza, il Partito Repubblicano – che ha ancora la maggioranza in parlamento – ha rinunciato a presentare un candidato; il portavoce repubblicano, Eduard Sharmazanov, ha detto che ci sono prospettive “realistiche” che un nuovo primo ministro sarà eletto il 1 maggio.

Un fattore esterno molto importante è stato il ruolo della Russia, Paese con cui l’Armenia è legata da fortissimi legami economici, storici e politici. Mosca è storicamente il principale alleato militare di Erevan e funge da garante della sicurezza nel conflitto in cui Armenia e Azerbaigian sono coinvolti da ormai da quasi trent’anni anni sul territorio conteso del Nagorno-Karabakh, anche in virtù del fatto che la Russia possiede in Armenia due basi militari che ospitano, nel complesso, circa 5000 soldati.

Economicamente, la Russia è il principale partner commerciale dell’Armenia. Le rimesse sono fondamentali per la debole economia armena, visto che costituiscono più del 13% del PIL; quelle dalla Russia, in particolare, continuano a costituire quasi il 60% del totale nonostante la diminuzione dovuta alla svalutazione del rublo. Questo dà alla Russia notevole peso politico: nel 2013, dopo un meeting a Mosca con Putin, Sargsyan annunciò a sorpresa di aver deciso di rinunciare all’accordo di Associazione con l’Ue per entrare a far parte dell’Unione Economica Eurasiatica. Alla luce di tali interessi russi e della solida relazione politica di Sargsyan con il presidente russo Vladimir Putin, vi erano marcati timori che la Russia potesse interferire contro un’altra “rivoluzione colorata” nel proprio vicinato, anche per paura di possibili ripercussioni sulla propria politica interna. Ma per ora la Russia ha adottato un approccio misurato, non condannando le proteste. Numerosi alti ufficiali, tra cui il ministro degli esteri Sergei Lavrov e il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, hanno dichiarato di non voler interferire negli affari interni dell’Armenia, promuovendo il dialogo tra le forze politiche. Le dichiarazioni di Pashinyan a favore del mantenimento delle relazioni positive con la Russia hanno probabilmente rassicurato il Cremlino. Pashinyan ha confermato che l’Armenia sarebbe restata membro della L’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO in inglese) e che le basi militari russe in Armenia sono viste come un vantaggio, non un ostacolo. Dunque, questa posizione misurata da parte della Russia potrebbe riflettere un approccio pragmatico secondo cui il Cremlino preferisce “sacrificare” Sargsyan e lasciare che un nuovo leader prenda il potere, a patto che la politica estera armena e gli interessi della Russia non subiscano sconvolgimenti. D’altronde, come ha scritto il rinomato esperto del Caucaso Thomas De Waal, “a volte le proteste armene sono solo proteste armene. Non tutte le rivoluzioni post-sovietiche riguardano la geopolitica della Russia”.

Con le elezioni del primo maggio si apre un nuovo capitolo politico per l’Armenia. Il relativo ordine con cui la transizione è stata gestita e l’assenza di profonde implicazioni geopolitiche come nel caso ucraino riducono le probabilità che un periodo di caos segua le elezioni. Tuttavia, l’instabilità politica resta sempre una possibilità, alla luce di possibili mosse delle élites attualmente al potere per preservare i propri interessi e dai rischi di un’escalation di violenza in Nagorno Karabakh. Passata l’euforia della vittoria democratica delle proteste, gli armeni dovrebbero tenere in alta considerazione anche queste altre pericolose fonti di rischio

 

 

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I giovani e l’Armenia: “Siamo pronti per una svolta” (Euronews 29.04.18)

Vita di tutti i giorni a Erevan

Dopo due settimane di manifestazioni, il centro di Erevan, la capitale dell’Armenia, sembra riacquistare il suo ritmo normale.

C’è chi si gode una tazza di caffè, mentre altri scelgono di passare un po’ di tempo al parco, con il sottofondo musicale.

La “musica” del futuro dell’Armenia

Mayarpi, Styopa e Gevorg sono giovani musicisti. Hanno rispettivamente 23, 23 e 18 anni.
Due volte alla settimana si incontrano qui al parco e suonano. E, intanto, cercano di capire cosa sta accadendo nel loro paese.

La nostra società sta cambiando“, spiega Mayarpi Bazikyan, insegnante di musica. “I giovani sognano una vita diversa. Siamo determinati a cambiare le nostre vite. Abbiamo bisogno di posti di lavoro, giustizia e basta corruzione. Vogliamo rimanere In Armenia“.

Arpine Ervandyan, 26 anni, produce le sue sciarpe e le vende al mercatino delle pulci nei fine settimana. Comprende perchè molti giovani se ne sono andati dall’Armenia.

Hanno lasciato il paese, perché non sono riusciti a trovare lavoro qui“, dice Arpine Ervandyan. “Hanno studiato per molti anni, ma ancora non sono riusciti a trovare un lavoro”.

Le magliette di Pashinyan

Accanto al parco, i cittadini di Erevan e i turisti visitano il famoso mercato Vernissage, tra bambole tradizionali, antichità e t-shirt dedicate a Nikol Pashinyan, l’uomo nuovo, l’uomo dell’opposizione, il capopopolo delle manifestazioni diqueste settimane.

Corruzione e alta disoccupazione. Questo è quello che dice la maggior parte della gente, quando chiedi loro cosa c’è dietro a questa rivolta sociale“, commenta l’inviato di Euronews, Apostolos Staikos.Al di là delle battaglie politiche e dei leader ambiziosi, come l’emergente Pashinyan, gran parte della società armena si sente trascurata a margine e questo è qualcosa che gli armeni non possono più sopportare“.

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Armenia, sostenitori di Pashinian in piazza perché diventi premier (Askamews 29.04.18)

Roma, 29 apr. (askanews) – I sostenitori del leader dei dimostranti armeni Nikol Pashinian sono scesi oggi in piazza oggi, nella speranza di dare una dimostrazione di forza per portare il partito ora all’opposizione al potere nelle elezioni per il premier tra due giorni.

L’Armenia è stata sull’orlo di una grave crisi politica nelle scorse due settimane, con l’ex presidente Serzh Sargsyan che si è dovuto dimettere da premier designato in seguito alle proteste.

Ieri, dopo due giorni di negoziati, Pashinian ha ottenuto il sostegno di due altri partiti, ma gli mancano ancora sei voti dei 53 di cui ha bisogno per assicurarsi la maggioranza. Serve quello del Partito repubblicano, che ha 58 seggi, e che è il partito di maggioranza. La sua decisione sarà comunicata lunedì.

L’Armenia si riscalda mentre la proxy war continua (comedonchisciotte.org 29.04.18)

L’Armenia è parte importante nei piani a lungo termine della Russia. Come membro dell’Unione Economica Euroasiatica, l’Armenia è la chiave di volta per la protezione dei confini meridionali della Russia.

Per questo motivo, ero rimasto scioccato nel 2016, quando la regione contesa del Nagorno-Karabakh era stata “riattivata” dagli Stati Uniti, dopo una breve visita del Segretario di Stato John Kerry , come punizione per l’intervento russo in Siria.

Nel Nagorno-Karabakh, prima della visita di Kerry, la pace era regnata per più di vent’anni. Subito dopo, nello spazio di pochi giorni, si erano verificati degli scontri nella parte azera di questa regione che si trova fra le due nazioni [Armenia ed Azerbaigian].

Perciò, non sono affatto sorpreso dal fatto che i Neoconservatori, subito dopo aver assunto il controllo dalla Casa Bianca di Trump, abbiano fatto partire una rivoluzione colorata in Armenia, mentre, allo stesso tempo, fanno pressioni sulla Russia in Ucraina e in Siria, sulla Gran Bretagna, sui mercati finanziari, praticamente dappertutto e contemporaneamente.

L’articolo (qui) di questa mattina su Zerohedge ci fornisce il quadro politico della situazione: l’ex Presidente Serzh Sargsyan era stato eletto alla carica di Primo Ministro, un passaggio di poteri solo di facciata. La cosa aveva innescato le proteste, cresciute fino al punto da costringere Sargsyan alle dimissioni.

Le Rivoluzioni Colorate, innescate dalle ONG occidentali, iniziano con il fomentare le opposizioni moderate al governo in carica fino a trasformarle, con la violenza che dilaga nelle strade, in folle pronte al linciaggio.

Perchè gli Armeni dovrebbero iniziare proprio adesso ad assaltare i negozi turchi ad Aleppo (che è in Siria) per una questione di politica interna armena?

Perchè la cosa darà al Presidente turco Erdogan il pretesto di terminare il genocidio (la cui esistenza Erdogan ed Israele rifiutano di ammettere) degli Armeni, iniziato dai suoi predecessori un centinaio di anni fa.

La speranza è che questa provocazione metta in crisi i rapporti fra Turchia e Russia, in un momento in cui i nervi di tutti sono tesi quasi al punto di rottura.
La Turchia ha annunciato alla fine della settimana scorsa che riporterà in patria tutto il suo oro custodito nel caveau della Federal Reserve a New York.

L’Iran annuncia di non accettare più dollari per le sue transazioni economiche e passa all’euro nei contratti internazionali, in preparazione al disconoscimento, da parte di Trump, dell’Accordo sul Nucleare Iraniano (JCPOA) ed al ristabilimento delle sanzioni del 2012, che comprendono nuovamente l’espulsione dal circuito Swift.

Se dovesse così cadere il governo dell’Armenia, ci sarebbero immediatamente pressioni per un suo ingresso nella NATO, un vero incubo per tutta la regione.
Perciò questo mette tutti in posizione di stallo, perché la Russia deve continuare a sostenere l’attuale governo, con cui ha un’allenanza militare di grande importanza strategica.

Bisogna ricordare che l’Armenia è un membro del CSTO [Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva] ed ha accordi con Mosca per il comando unificato delle forze armate

Ne consegue che, in questo momento, questo tentativo di golpe è una mossa assai cinica e provocatoria, sulla scia delle elezione azere e del continuo miglioramento delle relazioni russo-azere, miglioramento il cui obbiettivo è quello di triplicare nel giro di pochi anni le esportazioni azere verso la Russia.

La Russia, con Putin, è riuscita a gestire in maniera intelligente le sue relazioni con entrambe le nazioni, con un occhio di riguardo per l’Armenia, la importante delle due dal punto di vista strategico, visto che protegge i confini meridionali della Russia.

E un’Armenia stabile significa (anche) un più lento flusso di “terroristi”verso la Russia.

Quello che si spera di ottenere in Siria è, fra le altre cose, la creazione di uno stato fallito e di una roccaforte per i terroristi allo scopo di destabilizzare tutta la regione, compreso l’Iraq, l’Iran e la Turchia, ma con lo scopo ultimo di dissanguare lentamente e mortalmente la Russia.

E, man mano che cadono le varie tessere del domino, diventa sempre più difficile per la Russia difendere la sua posizione nelle repubbliche ex-sovietiche. Questo è il motivo per cui Putin è stato così concentrato nell’incrementare la collaborazione militare ed i legami economici con questi paesi. E’ stato, ad esempio, molto bravo nel suo approccio diplomatico all’Uzbekistan, dopo la morte, nel settembre del 2016, del suo pluridecennale leader Karimov [in carica dal 1991 – NdT].

Si può dire la stessa cosa su come (Putin) ed il Presidente iraniano Rouhani hanno gestito le relazioni con l’Azerbaigian, nonostante la ferita aperta del Nagorno-Karabakh.
Perciò, mentre in Armenia la tensione sale, l’interrogativo dei prossimi giorni è se la rimozione dalla politica armena di un alleato della Russia di lunga data come Sargsyan sarà sufficiente a sedare la rabbia attuale.

Questo non posso saperlo, ma so che questa situazione, se dovesse peggiorare, lo farà alla maniera del Maidan di Kiev.

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HOTEL GAGARIN | Dove alloggiano i sogni (Duerighe.com 28.04.18)

Il primo lungometraggio di Simone Spada è un racconto poetico e simpatico. Una pellicola svolta nel sorriso tipico di una commedia genuina porta nelle sale una storia di sogni ed emozioni. Il regista ha pensato ad “un film che non parla di cinema ma che lo usa come pretesto, come possibilità di esplorazioni di incontri”. E’ così perché i protagonisti si riuniscono per girare un film che non si girerà mai, ma che gli regalerà qualcosa che vale di più della ricompensa per cui erano partiti. Un gioco un po’ pirandelliano che lascia spazio alle prerogative del genere, fatte di nuovi amori e giocosi inconvenienti.  Immersi nel freddo di un’Armenia divisa tra guerra e voglia di rinascere, i personaggi disegnati da Spada, “sono un po’ tutti noi”, che persa la speranza di una vita piena la ritrovano fortuitamente lontano da casa.

Il film è tutta una messa in scena. Franco, quello che appare come un decaduto affarista romano un po’ trasandato e molto furbo, riceve tra le mani l’occasione della vita. Un amico europarlamentare gli affida un progetto sostenuto da fondi dell’Unione Europea per girare un film nel territorio armeno. L’inizio è comico e sotto una lente che fa quasi da “meta cinema”. Spada sembra aprire lo spiraglio su un ambito della produzione cinematografica leggermente oscuro,quello dei film prodotti da fondi pubblici. Da questo dimensione si ritorna a quella più stringente della commedia. Franco organizza una truffa: servirsi di una complice adeguatamente ricompensata, ingaggiare una troupe di “disperati”, spedirla in Armenia, incassare i finanziamenti, sparire.

La sceneggiatura da rappresentare racconta il viaggio di una ragazza che vola in Armenia per tornare sulle tracce delle sue origini. Una storia impegnativa scritta da Nicola,un professore di storia del liceo interpretato da Giuseppe Battiston. Quando la Tindaro Film, agenzia ovviamente inesistente, lo informa della vittoria della sua sceneggiatura, il professore, che amava spiegare storia attraverso il cinema, è al settimo cielo. Sarà la regia di un film tutto suo, il sogno di una vita. Nicola è l’unico a credere nel film, facile, quindi da reclutare. Franco passa alla ricerca di quei componenti essenziali per girare un film e per la riuscita della truffa. Così ingaggia come complice una cinica amica sovietica e poi casualmente recluta un elettricista, Claudio Amendola, come macchinista, un fotografo fattone, interpretato da Luca Argentero, come direttore della fotografia, poi Silvia D’amico nei panni di una prostituta romana chiamata a fare l’attrice protagonista.

Riunito il gruppo, sotto la guida della complice, Valeria, interpretata da Barbora Bobulova, partono per l’Armenia. Sistemati nell’Hotel Gagarin incominciano i sopraluoghi alla ricerca di una distesa valle innevata. Una volta trovata però vengono presi da soldati armeni, ricondotti nell’hotel, vengono tenuti li, perché è scoppiata una guerra. Con le strade bloccate non c’è possibilità di andarsene. Nel frattempo in hotel il tempo scorre, agi, comodità, nuovi occasioni, vivificano la vita dei personaggi in quel momentaneo microcosmo; nessuno pensa più al film,tranne Nicola ovviamente. Sulle note di Samarcanda, finisce la guerra, sbocciano nuovi amori e scoprono della truffa. L’ambasciata italiana si fa attendere per riportarli a casa e loro troveranno un magico modo di intrattenersi. Daranno vita ai sogni, girando non uno ma centinaia di piccoli, unici film.

E’ la chiusura di una commedia divertente che nel sensazionalismo finale riesce a non scadere nella banalità. Intrappolati nell’hotel disegnando i sogni di molti Armeni, si affezioneranno alla vita dell’hotel e quando l’ambasciata sarà pronta a rimpatriarli qualcuno tornerà, qualcun altro no. Spada dipinge il popolo armeno con le fattezze degli italiani vissuti a cavallo tra il dopoguerra e il miracolo economico. Giovani ragazze che ballano sulle canzoni di Albano e Romina, umili signori che si proiettano verso il sogno americano. Il bello del film è che saranno i nostri protagonisti a dare forma a queste aspirazioni. Non mancano anche in questa sede le venature comiche che percorrono tutta una trama impreziosita da numerose e appropriate citazioni letterarie pronunciate dalla bocca saccente e bonaria del professor Nicola. Quest’ultimo,il più deluso dalla truffa di cui era stavo vittima, vivrà dello stesso sogno degli Armeni, trovando nell’hotel il luogo dove si può sfruttare ancora la propria occasione.

“Il film vuole essere una commedia romantica, brillante, malinconica e un po’ visionaria. E’la possibilità di fare un viaggio divertendosi, un film in movimento nonostante si svolga principalmente in un unico grande ambiente.  E’ un tentativo di farci sognare, ridere, emozionare o intristire, come faceva, una volta, la commedia all’italiana che ci faceva uscire dal cinema più consapevoli e felici”. Una commedia godibile, dai toni favolistici che ci ricorda con le parole di Tolstoj: “se vuoi essere felice, comincia”.

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Armenia, opposizione in piazza sino al voto di maggio (Euronews.com 28.04.18)

La bandiera armena continua a sventolare sui tetti, i manifestanti non abbandonano il presidio, non sgomberano le piazze. La “rivoluzione di velluto”, guidata da Nikol Pashinyan, esponente di spicco del Congresso Nazionale Armeno, prosegue sino al voto.

Non bastano, dunque, le dimissioni del primo ministro Serzh Sarchisian, in sella dal 2008 quando ancora l’Armenia era una repubblica semi-presidenziale. Neppure l’annuncio del portavoce del partito Repubblicano al potere, che chiude all’ipotesi di presentare un candidato alle elezioni di maggio, è servito a riportare gli armeni a casa. Il partito del premier dimissionario ha infatti deciso di abbandonare la contesa elettorale: voterà in blocco, e in maniera unanime, dopo aver valutato gli altri candidati.

Il disimpegno, seguito alle proteste pacifiche, organizzate dal basso, ma sempre piu incalzanti, ha solo reso piu colorate e allegre le manifestazioni che hanno toccato anche i piccoli centri del Paese. Venerdi scorso l’apice del dissenso quando migliaia di persone si sono riversate nella piazza di Gyumri, la seconda città armena.

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Armenia, (quasi) tutti vogliono Pashinyan (Euronews.com 28.04.18)

Pashinyan futuro leader?

Una carovana di automobili ha lasciato Erevan, capitale dell’Armenia, per raggiungere Gyumri, la seconda città del paese, per seguire il discorso del leader dell’opposizione Nikol Pashinyan.

Piove a catinelle sulla piazza di Gyumri, ma la folla è traboccante.

In queste settimane, il giornalista e intellettuale Nikol Pashinyan è stato l’anima delle manifestazioni che hanno scosso il paese.

Per alcuni è solo un opportunista. Per molti rappresenta, invece, la vera speranza per il futuro

Il 1. maggio il Parlamento armeno eleggerà il nuovo Primo Ministro. Ma l’obiettivo sono le elezioni democratiche.

Chi appoggia Pashnyan

“Ci ​piace Nikol Pashinyan perché pensa liberamente”, dice questo imprenditore, Ruben Petrosian.
“Siamo fiduciosi, con lui possiamo risolvere i nostri guai. Quest’uomo può guidare la rivoluzione in Armenia e diventare un buon Primo Ministro“.

Questa è una lotta, una lotta pacifica contro il nostro regime, una specie di dittatura“, spiega Aleksandr Khachatryan, studente universitario.
Questa è una lotta non contro una persona specifica, non contro il nostro ex presidente Serzh Sargsyan. Questa è una lotta contro il sistema, che ha distrutto la nostra società e la nostra economia“.

Ma il nuovo primo ministro sarà….

Il probabile nuovo Primo Ministro Karel Karapetyan, già vice-Premier e attuale Primo Ministro ad interim, dovrà fare i conti con Pashinyan, ago della bilancia della nuova politica armena. Il leader dell’opposizione ha già annunciato che non appoggerà nessun candidato del partito repubblico, lo stesso di Sargsyan e di Karapetyan.

Il nostro inviato di Euronews, Apostolos Staikos cosi commenta: «All’interno e al di fuori dell’Armenia, molti credevano che le dimissioni di Serzh Sargsyan avrebbero messo fine alle manifestazioni di massa. Tuttavia, molti cittadini rimangono nelle strade, chiedono un cambiamento politico e sperano che la loro lotta servirà per il futuro del loro paese».


Armenia: repubblicani non proporanno candidatura per nuovo primo ministro (Agenzianova 28.04.18)

Erevan, 28 apr 18:05 – (Agenzia Nova) – Il Partito repubblicano d’Armenia (Pra) ha deciso di non proporre il suo candidato per la carica di primo ministro, dopo le consultazioni con il primo ministro ad interim, Karen Karapetyan, l’ex presidente e premier dimissionario, Serzh Sargsyan e il vicepresidente del parlamento Eduard Sharmazanov. All’inizio di questa settimana, Sharmazanov, esponente di primo piano del Pra, ha affermato che il partito si sarebbe incontrato per scegliere il suo candidato entro lunedì. “Oggi all’incontro dei membri del Pra con il presidente del partito Serzh Sargsyan e il primo vicepresidente Karapetyan, è stata presa la decisione di evitare di proporre un candidato per la carica di primo ministro”, ha detto Sharmazanov agiungendo che la decisione ha l’obiettivo di evitare il “conflitto” la “tensione” politica all’interno dell’opinione pubblica nazionale. “Questa decisione è stata presa perché la posizione del partito è quella di rafforzare lo Stato: è stata una decisione unanime, siamo tutti d’accordo sul fatto che questa è la decisione giusta per il momento”, ha aggiunto Sharmazanov. (segue) (Res)

Nel Giardino dei Giusti fiorisce il ricordo per Benedetto De Beni, Antonia Locatelli e Armin Theophil Wegner (Bergamonews.it 28.04.18)

La memoria e l’esempio: sono questi gli obiettivi del Giardino dei Giusti al Galgario di Bergamo che ha visto nella giornata di sabato 28 aprile l’entrata di nuovi tre “giusti dell’umanità”, Benedetto De Beni, Antonia Locatelli ed Armin Theophil Wagner.

Presenti all’evento l’assessore ai servizi demografici Giacomo Angeloni, il questore di Bergamo Girolamo Fabiano, la direttrice dell’associazione Garigliano Ulianova Radici, i parlamentari Antonio Misiani e Devis Dori ed il sindaco Giorgio Gori, il quale ha sottolineato l’importanza dell’esempio dato dai tre giusti.

Ricordiamo quest’oggi personalità che nel corso della loro vita si sono per la difesa per persone perseguitate in azioni in cui hanno rischiato anche la vita – ha affermato il sindaco Gori -. Queste persone sono Benedetto De Beni, capitano d’artiglieria che ha salvato due sorelle ebree in Ucraina; Antonia Locatelli, suora bergamasca che si è battuta per il genocidio dei Tutsi in Rwanda; e Armin Theophil Wagner,scrittore tedesco che testimoniò il genocidio degli Armeni. Ciò che è importante ricordare è che, benché i loro esempi non bastino per risolvere fatti sanguinosi presenti anche al giorno d’oggi, rimangono comunque esempi di coraggio da seguire”.

Sull’esempio dato dai giusti si è soffermato anche l’assessore Angeloni, il quale ha lanciato un messaggio ai più giovani: “ In questo momento il mondo è scosso da questioni economiche, da guerre e da situazioni che portano a divisioni. Queste personalità che oggi ricordiamo sono esempi di persone che hanno ragionato in maniera diversa e che lanciano un messaggio per cui non bisogna dimenticare di non aver paura ad esprimere le proprie idee e le proprie opinioni”.

Nel corso della cerimonia sono state inaugurate tre targhe rappresentanti la storia delle tre personalità ricordare, storie che sono state raccontate da alcuni parenti presenti come Andreina Locatelli, sorella di Antonia, Agop Manoukian, presidente onorario dell’Unione degli Armeni d’Italia, e Berardo De Beni, figlio di Benedetto, il quale ha illustrato la vicenda del padre: “Nel corso della Seconda Guerra Mondiale mio padre era capitano d’artiglieria in Ucraina, dove l’esercito italiano ha avuto modo di incontrare una comunità ebraica, con cui i soldati hanno avuto modo di relazionarsi. Mio padre conobbe due sorelle, Sara e Rachel Turok, le quali, quando parte della comunità venne radunata per esser portata in campo di concentramento, vennero messe in salvo da lui e portate in Italia tramite una tradotta dell’esercito che ritornava in patria. Una volta giunte nel nostro paese furono nascoste prima in un convento prima di raggiungere Gromo dove risiedevamo io e mia madre. Alla conclusione della guerra le sorelle fecero ritorno nel loro paese e con una di loro ancora oggi sono in contatto”.

Emozione anche per Andreina Locatelli, che nel suo intervento ha ricordato l’opera svolta dalla sorella: “Antonia era una donna dal piglio deciso, con un carattere apparentemente burbero, ma dal cuore grande in grado di farsi amare da tutti. Si trasferì in Rwanda nel 1970 come suora laica e lì fece tutto quello che poteva per i ragazzi ruandesi, dirigendo un istituto agrario e creando un’azienda agricola dove, da buon imagnina, insegnava come coltivare. Antonia è scomparsa nel 1992, ma, nonostante siano passati ventisei anni, il ricordo della sua presenza rimane forte”.

 

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Successo per la giornata in ricordo del genocidio degli Armeni a Brancaleone vetus (RC) (Corrierelocride.it 27.04.18)

Mercoledì 25 aprile a Brancaleone si è tenuto un evento di grande spessore culturale, la manifestazione organizzata dalla Pro-Loco di Brancaleone con il Patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Brancaleone e l’Ambasciata della Repubblica di Armenia in collaborazione con le parrocchie di San Pietro Apostolo e Maria SS Annunziata, ha visto una grande partecipazione. Nel Pomeriggio si sono svolti i vespri Greco-Bizantini presso la ex chiesa dell’Annunziata di Brancaleone superiore presieduta dai Parroci Don Leonida Ratovoniania (Parroco di Paese Nuovo) e Don Vladimiro Calvari (Parroco di Brancaleone Marina e Galati) e Don Mario Casile Diacono Birituale Comunità Bizantina di San Cipriano di Reggio Calabria che ha celebrato i vespri greco bizantini in un lima di raccoglimento e preghiera che da 5 secoli mancavano in questo luogo ancora intriso di storia e cultura bizantina. Alla manifestazione hanno partecipato numerose Istituzioni territoriali fra cui: Il Viceprefetto del Comune di Brancaleone Salvatore Mottola, Tilde Minasi ex Consigliere regionale e candidata alle politiche nazionali con la lista Salvini Premier, Paparo Antonio (Comandante dell’Ufficio Marittimo della Guardia Costiera di Bianco (RC), Il Sindaco di Staiti Giovanna Pellicanò, Marisa Pisani (presidente della FIDAPA sez. Brancaleone) l’Associazione Pensionati Brancaleone, l’Associazione Pro-Loco di Bruzzano rappresentata dalla sua Vice Presidente Vittorina Dieni, i rappresentanti delle associazioni: Deputazione Storia Patria per la Calabria rappresentato da Vincenzo De Angelis, L’ Associazione Marinai D’Italia, L’associazione Carabinieri in pensione sez. di Brancaleone, oltre ad una rappresentanza della comunità Armena che ha partecipato alla giornata con visibile commozione.

L’evento ha visto una nutrita partecipazione di fedeli provenienti da tutto il reggino e dal territorio della locride, dopo il rito bizantino la benedizione del pane Calabrese e quello Armeno (il Lavash) che è stato distribuito a tutti i fedeli in un vero e proprio incontro fra culture, quella Calabrese e quella Armena.

A seguire gli interventi di Vincenzo De Angelis storico e Ricercatore locale che ha tracciato le origini e le vicissitudini di Brancaleone e del territorio con una profonda cultura Cristiana Greco-Bizantina che per molti secoli ha caratterizzato questo territorio e nella fattispecie Brancaleone grazie ai monaci orientali che abitarono le grotte ancora oggi presenti nel sito archeologico di Brancaleone vetus.

A seguire l’intervento di Sebastiano Stranges fautore dell’iniziativa e tra i conoscitori della cultura Armena che grazie alle sue ricerche condotte sul territorio ha permesso alle comunità di questo pezzetto di territorio compreso fra Brancaleone e Ferruzzano di poter riconoscere le propèrie origini antichissime provenienti dalla presenza Armena intorno all’ VIII°-IX° sec. d.C. e da anni impegnato in varie conferenze in giro per la Calabria che ha parlato del genocidio del popolo armeno del 1915 perpetrato di Turchi che ancora oggi non vogliono riconoscere questo eccidio.

L’ingresso dei due testimonial Carmine Verduci (Presidente della Pro-Loco) e di  Tehmina Arshakyan in abito tradizionale Armeno dalla porta della chiesa è stato un momento che ha commosso organizzatori e presenti. Subito dopo una fiaccolata per le vie del borgo ha raggiunto la sommità dell’antico abitato dove sul sito dell’antica chiesa Protopapale di Brancaleone è stato acceso un bracere in ricordo del genocidio del popolo armeno sulle note del Duduk (strumento tipico Armeno) che ha commosso i presenti. A seguire i presenti hanno potuto vivere un momento spirituale molto particolare all’interno della chiesa-grotta dell’albero della vita, un simbolo dell’armenità tra i più rari del territorio calabrese che rappresenta oggi un punto di forza che sta riportando il turismo nella cittadina grazie all’impegno della Pro-Loco e dei suoi volontari impegnati da anni alla valorizzazione del sito grazie alla gestione del Parco Archeologico Urbano che sta vivendo la sua rinascita grazie ad importanti opere di recupero finanziate da raccolte fondi e da attività svolte e curate dalla stessa Associazione.

L’organizzazione intende ringraziare tutti coloro che si sono prodigati alla buona riuscita della manifestazione con un particolare grazie all’Amministrazione Comunale di Brancaleone presieduta dai Commissari straordinari: Il Prefetto a riposo Giovanni Meloni, dal viceprefetto Salvatore Mottola e dal funzionario economico finanziario Isabella Giusto, a Don Mario Casile (Comunità di San Cipriano di Reggio Calabria e tutti i parnters che hanno aderito all’iniziativa: Associazione Il giardino di Morgana, 0964.biz, la Protezione Civile di Brancaleone, la Deputazione Storia Patria per la Calabria, il gruppo Kalabria Experience e la comunità Armena che è giunta da lontano per partecipare all’iniziativa.

L’ambasciatrice della Repubblica di Armenia in Italia con una mail alla Pro-Loco di Brancaleone ha pronunciato parole di stima e di ringraziamento per l’evento estesi a tutta la comunità di Brancaleone e gli organizzatori, ed ha auspicato un punto di partenza importante su cui instaurare rapporti diplomatici tra Calabria e l’Ambasciata in nome della solidarietà fra popoli per la causa del Genocidio Armeno che Brancaleone ha adottato come simbolo di antica identità e vicinanza ai fratelli Armeni.

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Armenia: nuova rivoluzione anti-russa? (Interris 27.04.18)

Non accenna a diminuire l’intensità delle proteste portate avanti dall’opposizione armena nei confronti della nomina a primo ministro dell’ex presidente Serzh Sargsyan. I manifestanti (secondo alcune fonti più di 150mila armeni sono scesi in piazza dall’inizio delle proteste) hanno nuovamente invaso le strade principali di Erevan, bloccando l’accesso a Piazza della Repubblica, punto nevralgico del centro cittadino. L’ispiratore del movimento di protesta, Nikol Pashinyan, ex editore, giornalista con chiare ambizioni politiche, nonché a capo del partito “Intesa Civica” (confluito poi nella coalizione “Yelk”), ha fatto sapere tramite una conferenza stampa tenutasi lo scorso martedì che le manifestazioni non cesseranno fino a quando lui stesso non verrà eletto primo ministro dall’Assemblea Nazionale, in quanto “scelto dal popolo”, ritenendo sufficiente considerare la portata ed il numero dei manifestanti come prova di consenso nei suoi confronti. Tutto ciò, ovviamente, andrebbe completamente contro qualsiasi principio costituzionale del Paese caucasico, dove l’elezione del primo ministro spetta unicamente al Parlamento. Appena lunedì scorso l’ex presidente Sargsyan, travolto dalla crescente impopolarità della sua figura (alla guida dell’Armenia dal 2008 sotto le insegne del Partito Repubblicano), ha rassegnato le dimissioni dalla carica di premier dando il via ai festeggiamenti della folla e delegando la travagliata gestione di questa fase di crisi al suo vice Karen Karapetyan, colui che sta portando avanti le complicate trattative con la risoluta opposizione guidata da Pashinyan. La “calda” primavera di Erevan ha alternato, per il momento, giorni di protesta pacifica a vari episodi di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Per fortuna, fino ad ora non sembrano esserci vittime tra la numerosissima folla che ha invaso le vie della capitale, visibilmente irritata dal potere reiterato di Sargsyan e del suo Partito Repubblicano.

I recenti tumulti armeni rappresentano solo l’ultimo caso di sommosse popolari avvenute nello spazio post-sovietico negli ultimi 15 anni. In tutti i casi il rapporto tra la Russia e le varie Repubbliche interessate dai moti di protesta ha sempre svolto un ruolo centrale nello svolgimento degli stessi (basti pensare all’EuroMajdan ucraino del 2014), pertanto la “primavera armena” ha subito destato l’attenzione di vari analisti ed operatori nel settore, in molti già intenti a raccontare l’ennesimo regime change ai danni di Mosca tirando in ballo le Ong, la società civile, George Soros, ecc… Nonostante la Federazione Russa stia tutt’ora monitorando la situazione con interesse e non senza preoccupazione, il paragone con i fatti del Majdan ucraino rimane, al momento, molto forzato. Nonostante Pashinyan in passato si sia spesso espresso a favore di un ridimensionamento della sfera di influenza russa sull’Armenia (nello specifico, uscita di Erevan dall’Unione Economica Eurasiatica e dalle strutture dell’Odkb), nessun profilo politico con un minimo di buon senso reciderebbe mai gli storici legami politico-culturali intessuti nei secoli da Russia ed Armenia, considerando anche il diverso peso geo-strategico dei due Paesi messi a confronto: mentre l’Ucraina ha tentato (con alterne fortune) di sfruttare tutto il suo potenziale “marginale” rappresentando un “corridoio” necessario al collegamento tra Russia e due forze storicamente antagoniste come Polonia e Germania, l’Armenia ha sempre visto in Mosca la “protettrice” del popolo armeno dalle angherie subite dai Paesi confinanti, ossia Azerbaigian e, soprattutto, Turchia. La Russia, è bene ricordarlo, è militarmente presente ed attiva in territorio armeno per via della base di Gyumri.

L’Armenia è un Paese difficile da caratterizzare: è saldamente incastonata tra il mondo russofono e quello turcofono, conta appena 3 milioni di abitanti, ma può avvalersi di una diaspora numericamente considerevole e potente, presente sia a Boston così come a Beirut; è un Paese prevalentemente cristiano, ma che intrattiene ottimi rapporti diplomatici con l’Iran; il tenore di vita del popolo armeno è basso, ma la stessa cosa non si può dire del suo livello medio di istruzione. Stretta nella morsa tra lo storico antagonismo di Istanbul (proprio in questi giorni si è commemorato l’anniversario del genocidio armeno perpetrato ai primi del ‘900 dai turchi) e le provocazioni di Baku (da non dimenticare la questione del Nagorno Karabakh, causa di conflitto nel 1994), Erevan non sembra proprio nella posizione di potersi permettere di voltare le spalle al suo unico e preziosissimo alleato nella regione. Pertanto, le proteste degli ultimi giorni sembrano avere un carattere squisitamente politico-sociale, ma meno “geopolitico”: qualsiasi sia l’esito di questa transizione, l’Armenia non sembra possedere sufficienti argomentazioni per alterare gli equilibri politici dello scacchiere caucasico. Nonostante ciò il livello di attenzione di Mosca sembra essere altissimo: è delle ultime ore la notizia di un colloquio telefonico avvenuto tra Vladimir Putin ed il primo ministro ad interim Karapetyan, durante la quale è stata ribadita la necessità di risolvere la crisi nei limiti di legge imposti dalla Costituzione e nel rispetto delle elezioni parlamentari avvenute lo scorso anno. La nomina del nuovo capo dell’esecutivo dovrebbe avvenire il primo di maggio. È evidente che, nonostante la situazione sia sotto controllo, la Russia, memore delle scottature subite di recente dal suo “estero vicino”, preferisca una soluzione all’insegna della continuità con il passato recente.

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Armenia: premier ad interim Karapetyan rifiuta incontro con leader proteste Pashinyan (Agenzianova 27.04.18)

Erevan, 27 apr 10:33 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro ad interim dell’Armenia, Karen Karapetyan, ha rifiutato di negoziare con l’esponente dell’opposizione e leader delle proteste di piazza Nikol Pashinyan, ritenendo un eventuale incontro poco promettente. È quanto riferito dal portavoce del capo del governo, Aram Araratyan. “Karapetyan non ritiene credibili dei negoziati in cui una parte impone l’ordine del giorno e l’altra non può presentarne un altro alternativo”, ha scritto Araratyan su Faceebook. Il premier ad interim ritiene inoltre che la richiesta di Pashinyan di tenere colloqui davanti ai media è indice di scarsa volontà di raggiungere effettivamente un risultato ha dichiarato Araratyan.

Pashinyan ieri sera aveva annunciato la volontà a negoziare con il vicepremier Karapetyan ponendo un’unica condizione: un incontro completamente pubblico alla presenza di rappresentanti della stampa dall’inizio alla fine. “Non negozieremo con il Partito repubblicano armeno (Pra) dietro le quinte. Negozieremo di fronte al popolo, perché annunceremo che il popolo è la guida e il nostro capo”, ha detto Pashinyan. Lo scorso 25 aprile l’organizzatore delle protese ha annunciato di essere stato nominato dal popolo come candidato all’incarico di primo ministro e che ci si aspetta che il parlamento confermi questa decisione. Pashinyan “Non ci saranno accordi dietro le quinte. O sarò eletto primo ministro con l’aiuto e il sostegno della gente, o non ci sarà alcun primo ministro in Armenia”, ha detto Pashinyan.

Il parlamento armeno eleggerà il nuovo premier il primo maggio, secondo quanto annunciato ieri dal presidente del parlamento di Erevan Ara Babloyan in un comunicato. Il dibattito inizierà alle 12 ora locale (le 10 in Italia) nel corso di una sessione straordinaria del parlamento. Lunedì scorso il primo ministro Serzh Sargsyan si è dimesso a causa delle proteste governative che da giorni sono in corso a Erevan e in altre città armene. Il primo vicepremier Karen Karapetyan è stato nominato primo ministro ad interim nel corso di una sessione d’emergenza. Secondo la Costituzione, i gruppi parlamentari hanno il diritto di nominare dei candidati per l’incarico di premier entro sette giorni dalle dimissioni dal capo del governo: successivamente viene convocata una seduta parlamentare per eleggere con voto palese il nuovo primo ministro.

Nel mentre si è acceso il dibattito in vista del voto. Eduard Sharmazanov, portavoce del Partito repubblicano dell’Armenia (Pra, al governo) e vicepresidente del Parlamento, ha dichiarato che il suo gruppo “discuterà la questione del candidato del partito all’incarico di primo ministro entro i termini previsti dalla Costituzione, incluso il 30 aprile, e prenderà una decisione congiunta”. “Qualsiasi decisione prenderemo sarà condizionata esclusivamente all’interesse statale dell’Armenia e al servizio degli interessi dei cittadini armeni, tenendo conto della priorità della sicurezza nazionale e della stabilità interna. Siamo una forza politica per cui l’interesse dello Stato e della patria è al di sopra di tutto”, ha detto Sharmazanov.

La deputata dell’Alleanza Tsarukyan (seconda forza in termini di seggi in parlamento, all’opposizione) Naira Zohrabyan ha ricordato che l’incontro del leader del blocco, Gagik Tsarukyan e del capo del Blocco Yelq, Nikol Pashinyan, si è svolto nei giorni scorsi, e ha confermato che al momento le parti stanno discutendo. “A partire da questo momento non posso più dire nulla in merito a una decisione concreta finché sono in corso trattative abbastanza intense. Ci assicureremo di prendere una decisione in un paio di giorni e la pubblicheremo entro il 30 aprile, entro la scadenza in cui dovranno essere nominati i candidati all’incarico di primo ministro “, ha detto Zohrabyan.

Il segretario del Blocco Yelq, Gevorg Gorgisyan, ha detto che la formazione è pronta a nominare Nikol Pashinyan per l’incarico di premier, ma che tuttavia non hanno fretta. “Siamo pronti a procedere, ma ieri (il 25 aprile) è stato affermato che Nikol Pashinyan dovrebbe essere il candidato di tutte e quattro i gruppi parlamentari. Ora, penso, che Pashinyan stia avendo dei colloqui con gli altri tre gruppi e suppongo che saremo avvisati dei risultati “, ha detto Gorgisyan. Il rappresentante del Federazione rivoluzionaria armena (partner della maggioranza), Arsen Hambardzumyan, ha informato che il partito non ha ancora preso una decisione concreta sul candidato all’incarico di primo ministro. Hambardzumyan per ora ha negato che la Federazione possa sostenere la candidatura di Pashinyan, pur confermando che sono previsti degli incontri con quest’ultimo nei prossimi giorni. (Res)