Il monte Ararat e la tragedia di un popolo: ottima partecipazione alla serata SAT sull’Armenia (Lavocedelnordest 19.01.18)

La conferenza “Dagli Armeni all’Arca” è stata la prima tappa del progetto di “Casa della Cultura di Montagna” che il nuovo direttivo della locale sezione della SAT vuole portare avanti nel prossimo triennio: utilizzare la sede per conferenze, presentazione di libri, mostre o solo per incontri tra appassionati per parlare di montagna a 360 gradi

 

Primiero (Trento) – La conferenza alla sede SAT di Primiero si è svolta considerando un duplice aspetto che caratterizza queste popolazioni: da una parte la tragedia del popolo Armeno, argomento tabù in Turchia e di cui solo da poco alcune diplomazie occidentali hanno iniziato a parlare – Papa Francesco in primis – e la misteriosa ricerca dell’Arca.

La conferenza è stata preceduta dal racconto di Luciano Scalet che, assieme ad alcuni altri membri del Soccorso Alpino Trentino, è stato se non l’ultimo uno degli ultimi scalatori dell’Ararat: la montagna è infatti stata chiusa anche alle popolazioni locali per i noti problemi tra l’Etnia Curda ed il Governo di Ancara e nessuno può ora salirci né per motivi alpinistico-esplorativi né tanto meno di sussistenza (ovvero neanche i pastori che un tempo pascolavano le greggi fino ad oltre quota 3000).

Azad Vartanian, di formazione e residenza veneta ma con radici famigliari armene, ha spiegato molto bene quale intreccio politico complichi la vita nella regione dell’Ararat: il partito dei lavoratori curdi, il PKK, che si oppone al governo di Ancara e contemporaneamente combatte l’ISIS in Siria, gli americani che sono alleati di Ancara ma che contemporaneamente aiutano i curdi contro l’ISIS, il governo turco che non tanto velatamente appoggia l’ISIS, bombardando i curdi, ma che è alleato agli americani. Tutto questo senza contare l’influenza russa e quella iraniana.
In questa polveriera politica un problema su tutti: l’indipendenza del popolo curdo la cui regione di residenza è divisa tra Turchia, Siria ed Iran.

La tragedia del popolo armeno

Ritornando al popolo armeno, definito da entrambi i relatori un Popolo fiero ed orgoglioso, è bene non dimenticare che anch’esso, seppur oggi più o meno colpevolmente lo abbiamo dimenticato, entrò a pieno titolo in quell’immane carneficina che passa sotto il nome di Prima Guerra Mondiale. L’impero Ottomano, in cui si era affermato il governo dei «Giovani Turchi», aveva iniziato a perseguitare gli Armeni fin dal 1909 quando nella regione della Cilicia erano state sterminate 30.000 persone: ma è con l’entrata in guerra a fianco degli Imperi Centrali che la situazione esplode.

Molti armeni disertarono e battaglioni armeni dell’esercito russo cominciarono a reclutarli fra le loro; la città di Van venne conquistata da queste truppe mentre l’esercito francese (cercando di aprire un fronte interno all’Impero Ottomano) finanziava e armava a sua volta gli armeni incitandoli alla rivolta contro il Governo dei Giovani Turchi. Fu in questa generale confusione che nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli; in un solo mese più di mille intellettuali armeni tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al parlamento furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada. Ma la pulizia etnica, perché di questo si tratta, non finì lì: nelle così chiamate marce della morte che coinvolsero 1.200.000 armeni, centinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfinimento. I miseri resti furono sepolti anche nella zona dell’Ararat e nelle sue ricerche Azad Vartanian ha svelato l’esistenza di numerose fosse comuni.

La ricerca dell’Arca

La seconda parte del racconto di Azad Vartanian è stata la sua personale ricerca dell’Arca sul monte Ararat, la grande montagna già protagonista del racconto biblico che dovrebbe ospitare sui propri fianchi oltre a vestigia storiche di popoli antichissimi, anche i resti dell’Arca di Noè. Ora si può credere o meno ai racconti biblici, ma il fatto che Azad abbia rinvenuto sul ghiacciaio ad una quota prossima ai 4000 metri alcuni pezzi di legno lavorati, legni che appartengono a specie vegetali non presenti in loco, qualche dubbio lo fa sorgere anche nei più scettici.
L’incontro con Azad Vartanian è stato un successo: la concomitanza con altri appuntamenti importanti non ha comunque evitato che la sala della sede fosse gremita e ciò, devo essere sincero, è motivo d’orgoglio per la sezione.

Bibliografia di Azad Vartanian
I fiori santi dell’Ararat – L’isola segreta di Lord Byron – Armenia misteriosa. Masis, la madre degli armeni – Teva’h il mistero delle due arche – Il soave suono del Duduk. Racconti di curdi delle montagne

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Armenia: premier Karapetyan, rincari gas e benzina non problematici (Agenzianova 18.01.18)

Erevan, 18 gen 10:30 – (Agenzia Nova) – I recenti rincari di alcune tipologie di beni in Armenia, in particolare di gas, gas compresso, benzina e diesel, benché evidenti non sarebbero problematici. Lo ha detto il premier armeno, Karen Karapetyan, durante una sessione parlamentare. Karapetyan ha sottolineato che l’aumento dei prezzi nel paese è pari al 2,6 per cento. Il rincaro sulla benzina ammonterebbe a 20 dram armene al litro (0,03 euro): “Attualmente il costo di questo tipo di carburante è più alto in Georgia, benché noi importiamo petrolio proprio tramite transito per la Georgia. Ad ogni modo, i consumatori possono utilizzare anche il gas compresso”. Il prezzo del gas compresso, anch’esso toccato da alcuni aumenti che lo hanno portato a 260-310 dram (0,44 – 0,52 euro), sarebbe ora identico a quello del 2015. “Non è un bene che si siano avuti rincari anche in questo caso, ma siamo abituati a operare con un prezzo simile; anche in passato, non appena ne abbiamo avuta la possibilità, abbiamo tagliato i prezzi”, ha dichiarato Karapetyan. (segue) (Res)

Armenia: coordinamento attività antiterrorismo inserito fra le funzioni del primo ministro (Agenzianova 17.01.18)

Erevan, 17 gen 12:01 – (Agenzia Nova) – Il coordinamento delle attività antiterrorismo che vengono condotte in Armenia dai vari soggetti della pubblica amministrazione passa dalle mansioni del presidente al primo ministro. Il parlamento di Erevan ha votato all’unanimità con 93 voti a favore il trasferimento di questa funzione che è una delle componenti della legge antiterrorismo che l’assemblea ha preso oggi in esame. L’adozione della legge è condizionata all’adeguamento della legislazione vigente alla Costituzione: infatti, in seguito agli emendamenti apportati alla Carta costituzionale nel 2015 il ruolo dell’istituzione presidenziale è stato decisamente modificato.
(Res)

Armenia: insegnanti rurali (Osservatorio Balcani e Caucaso 16.01.18)

Rispetto al numero di laureati, sono pochi i posti da insegnante in Armenia. Ciononostante le cattedre nei villaggi rurali rimangono spesso vuote. Un reportage

16/01/2018 –  Gayane Mirzoyan

(Pubblicato originariamente da Chai Khana )

In Armenia, meno del 20% dei laureati in pedagogia riesce a trovare lavoro nelle scuole. Ciononostante alcune scuole di aree rurali sono alla continua ricerca di personale.

Julia Mankuyan ha trent’anni ed è una delle poche della sua annata presso l’Università statale di Pedagogia di Yerevan ad aver deciso di insegnare. Ha però dovuto aspettare un anno, dalla laurea, prima di poter iniziare ad insegnare chimica in una scuola a Nshavan, villaggio nella provincia di Ararat.

Nel frattempo aveva lavorato come tecnica informatica sino a quando non si è liberato il posto da insegnante. Ora svolge assieme entrambi i lavori.

“Quando sono arrivata in questa scuola gli insegnati giovani erano molto pochi. In questi quattro anni il loro numero è aumentato”, racconta Julia. Solo due dei suoi ex compagni di corso hanno trovato lavoro nella scuola, gli altri lavorano in particolare presso laboratori d’analisi.

Secondo una ricerca realizzata dal CRRC nel 2013, solo un terzo dei lavoratori nel campo scolastico aveva meno di 35 anni. Dal 2008 al 2013 la percentuale era diminuita dal 38% al 31%.

Serob Khachatryan, esperto del settore educativo, sottolinea come in Armenia, nonostante il numero di insegnanti sia nella media (1 ogni 14 studenti, dove invece ad esempio nei paesi asiatici il rapporto è di 1 a 20) nei villaggi vi sia una mancanza cronica di giovani insegnanti, in particolare di quelli delle materie scientifiche.

“Ecco perché spesso, nei villaggi, un insegnante di chimica insegna anche biologia e quello di geografia insegna fisica. E dato che l’offerta formativa sulle scienze naturali rischia di essere debole ci sono pochi studenti che proseguono i loro studi in quei campi”, afferma Khachatryan.

Secondo l’esperto sono 7000 ogni anno i laureati che escono da università di pedagogia in Armenia. Ma ogni anno i nuovi posti disponibili sono solo 1500. Ma limitare i numeri d’accesso all’università non aiuterebbe perché “non tutti quelli che si iscrivono intendono poi insegnare. Alcuni hanno solo bisogno di una laurea”.

Marine Bagratyan è la direttrice della scuola di Nshavan e afferma che negli ultimi tre anni non ha avuto bisogno di nuovo personale. Ma il numero si studenti è aumentato e potrebbe esserci bisogno di qualche insegnante in più per il prossimo anno. Circa metà degli insegnanti della scuola hanno meno di 35 anni.

Ciononostante i giovani laureati non dimostrano molto interesse verso l’insegnamento, forse perché preferiscono altre professioni o semplicemente perché i posti a disposizione sono pochi.

Larisa Ryan nel 2010 è entrata a far parte del programma “Insegna per l’America ”. “E’ in quell’occasione che mi sono resa conto di quanto importante sia il ruolo dell’insegnante per la vita di uno studente. Nella vita di ciascuno di noi ci dovrebbe essere almeno un insegnante o un familiare che sia in grado di insegnarci come raggiungere i nostri obiettivi attraverso lo studio”.

Dopo essere rientrata in Armenia Larissa ha raggruppato, attorno all’idea di un’educazione che fosse alla portata di tutti, un gruppo di giovani professionisti in Armenia e tra la diaspora. È così che è nata l’associazione “Insegna per l’Armenia”.

Quest’anno i primi partecipanti del programma si sono recati presso 11 scuole regionali in Armenia dove lavoreranno per due anni. Il programma garantisce borse di studio e, se necessario, la possibilità di integrare la propria formazione.

“Più povera è la regione più alto è il numero di posti di insegnanti disponibili e più basso il livello degli studenti. Il nostro problema è che non si pensa a come rendere accessibile l’educazione a tutti i bambini, ci interessiamo solo ai più talentuosi e capaci”, afferma Larissa.

Il villaggio di Privolnoe, nella regione di Lori, dove sono stati inviati Biayna Amirjanyan e Anush Muradyan, è vicino al confine tra Armenia e Georgia. Il villaggio venne fondato da migranti russi alla fine del XIXmo secolo e la sua popolazione rimane ancor oggi multietnica.

Anush, laureata in architettura, sostituirà l’insegnante di matematica, che è in maternità. Biayna, laureata in relazioni internazionali, insegnerà storia.

Secondo Anna Fedorova, direttrice della scuola di Privolnoe, ora non vi è più mancanza di insegnanti, come avveniva qualche anno fa. Ciononostante, a causa del cattivo stato delle strade, il villaggio rimane molto isolato dalle due principali città della regione, Stepanavan e Vanadzor. “In questa scuola vi è un problema di consapevolezza. Occorre molto tempo affinché si affermino nuovi metodi e nuove tecnologie. Se nelle città gli studenti possono trovare le informazioni di cui hanno bisogno su internet, qui il processo di insegnamento è ancora basato molto sui libri”, racconta Anush

Secondo Serob Khachatryan attrarre nuovo personale scolastico nei villaggi rurali non deve essere fine a se stesso: “Dobbiamo attirare qui i migliori, il solo fatto di essere giovani non è detto sia positivo, è importante che siano vocati all’insegnamento. Superare una selezione con dei test a crocette non è il modo migliore per diventare insegnanti”.

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Studenti Armeni e Cileni a Palazzo Barbieri (Verona oggi 16.01.18)

L’assessore alle Politiche Giovanili Francesca Briani ha accolto, ieri a Palazzo Barbieri, gli studenti e gli accompagnatori

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di alcune classi dell’Università Brusov della città armena di Yerevan e dell’Istituto Vittorio Montiglio del Cile, giunti a Verona per lo scambio scolastico con i loro coetanei veronesi del Liceo Girolamo Francastoro. Circa una cinquantina i ragazzi in visita, 20 cileni, 6 armeni e 24 italiani, che resteranno in città per circa due settimane, visitando anche altre città come Milano, Venezia e Mantova.
“Si tratta di un evento eccezionale, che vede per la prima volta insieme l’accoglienza di studenti armeni e cileni, due realtà culturali molto differenti ma simili per la curiosità e l’entusiasmo dei propri giovani. Voi rappresentate il futuro – ha detto l’assessore rivolgendosi agli studenti –, e noi amministratori ci impegniamo per renderlo degno delle vostre aspettative. Siate sempre desiderosi di conoscere luoghi e civiltà nuove, con particolare attenzione alle politiche locali e nazionali, perché riguardano la vita di tutti noi”.

Dopo otto anni l’Armenia prenderà parte al forum di Davos (Spuntniknews.com 15.01.18)

L’ultima volta l’Armenia ha partecipato al forum di Davos nel 2009, durante la presidenza di Serzh Sargsyan.

Il primo ministro armeno Karen Karapetyan dal 23 al 26 gennaio parteciperà al World Economic Forum di Davos, in Svizzera. Secondo il suo portavoce, Aram Araratyan, la composizione della delegazione guidata dal primo ministro non è stata ancora approvata.

“È probabile che sarà approvata entro la prossima settimana”, ha detto Araratyan. Egli ha aggiunto che il primo ministro armeno terrà una serie di incontri bilaterali e multilaterali durante il periodo del forum.

Come affermato lo scorso novembre dallo stesso Karapetyan, l’Armenia a Davos presenterà le sue opportunità economiche e il suo potenziale.

L’ultima volta l’Armenia ha partecipato al forum di Davos nel 2009, durante la presidenza di Serzh Sargsyan. La mancata partecipazione ai successivi forum di Davos, è stata giustificata dalle spese elevate.

Questa sarà la prima visita in Europa del primo ministro armeno Karen Karapetyan da quando ha assunto questo incarico nel settembre 2016.

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Intervista di Rebecca Mais a Matteo Nunner e al suo “Il peccato armeno, ovvero la binarietà del male” (Oubliettemagazine

Questa è la storia di Claude- Henri, armeno, alle prese con la vita in tutte le sue complicazioni e con le avvisaglie di quello che sarà uno dei più terribili genocidi della storia dell’umanità.

Il terribile delitto ancora oggi incomprensibile ma comunque da taluni negato. Claude-Henri è un personaggio molto particolare, la realtà passa tramite i suoi occhi, così come le descrizioni di coloro che incontra lungo la perigliosa strada. Un romanzo di formazione che fuoriesce dai classici schemi.

Proprio come il suo autore, Matteo Nunner, piemontese classe 1992, già autore del cult “Qui non arriva la pioggia” (Edizioni della Goccia, 2015), eclettico, appassionato, impegnato nell’area di ricerca medica narrativa e fondatore di una propria testata online dopo aver collaborato con le più importanti realtà giornalistiche della sua regione.

Il peccato armeno, ovvero la binarietà del male” (Undici Edizioni, 2017) è il suo secondo romanzo, quello nel quale ha potuto esprimere la banalità e le contraddizioni del mondo in cui viviamo.

Ma per capire meglio come questo romanzo è nato e cosa è stato di ispirazione per Matteo Nunner abbiamo pensato di intervistarlo. Sono certa che le sue risposte vi colpiranno e noterete certamente la passione per la scrittura di questo giovane autore.

 

R.M.: Quando e come è nato “Il peccato armeno, ovvero la binarietà del male”?

Matteo Nunner: “Il peccato armeno”, così come “Qui non arriva la pioggia”, mio primo romanzo pubblicato nel 2015, nasce inaspettatamente da fulminei quanto intensi attimi di banale quotidianità. Se non sbaglio, in questo caso, mi trovavo a notte inoltrata in un autogrill di provincia. Il fatto è che per quanto concerne la magica sfera della scrittura, e quella della sua genesi, mi capita sovente di vivere esperienze del genere, in cui hai come l’impressione di rivestire solamente il ruolo di un tramite. Una giuntura inerte tra un mondo delle idee là in alto e quello di chi vorrà fruirne quaggiù. L’idea arriva repentinamente e non se ne va più, accompagnata sin da subito dalla certezza che diverrà qualcosa di concreto e importante. Ѐ quasi un dovere morale non lasciarla andare, non tradire questa missione affidata all’autore. Ladri di fuoco, come Prometeo, diceva Rimbaud. Una volta caduta dal cielo questa scintilla primigenia, questo nucleo centrale della trama, tutto è facile e in discesa: un continuo gioco di ampliamento delle ramificazioni e rifinitura dei dettagli, che si protrarrà sino al compimento dell’ultimo capitolo.

 

R.M.: Protagonista del romanzo è il terribile genocidio armeno, oggi ancora tanto, ma forse non abbastanza, dibattuto. Per quale motivo hai decise di trattare questo argomento?

Il peccato armeno

Matteo Nunner: Forse decisi di aggrapparmi a questa tematica appunto perché ancora non abbastanza dibattuta, non abbastanza conosciuta. Ancora oggi da più “autorevoli” e istituzionali parti addirittura negata. Una situazione impensabile se paragonata e sovrapposta ad altre disgrazie storiche affini. Inoltre ho trovato estremamente calzante per i miei personaggi lo spirito di questo popolo vessato da secoli: appunto perché metafora lampante di tutti i vinti e degli oppressi, prototipo ideale dei dimenticati dal mondo e dalla storia stessa. In ogni caso “Il peccato armeno” non ha la presunzione d’essere un romanzo storico, non ho mai avuto questa velleità nemmeno in partenza: il fatto è che, a mio avviso, questa storia potrebbe benissimo essere adattata in qualsiasi epoca o luogo. Gli eventi storici sono solo un collante, uno sfondo teatrale o, come già accennato, una metafora.

 

R.M.: Il titolo gioca con il titolo di un noto saggio di Hannah Arendt, “La banalità del male”. Quale collegamento vi è con la Arendt?

Matteo Nunner: Il collegamento con la Arendt in realtà è più che altro superficiale, rimane per l’appunto ancora al solo sottotitolo dell’opera, che ho trovato sin dalla famosa “illuminazione” del primo minuto molto divertente e azzeccato. Traspare di sicuro il medesimo senso di spiazzante banalità espresso da parte della Arendt nei confronti degli “attori del male”, spesso idealizzati e mitizzati ma in realtà nient’altro che umani. Binarietà si riferisce invece nella mia opera all’ossessione d Claude-Henri per il dualismo, per la scelta manicheista fra bianco e nero, nell’osservare il mondo attraverso questa lente sdoppiante. Non gli poteva esser diagnosticato all’epoca, ma ho cercato forse di affidargli qualche leggerissima sfumatura di quello che oggi potrebbe chiamarsi Asperger o autismo o attitudine ossessivo-compulsiva. A posteriori, una volta che il libro era già stato pubblicato, mi sono poi avvicinato ad alcuni saggi di orientalistica e sono rimasto molto colpito dalla transculturalità di questa tematica: dal taoismo sino alle scuole zen, ad esempio, quest’atteggiamento così umano di scindere il mondo positivo e negativo, in soggetto e oggetto, in caldo o freddo, è spesso stato visto come zavorra alla serenità e ad una visione limpida del mondo reale. Claude-Henri porta allo stremo questo atteggiamento, soffrendone e cercando nel corso delle pagine di liberarsene.

 

R.M.: Un aggettivo per descrivere “Il peccato armeno, ovvero la binarietà del male”?

Matteo Nunner: Forse “sofferto”. Ma non necessariamente in un’accezione negativa. Ѐ vero che mi ci è voluto molto per completarlo, che a volte l’abbia percepito estraneo e non adatto alle mie corde, che la sua stesura ha attraverso alcuni dei momenti di crisi più gravosi della mia vita, ma appunto per queste ragioni ora la gioia e la soddisfazione sono tanto più grandi e palpabili.

 

R.M.: Chi vorresti leggesse il tuo libro e per quale motivo?

Matteo Nunner: Gli armeni, in particolare i membri dell’associazione Italiarmenia che mi hanno aiutato sul versante linguistico, perché mi dicano se ho fatto un buon lavoro. Mia nonna perché non c’è più. Gli oppressi di tutto il mondo, a cui il testo è dedicato, perché se potesse scaldare anche soltanto un animo intorpidito sarebbe già un’opera di successo per me, una “sofferenza” assolutamente ripagata.

 

R.M.: Come è avvenuto l’incontro con Giuseppe Celestino e Maurizio Roccato della Undici Edizioni?

Matteo Nunner

Matteo Nunner: Con i miei due nuovi e brillanti autori s’è instaurato innanzitutto d’ogni altra cosa un grande rapporto d’amicizia e stima, prima ancora che un rapporto lavorativo o artistico. Siamo vicini, anche all’infuori dell’ambito editoriale e letterario, ormai da alcuni anni. Hanno sempre creduto in me e per questo gli sono molto grato. I nostri cammini si sono incrociati grazie alla casa editrice di “Qui non arriva la pioggia”, Edizioni della Goccia, attorno alla quale entrambi erano in qualche modo legati.

 

R.M.: Quando e come hai cominciato a scrivere?

Matteo Nunner: Questa è una delle storielle che più amo raccontare. Esordisco spesso con un “io scrivevo prima di saper scrivere”. Di fatti il mio nonno materno, col quale passai gran parte dell’infanzia, mi affiancava sin dai primissimi anni della mia vita nell’operazione creativa: senza saper né leggere né scrivere, dettavo a lui le avventure e le storie che inventavo sul momento, lui le scriveva per me su dei grossi fogli di cartone che poi rilegavamo, creando così dei veri e propri libri. Infine io decoravo il tutto aggiungendo disegni rappresentativi del racconto sotto ogni testo.

 

R.M.: Quali sono i tuoi generi e autori preferiti?

Matteo Nunner: Non credo di aver un vero e proprio genere preferito, come mi accade per molti altri settori dell’arte, come la musica o la pittura. Certamente un denominatore comune degli autori che prediligo è l’esser passati a miglior vita: questo perché amo in particolar modo i classici, ed è più raro che legga qualche mio contemporaneo. Anche quest’ultima eventualità non è comunque così remota: ritengo che lo scrittore si plasmi attraverso le sue letture, che sia spugna e filtro di ogni parola e stile, che farà poi sue in un proprio personalissimo miscuglio. Proprio per questo potrebbe essere dannoso ancorarsi troppo al passato letterario. Tra gli autori preferiti emerge però senza dubbio Mordecai Richler e ultimamente le letture vertono spesso su esponenti dell’esistenzialismo: russo, francese e italiano.

 

R.M.: Progetti per il futuro? Hai forse in cantiere qualche nuova storia?

Matteo Nunner: La scrittura per me è tra le prime delle priorità, non potrei quindi mai pensare di fermarmi. Poco dopo aver posto la parola “fine” al “Peccato armeno” sono stato fortunatamente investito di nuovo dall’influsso di qualche musa della creatività, riuscendo a strappare a quel mondo distante, astratto ed etereo una nuova storia da raccontare. Mantengo però un gran riservo geloso, persino con le persone a me più care, per tutto il periodo della gestazione di un’opera. Alla fine le si ama come figlie e figli.

 

R.M.: Grazie Matteo per la tua disponibilità e… alla prossima!

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Confermata l’ordinazione di una diaconessa nella Chiesa armena apostolica (Agenzia Fides 15.01.18)

Teheran (Agenzia Fides) – Si chiama Ani-Kristi Manvelian, ha 24 anni e di mestiere fa l’anestesista, la ragazza ordinata come diaconessa nella Cattedrale di San Gregorio l’Illuminatore di Teheran. L’ordinazione diaconale, conferita lo scorso settembre dall’Arcivescovo Sebouh Sarkissian, alla guida dell’arcidiocesi armeno apostolica di Teheran, è stata confermata con la diffusione di alcune foto che mostrano la diaconessa Ani-Kristi mentre serve all’altare durante la divina liturgia della vigilia di Natale, lo scorso 5 gennaio.
Ani – Kristi Manvelian – riferisce il blog oxbridgepartners.com – è una laica e non appartiene a nessuna congregazione monastica femminile. La sua ordinazione è avvenuta mentre la Chiesa apostolica armena deve ancora formalmente ripristinare l’ufficio di diaconato femminile. “Quello che ho fatto è in conformità con la Tradizione della Chiesa, e nient’altro” ha riferito l’Arcivescovo Sarkissian, la cui arcidiocesi ricade sotto la giurisdizione del Catholicosato della Grande Casa di Cilicia degli Armeni. L’Arcivescovo ha dichiarato anche che la sua decisione ha l’intento di “rivitalizzare la partecipazione delle donne anche nella nostra vita liturgica”.
Tra le Chiese d’Oriente, anche il Sinodo del Patriarcato greco ortodosso di Alessandria d’Egitto, nel novembre 2016 (vedi Fides 19/11/2016) aveva deciso di ripristinare l’istituto del diaconato femminile, e aveva nominato una Commissione di Vescovi “per un esame approfondito della questione”.
La discussione sull’eventuale ripristino dell’ordinazione diaconale femminile e sul potenziale ruolo delle diaconesse nelle attività pastorali e nell’animazione missionaria è aperto da tempo all’interno di istituzioni teologiche dell’Ortodossia calcedonese. (GV) (Agenzia Fides 15/1/2018).


La Chiesa armena ha ordinato una diaconessa… (Farodiroma.it 15.01.18)

Si chiama Ani-Kristi Manvelian, ha 24 anni e di mestiere fa l’anestesista, la ragazza ordinata come diaconessa nella Cattedrale di San Gregorio l’Illuminatore di Teheran. L’ordinazione diaconale, conferita lo scorso settembre dall’arcivescovo Sebouh Sarkissian, alla guida dell’arcidiocesi armeno apostolica di Teheran, è stata confermata con la diffusione di alcune foto che mostrano la diaconessa Ani-Kristi mentre serve all’altare durante la divina liturgia della vigilia di Natale, lo scorso 5 gennaio. Lo scrive l’agenzia vaticana Fides che cita il blog oxbridgepartners.com.

Ani – Kristi Manvelian è una laica e non appartiene a nessuna congregazione monastica femminile. La sua ordinazione è avvenuta mentre la Chiesa apostolica armena deve ancora formalmente ripristinare l’ufficio di diaconato femminile. “Quello che ho fatto è in conformità con la Tradizione della Chiesa, e nient’altro”, ha dichiarato l’arcivescovo Sarkissian, la cui arcidiocesi ricade sotto la giurisdizione del Catholicosato della Grande Casa di Cilicia degli Armeni. L’Arcivescovo ha dichiarato anche che la sua decisione ha l’intento di “rivitalizzare la partecipazione delle donne anche nella nostra vita liturgica”.
Tra le Chiese d’Oriente, anche il Sinodo del Patriarcato greco ortodosso di Alessandria d’Egitto, nel novembre 2016 aveva deciso di ripristinare l’istituto del diaconato femminile, e aveva nominato una Commissione di Vescovi “per un esame approfondito della questione”. La discussione sull’eventuale ripristino dell’ordinazione diaconale femminile e sul potenziale ruolo delle diaconesse nelle attività pastorali e nell’animazione missionaria è aperto da tempo all’interno di istituzioni teologiche dell’Ortodossia calcedonese.

L’anno scorso, come è noto, Papa Francesco ha istituito una Commissione per studiare la questione e sembra ch ei risultati dello studiuo gli siano stati ormai consegnati e una decisione del Papa si avvicini. Bisogna dunque aspettare ancora ma presto si saprà se anche per Francesco le diaconesse rappresentano “una possibilità per oggi”. In tal caso per la prima volta in questo millennio si riaprirà questa prospettiva che era considerata definitivamente chiusa da una decisione ministeriale di Giovanni Poalo II. Il diaconato, infatti, è il primo grado dell’ordine sacro, seguito dal sacerdozio e dall’episcopato. I diaconi possono amministrare alcuni sacramenti tra i quali il battesimo e il matrimonio e in alcuni paesi ci sono intere regioni nelle quali sostituiscono ormai i sacerdoti nella guida delle comunità parrocchiali. L’apertura prefigurata da Francesco avvicinerebbe la Chiesa Cattolica a quella anglicana dove ci sono donne preti e vescovi. Al Sinodo si era parlato di questo “tema audace” con l’intervento del reverendo Jeremias Schroder, arciabate presidente della Congregazione benedettina di Sant’Ottiliain.

“Sul diaconato femminile la Chiesa non ha detto no”, aveva spiegato già nel 1994 il cardinale Carlo Maria Martini, commentando lo stop di Giovanni Paolo II alle donne prete: una dichiarazione solenne, ad un passo dai crismi dell’infallibilità pontificia ed alla quale Papa Francesco ha detto piu’ volte di volersi attenere. Malgrado quel “no”, per il porporato c’erano pero’ ancora “spazi aperti”, perchè il discorso sul ruolo della donna avrebbe potuto continuare a partire dal diaconato, “che il documento non menziona, quindi non esclude”. Questo perchè, avvertiva il cardinale, occorre evitare che l’ ecumenismo si blocchi proprio sul tema delle donne. Il diaconato è il primo grado di consacrazione “ufficiale” che precede l’ ammissione al sacerdozio e nelle prime comunità cristiane era aperto anche alle donne. Per Martini, dunque, non sarebbe stato male riaprire anche alle donne, pur ammettendo che sul sacerdozio femminile “il documento papale è decisivo, non ammette replica, nè riformabilità”. “Tuttavia credo che il vero compito di fronte a questa lettera – aveva osservato il cardinale – non è l’ esegesi puntigliosa dal punto di vista dogmatico, ma è vedere come, con questa lettera e malgrado le difficoltà che potrà suscitare, è ancora possibile sia un cammino di dialogo ecumenico, sia soprattutto un cammino in cui mostrare presenza e missione della donna a tutto campo. Rispetto a un documento di questo tipo, che sembra chiudere una via, come già altri in passato, mentre in realtà hanno favorito un ripensamento teologico e pratico che ha fatto superare certi scogli e ha fatto comprender meglio la natura e la forza della presenza della donna nella Chiesa, io penso che uno spazio rimanga aperto”.
Va segnalato che una recente decisione di Papa Francesco già “smontava” in parte gli argomenti teologici del “no” al sacerdozio femminile: quella sull’ammissione delle donne alla Lavanda dei piedi che il Papa aveva già attuato nel primo giovedì santo del suo Pontificato, quando andando al carcere minorile di Casal del Marmo, decise che quel giorno anche le ragazze potessero partecipare come protagoniste al rito della Lavanda dei piedi, diventata da quest’anno una possibilità per tutte le parrocchie del mondo. Di fatto il principale argomento per il “no” al sacerdozio femminile è infatti l’assenza delle donne nel cenacolo al momento dell’istituzione dell’Eucaristia.

 

Da Agnana all’Armenia in un college alla Harry Potter (Lariviera online 14.01.18)

Da piccola sognava di andare a studiare in un collegio come quello frequentato da Harry Potter. A 16 anni ha deciso che sarebbe successo. Antonella Sansalone, originaria di Agnana, tra gennaio e febbraio 2017, mentre è al terzo anno di liceo classico, partecipa al Concorso Intercultura e a quello bandito dal Collegio del Mondo Unito, due occasioni che ti permettono di studiare insieme a ragazzi di lingue e culture diverse. Vince entrambi i concorsi e alla fine opta per il Collegio del Mondo Unito: prepara le valigie e sotto il sol leone di agosto parte alla volta dell’Armenia, dove non di rado si raggiungono i -20°. Due anni di studio intenso l’aspettano, un’occasione di crescita che riesce a finanziarsi grazie alla borsa di studio offerta dalla Callipo Group. Dilijan sarebbe stata la sua nuova casa. Lì su quella strada che collega due grandi città moderne, Yerevan e Tbilisi, in un paese situato al confine tra l’Europa e l’Asia, per secoli incrocio degli imperi Persiani, Bizantini, Ottomani e Russi, avrebbe preso parte a un’esperienza che prepara alla vita, apre gli occhi e allarga gli orizzonti, permettendoti di apprezzare la meravigliosa diversità della famiglia umana.
Che cos’è il Movimento dei Collegi del Mondo Unito?
Il Movimento dei Collegi del Mondo Unito (United World Colleges – UWC) è un gruppo di 17 scuole internazionali legalmente riconosciute, tra cui quella di Dilijan. In 155 paesi nel mondo, apposite Commissioni Nazionali selezionano gli studenti in base al merito per offrire loro la possibilità di un’esperienza educativa in un ambiente che unisce un programma accademico di alto livello alla sfida personale e ai valori di inclusione e accettazione degli altri. L’obiettivo di una formazione UWC è lo sviluppo dell’iniziativa personale, dell’ingegnosità, della flessibilità e delle qualità di leadership.
Come avvengono le selezioni?
Le selezioni si articolano in due fasi: una preselezione interregionale con prove scritte di cultura generale, logica-matematica e attitudine linguistica, e una prova orale che consiste in un colloquio individuale su temi attitudinali e di cultura generale; e una selezione nazionale, presso il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico Onlus a Duino, a Trieste, per i candidati che avranno ottenuto i punteggi più alti e che prevede discussioni di gruppo e colloqui individuali.
In quanti avete preso parte al concorso nel 2017?
Eravamo oltre 2000 in tutta Italia, abbiamo superato le prove in 52, e in Calabria sono stata l’unica.
In cosa consistono i corsi?
In tutti i Collegi del Mondo Unito si seguono i corsi del “Baccellierato Internazionale (IB)”. Il Diploma IB si basa su un programma accademico impegnativo che prevede lo studio, in inglese, di materie come biologia, fisica, matematica, materie umanistiche e arte. Si tratta del diploma secondario superiore più prestigioso a livello internazionale e riconosciuto dalle maggiori università del mondo.
Una giornata tipo in collegio?
I ragazzi sono a scuola dalle otto alle due, con ore buche a volte, ma in ogni caso si tratta di un carico abbastanza elevato. La scuola dura dal lunedì al venerdì e nel pomeriggio si svolgono attività sportive, artistiche, sociali. Il sistema di studio è un po’ come all’università: ogni studente sceglie le materie e si sposta da una classe all’altra.
Le materie sono in tutto sei: tre ad alto livello (Economia, Storia e Inglese), tre a livello standard (Matematica, Scienze Biologiche e Russo). Ci sono pochissimi libri di testo: l’insegnante prepara il materiale e quasi tutte le lezioni includono un momento di confronto. Il rapporto con gli insegnanti è completamente diverso rispetto alla scuola italiana: l’insegnante, infatti, fa da tutor e ha il compito di facilitare l’integrazione degli studenti, di risolvere eventuali problemi personali e accademici.
Uno degli obiettivi dei Collegi del Mondo Unito è responsabilizzare i propri studenti…
Esatto. Fa parte della metodologia dei collegi Mondo Unito sviluppare il senso di responsabilità nei ragazzi. I ragazzi di quinta sono responsabili ciascuno di un ragazzo di quarta dal momento del suo arrivo: lo aiutano nel fare nuove amicizie, nel gestire la nostalgia di casa, nella scelta delle materie.
Qual è la prova più dura da affrontare?
Probabilmente quella di imparare a utilizzare al meglio il tuo tempo, trovando un equilibrio ottimale tra studio, attività di volontariato, sport, arti e svago.
Perché hai deciso di concludere all’estero i tuoi studi per conseguire il diploma?
Non riesco a dare un nome al bisogno di partire. So solo che era una necessità per me.
Il più grande insegnamento di questa esperienza?
Convivendo e studiando insieme a ragazzi di lingue e culture diverse si superano i pregiudizi e si impara a conoscersi. Apri il tuo mondo al mondo e mentre scopri gli altri conosci meglio te stesso.

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Armenia: economista Margaryan prevede crescita media 2018 al 6 per cento (Agenzianova 12.01.18)

Erevan, 12 gen 15:40 – (Agenzia Nova) – La crescita economica dell’Armenia per il 2018 potrebbe attestarsi intorno al 5,8 – 6,2 per cento, con un tasso medio vicino al 6 per cento. Lo sostiene l’economista Atom Margaryan, a capo di uno dei centri di ricerca dell’Università statale armena di Economia. Secondo l’esperto, questa congiuntura sarebbe da collegare a fattori positivi sia interni che esterni. A livello internazionale avrebbe contribuito particolarmente la situazione dell’economia russa, che ha mostrato una ripresa. “Anche nell’ambito dei prestiti vi sono dei buoni segnali: le banche sono meglio disposte ad offrirne, anche ai privati, e questo ha favorito l’aumento della domanda, uno dei tipici fattori che influenzano la crescita economica”, ha spiegato l’esperto. La Banca mondiale ha recentemente rivisto al rialzo le proprie previsioni sul tasso di crescita reale del Pil di Tbilisi, che secondo l’istituto di credito sarà probabilmente pari al 3,8 per cento nel 2018; nel 2017 la crescita era stata del 3,7 per cento, contro il solo 0,2 per cento dell’anno precedente. Il trend positivo dovrebbe mantenersi nei prossimi due anni. (Res)