Sui timbri dell’Armenia non ci sarà più il monte Ararat (Il Post 22.10.25)

A partire dal prossimo 1° novembre l’Armenia modificherà i suoi timbri ufficiali (per esempio quelli usati per i passaporti) per eliminare l’immagine del monte Ararat, che da secoli è considerato un simbolo nazionale. La decisione non avrà grosse conseguenze pratiche, ma il governo del primo ministro Nikol Pashinyan lo fa per eliminare un possibile motivo di scontro con il vicino Azerbaigian, suo storico rivale.

Il problema dell’Ararat, un imponente massiccio di 5.137 metri, è che non è in Armenia ma in Turchia, un alleato molto stretto e molto potente dell’Azerbaigian: vari politici turchi e azeri hanno equiparato la sua presenza sui simboli ufficiali armeni a una rivendicazione territoriale, e da tempo fanno pressioni sul governo armeno per chiedere che venga tolto. Dall’ultima guerra tra Armenia e Azerbaigian, finita nel 2023, Pashinyan sta facendo varie concessioni agli azeri e ai loro alleati, per provare a normalizzare i rapporti ed evitare nuovi scontri.

In Armenia però l’Ararat è dappertutto: è sullo stemma ufficiale del paese (ed era anche su quello della Repubblica socialista sovietica di Armenia, quando faceva parte dell’Unione Sovietica); dà il nome a noti marchi di birra e sigarette; è sulle calamite e sulle cartoline che si trovano nei mercatini per turisti, ed è anche un nome maschile molto comune. Anche la capitale Yerevan è stata progettata (con l’ultimo piano urbanistico, del 1924) come una sorta di balconata che affaccia sulla montagna, che con buone condizioni meteorologiche è visibile da molti punti panoramici. È inoltre considerato sacro dalla tradizione popolare, e oggetto di tantissimi poemi e dipinti di artisti armeni.

Oggi la stragrande maggioranza degli armeni non emigrati vive nell’area ristretta e senza sbocchi sul mare dell’attuale Armenia, ma per millenni la popolazione aveva abitato una regione molto più grande, che comprendeva tra le altre cose anche l’Anatolia orientale, dove si trova l’Ararat (o almeno quella che dal Medioevo viene identificata come tale). Il monte ha quindi fatto geograficamente parte dei territori della grande Armenia per molto tempo; nei secoli è poi passato sotto il controllo di vari imperi che si sono avvicendati (tra cui quello ottomano, persiano e russo), ed è in quella che oggi riconosciamo come Turchia dal 1921. I turchi lo chiamano Ağrı Dağı.

Oltre alle ragioni storiche ci sono quelle culturali e religiose. Lo storico armeno Mosè di Corene, vissuto nel V secolo, scrisse che il suo popolo discenderebbe dal patriarca Noè e la sua storia sarebbe intrinsecamente legata alla montagna: è qui che secondo la tradizione cristiana si incagliò la celebre arca durante il diluvio universale, ed è sempre qui che secondo una leggenda locale il patriarca Hayk (un discendente di Noè) sconfisse i babilonesi e fondò la nazione armena. In tempi più recenti la montagna è diventata il simbolo di uno degli eventi più traumatici della storia del paese: fu infatti nella regione dell’Anatolia orientale che all’inizio del Novecento si compì buona parte del genocidio degli armeni, quando più di 1,5 milioni di persone di etnia armena furono uccisi e moltissime altre furono costrette a scappare per le persecuzioni a cui erano sottoposte nell’Impero ottomano.

Nonostante la grande importanza che l’Ararat ha nell’immaginario nazionale armeno, oggi il primo ministro Pashinyan propone di sostituirlo sui timbri ufficiali con l’Aragats, che è la montagna più alta dell’Armenia moderna (4.090 metri) e una destinazione turistica molto amata. La sua posizione non mette in difficoltà il governo, ma non ha neanche lontanamente il simbolismo legato all’Ararat.

Gli sforzi di Pashinyan per sostituire l’immagine dell’Ararat hanno a che fare con gli eventi nel Nagorno Karabakh, una regione separatista che si trovava in Azerbaijan ma fino al 2023 era governata in modo indipendente ed è storicamente abitata principalmente da persone di etnia armena. Armenia e Azerbaijan hanno combattuto varie guerre nel Nagorno Karabakh: due anni fa, con un’occupazione lampo, l’Azerbaigian prese il controllo militare del territorio e costrinse decine di migliaia di armeni a fuggire.

Dopo questi sviluppi, Pashinyan ha provato a sopprimere ogni spinta separatista e normalizzare i rapporti con l’Azerbaigian. Anche la decisione di eliminare l’Ararat dai propri simboli va in questa direzione, nonostante le rivendicazioni territoriali di una parte degli armeni riguardino tutt’altri territori (il Nagorno Karabakh è a est dell’Armenia, mentre l’Ararat a sudovest).

Tra le altre cose Pashinyan ha fatto appendere nel suo ufficio un quadro gigante che rappresenta le quattro vette della montagna, e ha fatto una serie di dichiarazioni che invitano il popolo armeno a dimenticare l’Ararat per favorire la pace. «Hai costruito la tua casa nei tuoi confini ma sui muri esterni hai dipinto un’immagine che comunica al tuo vicino che non merita ciò che ha», ha detto di recente. «Ogni nostra azione – sia una dichiarazione o un timbro – non dovrebbe lanciare messaggi pericolosi ai vicini della Repubblica armena».

Il monte Aragats nell’ufficio del primo ministro armeno, 10 gennaio 2024 (dal sito del governo armeno)

Non tutti in Armenia sono d’accordo. Edmon Marukyan, un ex alleato di Pashinyan ora all’opposizione, ha fatto causa al governo sostenendo che l’eliminazione dell’Ararat dai timbri d’ingresso violi la Costituzione, che cita espressamente l’Ararat nella descrizione dello stemma nazionale armeno.

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Jardins d’Arménie lancia Royal Brandy, distillato di lusso dalle radici armene (Fooaffaires.it 22.10.25)

Debutto mondiale a Monaco per Jardins d’Arménie Royal Brandy, il distillato che introduce una nuova categoria nel panorama internazionale: il Royal Brandy, frutto della fusione tra l’antica tradizione armena e l’innovazione contemporanea. L’evento di lancio, ospitato all’Hôtel Hermitage Monte-Carlo alla presenza di S.A.S. il Principe Alberto II e dell’ambasciatore d’Armenia in Francia Arman Khachatryan, ha celebrato l’eccellenza armena attraverso musica, arte e gastronomia.

Protagonista del progetto è Armen Pogossian, 27 anni, CEO di Cigaronne e Newline Brands Global LLC, che con Jardins d’Arménie inaugura un nuovo capitolo nella storia dei distillati premium. “Jardins d’Arménie è l’espressione della nostra arte e della nostra identità. Presentarlo a Monaco significa condividere con l’Europa la raffinatezza del savoir-faire armeno”, ha dichiarato Pogossian.

Ottenuto da uve Voskehat provenienti da tre regioni dell’Armenia, il Royal Brandy viene invecchiato in un triplo passaggio: rovere, legno di albicocca e nuovamente rovere, per un profilo aromatico complesso con note di cioccolato, vaniglia e frutta secca. Il distillato si distingue anche per un tappo ermetico brevettato, che preserva la purezza degli aromi, e per un set di bicchieri da degustazione dedicato.

Con il suo debutto europeo, Jardins d’Arménie Royal Brandy inaugura una nuova era nel mondo del brandy di lusso, ponendo l’Armenia tra i protagonisti globali della distillazione d’eccellenza.

From right to left: Armen Pogossian, Owner Cigaronne and Newline Brands Global LLC, H.S.H. Prince Albert II of Monaco, Siname Pogossian Founder Galerie Angelina

Jardins d’Arménie launches Royal Brandy, introducing a new category of luxury spirits

Jardins d’Arménie Royal Brandy made its world debut in Monaco, introducing a new category to the international spirits scene: the Royal Brandy, a refined fusion of Armenian tradition and contemporary innovation. The exclusive launch event, held at the Hôtel Hermitage Monte-Carlo in the presence of H.S.H. Prince Albert II of Monaco and the Armenian Ambassador to France, Arman Khachatryan, celebrated Armenian excellence through gastronomy, art, and music.

Leading the project is 27-year-old Armen Pogossian, CEO of Cigaronne and Newline Brands Global LLC, who aims to redefine the world of fine brandy. “Jardins d’Arménie is the expression of our art, our heritage, and our identity. Presenting it in Monaco means sharing the elegance of Armenian craftsmanship with Europe,” said Pogossian.

Crafted from Voskehat grapes harvested across three regions of Armenia, Jardins d’Arménie Royal Brandy undergoes an intricate triple maturation process: first in oak barrels, then in apricot wood casks—adding layers of fruit and hazelnut—before returning to oak for final refinement. The result is a spirit of remarkable aromatic complexity, with notes of chocolate, vanilla, and dried fruit.

Innovation also defines its design: each bottle features a patented airtight stopper that preserves the integrity of the aromas, and comes with a custom tasting glass set that enhances the sensory experience.

With its European debut, Jardins d’Arménie Royal Brandy establishes a new benchmark in the world of luxury spirits, positioning Armenia as a rising force in the art of high-end distillation.

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ASIA/IRAN – “Maryam-e Moghadass”. Cosa ci racconta la stazione metro di Teheran dedicata a Maria (Agenzia Fides 22.10.25)

del Cardinale Dominique Joseph Mathieu OfmConv*

Teheran (Agenzia Fides) – Uno dei sistemi di trasporto pubblico delle città è la metropolitana. Quella di Teheran comprende sette linee, con 160 stazioni su una lunghezza complessiva di 292,1 km, dei quali 67,5 km fanno parte di una linea di treni suburbani.
La metropolitana a Teheran è entrata in funzione il 7 marzo 1999 e oggi è utilizzata in media da 2,5 milioni di pendolari al giorno.
Sono in corso lavori di ampliamento su tutte le linee, in direzione nord-ovest (tre nuove stazioni intermedie) e sud-est (una stazione aggiuntiva) per la linea 6, di colore rosa. È stata inaugurata nel 2019 e conta 25 stazioni attive su 32,5 km. Una volta completata, dovrebbe estendersi per 38 km con 32 stazioni.
La stazione “Maryam-e Moghaddas (Shahid Nejatollahi)”, situata a 34 metri sotto terra, sarà inaugurata a breve. Data la sua posizione unica sull’asse orizzontale al centro della linea 6, è considerata una stazione di rilievo.
Per quanto riguarda il nome della stazione, il direttore del Centro per le comunicazioni e gli affari internazionali di Teheran, Amir Mohammadkhani, spiega che, data la vicinanza della cattedrale armena apostolica, rappresenta in omaggio alla comunità cristiana armena, nonché all’alto rango di Maria.
Il nome di “Santa Maria” è stato suggerito dall’Amministrazione comunale e approvato dalle autorità competenti. Ciò manifesta, secondo Mohammadkhani, l’attenzione del Comune di Teheran per la diversità culturale e religiosa nella capitale.
Al momento della sua realizzazione, la stazione portava il nome di Shahid Nejatollahi, uno studente iraniano di nome Kamran, ucciso dalle forze del regime precedente durante il sit-in degli studenti nel 1979. Il suo cognome significa “saluto di Dio” e il termine “Shahid” indica una persona uccisa per la sua fede, un martire.
La stazione si trova accanto al centro religioso della suddetta comunità armena, con il parco Sainte-Marie adiacente al loro centro culturale, e al di là del viale Karim Khan Zand del distretto 6, la chiesa cattedrale di San Sarkis, unica chiesa sempre aperta anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche.
Tra le minoranze religiose che godono della libertà di culto in Iran, i cristiani armeni sono i più numerosi, con circa 120.000-150.000 componenti secondo alcune fonti e 355.000 secondo altre. 75.000 armeni si trovano a Teheran. Due dei cinque seggi riservati alle minoranze religiose nel Parlamento iraniano spettano a loro, e sono l’unica minoranza con status di “osservatore” presso il Consiglio di discernimento del Guardiano e il Consiglio di discernimento delle Opportunità.
L’Iran e l’Armenia intrattengono legami culturali storici millenari. La loro relazione riveste un’importanza strategica per l’Iran, poiché il suo corridoio nord-sud è una via di passaggio indispensabile per raggiungere i mercati dei Paesi che si affacciano sul Mar Nero. Il recente trattato di pace tra l’Armenia – il cui primo ministro è in conflitto con il Patriarca apostolico armeno – e l’Azerbaigian, sotto l’egida degli Stati Uniti, minaccia questa via commerciale.

L’esterno della stazione, e il portale d’ingresso principale, è realizzato in pietra bianca e vetrate in stile romanico per armonizzarsi con la facciata della chiesa di San Sarkis di fronte. Sopra tre vetrate, compresa quella d’ingresso, sono incisi in persiano e in inglese il nome principale e quello secondario della stazione, nonché il numero della linea. Dietro la vetrata di fronte alla chiesa di San Sarkis sarà svelata, il giorno dell’inaugurazione, una statua in pietra alta 2,30 m, raffigurante la Madonna in piedi con il bambino Gesù sul braccio sinistro. Il costo è stato sostenuto da un benefattore della comunità armena.
All’interno, sopra la prima rampa nel seminterrato della stazione, è incisa, come in tutte le stazioni della rete, la scritta persiana “Nel nome di Dio”, ma qui si trova anche la sua traduzione in inglese, armeno e arabo su uno sfondo rosso-ocra. Secondo il sindaco Alireza Zakani, la stazione, il cui design incorpora luce, archi e uno spazio sotterraneo silenzioso, combina la delicatezza dell’architettura delle chiese con la calma geometrica dell’architettura iraniana. Secondo lui la stazione evoca anche la donna divina che risvegliò il mondo con la sua purezza e nutrendo un grande profeta.
L’interno della stazione, simile all’architettura interna di una chiesa armena, è decorato con bassorilievi raffiguranti Gesù e Maria, nonché simboli presi in prestito dalla chiesa di San Sarkis, in onore della sua comunità. Le autorità municipali considerano quest’opera d’arte, gestita dall’Organizzazione Municipale per l’Arte Urbana e l’Abbellimento, come una celebrazione dell’identità multireligiosa di Teheran attraverso i suoi spazi pubblici.
Scendendo nel sottosuolo, collegato da scale mobili e scale, dei testi sotto i portici accompagnano i pendolari. Gli archi bianchi delle pareti e dei soffitti, le sfumature di blu delle volte e delle cupole delle piattaforme intermedie, si ispirano ai colori attribuiti a Maria.
Al primo ponte, una dichiarazione della Guida Suprema, incisa su una targa argentata, adorna la parete di fronte alle scale. Riguarda il “Profeta Gesù” e recita: «Gesù Cristo (la pace sia con lui) non ha esitato un istante a combattere il male e a invocare la bontà durante tutto il suo soggiorno tra gli esseri umani».
Un piano più in basso, due targhe argentate al centro di due arcate centrali riprendono le dichiarazioni della Guida Suprema su Gesù: «Il messaggio di Gesù Cristo (la pace sia con lui) era quello di liberare l’umanità dall’oscurità, dall’ignoranza, dalla corruzione, dalla privazione e dalla discriminazione». Così è scritto a sinistra, mentre a destra si legge: «Gesù, figlio di Maria (la pace sia con lui), era l’araldo della misericordia divina, della benedizione e della guida per tutta l’umanità».
Al centro di un grande arco centrale del livello successivo, un medaglione con un particolare effetto luminoso riprende, su una lamina metallica, i versetti 29-34 della sura 19 del Corano su Maria:
– (29) Allora lei fece un cenno verso di lui [il bambino]. Essi dissero: «Come potremmo parlare a un bambino nella culla?».
– (30) Ma (il bambino) disse: «Io sono davvero il servo di Allah. Egli mi ha dato il Libro e mi ha designato Profeta.

– (31) Ovunque io sia, Egli mi ha reso benedetto; e mi ha raccomandato, finché vivrò, la preghiera e la Zakat;

– (32) e la bontà verso mia madre. Egli non mi ha reso né violento né infelice.

– (33) E che la pace sia su di me il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morirò e il giorno in cui sarò resuscitato vivo».

– (34) Questo è ‘Isa (Gesù), figlio di Maryam (Maria): parola di verità, di cui essi dubitano.

Il foyer evoca i segni e le tracce dell’architettura e dell’atmosfera di una chiesa. L’uso di un’illuminazione blu chiaro per il soffitto della sala biglietteria rafforza la sensazione di pace per i pendolari.
Rilievi che combinano architettura, simbolismo cristiano e musulmano, arte floreale e poesia persiana, sono situati all’altezza delle rampe di accesso ai treni della metropolitana.
Un bassorilievo, all’altezza della sala biglietteria, raffigura Gesù con l’aureola, le braccia aperte e le mani rivolte verso il basso, che cammina su onde d’acqua bluastre. La sua tunica pieghettata forma delle onde dietro di lui. Il suo sguardo, nonostante gli occhi chiusi, è rivolto verso l’infinito. Nella diagonale superiore sinistra e inferiore destra della figura cruciforme di Gesù sono rappresentate forme geometriche stellari. Sulla destra sono incise, da destra a sinistra, due strofe di una poesia di Hafez:
«Rallegrati, o mio cuore, il soffio del Messia è vicino, dal suo dolce respiro emana il profumo dell’Unico che si avvicina. Non lamentarti per il dolore della separazione, perché la notte scorsa ho consultato gli oracoli e il nome di un Soccorritore è stata la risposta», Abû Bakr Ibn Abî Ad-Dunyâ riporta da Bikr Ibn ‘Abd Allah Al-Mazani: «Gli apostoli persero il loro profeta ‘Îsâ e fu loro detto: “Dirigetevi verso il mare”. Si misero quindi in cammino e quando arrivarono al mare lo videro camminare sull’acqua, lasciandosi sollevare e abbassare dalle onde. Indossava un telo, metà del quale copriva la parte superiore del suo corpo e l’altra metà la parte inferiore, e camminava nella loro direzione».

Due coppie di bassorilievi si trovano di fronte alle banchine della metropolitana.
Un bassorilievo raffigura, su uno sfondo con due linee ondulate che salgono verso sinistra, le montagne che sovrastano Teheran. Ai lati ci sono alberi verdeggianti, quello di destra un po’ più folto, che sembra appartenere alla famiglia dei cipressi. Antico simbolo significativo della Persia, dell’arte, della letteratura e della cultura islamica, con la sua natura sempreverde, la sua rettitudine e la sua crescita vertiginosa, rappresenta spesso l’immortalità, la vita eterna, la libertà.
A sinistra, in grigio, la cattedrale armena apostolica, con le sue tre tipiche torri coniche, di cui le due più basse, sotto le cime delle montagne, sono sormontate da un globo con un’ancora (croce su mezzaluna), e la più alta, che punta alla cima superiore delle montagne, ha una croce sopra la curva convessa che delimita la montagna e il cielo. Le sue due porte sono scure, solo il portale centrale ha gradini di accesso diagonali verso il centro del pannello.
Sulla destra, un’imponente moschea segue la curva della montagna. Più simbolica che specifica, potrebbe essere stata ispirata da una famosa moschea della zona. In ogni caso, rappresenta il simbolo della religione maggioritaria. Le sue due torri puntano tra le due curve delle cime e la cupola, con il suo pennone che punta verso la cavità più alta della cima, fa sventolare il suo stendardo all’altezza del cielo. I gradini delle tre porte chiare della moschea sono perpendicolari al quadro, mentre solo la porta centrale delle due porte scure della chiesa ha una scala in linea diagonale.
I due edifici religiosi devono simboleggiare la coesistenza culturale. Al centro, un rosone geometrico verde, con una stella a dodici punte che simboleggia l’ordine divino e rappresenta l’unità e la perfezione, collega orizzontalmente le due architetture religiose. Verticalmente, collega il cielo e la terra. Sette piante di mais, simbolo di fertilità e abbondanza, significano che la vita sulla terra è nutrita dalla luce divina.
Due bassorilievi rappresentano Maria, importante nella tradizione islamica e venerata sia dai cristiani che dai musulmani sciiti. Questi ultimi la rispettano come madre del profeta Gesù.
Il primo, che si trova di fronte al bassorilievo con la chiesa e la moschea, raffigura al centro del pannello due terzi della silhouette di Maria, con un grande aureola che simboleggia la sua santità, le mani giunte sul petto e le palpebre chiuse, lo sguardo fisso davanti a sé. Alla sua sinistra e alla sua destra, un parterre di tulipani di diversi colori e steli di riso, così come negli angoli superiori sinistro e destro, grappoli e foglie d’uva. A sinistra, una colomba della pace con un ramoscello d’ulivo nel becco. La forma elegante dei tulipani evoca bellezza e armonia. Nell’Islam, essi ricordano la fugacità della vita e simboleggiano l’amore fedele e imperituro.
Di fronte, Santa Maria, di un candore immacolato, sembra, come il parterre di tulipani – originari dell’Iran, dell’Afghanistan e del Kazakistan -, radicata nella terra, ma che si erge più diritta di loro, al centro del quadro. Dall’altra parte, il rosone geometrico verde collega orizzontalmente la chiesa e la moschea e collega verticalmente il cielo e la terra. La fragile colomba che scende, planando verso Santa Maria, si trova di fronte all’imponente moschea, statica. Le cime delle montagne e il cielo corrispondono alla rigogliosa vite celeste, con quattro grossi grappoli all’altezza della moschea e altri sei all’altezza della chiesa.
Il secondo bassorilievo mariano è composto da due lettere omega speculari, collegate da ramoscelli, opera di Dio; la seconda, sormontata da strutture artificiali, simile a un ponte. Sul versante sinistro, un albero con il suo fogliame verde e la chiesa di San Sarkis, su un terreno pavimentato. Sul versante destro, Maria è seduta su un blocco appoggiato su un sentiero delimitato da ciuffi verdi. Gesù, con le palpebre chiuse come sua madre, è in piedi sul blocco alla sua destra, appoggiandosi alla spalla di Maria. Nell’angolo destro, una collina rocciosa triangolare con alberi senza fogliame.
Di fronte ad essa, un altro bassorilievo mostra un paesaggio idilliaco. Sullo sfondo, una catena di montagne. Al centro, un lago e, in basso, la foce di un fiume tra due piani rocciosi. Quello di sinistra, con gigli, simboli di purezza e innocenza, che in un contesto spirituale possono essere associati alla pace e alla bellezza divina. Quello di destra, con un ulivo, che occupa un posto speciale nel Corano, poiché menzionato più volte come simbolo di pace, benedizione e misericordia. Al centro del quadro, in una vetrata rosa multicolore, una colomba che vola sull’acqua, simboleggiando lo Spirito.
I bassorilievi sono principalmente di colore ocra-sabbia, con alcuni tocchi di verde. L’ocra trasmette un senso di pace ed è simbolo di vita ed eternità, portatore di valori rituali. Il verde simboleggia, nell’Islam, le più alte ricchezze materiali e spirituali, poiché questo colore evoca la fertilità. Indossato dal Profeta, evoca il paradiso e la vita eterna. È il colore sacro per eccellenza; il Corano ne è spesso ricoperto. Poiché l’Islam si sviluppa principalmente nelle regioni aride del mondo soggette alla siccità, il verde è sempre un colore positivo, associato alla vegetazione, al rinnovamento, alla primavera, al cielo, alla felicità, alla speranza e al paradiso, alla benedizione e alla santità.
I quadri e i testi che vi conducono sono sintetizzati nel versetto 171 della Sura 4: «O gente del Libro, non esagerate nella vostra fede e non dite di Dio se non la verità: in verità, il Messia, Gesù figlio di Maria, è un messaggero di Dio, il Suo Verbo proiettato in Maria e uno Spirito emanato da Lui. Credete dunque in Dio e nei Suoi messaggeri e non dite: «Egli è tre»! Astenetevi, sarebbe meglio per voi, Dio è solo una Divinità. Per la Sua trascendenza non può avere figli! A Lui appartiene ciò che è nei Cieli e sulla Terra, e Dio è sufficiente come garante!».
Sulla terra – nel parco – e nell’abisso – della stazione -, gli sguardi di Gesù Cristo e di Sua Madre, la Beata Vergine Maria, sono fissi sui pendolari. Ma, poiché le palpebre di Maria e di Gesù sono chiuse o prive di pupille, non c’è incrocio di sguardi, tranne quello dell’«occhio della colomba». ..
Che dalle profondità sorga la luce divina della colomba e illumini il cuore dei pendolari di buona volontà, affinché con gli occhi della fede – una «visione di colomba» – contemplino, dietro gli sguardi della triade «Gesù-Maria-colomba», l’Amore dell’unico Dio, che infiamma e infiamma i cuori a camminare con dolcezza, umiltà e desiderio di pace, sulla strada degli spostamenti e degli incontri che il Creatore orchestra per i suoi figli.
Lo Spirito Santo scenderà nei cuori come una colomba, per spingerci a imitare il cuore umile di Maria e seguire Gesù nel suo cammino di pace. La vera pace trova la sua fonte nella Trinità: il Padre che parla, il Figlio che accetta e lo Spirito Santo che si riversa su di noi.
(Agenzia Fides 22/10/2025)

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Armenia: amb. Ferranti a inaugurazione 2ª sede Società Dante Alighieri (Giornale Diplomatico 22.10.25)

GD – Jerevan, 22 ott. 25 – Nell’ambito della XXV edizione della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, intitolata “Italofonia: lingua oltre i confini”, all’Università Statale “V. Brusov” di Jerevan si è svolta la cerimonia ufficiale di inaugurazione della seconda nuova sede del Comitato di Jerevan della Società Dante Alighieri.
Nel corso delle celebrazioni sono stati presentati il rinnovato sito web del Comitato e i nuovi corsi di lingua italiana di vari livelli, nonché l’avvio degli esami di Certificazione della conoscenza della lingua italiana (PLIDA) presso il Comitato.
All’evento hanno partecipato l’ambasciatore d’Italia, Alessandro Ferranti; il viceministro dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport della Repubblica di Armenia, Artur Martirosyan; il rettore dell’Università Brusov, Davit Gyurjinyan; i soci del Comitato di Jerevan della Società Dante Alighieri, oltre a docenti e studenti dell’Ateneo.
L’amb. Ferranti, congratulandosi per la contestuale ricorrenza del 90° anniversario dalla fondazione dell’ateneo, ha ringraziato l’università per la partecipazione alla Settimana della Lingua Italiana nel Mondo e per l’importante contributo profuso per la diffusione della lingua e della cultura italiana in Armenia, sottolineando in particolare l’ampio spettro delle opportunità e delle ispirazioni offerte dall’insegnamento dell’italiano.
Nel suo discorso il viceministro Martirosyan ha evidenziato l’importanza della presenza di tale Centro all’Università Brusov, in quanto luogo di eccellenza a livello nazionale per la linguistica, e ha altresì affermato che le attività della nuova Sede del Comitato di Jerevan daranno ulteriore slancio ai legami bilaterali in ambito formativo ed educativo.
Da parte sua il rettore Gyurjinyan, congratulandosi con tutti i presenti per l’importante evento, ha dichiarato che l’istituzione della sede del Comitato in seno all’Università Brusov è un’ulteriore testimonianza del continuo rafforzamento delle relazioni tra Italia e Armenia. Il Rettore ha infine sottolineato che tale collaborazione contribuirà all’espansione dell’insegnamento della lingua italiana in Armenia, alle prospettive professionali degli studenti e all’ulteriore approfondimento del dialogo culturale fra i due Paesi.
Al termine dell’evento è stato proiettato il celebre film armeno “Noi e le nostre montagne”, per la prima volta con sottotitoli in italiano, curati dagli studenti e dai docenti del Dipartimento di Italianistica dell’Università.

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Monaci armeni in visita alla reliquia di San Mercuriale, poi le celebrazioni in rito armeno (Forlitoday 21.10.25)

Si avvicina la festa di San Mercuriale, primo vescovo di Forlì, la cui figura – secondo recenti ricerche storiche e scientifiche – sarebbe giunta in Romagna dalla lontana Armenia. In vista della ricorrenza, quest’anno la comunità forlivese vivrà un momento dal forte valore simbolico e spirituale.

Mercoledì, saranno infatti presenti in città i monaci armeni mechitaristi dell’Isola di San Lazzaro (Venezia), che hanno espresso il desiderio di visitare e venerare le reliquie del santo vescovo. Il programma prevede alle ore 18, sul sagrato della basilica di San Mercuriale, l’accoglienza — alla presenza del vescovo Livio Corazza — della reliquia del capo del santo, solitamente custodita nella chiesa della Santissima Trinità. A seguire, alle 18.30 in basilica, i monaci mechitaristi celebreranno la Divina Liturgia secondo il rito armeno.

L’incontro rappresenta un’occasione preziosa per avvicinarsi alla tradizione liturgica armena, espressione di una stessa fede condivisa, e al tempo stesso per rinsaldare il legame con la terra d’origine del primo pastore della Chiesa forlivese.


Monaci armeni in visita alla reliquia di San Mercuriale, poi le celebrazioni in rito armeno
https://www.forlitoday.it/cronaca/visita-monaci-armeni-san-mercuriale.html
© ForlìToday

Minassian: come il vescovo martire Maloyan “viviamo con coraggio la nostra fede” (Vaticannews 21.10.25)

“Sant’Ignazio Maloyan visse le parole del Vangelo e portò la croce fino all’ultimo respiro. Preservò il suo gregge nella fede, soffrì con esso e per esso, e diede la sua vita per incoraggiarlo, rafforzarlo e salvarlo”. Lo ha detto il patriarca di Cilicia degli armeni cattolici, Raphaël Bédros XXI Minassian, che nel pomeriggio di ieri, lunedì 20 ottobre, all’Altare della Cattedra della Basilica vaticana, ha presieduto la celebrazione della messa di ringraziamento per la canonizzazione di sant’Ignazio Maloyan, vescovo e martire della Chiesa armeno cattolica, proclamato santo insieme ad altri sei beati da Leone XIV domenica 19 ottobre, in una solenne cerimonia in Piazza di San Pietro.

I concelebranti, le autorità e la società civile

Alla celebrazione hanno preso parte i patriarchi Béchara Boutros Raï, di Antiochia dei Maroniti, e Ignace Youssif III Younan, di Antiochia dei Siri; poi il cardinale George Jacob Koovakad, prefetto del Dicastero per il Dialogo interreligioso; Mesrop Sarkissian, rappresentante di Sua Santità Aram I, Catholicos della Chiesa armena apostolica di Cilicia; l’arcivescovo Flavio Pace, segretario del Dicastero per la Promozione dell’unità dei cristiani, l’arcivescovo Michel Jalakh, segretario del Dicastero per le Chiese orientali, insieme a padri sinodali della Chiesa armeno cattolica e membri del clero. Erano presenti, tra gli altri, gli ambasciatori di Armenia e Libano e altri rappresentanti della società civile, oltre a un gran numero di pellegrini armeni provenienti da varie parti del mondo che avevano partecipato alla celebrazione della canonizzazione del giorno precedente.

Il grido silenzioso ma potente del martirio

Durante l’omelia, il patriarca Minassian ha ricordato “il grido silenzioso ma potente del martirio” di Ignazio Maloyan, celebrato non in un semplice rito commemorativo ma in una proclamazione viva di fede. Sant’Ignazio, ha rimarcato, non è solo un testimone del passato, ma un compagno del presente, una voce che continua a parlare con forza nel cuore di un mondo spesso sordo alla verità del Vangelo. “Moriamo, ma moriamo per Cristo”, disse il vescovo Maloyan nel momento supremo della prova, durante le persecuzioni contro il popolo armeno, il Metz Yeghern-Grande Male. In quelle parole, ha affermato il patriarca, c’è tutta la potenza di una fede che non si piega e trova nella Croce non una sconfitta, ma una vittoria. “Il sangue da lui versato, come quello del suo Maestro, è seme per nuovi credenti e testimonianza viva di una Chiesa che non muore, perché radicata in Cristo”, ha ribadito Minassian sottolineando che “la sua santità non è semplicemente un riconoscimento da parte della Chiesa, ma una voce che ci chiama a vivere nella verità, una chiamata a una fede scomoda, ma viva e coraggiosa, capace di perseverare anche nei momenti più bui”.

La santità non riservata a pochi, è una vocazione universale

Per questo, ha insistito, “una persona disposta a sacrificare la propria vita per la verità non può essere sconfitta. Perché quando il cuore appartiene a Cristo, né la guerra, né la persecuzione, né la morte possono togliergli la libertà: la libertà dell’amore”. La canonizzazione di  Ignazio Maloyan, ha esortato il celebrante, “è una chiamata a tutti i cristiani, e in particolar modo ai fedeli armeno cattolici, a comprendere che la santità non è riservata a pochi, ma è una vocazione universale”. Pertanto, in tempi in cui la fede viene spesso marginalizzata, la figura di Ignazio Maloyan, ha osservato ancora, “ci invita a vivere la nostra fede con coraggio, autenticità e amore ardente per Cristo”.

Avere la forza di dire: siamo pronti a morire per Cristo

In conclusione il patriarca ha invitato i presenti a pregare per la Chiesa armena cattolica e per tutti i cristiani perseguitati nel mondo, specialmente in Medio Oriente, chiedendo “l’intercessione di sant’Ignazio Maloyan e di tutti i martiri, affinché anche noi, nella nostra vita quotidiana, possiamo avere la forza di dire: ‘Viviamo per Cristo e, se necessario, siamo pronti a morire per Lui'”.

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Il grido silenzioso ma potente del martirio (Osservatore Romano)

Armenia: arresti a Gyumri, 33 fermati per disordini di massa durante protesta a sostegno sindaco (AgenziaNova 21.10.25)

Erevan, 21 ott 10:27 – (Agenzia Nova) – Sono 33 le persone arrestate a Gyumri in relazione ai disordini scoppiati il 20 ottobre durante una manifestazione a sostegno del sindaco Vardan Ghukasyan. Lo ha riferito il Comitato investigativo dell’Armenia, precisando che i fermati sono accusati di partecipazione a disordini di massa e ostruzione alla giustizia. Secondo le autorità, i disordini sono avvenuti mentre il Comitato anticorruzione conduceva perquisizioni negli uffici municipali nell’ambito di un procedimento penale per corruzione. Mentre le indagini erano in corso, i sostenitori del sindaco si sono radunati davanti al Comune dando vita a una protesta, sfociata in scontri con le forze dell’ordine. La polizia ha successivamente proceduto a fermare numerosi manifestanti. Oggi il sindaco Vardan Ghukasyan è stato posto in detenzione preventiva per due mesi con l’accusa di aver richiesto e ricevuto tangenti. Oltre al primo cittadino, altre sette persone sono state arrestate con le medesime accuse.
(Rum)


 

Armenia: Convegno “Turismo archeologico per sviluppo: il restauro dei mosaici di Garni e le attività armeno-italiane a Dvin e Aruch” (GiornaleDiplomatico21.10.25)

GD – Jerevan, 21 ott. 25 – Nel Museo di Storia di Jerevan si è svolto il convegno “Turismo archeologico per lo sviluppo in Armenia: il restauro dei mosaici di Garni e le attività armeno-italiane a Dvin e Aruch”, organizzato in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport della Repubblica di Armenia e sostenuto dall’Ambasciata d’Italia a Jerevan, nell’ambito del progetto ARCHEtourDEV, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo AICS e coordinato dall’Università di Firenze.
L’evento è stato inaugurato dall’allocuzione del Direttore del Museo, Davit Poghosyan, a cui sono seguiti i saluti istituzionali della Ministra della Cultura, Zhanna Andreasyan, e dell’Ambasciatore d’Italia, Alessandro Ferranti.
Nel dare il benvenuto ai partecipanti, la Ministra Andreasyan ha fatto cenno all’importanza dell’iniziativa dal punto di vista della conservazione e del restauro del patrimonio archeologico e della crescita delle capacità professionali degli specialisti, nonché dello sviluppo delle comunità locali, i cui abitanti potranno considerare il patrimonio culturale come un’opportunità diretta per lo sviluppo delle loro comunità.
La Ministra Andreasyan ha poi espresso la sua gratitudine all’Ambasciata d’Italia in Armenia e a tutte le altre istituzioni coinvolte nel programma, augurando pieno successo nell’attuazione del progetto congiunto, che riguarda innanzitutto le relazioni amichevoli e l’ulteriore approfondimento della cooperazione tra Italia e Armenia.
Per parte sua l’amb. Ferranti, sottolineando la grande importanza di progetti congiunti di tale calibro tra Italia e Armenia, ha osservato che i popoli italiano e armeno sono legati da un patrimonio e un comune retaggio millenario e che l’archeologia simboleggia la capacità di guardare al futuro con maggiore serenità e consapevolezza, attraverso la riscoperta e la valorizzazione delle memorie del passato.
Il programma principale del Convegno era dedicato a Garni, dove l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze sta conducendo la terza fase dei delicati lavori di restauro del mosaico. Gli interventi previsti, tra cui l’analisi strutturale del mosaico, gli studi stratigrafici, la rimozione selettiva della malta e le operazioni di pulitura, contribuiranno alla conservazione a lungo termine del mosaico.
L’evento ha inoltre presentato i progressi registrati dall’Università di Firenze e dall’ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente) nelle missioni archeologiche in essere rispettivamente a Dvin e ad Aruch, a dimostrazione dell’ampia portata del partenariato italo-armeno in tale settore, che collega la conservazione del patrimonio a un nuovo paradigma di opportunità di sviluppo delle comunità locali coinvolte e di promozione del turismo culturale.

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Ignazio Maloyan, martire e testimone del genocidio arme (BQ e altri 21.10.25)

Ignazio Maloyan è santo martire armeno, assassinato dai turchi in odium fidei l’11 giugno 1915, nel giorno della Festa del Sacro Cuore. Fu testimone del genocidio armeno, troppo a lungo negato.

Cultura 21_10_2025
Statua di Ignazio Maloyan in LibanoFra i sette nuovi santi proclamati da Papa Leone XIV domenica 19 ottobre, c’è anche il martire armeno Ignazio Maloyan. Il premier armeno Nikol Pashinyan, benché ai ferri corti con la Chiesa nel suo paese (due vescovi arrestati, con l’accusa di golpismo, per le manifestazioni dell’anno scorso), era presente alla cerimonia. Ha definito la canonizzazione “un atto di giustizia” per gli armeni e che fa luce sulla loro drammatica storia. Il santo martire armeno è infatti un testimone d’eccezione del genocidio del 1915.

Choukrallah Maloyan nacque a Mardin, nell’Anatolia orientale, Impero Ottomano, il 15 aprile 1869. L’arcivescovo di Mardin, Melkon Nazarian notò la sua forte fede e lo inviò nel 1883 al convento di Bzommar in Libano (allora provincia ottomana), sede dell’Istituto del Clero Patriarcale armeno. Il giorno della solennità del Corpus Domini del 1896 fu ordinato sacerdote prendendo il nome di Ignazio.

Dopo un primo periodo ad Alessandria d’Egitto, nel 1910 veniva nominato Vicario patriarcale nella sua città natale, a Mardin. Ignazio Maloyan tornava a Mardin dopo 27 anni. Venne consacrato vescovo da San Pio X il 22 ottobre 1911, durante Sinodo nazionale della Chiesa armena. Molte cose erano cambiate in Turchia. Fra il 1894 e il 1896 gli armeni avevano subito una serie di sanguinose persecuzioni nella provincia di Diyarbekir, ad opera del sultano Abdul Hamid. Nel 1909, nel suo ultimo anno di regno, il sultano scatenò un’altra ondata di persecuzioni, questa volta nella provincia di Adana. Queste prime forme di genocidio, ancora non organizzate, avevano comunque causato 250mila morti, terrorizzando i sopravvissuti. I Giovani Turchi avevano preso il potere con un colpo di Stato nel 1908 e stavano riformando lo Stato secondo le linee del nazionalismo europeo. Nel 1911, mentre Maloyan si trovava a Roma, l’Italia era entrata in guerra con una Turchia ormai indebolita, per sottrarle la Libia.

Appena tre anni dopo, l’Impero Ottomano, suo malgrado, veniva trascinato dai tedeschi nella Grande Guerra. Tanto per cominciare, le forze ottomane rimediarono una sonora sconfitta nella battaglia di Sarikamish, contro i russi, nel Caucaso. Quindi proprio a ridosso delle regioni a maggioranza armena ci si preparava a un’invasione russa. Per i Giovani Turchi fu il pretesto giusto per sbarazzarsi del tutto della minoranza armena.

La Turchia, tuttora, nega la natura genocida dello sterminio e minimizza le cifre. Chi usa il termine di “genocidio” commette un reato secondo il codice penale turco. Eppure non solo i documenti (come gli ordini contenuti nel “telegramma Talaat” che i turchi tuttora considerano un falso storico), ma anche le modalità stesse indicano l’intenzione genocida: quella di eliminare del tutto un popolo. Prima vennero fucilati in massa gli armeni che prestavano servizio sotto le armi. Poi, eliminati i maschi abili alle armi, vennero deportati i più deboli: vecchi, donne, bambini. Ma non si trattava di deportazioni, bensì di massacri programmati. Nei lunghi percorsi, le colonne di armeni venivano infatti attaccate e massacrate, o dai turchi stessi, o da guerriglieri curdi, aizzati dagli ottomani anche dietro la promessa di saccheggiare le proprietà delle vittime. Nei luoghi di destinazione delle deportazioni, nei campi di concentramento allestiti nel deserto siriano, i prigionieri erano lasciati morire di fame e di stenti. Fra il 1915 e il 1916 ne morì più di un milione, la metà dell’intera popolazione armena in Turchia.

Il genocidio viene ricordato in Armenia nel giorno del Metz Yeghern (Grande Male) ogni 24 aprile. In realtà, lo sterminio era iniziato già in febbraio, ma il 24 aprile 1915 venne condotta, a Costantinopoli, una grande retata di polizia in cui furono arrestati tutti i capi politici, religiosi e gli intellettuali della comunità armena. Ignazio Maloyan, a Mardin, venne arrestato in questa fase del genocidio, il 30 aprile. Le autorità ottomane imbastirono anche una finta indagine, per produrre prove compromettenti (armi e documenti che dimostrassero un tradimento) che però non vennero mai trovate.

La natura del genocidio resta oggetto di dibattito anche per chi non ne nega l’esistenza storica. I Giovani Turchi erano laici, massoni e nazionalisti. Si ispiravano alla rinascita delle patrie europee, prendevano ad esempio il Risorgimento italiano (da cui il nome che rievoca la mazziniana Giovine Italia) volevano modernizzare la Turchia. Condividevano l’ideale di una nazione mono-etnica, libera da qualunque corpo estraneo. Di qui la tesi prevalente che il genocidio non sia stato contro i cristiani, ma contro gli armeni in quanto etnia. I motivi laici, oltre al nazionalismo e alla paura di una collaborazione con il nemico russo, si ritrovano, come spesso accade, nell’invidia: gli armeni, fra le minoranze turche, erano i più ricchi e intraprendenti, i più connessi con la comunità internazionale e cosmopoliti.

Ma i curdi e i turchi che sterminarono materialmente gli armeni furono motivati soprattutto dal furore religioso. Nel 1914, il sultano Maometto V aveva proclamato il jihad contro le potenze dell’Intesa. Il jihad era vissuto anche all’interno dell’Impero, come guerra santa contro le minoranze cristiane. Il martirio di Maloyan è la testimonianza di questo furore religioso. Al vescovo venne chiesto più volte di convertirsi all’islam in cambio della libertà. Venne anche torturato barbaramente perché si convertisse. Condannato ai lavori forzati, dopo dieci giorni di carcere duro, fu incolonnato assieme agli altri deportati, ma assassinato appena due giorni dopo la sua partenza da Mardin, l’11 giugno 1915, giorno della festa del Sacro Cuore. Prima di ucciderlo, gli aguzzini turchi gli proposero di nuovo di convertirsi per salvarsi. Venne ucciso in odium fidei, non perché semplicemente armeno, ma perché cristiano, dalla fede incrollabile, pronto al martirio.

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Il Papa: i santi, non paladini di qualche ideale ma testimoni dell’amore di Cristo (Vaticannews)

A Teheran apre una stazione della metro dedicata alla Vergine Maria (RaiNews 21.10.25)

ATeheran è stata inaugurata una fermata della metropolitana dedicata alla Vergine Maria. La stazione “Maryam Moghaddas” (Santa Maria), sulla linea 6, si trova nel Maryam Park, proprio di fronte alla chiesa armena della Santa Vergine, vicino ai quartieri che ospitano le minoranze cristiane, armene e assire. L’ apertura ha suscitato un dibattito sull’immagine del Paese, sulla diversità religiosa e sulle relazioni internazionali. Oltre a elementi ornamentali che evocano la simbologia cristiana, c’è anche una statua della Vergine Maria, alta due metri e mezzo. Un progetto che il sindaco di Teheran Alireza Zakani definisce su X come “un tributo alla coesistenza delle religioni divine” a Teheran.

 

“Ogni elemento visibile in questa  stazione è stato realizzato in modo che, quando si passa di lì, si  capisca che l’obiettivo è quello di rispettare le altre religioni, e  in particolare il cristianesimo“, ha dichiarato all’Afp Tina Tarigh Mehr, l’artista che ha realizzato le opere visibili nella stazione, pensata come un’opera d’arte.

Il nome e l’immagine della stazione riflettono la venerazione della figura di Maria, “una figura rispettata anche nell’Islam”, ha affermato un funzionario comunale alla cerimonia di apertura, sottolineando appunto il legame interreligioso con la figura della Vergine.

 

stazione della metropolitana Maryam Moghaddas (Vergine Maria), appena inaugurata, vicino alla cattedrale armena Sarkis, a Teheran.
stazione della metropolitana Maryam Moghaddas (Vergine Maria), appena inaugurata, vicino alla cattedrale armena Sarkis, a Teheran. (afp)

Da un punto di vista estetico, la stazione integra elementi artistici che riflettono il patrimonio culturale iraniano con simboli associati alla Vergine Maria. I media iraniani hanno parlato della scelta del nome come un gesto di coesistenza culturale e le immagini della nuova stazione sono state ampiamente condivise sui social media in persiano. Molti utenti hanno accolto la decisione come “inaspettata” ma “positiva”, mentre altri hanno notato come il gesto simbolico sia in contrasto con le pressioni quotidiane a cui sono sottoposte le minoranze religiose nel Paese. Sebbene il cristianesimo sia infatti ufficialmente riconosciuto in Iran e un piccolo numero di chiese storiche continui la sua opera di evangelizzazione, i gruppi per i diritti umani da tempo documentano restrizioni alla libertà religiosa, in particolare per i convertiti e le congregazioni non registrate. Arresti, sorveglianza e molestie nei confronti delle comunità cristiane, infatti, sono stati segnalati nel corso degli anni.

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La metro di Teheran onora la Madonna, dialogo tra fedi nella stazione “Hazrat Maryam” (Famigli Cristiana)


A Teheran una stazione metro dedicata alla Madonna. Card. Mathieu: sguardo di amore per gli iraniani (Asianews)


Teheran dedica alla Madonna una nuova stazione della metropolitana (TerraSanta)