Recensione: Jardin noir (Cineuropa 25.03.24)

Due ragazzi corrono in un paesaggio montano mentre la neve si scioglie sulle dolci colline. Si rincorrono giocosamente prima di lanciare un grido nell’aria. Questa scena accuratamente inquadrata, ambientata nel villaggio di Talish, nel Nagorno-Karabakh, apre il film The Black Garden [+] di Alexis Pazoumian. Il documentario diretto dal fotografo e regista franco-armeno è stato presentato in anteprima mondiale nel concorso internazionale del CPH:DOX di quest’anno.

Il film ci proietta all’inizio del 2020, quando la vita sta apparentemente tornando alla normalità a Talish, un villaggio al confine tra Armenia e Azerbaigian, con segni di devastazione che ricordano ancora l’aggressione azera durante la Guerra dei quattro giorni del 2016. Chi è tornato nel villaggio sta cercando di riprendere la propria vita da dove l’aveva lasciata. Avo e Samvel si dedicano a tutte le cose che fanno i bambini di dieci anni: salire sulle loro biciclette e pedalare per le strade, o condividere una battuta e una risata. Un giovane, Erik, sta svolgendo il servizio militare vicino al confine. Le sue giornate in caserma sembrano tranquille e, quando non è impegnato nell’addestramento al combattimento, si esercita in posizioni ginniche e parla di tornare all’università. Un boscaiolo e veterano di guerra, di nome Karen, ricorda il passato e come Talish fosse uno dei più grandi villaggi del Nagorno-Karabakh. “Con tutte le guerre, siamo dovuti fuggire tre volte”, dice.

“Come si esprime la vita quotidiana in un tempo irrisolto, perennemente sull’orlo della guerra?”, scrive Pazoumian nelle sue note in The Black Garden, alludendo al conflitto del Nagorno-Karabakh. Forse nel tentativo di trovare una risposta alla domanda che si è posto, il regista ha filmato una vita nel Nagorno-Karabakh bloccata in uno stato di attesa di una nuova guerra, con un’inquietante immobilità che incombe sui paesaggi devastati di Talish. Nel limbo della guerra, le canzoni patriottiche sembrano incessanti a Talish, e i bambini a scuola imparano le mosse di difesa e a usare le armi.

Utilizzando le intertitolazioni come chiari marcatori cronologici, il film ci colloca tra gli eventi in corso, tracciando le traiettorie delle storie dei protagonisti. Nel settembre 2020, l’Azerbaigian sferra un attacco che rappresenta un’importante escalation del conflitto irrisolto nella regione. Sulla scia delle nuove ostilità, le famiglie di Avo e Samvel fuggono nella capitale armena. Erik si sottopone a riabilitazione a Yerevan dopo aver perso una gamba a causa di una ferita da schegge. Anche Karen è sfollato e ora si trova a Stepanakert, nel Nagorno-Karabakh. Seguendo da vicino i protagonisti nell’arco di tre anni, il film dipinge un quadro desolante delle tensioni crescenti nella regione, tra cui il blocco dell’enclave nel 2022, l’offensiva su larga scala dell’Azerbaigian nel 2023 e il successivo esodo di massa dell’etnia armena dal Nagorno-Karabakh.

La guerra non è mai gloriosa, nemmeno quando viene resa in un’opera cinematografica o in un verso. Il film di Pazoumian evidenzia questo sentimento, pur rimanendo chiaramente fedele alla prospettiva del Nagorno-Karabakh e non uscendo da essa nel corso del film. Con molta sensibilità e un occhio alle sfumature visive, il regista intreccia il tema della perdita in gran parte del suo documentario, estendendo la metafora del dolore fantasma come modo per comprendere l’ambigua esperienza vissuta della perdita della propria terra. L’uso sapiente della luce da parte di Pazoumian conferisce una sfumatura malinconica alle immagini luminose e accuratamente composte, creando questo luogo senza tempo, un Nagorno-Karabakh che è per sempre catturato nelle canzoni e nell’immaginazione della gente.

The Black Garden è prodotto dalla francese Solent Productions, in coproduzione con la belga Naoko Films. Le vendite internazionali sono gestite da Syndicado Film Sales.

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Il Nagorno Karabakh, la regione contesa del Caucaso (Zetaluiss 25.03.24)

«L’Italia, come grande importatore di gas e petrolio azero, avrebbe voce per influire sulla questione del Nagorno Karabakh» sostiene Aldo Ferrari, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), rimarcando la dipendenza energetica del nostro paese dall’Azerbaigian, «uno dei paesi più repressivi a livello mondiale, tra gli ultimi posti delle classifiche di libertà e democrazia, governato da Ilham Aliyev, un presidente figlio del suo predecessore». La nazione caucasica non brilla per rispetto dei diritti civili e politici. Secondo Freedom House, Ong con sede a Washington, corruzione e persecuzione contro i partiti di opposizione sono problemi persistenti che delineano un volto autoritario, mostrato sull’altopiano armeno.

Il Nagorno Karabakh, o Repubblica di Artsakh, è sconosciuto ai più, non si studia nelle scuole italiane, non se ne parla nei programmi televisivi, è un nome complicato da scrivere o pronunciare, una terra che molti non saprebbero collocare sulla cartina geografica. In pochi sanno che il suo territorio montuoso è grande come metà della Sardegna. Situata nel Caucaso meridionale, l’enclave priva di sbocco sul mare è stata attribuita negli anni Venti, per ragioni politiche, dall’Unione sovietica all’Azerbaigian. È contesa tra Baku e Yerevan in un conflitto con radici antiche che impongono un excursus indietro nel tempo. Dopo la dissoluzione dell’Urss, la maggioranza armena, col supporto del paese d’origine, ha chiesto a gran voce l’indipendenza e la riunificazione alla madrepatria. Ciò non è avvenuto, e la tensione è sfociata in una guerra che, tra il 1992 e il 1994, ha portato alla proclamazione, da parte della comunità armena, della Repubblica di Artsakh, mai riconosciuta dalla comunità internazionale.

Dopo anni di stallo, il rafforzamento economico dell’Azerbaigian gli ha permesso di scatenare un violento attacco militare nel 2020, riuscendo in 44 giorni a prevalere. «Quasi certamente l’intervento non avrebbe avuto luogo se Mosca non avesse in qualche modo acconsentito». La mancata intromissione russa a sostegno dell’Armenia si spiega con la Rivoluzione di velluto del 2018, con cui è andato al potere un gruppo dirigente più proiettato verso l’Europea e l’Occidente. Parlando di democratizzazione e lotta alla corruzione, la nuova élite ha ottenuto grande sostegno nella popolazione, irritando non poco Vladimir Putin, che vedeva sino ad allora Yerevan come un fedele alleato. In questo periodo si consuma secondo Ferrari il definitivo sganciamento della Russia dall’amico storico, lasciato solo. L’offensiva ha chiuso ogni spiraglio per la pace, permettendo a Baku di occupare la parte meridionale del Nagorno Karabakh. I richiami delle Nazioni Unite e la mediazione russa hanno condotto ad una tregua e la creazione di una zona di pace al confine, sorvegliata dal Cremlino, insufficiente ad allontanare le armi.

Nel settembre 2023 le ostilità sono ricominciate con la vittoria dell’esercito azero, più attrezzato rispetto a quello avversario. La conseguenza è stata la resa della Repubblica di Artsakh e l’esodo di più di centomila armeni. Uomini, donne e bambini in lacrime sono stati costretti a scappare da casa e portare con sé i propri averi, i ricordi più cari – come album di foto – in centri di accoglienza. Tutto ciò è avvenuto dopo che i soldati di Baku avevano bloccato il corridoio di Lachin, attraverso cui le persone ricevevano materiale di prima necessità. Anche l’Unione europea ha parlato di un’inaccettabile “pulizia etnica”. Dal 1° gennaio 2024 la Repubblica di Artsakh non esiste più. La capitale Stepanakert ha cambiato nome in Khankendi. È iniziata l’operazione “Grande Ritorno”, ovvero il ripopolamento da parte dei cittadini azeri che l’avevano abbandonata o erano stati espulsi negli anni Novanta. «Non ci sono più armeni nel territorio in cui hanno vissuto, lavorato e creato arte per millenni. Per paura di esser uccisi hanno deciso di lasciare la loro terra. Vivono in Armenia in condizioni difficili» aggiunge Ferrari.

«In questi anni l’Azerbaigian non aveva dato nessuna garanzia di salvaguardia della vita e libertà a coloro che avevano servito nella burocrazia o nell’esercito del Nagorno Karabakh. La fuga, benché non imposta da Baku, è comprensibile» racconta l’analista, che non esita ad ammonire l’Europa: «La comunità internazionale non ha fatto nulla. Ci sono state proteste da parte della Francia e la Germania mentre l’Italia ha taciuto tranne la vergognosa intervista del viceministro degli Esteri che si rallegrava di quanto avvenuto dicendo che così il diritto internazionale era stato ripristinato». Secondo Ferrari, l’Europa può rafforzare la piccola missione disarmata inviata all’inizio dello scorso anno alla frontiera tra Baku e Yerevan, o elaborare una politica chiara e aperta. «Ci sono spazi di azione dell’Ue per proteggere un paese piccolo come l’Armenia, debole militarmente, che ha subito più di cento anni fa il genocidio dei turchi» continua.

Proteggere il paese e convincere l’Azerbaigian a non fare pressione politica e militare sull’Armenia sarebbe la soluzione, ma lo scetticismo traspare dalle parole dell’esperto. «Non ho la sensazione che l’Europa vada in questa direzione, anche se potrebbe intervenire con la diplomazia sulla presenza delle truppe azere al confine, che hanno conquistato alture, territori piccoli ma strategici. L’ipotesi è molto difficile, non è facile trattare con la situazione attuale tra l’Unione europea e il Cremlino».

Non stupisce l’influenza di Mosca data la presenza di basi russe in Armenia, il ruolo di security provider giocato a lungo dalla Federazione e i legami commerciali che la legano all’Azerbaigian.  Se da un lato Putin ha abbandonato Yerevan, concentrandosi sull’invasione dell’Ucraina, dall’altro è l’Armenia ad aver marcato la distanza. Il premier Nikol Pashinyan ha definito un “errore strategico” la dipendenza dal Cremlino, ritirandosi dalla Csto, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, un blocco a guida russa, composto da Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan. Risulta evidente come la scarsa incisività della diplomazia europea abbia gettato nell’incertezza il Nagorno Karabakh, la regione «giuridicamente azera, ma storicamente armena».

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Persone armate in stazione di polizia in Armenia, feriti (Ansa e altri 24.03.24)

Una fonte della polizia ha riferito alla Tass che persone armate hanno fatto irruzione in una stazione di polizia a Erevan in Armenia.

Secondo i dati preliminari, sono stati uditi rumori di esplosioni e spari. Diverse persone sarebbero rimaste ferite.

Al momento non sono disponibili commenti ufficiali. Secondo il ministero dell’Interno armeno, citato dall’agenzia russa Ria Novosti, l’attacco è stato compiuto da tre persone, due delle quali sono rimaste ferite per l’esplosione di una granata che portavano con sé. Una persona in possesso di un’altra granata è ancora barricata nell’edificio.


Attentato con granate a Erevan: feriti nella capitale dell’Armenia, sospetti sulla Fratellanza dei reduci della guerra in Karabakh Video (Il Messaggero)


Armenia, un commando armato fa irruzione in un commissariato di Yerevan (Agi)


Armenia, attacco a stazione di polizia (Rainews)


Armenia, tre uomini armati fanno irruzione in una stazione di polizia a Erevan e fanno esplodere una granata: ci sono feriti (Il Fatto Quotidiano)


Armenia: uomini armati fanno irruzione in un commissariato a Erevan (Corriere della Sera)


Armenia, uomini armati fanno irruzione in un commissariato a Erevan: l’esplosione di una granata (La Stampa)


Armenia, persone armate fanno irruzione in commissariato a Yerevan: ci sono feriti (Skytg24)


Alta tensione anche in Armenia, assalto in una stazione di polizia di Erevan. Allarme bomba a San Pietroburgo. Caccia russo intercetta due bombardieri Usa (L’Unità)


Armenia, spari e esplosioni in una stazione di polizia a Erevan: un arresto (TgLa7)


Armenia, commando armato assalta un commissariato: blitz delle forze speciali (Quotidiano Nazionale)

 

L’Armenia guarda a ovest e valuta lo strappo con Mosca (Nicolaporro.it 23.03.24)

Gli equilibri geopolitici del Caucaso meridionale stanno subendo dei mutamenti significativi, potenzialmente in grado di sfaldare l’architettura di sicurezza post-sovietica. Da un lato, Mosca prosegue l’offensiva ai danni dell’Ucraina – non senza ostacoli, come la recente incursione terrestre dei dissidenti filo-Kiev tra le oblast di Kursk e Belgorod; dall’altro, le nazioni che orbitano nella sfera d’influenza russa manifestano il loro disappunto nei confronti del tradizionale alleato.

La svolta dell’Armenia

In un quadro segnato dall’instabilità, l’Armenia considera l’ipotesi di un graduale allontanamento dal Cremlino. Le relazioni tra Mosca e Erevan hanno mostrato le prime crepe con l’ascesa del premier Nikol Pashinyan nel 2018 e sono precipitati dopo il mancato intervento delle forze di peacekeeping russe durante l’attacco azero del settembre 2023 in Nagorno-Karabakh, un’area sottoposta al controllo dei separatisti armeni.

Il primo ministro armeno ha un obiettivo ambizioso: liberare il Paese dagli artigli dell’orso russo per spostare il baricentro della sua politica estera verso ovest. L’Armenia è infatti alla ricerca di nuove partnership strategiche e punta a una maggiore sinergia con le potenze occidentali. Sembrano lontani i tempi in cui la Repubblica caucasica si affidava quasi esclusivamente alla Russia. L’adesione formale dell’Armenia alla Corte penale internazionale (Cpi) ha certificato la clamorosa svolta, suscitando il malcontento di Mosca.

Il ritiro dall’Otsc

Lo scorso 17 febbraio Pashinyan ha annunciato di voler congelare la partecipazione dell’Armenia dall’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Otsc), un’alleanza militare guidata dalla Russia che assomiglia a una “contro-Nato” (in miniatura, dal momento che include solo sei membri). Il leader di Contratto civile ha motivato la scelta denunciando l’inadeguatezza dell’Otsc nella difesa degli interessi nazionali armeni: una presa di posizione netta e incontrovertibile.

Non è un caso che a fine febbraio il ministro della difesa francese, Sébastien Lecornu, abbia fatto tappa a Erevan per sottoscrivere insieme al suo omologo Suren Papikyan nuovi accordi sugli armamenti. La Francia, che già nell’ottobre 2023 aveva consegnato all’Armenia tre sistemi radar GM-200, si è ora impegnata a fornire missili antiaerei Mistral a corto raggio per rafforzarne la capacità difensiva.

Le incognite economiche

Merita un discorso a parte l’economia. Sebbene il Pil armeno sia cresciuto del 10,5 per cento nella prima metà del 2023, l’Armenia deve fare fronte alla dipendenza dalla Russia. Il deterioramento dei rapporti tra i due Paesi risulta inversamente proporzionale alla cooperazione che hanno cementato negli ultimi decenni.

A partire dall’inizio degli anni Novanta, quando l’Armenia è diventata una repubblica indipendente, la Federazione russa figura come il principale partner del Paese nei settori del commercio, della siderurgia e della sicurezza alimentare. Per non parlare del monopolio esercitato nell’approvvigionamento energetico: Gazprom Armenia, la filiale locale della compagnia di stato russa, possiede tutte le infrastrutture di distribuzione del gas naturale in territorio armeno.

Bisogna ricordare, inoltre, che l’economia di Erevan è fortemente legata ai lavoratori emigrati in Russia, i quali spesso e volentieri rimandano i loro salari in patria. Nel 2022 i trasferimenti di denaro hanno raggiunto quota 3,6 miliardi di dollari (sui 5,1 miliardi totali entrati nel Paese). Queste circostanze sfavorevoli hanno spinto l’Armenia a valutare una diversificazione del suo sistema produttivo.

Primi passi verso l’Occidente

Il cambio di postura del governo di Pashinyan è un’opportunità che l’Europa e gli Stati Uniti non devono sottovalutare. La sua leadership illuminata (contro la guerra in Ucraina, a favore dell’integrazione comunitaria e della Nato) sta migliorando la reputazione dell’Armenia nello scenario euroatlantico.

Come scrivevo all’indomani delle elezioni in Estonia, nel marzo 2023, i popoli che hanno conosciuto la repressione sovietica desiderano vivere lontano dal regime di Vladimir Putin. Ed è grazie al mix democrazia-capitalismo che le ex repubbliche satellite dell’Urss possono coronare il sogno di affrancarsi dalla tirannide. C’è ancora molta strada da fare, ma le premesse appaiono incoraggianti.

Il futuro dell’Armenia è un gioco a somma zero. Se Nikol Pashinyan riuscirà ad avvicinare Erevan all’Unione europea e alla Nato, intraprendendo un iter di democratizzazione e di riforme, l’egemonia della Russia nella regione caucasica subirà una battuta d’arresto. Viceversa, l’Armenia continuerà ad essere vincolata alle decisioni del Cremlino senza sviluppare un indirizzo politico autonomo.

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L’Armenia è come l’Ucraina. Ma a nessuno interessa (Tempi 22.03.24)

Ora l’Azerbaigian pretende otto villaggi armeni, senza offrire in cambio i territori di Erevan che occupa illegalmente. Pashinyan ammette: «Se non cediamo, ci invadono». La comunità internazionale non ha niente da dire?

Sabato 23 marzo il Viotti Festival presenta per la prima volta Sergey Khachatryan (Citta di Vercelli 22.03.24)

Sabato 23 marzo 2024 (ore 21)
Teatro Civico
Via Monte di Pietà, 15 – Vercelli

Concerto in abbonamento

Sergey Khachatryan violino
Guido Rimonda direttore
Camerata Ducale

Il programma sarà il seguente:
L. van Beethoven – Concerto per violino e orchestra in re maggiore, op. 61 L. Cherubini – Sinfonia in re maggiore, ParC 54
Punto di svolta per il XXVI Viotti Festival, che dopo l’apertura del ricco programma delle celebrazioni per il bicentenario viottiano propone subito un altro concerto di assoluta importanza: sabato 23 marzo, infatti, al Teatro Civico (ore 21, concerto in abbonamento) si esibirà per la prima volta a Vercelli uno dei più grandi violinisti del mondo, ovvero l’armeno Sergey Khachatryan. Davvero difficile condensare in poche parole l’eccelso curriculum di questo interprete, il quale fin dalle prestigiose vittorie al Sibelius e al Queen Elisabeth incanta gli spettatori di ogni Paese, esibendosi con le migliori orchestre del mondo e continuando a stupire grazie a un’espressività e a un carisma inimitabili.

Considerato oggi tra i più importanti violinisti del mondo, l’armeno Sergey Khachatryan si è imposto sulla scena internazionale con l’affermazione al Sibelius di Helsinki nel 2000, diventando il più giovane vincitore nella storia del Concorso, e nel 2005 si è imposto al Queen Elisabeth di Bruxelles. Da allora ha collaborato con Berliner Philharmoniker, Royal Concertgebouw, London Symphony, London Philharmonic, Philharmonia Orchestra, esibendosi anche con New York Philharmonic, Boston Symphony, Bilbao Symphony Orchestra, Orchestre Philharmonique de Montecarlo e Orquesta de Valencia. In duo con sua sorella, la pianista Lusine Khachatryan, ha tenuto recital alla Wigmore Hall (Londra), al Théâtre des Champs-Élysées e alla Cité de la Musique (Parigi), al Concertgebouw di Amsterdam, al Palais des Beaux Arts (Bruxelles), alla Victoria Hall (Ginevra) e alla Carnegie Hall (New York). My Armenia (Naïve Classique), l’album di Sergey e Lusine dedicato alla commemorazione del genocidio armeno, è stato premiato con l’Echo Klassik per la musica da camera.

Per non perdere questo importante concerto del XXVI Viotti Festival, ricordiamo che è possibile effettuare prenotazioni o ricevere informazioni scrivendo a biglietteria@viottifestival.it, telefonando al 329 1260732 o presentandosi alla biglietteria presso il Viotti Club (via G. Ferraris 14 a Vercelli) mercoledì e venerdì dalle ore 14 alle ore 19, giovedì dalle 14 alle 16 e sabato dalle 14 alle 18 (gli stessi orari valgono anche per la reperibilità telefonica e via email).

Il prossimo appuntamento con il XXVI Viotti Festival è in programma Sabato 13 aprile 2024 (ore 21) al Teatro Civico di Vercelli.

ARMENIA. CAMPAGNA DI DISINFORMAZIONE CONTRO IL RIAVVICINAMENTO FRANCO-ARMENO (Notizie Geopolitiche 22.03.24)

di Giuseppe Gagliano 

Nel cuore di Erevan, la capitale dell’Armenia, recenti manifesti hanno sollevato polemiche criticando la Francia e l’ambasciatore francese, Olivier Decottignies, accusandolo di corruzione e sollecitando la Francia a ritirarsi dall’Armenia. Numerosi poster apparsi lungo la vivace Northern Avenue hanno stimolato discussioni sull’influenza esterna e le campagne di disinformazione che si stanno diffondendo ben oltre i confini nazionali. Attivisti che appoggiano l’occidente ritengono che dietro queste azioni ci sia la mano della Russia, intenta a minare i tentativi di Erevan di avvicinarsi all’occidente, un processo che la Francia cerca di facilitare fornendo supporto militare all’Armenia, in previsione di tensioni riaccese con l’Azerbaigian.
In questo scenario non solo l’ambasciatore francese, ma anche altre figure francesi presenti in Armenia come i dirigenti del gruppo Veolia, attivo nel settore della gestione dei rifiuti e dell’acqua, hanno subito campagne di disinformazione. Un episodio rilevante ha visto la diffusione di un video, manipolato con tecniche deepfake, per infangare l’immagine di Decottignies.
L’Armenia assiste a una lotta per l’influenza che coinvolge sia Mosca che Baku, entrambe critiche nei confronti del crescente riavvicinamento franco-armeno. Tuttavia il rapporto tra l’Armenia e la Russia ha subito tensioni specialmente dopo i conflitti del Nagorno-Karabakh, durante i quali il Cremlino non ha fornito l’assistenza attesa, nonostante l’Armenia faccesse parte dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva guidata dalla Russia.
Nel contesto di queste dinamiche a Erevan si osserva un aumento dell’attivismo che promuove un riavvicinamento dell’Armenia con l’occidente. L’Alleanza Nazionale Democratica, guidata da Jirayr Sefilian, si posiziona come voce critica contro l’influenza russa, sostenendo una maggiore apertura verso gli Stati Uniti e la Francia. Questo gruppo si è impegnato anche a livello internazionale, cercando sostegno attraverso il lobbista The Livingston Group negli Stati Uniti, e ha ricevuto attenzioni da parte di alcuni membri del Congresso Usa sensibili alle sue posizioni.
In un contesto di crescente tensione e lotta informativa l’Armenia si trova al centro di un complicato gioco geopolitico che coinvolge potenze regionali e globali, in un momento cruciale per definire le sue alleanze e la sua posizione sullo scacchiere internazionale.

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L’Armenia pronta a cedere i villaggi contesi per avere la pace, e non una guerra che non potrebbe sostenere (Scenari Economici 22.03.24)

Il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha detto che il suo Paese potrebbe affrontare una guerra con il vicino Azerbaigian se non scenderà a compromessi e non restituirà quattro villaggi azeri che detiene dall’inizio degli anni Novanta.

Nel video pubblicato martedì, Pashinyan parlava durante un incontro con i residenti della regione Tavush, nel nord dell’Armenia, vicino a una serie di villaggi azeri abbandonati che l’Armenia controlla dall’inizio degli anni ’90. Cercava di convincere gli abitanti dell’area della necessità di restituirli per impedire una guerra che, in questo momento, senza l’appoggio militare diretto russo, l’Armenia avrebbe già perso.

Ecco dove si trova la regione di Tavush:

Armenia, regione di Tavush

I quattro villaggi, disabitati da oltre 30 anni, hanno un valore strategico per l’Armenia, poiché si trovano a cavallo della strada principale tra Yerevan e il confine georgiano.

L’Azerbaigian ha affermato che la restituzione delle sue terre, che comprendono anche diverse piccole enclavi interamente circondate dal territorio armeno, è una condizione necessaria per un accordo di pace che ponga fine a tre decenni di conflitto sulla regione del Nagorno-Karabakh, che le forze dell’Azerbaigian hanno ripreso lo scorso settembre.

Pashinyan ha detto alla gente del posto lunedì, nella clip video diffusa dal suo governo, che il mancato compromesso sui villaggi potrebbe portare alla guerra con l’Azerbaigian “entro la fine della settimana”, ha riferito l’agenzia di stampa statale russa TASS.

“Ora possiamo andarcene da qui, andiamo a dire [all’Azerbaigian] che no, non faremo nulla. Questo significa che alla fine della settimana inizierà una guerra”, ha dichiarato l’autore citato dalla TASS.

L’Armenia ha subito una grave sconfitta a settembre, quando le forze dell’Azerbaigian hanno ripreso il Nagorno-Karabakh con un’offensiva lampo, spingendo quasi tutti i circa 100.000 armeni della regione a fuggire in Armenia.

Sebbene il Nagorno-Karabakh sia riconosciuto a livello internazionale come territorio azero, l’etnia armena della regione gode di un’indipendenza de facto dall’Azerbaigian dalla guerra dei primi anni Novanta.

Trattato di pace

L’Azerbaigian e l’Armenia hanno dichiarato di voler firmare un trattato di pace formale, ma i colloqui si sono impantanati in questioni che includono la demarcazione del loro confine condiviso di 1.000 km, che rimane chiuso e pesantemente militarizzato.

Nelle ultime settimane Pashinyan ha segnalato di essere disposto a restituire i terreni azeri controllati dall’Armenia e ha suggerito di deviare la rete stradale armena per evitare il territorio azero, pur di concludere una pace vera fra i due paesi.  Il problema però rischia di essere la pubblica opinione armena che ptrebbe intendere la cessione dei territori come una resa all’Azerbaigian

L’Azerbaigian, a maggioranza musulmana, continua a controllare aree riconosciute a livello internazionale come parte dell’Armenia a maggioranza cristiana.

Il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha detto domenica che il suo Paese è “più vicino che mai” alla pace con l’ArmeIl nia, nelle osservazioni fatte dopo aver avuto colloqui con il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, a Baku.

Stoltenberg ha avuto colloqui martedì con Pashinyan in Armenia, che è nominalmente un alleato della Russia, anche se le sue relazioni con Mosca si sono deteriorate negli ultimi mesi a causa di ciò che l’Armenia afferma essere la mancata protezione della Russia dall’Azerbaigian.

Di conseguenza, l’Armenia ha orientato la sua politica estera verso l’Occidente,  e ha congelato il trattato militare CSI con la Russia .

Parlando ad una conferenza stampa a Yerevan con Pashinyan, Stoltenberg ha accolto con favore quella che ha definito la solidarietà dell’Armenia con l’Ucraina.

Commentando la visita di Stoltenberg, il Cremlino ha detto che è improbabile che gli sforzi del blocco per espandersi in quel Paese contribuiscano a portare stabilità.

In una dichiarazione pubblicata martedì sull’applicazione di messaggistica Telegram, la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha suggerito che i legami sempre più stretti dell’Armenia con l’Occidente sono il motivo per cui deve fare concessioni all’Azerbaigian. In realtà proprio il mancato appoggio russo è stato alla base della perdita del Nagorno Karabakh.

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Armenia premiata a Berlino dalla Parwa come “migliore destinazione storica” (Travelquotidiano 22.03.24)

L’Armenia è stata premiata durante la recente Itb di Berlino in qualità di migliore destinazione nella categoria “Storia” dalla Pacific Area Travel Writers Association (Patwa).

«Questo riconoscimento – ha commentato Susanna Hakobyan, vicedirettrice del Tourism Committee of Armenia – evidenzia il patrimonio culturale e il significato storico dell’Armenia. Estendiamo la nostra gratitudine a Patwa per questo premio e restiamo impegnati a condividere la nostra ricca storia con viaggiatori provenienti da tutto il mondo».

L’Armenia ha una storia di quasi tre millenni che si è preservata fino ad oggi attraverso un ricco patrimonio storico e culturale, che ha forgiato l’identità dei suoi abitanti. Primo stato al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di stato nel 301, l’Armenia conserva siti archeologici, monumenti e monasteri medievali che testimoniano il suo importante passato. Alcuni dei principali luoghi storici sono parte dei tre siti patrimonio Unesco: i due monasteri di Haghpat e Sanahin, il monastero di Geghard e l’Alta Valle dell’Azat, e la cattedrale e le chiese di Etchmiatzin insieme al sito archeologico di Zvartnots.

I premi di viaggio internazionali Patwa sono stati istituiti in modo indipendente e sono giunti alla loro 24° edizione. I premi riconoscono governi, organizzazioni, brand, ministri e individui che si sono distinti nella promozione del turismo. Il segretario generale dell’associazione, Yatan Ahluwalia, ha affermato: «Quest’anno l’attenzione della giuria si è concentrata sulla regione del Mediterraneo e del Sud America, oltre all’India. La sostenibilità è stata un fattore chiave per la nostra selezione. Oltre a riconoscere organizzazioni e individui, la nostra eccellenza nella categoria governance includeva premi per otto ministri del turismo di tutto il mondo che hanno avuto un impatto con le loro politiche e visione».

 

Armenia, un passo verso l’UE (Osservatorio Balcani e Caucaso 21.03.24)

Una risoluzione del Parlamento europeo sottolinea l’avvicinamento dell’Armenia all’UE. L’Unione europea pensa che Yerevan potrebbe presentare domanda di adesione, ma rimangono molti interrogativi

21/03/2024 –  Onnik James Krikorian

Venerdì scorso, il portavoce dell’Unione europea Peter Stano ha annunciato che l’Armenia potrebbe presentare domanda di adesione. La dichiarazione segue una risoluzione non vincolante del Parlamento europeo del 13 marzo, che aveva invitato gli organi superiori a prendere in considerazione un’eventuale richiesta di adesione di Yerevan.

“Se l’Armenia fosse interessata a richiedere lo status di paese candidato e a continuare il suo percorso di consolidamento della democrazia tramite riforme durature, ciò potrebbe gettare le basi per una fase di trasformazione nelle relazioni UE-Armenia”, si legge nella risoluzione.

Il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan si è mostrato più cauto: “Quando l’Armenia avrà intenzione di chiedere l’adesione all’UE, sarete i primi a saperlo”, ha detto. Ciononostante, e sebbene la maggior parte degli analisti armeni respinga questa possibilità, la risoluzione ha evidenziato i crescenti rapporti tra Armenia e UE a fronte del peggioramento delle relazioni tra Yerevan e Mosca, il tradizionale partner politico, economico e di sicurezza dell’Armenia.

Tuttavia, la prospettiva di una richiesta di adesione all’UE rimane discutibile. La settimana scorsa il primo ministro Nikol Pashinyan ha incontrato i parlamentari del suo partito del Contratto civile per discutere la questione, ma alcuni nutrirebbero serie riserve.

Yerevan, si sa, è infastidita dalla posizione di Mosca nel conflitto armeno-azerbaijano, ma la diversificazione della sua politica di sicurezza è necessaria dato che la Russia, impegnata in Ucraina, è difficilmente in grado di fornire sicurezza o armi. L’economia, tuttavia, è un’altra questione. La Russia non solo possiede e controlla settori chiave in Armenia, ma è anche il principale mercato per le esportazioni.

Molte famiglie in Armenia fanno affidamento sulla Russia per le rimesse. In ottobre, in un discorso al Parlamento europeo, Pashinyan si era limitato a dichiarare che l’Armenia voleva avvicinarsi all’UE solo “nella misura in cui l’UE lo ritiene possibile”. La sua attuale adesione all’Unione economica eurasiatica (EAEU) guidata dalla Russia sarebbe un grosso ostacolo da superare.

Nel 2013, ad esempio, l’allora presidente Serzh Sargsyan scelse di non firmare un accordo di associazione con l’UE (AA UE) e un accordo di libero scambio globale e approfondito (DCFTA) a favore di uno con l’EAEU. Da allora, anche con Pashinyan, l’importanza della EAEU per l’Armenia non è cambiata. Pochi credono che l’UE potrebbe sostituirla nel prossimo futuro.

L’Armenia fa affidamento anche sul gas russo, fortemente sovvenzionato e venduto a prezzi ben inferiori a quelli di mercato, cosa che potrebbe rivelarsi impossibile da sostituire o compensare. Inoltre, il nuovo ministro dell’Economia armeno, Gevorg Papoyan, ha citato solo l’Egitto come esempio di potenziali nuovi mercati, e comunque senza dati a sostegno di tali affermazioni.

Secondo Eurasianet, lo scorso anno circa il 40% delle esportazioni armene è andato in Russia, che è anche il principale riferimento per le importazioni di grano e petrolio. Nel 2022, i trasferimenti di denaro dei lavoratori migranti dalla Russia all’Armenia hanno raggiunto i 3,6 miliardi di dollari.

Per ora, non è nemmeno chiaro se ci si aspetta che l’Armenia metta fine alle sue relazioni con l’EAEU prima, durante o dopo eventuali colloqui sullo status di candidato. C’è anche il fattore tempistiche. La vicina Georgia ha firmato l’accordo di associazione con l’UE nel 2014, ma solo alla fine dello scorso anno ha finalmente ricevuto l’ambito status di paese candidato, e anche con probabile riluttanza.

Tuttavia, Pashinyan ha accolto con favore la risoluzione non vincolante e annunciato l’intenzione di fare dell’adesione all’UE un “oggetto di discussione pubblica in Armenia”, cosa che sarà cruciale prima che si possa prendere qualsiasi decisione ora o in futuro.

L’ambasciatore dell’Armenia presso l’UE, Tigran Balayan, si è espresso in termini più chiari durante una conferenza a Bruxelles il 16 marzo. “La politica estera armena non è né una svolta verso l’Occidente, né una svolta verso l’Oriente”, ha affermato. “La politica estera armena è una svolta verso gli interessi statali degli armeni”.

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