Chi è Brunette, la cantante dell’Armenia all”Eurovision Song Contest 2023 (Wired 04.05.23)

Future Lover è il brano scelto, scritto e prodotto da Brunette per l’Eurovision Song Contest 2023. Classe 2001, la cantante rappresenta l’Armenia nella competizione europea e si esibisce nel corso della seconda semifinale. Nata a Erevan, la capitale dell’Armenia, Brunette ha debuttato a 18 anni con il singolo Love The Way You Feel, realizzato con l’organizzazione non-profit Nvak Foundation, che ha raggiunto un successo internazionale, seguito da altri singoli, come GisherSmoke Break, pubblicati nel febbraio 2022, e Bac Kapuyt Achqerd, uscito a giugno. Membro del gruppo En Aghjiknery, con cui ha realizzato Menq, e spesso si esibisce con i Project12.

Nominata membro della giuria nazionale dell’Armenia nell’ambito del Junior Eurovision Song Contest che si è tenuto a dicembre 2022 a Erevan, a febbraio 2023 è stata selezionata dall’emittente radiotelevisivo ArmTv per partecipare all’Eurovision Song Contest 2023 di Liverpool come rappresentante del suo paese. Oltre ai successi che abbiamo elencato prima, nel 2019 sono usciti i singoli** Carmé Leone**, Wash Out, nel 2020 Perfect Picture, mentre nel 2023, oltre al brano per l’Eurovision Song Contest 2023, la cantante ha pubblicato anche Dimak. La sua esibizione è la seconda della seconda serata della competizione europea.

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Venezia – San Lazzaro degli Armeni (Marcadoc 04.05.23)

San Lazzaro degli Armeni è una piccola isola a una ventina di minuti di vaporetto da piazza San Marco. Vi trova sede il Monastero dei monaci armeni dell’Ordine dei Mekhitaristi che s’installarono qui nel 1717.

La comunità armena custodisce un impressionante patrimonio culturale raccolto e prodotto nel corso dei decenni. Con una tipografia interna, una biblioteca che conserva tuttora manoscritti rari e con una serie di opere artistiche di enorme valore donate da fedeli e devoti, San Lazzaro degli Armeni è uno scrigno di inestimabile valore sopravvissuto, in virtù della sua eccezionale produzione scientifico-letteraria, anche alle soppressioni monastiche d’epoca napoleonica.

Tra le meraviglie da non perdere le tele del Tiepolo, una candida scultura del Canova, una singolare mummia egiziana e il colorato roseto dove i monaci raccolgono i petali dei fiori che usano per produrre la profumata vartanush, marmellata a base di rosa.

Orari di apertura: solo tramite prenotazione; sono previsti tre turni di visita; telefono 0415260104 o via mail visite@mechitar.org

Fonte: www.veneto.eu

144° giorno del #ArtsakhBlockade. Abbiamo implorato e supplicato. Avete guardato, chiuso gli d’occhi e ignorato 30.000 bambini che vivono nella paura (Korazym 04.05.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 04.05.2023 – Vik van Brantegem] – «Mi dispiace notare che, nonostante tutti gli sforzi, la situazione rimane tesa. Il motivo è che, nonostante gli accordi, l’Azerbajgian continua la politica di usare la forza e le minacce della forza, aggravando costantemente la situazione al confine con l’Armenia, nel Nagorno-Karabakh e nel Corridoio di Lachin. La decisione dell’Azerbajgian di istituire un posto di blocco nel Corridoio di Lachin e il blocco del Corridoio che lo ha preceduto, costituiscono una grave violazione della Dichiarazione tripartita dell’11 novembre 2020 e della decisione della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite» (Nikol Pashinyan, Primo Ministro dell’Armenia).

La prossima settimana, il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, si recherà a Mosca.

Il Presidente dell’Azerbajgian si è lamentato che l’Armenia abbia cancellato la dicitura “condanna del separatismo” nel documento per un trattato di pace proposto dall’Azerbajgian. Non ha detto che la parola “separatismo” non è un termine legale internazionale e non ha una definizione legale internazionale stabilita di ciò che dovrebbe essere inteso con essa. Non ha detto che l’Armenia ha chiesto spiegazioni e chiarimenti su cosa significherebbe in futuro l’applicazione o la presenza di tale disposizione. Altrimenti, il documento da firmare in futuro può essere sovraccaricato di formulazioni che hanno molteplici interpretazioni e quindi insistere all’infinito che secondo l’interpretazione di una parte, l’accordo è stato violato. Invece, l’autodeterminazione di un popolo è un diritto umano. La verità è che l’Artsakh è Armeno da migliaia di anni, che l’Artsakh è stato trasferito nella Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbajgian dal regime illegale dell’URSS, denunciato come tale dallo stesso Azerbajgian, che l’Artsakh fu occupato da quel regime sovietico per 70 anni, che l’Artsakh si separò legalmente dall’Unione Sovietica, nel 1991.

«Sono così tanto semplici gli uomini,
e tanto ubbidiscono alle necessità presenti,
che colui che inganna
troverà sempre chi si lascerà ingannare»
(Niccolò Machiavelli, Il Principe).

La prima vittima della guerra è la verità.

«Colori ondeggianti. Circa la pioggia di ieri. Nagorno. Questo tipo di verde scuro lo vedo solo in Karabakh/Artsakh» (Marut Vanyan, giornalista freelance a Stepanakert).

«Sulla mia strada per Schengen. Nagorno» (Marut Vanyan, giornalista freelance a Stepanakert).

Il Ministro della Difesa dell’Azerbajgian, il Colonello Generale Hasanov Zakir, ha incontrato il nuovo Comandante del Contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa in Artsakh, il Colonello Generale Alexander Ivanovich Lentsov.

«Poiché le forze di mantenimento della pace russe non sono dispiegate lungo la linea di contatto, così come non hanno un mandato e un’autorità internazionali per usare la forza, le forze di autodifesa dell’Artsakh hanno il diritto e sono obbligate a svolgere compiti di combattimento sulla linea di contatto» (Arayik Harutyunyan, Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh).

Il 3 maggio 2023, il Ministro degli Esteri della Repubblica di Artsakh, Sergey Ghazaryan, ha ricevuto il co-fondatore dell’Istituto Lemkin per la prevenzione di genocidio, l’Avv. Irene Victoria Massimino e i rappresentanti della comunità armena dell’Argentina, Luciana Minasyan e Eduardo Kostanyan. Durante l’incontro, gli interlocutori hanno discusso questioni relative alla crisi umanitaria causata dal blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian.

«È bello ospitare Ararat Mirzoyan e Jeyhun Bayramov insieme alla Casa Bianca oggi. Accogliamo con favore i progressi compiuti dall’Armenia e dall’Azerbajgian nei colloqui e incoraggiamo il dialogo continuo. Un accordo sostenibile ed equo sarà la chiave per sbloccare opportunità sia per i Paesi che per la Regione» (Jake Sullivan, Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente degli Stati Uniti).

Che si cominciasse ponendo fine al #ArtsakhBlockade, ponendo fine all’assistenza militare statunitense all’Azerbaigian e poi parliamo di dialogo, di accordi e di trattato di pace. I progressi nei negoziati sono da considerare solo quando la parte armena potrà inserire nei documenti la questione dell’autodeterminazione dell’Artsakh.

L’Armenia non dovrebbe firmare alcun documento che considera l’Artsakh parte dell’Azerbajgian

L’Armenia non dovrebbe in nessun caso firmare un documento, che lascia l’Artsakh come parte dell’Azerbaigian in qualsiasi forma, ha detto Taguhi Tovmasyan, deputato della fazione Ho un onore, Presidente del Comitato permanente per la protezione dei diritti umani e gli affari pubblici dell’Assemblea nazionale dell’Armenia, aggiungendo che non si dovrebbe discutere della minoranza etnica del popolo dell’Artsakh o qualsiasi altra questione di status nel contesto della pacifica convivenza con gli Azeri: «Durante questi anni, abbiamo capito che gli Azeri un giorno si sveglieranno di notte, seguendo l’esempio di Ramil Safarov, inizieranno ad asciare, e abbiamo avuto molti di questi casi. In altre parole, non riesco a immaginare una coesistenza pacifica con l’Azerbajgian. Durante questo periodo, hanno tentato molte volte di invadere in condizioni di cessate il fuoco, hanno commesso molti omicidi, anche tra i civili, e parlare di pace con loro è semplicemente assurdo. Non posso dire che tipo di documento dovrebbe essere, ma quel documento non dovrebbe improvvisamente includere l’Artsakh come parte dell’Azerbajgian in nessuna formulazione teorica». Tovmasyan considera problematica la formazione del meccanismo internazionale del dialogo Baku-Stepanakert: «Continuerò a considerarlo problematico perché considerero che abbiamo lasciato solo l’Artsakh con l’Azerbajgian. L’Azerbajgian non è solo. L’Azerbajgian ha alle spalle la Turchia e non abbiamo il diritto di lasciare l’Artsakh, che ha una popolazione di 120mila abitanti, solo con l’Azerbajgian».

Qualsiasi concessione da parte dell’Armenia porterà a nuove richieste da parte dell’Azerbajgian

Artur Khachatryan, deputato della fazione Armenia, è convinto che qualsiasi concessione da parte dell’Armenia porterà a nuove richieste da parte dell’Azerbaigian: «È ovvio che qualsiasi concessione porterà a nuove richieste. Non voglio addentrarmi troppo nella storia. Ricordi quando l’Azerbajgian ha chiuso il Corridoio di Lachin, hanno chiesto di chiudere la miniera di Kashen ed è stata chiusa? E il blocco è stato revocato? Quindi hanno chiesto la rimozione di Ruben Vardanyan dalla carica di Ministro di Stato dell’Artsakh. Ruben Vardanyan è stato licenziato. E cosa è successo? In altre parole, questa è la politica azera-turca, questa è l’essenza dello stato turco-azerbajgiano. Richieste aggiuntive, pressioni aggiuntive, e più obbedisci, più diventano insolenti, più richieste fanno».

«Le affermazioni di “pulizia etnica” nel Nagorno-Karabakh non sono vere e non mineranno le crescenti relazioni con l’Unione Europea», ha affermato il Ministro dell’Energia dell’Azerbajgian, Parviz Shahbazov, mentre la Francia attacca Baku per l’installazione del checkpoint illegale sulla frontiera tra Artsakh e Armenia, all’inizio del Corridoio di Berdzor (Lachin).

Ieri, 3 maggio 2023, è stata celebrata la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa. Sfortunatamente, parallelamente alle diffuse violazioni dei diritti del popolo dell’Artsakh, l’Artsakh non risparmia sforzi per mantenere l’Artsakh in isolamento informativo e sotto attacco di disinformazione. Oggi l’ingresso di rappresentanti dei media stranieri nei territori non occupati della Repubblica di Artsakh è attivamente impedito, mentre Baku organizza tour al caviale per rappresentanti dei media accuratamente selezionati nei territori occupati.

Il team in Artsakh di Civilnet TV – Hayk, Ani, Hasmik e Siranush – vivono e lavorano sotto il #ArtsakhBlockade da quasi 5 mesi. Elettricità e internet intermittenti rendono loro difficile il lavoro, la mancanza di benzina impedisce loro di raggiungere facilmente i villaggi fuori Stepanakert, ma in qualche modo riescono comunque a raccontare al mondo l’assedio dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian. Nonostante la mancanza di cibo, i prezzi elevati, le lunghe code, la profonda incertezza e altri problemi, continuano a lavorare con professionalità e dedizione. È così che vivono e lavorano in un Artsakh sotto blocco azero.

I solito troll armenofobi azeri commentano: «Civilnet sta violando le leggi dell’Azerbajgian operando illegalmente da una giungla in Azerbaigian [sic!]».

Dadivank in Artsakh, novembre 2020 (Foto di Scout Tufankjian).

L’Azerbajgian cerca di cancellare ogni traccia della millenaria presenza armena in Artsakh

Azerbajgian: il Nagorno-Karabakh fa parte dell’Azerbajgian, gli Armeni del Nagorno-Karabakh sono cittadini dell’Azerbajgian. Inoltre, Azerbajgian: il clero armeno dovrebbe lasciare il monastero di Dadivank.

Le autorità della Repubblica di Artsakh hanno avvertito che l’Azerbajgian ha avviato una politica di “albanizzazione” del patrimonio storico e religioso armeno, cercando di cancellare ogni traccia della millenaria presenza armena nell’Artsakh e promuovendo tesi pseudo-storiche per giustificare la distruzione e la trasformazione dei monumenti armeni. In una dichiarazione, il Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh ha condannato fermamente la dichiarazione fatta dal Presidente del Comitato di Stato per le Associazioni Religiose dell’Azerbajgian, secondo cui il clero armeno dovrebbe lasciare il monastero di Dadivank [QUI]: «Condanniamo fermamente la dichiarazione rilasciata il 2 maggio dal Presidente del Comitato di Stato per le Associazioni Religiose dell’Azerbajgian, secondo cui il clero armeno dovrebbe lasciare il monastero di Dadivank, perché presumibilmente appartiene all’Albania caucasica e, prima o poi, sarà governato dalla comunità religiosa albanese-udi.
Tale dichiarazione del capo di un ente statale dell’Azerbajgian costituisce una grave violazione della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 7 dicembre 2021 e dimostra ancora una volta che le autorità dell’Azerbajgian stanno attuando una politica coerente di pulizia etnica dell’Artsakh, distruzione e appropriazione del patrimonio storico, culturale e religioso armeno dell’Artsakh.
A tal proposito, riteniamo necessario ricordare che dal novembre 2020 il monastero di Dadivank è sotto il controllo delle forze di pace russe, chiamate a garantire l’accesso libero e sicuro dei cittadini al santuario. Inoltre, l’UNESCO, in quanto organizzazione specializzata leader a livello mondiale, ha ripetutamente sottolineato che il patrimonio storico e culturale non dovrebbe diventare uno strumento per scopi politici e ha invitato tutti gli Stati membri del mondo a rispettare questo principio.
A seguito della guerra e dell’occupazione dei territori dell’Artsakh nel 2020, ben 1.500 monumenti storici e religiosi armeni, tra cui monasteri, chiese, khachkar (croce di pietra), siti archeologici, fortezze, castelli, santuari, ecc. , passarono sotto il controllo dell’Azerbajgian. Durante i 44 giorni di aggressione, le forze armate dell’Azerbajgian hanno deliberatamente preso di mira, distrutto o profanato numerosi monumenti e santuari e, subito dopo la guerra, il governo azero ha avviato una politica di “albanizzazione” del patrimonio storico e religioso armeno, cercando di cancellare ogni traccia della millenaria presenza armena nell’Artsakh e promuovere tesi pseudostoriche per giustificare la distruzione e la trasformazione dei monumenti armeni. In particolare, nel 2021, durante una visita al villaggio di Tsakuri nella regione occupata di Hadrut, il Presidente Aliyev, indicando gli scritti armeni sulla chiesa Tsaghkavank della Santa Madre di Dio (XII secolo), ha affermato che erano falsi, che la chiesa era albanese e ordinò personalmente di cancellare quegli scritti. Successivamente, in Azerbajgian è stato costituito anche un gruppo di lavoro di “specialisti di storia e architettura albanese”, con il compito di rimuovere le “false tracce lasciate dagli Armeni” dalle cosiddette “chiese albanesi”. Tra gli esempi eclatanti di vandalismo azero ci sono anche il bombardamento della cattedrale di Ghazanchetsots a Shushi durante le ostilità del 2020, e successivamente la sua trasformazione con il pretesto di lavori di riparazione, la distruzione della Chiesa di San Giovanni Battista (“Cappella Verde”), la completa cancellazione della chiesa armena della Vergine Maria a Mekhakavan, ecc.
Tutti questi casi di vandalismo, così come la coerente politica dell’Azerbajgian di negare l’accesso alla missione dell’UNESCO per valutare lo stato dei beni culturali e dei monumenti nei territori occupati dell’Artsakh, dimostrano che il patrimonio storico, culturale e religioso armeno nei territori occupati dell’Artsakh è in pericolo: vengono trasformati o distrutti a causa della politica statale anti-armena dell’Azerbajgian.
Pertanto, cercando in ogni modo possibile di espellere il popolo dell’Artsakh dalla sua patria storica, l’Azerbajgian sta perseguendo una politica non solo di pulizia etnica, ma anche di genocidio culturale contro l’Artsakh.
Invitiamo ancora una volta l’intera comunità internazionale, tutte le istituzioni internazionali competenti, e in primo luogo l’UNESCO, ad adottare misure immediate ed efficaci per garantire l’accesso delle missioni internazionali e dei relativi esperti ai territori occupati dell’Artsakh per valutare lo stato dei siti e monumenti storici e culturali armeni, che sono passati sotto il controllo dell’Azerbajgian e di prenderli sotto protezione internazionale».

Un nuovo sondaggio mostra che cresce il pessimismo in Armenia sulla direzione del Paese
di Mark Dovich
Civilnet, 3 maggio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Un nuovo sondaggio mostra un crescente pessimismo in Armenia sulla classe politica del Paese e sulla direzione della politica estera, in particolare per quanto riguarda il conflitto del Nagorno-Karabakh.

Il sondaggio, organizzato dall’International Republican Institute con sede a Washington, è stato condotto in Armenia da fine gennaio a inizio marzo. Ha un margine di errore di più o meno 2,5 punti percentuali.

Nel complesso, la maggioranza degli intervistati ha affermato di ritenere che l’Armenia stia andando nella direzione sbagliata e che descriverebbe lo stato d’animo prevalente nel paese come “insicurezza, preoccupazione, paura per il futuro” o “totale delusione, incredulità in qualsiasi miglioramento”. La quota del 52% che ha risposto “direzione sbagliata” è stata la più alta registrata nei sondaggi IRI almeno dall’agosto 2018.
Quando è stato chiesto di identificare i principali problemi che l’Armenia deve affrontare, tre intervistati su cinque hanno selezionato “questioni di sicurezza nazionale e di confine”. La maggior parte degli intervistati si è concentrata su questioni economiche come la disoccupazione per descrivere i problemi più urgenti che devono affrontare le loro comunità o famiglie.

Diminuzione della fiducia del pubblico nel governo

La maggior parte degli Armeni ha poca fiducia nella capacità dei loro rappresentanti eletti di affrontare questi problemi, suggerisce il sondaggio. Quasi due terzi degli intervistati hanno dichiarato di non avere fiducia in politici o personaggi pubblici. Solo il 14% ha dichiarato di fidarsi del Primo Ministro, Nikol Pashinyan.

Inoltre, il 43% degli intervistati ha affermato che il governo di Pashinyan non ha ottenuto un solo successo negli ultimi sei mesi. Le risposte più popolari alla questione del più grande fallimento della sua amministrazione in quel periodo riguardavano il conflitto del Nagorno-Karabakh e le questioni di sicurezza regionale.

Quasi sette intervistati su dieci hanno affermato di ritenere che la politica del Nagorno-Karabakh del governo armeno sia “regredita” nell’ultimo semestre. Per fare un confronto, solo il 18% degli intervistati ha dato quella risposta a maggio 2019.

Alla domanda quale partito sosterrebbero se le elezioni si tenessero ora, una pluralità di intervistati – il 30% – ha dichiarato che non avrebbe votato affatto, con un altro 12% che avrebbe invalidato il proprio voto. Tuttavia, il partito Contratto Civile di Pashinyan rimane il partito più popolare in Armenia, ottenendo il sostegno del 21% degli intervistati. Nessun’altra parte ha registrato più del 5%.

Anche la fiducia pubblica nella maggior parte delle istituzioni chiave dell’Armenia sembra essere in declino. La maggioranza degli intervistati ha dichiarato di essere soddisfatta solo di tre dei 17 organismi inclusi nel sondaggio: la polizia, la Chiesa e il governo locale. Allo stesso tempo, il sondaggio mostra una crescente insoddisfazione nei confronti di Pashinyan e dei militari in particolare.

Gli Armeni indicano amici e nemici

Passando alle relazioni estere, un’ampia maggioranza degli intervistati ha valutato favorevolmente le relazioni dell’Armenia con Francia, Stati Uniti, Unione Europea e Cina, nonché con i vicini Iran e Georgia. Al contrario, la maggior parte degli intervistati ha valutato negativamente le relazioni dell’Armenia con l’Azerbajgian e la Turchia. L’opinione pubblica sulla Russia sembra essere sempre più sfavorevole, con gli intervistati divisi quasi equamente nel definire le attuali relazioni dell’Armenia con la Russia “buone” o “cattive”. Per fare un confronto, più di nove persone su dieci hanno valutato positivamente la relazione tra i due Paesi nell’ottobre 2019. Tuttavia, la maggioranza degli intervistati riconosce la Russia ancora come uno dei più importanti partner politici, economici e di sicurezza dell’Armenia sulla scena mondiale.

Rassegna stampa

Segnaliamo la lodevole iniziativa della Rassegna Stampa curata dall’Iniziativa italiana per l’Artsakh [QUI]

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Blinken: «A un passo dall’accordo tra Armenia e Azerbaigian» (Bluewin 04.05.23)

I negoziati tra Armenia e Azerbaigian a Washington hanno compiuto «progressi tangibili» e un accordo sulla risoluzione delle tensioni è a portata di mano: lo ha detto il segretario di Stato americano Antony Blinken.

«Le due parti hanno discusso alcune questioni molto difficili negli ultimi giorni e hanno compiuto progressi tangibili su un accordo di pace duraturo», ha aggiunto al termine dei quattro giorni di colloqui.

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Negoziati di pace Armenia-Azerbaigian (Esgdata)

Questa settimana ho ospitato il ministro degli Esteri dell’Azerbaigian Jeyhun Bayramov e il ministro degli Esteri dell’Armenia Ararat Mirzoyan per negoziati di pace bilaterali al Centro nazionale di formazione George P. Schultz. Dopo una serie di discussioni bilaterali e trilaterali intensive e costruttive, le parti hanno compiuto progressi significativi nell’affrontare questioni difficili. Entrambi hanno dimostrato un sincero impegno per la normalizzazione delle relazioni e per porre fine al conflitto di lunga data tra i due paesi. L’Armenia e l’Azerbaigian hanno concordato in linea di principio determinati termini e hanno una migliore comprensione delle posizioni reciproche sulle questioni in sospeso. Ho proposto ai ministri di tornare nelle loro capitali per condividere con i loro governi la prospettiva che, con ulteriore buona volontà, flessibilità e compromesso, un accordo è a portata di mano. Continueranno ad avere il pieno sostegno e il pieno impegno degli Stati Uniti nel loro sforzo per assicurare una pace duratura e sostenibile.

Frizioni tra Yerevan e Mosca (Osservatorio Balcani e Caucaso 03.05.23)

L’Armenia vota a favore di una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU in cui la Russia viene menzionata come stato aggressore dell’Ucraina. Il voto armeno arriva dopo una serie di inasprimenti fra i due paesi relativi sia ai rapporti bilaterali, sia agli obblighi che l’Armenia ritiene la Russia abbia nei suoi confronti

03/05/2023 –  Marilisa Lorusso

Il 26 aprile l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione L.65  sulla collaborazione fra ONU e Consiglio d’Europa in cui la Russia viene menzionata come stato aggressore dell’Ucraina. A differenza dei voti precedenti in cui l’Assemblea chiariva questa posizione, l’Armenia non si è astenuta, e come il Kazakistan, la Cina, il Brasile, per la prima volta si è espressa a favore, votando sì, come altri 121 stati. Cinque i contrari (Russia, Corea del Nord, Bielorussia, Siria e Nicaragua), 18 gli astenuti, fra cui l’Azerbaijan.

Il voto armeno arriva dopo una serie di inasprimenti fra i due paesi relativi sia ai rapporti bilaterali, sia agli obblighi che l’Armenia ritiene abbiano le organizzazioni capeggiate dalla Russia nei suoi confronti.

CSTO

“Non è l’Armenia che sta lasciando la CSTO, ma la CSTO che sta lasciando l’Armenia”, così il primo ministro Nikol Pashinyan ha riassunto  a marzo la posizione armena rispetto all’Organizzazione per il Trattato di Sicurezza Collettiva, l’organizzazione militare che è sorta dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, di cui l’Armenia fa parte di cui ha invocato inutilmente l’intervento per garantire la propria integrità territoriale. L’Armenia non ha nascosto la cocente delusione per le mancate garanzie di sicurezza del CSTO. Ha quindi rifiutato di ospitarne le esercitazioni militari nell’inverno 2023 e il seggio di vice-presidenza.

La CSTO ha tre vicepresidenti a rotazione che ottengono l’incarico in base al contributo dei paesi al budget, una quota a cui evidentemente l’Armenia non intende contribuire  in assenza di un maggiore tornaconto nazionale. Sul tavolo ci sono questioni per Yerevan fondamentali: il riconoscimento degli scontri di settembre come aggressione azera, dei confini armeni e quindi delle incursioni azere come violazione dell’integrità territoriale del paese, e di misure concrete di tutela, inclusa eventualmente una missione militare del CSTO, oltre ai già presenti peacekeeper russi e dei monitor civili dell’Unione Europea. Della missione si discute da mesi, se non anni, dopo il 2020, e la Russia ricusa ogni responsabilità sul mancato dispiegamento, mentre l’erosione dei confini continua  .

Propagandisti

Il confine armeno ha nuovamente respinto dei propagandisti russi. Dopo il caso di una delle giornaliste russe, di origine armena, che maggiormente è diventato il volto televisivo del regime, Margarita Simonyan, cui è vietato l’accesso in Armenia dall’ottobre 2022, insieme al vice presidente della commissione della Duma per i paesi CIS e dell’Integrazione Euroasiatica Konstantin Zatulin, a marzo è toccato a Aram Gabrelyanov.

Gabrelyanov  , magnate dei media e legato a doppio filo con il Cremlino, come la Simonyan è di origini armene. Dal 2016 è sotto sanzioni ucraine  e oltre a criticare ferocemente l’occidente, ha accusato il governo armeno di essere anti-patriottico. Da marzo è sulla lista delle persone non-grate. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha commentato  questo episodio con parole che non celano un certo nervosismo

L’arresto di Putin

Come è noto, vi è un ordine di cattura da parte della Corte Penale Internazionale contro Vladimir Putin che dovrebbe essere esercitato dai paesi membri e che hanno ratificato lo Statuto di Roma. L’Armenia lo ha firmato nel 1999 ma mai ratificato. A fine 2022, prima quindi della decisione del 17 marzo 2023 della Corte relativamente al presidente russo, il governo armeno ha deciso di avviare le procedure di ratifica. L’intenzione è potersi avvalere della Corte per crimini di guerra nel proprio territorio. La Corte Costituzionale armena questa primavera ha confermato la costituzionalità di un’eventuale ratifica.

Alcuni analisti hanno valutato  l’opzione di ratificare ma senza contrarre obblighi retrodatati rispetto alla data di ratifica, per cui l’ordine di arresto per Vladimir Putin non dovrebbe applicarsi in Armenia. Per i membri firmatari dello Statuto di Roma le decisioni della Corte Penale sono cogenti. La questione è oggetto di discussione anche in altri paesi legati alla Russia da rapporti bilaterali importanti o facenti parte di organizzazioni di cui è membro la Russia. Il Sud Africa ne è firmatario e nell’agosto 2023 ospiterà il summit dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud America) in presenza poiché questo anno ne riveste la presidenza a rotazione. Il governo ha ammesso  di trovarsi in difficoltà relativamente ad obblighi configgenti: ospitare il presidente di uno dei paesi membri o arrestare lo stesso come ricercato per crimini di guerra. Lo stesso presidente sudafricano aveva parlato di una uscita dalla giurisdizione della corte, voce poi smentita  dal governo.

La Russia non ha invece dubbi. Una fonte diplomatica russa  ha espressamente riportato che Mosca considera assolutamente inaccettabili i piani di Yerevan di aderire allo Statuto di Roma della Corte penale internazionale e che la parte armena è stata avvertita delle conseguenze estremamente negative rispetto alle relazioni bilaterali.

La guerra dei latticini

Ed effettivamente pare essere arrivata la prima punizione. Il 31 marzo il “Rosselkhoznadzor” (Servizio Federale per la Sorveglianza Veterinaria e Fitosanitaria) russo ha chiesto  al Servizio Veterinario dell’Armenia di sospendere le esportazioni di prodotti lattiero-caseari verso la Russia. Alla base ci sarebbero delle questioni di sicurezza alimentare legate anche all’uso di prodotti importati dall’Iran. Ma il punto è che chiunque abbia memoria dei precedenti del Rosselkhoznadzor ricorda l’uso abbondantemente politico dei bandi sulle importazioni. Nel 2006-7, prima della guerra era toccato alla Georgia per formaggi, frutta e verdura, vino, acqua minerale. Nel luglio 2014 era toccato ai prodotti caseari ucraini  a pochi mesi dall’annessione della Crimea. Dopo le sanzioni per l’annessione a ottobre lo stesso anno è stato il turno della carne dall’Unione Europea  . Dopo la firma dell’Accordo di Associazione era toccato alla frutta moldava  . Nel 2015, dopo l’abbattimento del jet russo da parte di Ankara, la scure di Rosselkhoznadzor era calata su sale, pollo, tacchino e un’altra dozzina di prodotti turchi  .

La nuova ambasciatrice statunitense in Armenia Kristina A. Kvien ha postato  l’8 aprile un tweet in cui è ritratta a Syunik a mangiare formaggio, e definisce i prodotti caseari armeni fra i migliori al mondo.

Intanto, dopo il voto dell’Assemblea Generale dell’Onu, Gazprom ha informato l’Armenia  che per 4 giorni non arriverà il gas, per lavori di mantenimento della rete. O forse la seconda punizione.

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Turchia – Ankara chiude il proprio spazio aereo ai voli dall’Armenia (Cdt 03.05.23)

La Turchia ha chiuso il proprio spazio aereo ai voli dall’Armenia diretti in altri Paesi in risposta all’inaugurazione di un monumento a Yerevan dedicato all’operazione segreta «Nemesis» che, tra il 1920 e il 1922, ha portato all’uccisione di ex funzionari ottomani ritenuti responsabili del genocidio armeno del 1915 oltre che di azeri coinvolti in uccisioni di armeni a Baku nel 1918. Lo ha fatto sapere il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, come riporta Anadolu.

Secondo Ankara, il monumento inaugurato a Yerevan la scorsa settimana è «vergognoso» e «glorifica un sanguinario movimento terrorista che ha portato a vili attacchi terroristi dove sono stati uccisi 31 dei nostri diplomatici e membri delle loro famiglie».

Una delle vittime più note dell’operazione ‘Nemesis’ condotta dalla Federazione Rivoluzionaria Armena fu Talat Pasha, tra i leader dei giovani turchi ritenuto responsabile dell’organizzazione del genocidio armeno, da Ankara non riconosciuto, che venne ucciso a Berlino nel marzo del 1921.

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Terre Aristeo: progetto di cooperazione culturale con Armenia, Farina (consulente Distretto) riceve riconoscimento Ambasciatrice Armenia (Sassilive 03.05.23)

Con una cerimonia ufficiale presso l’ambasciata armena in Italia, a Roma, Renato Farina, scrittore, giornalista, consulente per la comunicazione Terre di Aristeo, ha ricevuto dalle mani dell’ambasciatrice della Repubblica di Armenia, Tsovinar Hambardzumyan, la Medaglia della Gratitudine della Repubblica di Armenia. Il decreto è firmato dal presidente Vahagn Khachaturyan. Insieme a Farina è stato insignito anche Francesco Paolo Guarneri, medico, entrambi per ” il contributo al rafforzamento e allo sviluppo delle relazioni amichevoli tra Armenia e Italia e alla protezione dei valori universali”.

Farina è considerato una delle poche voci italiane a tentare incessantemente di rompere lo scandaloso silenzio internazionale calato sulle vicissitudini del popolo armeno, vittima di continue aggressioni e soprusi da parte dell’Azerbaigian, in particolare nella regione contesa del Nagorno-Karabakh.

In occasione della cerimonia l’a.d. Terre di Aristeo Saverio Lamiranda ha annunciato all’Ambasciatrice un progetto di cooperazione culturale e turistica con la Repubblica Armena. “La presenza di chiese armene in Basilicata – le più note sono a Matera Santa Maria de Armenis chiesa rupestre e un’altra piccola chiesa ma dal grande fascino presente nel territorio di Forenza – ha detto – sono la testimonianza della storica presenza di comunità armene anche nei nostri territori”.

Quello della chiesa di Santa Maria de Armenis a Matera è uno splendido esempio di struttura rupestre che rappresenta ciò che resta di un altro insediamento benedettino a Matera. In stile tardo romanico, la facciata della chiesa di Santa Maria de Armenis a Matera è sormontata da una serie di archetti ciechi su lesene, mentre sull’architrave della porta d’ingresso presenta l’epigrafe di “Santa Maria de Armenis” da cui prende il nome.

La più antica attestazione documentaria della chiesa di Forenza invece risale al 1196 momento in cui fu venduta una piccola vigna nei pressi della chiesa di Santa Maria dè Armeniis.
Da questo patrimonio religioso ed artistico si può partire per favorire scambi culturali e turistici da e per l’Armenia favorendo l’internazionalizzazione dei borghi (paesi) lucani.

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143° giorno del #ArtsakhBlockade. Fame da assedio è un crimine di guerra da tortura sociale. La Turchia minaccia l’Armenia (Korazym 03.05.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 03.05.2023 – Vik van Brantegem] – Giorno 143 dell’illegale genocida assedio dell’autocratico regime dell’Azerbajgian al popolo armeno della Repubblica di Artsakh. «I bambini dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh sono costretti a “lottare” per i loro diritti e per la loro libertà, invece di godersi la loro infanzia. Questa è la situazione quando il vicino è l’espansionista Azerbajgian (con denaro e idrocarburi), che da più di un decennio sta cercando di sterminare gli Armeni e occupare le terre armene» (Yana Avanesyan).

Aliyev è intervenuto durante alla 4ª Conferenza Internazionale sulla “Formazione della geopolitica della Grande Eurasia: dal passato al presente al futuro” organizzata dall’Università ADA “in occasione del 100° anniversario del leader nazionale Heydar Aliyev” nella città di Shushi in Artsakh, occupata dal esercito azero.

Nel suo consueto stile propagandistico, con le soliti distorsioni della realtà, Aliyev ha affermato che la Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020 non è né un cessate il fuoco né un accordo di pace. Ha detto che l’Azerbajgian spera che l’Armenia dimostri “costruttività”, aggiungendo che se l’Armenia non lo farà, l’Azerbajgian non ha intenzione di prendere misure diverse da quelle diplomatiche. Ha inoltre minacciato che se l’Armenia non adotta un “approccio costruttivo”, non ci sarà pace o comunicazione tra Baku e Yerevan, con il risultato che l’Armenia sarà nuovamente isolata. Allo stesso tempo, Aliyev ha lamentato l’inerzia del Gruppo di Minsk dell’OSCE, osservando che “non ha ottenuto nulla di fruttuoso durante la sua intera esistenza”. Aliyev ha citato “la riluttanza dell’Armenia a risolvere pacificamente il conflitto” come motivo principale per cui non è stato possibile risolvere pacificamente il conflitto del Nagorno-Karabakh. Ha affermato che Shushi occupa un posto speciale nella storia dell’Azerbajgian, poiché era il sogno di Heydar Aliyev vedere Shushi “libero” e che ha realizzato il suo sogno.

L’autocrate dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, rifiuta di discutere la questione del Nagorno-Karabakh e ha sottolineato che qualsiasi tentativo di inserire il cosiddetto Nagorno-Karabakh, “che non esiste”, nel testo del trattato di pace è controproducente.

Però, come abbiamo ricordato ieri, la Repubblica di Nagorno-Karabakh è stata anche firmataria del Protocollo di Bishkek. Questo accordo provvisorio di cessate il fuoco, firmato il 5 maggio 1994 a Bishkek, la capitale del Kirghizistan dai rappresentanti dell’Armenia (Presidente del Parlamento, Babken Ararktsian), della non riconosciuta Repubblica di Nagorno-Karabakh (Presidente del Parlamento, Karen Baburyan), della Repubblica di Azerbajgian (Primo Vice Presidente del Parlamento, Afiyaddin Jalilov) e del rappresentante della Russia al Gruppo di Minsk dell’OSCE, Vladimir Kazimirov. Inoltre, nell’accordo trilaterale del 9 novembre 2020 è menzionato il Nagorno-Karabakh. Non solo Aliyev è un gran bugiardo, ma anche uno smemorato, visto che “dimentica” i fatti della storia. Logico, perché i bugiardi, per poter credere alle loro bugie devono anche dimenticare il passato.

«Il 29 aprile 2023 è stato il giorno in cui le forze speciali azere e gli ufficiali di polizia hanno attraversato il recinto che separa le forze di mantenimento della pace russe dalle forze azere [nel Corridoio di Lachin]. Ora sono entrati nell’area sotto la responsabilità delle forze di mantenimento della pace russe. Prima di quel giorno, le uniche persone dalla parte delle forze di mantenimento della pace russe erano i cosiddetti “eco-attivisti” che conducevano azioni “pacifiche”. Tutto questo è avvenuto poco dopo che l’Azerbajgian ha istituito un posto di blocco nel Corridoio di Lachin il 23 aprile. Una farsa intesa a coprire il blocco dell’Artsakh dal resto del mondo. Tuttavia, ciò non ha avuto importanza, poiché da allora non è stato fatto nulla. Tutti sono rimasti in silenzio mentre la prima fase della pulizia etnica andava avanti da 138 giorni. Ora molto probabilmente inizierà a breve la seconda fase della pulizia etnica. La fase due aprirà il blocco al movimento a senso unico fuori dall’Artsakh. Se la fase due dovesse fallire, la fase tre inizierà poco dopo. La terza fase sarà la rimozione degli Armeni dell’Artsakh con la forza o con la guerra. Il Presidente Aliyev se l’è cavata con tutto quello che ha fatto finora. Non vedo niente e nessuno che lo stia fermando adesso. Fa ciò che vuole senza punizioni o respingimenti perché il mondo preferirebbe che quest’area fosse ripulita dagli Armeni. Un Artsakh senza Armeni porrà fine al problema dell’Artsakh ai loro occhi. Tuttavia, sarebbero sciocchi e completamente in errore poiché ciò provocherebbe solo la situazione agli occhi degli Armeni e aggiungerebbe ulteriore instabilità e militarizzazione nella regione» (Varak Ghazarian – Medium.com, 3 maggio 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

Oggi, 3 maggio 2023, il Ministro degli Esteri dell’Armenia, Ararat Mirzoyan, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente degli Stati Uniti, Jake Sullivan, e il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian, Jeyhun Bayramov, hanno avuto un incontro tripartito a Washington. Sono state discusse le questioni relative alla sicurezza e stabilità regionale, il processo di regolamentazione delle relazioni tra Armenia e Azerbajgian. Ararat Mirzoyan ha osservato che la continua politica aggressiva dell’Azerbajgian nei confronti del Nagorno-Karabakh e l’occupazione dei territori sovrani della Repubblica di Armenia non contribuiscono agli sforzi per stabilire la stabilità nella regione. Mirzoyan ha sottolineato che le azioni dell’Azerbajgian contro il popolo del Nagorno-Karabakh, l’incitamento all’odio al più alto livello e le aperte minacce all’uso della forza testimoniano l’intenzione e la reale minaccia dell’Azerbajgian di sottoporre il Nagorno-Karabakh alla pulizia etnica. È stato sottolineato che il ritiro delle truppe azere, la demarcazione tra i due Paesi sulla base della Dichiarazione di Alma-Ata, nonché l’affrontare i diritti e le questioni di sicurezza del popolo del Nagorno-Karabakh, nel quadro del meccanismo di dialogo garantito a livello internazionale, sono fondamentali per una soluzione globale e per garantire una stabilità a lungo termine nella regione.

Assediati e affamati: 120.000 armeni
di Uzay Bulut
Providence Magazine, 1° maggio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

“La fame da assedio”, secondo Tom Dannenbaum, professore di diritto internazionale, è “un crimine di guerra di tortura sociale”.

Da oltre 4 mesi, gli Armeni autoctoni della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh nel Caucaso meridionale hanno sopportato la fame da assedio: sono vittime di un blocco illegale, causando fame e angoscia mentale per mano del governo dell’Azerbajgian.

Dal 12 dicembre 2022 al 28 aprile 2023 i cosiddetti “eco-attivisti” dell’Azerbajgian hanno bloccato il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’Artsakh con il resto del mondo, esponendo la popolazione armena alla fame nel tentativo di costringerla lasciare la loro patria ancestrale. Poi, il 23 aprile, l’Azerbaigian ha dichiarato di aver istituito un posto di blocco militare sul Corridoio di Lachin. Tuttavia, le spedizioni di aiuti umanitari all’Artsakh sono state interrotte dal nuovo checkpoint dell’Azerbaigian, hanno riferito i media armeni: “Le autorità dell’Artsakh hanno annunciato che l’assistenza umanitaria fornita dalle forze di mantenimento della pace russe dall’Armenia all’Artsakh non poteva essere trasportata per tre giorni dopo la creazione del checkpoint”.

Poi, il 28 aprile, l’Azerbajgian ha annunciato di aver “temporaneamente sospeso” la “eco-protesta” che aveva orchestrato per bloccare l’Artsakh. Successivamente si è scoperto che gli “eco-attivisti” sono stati sostituiti dai soldati azeri, rendendo così la strada quasi impossibile da attraversare per gli Armeni. Il Difensore civico per i diritti umani dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh ha riferito il 29 aprile: “Il blocco dell’Artsakh ora continua in 2 siti: il checkpoint installato illegalmente sul ponte Hakari il 23 aprile e nel sito bloccato dal 12 dicembre 2022 vicino a Shushi, dove gli agenti del governo azero in abiti civili sono stati sostituiti ieri dalle forze dell’ordine”.

L’Azerbajgian non ha bisogno della finta “eco-protesta” per perpetrare la sua pulizia etnica ora che ha un posto di blocco militare. L’Azerbajgian ha così formalizzato e raddoppiato il suo blocco attraverso il checkpoint e il dispiegamento di personale militare azero nel Corridoio di Lachin. Ciò significa che d’ora in poi il blocco sarà ancora più severo.

Questo blocco ha negato ai 120.000 Armeni dell’Artsakh l’accesso a cibo, medicine, carburante e altri rifornimenti essenziali.

In conformità con l’accordo di cessate il fuoco del [9 novembre] 2020 firmato da Armenia, Azerbajgian e Russia a seguito della guerra dei 44 giorni, “lungo la linea di contatto in Nagorno-Karabakh e lungo il Corridoio di Lachin, è stato dispiegato un contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa per un totale di 1.960 militari”. I trasporti molto limitati e le spedizioni di aiuti umanitari tra l’Artsakh e l’Armenia sono attualmente forniti dalle forze di mantenimento della pace russe e dal Comitato Internazionale della Croce Rossa.

L’Istituto Lemkin per la prevenzione di genocidio ha emesso diversi Alarmi di Bandiera Rossa per Genocidio all’Azerbajgian, sottolineando il fatto che “questo blocco fa parte di più ampi obiettivi genocidi delle autorità azere sostenute dal loro fedele alleato Turchia”.

Il 2 febbraio, ad esempio, l’Istituto ha annunciato: “Il blocco di questo Corridoio [di Lachin], l’unica via di terra che collega gli Armeni dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) con la stessa Armenia, ha causato una crisi umanitaria isolando 120.000 persone, tra cui oltre 30.000 bambini, 20.000 anziani e 9.000 persone con disabilità. Gli Armeni in Artsakh stanno finendo il cibo, le medicine essenziali (come l’insulina), gli alimenti e le necessità per bambini, i prodotti per l’igiene essenziale per le donne e altri bene di prima necessità. La grave crisi umanitaria causata dal blocco si aggrava di giorno in giorno. Inoltre, ci sono state continue interruzioni di gas ed elettricità effettuate dall’Azerbajgian durante il rigido inverno caucasico. La responsabilità di questa crisi umanitaria ricade esclusivamente sullo Stato azero, in particolare sul regime del Presidente Ilham Aliyev”.

Bambini, donne incinte e anziani, molti dei quali già affetti da gravi malattie, sono tra i più colpiti dal blocco. Secondo il giornalista Jackie Abramian, il Ministero della Sanità dell’Artsakh riferisce che i neonati e le loro madri nella regione ora affrontano gravi carenze di alimenti per bambini, pannolini, medicine e altri beni di prima necessità.

Secondo un rapporto pubblicato il 12 aprile dal Difensore civico per i diritti umani della Repubblica di Artsakh, durante il blocco durato 4 mesi, 1.060 cittadini dell’Artsakh sono stati privati della possibilità di sottoporsi ad interventi chirurgici per curare problemi di salute a causa del rinvio delle operazioni programmate in tutte le istituzioni mediche dell’Artsakh.

Il blocco illegale ha portato anche alla disoccupazione di massa e alla crisi economica nell’Artsakh. Il Difensore civico per i diritti umani della Repubblica dell’Artsakh ha riferito che la maggior parte delle imprese coinvolte nella produzione, nell’edilizia, nell’agricoltura e nel commercio hanno completamente interrotto o quasi completamente cessato di operare a causa dell’impossibilità di importare prodotti e dell’insufficienza di elettricità e gas. Si stima che 10.300 persone abbiano perso il lavoro. Le imprese che rimangono aperte operano parzialmente o con il sostegno del governo.

Nel frattempo, l’Azerbajgian continua a tagliare deliberatamente le forniture di gas dall’Armenia all’Artsakh. Tutto questo affinché l’Azerbajgian possa causare quanta più sofferenza possibile al popolo dell’Artsakh. Con tale deliberata privazione, l’Azerbajgian sembra concedere agli Armeni solo due opzioni: arrendersi o morire di fame.

Dato il trattamento insensibile degli Armeni da parte dell’Azerbajgian, si potrebbe facilmente concludere che la resa porterebbe solo alla morte e alla distruzione della comunità armena. L’Azerbajgian ha scatenato più volte violenze omicide contro gli Armeni, anche durante la guerra dei 44 giorni nel 2020. Durante la breve guerra, le forze militari azere hanno perpetrato crimini di guerra contro Ali armeni. Hanno ucciso civili, giornalisti feriti e preso di mira case, foreste, ospedali, chiese e centri culturali, tra gli altri obiettivi non militari. Hanno usato fosforo bianco e munizioni a grappolo in violazione del diritto internazionale. Di conseguenza, almeno 90.000 Armeni furono costretti ad abbandonare le loro terre ancestrali nell’Artsakh. Durante questi assalti, l’Azerbajgian è stato sostenuto militarmente e politicamente dalla Turchia, membro della NATO e candidato all’Unione Europea. Insieme, l’Azerbajgian e la Turchia hanno utilizzato la moderna tecnologia militare per completare il loro secolare obiettivo di ripulire etnicamente gli Armeni dalla regione. La Turchia ottomana ha commesso un genocidio contro gli Armeni nel 1915, con la morte di circa 1,5 milioni di Armeni.

La guerra del 2020 avrebbe dovuto essere sospesa dall’accordo del 9 novembre 2020 firmato da Armenia e Azerbajgian e mediato dalla Russia. Tuttavia, non solo l’aggressione militare azera non si è mai fermata, ma è peggiorata a causa di un blocco che attualmente tiene in ostaggio 120.000 Armeni.

Come parte della sua politica di fame, l’Azerbajgian sta anche cercando di fermare il lavoro degli agricoltori in Artsakh. Il 26 marzo, ad esempio, i civili che lavoravano nel giardino di melograni del villaggio di Martakert sono stati attaccati da postazioni di combattimento azere, provocando l’interruzione della raccolta. L’uso della fame della popolazione civile come metodo di guerra è proibito dal diritto internazionale.

L’Azerbajgian, tuttavia, continua a ignorare palesemente la decisione vincolante della Corte Internazionale di Giustizia sulle misure provvisorie emessa il 22 febbraio 2023, che ordinava all’Azerbajgian di garantire la libera circolazione di merci e persone attraverso il Corridoio di Lachin.

Il mondo civilizzato, tuttavia, continua a guardare pigramente mentre un altro genocidio armeno si svolge davanti ai nostri occhi. Anche l’America osserverà pigramente i crimini dell’Azerbajgian? Il Governo Biden dovrebbe immediatamente obbligare il Governo dell’Azerbajgian a fermare questo genocidio in corso contro il popolo armeno.

Oggi, 3 maggio 2023, il Ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha rilasciato una dichiarazione al canale NTV, rilevando che la Turchia ha chiuso il suo spazio aereo agli aerei delle compagnie aeree armene che volano verso paesi terzi. Cavusoglu ha l permetteranno agli aerei di linea e ai jet privati di sorvolare il loro spazio aereo fintanto che l’Armenia continuerà “le sue provocazioni contro la Turchia e l’Azerbajgian”. Ha inoltre affermato che “se l’Armenia non ferma queste provocazioni, la Turchia adotterà ulteriori misure”. Cavusoglu ha anche espresso la sua forte disapprovazione per l’erezione di un monumento in onore dell’Operazione Nemesis a Yerevan, affermando che per lui è inaccettabile. Ha attribuito la chiusura dello spazio aereo turco agli aerei armeni come risposta alla costruzione di questo monumento. Inoltre, Cavusoglu ha affermato che solo il Presidente del Parlamento dell’Armenia sarà autorizzato a venire in Turchia per via aerea, ma solo in casi eccezionali. Ha concluso avvertendo che se l’Armenia continua le sue azioni, la Turchia intraprenderà nuovi passi.

Il 28 aprile scorso è stato inaugurato il monumento dedicato agli eroi dell’Operazione Nemesis nel Ring Park di Yerevan (foto sopra), alla presenza di personalità pubbliche, culturali, accademici, nonché discendenti dei partecipanti all’operazione.

Kamo Areyan, che ha ideato il progetto del monumento, ha affermato che 108 anni fa, ad aprile, un intero Paese era coperto di sangue, ma gli Armeni hanno risposto a un piano statale premeditato per cancellare gli Armeni dalla faccia della terra e cancellare l’Armenia dalla mappa. Ma con le battaglie di Sardarabad nel 1918 fu istituita la Repubblica di Armenia. “E su iniziativa della Federazione Rivoluzionaria Armena nel 1919, fu presa la decisione di vendicare il massacro degli Armeni e ripristinare la nostra dignità”, ha detto Areyan. “Coloro che hanno messo in atto ‘Operazione Nemesi’ erano Armeni intellettuali, i migliori, i più devoti. Le tombe di questi uomini sono sparse in tutto il mondo”, ha aggiunto Areyan, esprimendo la sua soddisfazione per il fatto che finalmente sarà possibile onorare la loro memoria in Armenia, a Yerevan.

All’evento era presente anche il giornalista Artyom Yerkanyan, discendente dell’eroe dell’operazione Nemesis, Aram Yerganian. Nella sua presentazione ai piedi del monumento, Yerkanyan ha affermato che gli Armeni hanno un debito con “i vendicatori” per aver fornito dignità alla nazione. “Riesci a immaginare cosa sarebbe successo se l’Operazione Nemesi non fosse avvenuta?”, ha chiesto Yerkanyan. “Saremmo una nazione malata, che soffre di complicazioni psicologiche. Li paragono spesso agli psichiatri. Ci hanno fatto sentire degni. Queste persone non sono terroristi, ma gli esecutori del giusto verdetto emesso da un legittimo tribunale”. “Credo che qualsiasi Turco che voglia sentirsi dignitoso dovrebbe venire, inchinarsi davanti a questo monumento e ricordare che il primo Paese che ha riconosciuto e condannato il genocidio armeno è stata la Turchia, che in seguito ha abbandonato quel principio”. ha concluso Yerkanyan.

Tigran Avinyan, Vicesindaco di Yerevan, ha affermato che la storia di Nemesis rappresenta la volontà della nazione armena di ripristinare la giustizia. “Il coraggio mostrato dalle persone i cui nomi sono incisi sul monumento ha tre significati principali. Prima di tutto, era l’atto di decidere ed eseguire la punizione dei criminali, il secondo era fornire una prospettiva positiva a un popolo sofferente e registrare il fatto che nel corso della storia i crimini non rimangono impuniti indipendentemente da come il la comunità internazionale li tratta. Quello che ha fatto Nemesis era comprensibile per tutti, era giusto per tutti, ma il nostro obiettivo dovrebbe essere prevenire possibili crimini, creare meccanismi per consegnare i criminali alla giustizia. Questo dovrebbe essere il nostro messaggio principale”, ha sottolineato Avinyan.

La Convenzione dei rappresentanti dell’ARF del 1919, quando accettarono di eseguire l’operazione Nemesis. Questa foto include cinque noti partecipanti all’Operazione Nemesis: Armen Garo, prima fila, quarto da sinistra; Zadig Matigian, quarto da destra; Aaron Sachaklian, seconda fila, secondo da destra; Shahan Natalie, seconda fila, terza da destra; e Zaven Nalbandian, fila in alto, settimo da sinistra (Foto da Marian Mesrobian MacCurdy/Kerning Cultures).

Il Congresso mondiale dell’ARF 1919 decise di vendicare la morte degli Armeni prendendo di mira gli organizzatori e gli autori del genocidio armeno. La decisione nota come “progetto speciale”, in seguito fu chiamata “Operazione Nemesi”, dal nome della dea greca della giustizia e della punizione. I nomi degli eroi che hanno partecipato all’Operazione Nemesis sono incisi sul nuovo monumento a Yerevan.

Il Dipartimento di Stato statunitense ha espresso preoccupazione per la decisione della Turchia di sospendere il permesso di volo delle compagnie aeree armene: «Gli Stati Uniti sostengono con forza la normalizzazione delle relazioni Armenia-Turchia, che sarebbe un bene per l’intera regione. Abbiamo preso atto con disappunto della dichiarazione della Turchia sulla sospensione del permesso delle compagnie aeree armene di volare attraverso il suo territorio. I precedenti accordi tra i Paesi in merito al ripristino delle comunicazioni aeree sono diventati mezzi importanti per rafforzare la fiducia. Ci auguriamo sinceramente che la Turchia e l’Armenia possano continuare a ristabilire i legami economici e ad aprire le comunicazioni di trasporto».

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Le iniziative benefiche di RECOM si concretizzano in un parco solare per la Chiesa Apostolica Armena (Adnkronos 02.05.23)

(Adnkronos) – La donazione di 3 milioni di dollari della Tunian Family Foundation continua a illuminare il vasto complesso della Santa Sede di Etchmiadzine LANNION, Francia, 2 maggio 2023 /PRNewswire/ — RECOM Technologies, attraverso la donazione della fondazione di famiglia dei suoi fondatori (Tunian Family Foundation) e nell’ambito delle sue iniziative filantropiche, ha sviluppato un parco solare per la Santa Sede di Etchmiadzin de the Armenian Apostolic Chiesa per fornire energia pulita e sostenibile alla comunità. La Santa Sede di Etchmiadzin è l’organo di governo della Chiesa Apostolica Armena e ha sede nella città di Etchmiadzin, 25 km a ovest della capitale armena Yerevan. È la sede principale della Chiesa cattolica armena e di tutti gli armeni, inoltre, è il centro spirituale degli armeni di tutto il mondo. Il parco solare da 1,7 MW copre il fabbisogno annuo termico ed elettrico del grande complesso della Santa Sede. L’iniziativa, battezzata “Let there be light”, è il risultato di un investimento di 3 milioni di dollari che comprende l’installazione di moduli fotovoltaici, scaldacqua solari e serbatoi di accumulo. Il progetto ha permesso alla Chiesa di fare passi da gigante verso l’efficienza energetica, con risparmi annuali fino a 440.000 dollari. Il parco solare fa parte dei programmi di risparmio energetico della Santa Sede e del suo impegno per ridurre le emissioni di carbonio e promuovere l’energia rinnovabile in Armenia. “Siamo onorati di aver avuto l’opportunità di aiutare la nostra chiesa madre a soddisfare il suo fabbisogno energetico attraverso l’energia rinnovabile”, afferma il signor Tunian, presidente di RECOM Technologies. “Come uomo di fede e fermo difensore dell’energia pulita, realizzare questo progetto mi dà una doppia soddisfazione” RECOM Technologies è un’azienda francese di energia rinnovabile con una significativa presenza globale nel settore solare. RECOM è un produttore di moduli, celle, inverter, sistemi di accumulo ibridi, batterie e caricabatterie per veicoli elettrici (EV), un’azienda innovativa che integra ricerca e sviluppo, produzione e distribuzione. RECOM è uno dei principali e unici produttori di moduli fotovoltaici Bloomberg Tier 1 in Europa, con una capacità produttiva annua di oltre 2,1 GW e vendite di moduli solari superiori a 3 GW in 100 paesi. Contact: marketing@recom-tech.com, +33255030861 Photo – https://mma.prnewswire.com/media/2067918/RECOM_Technologies.jpgPhoto – https://mma.prnewswire.com/media/2067917/RECOM_Technologies_2.jpgLogo – https://mma.prnewswire.com/media/1902016/RECOM_Technologies_Logo.jpg

L’altro genocidio che cominciò nel 1915, quello armeno (Il Foglio 02.05.23)

Ma è davvero “finito il lavoro”? Cosa significa per gli armeni ricordare lo sterminio di un milione e mezzo dei propri figli da parte della Turchia

Il 24 aprile 1915 nell’impero ottomano iniziò lo sterminio di 1,5 milioni di armeni, uno sterminio organizzato e realizzato dai “Giovani turchi”, scrive Jean-Christophe Buisson. “Ma i loro successori al potere nel 2023 ad Ankara e Baku, in Azerbaijan, hanno davvero rinunciato a ‘finire il lavoro’? Come il console americano ad Aleppo, Jackson, scrisse all’epoca in un telegramma, “è senza dubbio un piano attentamente pianificato per estinguere completamente la razza armena”. Per il solo motivo della loro nascita (ma anche della loro fede), 1,5 milioni di uomini, donne e bambini armeni sono stati sradicati dal 1915 in poi dalle regioni in cui avevano abitato per due millenni: su 1,8 milioni – armeni che vivevano nell’Anatolia orientale nel 1914 – dieci anni dopo ne erano rimasti solo 300.000. O si convertivano all’islam oppure vivevano nascosti (a volte anche sotto il tetto dei ‘giusti’ turchi). Deportati su strade della morte verso sud, verso Aleppo, fulcro della deportazione, poi verso est (negli attuali Siria e Iraq).

   

Ma l’obiettivo dei padroni di Istanbul non era solo quello di espellerli, di ‘ripulire’ lo spazio turco dalla loro presenza, ma anche di eliminarli fisicamente. Ordini scritti erano stati dati in tal senso e la loro applicazione era ‘esemplare’. I soldati e i gendarmi ottomani concedevano alle famiglie qualche ora per radunarsi all’uscita delle città o villaggio e formare colonne pronte a partire per essere ‘spostate’. Rapidamente, gli uomini furono separati dai gruppi da giustiziare, mentre le donne, i bambini e gli anziani, trattati come mandrie, dovevano avanzare sotto la sorveglianza dei soldati turchi (spesso a cavallo).

 

Una scomparsa quasi totale, una dispersione massiccia. Per fame. Sete. Malattie. Esaurimento. I cadaveri venivano gettati in burroni e fiumi. A volte i vivi si intrufolavano tra i morti, ma venovano finiti con una pallottola o un colpo di baionetta. Nessuna sepoltura. Dopo essere state stuprate, le donne venivano vendute nei mercati o si univano agli harem di qualche governatore turco locale. Gli artefici del genocidio si festeggiano nelle scuole come nelle strade della Turchia di Erdogan: Talaat Pasha ha diritto al suo viale ad Ankara e una scuola porta il suo nome a Istanbul.

 

A sentire il capo dello stato turco parlare degli armeni come dei ‘resti della spada’ (implicito: dell’islam), si dubita che abbiano finito. Sentendo il suo vassallo azero Ilham Aliyev affermare il suo desiderio di ‘cacciarli via come cani’ dall’Artsakh o anche dal sud dell’attuale Armenia (Syunik), viene da dubitare. A vedere anche la sua politica di distruzione delle tracce della civiltà armena nei territori conquistati durante la Guerra dei 44 giorni (settembre-novembre 2020), viene da dubitare: i turchi non fecero la stessa cosa tra il 1915 e il 1922, distruggendo 1.036 chiese e monasteri e 691 istituzioni religiose?

Il ritorno dei turchi dai Balcani, dopo le guerre perdute del 1912-1913, sconvolse la demografia locale. Guidati da Enver Pacha, Talaat Pacha e Djemal Pacha, i Giovani turchi al potere decisero, nel 1915, nel bel mezzo della guerra, di farsi spazio nel nord e nell’est dell’Impero ottomano spostando in massa gli armeni. E si trattava di eliminarli fisicamente: nei vilayets (distretti) di Sivas, Trebisonda, Dyarbekir, Baghech, Adrianopoli, Erzeroum, Van e Kharpert venne uccisa tra il 94 e il 99,8 per cento della popolazione armena. Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini…”.

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