LOMAZZO – Prosegue sino a sabato 15 aprile all’interno di Villa Ceriani, il palazzo che è la sede del municipio di Lomazzo in piazza 4 novembre, la possibilità di visitare la mostra dedicata all’Armenia e ai suoi tesori d’arte.
Si tratta della mostra “Armenia. Dipinti murali nelle chiese cristiane armene, VII-XIII secolo”, ed è a cura del Comune di Lomazzo, Assessorato alla Cultura e Biblioteca civica G. Canobbio; in collaborazione con Associazione Iubilantes ODV Como; Associazione Lomazzo Eventi; Associazione culturale Lomazzo Giovanni Paolo II, con il patrocinio del del consolato onorario della Repubblica di Armenia a Milano e Centro studi e documentazione della cultura armena, di Venezia.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-07 09:23:092023-04-07 09:23:09Lomazzo, prosegue la mostra di arte dell’Armenia (Il Saronno 07.04.23)
Il 24 aprile è la data ufficiale per la commemorazione del genocidio perpetrato dai turchi nei confronti del popolo armeno, prima, durante e dopo la prima guerra mondiale.
E’ infatti proprio con l’alba di sabato 24 aprile 1915 e l’arresto della maggioranza del’élite armena di Costantinopoli che prende il via la messa in pratica di una risoluzione volta all’eliminazione del popolo armeno presente sul territorio ottomano.
Quel giorno segna l’avvio di una carneficina pianificata e organizzata nei minimi dettagli, mirata all’eliminazione totale della razza armena. Un odio che si tradurrà in un genocidio, nell’eliminazione brutale di tre quarti della popolazione armena.
Lo scorso anno il Comune di Cava de’ Tirreni, con delibera consiliare n. 6 del 21.04.2022, ha adottato un odg col quale riconosce il 24 aprile come Giorno della Memoria del Genocidio degli Armeni. Si ricorda che Cava ha ospitato per secoli una comunità armena che aveva sede ad Alessia.
In collaborazione col Comune, quindi, Joined Cultures ha organizzato una due giorni dedicata alla Memoria.
Contemporaneamente il Comitato di Difesa della Biblioteca Comunale di Cava ha allestito una mostra sugli Armeni a Cava e in Italia.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-06 09:45:272023-04-07 09:29:30Cava de’ Tirreni, il prossimo 13 aprile incontro sul genocidio degli armeni organizzato da Joined Cultures ( Ulisseonline 06.04.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 06.04.2023 – Vik van Brantegem] – Il genocidio rappresenta il crimine peggiore dell’umanità. Ricordare gli eventi del passato e rendere omaggio a coloro che sono morti dovrebbe rafforzare la nostra determinazione a impedire che tali eventi si ripetano. Il mese di aprile è particolarmente indicato per aumentare la consapevolezza e la prevenzione del genocidio, durante il quale ricordiamo le atrocità del passato per cercare un futuro più luminoso.
Nel mese di aprile ricorrono alcuni tragici anniversari della storia dell’umanità: il genocidio armeno (24 aprile 1915), quello cambogiano (17 aprile 1975) e infine quello ruandese (7 aprile 1994). Sono crimini storici, che hanno in comune l’efferatezza con cui sono stati commessi, oltre che l’imponente costo umano. Si stima che siano tra 1,5 e 3 milioni le vittime del genocidio cambogiano, circa 1,5 milioni quelle del genocidio armeno e oltre un milione i morti causati del genocidio in Ruanda. Se l’identificazione del temine “genocidio” (che Churchill definì “il crimine senza nome”) proviene dall’osservazione della dinamica dei crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale e delle “giustificazioni” che hanno dato i carnefici alla Shoah, ancora oggi non è sempre facile operare distinzioni tra “genocidio” e gli altri crimini contro l’umanità, non meno rilevanti e condannabili. Sono ancora molte, infatti, le difficoltà che si incontrano nel ricomprendere nella fattispecie di “genocidio” eventi che paiono esserlo a tutti gli effetti.
Il sadico e illegale #ArtsakhBlockade è una masterclass del regime autocratico genocida della dinastia Aliyev sui crimini atroci, come definiti dal Quadro di analisi per i crimini di atrocità delle Nazioni Uniti, pubblicato nel 2014, che contiene 14 fattori di rischio [QUI].
Quando l’Azerbajgian, notoriamente xenofobo e genocida sull’esempio turco parla di pluralismo, tolleranza e integrazione, cosa intende?
1. Ieri, 5 aprile, le forze armate azere hanno nuovamente violato il regime di cessate il fuoco, prendendo di mira questa volta Robert Beglaryan, un residente di 48 anni del villaggio di Khanabad nella regione di Askeran dell’Artsakh (a 1,2 km da Aghdam, adesso controllata dagli Azeri e 3 km a nord di Askeran). Intorno alle ore 16.00, mentre svolgeva lavori agricoli con il suo trattore è stato preso di mira dai militari azeri che hanno sparato con varie armi da fucile dalle posizioni di combattimento adiacenti, a seguito delle quali i lavori agricoli sono stati interrotti.
2. Le élite di Baku non tollerano l’esistenza non solo degli Armeni, ma neanche degli altri popoli indigeni: Lezgis, Avari, Talish, Tats, Utis, Tsakhurs e la cultura, la storia e il diritto di vivere, radicati nel profondo dei secoli.
3. Le forze armate azere esprimono la tolleranza per gli altri fedi sparando sui khachkar nei territori armeni appena che li conquistano, dopo aver ucciso o espulso tutti gli abitanti autoctoni armeni.
4. Mentre l’Unione Europea e gli Stati Uniti chiedono all’Armenia di non parlare del diritto all’auto-determinazione per l’Artsakh ma di “diritti e sicurezza” per il popolo dell’Artsakh, l’Azerbajgian proclama la “reintegrazione dei cittadini azeri di etnia armena della regione economica di Karabakh dell’Azerbajgian con gli stessi diritti di tutti i cittadini azeri [che di diritti non ne hanno]”. Integrazione dell’Artsakh in Azerbajgian=Genocidio.
5. In base alla progettazione, la strategia del terrore dell’Azerbaigian – a parte di impedire l’arrivo dei beni di prima necessità come cibo, medicine, energia e impedire la coltivazione dei campi – sta influenzando l’equilibrio della popolazione Artsakh. Al di là della precarietà di cibo, riscaldamento e farmaci, la popolazione è in condizioni di precarietà mentale.
L’appeasement finisce sempre male, come la storia insegna. L’Azerbajgian deve essere tenuto responsabile #SanzioniParlanoPiùFortiDiParole #StopArtsakhBlockade #RiconoscereArtsakh.
L’Azerbajgian non riconosce l’integrità territoriale armena e vuole ridisegnare la mappa politica. Le minacce militari sono in aumento e la paura degli Armeni per una nuova guerra è palpabile. «Abbiamo bisogno dell’aiuto occidentale per la nostra sicurezza», dice la giornalista Maria Titizian [QUI].
Radio Free Europ/Radio Liberty ha intervistato una delle donne trasferite a Stepanakert in ambulanza, nonché una del gruppo di cittadini armeni dell’Artsakh che sono stati respinti. L’anziana donna aveva 45 anni quando gli Azeri uccisero, saccheggiarono, bruciarono vivi gli abitanti autoctoni di queste terre. Non c’è da stupirsi che si sia spaventata dei propri ricordi e delle proprie esperienze, quanto il convoglio delle forze di mantenimento della pace russe è stato fermato dagli “eco-terroristi” che bloccano il Corridoio di Berdzor (Lachin) dal 12 dicembre 2022.
Ricordare per capire la paura: la storia della donna armena di 58 anni, Alvard Tovmasyan, che si era rifiutata di lasciare la sua casa nel villaggio di Karin Tak vicino a Shushi, nelle vicinanze del blocco attuale, quando fu occupato dalle forze armate azere. Era una persona disabile. Poi hanno trovato il suo corpo torturato, le sue mani, orecchie, piedi erano stati tagliati.
Il capo propagandista degli “eco-terroristi” che bloccano il Corridoio di Berdzor (Lachin), il genio delle apparizioni video su Twitter, generosamente ha offerto la sua lettura della questione: «È comprensibile che, a causa della rappresentazione negativa degli Azeri attraverso storie dell’orrore e propaganda inventate, una donna della sua età possa avere problemi di pressione sanguigna in una situazione già stressante. Purtroppo, alcuni individui lo sfruttano per perpetuare ulteriormente false narrazioni su di noi, sostenendo che i nostri uomini hanno fatto irruzione nel veicolo in cui si trovavano queste persone, un’affermazione che la donna stessa non ha fatto, poiché non si è mai verificata. Il punto cruciale è che ha ricevuto le cure mediche necessarie ed è stata prontamente portata in ospedale».
Invece, il punto cruciale in questa narrazione è che queste persone sono state fermate dagli “eco-terroristi” azeri e dopo 5 ore di trattative, 4 sono state scortate dalle forze di mantenimento della pace russe all’ospedale di Stepanakert mentre hanno spedito indietro gli altri 23. Questo fatto nella narrazione azera non trova posta, ovviamente.
La realtà è questa, che vale come segno simbolico e di buona volontà da parte del regime autocratico di Aliyev:
Impedire alle donne dell’Artsakh di tornare a casa
Intimidirli per 5 ore.
Spingerli finché 4 non si sentono male e 3 non svengono.
Proibire all’ambulanza dell’Artsakh di avvicinarsi per trasferirti all’ospedale.
Portarli a Stepanakert con l’ambulanza dell’Azerbajgian senza altra possibilità e farne propaganda, tentando di trasformare la sofferenza della gente in uno spettacolo di ipocrita pseudo-umanesimo.
I media statali azeri elogiano i paramedici coinvolti nell’incidente del 4 aprile, mentre l’Azerbajgian assurdamente continua a negare il suo blocco. Se la strada fosse stata aperta, ieri notte l’Azerbajgian non avrebbe fermato i civili armeni terrorizzandoli al punto da far svenire 4 di loro e necessitare di cure mediche, rispedendo gli altre 23 in Armenia dopo 5 ore di trattative inutili con le forze di mantenimento della pace russe. Intanto, hanno rivelato lo scopo della “protesta pacifica”; si dicono felice perché potrebbero raggiungere Stepanakert.
Il Center for Truth and Justice, lavorando con le immagini satellitari di Panet, ha documentato la completa distruzione da parte dell’Azerbajgian del villaggio di Aghavno nell’Artsakh tra il 13 gennaio e il 4 febbraio 2023.
«Nella regione del Caucaso meridionale, l’Azerbajgian è il Paese che ha maggiori probabilità di rinnovare un conflitto su vasta scala». La comunità dell’intelligence statunitense identifica l’Azerbajgian come una minaccia alla pace nel Caucaso, nel rapporto (non classificato) richiesto dal Congresso (a seguito degli sforzi del Deputato AdamSchiff).
Tutti i giornalisti internazionali che sono stati corrotti finanziariamente o in altro modo dalla leadership azera e diffondono bugie sull’Armenia e l’Artsakh/Nagorno-Karabakh in generale e sul Corridoio di Lachin in particolare, hanno un serio problema con la professionalità e l’etica giornalistica.
Andiamo indietro 6 anni per vedere che l’Unione Europea ha alimentato l’autocrazia azerbajgiana per commettere più crimini contro l’umanità in ogni modo peggiore possibile sotto l’occhio vigile di Ursula von der Leyen. Ecco cosa pubblicò The Guardian nel 2017.
Il Parlamento Europeo chiede un’indagine sulla “Lavanderia a gettoni azerbajgiana”
Gli Europarlamentari affermano che Baku ha cercato di “influenzare i decisori europei con mezzi illeciti”, mentre il Consiglio d’Europa chiede un’azione legale per sfida alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)
di Jennifer Rankin The Guardian, 13 settembre 2017
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Il Parlamento Europeo ha chiesto un’indagine sulle rivelazioni di The Guardian e dei media partner secondo cui l’Azerbajgian gestiva un fondo nero segreto da 2,9 miliardi di dollari per pagare Europei influenti per dipingere un’immagine positiva del regime autoritario.
I deputati hanno chiesto un’indagine “esauriente” sui “tentativi dell’Azerbajgian e di altri regimi autocratici… di influenzare i decisori europei con mezzi illeciti”, a seguito di un emendamento dell’ultimo minuto a un rapporto sulla corruzione.
In una mossa separata, il capo del Consiglio d’Europa , Thorbjørn Jagland, ha chiesto un’azione legale senza precedenti contro l’Azerbajgian per il suo rifiuto di rilasciare un prigioniero politico in sfida alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Il Consiglio d’Europa e la CEDU non fanno parte dell’Unione Europea, ma la coincidenza temporale mostra come la repressione politica e la corruzione in Azerbajgian stiano aumentando nell’agenda delle istituzioni europee.
L’intervento di Jagland è incentrato sul leader dell’opposizione Ilgar Mammadov , che è stato incarcerato per aver organizzato e preso parte a manifestazioni nel 2013. I giudici della CEDU hanno scoperto che era stato incarcerato per aver criticato le autorità azere, ma il governo si è rifiutato di rilasciarlo.
Mercoledì, durante una riunione degli Ambasciatori del Consiglio d’Europa, Jagland ha chiesto l’avvio di procedimenti legali contro l’Azerbajgian per aver violato le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, un passo senza precedenti nei 68 anni di storia del Consiglio d’Europa.
“Non possiamo avere prigionieri politici in Europa e non possiamo avere una situazione in cui l’Azerbajgian continui a privare Mammadov della sua libertà contro il giudizio della più alta corte – che ha chiaramente affermato che il suo arresto e la sua detenzione erano arbitrari”, ha detto Jagland in una dichiarazione rilasciata a The Guardiano. “È giunto il momento per l’Azerbajgian di pensare seriamente ai suoi obblighi come membro del Consiglio d’Europa e se vuole ancora adempierli”.
L’Azerbajgian ha firmato la Convenzione europea dei diritti umani nel 2001, ma il suo rifiuto di attuare ha contribuito a una lenta crisi della corte.
Jagland vuole invocare l’articolo 46.4 della Convenzione del Consiglio d’Europa, che alla fine potrebbe portare all’espulsione dell’Azerbajgian dall’organismo per i diritti umani. Questa “opzione nucleare” non è mai stata utilizzata prima e richiederebbe l’intervento dei Ministri degli Esteri europei, a seguito di una valutazione del tribunale.
La politica del Paese ricco di petrolio era in discussione anche al Parlamento Europeo, quando gli Eurodeputati hanno votato per avviare un’indagine sulla corruzione con 349 voti favorevoli, 290 contrari e 42 astenuti. “A seguito delle recenti rivelazioni sui tentativi dell’Azerbajgian e di altri regimi autocratici nei Paesi terzi di influenzare i decisori europei con mezzi illeciti [il Parlamento europeo] richiede un’indagine parlamentare completa”, afferma il testo.
L’emendamento è stato apposto su una relazione sulla corruzione e i diritti umani nei Paesi terzi. Redatto dall’eurodeputato catalano Jordi Solé, l’emendamento era stato visto come un azzardo improbabile per superare l’opposizione dei grandi blocchi di centrodestra e liberali.
In teoria, l’indagine potrebbe essere di ampio respiro in quanto l’emendamento prevede un’ampia inchiesta sull’“influenza esercitata da tali regimi”, ma resta da vedere se si avvierà.
Il Parlamento Europeo ha avviato indagini ad hoc sull’elusione fiscale in Lussemburgo, i Panama papers e lo scandalo delle emissioni “Dieselgate”, ma altri appelli all’azione sono caduti a terra – per esempio il voto a favore di un accordo euro-israeliano. Il forum parlamentare palestinese non è andato da nessuna parte.
Il mancato avvio di un’inchiesta danneggerebbe la credibilità del Parlamento Europeo, che fatica a far sentire la propria voce in materia di politica estera, dove ha poteri limitati.
Solé ha affermato che il suo gruppo spingerà per una “rapida istituzione” di un’indagine. “Insisteremo affinché esamini a fondo le varie responsabilità di tutti coloro che sono coinvolti in questo enorme scandalo di riciclaggio di denaro e corruzione, comprese le banche europee, e li ritenga responsabili”, ha affermato. “Il Parlamento deve garantire di disporre di adeguate salvaguardie per proteggersi da tali forme di pressione, che, in ultima analisi, minano la nostra credibilità democratica”.
Nessun membro del Parlamento Europeo è stato implicato nelle rivelazioni della lavanderia a gettoni dell’Azerbajgian, dove i registri bancari mostravano pagamenti multipli ad ex membri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Uno è Eduard Lintner , un ex deputato tedesco e membro dell’Unione Sociale Cristiana, il partito gemello bavarese dei Democratici Cristiani al governo di Angela Merkel. Un altro è l’italiano Luca Volontè.
Martedì i media belgi hanno affermato che la pista riconduceva a due politici belgi. Un’indagine congiunta di L’Echo e De Tijd ha rilevato che il deputato liberale Alain Destexhe e l’ex politico Stef Goris avevano creato un’organizzazione di osservazione elettorale senza scopo di lucro che ha ricevuto 800.000 dollari tra il 2012 e il 2014 da Lintner. Destexhe nega di essere coinvolto nella gestione dell’organizzazione, mentre Goris ha affermato di non aver ricevuto denaro dall’Azerbajgian. Destexhe è l’autore di un rapporto di Pace sui diritti umani in Azerbajgian che è stato criticato per non aver menzionato la corruzione.
* * *
«SCHEDA INFORMATIVA: Dal 12 dicembre 2022 il regime di Aliyev in Azerbajgian viola continuamente OGNI disposizione del documento trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020. Dopo 2 anni e mezzo di impunità, il regime di Aliyev si sta affrettando a porre fine alla pulizia etnica, imponendo un #ArtsakhBlockade totale, nonostante la decisione della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite» (Tigran Balayan, Ambasciatore di Armenia nei Paesi Bassi e in Lussemburgo).
Tutte le disposizioni della Dichiarazione trilaterale del 09.11.2020 vengono continuamente violate dalle azioni azere
Disposizione 1: Sono dichiarati un cessate il fuoco completo e la cessazione di tutte le operazioni militari nella zona di conflitto del Nagorno-Karabakh. La Repubblica di Azerbajgian e la Repubblica di Armenia, di seguito denominati Azerbajgian e Armenia. in qualità di “Parti”, si fermeranno alle loro attuali posizioni. L’Azerbajgian viola regolarmente il cessate il fuoco, prendendo di mira civili, agricoltori, avanzando la sua posizione sia in Artsakh che in Armenia. L’Azerbajgian ha condotto operazioni militari e ha occupato più territori nell’Artsakh il 12.12.2020, 26.03.2022, 03.08.2022. L’Azerbajgian ha condotto operazioni militari e occupato più territori in Armenia il 12.05.2021, 16.11.2021, 13.09.2022, 30.03.2023.
Disposizione 3: Le forze di mantenimento della pace della Federazione Russa, vale a dire 1.960 soldati armati di armi da fuoco, 90 veicoli corazzati e 380 veicoli a motore e unità di equipaggiamento speciale, saranno schierate lungo la linea di contatto nel Nagorno-Karabakh e lungo il Corridoio di Lachin. L’Azerbaigian ha rifiutato di firmare il mandato delle unità russe di mantenimento della pace, privandole così del loro status.
Disposizione 4: Le forze di mantenimento della pace della Federazione Russa devono essere dispiegate in concomitanza con il ritiro delle truppe armene. Le forze di mantenimento della pace della Federazione Russa saranno dispiegate per cinque anni, un termine che sarà automaticamente prorogato per i successivi cinque anni a meno che una delle Parti non notifichi la propria intenzione di risolvere questa clausola sei mesi prima della scadenza del termine attuale. Con le sue azioni e le continue violazioni del cessate il fuoco, le imboscate e le dichiarazioni pubbliche che minano la missione di mantenimento della pace russa, l’Azerbajgian fa tutto il possibile per sbarazzarsi di loro prima del 09.11.2025.
Disposizione 5: Per un monitoraggio più efficiente dell’adempimento degli accordi da parte delle Parti, sarà istituito un centro di mantenimento della pace per supervisionare il cessate il fuoco. L’Azerbaigian ha bloccato la creazione di un centro di mantenimento della pace, non esiste un organismo trilaterale per sovrintendere al cessate il fuoco.
Disposizione 6: Il Corridoio di Lachin (largo 5 km) assicurerà la comunicazione tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia. La Repubblica di Azerbaigian garantirà la sicurezza del movimento di persone, veicoli e merci in entrambe le direzioni lungo il Corridoio di Lachin. Le autorità azere violano apertamente la disposizione del paragrafo 13 della Carta delle Nazioni Unite e il diritto alla libera circolazione del popolo dell’Artsakh. Dal 12 dicembre 2022, l’Azerbajgian maniene il blocco dell’unica strada che collega il popolo dell’Artsakh con il resto del mondo: il Corridoio di Lachin. Il 22 febbraio, la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha ordinato all’Azerbajgian di aprire l’unica via che collega l’Artsakh con il mondo. Tuttavia, Baku ignora ancora questa decisione della più alta corte internazionale.
Disposizione 7: Gli sfollati interni e i rifugiati devono ritornare nel territorio del Nagorno-Karabakh e nelle regioni adiacenti sotto il controllo dell’Agenzia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. LAzerbaigian ignora completamente l’attuazione dei meccanismi internazionali per il ritorno dei rifugiati e intraprende misure unilaterali rimpatriando solo i rifugiati azeri, privando i rifugiati armeni dall’Azerbaigian e dal Nagorno-Karabakh del loro diritto al ritorno. Baku rifiuta qualsiasi collaborazione con l’UNHCR.
Disposizione 8: Deve essere effettuato uno scambio di prigionieri di guerra, ostaggi e altre persone detenute e corpi di persone decedute. L’Azerbajgian ha rifiutato di restituire tutti i prigionieri di guerra e i civili armeni. Inoltre, subito dopo il cessate il fuoco ha rapito dei civili armeni in missione umanitaria in Artsakh, ha organizzato falsi processi contro di loro, condannandoli a lunghe pene detentive, detiene ancora 33 prigionieri di guerra e civili nel carcere di massima sicurezza per prigionieri politici a Baku.
Disposizione 9: Tutti i collegamenti economici e di trasporto nella regione devono essere sbloccati. La Repubblica di Armenia garantirà la sicurezza delle comunicazioni di trasporto tra le regioni occidentali della Repubblica di Azerbajgian e la Repubblica Autonoma di Nakhichevan al fine di organizzare il movimento senza ostacoli di cittadini, veicoli e merci in entrambe le direzioni. L’Azerbajgian si rifiuta di ricambiare l’offerta dell’Armenia di sbloccare tutte le vie di trasporto nella regione, mentre chiede un corridoio controllato da Baku verso Nakhijevan fuori dalla giurisdizione dell’Armenia.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-06 09:34:262023-04-07 09:25:02Centosedicesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Aprile, il mese del “crimine senza nome” (Korazym 06.04.23)
Il sindaco facente funzioni della Città metropolitana Carmelo Versace ha accolto questa mattina i rappresentanti della Leonida Edizioni, promotori di uno scambio culturale tra Italia ed Armenia avviato dalla casa editrice reggina in collaborazione con l’ambasciata armena ed i rappresentanti istituzionali coinvolti.
All’incontro, insieme a Versace, hanno preso parte Domenico Polito, direttore di Leonida, l’editore della casa editrice armena Actual Art Mkrtich Matevosyan e Grigor Ghazaryan, docente di Italianistica presso l’Università Statale di Yerevan.
“Un onore per noi poter dare il benvenuto alla delegazione di intellettuali armeni che si trovano in visita nella nostra città – ha affermato Carmelo Versace accogliendo gli ospiti – questo scambio di carattere culturale si inserisce perfettamente in quelli che sono gli intendimenti contenuti nelle linee di mandato che puntano rinsaldare i rapporti internazionali della nostra Città, dando forza a progetti culturali di alto spessore in grado di generare relazioni con popoli che guardano al nostro territorio con molto interesse”.
“Siamo da sempre convinti che la cultura sia uno straordinario veicolo per fare in modo che le nostre bellezze possano essere conosciute al di fuori dei confini regionali e nazionali, costituendo non solo un’occasione per la promozione del nostro territorio, ma anche un arricchimento in termini di relazioni, di contaminazione positiva e di crescita culturale del territorio”.
“Ringrazio gli autorevoli rappresentanti del mondo culturale armeno che stanno dedicando una specifica attenzione al nostro territorio. Sono convinto – ha concluso il sindaco facente funzioni – che ritornando nel loro paese avranno modo di proporre una narrazione differente rispetto a quella negativa che per lungo tempo ha caratterizzato la nostra regione, aprendo nuove opportunità per un racconto nuovo e positivo che può fare tanto bene al nostro territorio”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-06 09:26:592023-04-07 09:27:54A Reggio Calabria un ponte culturale tra Italia ed Armenia (Reggiotoday 06.04.23)
Negli ultimi mesi il Caucaso meridionale è tornato nuovamente ad essere fortemente destabilizzato. Dopo le proteste in Georgia per un controverso progetto di legge che avrebbe richiesto ad alcune organizzazioni che ricevono finanziamenti esteri di registrarsi come “agenti stranieri”, l’Armenia e Azerbaigian potrebbero essere di nuovo sull’orlo di una escalation.
Il 25 marzo 2023, l’Azerbaigian ha violato i termini dell’accordo del 9 novembre 2020, superando la linea di demarcazione nella regione di Shusha e prendendo sotto il controllo dell’esercito azero diverse alture tra i villaggi di Jaghazur e Zabukh, nonché una vasta area lungo il confine. Data la preoccupazione di perdere il sostegno della Turchia in caso di sconfitta di Recep Tayyip Erdogan alle imminenti elezioni presidenziali del maggio 2023, l’Azerbaigian potrebbe valutare di condurre a breve un attacco contro l’Armenia.
Il 31 marzo 2023, Yury Shuvalov, portavoce del Segretariato dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, ha dichiarato che la CSTO è pronta a inviare una missione al confine armeno-azerbaigiano per garantire la sicurezza dell’Armenia. Il 5 aprile 2023, il portavoce ufficiale del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato che la parte russa è soddisfatta che l’Armenia rimanga interessata ad accettare le forze di pace della CSTO. Tali decisioni sono coordinate ed approvate al più alto livello dalla decisione del Consiglio di Sicurezza Collettiva, conferma la Zakharova, e conclude che la tempistica del possibile dispiegamento della missione CSTO in Armenia dipende dalla parte armena.
La missione rappresenta un punto di svolta dopo che la CSTO si era rifiutata di intervenire a seguito dell’aggressione azera al territorio sovrano armeno nel settembre 2022. In quel contesto, l’Armenia aveva richiesto una sessione speciale del Consiglio Permanente della CSTO per discutere dell’aggressione militare dell’Azerbaigian. Il portavoce dell’Organizzazione, Vladimir Zainetdinov, aveva risposto che la CSTO è contraria all’uso della forza ai confini armeno-azerbaigiani, sottolineando che l’organizzazione considera solo metodi politici e diplomatici per risolvere le contraddizioni tra Baku e Yerevan, come è successo il 9 novembre 2020, quando sotto la supervisione russa è stato firmato il cessate il fuoco che ha posto fine al conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020.
L’Armenia da allora ha espresso più volte insoddisfazione per l’organismo a guida russa. Parlando a un vertice della CSTO a Yerevan il 23 novembre 2022, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha sottolineato quanto fosse deprimente che l’adesione dell’Armenia alla CSTO non fosse riuscita a contenere l’aggressione azera, aggiungendo che ciò aveva danneggiato enormemente l’immagine dell’Organizzazione sia in Armenia che all’estero. Inoltre, Pashinyan ha ribadito che l’Armenia aveva sostenuto il Kazakistan agli inizi di gennaio quando il presidente kazako Qasym-Zhomart Toqaev ha chiesto alle truppe della CSTO di entrare nel suo Paese a seguito di proteste antigovernative senza precedenti.
Davanti alle recenti politiche azere che si sono fatte più aggressive la CSTO ha dovuto mantenere fede al suo statuto. Se per il Nagorno-Karabakh la questione è più controversa trattandosi di territori contesi, il confine dell’Armenia è riconosciuto, infatti, a livello internazionale.
Gli armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh sono isolati dal dicembre 2022 dal blocco imposto da Baku sul corridoio di Lachin, l’unico collegamento stradale per gli armeni che risiedono nei territori contesi con l’Armenia. Il blocco ha creato una crisi umanitaria per i 120.000 armeni rimasti isolati a cui in pieno inverno è stato tagliato il gas ed impedito il libero movimento che avrebbe consentito l’accesso anche alle cure mediche. Se per l’Artsakh/Nagorno-Karabakh la strategia azera è quella di spingere con l’isolamento la popolazione locale a lasciare quei territori che da anni l’Azerbaigian rivendica come i suoi, per il territorio sovrano armeno ad essere presa di mira è la regione meridionale armena di Syunik. Questa regione che a sud confina con l’Iran è al centro della contesa tra Armenia e Azerbaigian, in quanto servirebbe a Baku per la realizzazione del cosiddetto Corridoio di Zangezur, un passaggio che collegherebbe la Turchia con l’Azerbaigian ed il Caspio. Se fino ad ora a tracciare una linea rossa sulla violazione dei confini armeni si era esposto solo l’Iran, con l’intervento CSTO la situazione potrebbe cambiare e Baku potrebbe desistere davanti al blocco di stati eurasiatici.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-06 09:18:092023-04-07 09:24:20LA CSTO È PRONTA AD INTERVENIRE SUL CONFINE ARMENO-AZERBAIGIANO (Notizie Geopolitiche 06.04.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 05.04.2023 – Vik van Brantegem] – Un ulteriore 50 km2 di territorio armeno dell’Artsakh e dell’Armenia sono passati sotto il controllo delle forze armate azere nell’indifferenza generale. Ora 5 villaggi armeni sono totalmente isolati dal resto dell’Artsakh. Nel frattempo l’esercito azero ha rafforzato le posizioni attorno alla capitale Stepanakert e lungo il Corridoio di Lachin, bloccato da 115 giorni. Il soffocamento azero dell’Artsakh continua, accelerando.
Come abbiamo riferito ieri sera in tempo reale [QUI], le forze azere hanno bloccato all’altezza di Sushi l’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert mentre le forze di mantenimento della pace russe tentavano di trasportare da Goris a casa in Artsakh 27 donne, bambini e anziani cittadini armeni dell’Artsakh. Ricordiamo che formalmente gli auto-dichiarati “eco-attivisti” azeri stanno bloccando il Corridoio di Berdzor (Lachin) negando nel contempo il blocco, formalmente per protestare contro lo sfruttamento delle miniere da parte dell’Artsakh (a cui hanno aggiunto tutto una serie di preteste, come impedire il trasporto di personale e rifornimenti militari dall’Armenia e l’istituzione di un posto di dogana sul corridoio, ecc.).
La colonna di veicoli delle forze di mantenimento della pace russe, che trasportava queste persone, è stata fermata al posto di blocco dell’Azerbaigian vicino a Shushi. Gli Azeri sono entrati in uno dei veicoli. I negoziati per circa 5 ore tra la parte russa e le autorità azere sono falliti. Gli Azeri non hanno permesso loro di passare. I Russi non hanno insistito.
Se questo è successo con la scorta delle forze di mantenimento della pace russe, facile immaginare cose succederebbe senza di loro. Quindi, si comprende bene perché la parte russa non permette di accedere al corridoio al traffico regolare, finché gli agenti del governo azere mantengono il blocco all’altezza di Shushi. Inoltre, è un fatto che neanche il Comitato Internazionale della Croce Rossa e il contingente di mantenimento della pace della Russia hanno libertà di movimento lungo il Corridoio di Berdzor (Lachin) e necessitano di volta in volta trattare con le autorità dell’Azerbajgian per il passaggio.
Successivamente, la salute di quattro donne è peggiorata. Le forze di mantenimento della pace russe hanno fornito assistenza medica di emergenza e le hanno trasportato all’ospedale di Stepanakert con un’ambulanza azera. Gli altri sono stati riportati a Goris, poiché i prolungati negoziati con le autorità azere del blocco non hanno avuto successo.
“L’Azerbajgian, che regolarmente dichiara aperta la strada che collega l’Artsakh con l’Armenia, oggi ha apertamente vietato l’ingresso ai residenti dell’Artsakh nei loro luoghi di residenza. L’Azerbajgian dimostra un approccio completamente opposto nei confronti di coloro che lasciano l’Artsakh per l’Armenia, il che conferma direttamente la loro intenzione criminale di espellere gli Armeni dall’Artsakh”, ha affermato in una dichiarazione il Ministro di Stato dell’Artsakh, Gurgen Nersisyan. L’Artsakh è attualmente bloccato dal 12 dicembre 2022».
Il Difensore per i diritti umani della Repubblica di Artsakh, Gegham Stepanyan, ha scritto ieri sera sulla sua pagina Facebook: «Il 4 aprile, verso le ore 15.30, 27 civili, tra anziani, bambini e persone con disabilità, separati dalle loro famiglie da diversi mesi, in conformità con l’accordo raggiunto con la parte russa e accompagnati dalle forze di mantenimento della pace russe, sono partiti dalla città di Goris della Repubblica di Armenia per Stepanakert. Nonostante l’accordo prestabilito, agenti del governo azero che si spacciano per “eco-attivisti” hanno bloccato il passaggio dei veicoli delle forze di pace russe che trasportavano civili vicino a Shushi – sul tratto bloccato dell’autostrada Goris-Stepanakert. Di conseguenza, i cittadini sono rimasti in quella zona per circa 5 ore. Dopo infruttuose trattative tra la parte russa e quella azera, i veicoli stanno ora tornando a Goris. Secondo i fatti ottenuti, alcuni azeri hanno persino fatto irruzione in una delle auto. Durante i negoziati, il benessere di 4 civili è peggiorato e 3 di loro sono svenuti. Accompagnati dalle forze di mantenimento della pace russe, sono stati portati al Centro Medico Repubblicano di Stepanakert. Altri 23 civili stanno rientrando a Goris. Dall’inizio del blocco di 114 giorni, la parte azera ha annunciato su varie piattaforme che la strada è aperta per il trasporto di civili e merci, mettendo in discussione direttamente non solo le valide affermazioni della parte armena, ma anche le posizioni e le dichiarazioni di molti attori internazionali, la realtà registrata dalla decisione della Corte Internazionale di Giustizia del 22 febbraio 2023. L’incidente di oggi dimostra ancora una volta tutta l’essenza delle affermazioni false e inventate della leadership azera, il comportamento menzognera evidente e palese e fuorviante della comunità internazionale. Inoltre, consentendo l’uscita delle persone dall’Artsakh in vari modi, ma vietando l’ingresso, le autorità azere stanno attuando apertamente una politica di pulizia etnica, come ha ammesso ancora una volta Ilham Aliyev nella sua dichiarazione del 10 gennaio. È stato a lungo ovvio che l’unica ragione del comportamento insolente della parte azera, nell’ignorare gli appelli della comunità internazionale e il mancato rispetto della decisione della Corte Internazionale di Giustizia è il permissivismo creato, il disprezzo mostrato nei confronti della missione di mantenimento della pace e la mancanza di azioni punitive mirate e concrete da parte di tutti gli attori internazionali interessati. Al momento, centinaia di civili nella città di Goris e in altre comunità della Repubblica di Armenia sono semplicemente private dell’opportunità di ricongiungersi con le loro famiglie. La parte azera, approfittando dell’atmosfera di permissività, non collabora con le forze di mantenimento della pace russe, il Comitato Internazionale della Croce Rossa o altre strutture internazionali su questo tema».
Oggi, il Ministero della Salute della Repubblica di Artsakh informa che non è a rischio la vita delle 4 donne che sono state trasferite all’ospedale di Stepanakert: «Il 4 aprile alle 15.30 circa, 27 civili, tra cui anziani, bambini e persone con disabilità, che sono stati separati dalle loro famiglie per diversi mesi, in conformità con l’accordo raggiunto con la parte russa e accompagnato dalle forze di mantenimento della pace russe, ha lasciato la città di Goris della Repubblica di Armenia per Stepanakert. Ma gli “eco-attivisti” azeri hanno vietato il passaggio dei veicoli nel tratto bloccato dell’autostrada Goris-Stepanakert. A causa di questo intervento degli Azeri, quattro donne dell’Artsakh si sono sentite male. Le forze di mantenimento della pace russe hanno assicurato l’arrivo di un’ambulanza e queste quattro donne sono state trasferite al Centro Medico della capitale dell’Artsakh, Stepanakert».
Anche la polizia della Repubblica di Artsakh ha emesso un comunicato sull’incidente: «Il 4 aprile, alle ore 23.40, è stato ricevuto un rapporto dagli ufficiali del dipartimento passaporti e visti della polizia, che durante il trasporto di civili (comprese donne, bambini e anziani) dalla città di Goris a Stepanakert, accompagnati dalle forze di mantenimento della pace russe, gli Azeri li hanno fermati vicino alla città di Shush e ne ha vietato l’ingresso. A seguito dell’incidente, il benessere di 4 donne dell’Artsakh è peggiorato. Le forze di mantenimento della pace russe le hanno portato in ambulanza al Centro Medico Repubblicano di Stepanakert. I dettagli dell’incidente con foto allegate saranno pubblicati in seguito. Un’indagine è attualmente in corso».
Dichiarazione del Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh
«Il 4 aprile si è verificata un’altra flagrante violazione dei diritti dei cittadini dell’Artsakh che indica i veri obiettivi perseguiti dall’Azerbajgian, che da oltre 110 giorni tiene la Repubblica di Artsakh (Repubblica di Nagorno-Karabakh) sotto un blocco totale. La parte azera si è rifiutata di far passare nel Corridoio di Lachin i veicoli del contingente di mantenimento della pace russo con i cittadini dell’Artsakh che sono rimasti in Armenia a causa del blocco e sono stati privati dell’opportunità di ricongiungersi con le loro famiglie. La parte azera ha fermato i veicoli nella sezione bloccata del Corridoio di Lachin e per 5 ore ha sottoposto le persone nei veicoli, principalmente donne, bambini e anziani, a terrore psicologico e intimidazioni. Successivamente, l’Azerbajgian ha tentato di trasformare la sofferenza della gente in uno spettacolo di ipocrita pseudo-umanesimo.
Questo eclatante incidente dimostra chiaramente che le autorità azere hanno intrapreso il livello successivo di attuazione pratica del loro piano criminale per pulire etnicamente l’Artsakh ed espellere la sua gente dalla loro patria storica. Queste intenzioni sono state annunciate pubblicamente dal Presidente dell’Azerbajgian il 10 gennaio 2023, in un’intervista ai media azeri. Successivamente, la leadership politica azera ha ripetutamente espresso la minaccia che il popolo dell’Artsakh dovesse obbedire alle autorità armenofobe dell’Azerbajgian o lasciare la propria patria.
In una situazione di completa impunità, le azioni criminali commesse dall’Azerbajgian contro il popolo dell’Artsakh stanno diventando sempre più minacciose sia per natura che per portata. L’inazione della comunità internazionale di fronte a tali gravi violazioni dei diritti umani equivale a una tacita approvazione, se non a una complicità nelle azioni disumane delle autorità di Baku. Un’azione immediata e decisa da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che dispone del mandato e degli strumenti adeguati, è una necessità assoluta per porre fine immediatamente al blocco illegale e fermare i crimini dell’Azerbajgian contro il popolo dell’Artsakh, che continuano sotto gli occhi della comunità internazionale».
Intanto il fanatico armenofobo Adnan Huseyn da ieri continua a blaterare su Twitter, tacendo ovviamente su quanto è successo realmente ieri pomeriggio/sera e perché le 4 donne si sono sentiti male e hanno avuto bisogno di essere portate all’ospedale di Stepanakert, pubblicando orgogliosamente la foto dell’ambulanza che ha trasportato una di loro. Nessuna parola sul fatto che la colonna è stata bloccata per 5 ore e che gli altri 23 sono stati rispediti in Armenia: «Medici e ambulanza che hanno prontamente soccorso il paziente di etnia armena e trasportato in ospedale a Khankendi. È un peccato vedere che alcuni Armeni sembrano essere delusi dal fatto che siano stati i nostri professionisti medici ad arrivare per primi a Khankendi, piuttosto che le nostre forze militari. I medici azerbajgiani hanno fornito tempestivamente il primo soccorso a un paziente di etnia armena bisognoso di assistenza vicino a Shushi e trasportato in sicurezza in un ospedale di Khankendi. L’autoproclamata polizia in seguito ha mentito, negando l’ingresso dell’ambulanza azera a Khankendi».
«La Russia ha negato l’affermazione del Primo Ministro dell’Armenia secondo cui la Russia è il garante della sicurezza del Nagorno-Karabakh. Il piano della Russia per la risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh implicava il dispiegamento a lungo termine delle forze di mantenimento della pace e il rinvio della decisione sullo status del Nagorno-Karabakh. Tuttavia, oggi la Russia non riesce a convincere l’Azerbajgian ad accettare il suo piano, che è quello di mantenere lo status quo. Sergey Lavrov, l’autore del “Piano di Lavrov”, ha descritto quale dovrebbe essere il futuro del Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian durante la conferenza stampa con il Ministro degli Esteri dell’Armenia. Secondo Lavrov, il popolo del Nagorno-Karabakh dovrebbe avere lingua, cultura, autogoverno e altri diritti. Cosa accadrà alla sicurezza del Nagorno-Karabakh quando la Russia diventerà una potenza incompetente? Se l’Armenia e l’Azerbajgian raggiungessero un accordo attraverso la mediazione degli Stati Uniti, sarebbe uno sviluppo logico se qualche organizzazione o stato occidentale garantisse l’attuazione del trattato di pace. Sarà molto comprensibile se lo Stato che garantisce la conclusione dell’accordo intraprenderà anche l’attuazione della missione internazionale di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh. Sarebbe strano se l’Armenia e l’Azerbajgian firmassero un trattato di pace con la mediazione degli Stati Uniti, mentre la Russia rimarrebbe con le sue truppe nel Nagorno-Karabakh. Tanto più che la Russia nega di essere il garante della sicurezza del Nagorno-Karabakh. Oggi vediamo che la Russia non riesce a convincere l’Azerbajgian ad attuare il “Piano di Lavrov”. I fallimenti della Russia nella guerra ucraina indeboliscono la sua posizione nel Nagorno-Karabakh. Putin non riesce a convincere Aliyev che il contingente di mantenimento della pace della Russia dovrebbe rimanere nel Nagorno-Karabakh. L’abbiamo visto a Sochi nell’autunno del 2022. Come farà la Russia quando gli Ucraini inizieranno a liberare i loro territori dall’occupazione della Russia? Credo che oltre a dare all’Armenia e all’Azerbajgian una piattaforma per i negoziati, l’Occidente dovrebbe anche sviluppare meccanismi chiari per garantire la sicurezza nel Nagorno-Karabakh ed essere pronto ad attuarli. Tale meccanismo può essere la missione dell’Unione Europea, delle forze di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, ecc. È importante che questo meccanismo abbia il patrocinio dell’Occidente e abbia un mandato internazionale. È necessario discutere seriamente l’idea di creare una zona smilitarizzata attorno al Nagorno-Karabakh» (Roberto Anayan). Vedremo se qualcosa di tutto questo accadrà…
“Finalmente, abbiamo toccato Khankendi! Azerbajgian è forte” dice il megafono degli “eco-attivisti” azeri. Hanno fermato il convoglio del contingente di mantenimento della pace russo con i civili diretti a Stepanakert la scorsa notte, li hanno terrorizzati al punto che tre sono svenuti, li hanno mandati all’ospedale di Stepanakert in ambulanza dell’Azerbajgian e questo celebra come l’ingresso in “Khankendi” (Stepanakert). Il suo ruolo, come cheerleader di questo crudele e criminale #ArtsakhBlockade, la dice lunga su di lui come essere umano. È un uomo malato, che necessità di cura, e da tempo.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-05 13:30:222023-04-06 13:30:59Centoquindicesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Ieri l’Azerbajgian ha impedito il ritorno a casa di cittadini armeni dell’Artsakh (Korazym 05.04.23)
Tra i Giusti onorati al Giardino di Milano il 3 marzo 2023 c’è un anziano scrittore azero, Akram Aylisli, reso silente in patria. Nel suo racconto “Sogni di pietra”, dedicato alla comunanza di storia tra armeni e azeri, affermava “Possiamo vivere insieme”.
Oggi il predominio nell’area sub-caucasica della “cultura del nemico” e una armeno-fobia costruita con profusione di mezzi e in modo capillare sembra minare al fondamento l’auspicio dell’anziano scrittore. I segni premonitori del male non sono mai stati colti e fermati in tempo ed è possibile che oggi si giunga di nuovo al male estremo.
Dobbiamo al giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, onorato nel 2022 al Giardino Monte Stella di Milano, l’elaborazione più alta nel campo del Diritto Internazionale riguardante i “crimini senza nome”, i “crimini che sconvolgono la coscienza”, apparsi nella storia del Novecento prima con lo sterminio degli armeni, rimasto impunito, e poi con lo sterminio degli ebrei. Perseguitato dall’idea che uno Stato potesse eliminare i propri cittadini senza che una forza esterna potesse impedirlo, Lemkin coniò il termine genocidio, considerato il caso più grave di crimine contro l’umanità, e sottrasse la materia all’arbitrio dei singoli stati. La distruzione intenzionale “in tutto o in parte di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale”, doveva essere collocata nell’ambito del Diritto Internazionale. Una giurisdizione sovranazionale si rendeva necessaria per condannare un crimine che, riguardando la volontà di annientamento di un gruppo umano in quanto tale, colpisce l’umanità intera e non può mai andare in prescrizione. E’ nata così la “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”, adottata dall’ONU nel 1948. Una formulazione che fa precedere il termine “prevenzione” al termine “repressione” ci fa capire che con Lemkin non solo è nata una nuova coscienza giuridica, ma che l’elemento che più gli stava a cuore era di ordine morale: una condanna ma insieme un monito per prevenire nel futuro i crimini di genocidio.
Ho seguito fin dal 1988, l’anno del terremoto in Armenia, le vicende della enclave dell’Artsakh, la regione autonoma di montagna chiamata anche Nagorno Karabakh, poco più di 11.000 chilometri quadrati, da sempre popolata in maggioranza da armeni affidata da Stalin nel 1923 all’amministrazione dell’Azerbaijan. I prodromi dello sgretolamento dell’URSS e le manifestazioni di popolo per far valere il principio dell’autodeterminazione avevano guidato la mano del dittatore di Baku nei terribili pogrom contro la minoranza armena innocente residente nelle lontane città dell’Azerbaijan, Sumgait, Kirovabad e Baku. Samuel Shahmuradian a Yerevan nel 1989 aveva pubblicato in lingua russa le testimonianze degli scampati al pogrom che avevo potuto leggere nel 1991 nell’edizione francese. Ho poi curato l’edizione italiana del 2012 per Guerini e Associati: La tragedia di Sumgait. 1988. Un pogrom di armeni nell’Unione Sovietica. Testimonianze di orrori intervallate da qualche luce di bene, perché il fronte dei carnefici non è mai compatto; alcuni di questi atti di soccorso alle vittime li ho riproposti nella rubrica presente in gariwo.net, “Viaggio tra i disobbedienti azeri”.
La fiducia che mi animava allora, si è oggi indebolita e ritengo importante aggiornare il quadro degli eventi, analizzare e denunciare i fatti richiamando l’attenzione sui prodromi di mali più grandi per giungere alla domanda finale: in che cosa possiamo sperare? Oggi assistiamo a tali manifestazioni di odio inter-etnico che ci fanno temere nuovi genocidi.
Fin dalle origini del conflitto nell’area sub-caucasica della regione autonoma del Nagorno Karabakh, il principio di integrità territoriale sostenuto dal governo azero si è scontrato con il principio di autodeterminazione dei popoli invocato dagli armeni; una apparente contraddizione poiché, in base alla legge emanata il 3 aprile del 1990 dall’Unione sovietica ancora formalmente esistente, nel caso che l’autodeterminazione venga decisa con metodi non violenti, il vincolo dell’integrità territoriale viene a cadere. Nel Nagorno Karabakh, dopo la dichiarazione di indipendenza dall’URSS dell’Azerbaijan, si svolse un referendum che richiedeva l’annessione all’Armenia: anche allora la risposta violenta fu immediata. Dai pogrom del 1988 e 1990 in territorio azero, si è passati alla prima guerra del 1992-’94, seguita da un cessate il fuoco mai rispettato in trent’anni di tentativi falliti di risolvere la questione per via diplomatica.
Molte volte viaggiando in Karbakh era necessario tenersi lontani da alcune aree segnalate come pericolose per la presenza di cecchini. Era solo questione di tempo: la mattina del 27 settembre 2020 il governo azero, supportato dalla Turchia e dalla fornitura di droni e armi sofisticate, ha sferrato un attacco che in 44 giorni ha costretto l’Armenia alla resa. Gran parte del Karabakh è passato sotto il controllo azero con una fuga in massa della popolazione dei villaggi. L’enclave armena circa 120mila persone, è confinata oggi a Stepanakert e dintorni. L’intervento della Russia che ha tenuto un atteggiamento di pragmatismo neutrale per non intaccare le buone relazioni con l’Azerbaijan è giunto solo dopo l’abbattimento da parte dell’esercito di Baku di un elicottero russo in terra armena. Mosca si è conquistata il ruolo di peacekeeping e controlla con 2000 soldati le zone di confine e il corridoio di Lachin, unico collegamento tra l’Armenia e il Nagorno Karabakh. Ma la responsabilità di mediazione della Russia si è indebolita e il presidente azero ha avuto la possibilità di dare il via ad un’altra tappa del progetto di conquista. D’altro canto il terreno era stato preparato da anni.
In patria e all’estero l’Azerbaijan ha lanciato una campagna di odio e denigrazione, scatenando una armeno-fobia che si erge come muro invalicabile a impedire ogni possibilità di avvicinamento tra due popoli che in certi momenti della storia sono stati capaci di “vivere insieme”.
Si profila un altro Metz- Yeghern. Ieri come oggi è in gioco la sopravvivenza degli armeni. Un esempio di questa esplosione di odio lo ricaviamo dal caso Ramil Safarov, il militare azero in trasferta nel 2004 a Budapest per un corso Nato del programma Partenariato per la pace, al quale partecipavano anche i militari armeni: ha ucciso per puro odio etnico a colpi d’ascia nel sonno il militare armeno Gurgen Margaryan. Condannato in Ungheria all’ergastolo è stato estradato pochi anni dopo su richiesta di Baku e, contravvenendo all’accordo, non solo non ha scontato la pena in patria, ma è stato accolto con grandi onori, proclamato eroe nazionale e additato ai giovani come esempio di patriottismo. E’ bene sottolineare che il programma Nato aveva come obiettivo di creare un clima di fiducia reciproca tra i paesi membri dell’Alleanza atlantica e gli stati dell’ex Unione sovietica. E venendo all’oggi, a poco tempo di distanza dalla fine della guerra, il 12 aprile del 2021, il presidente Aliyev ha inaugurato il Parco dei trofei di guerra, definito dagli attivisti per i diritti umani e da molti giornalisti esteri “Parco degli orrori”. L’accesso avviene attraverso un lungo e ampio corridoio in cui sono esposti gli elmetti dei soldati armeni uccisi. E cosa grave sono le visite giornaliere di scolaresche che possono vedere allestimenti di scene con soldati armeni, manichini di cera con lunghi nasi, armi e macchinari sequestrati al nemico sconfitto. L’appello di Akram Aylisli “Possiamo vivere insieme”, sembra vana illusione, speranza distrutta insieme ai suoi libri bruciati in piazza. L’odio è anche penetrato in modo preoccupante nelle manifestazioni sportive, senza reazioni significative della comunità internazionale.
Sembra che gli armeni abbiano perso il diritto di avere una patria su un territorio da loro abitato da 3000 anni. Dopo un breve periodo caratterizzato da un vasto Impero armeno agli albori dell’anno zero della nostra epoca, la loro storia è segnata da stermini e diaspore e si deve giungere al 1991 per vedere una Armenia indipendente su un piccolo territorio, oggi minacciata nella sua esistenza.
Nel settembre del 2022, dopo la conquista del Karabakh, l’esercito azero ha attaccato anche l’Armenia, prendendo possesso di tre regioni di confine che ora controllano. La Federazione russa non è intervenuta pur essendo di fronte a una palese violazione degli accordi tripartiti del 2020; aggira le sanzioni incrementando l’esportazione di idrocarburi attraverso gli oleodotti azeri. Il presidente azero Aliyev sta alzando i toni e rivendica l’annessione della capitale Yerevan, ritenuta “storicamente” territorio proprio. Questa situazione dimostra che esiste uno stato di guerra permanente. Il cessate il fuoco del 9 novembre del 2020 vede ridotto a un terzo il territorio abitato da circa 120mila armeni che si riconoscono nell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, ma che oggi non possono contare su alcuna protezione umanitaria.
Le aggressioni dell’esercito dell’Azerbaijan continuano. Nel dicembre 2022 Baku ha inviato un gruppo di cosiddetti “attivisti ecologici” a bloccare il corridoio di Lachin, l’unico collegamento tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh. 120mila armeni, vecchi, donne, uomini, bambini, sono rimasti bloccati a Stepanakert e dintorni in una situazione umanitaria disastrosa, con scarsità di cibo, medicinali, elettricità e gas. Una specie di grande ghetto di Varsavia. Baku non offre alternative: devono vivere sotto la giurisdizione azera e questo per gli armeni del Karabakh è impensabile, viste le violenze subite nei progrom; ai “karabakhzi” non resterebbe che l’esodo o la morte se decidessero di resistere. Gli azeri stanno realizzando il loro sogno di svuotare il Nagorno-Karabakh della presenza armena. È in corso una pulizia etnica. A Stepanakert regna il buio e la desolazione. Pochi alimenti giungono con la Croce rossa che trasporta a Yerevan solo i malati gravi.
L’Armenia è legata alla Russia da un accordo di mutua sicurezza, il CSTO (Collectiv Security Treaty Organisation, una riedizione del vecchio patto di Varsavia), mentre l’Azerbaijan non ne fa parte. I peacekeepers russi che avrebbero il compito di prevenire attacchi contro gli armeni del Karabakh e garantire la viabilità, non intervengono per liberare il passaggio del corridoio di Lachin. Il ruolo di Baku è cresciuto di importanza anche in relazione all’Europa che per compensare la mancanza di idrocarburi provenienti dalla Russia sta aumentando notevolmente le importazioni dall’Azerbaijan. In questa posizione egemone Baku pensa di poter agire liberamente. La firma dell’accordo del luglio del 2022 tra Ursula von der Leyen e il presidente Aliyev che raddoppia la fornitura del gas attraverso la pipeline TAP, ci dice chiaramente quale è la scelta dell’Europa. Poche voci hanno espresso parere contrario; tra queste l’eurodeputata della Repubblica ceca Marketa Gregerova, peraltro inascoltata, che invitava a imparare dalla esperienza con la Russia e non aumentare la dipendenza da un’altra dittatura come quella dell’Azerbaijan..
Difficile scelta: proteggere un paese democratico come l’Armenia o sostenere un Paese non democratico come l’Azerbaijan, agli ultimi posti nella salvaguardia dei diritti umani? In Europa e in Italia ha vinto il pragmatismo e la gestione sempre più complessa della geopolitica sopravanza ogni richiamo a preservare la vita e la libertà degli esseri umani. In seguito alle pressioni del presidente dell’Armenia Pashinian, il Parlamento Europeo ha condannato l’azione dell’Azerbaijan a Lachin ma sappiamo quale scarso impatto possa avere tale condanna visti gli accordi intercorsi tra l’Unione europea e il governo azero.
Ai tanti contenziosi aperti si è aggiunto anche il problema della concessione del passaggio di Meghri che taglierebbe in due l’Armenia che per questo chiede legittimamente una Giurisdizione Internazionale che operi super-partes in un’area di confine assai delicata. Sarebbe preferibile per l’Armenia arrivare ad una soluzione di lungo periodo che preveda l’apertura dei confini tra i paesi della regione e permetta ai cittadini di muoversi senza ostacoli. È in quest’ottica che l’Armenia sta prendendo in considerazione la normalizzazione dei suoi rapporti con la Turchia riavviando i negoziati con Ankara sospesi dal 2010.
Il prolungamento del conflitto in Ucraina sta permettendo all’Azerbaijan di utilizzare questa situazione ai danni dell’Armenia che sembra entrata in un vicolo cieco. Tuttavia il quadro geopolitico cambia continuamente. Recente è l’avvicinamento fra l’Iran e l’Arabia Saudita, nonché tra Cina e Russia. Gli appelli per il blocco di Lachin del 12 dicembre 2022 rivolti dall’Armenia all’Occidente di fronte a una Russia neutrale che “abbandona gli armeni nelle fauci di turchi e azeri”, hanno fatto sì che qualcosa si muovesse. Più di una decina di organizzazioni a difesa dei diritti umani hanno emanato un’allerta di rischio di genocidio per gli armeni del Nagorno Karabakh avendo individuato sul territorio la presenza di crimini atroci che corrispondono ai 14 punti del documento Onu relativo alla prevenzione del crimine di genocidio; come abbiamo visto, nel gennaio del 2023 si è pronunciato con la Risoluzione 2023/2504 il Parlamento europeo condannando l’Azerbaijan per la violazione degli obblighi internazionali e richiamando al rispetto della dichiarazione trilaterale del cessate il fuoco; il 29 gennaio si è pronunciato papa Francesco all’Angelus; il 10 febbraio Amnesty International e il 22 febbraio la Corte Internazionale di Giustizia.
Il servizio di Daniele Bellocchio pubblicato sul n° 7/2023 di Famiglia Cristiana, “L’ Artsakh dimenticato”, ha provocato la reazione dell’ambasciatore azero presso la Santa Sede che ha inviato una lettera di protesta al direttore del giornale, ma anche una risposta ferma e pacata che indica come unica via “una pace giusta nel rispetto della libertà della persona umana e delle sue tradizioni”.
Nathalie Loiseau, francese, membro del Parlamento europeo, ha condannato il blocco definendolo “illegale e crudele”, sottolineando la contraddizione tra la dichiarazione del presidente Aliyev dell’appartenenza della regione all’Azerbaijan e la scelta di impedire alla popolazione considerata “propria”, di ricevere rifornimenti e medicine.
Anche dalla Francia intellettuali, laici, cristiani, ebrei, musulmani, condannano l’imperialismo dell’Azerbaijan e della Turchia, definendole nuove dittature che a distanza di un secolo dallo sterminio di un milione e mezzo di Armeni nell’Impero ottomano, minacciano di far sparire un paese di millenaria cultura; si appellano all’imperativo morale che deve risvegliare le coscienze di tutti di fronte a una possibile perdita per l’umanità intera; altri appelli sono giunti dagli Stati Uniti. La Russia e l’Italia sono stati “testimoni silenziosi dello spopolamento del Nagorno Karabakh”, eccezion fatta per un tardivo richiamo del Ministro degli esteri Sergej Lavrov al suo omonimo azero al rispetto del patto tripartito del 9 novembre 2020.
Non c’è sino ad oggi un segnale di cambiamento delle posizioni massimaliste di Baku che prosegue in modo capillare nell’opera di disinformazione dell’opinione pubblica a livello nazionale e internazionale. La verità ufficiale maschera la menzogna e come accade da sempre nei conflitti, nelle aggressioni e nelle atrocità di massa, le vittime diventano i colpevoli. Agli armeni oggi come ieri viene sottratta la loro identità e la loro storia: un popolo “inesistente” in Turchia, non solo perché cancellato, anche nella sua cultura, dal genocidio del 1915 e dalla riscrittura della storia operata da Mustafa Kemal, il padre della patria turca, ma anche una presenza considerata oggi dal presidente Aliyev “abusiva” nel Nagorno Karabakh, tanto da poter rimuovere dal patrimonio monumentale cristiano dell’area “i falsi armeni” e rinominarli “albaniano-caucasici”, e arrivare al punto di rivendicare il controllo su Yerevan, capitale dell’Armenia indipendente.
L’esperto del Caucaso Laurence Broers indica un parallelismo tra i pronunciamenti del governo russo che considera l’Ucraina una nazione “falsa” e quelli del governo azero che sostiene che l’Armenia ha una storia “falsa” e quindi, conclude, “elevando la portata del conflitto su un piano esistenziale”. Siamo di fronte ancora una volta alla “maschera della verità”, alla “post-verità” (Moises Naim, Il tempo dei Tiranni, Feltrinelli, Milano 2022).
Come realizzare un processo di normalizzazione e preparare la pace in un contesto di negazionismo consolidato dalla vittoria militare e da un quadro geopolitico ogni giorno più impegnativo e complesso nel quale i dittatori che non riconoscono il Diritto Internazionale, possono agire impunemente nelle nuove logiche imperialiste?
Ritorno alla domanda iniziale: di fronte al dilagare dell’odio e della cultura del nemico, in che cosa possiamo sperare?
Prima di tutto per resistere di fronte alle autocrazie e alle dittature occorre consolidare le nostre democrazie che presentano lacerazioni latenti, indebolimento sul piano dei valori, della autonomia di pensiero, della cultura in senso lato, della capacità di distinguere e contestualizzare. Le relazioni nelle comunità si incrinano per la superficialità e l’inconsistenza dei discorsi, per la tendenza a considerare con fastidio un pensiero divergente, per il “chiacchiericcio” che trasforma il sentito dire in verità e che alimenta la paura dell’altro aprendo lo scenario minaccioso del “nemico” responsabile dei nostri problemi e delle nostre insoddisfazioni. Invertire la rotta significa guardare i fatti, verificare la consistenza delle narrazioni che ci circondano, soprattutto oggi in cui la guerra è entrata nella nostra quotidianità, sostenere le battaglie per la libertà e i diritti cominciando dalla denuncia del male e ricercare i punti di resistenza. Tra Armeni e Azeri i trent’anni di negoziati falliti hanno logorato la fiducia reciproca. Se lo sguardo si aprisse alla dimensione del mondo sottraendosi agli stereotipi e alla propaganda che ha creato la criminalizzazione del popolo nemico, se si cogliessero i nodi cruciali di un passato che condiziona ma che ha potuto diventare eredità su cui costruire il nuovo, come è accaduto all’Europa dopo la seconda guerra mondiale, se si cogliesse quel poco di bene che sempre esiste dentro lo scorrere del male, sarebbe possibile creare le condizioni di una inversione di rotta. La fiducia reciproca va ricostituita a livello dei singoli e dei popoli con scelte nuove e creative, anche a livello diplomatico. Il senso della fragilità e del limite apre al bisogno dell’altro, crea la relazione di fiducia, il noi “forte” capace di resistere al sistema di potere in cui il dittatore di turno tende a creare una società di vittime e carnefici. Gli esempi dei Giusti dell’umanità alimentano il coraggio, una dote che a sua volta alimenta il bene. E quando manca il coraggio, lo vediamo negli scenari di guerra oggi aperti dai dittatori, si ricorre alla minaccia che crea la paura e la passività dei popoli sottomessi.
L’Italia potrebbe avere un ruolo importante sullo scacchiere internazionale per fermare l’aggressività dell’Azerbaijan, proprio perché ha legami economici stretti con Baku che creano vantaggi reciproci. Perché non possiamo contare sul coraggio di una diplomazia capace di esortare alla pace e al rispetto dei diritti. Lo stesso vale per l’Europa, nonostante gli accordi sottoscritti per i rifornimenti energetici con l’Azerbaigian. Con il declino del Gruppo Minsk si profila la possibilità che l’Europa assuma un ruolo più forte nelle trattative di pace tra Armenia e Azerbaijan. L’Europa che ha voluto istituire la Giornata europea dei Giusti dell’Umanità può rinforzare la voce di Aktram Aylisli e di tanti come lui in Azerbaijan e in Armenia: possiamo vivere insieme.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-05 09:25:212023-04-07 09:26:18ARMENIA E KARABAKH: PREVENIRE UN MALE ESTREMO È POSSIBILE? (GARIWO 05.04.23)
Mentre proseguono movimenti di truppe e di mezzi nella zona di Lachin, dove il noto corridoio è in stato di blocco ormai da quattro mesi, e Baku e Yerevan si rimpallano la responsabilità degli sconfinamenti, c’è un altro fronte caldo che occupa la cronaca: la tensione crescente tra Azerbaijan e Iran
Nella notte fra il 29 e il 30 marzo c’è stato un nuovo spostamento di truppe intorno alla zona di Lachin. Stando alla dichiarazione ufficiale del ministero della Difesa azera “data la messa in servizio della nuova strada di Lachin, diverse alture tra i villaggi di Jaghazur [Cağazur] e Zabukh [Zabux] della regione di Lachin, le strade principali e ausiliarie, nonché vaste aree lungo il confine sono state prese sotto il controllo delle unità militari dell’Azerbaijan”. Le autorità de facto del Nagorno Karabakh hanno parlato di una chiusura notturna della Goris-Stepanakert fra i paesi di Aghvno e Tegh.
Sta quindi prendendo forma nell’area una nuova architettura di sicurezza e di viabilità man mano che la strada di Lachin viene in qualche modo dismessa, in base agli impegni contratti e come conseguenza del blocco che sta entrando ormai nel quarto drammatico mese. C’è una strada sterrata, la Tegh-Kornidzor che ora si congiungerà con un tratto già in funzione dall’agosto 2022.
Al recente Consiglio dei ministri il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha cercato di mettere ordine nelle informazioni che sono circolate su questi nuovi presidi militari, spiegando che il corridoio di Lahin sta subendo dei cambiamenti di percorso e che l’Armenia aveva accettato che la strada di Kornidzor passasse per il territorio azero, in attesa di ultimare i lavori su una strada che non attraversasse l’Azerbaijan. Gli accordi prevedevano che questa nuova tratta entrasse in funzione il primo aprile, ma l’Armenia ha comunicato a Baku di essere in anticipo, per cui ci sono stati movimenti di mezzi e uomini nella notte del 29 marzo. La strada è presidiata da guardie di frontiera armena che sono andate a sostituire una unità militare nel tentativo di normalizzare anche quel tratto di territorio.
Il Servizio di Sicurezza nazionale armeno ha riassunto in sette punti il quadro della situazione, precisando che ci sono dei problemi relativi alle mappe utilizzate da Armenia e Azerbaijan e che di conseguenza all’Armenia risulta che alcune postazioni azere si siano collocate dai 100 ai 300 metri all’interno del territorio armeno, ma che si sta cercando di evitare una escalation attraverso la consultazione di cartografi. Aggiustamenti del tracciato sono in corso e l’intelligence armena indica un miglioramento della situazione.
Pashinyan ha auspicato che anche gli azeri rimuovano i militari e li sostituiscano con guardie di frontiera e ha ricordato che per non minare la fiducia riguardante il traffico su strada andrebbe – come aveva già proposto – concordata una missione internazionale che monitori l’assenza di flusso di armi, mine e personale militare dall’Armenia all’Azerbaijan, ma – dice Pashinyan – a ciò Baku si oppone.
La tensione con l’Iran
La questione delle missioni internazionali in o per il Nagorno Karabakh è sempre stata estremamente spinosa, e se non è mai stato possibile mettere una forza di interposizione fino all’arrivo del peacekeepers russi nel 2020 lo si deve non solo alle posizioni configgenti sul tema e sulla composizione dell’eventuale missione da parte di Armenia e Azerbaijan, ma anche dal veto dell’Iran. Ciononostante ultimamente la posizione iraniana verso la missione europea sembra essersi ammorbidita. L’ambasciatore iraniano a Yerevan ha dichiarato che Teheran non si oppone alla presenza degli osservatori europei.
Non accenna a stemperarsi invece la tensione fra Azerbaijan e Iran, e Teheran vede oggi nella missione europea un fattore di stabilizzazione del confine. Come ha recentemente dichiarato il capo missione Markus Ritter, la missione potrebbe contribuire notevolmente alla pace impedendo con la sua presenza una offensiva primaverile, nel quadro attule delle crescenti violazioni di cessare il fuoco.
L’Iran teme che l’assertività e la supremazia militare azera insieme al sostegno turco portino Baku a portare avanti con la forza il progetto del così detto corridoio di Zangezur, una delle tante asperità negoziali che sono esplose dopo il conflitto. Con la creazione di questa striscia di terra che unirebbe Azerbaijan e Nakhchivan, l’Iran si troverebbe privato del suo confine nord con l’Armenia, che considera strategico. Già il confine tra gli armeni del Karabakh e l’Iran si è accorciato di 132 km per le perdite armene con la guerra del 2020 e Teheran ha reso chiaro ed esplicito che non intende tollerare ulteriori cambi di confine.
La tensione fra Baku e Teheran è sempre più palpabile, e viaggia anche sulle note dell’avvicinamento fra Azerbaijan e Israele. Il 29 e 30 marzo il ministro degli Esteri azero Jeyhun Bayramov è stato a Gerusalemme dove ha inaugurato l’ambasciata azera in Israele. In occasione del loro incontro il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha dichiarato che: “Il ministro degli Esteri Bayramov ed io abbiamo concordato di formare un fronte unito contro l’Iran e di rafforzare la cooperazione bilaterale nei settori dell’economia, della sicurezza, dell’energia e dell’innovazione. A breve partirò per una visita ufficiale a Baku insieme ad una numerosa delegazione economica che rafforzerà ulteriormente i legami commerciali tra i due paesi”.
Mentre Bayramov era a Gerusalemme, il ministro degli Esteri Iraniano Hossein Amir-Abdollahian era a Mosca, dove la controparte russa ha sottolineato che: “Ci auguriamo che le attuali tensioni nei rapporti tra Baku e Teheran siano temporanee e vengano superate al più presto. Ciò contribuirà anche alla promozione della cooperazione trilaterale con la partecipazione di Russia, Iran e Azerbaijan, anche nell’ambito dell’interesse confermato da tutte le parti per la realizzazione di importanti progetti nell’ambito dello sviluppo del Corridoio di Trasporto Internazionale Nord-Sud.”
Una rassicurazione da parte di Sergey Lavrov che però non fa sbollire gli animi. Una nuova polemica si è scatenata per le dichiarazioni del Comandante iraniano delle Forze di Terra, Kioumars Heydari, che ha accusato Baku di ospitare forze “sioniste” e di aver utilizzato guerriglieri dell’ISIS durante la guerra dei 44 giorni. Gli ha risposto il ministero della Difesa azero che ha smentito energicamente e ha accusato l’Iran di aver fatto comunella con l’Armenia durante i 30 anni di occupazione del territorio azero, aggiungendo: “Oggi non è un segreto per nessuno che l’Armenia abbia due alleati nel mondo, uno è la Francia e il secondo è l’Iran.”
Il 28 marzo il deputato azero Fazil Mustafa è stato ferito a colpi di arma da fuoco. Mustafa è noto per le sue posizioni anti-iraniane e subito sono nate speculazioni sulla matrice dell’attentato. Ci sono stati sei arresti, e il ministero degli Esteri azero sospetta legami con l’Iran .
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-04 13:28:312023-04-06 13:29:38Nagorno Karabakh, nuovi movimenti di truppe (Osservatore Balcani e Caucaso 04.04.23)
Tornano le tensioni nella regione del Nagorno Karabakh. Da ormai due settimane i civili armeni si stanno allenando e preparando per un nuovo conflitto armato, temendo una nuova offensiva da parte dell’Azerbaigian in questa primavera. A novembre 2020 è stato siglato un accordo che aveva messo fine alla seconda guerra del Nagorno Karabak (la prima nel 1994), a farne da garanti la Russia in primis. Ma l’Azerbaigian ha iniziato operazioni militari – da loro definite “locali” – nella regione già da una settimana. Mosca ha accusato il paese di aver violato il cessate il fuoco, ma nessuna azione concreta è stata intrapresa. E questo ha spinto l’Armenia a organizzarsi di conseguenza. La tensione rischia di sfociare in un nuovo conflitto a due passi dal secondo gasdotto che serve l’Italia e (via Tap) l’Europa.
La protesta ambientalista di Baku
Dopo l’ultimo conflitto nell’area di Nagorno Karabakh – costato la vita a 7 mila persone – molte porzioni dell’aera contesa sono andate al vincitore, l’Azerbaigian. Tra queste porzioni di territorio c’è anche il “corridoio di Lachin”, un strada di 9 chilometri di lunghezza che collega le due parti di territorio – armeno e azero – del Nagordo Karabakh. La strada è, da dicembre 2022, interamente bloccata da una “protesta ambientalista” azera che ha avuto come effetto quello di bloccare il passaggio di viveri, merci, farmaci e approvvigionamento di qualsiasi tipo dall’Azerbaigian all’Armenia. Oltre che, cosa più grave, costringe gli abitanti di quella zona (per lo più armeni) a vivere dentro ai confini.
Un isolamento forzato quello perpetrato dalle forze azere, che stanno facendo morire di stenti gran parte della popolazione armena. Il territorio in questione, a seguito degli accordi del 2020, era sotto il controllo armeno, con la garanzia della Russia. Ma con la ritirata di Mosca ad agosto 2022 (che non è stata in grado di persuadere al meglio le forze locali nel mettere fine al blocco), il corridoio è caduto in mano alle forze di Baku. Lo scorso 22 febbraio la Corte internazionale di Giustizia aveva sancito che l’Azerbaijan adottasse “tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento di persone, veicoli e merci lungo il corridoio di Lachin in entrambe le direzioni, senza ostacoli”. Ma ciò nonostante, il corridoio rimane ancora chiuso dopo più di 110 giorni.
Una nuova escalation?
Con una buona parte della popolazione stremata per un isolamento forzato, l’Azerbaigian sembra intenzionata ad avanzare con le proprie forze per riconquistare il territorio spartito dopo gli accordi di tre anni fa. D’altronde, le condizioni sono favorevoli: un paese stremato e un peacekeeper assente sono gli ingredienti perfetti per una nuova offensiva. Se l’Armenia dovesse avere ragione, e in primavera ci fosse un nuovo attacco azero, la Russia è il maggiore responsabile di questa situazione. Forse tropo occupata a pensare all’invasione in Ucraina, il suo sostegno nella regione delle due ex repubbliche sovietiche si è man mano sempre più allentato. E Baku, forte di queste consapevolezze, potrebbe ricevere vantaggio anche per quanto riguarda il commercio del Gas, chiedendo maggiore potere strategico sul Tap.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-03 13:31:432023-04-06 13:33:01La nuova guerra che sta per scoppiare lungo l’altro gasdotto per l'Europa (Today 03.04.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 03.04.2023 – Vik van Brantegem] – Le violazioni dei diritti umani da parte dell’Azerbajgian non sono il tipo di notizie che potrebbero sorprendere gli attenti lettori, ma il blocco illegale e disumano dell’Artsakh in corso da 113 giorni da pare dell’Azerbajgian va oltre ogni limite. La pressione militare dell’Azerbajgian su sull’Artsakh e sull’Armenia sta accelerando. Nel frattempo, un portavoce dell’Unione Europea afferma che c’è un grande potenziale per sviluppare le relazioni commerciali con l’Azerbajgian.
Ieri, il Ministero degli Esteri dell’Artsakh ha rilasciato una dichiarazione in occasione del 7° anniversario della Guerra dei quattro giorni di aprile 2016 scatenata dall’Azerbajgian [QUI], in cui ancora una volta ha chiesto alla comunità internazionale, e in primo luogo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (nel mese di aprile sotto la presidenza della Federazione Russa), di adottare misure immediate ed efficaci per prevenire la politica di pulizia etnica e di genocidio attuata dall’Azerbajgian contro il popolo dell’Artsakh e, prima di giungere a un risoluzione globale del conflitto, introdurre meccanismi e garanzie per garantire la normale attività di vita in Artsakh. In questo contesto, il Ministero degli Esteri dell’Artsakh ha sottolineato l’importanza del riconoscimento internazionale del diritto all’auto-determinazione realizzato dal popolo dell’Artsakh, che è un prerequisito necessario per garantire i suoi diritti, la sicurezza e lo sviluppo pacifico.
L’Azerbajgian sta violando quasi tutte le clausole della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, ha affermato il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, a Bucarest dopo il suo incontro con il Ministro degli Esteri romeno, Bogdan Aurescu: «Ho presentato al mio collega le sfide esistenziali e le minacce che devono affrontare la Repubblica di Armenia e il popolo del Nagorno-Karabakh. Sfortunatamente, il blocco del Corridoio di Lachin dal 12 dicembre 2022, il terrore, così come altre azioni dell’Azerbajgian cercano di costringere la popolazione armena del Nagorno Karabakh a lasciare le proprie case. La risposta dell’Azerbajgian agli appelli della comunità internazionale per affrontare la questione dei diritti e della sicurezza del popolo del Nagorno-Karabakh è stata una politica coordinata di pulizia etnica. Il blocco illegale del Corridoio di Lachin non è l’unica violazione esplicita della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020. Non c’è quasi una sola clausola nella dichiarazione che l’Azerbajgian non stia violando. Tenendo continuamente in ostaggio i prigionieri di guerra armeni e chiedendo un corridoio extraterritoriale attraverso il territorio sovrano dell’Armenia, l’Azerbajgian non garantisce il ritorno degli sfollati interni e dei rifugiati nel Nagorno-Karabakh e nelle regioni adiacenti sotto la supervisione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati».
Mirzoyan ha sottolineato che l’Azerbajgian continua a diffondere discorsi di odio e retorica bellicosa ai massimi livelli, intraprende regolarmente azioni aggressive e occupa circa 150 chilometri quadrati di territorio sovrano dell’Armenia. «Riteniamo che i nostri colleghi, la comunità internazionale, avranno un ruolo importante, utilizzando i rispettivi strumenti e meccanismi, anche inviando una missione internazionale di accertamento dei fatti nel Corridoio di Lachin e nel Nagorno-Karabakh», ha affermato Mirzoyan. Ha ribadito la disponibilità dell’Armenia per un dialogo costruttivo con l’Azerbaigian in un’atmosfera priva di incitamento all’odio, precondizioni e retorica bellicosa, cercando di raggiungere la pace e la sicurezza nel Caucaso meridionale. Ha aggiunto che l’Armenia ha una forte volontà politica di raggiungere la pace e la stabilità nella regione. Ha affermato che l’Armenia continua il dialogo con l’Azerbajgian nonostante tutte le difficoltà.
I media dell’Azerbaijan hanno riferito che, a seguito dell’avanzata delle forze armate azere del 25 marzo, i territori di due villaggi (abbandonati) sono passati sotto il controllo di Baku. Questo è il distretto di Shushi, dove le forze armate azere non dovrebbero essere. Avanzano sempre di più, passo dopo passo, chilometro dopo chilometro.
I fatti dimostrano che finché l’autocrate Ilham Aliyev è al potere a Baku, il conflitto Armenia-Azerbajgian non può essere risolto, perché proseguirà con l’autocrazia, con il terrorismo, con la guerra, con la pulizia etnica. Il giornalista televisivo armeno David Galstyan ha elencato una serie di osservazioni, che riassumiamo di seguito in italiano.
L’Armenia non ha rivendicazioni territoriali contro l’Azerbajgian. È la tesi inventata da Aliyev per occupare impunemente i territori sovrani di Armenia. L’Armenia ha riconosciuto l’integrità territoriale dell’Azerbajgian, ma non ha riconosciuto l’indipendenza della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh dall’URSS, avvenuta prima dell’indipendenza dell’Azerbajgian dall’URSS. E questo è un gravissimo errore, che costa cara al popolo dell’Artsakh.
L’Armenia propone all’Azerbajgian di avviare un dialogo per discutere della sicurezza e dei diritti degli Armeni del Nagorno-Karabakh attraverso un meccanismo internazionale. L’Azerbajgian rifiuta questo e respinge anche la proposta dell’Armenia di creare un istituto per garantire il trattato di pace. Perché, non è strano? Se l’Azerbajgian volesse la pace, dovrebbe aver acconsentito all’idea di creare un’istituzione garante. Garantirà inoltre l’adempimento degli obblighi dell’Armenia ai sensi del contratto. L’Azerbajgian respinge l’istituzione del garante del trattato di pace, il che dimostra che l’obiettivo dell’Azerbajgian non è stabilire la pace.
L’Azerbajgian ha un piano a lungo termine per rimuovere le forze di mantenimento della pace russe dal Nagorno-Karabakh entro il 2025, impedire il dispiegamento di forze di mantenimento della pace occidentali o internazionali, effettuare la pulizia etnica.
L’Azerbajgian ha bisogno del Nagorno-Karabakh per diversi motivi, economici (l’acqua, i depositi minerarie,…) senza Armeni. Ecco perché oggi l’Azerbajgian si rifiuta di avviare un dialogo con gli Armeni dell’Artsakh attraverso un meccanismo internazionale. Non solo rifiuta il meccanismo internazionale, ma invita anche i rappresentanti degli Armeni dell’Artsakh a Baku. E visto che li considera e dichiara criminali, il loro arresto non è esclusa, anzi da tener ben presente.
Azerbajgian vuole apparire costruttivo di fronte ai paesi occidentali, ma in realtà interrompe i negoziati.
L’autocrate Aliyev non è in grado di garantire i diritti dell’etnia azera, come garantirebbe i diritti degli Armeni, conducendo una politica statale della loro demonizzazione?
La Francia, gli USA, l’Unione Europea non dovrebbe solo fornire spazio per le negoziati, ma anche offrire un piano concreto che implicherebbe una soluzione equilibrata. Lo scoppio della guerra che l’Azerbajgian ha pianificato e che intende iniziare alla prima occasione, deve essere prevenuto ora. L’Azerbajgian deve vedere che la soluzione militare del conflitto nel Caucaso meridionale verrà impedita in modo risolutivo, senno procederà con la soluzione finale del conflitto con il Nagorno-Karabakh prima, poi con l’Armenia poi, e infine degli Armeni.
Garantire la sicurezza continua a essere il problema principale per la scuola elementare di Taghavard-Kaler della regione di Martuni della Repubblica di Artsakh, mentre continua il suo lavoro educativo sotto il fuoco nemico diretto. La preside, Margarita Sahakyan, ha dichiarato ad Artsakhpress: «Il cortile della scuola è sotto il fuoco nemico diretto, ma continuiamo le nostre lezioni in queste condizioni. Le lezioni di educazione fisica si tengono nel cortile, anche se è pericoloso. Io stesso esco sempre in cortile e rimango accanto agli studenti fino alla fine della lezione”, ha detto Sahakyan. ”Prima della guerra dei 44 giorni, la scuola aveva 54 alunni e oggi 36. Una parte degli alunni è rimasta con le loro famiglie a Stepanakert, e alcuni di loro, tenendo conto del pericolo, frequentano la scuola della vicina comunità di Karmir Shuka”. Per Sahakyan, la cosa più importante per gli insegnanti e gli alunni in questo momento è l’instaurazione di una pace duratura. “Non abbiamo altra scelta, dobbiamo restare e continuare a vivere nella nostra terra, continuare a educare i nostri alunni. Oltre ad essere alunni, sono anche combattenti che, ignorando la paura, frequentano la scuola ogni giorno con grande amore per imparare qualcosa di nuovo”, ha riassunto Sahakyan.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-03 13:29:472023-04-06 13:30:14Centotredicesimo giorno del #ArtsakhBlockade – Continuazione. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve garantire la normale attività di vita in Artsakh (Korazym 03.04.23)
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