Trentaduesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Oggi a Baku Italia firma un protocollo per ampliare la cooperazione militare con Azerbajgian (Korazym 12.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.01.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi, entrando nel secondo mese del criminale blocco azero del Corridoio di Berdzor (Lachin), non viene segnalata nessun cambiamento nella situazione. Tutto il traffico (di persone e merce) da e per la parte ancora libera della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh rimane interrotto dal 12 dicembre 2022. Passano solo veicoli del contingente di pace russi e del CICR. La #StradaDellaVita, lungo il segmento di Shushi dell’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, è chiuso da sedicenti “eco-attivisti” organizzati e pagati dal regime autoritario dell’Azerbajgian, sostenuti dalla polizia azera e sotto l’occhio vigile delle forze armate azere. Inoltre, l’Azerbaigian da tre giorni non consente l’esecuzione di lavori di riparazione dell’unica linea ad alta tensione che alimentava l’Artsakh dall’Armenia. Inoltre, oggi l’Azerbaigian vicino al blocco ha tagliato il cavo in fibra ottica che fornisce internet all’Artsakh dall’Armenia. Non c’è più Internet via cavo e la telefonia mobile funziona male con forti disturbi. L’Azerbajgian sta attivamente distruggendo l’infrastruttura civile dell’Artsakh.

Mentre perdura questa situazione da più di un mese, oggi a Baku una delegazione ministeriale italiana è andata a firmare un protocollo per l’ulteriore ampliamento della cooperazione militare con l’aggressore Azerbajgian.

Il Ministro della Difesa dell’Azerbajgian, il Colonello Generale Zakir Hasanov [*], oggi ha ricevuto a Baku – con tutti gli onori militari – una delegazione guidata dal Ministro della Difesa della Repubblica Italiana, Guido Crosetto. Durante l’incontro sono state discusse l’ulteriore ampliamento della cooperazione tra l’Azerbajgian e l’Italia nei campi militari, istruzione militare e tecnico militare, così come altre questioni di reciproco interesse. I Ministri hanno firmato un protocollo sull’intenzione di cooperazione nel campo dell’istruzione e della formazione.

L’agenzia di stampa azera Azeri-Press Agency (APA) cita la nota diffusa dal Ministero della Difesa dell’Azerbajgian, precisando che le parti hanno firmato un protocollo d’intenti finalizzato a promuovere la cooperazione nel campo della formazione e dell’istruzione militare. La nota sottolinea inoltre, che Crosetto e Hasanov hanno valutato positivamente l’andamento della cooperazione militare tra l’Italia e l’Azerbajgian, che prosegue rapidamente anche nell’ambito della NATO. Il Ministro Crosetto e la delegazione italiana sono stato accolto con una cerimonia presso il ministero della Difesa di Baku, dove ha siglato il Libro d’Onore. L’agenzia di stampa statale dell’Azerbajgian Azertag ha diffuso il video della visita.

Il 12 gennaio il Ministro della Difesa della Repubblica di Azerbaigian, Colonnello Generale Zakir Hasanov, ha incontrato una delegazione guidata dal Ministro della Difesa della Repubblica Italiana, Dott. Guido Crosetto. In primo luogo, si è tenuta una solenne cerimonia di benvenuto presso il Ministero della Difesa. I Ministri della Difesa di entrambi i Paesi hanno fatto la rassegna della guardia d’onore e sono stati eseguiti gli inni nazionali dell’Azerbaigian e dell’Italia.

Successivamente, informa Azertag, il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha ricevuto il Ministro della Difesa italiano.

Il Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ha ricevuto il Ministro della Difesa italiano Guido Crosetto. Affermando che le relazioni bilaterali italo-azerbajgiane basate sul partenariato strategico si stanno sviluppando con successo, il Presidente Ilham Aliyev ha sottolineato l’importanza delle visite reciproche ad alto livello a questo riguardo, e ha ricordato la sua recente visita in Italia.

[*] Entrato in carica come Ministro della Difesa il 22 ottobre 2013, il Colonnello Generale Zakir Hasanov ha rilasciato dichiarazioni in merito al conflitto del Nagorno-Karabakh. Tra altro ha affermato che l’esercito azero era forte e disciplinato rispetto a quello armeno e che “la situazione nelle forze armate armene è disastrosa. In caso di guerra le truppe di questo Paese scapperanno dal campo di battaglia”. Ha anche detto all’Unione Europea che il suo Paese avrebbe sostenuto la liberazione pacifica delle sue terre, ma ha sottolineato nel contempo, che l’Azerbajgian si riservava il diritto di liberare “le sue terre occupate”. Contemporaneamente, il Rappresentante speciale per il Caucaso meridionale dell’Unione Europea, Philippe Lefort, si è congratulato con lui per la sua nomina.

Diverse organizzazioni internazionali hanno risposto alla mossa dell’Azerbaigian di chiudere il Corridoio di Berdzorg/Lachin, ma è tempo di passare dalle parole ai fatti, ha detto il Difensore dei diritti umani dell’Artsakh, Gegham Stepanyan: «È molto importante, altrimenti nella situazione attuale ci troviamo di fronte alla pulizia etnica, le vite delle persone sono direttamente in pericolo. Un mese dopo il blocco, possiamo affermare che abbiamo a che fare con violazioni sistematiche dei diritti umani su larga scala e coerentemente attuate, che in un’altra lingua o nella lingua del diritto internazionale viene definita un crimine contro l’umanità. Sì, questo è un crimine e i fatti parlano chiaro. L’Azerbajgian porta avanti la pulizia etnica e le politiche di genocidio al più alto livello».

Riferendosi alle diffuse violazioni dei diritti umani, Stepanyan ha detto: «Il Patto internazionale sui diritti sociali, economici e culturali stabilisce chiaramente il diritto di ogni persona e della sua famiglia a una corretta alimentazione e a un adeguato tenore di vita, il che significa avere accesso fisico ed economico al cibo e alle sue provviste, cure mediche, operazioni programmate, che non può essere eseguita correttamente in tali condizioni. 120.000 persone sono direttamente private di questi diritti per un mese. E in quale altro modo possiamo chiamare questo, se non un crimine». Stepanyan ha sottolineato che lo stesso diritto internazionale, lo Statuto di Roma, afferma chiaramente che costringere le persone a morire di fame è considerato un crimine di guerra.

Riferendosi al diritto alla libera circolazione, Stepanyan ha osservato che esso è sancito anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «Vi è chiaramente registrato che una persona ha il diritto di essere trasportata da un luogo all’altro. Inoltre, con la Dichiarazione [Tripartita di cessate il fuoco] del 9 novembre 2020, l’Azerbajgian si è assunto la responsabilità e l’obbligo di garantire la circolazione sicura nei due sensi di persone e merci attraverso il Corridoio di Lachin, e da un mese ormai l’Azerbajgian non ha adempiuto direttamente alle proprie responsabilità».

Parlando di famiglie separate, alcune delle quali sono in Artsakh e altre in Armenia, Stepanyan ha osservato che ogni persona ha diritto alla vita familiare, e in questo caso vede che anche questo diritto è sotto minaccia diretta.

Riferendosi ai diritti dei gruppi vulnerabili, in particolare i bambini, Stepanyan ha osservato che 30.000 bambini nell’Artsakh oggi sono privati del diritto a un ambiente sicuro e protetto, a un’alimentazione sana e a un’assistenza sanitaria di alta qualità definita dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia. «E la reazione internazionale in questa materia dovrebbe essere molto chiara, altrimenti ci troviamo davvero di fronte a una crisi e un disastro umanitario molto grandi», ha concluso Gegham Stepanyan.
Richiamando il giudizio del Difensore dei diritti umani dell’Artsakh, in quale altro modo possiamo chiamare questo che il Ministro Crosetto è andato a compiere oggi a Baku, entrando nel secondo mese del blocco azero dell’Artsakh, se non collaborazione con un crimine?

Gegham Stepanyan aveva chiesto ieri: «Amnesty International, sei d’accordo con il blocco di 120.000 persone dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian? È passato un mese, siamo sull’orlo di un disastro umanitario e senza una vostra parola». E prontamente l’Ufficio Stampa di Amnesty International ha risposto, finalmente, di no.

E se ne vanta senza vergogna.

Oggi, poniamo la stessa domanda al Ministro della Difesa italiana: «Guido Crosetto, lei è d’accordo con il blocco di 120.000 persone dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian? È passato un mese, siamo sull’orlo di un disastro umanitario e lei è andato a Baku a firmare un protocollo di cooperazione con l’esercito del dittatore Ilham Aliyev, che lei è pure andato ad ossequiare, portando i saluti del Presidente del Consiglio dei Ministri e Capo del partito di cui lei è un cofondatore».

«Narek è un bambino di 8 anni dell’Artsakh. Da un mese è in blocco con altri 30.000 bambini a causa dell’Azerbajgian. Ma non è abbastanza. Ora le persone in Artsakh sono tagliate fuori dall’elettricità. L’Azerbajgian non permette di riparare il collegamento proveniente dall’Armenia. Dunque, Narek deve studiare così!» (Tatevik Hayrapetyan).

«Liza, questa ragazzina deve dipingere sotto questa luce perché la gente dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh ora ha periodiche interruzioni di elettricità. L’Azerbajgian ha danneggiato i cavi elettrici che attraversano il territorio che è sotto il loro controllo e non consente ai nostri elettricisti di ripararli» (Yana Avanesyan).

Dopo un mese di #ArtsakhBlockade imposto dall’Azerbajgian, 41 scuole materne, 56 gruppi prescolari, 20 istituzioni educative di base sono chiuse. Di conseguenza, 6.828 bambini sono privati dell’opportunità di ricevere cure, cibo e istruzione in modo adeguato.

«Azerbaijan must end the blockade of the Lachin corridor, which has left residents of Nagorno Karabakh without access to essential goods and services. Freedom of movement and protection of economic and social rights for those affected must be ensured» [L’Azerbajgian deve porre fine al blocco del Corridoio di Lachin, che ha lasciato i residenti del Nagorno-Karabakh senza accesso a beni e servizi essenziali. Occorre garantire la libertà di movimento e la tutela dei diritti economici e sociali delle persone colpite] (amnestypress @amnestypress – Twitter, 11 gennaio 2023).

Finalmente ad Amnesty International si sono svegliati, nel 31° giorno del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin). -Meglio tardi che più tardi? Troppo tardi e troppo poco.Perché non c’è una dichiarazione UFFICIALE di Amnesty International sul account Twitter ufficiale @amnesty? Comunque, un Tweet non è abbastanza.

“Perché i regimi autoritari hanno così tanta paura dell’Europa? Non facciamo la guerra, non imponiamo il nostro modello. Allora perché? I nostri valori li fanno paura”. La domanda di David Sassoli ora sembra una profezia. A un anno dalla sua scomparsa, il ricordo di David ci scalda ancora il cuore e ci mostra la strada.
Lui non mostra paura, mentre lei “mostra la strada”, firmando gli accordi per acquisto di gas (russo, “ripulito” nella lavatrice a gettoni azera).

Ursula von der Leyen ha ragione. I dittatori non devono aver paura della Commissione Europea, perché mina i suoi stessi valori di democrazia e diritti umani, ignorando i genocidi in corso, come quello armeno nell’Artsakh.

La chiusura del Corridoio di Lachin è una provocazione, il cui obiettivo finale è una nuova escalation militare, ha detto il Primo Ministro della Repubblica di Armenia, Nikol Pashinyan, durante la riunione del governo di oggi: «Uno degli obiettivi di questa provocazione ed escalation è nascondere l’ovvia necessità di un dialogo politico e ufficiale tra Baku e Stepanakert e spingerlo fuori dall’agenda. Non dovrebbero essere intraprese azioni che contribuiscano alla soluzione di questo problema provocatorio». Pashinyan ritiene necessario che la diplomazia, tutte le istituzioni e gli ambienti con relazioni estere raddoppino gli sforzi per aumentare la visibilità internazionale della crisi umanitaria in Nagorno-Karabakh e farne oggetto di discussione in varie occasioni. «Molto lavoro è stato fatto in questo senso, ma ne serve di più», ha aggiunto Pashinyan.

Pashinyan ha detto, che il gruppo di lavoro formatosi in Armenia per sostenere il popolo dell’ Artsakh/Nagorno-Karabakh nella gestione della crisi umanitaria instauratasi nel Paese, dovrebbe continuare ad adottare possibili misure per risolvere i problemi operativi che si presentano.

Innanzitutto, Pasinyan ha sottolineato che il blocco illegale del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian va avanti da 32 giorni. Anche la linea di alta tensione che fornisce energia elettrica all’Artsakh/Nagorno-Karabakh dall’Armenia è stato interrotta. L’interruzione si è verificato nel territorio sotto il controllo dell’Azerbajgian e fino a questo momento né i servizi competenti dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh né le forze di mantenimento della pace russe hanno avuto l’opportunità di eseguire lavori di riparazione, né vi sono informazioni sull’attuazione o sull’avanzamento dei lavori di riparazione. L’interruzione della fornitura di energia elettrica all’Artsakh/Nagorno-Karabakh ha creato nuovi problemi. Le capacità di fornitura di correnti locali sono insufficienti. Le scuole materne funzionano in modo incompleto, anche a causa della mancanza di cibo. Le attività economiche stanno chiudendo, aggravando ulteriormente la situazione sociale in Artsakh/Nagorno-Karabakh. «La mia valutazione rimane la stessa, che il blocco illegale dell’Azerbajgian del Corridoio di Lachin mira a spezzare la volontà degli Armeni del Nagorno-Karabakh di vivere nella loro patria. Ma credo che quella volontà sia indistruttibile», ha detto Pashinyan.

Pashinyan ha sottolineato, che è necessario anche avere un’idea certa di come si dovrebbe risolvere questa situazione. «Secondo me, anche su questo argomento la reazione del popolo e del governo del Nagorno-Karabakh dovrebbe essere asimmetrica. Cosa significa questo? Gli sviluppi degli ultimi anni, i loro profondi significati e le loro ragioni dovrebbero essere affrontati nella prospettiva che le nostre valutazioni di eventi e situazioni dovrebbero essere basate sui fatti. A questo proposito, prima di tutto, dovremmo evitare dichiarazioni politiche che rendano ancora più difficile la situazione, perché non servono dichiarazioni che non siano accompagnate da idee chiare per arrivare alla soluzione».

Pashinyan ha aggiunto, che una conversazione politica tra l’Azerbajgian e il Nagorno-Karabakh dovrebbe iniziare dopo. “E i nostri partner in Nagorno-Karabakh non dovrebbero permettere a nessuno di accusarli di interrompere una conversazione costruttiva o di rendere tale conversazione impossibile”, ha concluso Pashinyan.

Il Presidente dell’Assemblea nazionale dell’Artsakh, Artur Tovmasyan, ha dichiarato: «Il 12 gennaio è stato raggiunto il 32° giorno del blocco della Repubblica di Artsakh, il primo mese di calendario è stato completato. L’Azerbajgian sta intensificando sempre più la pressione. Già da 4 giorni, l’unica linea elettrica che alimenta l’Artsakh dall’Armenia è stata interrotta e la parte azera sta ostacolando l’attuazione dei suoi lavori di ripristino. Tali sviluppi non erano inaspettati per noi. Abbiamo poche possibilità di resistere a un inverno rigido. Quello che vuole il potere politico-militare dell’Azerbajgian è chiaro, e anche quello che vuole il popolo dell’Artsakh. La situazione difficile continua in Artsakh. La crisi si sta aggravando a causa del blocco. I negoziati politici e umanitari tra le Repubbliche di Azerbajgian e di Artsakh possono svolgersi solo in un’atmosfera di reciproca fiducia. Purtroppo quel clima oggi manca, inoltre il blocco ha ulteriormente allontanato le parti dalla possibilità di avviare trattative di questo tipo. A questo proposito, ci attendiamo il sostegno della comunità internazionale, in particolare dei paesi co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE. Il popolo dell’Artsakh è indistruttibile».

Durante una videoconferenza Yerevan-Stepanakert oggi, 12 gennaio 2023, dal tema “Un mese di accerchiamento”, il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan, ha sottolineato che la lotta del popolo dell’Artsakh in presenza del blocco del Corridoio di Lachin non è solo una lotta contro il blocco, ma una lotta per il diritto più importante, il diritto a vivere sulla propria terra. «Siamo al 32° giorno sotto assedio. Ciò significa che abbiamo problemi con il cibo, con le infrastrutture, con le medicine e così via. Ci sono persone che, purtroppo, sono morte e non possono essere seppellite», ha detto Vardanyan. Riferendosi alle affermazioni della parte azera secondo cui non ci sono problemi nell’Artsakh, il Ministro di Stato ha risposto che semplicemente non vogliono accettare la realtà. Secondo i calcoli della parte azera, 400 auto sono passate attraverso il Corridoio in questo mese e ancora più auto sono passate in un giorno prima del blocco che durante l’intero mese. Pertanto, la parte azera conferma con le sue dichiarazioni che c’è una crisi nell’Artsakh. Vardanyan ha menzionato una serie di problemi, incluso il fatto che ci sono famiglie separate a causa della chiusura del Corridoio di Lachin. Ci sono problemi ovunque. «Ma allo stesso tempo, voglio dire che tutto questo ci ha uniti di più. Le persone, lo Stato si sono uniti in questo momento difficile. Rendendosi conto della gravità della situazione, si è risvegliato in noi lo spirito per superare le difficoltà. La manifestazione del 25 dicembre 2022 e gli incontri svoltisi nelle regioni, hanno dimostrato che la gente è pronta a stare al nostro fianco e sopportare tutto questo. Questa non è una lotta contro il blocco, ma una lotta per il nostro diritto più importante, che abbiamo il diritto di vivere sulla nostra terra, nella nostra patria, con le nostre leggi, con i nostri valori e non dovremmo essere soggetti alle condizioni di qualcun altro. Le persone sono determinate in questa materia e la loro determinazione sta diventando ogni giorno più forte”, ha affermato il Ministro di Stato.

Affrontando la questione di cosa esattamente ci si aspetta dall’Armenia, Vardanyan vede la necessità di ulteriori passi e sostegno sia da parte dell’Armenia che della diaspora armena nelle condizioni del blocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian. Ha detto che le persone non capiscono al 100% cosa sia il blocco. Ha sottolineato che le ONG armene dovrebbero rivolgersi a varie strutture internazionali, rilevando i diritti umani e altre varie violazioni da parte dell’Azerbajgian. La reazione delle ONG, degli organi statali e dell’Assemblea nazionale dell’Armenia avrebbe dovuto suonare più forte, perché è molto difficile far sentire la voce dell’Artsakh nel mondo. «Sia la diaspora armena che l’Armenia dovrebbero capire che questa non è una situazione normale, questa è una situazione che richiede passi straordinari ed è necessario esprimere tutto questo in modo più forte», ha affermato Vardanyan.

«Il governo dell’Armenia ha già annunciato la sua posizione. Sostiene finanziariamente e legalmente e afferma che fa molto, che non possono fare di più. Non importa cosa ci aspettiamo, hanno dato la loro risposta che possono fare così tanto. Siamo grati per questo, abbiamo solo bisogno di più aiuto in questa situazione», ha detto Vardanyan.

Riferendosi agli impegni delle forze di mantenimento della pace russe, i Ministro di Stato dell’Artsakh auspica che la Russia abbia una partecipazione politica più attiva nella risoluzione della questione del blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian. «Vediamo come gli Azeri trattano le forze di mantenimento della pace russe in un modo molto brutto e inaccettabile, come le prendono in giro. In ogni modo, stanno provocando le forze di mantenimento della pace russe a usare la forza in qualche modo”, ha detto. Tuttavia, Vardanyan ha ricordato che il mandato delle forze di mantenimento della pace russe è limitato in termini di uso delle armi e della forza. «La crisi è davvero grave. E ci aspettiamo una partecipazione politica più attiva della Russia. Questi non sono i problemi delle forze di mantenimento della pace russe, ma di Mosca e Yerevan», ha affermato il Ministro di Stato.

Il Portavoce del Ministero degli Esteri della Federazione Russa, Maria Zakharova ha affermato che la Russia continua a lavorare per il completo sblocco del Corridoio di Lachin, secondo la dichiarazione tripartita dei leader di Armenia, Azerbajgian e Russia del 9 novembre 2020. «Il Ministero dell’Interno, il Ministero della Difesa e le forze di mantenimento della pace stanno adottando misure coerenti per la riduzione dell’escalation. È necessario trovare una soluzione accettabile per tutte le parti. Attualmente, i convogli che trasportano aiuti umanitari passano attraverso il Corridoio», ha detto Zakharova. Allo stesso tempo, ha sottolineato che gli attacchi pubblici e le provocazioni contro le forze di mantenimento della pace russe sono inaccettabili per la parte russa. «Questo processo può danneggiare in modo significativo la convivenza armeno-azerbaigiana», ha aggiunto Zakharova. Per quanto riguarda la mancata adozione di una dichiarazione congiunta dopo la discussione sul Corridoio di Lachin nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Zakharova ha affermato che gli autori francesi della dichiarazione hanno ignorato le proposte della Russia. “È stato sottolineato che, nonostante la nostra disposizione costruttiva, gli autori francesi del documento hanno ignorato la stragrande maggioranza delle proposte russe. I nostri colleghi occidentali non hanno trovato il coraggio di dichiarare i fatti nel testo. In particolare, da citare la dichiarazione tripartita dei leader di Armenia, Russia e Azerbajgian, che è il pilastro fondamentale dell’accordo armeno-azerbaigiano. In ogni caso, non saremo impegnati con il populismo, ma con il lavoro oggettivo di regolare la situazione attorno al Corridoio di Lachin”, ha affermato Zakharova.

La presenza della forza di mantenimento della pace russa è una delle principali garanzie che impedisce al tandem turco-azerbaigiano di portare a termine i propri piani di spopolamento dell’Artsakh, ha detto il neo Ministro degli Esteri della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Sergey Ghazaryan, durante la videoconferenza Yerevan-Stepanakert dal tema “Un mese di accerchiamento” di oggi. «In questa particolare situazione, uno dei principali obiettivi perseguiti dalla parte azera era quello di sollevare un’ondata di malcontento tra la popolazione armena [dell’Artsakh] nei confronti delle forze di mantenimento della pace russe. L’Azerbajgian sta cercando in ogni modo possibile di screditare le attività delle forze di mantenimento della pace russe», ha affermanto Ghazaryan. Ha sottolineato che il ruolo delle forze di mantenimento della pace russe sta diventando più importante nella situazione attuale, perché l’Azerbajgian sta impedendo in ogni modo l’importazione di cibo e medicine nell’Artsakh, e le forze di mantenimento della pace russe sono coinvolte per importare beni essenziali nella Repubblica di Artsakh.

Riferendosi ai cittadini che non possono tornare in Artsakh a causa del blocco, che si trovano attualmente in Armenia, il Ministro degli Esteri dell’Artsakh ha affermato che sia l’Ufficio di rappresentanza permanente dell’Artsakh in Armenia, che molte strutture partner hanno risposto ai loro problemi. I cittadini impossibilitati a tornare in Artsakh si trovano principalmente a Goris e anche a Yerevan. Ghazaryan ha fatto riferimento al lavoro attivo in corso con il gruppo di lavoro creato dal governo della Repubblica di Armenia per risolvere i loro problemi.

Parlando della reazione internazionale, Ghazaryan ha ricordato la sessione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU convocata il 20 dicembre su richiesta dell’Armenia, in cui sono state espresse posizioni concrete, rivolte all’Azerbajgian per fermare il blocco. «Inoltre, ci sono state dichiarazioni concrete fatte da Francia, Stati Uniti, Irlanda e altri Paesi, da organizzazioni internazionali. Il nostro messaggio principale è il seguente: il blocco dell’Artsakh non è solo un problema del popolo armeno. Questo è il problema dell’intero mondo civilizzato e avanzato», ha sottolineato Ghazaryan.

Il Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ha rilasciato una dichiarazione in merito al mese di blocco dell’Azerbajgian dell’Artsakh e dei suoi 120.000 abitanti nel 2020, in continuazione della guerra dei 44 giorni, un attacco su vasta scala contro il popolo dell’Artsakh:

«Il 12 dicembre 2022 le autorità azere, violando gravemente le disposizioni della dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, hanno bloccato il Corridoio di Lachin che collega l’Artsakh con l’Armenia e il mondo esterno.
Di conseguenza, la carenza di beni di prima necessità, medicinali, cibo e carburante nella Repubblica peggiora di giorno in giorno. Per intensificare l’effetto distruttivo del blocco, l’Azerbajgian ha chiuso la fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh attraverso i territori da essa occupati. Successivamente, la fornitura di gas è stata ripristinata, ma il 9 gennaio 2023 la fornitura di elettricità dall’Armenia è stata interrotta attraverso l’unica linea ad alta tensione Goris-Stepanakert, che attraversa anche il territorio occupato dall’Azerbajgian. Fino ad oggi, l’Azerbajgian sta deliberatamente ostacolando i lavori di ripristino di emergenza, il che dimostra la premeditazione dei suoi passi. Pertanto, le azioni dell’Azerbajgian hanno messo l’Artsakh, che ha una popolazione di 120.000 abitanti, sull’orlo di un disastro umanitario.
L’assedio dell’Artsakh è una continuazione diretta dell’aggressione militare scatenata nel 2020 contro la Repubblica di Artsakh e il suo popolo dall’Azerbaigian con la partecipazione diretta di organizzazioni terroristiche dalla Turchia e dal Medio Oriente. Incapace di espellere il popolo dell’Artsakh dalla propria patria con mezzi militari, sin dall’istituzione del cessate il fuoco, l’Azerbajgian ha compiuto continui tentativi di raggiungere i propri obiettivi criminali con metodi meno ovvi, ma non meno disumani.
La totalità dei passi compiuti dall’Azerbajgian e le dichiarazioni ufficiali che rivelano le reali intenzioni della sua massima leadership di Baku, dimostrano che il blocco della Repubblica di Artsakh è un altro strumento della politica dell’Azerbajgian volto a distruggere il popolo dell’Artsakh. Creando deliberatamente condizioni di vita insopportabili, l’Azerbajgian mira a minare la comunanza e l’integrità del popolo dell’Artsakh, forzando l’alienazione dalla sua patria storica e il rifiuto di realizzare i propri diritti collettivi».

Le azioni dell’Azerbaigian sono senza dubbio la continuazione della sua politica di genocidio, afferma il Ministero degli Esteri dell’Artsakh, esortando gli Stati, agendo sia individualmente che nell’ambito delle organizzazioni internazionali, in conformità con il loro impegno universale per la protezione dei diritti umani e la prevenzione del crimine di genocidio, ad adottare tutte le misure necessarie per prevenire immediatamente gli atti di genocidio condotta sistematicamente dall’Azerbajgian contro il popolo dell’Artsakh, in un clima di assoluta impunità. «La comunità internazionale ha gli strumenti necessari e tutte le basi legali per intervenire nella situazione in Artsakh, che si deteriora di giorno in giorno. Nel contesto del disastro imminente, l’inerzia della comunità internazionale è inaccettabile, anche perché considerata dalle autorità azere come un silenzioso incoraggiamento alle loro azioni criminali», conclude il comunicato del Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Pro memoria

«Il blocco del Corridoio di Lachin è una atto di guerra contro gli Armeni dell’Artsakh». Lo ha scritto il Vicedirettore del prestigioso quotidiano francese Le Figaro, Jean-Christophe Busson, in un post sul suo account Twitter.

La bandiera russa continua a sventolare con le forze di mantenimento della pace russe che presidiano le postazioni nel Corridoio… il blocco. Ciò significa che i 120.000 cittadini Armeni Cristiani (tra cui 30.000 bambini e 20.000 anziani) dell’Artsakh sotto assedio vengono tenuti in ostaggi, con mancanza di cibo, carburante, medicine e altri beni di prima necessità. Le uniche merci che arrivano attraverso il blocco, vengono portate con i camion del contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa, ovviamente non in quantità necessaria.

Ora siamo a un punto in cui la comunità internazionale deve agire e forzare l’apertura del Corridoio, o riconoscere che nulla è realmente cambiato dai massacri di Rwanda e Srebrenica, e che nel vicinato orientale dell’Unione Europea si può lasciar morire di fame e di freddo un’intera popolazione nel XXI secolo.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI].

Erevan, sotto il blocco azero, mette in discussione l’alleanza con Mosca (Il Manifesto 12.01.23)

NAGORNO-KARABAKH. Putin in crisi sul fronte azero-armeno: da quando la Russia con l’aggressione all’Ucraina si è impelagata nel confronto diretto con la Nato, è cresciuta la sua dipendenza dal tandem Ankara-Baku. Il premier dell’Armenia Pashinjan: «Ora le truppe russe non ci difendono e sono una minaccia»

Da un mese l’enclave armena del Nagorno-Karabakh (NK) è sottoposta a gravi interruzioni delle comunicazioni e delle forniture primarie di cibo e medicinali da parte dell’Azerbaigian. Attivisti civili appoggiati da Baku ostruiscono il cosiddetto Corridoio di Lachin, «cordone ombelicale» che connette queste comunità in Azerbaigian con lo stato armeno.

Lunedì l’unica linea elettrica fra le due parti è stata interrotta in seguito ad un incidente e gli azeri hanno ostacolato la rimessa in funzione causando interruzioni nell’erogazione.

RICONOSCIUTA dal diritto internazionale, per 26 anni la sovranità azera sul NK è stata contestata dal governo separatista dell’«Artsakh». A fine 2020, dopo anni di retorica irredentista e riarmo, Baku ha investito e sconfitto i ribelli con il supporto della Turchia. Un provvisorio modus vivendi è stato impostato intorno alla presenza di una forza d’interposizione russa con mandato di protezione della popolazione restante (circa 100.000) e garanzia delle comunicazioni tramite il Lachin.

Tuttavia, da quando la Russia con l’aggressione all’Ucraina si è impelagata nel confronto diretto con la Nato, è cresciuta la sua dipendenza dal tandem Ankara-Baku così che gli azeri hanno alzato il livello della pressione sull’Armenia.

Baku vuole che Erevan rinunci definitivamente ad ogni pretesa oltre le sue frontiere e acconsenta all’apertura di un asse di collegamento con la Turchia, il corridoio di Zangezur. Nella seconda metà del 2022 c’è stato uno stillicidio di attacchi azeri a cui le forze russe hanno assistito impotenti.

LA PASSIVITÀ DI MOSCA ha alimentato in Armenia un fronte di critici dell’alleanza fra i due paesi, formalizzata nelle due strutture integrative russe per l’ex-Urss, l’Unione Eurasiatica e l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva della Csi (Otsc).

Si segnalano nelle proteste gli estremisti di destra del «Polo nazional-democratico» (Pnd) che spingono per un confronto militare conl’Azerbaigian,, e che ieri hanno manifestato di fronte all’ambasciata russa. Domenica nella città di Gjumri, sede al confine con la Turchia della principale base militare russa a Sud del Caucaso, gli attivisti Pnd hanno circondato la struttura militare contro la «colonizzazione russa».

La situazione è molto difficile per il governo del premier Nikol Pashinjan, assurto al potere nel 2019 con una piattaforma pro-occidentale e ritrovatosi poi a dover proseguire l’allineamento pro-russo fra l’incudine turco-azera ed il martello dei nazionalisti interni. Questa settimana Pashinjan ha tuttavia dato sfogo verbalmente a tutte le inquietudini che attagliano l’Armenia, dichiarando che «la presenza militare russa non solo non garantisce la sicurezza armena, ma costituisce una minaccia».

Erevan ha inoltre informato che le manovre militari dell’Otcs, previste per quest’anno in Armenia, non avranno luogo. Pashinjan ha anche affermato di essere pronto a firmare un documento sulla risoluzione del conflitto in cui l’Armenia riconoscerà la sovranità di Baku sul NK. Allo stesso tempo il premier ha parlato di un possibile appello al Consiglio di Sicurezza Onu perché i caschi blu sostituiscano il contingente russo dopo la scadenza del mandato nel 2025.

LA UE, SEMPRE PRONTA a tentare di sostituirsi all’influenza russa nell’ex-Urss, sta anche preparando una missione civile di osservatori in Armenia. La Francia di Macron (dove la diaspora armena conta in termini elettorali) preme per un maggior coinvolgimento di Bruxelles a favore di Erevan, fatto che provoca le ire di Baku verso Parigi.

Nonostante l’intensificarsi delle dichiarazioni e delle manovre diplomatiche, è difficile che Pashinjan possa far seguire alle parole sviluppi qualitativamente nuovi. Dopo aver rifiutato per anni un compromesso con le posizioni azere, l’Armenia è ora ostaggio della situazione creata sul campo dal conflitto del 2020, stretta nella morsa turco-azera che la obbliga a cercare il supporto russo.

Sempre più connessi in termini energetici con l’Azerbaigian, anche gli attori occidentali hanno poco da offrire. Dal canto suo, la Russia è interessata a frenare le ambizioni turco-azere mantenendo le sue basi sul campo. Da qui una certa tendenza a giocare una commedia degli equivoci con Erevan e Baku di cui però subiscono le conseguenze i civili del Karabakh.

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Perché tutti tacciono sull’epurazione etnica degli armeni nel Nagorno-Karabakh (Il Sussidiario 11.01.23)

L’obiettivo dell’Azerbaijan è ripulire della presenza armena gli ultimi 3-4mila kmq che ancora resistono alla sua sovranità. Per questo hanno chiuso il gasdotto e da un mese impediscono militarmente qualsiasi rifornimento alimentare ai 120.000 abitanti della Repubblica di Artsakh.

In teoria il corridoio di Lachın – e dunque il rifornimento – dovrebbe essere protetto e garantito dalla 15esima Brigata di fanteria motorizzata dell’Esercito russo, in base agli accordi di pace del 2020, ma i soldati di Putin sembrerebbero impotenti di fronte a un’azione di forza dei militari di Baku, travestiti da sedicenti e improbabili attivisti per l’ambiente, che bloccano l’unica strada che collega l’Armenia all’Artsakh.

I negozi sono vuoti da tempo a Stepanakert e siamo in presenza di una tragedia umanitaria per una popolazione che non si può alimentare e riscaldare e nemmeno   trasferire i malati più gravi nell’ospedale della capitale armena.

Eppure un fragoroso silenzio della comunità internazionale accompagna questo disastro. Persino i media ignorano la vicenda. L’unica voce levatasi è stata quella del Papa nell’Angelus del 18 dicembre e a Natale, a cui si è aggiunto un manipolo di intellettuali francesi  su Le Figaro.

La ragione di questa silente complicità appare essere tutta geopolitica. L’Azerbaijan è forte dell’alleanza con Turchia e Israele, a cui vende petrolio a copertura di un terzo del suo fabbisogno energetico e a cui fornisce logistica di spionaggio sull’Iran. L’Unione Europea, che pure a ottobre aveva deciso di mandare inviati alla frontiera armena per favorire un piano definitivo di pace, preferisce non disturbare il governo di Aliyev con cui ha appena stretto accordi per una fornitura di 12 miliardi di metri cubi di gas a sostituzione di quello russo. Peccato che nel frattempo gli azeri abbiano stretto la mano a Gazprom per importare 1 miliardo di metri cubi di gas russo per poter onorare il contratto con l’Unione Europea, con tante grazie di Putin che aggira così l’embargo occidentale.

Tra tutti questi interessi chi resta stritolata è proprio la popolazione armena dell’Artsakh, vittima sacrificale di un possibile accordo finale che cancellerebbe l’indipendenza di quella Repubblica e – in cambio della sopravvivenza di un minimo di autonomia e del ripristino del varco di Lachın – costringerebbe il governo armeno ad aprire un analogo corridoio nel sud presso Meghri per consentire alla exclave dell’Azerbaijan – il Nakhchıvan – di commerciare  via terra con la madre patria senza dover più passare per l’Iran.  Ma nulla garantisce che, un secolo dopo il genocidio armeno, l’obbiettivo finale non sia l’Artsakh ma la stessa Armenia!

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Trentunesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Ogni giorno in più avvicina Aliyev al raggiungimento del suo obiettivo: la pulizia etnica degli Armeni in Artsakh (Korazym 11.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.01.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi, andando verso la conclusione di un mese di blocco illegale del Corridoio di Berdzor (Lachin), non viene segnalata nessun cambiamento nella situazione. Tutto il traffico (di persone e merce) da e per la parte ancora libera della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh rimane interrotto dal 12 dicembre 2022. La #StradaDellaVita, lungo il segmento di Shushi dell’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, è chiuso da sedicenti “eco-attivisti” organizzati e pagati dal regime autoritario dell’Azerbajgian, sostenuti dalla polizia azera e sotto l’occhio vigile delle forze armate azere. Inoltre, l’Azerbaigian continua a non consente l’esecuzione di lavori di riparazione dell’unica linea ad alta tensione che alimentava l’Artsakh dall’Armenia.

L’Azerbajgian, la cui economia è completamente basata sulla produzione ed esportazione di idrocarburi, e che contribuisce al riscaldamento globale che sta devastando il nostro pianeta, una dittatura guerrafondaia dove ogni minimo movimento di protesta è represso dalla polizia, sta soffocando gli Armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh organizzando un assedio con slogan come “stop all’ecocidio”, “salvare la natura”. Quando George Orwell scrisse 1984 e coniò il termine “doppio pensiero”, aveva in mente proprio questo. Il totalitarismo che deforma il linguaggio e il pensiero: le attività indipendenti della società civile sono sostituite dai soldati di uno stato autoritario. “Doppio pensiero”, un termine nella neolingua, la lingua immaginaria utilizzata dai membri del partito del Grande Fratello nel romanzo di Orwell, che indica il meccanismo mentale che consente di ritenere vero un qualunque concetto e il suo opposto a seconda della volontà del Partito, dimenticando nel medesimo istante, aspetto questo fondamentale, il cambio di opinione e perfino l’atto stesso del dimenticare.

Nel filmato “attivisti” azeri su un autobus navetta per il Corridoio di Lachin. I testi delle canzoni includono: “Lascia che quelle montagne vedano di nuovo i lupi grigi; lascia la terra di Oghuz [Turchi] e scappa”. Osserva il gesto dei lupi grigi. L’Azerbajgian afferma che il suo blocco di 31 giorni del Nagorno-Karabakh è una protesta ecologica.

È inquietante – pensando all’affermazione di Baku che agli Armeni del Nagorno-Karabakh vengono garantiti gli stessi diritti di cui “godono” degli Azeri in Azerbajgian – che l’unico momento in cui al popolo dell’Azerbaigian è permesso di protestare liberamente è quando la protesta minaccia la vita degli Armeni. Il loro blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) appare coordinato e inteso a chiudere l’unica via di rifornimento rimasta per gran parte del cibo, delle medicine e di altri beni essenziali dell’Artsakh, per non parlare dell’ulteriore restrizione della libertà di movimento della popolazione dell’Artsakh.

Mentre i diplomatici azeri affermano che l’Azerbajgian proteggerà gli Armeni nel Nagorno-Karabakh come i propri cittadini e che gli Armeni non devono temere discriminazioni (o peggio) a causa della loro etnia, l’attuale assedio lo smentisce. La semplice realtà è che l’Azerbajgian apertamente vuole far morire di fame e cerca di punire collettivamente proprio le persone che i loro diplomatici promettono di proteggere. La dissonanza tra la retorica e le azioni di Aliyev è eclatante.

Il Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan, ha nominato il Rappresentante permanente dell’Artsakh in Armenia, Sergey Ghazaryan, Ministro degli Esteri. Succede a Davit Babayan.

L’11 gennaio si è svolta a Stepanakert una riunione del Consiglio di Sicurezza sotto la guida del Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan, con la partecipazione di rappresentanti di tutte le forze politiche dell’Assemblea nazionale dell’Artsakh. Si è discusso delle conseguenze della crisi umanitaria nell’Artsakh, che dura da quasi un mese a causa del blocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian. Riportiamo di seguito la nostra traduzione italiana dall’armeno della dichiarazione che è stata adottata:

“È passato quasi un mese da quando un gruppo di cosiddetti eco-attivisti ha bloccato l’unica strada che collega l’Artsakh con l’Armenia, con il pieno e aperto sostegno delle attuali autorità dell’Azerbajgian. Con tali azioni, la parte azera ha praticamente privato la popolazione della Repubblica di Artsakh dell’unica possibilità di comunicare con il mondo esterno, lasciando i 120.000 abitanti in un blocco totale, con tutte le conseguenze umanitarie, sanitarie ed economiche che ne derivano.
I pensieri espressi dal Presidente dell’Azerbaigian durante la conferenza stampa tenutasi il 10 gennaio hanno dimostrato ancora una volta che tutto ciò non è altro che un’ovvia manifestazione della minaccia dell’uso della forza da parte delle autorità azere nel processo di risolvere problema del Karabakh, che è una continuazione della guerra di 44 giorni del 2020 scatenata dall’Azerbajgian contro il popolo della Repubblica di Artsakh.
Nel contesto di queste realtà, una serie di affermazioni e opinioni espresse dal Primo Ministro della Repubblica di Armenia durante la conferenza stampa di ieri hanno sollevato preoccupazioni, in quanto non corrispondono alle idee della lotta nazionale, nonché alla posizione assunta dal popolo e le autorità della Repubblica di Artsakh.
Siamo consapevoli di tutte le conseguenze che derivano dalla nostra linea politica adottata e ribadiamo la nostra posizione secondo cui la sovranità dell’Artsakh e il diritto di vivere liberamente e indipendentemente nella patria storica sono valori assoluti. Nessuna coercizione o minaccia può dissuaderci dalla nostra decisione di continuare la lotta.
Di conseguenza, facciamo appello alla comunità internazionale affinché si assuma la responsabilità di prevenire le azioni terroristiche intraprese dall’Azerbajgian, la prevista pulizia etnica e il nuovo genocidio in preparazione.
Il popolo e le autorità della Repubblica di Artsakh sono fiduciosi che gli Armeni di tutto il mondo continueranno a sostenere la decisione presa dai loro fratelli e sorelle in Artsakh, ed esortano le autorità della Repubblica di Armenia a lasciarsi guidare esclusivamente dalla posizione di promuovere e proteggere il diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh nei tribunali internazionali, utilizzando tutte le opportunità e tutti gli strumenti dello Stato internazionalmente riconosciuto”.

Il Ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, ha scritto in un post su Twitter: “I discorsi di ieri dei leader sia dell’Armenia che dell’Azerbajgian hanno confermato che l’Artsakh/Nagorno-Karabakh non ha altra scelta che continuare la sua lotta per il diritto all’autodeterminazione, alla dignità e alla pace”.

Il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha rilasciato un’intervista televisiva, nello stesso giorno di ieri, in cui il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha tenuto una conferenza stampa, di cui abbiamo riferito ieri [QUI].

In riferimento al Corridoio di Berdzor (Lachin), Aliyev ha detto: “I separatisti sono impegnati a diffondere al mondo informazioni completamente false. In primo luogo, tutti hanno già visto che non si tratta di un blocco. Circa 400 camion delle forze di pace – non è ancora passato un mese – sono passati di lì”.

Le dichiarazioni di ieri di Aliyev sul blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) è stata una pura confessione di pulizia etnica effettuata a livello statale. Ha detto che la strada è aperta per coloro che non vogliono essere cittadini dell’Azerbajgian e che possono partire in auto o autobus delle forze di mantenimento della pace russe.

All’affermazione che il Corridoio di Lachin non sarebbe chiuso, ha già risposto l’Ufficio del Procuratore Generale della Repubblica di Artsakh, a seguito di articoli sulla stampa sotto controllo statale azero, che affermano e cercano di dimostrare che l’Artsakh non è effettivamente sotto assedio, sebbene i dati forniti dimostrino chiaramente il contrario.

Il Nagorno-Karabakh continua a rimanere isolato con tutti i transiti civili interrotti a causa del blocco da parte di “eco-attivisti” e autorità azeri, organizzato dallo stato dell’Azerbajgian. La Russia rimane l’unico attore che attualmente porta cibo e beni di prima necessità, anche se in quantità limitate e non sufficiente, con i camion militari della sua forza di mantenimento della pace schierata nel territorio dopo la guerra del 2020. Beni di prima necessità (frutta, verdura, medicine e altro) sono ancora carenti nell’Artsakh, che causa di una crisi umanitaria sempre più seria.

“Per documentare la nudità della tesi azera è sufficiente rivelare solo tre dati statistici: prima di bloccare l’autostrada Stepanakert-Goris, l’unica che collega l’Artsakh con l’Armenia, nel 2022, secondo gli indicatori di novembre, 380-400 tonnellate di cibo e altri beni destinati ai bisogni pubblici sono state consegnate dall’Armenia all’Artsakh al giorno (10.260-10.800 tonnellate in 27 giorni), una media di 454 auto ha lasciato l’Armenia per l’Artsakh in una direzione attraverso il “Corridoio di Lachin” (in 27 giorni: 12.258), più di 1.200 persone (in 27 giorni: 32.400). È interessante notare che gli indicatori citati sono piccoli non solo nel 2020, rispetto al periodo precedente la guerra dei 44 giorni, ma anche alla domanda necessaria a garantire il livello medio di benessere di una popolazione di 120.000 abitanti. I media azeri hanno anche confermato con la suddetta pubblicazione che i residenti della Repubblica dell’Artsakh sono privati dell’opportunità di muoversi attraverso il Corridoio e comunicare con la Repubblica di Armenia. Solo le forze di mantenimento della pace russe e i rappresentanti del CICR hanno attraversato il corridoio. Pertanto, i dati statistici e gli argomenti sopra menzionati riflettono in modo abbastanza eloquente e grafico l’intera realtà che attualmente prevale in Artsakh e che l’Azerbajgian non risparmia alcuno sforzo per nascondere alla comunità internazionale”, si legge nella dichiarazione rilasciata dall’Ufficio del Procuratore Generale della Repubblica di Artsakh.

Aliyev durante la conferenza stampa di ieri ha confessato che è lo Stato azero a bloccare il Corridoio di Lachin e che sono pronti ad aprire la strada a quegli Armeni che decideranno di lasciare l’Artsakh. Quindi, biglietto di sola andata per l’Artsakh. Ecco come funzionano “sicurezza e diritti”!

La dichiarazione di ieri del Presidente dell’Azerbajgian, Iham Aliyev, sul blocco del Corridoio di Lachin è stata una pura confessione di pulizia etnica effettuata a livello statale. Ha detto che la strada è aperta per coloro che non vogliono essere cittadini dell’Azerbajgian e che possono partire in auto o autobus delle forze di mantenimento della pace russe. Esprimendo la disponibilità di aprire il Corridoio di Lachin solo per gli Armeni che vogliono lasciare l’Artsakh, Aliyev ieri ha confessato il suo unico obiettivo: la pulizia etnica. Il suo blocco è uno strumento della sua politica per terrorizzare i civili armeni per costringerli a lasciare la loro terra ancestrale. Con il mondo diplomatico che chiude un occhio davanti a questa crisi umanitaria e la maggioranza dell’Unione Europea nelle tasche dell’Azerbajgian, Aliyev riuscirà nel suo obiettivo. Dopo 30 giorni, la maschera è definitivamente caduta e la situazione sta rapidamente degenerando. Ripugnante.

Prova di amenophobia e ammissione di crimini di guerra contro i prigionieri di guerra Armeni. Nel breve video qui sopra, un soldato azero che si vanta di aver tagliato le orecchie a 19 soldati armeni con il suo coltello da trofeo che odora ancora di sangue e di averlo fatto lentamente, sicuro dell’impunità: diamo alla “comunità internazionale” il gas e il petrolio dal nostro sottosuolo e facciamo praticamente quello che vogliamo.

Il secondo assedio del Karabakh
di Vicken Cheterian
Agos [*], 9 gennaio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Avevo preso il volo da Yerevan a Stepanakert. L’aereo civile non aveva sedili, sono stati tutti portati via per fare il massimo spazio per il carico. Eravamo seduti su sacchi di farina. Nessuno ci ha chiamato per mettere le cinture di sicurezza. L’aereo civile Yak-40 è decollato e ha guadagnato quota molto velocemente e ha mantenuto la sua quota fino a raggiungere l’aeroporto del Karabakh, dove è sceso a spirale. Questa insolita manovra serviva per evitare il fuoco antiaereo azero che non distingueva tra civili e militari e apriva il fuoco su qualsiasi cosa fosse considerata armena. All’aeroporto di Stepanakert (situato nel villaggio di Khojaly, ora Ivanyan), c’era solo un’auto ad aspettarci, gli ospiti stranieri. Gli altri passeggeri dovevano camminare a piedi fino a Stepanakert o ai loro villaggi, poiché non c’era benzina per le auto civili. Quando abbiamo raggiunto Stepanakert, abbiamo visto numerosi edifici distrutti a causa del pesante bombardamento dell’artiglieria azera. Nel centro della città, nei parchi pubblici venivano piantate patate o carote, per la sopravvivenza.

Era l’aprile 1992, al culmine della prima guerra del Karabakh, quando la popolazione armena era sotto assedio totale da parte dell’esercito azero. Sebbene diverse leadership andassero e venissero – prima l’apparatchik dell’era sovietica, Ayaz Mutalibov, poi il professore di letteratura araba diventato politico pan-turco Abulfaz Elchibey – la politica non cambiò: una guerra totale di annientamento contro la popolazione armena del Nagorno-Karabakh (Karabakh montuoso) – o Artsakh in armeno. Questo prima che le forze armene prendessero l’iniziativa e andassero all’attacco e prendessero il controllo del Corridoio di Lachin nel giugno 1992, per liberarsi da un soffocante assedio. La guerra che seguì nei due anni successivi portò a reciproci massacri e pulizia etnica, alla morte di migliaia di giovani soldati, alla fine con una vittoria militare armena e il cessate il fuoco del maggio 1994.

Dal 12 dicembre 2022, gli Armeni del Karabakh subiscono la stessa sorte. I funzionari azeri hanno chiuso la Strada di Lachin che è l’unico collegamento dal Karabakh all’Armenia e al resto del mondo. La strada è bloccata da persone che si spacciano per “attivisti ecologici” che fingono di opporsi alle attività minerarie in Karabakh, eppure non c’è dubbio che si tratti di agenti del governo azero, organizzati e controllati dalle autorità centrali. Lo scopo dell’assedio è prendere il controllo dell’ancora di salvezza della popolazione di 120.000 persone che continuano a vivere nella loro terra ancestrale.

Dopo la seconda guerra del Karabakh del 2020, quando l’Azerbajgian ha lanciato un massiccio attacco per 44 giorni e ha segnato una vittoria militare, l’aggressione azera contro il Karabakh e contro l’Armenia non si è fermata. Da allora, il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, si riferisce all’Armenia come “l’Azerbajgian occidentale”, preparando il terreno per un conflitto continuo. Questa continua aggressione rivela che gli obiettivi della guerra del 2020 non erano il ripristino dell’”integrità territoriale” dell’Azerbajgian secondo il “diritto internazionale”, ma un conflitto etnico primordiale che continua dall’inizio degli anni ’90. Ilham Aliyev potrebbe scegliere un’altra politica dopo la sua vittoria nel 2020, ad esempio i negoziati con la parte armena per porre fine a un conflitto vecchio di tre decenni, ma invece ha deciso di continuare la logica delle minacce e della violenza.

Va ricordato che non solo il Karabakh è sotto assedio, ma anche l’Armenia: sia l’Azerbajgian che la Turchia continuano a imporre un blocco contro l’Armenia da quando il Paese ha avuto accesso all’indipendenza, ormai da oltre tre decenni.

Le forze di mantenimento della pace russe e l’impero perduto

Il Corridoio di Lachin che collega il Karabakh con l’Armenia è sotto il controllo di sicurezza delle forze di mantenimento della pace russe, schierate nella regione secondo l’accordo trilaterale del 9 novembre 2020 (Russia, Azerbajgian, Armenia) che ha posto fine alla seconda guerra del Karabakh. Stranamente, dal 12 dicembre dello scorso anno, i militari russi tollerano che alcune decine di manifestanti blocchino una strada principale nella loro area di competenza. La loro passività solleva molte domande sul ruolo che la Russia sta svolgendo in questo conflitto e se la Russia può adempiere al suo mandato di mantenimento della pace. Inoltre, non è chiaro fino a che punto si spinga la cooperazione politica e il coordinamento tra Mosca e Baku. Nel contesto della guerra russa in Ucraina, l’Azerbajgian è diventato importante nell’aiutare la Russia a infrangere le sanzioni occidentali ed esportare gas russo nei mercati europei [attraverso l’Azerbajgian].

Putin oggi ha perso il sostegno dell’opinione pubblica armena. All’indomani della guerra del 2020, parte dell’opinione pubblica armena, e in gran parte gli Armeni del Karabakh, vedevano nella Russia di Putin il garante della propria sicurezza. Non più, poiché la Russia rimane ferma mentre gli attacchi dell’Azerbajgian continuano. Questo è molto simile al cambiamento dell’opinione pubblica armena nel 1988: il movimento del Karabakh era nato nello spirito delle riforme di Gorbaciov, e nelle manifestazioni iniziali portavano manifesti di Lenin e slogan della Perestrojka. Ma quando Gorbachev non ha risposto alle loro richieste e le forze sovietiche non sono riuscite nemmeno a garantire la sicurezza fisica degli Armeni in seguito al pogrom a Sumgait (febbraio 1988), l’opinione pubblica armena si radicalizzò su posizioni antisovietiche e chiese l’indipendenza.

Gli imperi si costruiscono se hanno una funzione da assolvere: fare da arbitro e portare stabilità laddove gli attori locali falliscono. Putin ha rivelato di voler riconquistare un impero perduto, ma semplicemente non sa come farlo.

La “società civile” è diversa dalla “società militare”

L’Azerbajgian, la cui economia è completamente basata sulla produzione ed esportazione di idrocarburi, e che contribuisce al riscaldamento globale che sta devastando il nostro pianeta, una dittatura guerrafondaia dove ogni minimo movimento di protesta è represso dalla polizia, sta soffocando gli Armeni dell’ Artsakh/Nagorno-Karabakh organizzando un assedio con slogan come “stop all’ecocidio”, “salvare la natura”. Quando George Orwell scrisse 1984 e coniò il termine “doppio pensiero”, aveva in mente proprio questo. Il totalitarismo che deforma il linguaggio e il pensiero: le attività indipendenti della società civile sono sostituite dai soldati di uno stato autoritario.

Tuttavia, questa deformazione di significato non è il risultato del solo autoritarismo. Negli ultimi giorni ho cercato di scoprire se ci fossero autentici ambientalisti in Azerbajgian, nei paesi vicini compresa la Turchia, che protestassero contro il regime di Aliyev che confiscava il discorso ecologico e lo trasformava in un’arma di pulizia etnica. Eppure non ne ho trovati. Numerose ONG ambientaliste in Georgia, Armenia, Turchia e altrove hanno ricevuto sovvenzioni per “progetti regionali” per migliorare la cooperazione ambientale. Tuttavia, sentono che gli eventi di Lachin non li riguardano. Prima dell’emergere di regimi autoritari, i custodi della “società civile” hanno già eroso il linguaggio e il suo significato attraverso il loro comportamento.

Sappiamo che i regimi autoritari non sono attrezzati per risolvere questioni così complesse come i conflitti etnico-territoriali. Né che si sforzano di farlo. Più spesso i regimi autoritari usano tali conflitti per legittimare la loro confisca della sfera pubblica. I conflitti etno-territoriali hanno la possibilità di essere risolti attraverso l’istituzione dello stato di diritto, dove i singoli cittadini e i gruppi sociali hanno diritti protetti dallo stato e dove le differenze etniche, linguistiche, religiose, razziali e di altro tipo diventano meno importanti. Ma l’Azerbajgian, con la sua struttura economica dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas, e valori politici in cui concetti come “società civile” o slogan come “salvare la natura” vengono dirottati per infiammare il nazionalismo e il conflitto, ha qualche possibilità di stabilire un governo di diritto?

[*] Agos è stata fondata nel 1996 per far conoscere all’opinione pubblica i problemi degli Armeni di Turchia. È il primo giornale del periodo repubblicano ad essere pubblicato in turco e in armeno. La politica editoriale di Agos si concentra su temi come la democratizzazione, i diritti delle minoranze, il confronto con il passato, la tutela e lo sviluppo del pluralismo in Turchia. Come giornale emerso all’interno della comunità armena della Turchia, Agos mira ad aprire ulteriormente le sue pagine alle questioni della Turchia e del mondo. Poiché il giornalismo indipendente e la libertà di espressione devono affrontare crescenti restrizioni in Turchia, Agos funge anche da piattaforma indipendente per il dibattito.

Pro memoria

«Il blocco del Corridoio di Lachin è una atto di guerra contro gli Armeni dell’Artsakh». Lo ha scritto il Vicedirettore del prestigioso quotidiano francese Le Figaro, Jean-Christophe Busson, in un post sul suo account Twitter.

La bandiera russa continua a sventolare con le forze di mantenimento della pace russe che presidiano le postazioni nel Corridoio… il blocco. Ciò significa che i 120.000 cittadini Armeni Cristiani (tra cui 30.000 bambini e 20.000 anziani) dell’Artsakh sotto assedio vengono tenuti in ostaggi, con mancanza di cibo, carburante, medicine e altri beni di prima necessità. Le uniche merci che arrivano attraverso il blocco, vengono portate con i camion del contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa, ovviamente non in quantità necessaria.

Ora siamo a un punto in cui la comunità internazionale deve agire e forzare l’apertura del Corridoio, o riconoscere che nulla è realmente cambiato dai massacri di Rwanda e Srebrenica, e che nel vicinato orientale dell’Unione Europea si può lasciar morire di fame e di freddo un’intera popolazione nel XXI secolo. Il Difensore dei Diritti Umani dell’Artsakh, Gegham Stepanyan chiede: «Amnesty International, sei d’accordo con il blocco di 120.000 persone dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian? È passato un mese, siamo sull’orlo di un disastro umanitario e senza una vostra parola».

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI].

Moriago, al Festival della cultura la memoria del tempo: l’incontro con Antonia Arslan e Siobhan Nash-Marshall (Nordest24 11.01.23)

«Salvare il libro è salvare il popolo armeno – spiega l’autrice –. Il Libro, testimonianza unica e preziosa degli Armeni avviati alla distruzione. Salvare il Libro è salvare una lingua, una tradizione, una storia altrimenti destinata a perire».

MORIAGO – Il Festival della Cultura di Moriago della Battaglia apre il 2023 indagando il nostro presente, e nello stesso tempo il passato, che ci ha guidato verso l’oggi.

«I mesi di gennaio e di febbraio sono mesi dedicati alla memoria – spiega la curatrice del Festival Lorena Gava – il 27 gennaio è dedicato alla Memoria delle vittime dell’Olocausto, il 10 febbraio a quella del Ricordo dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Proprio per questo abbiamo pensato di iniziare il 2023 invitando Antonia Arslan e Siobhan Nash-Marshall, per affrontare il tema della Memoria e più in generale il tema del Male, in varie forme e manifestazioni, che sempre insegue la storia passata e presente».

Giovedì 12 gennaio alle 20.30, alla Casa del Musichiere di Moriago, l’incontro “Tra fiamme, fumi e libri preziosi: itinerari di coraggio e speranza” che vede appunto protagoniste la scrittrice padovana Antonia Arslan e la studiosa e docente di filosofia Siobhan Nash-Marshall. Entrambe di origine armena, veneta l’una, americana l’altra, le due autrici, in dialogo con Lorena Gava, parleranno della Turchia di oggi e del genocidio armeno del 1915, ancora a lungo negato nella spiazzante indifferenza di molti paesi del mondo.

Antonia Arslan, autrice del bestseller “La Masseria delle Allodole” (2004) poi diventato un film dei Taviani, racconterà i suoi ultimi romanzi, dal recentissimo “Il destino di Aghavnì” (Ares edizioni) dedicato alla strana vicenda di una parente scomparsa poco prima del massacro turco a “Il libro di Mush” (uscito nel 2012 per i tipi di Skira e ripubblicato a giugno 2022 per Bur), storia di due donne coraggiose che salvano un prezioso manoscritto miniato scappando attraverso i monti del Caucaso durante i giorni terribili del genocidio.

«Salvare il libro è salvare il popolo armeno – spiega l’autrice –. Il Libro, testimonianza unica e preziosa degli Armeni avviati alla distruzione. Salvare il Libro è salvare una lingua, una tradizione, una storia altrimenti destinata a perire».

La filosofa Siobhan Nash-Marshall, insegnante al Manhattanville College di New York con specialiazzazioni all’Università di Padova e alla Cattolica di Milano, spazierà dal suo celebre saggio “I peccati dei padri” (Guerini Ass. 2018) in cui si occupa del negazionismo turco e del genocidio armeno, al suo nuovo lavoro, “George” (Ares edizioni). Come scrive Antonia Arslan, che ha curato la prefazione del libro, «il protagonista è un uomo di successo che inciampa nel Drago, un drago moderno che non lascia scampo: percorre una strada di fatica, di patimenti e di coraggio per riuscire a sconfiggerlo». Il Drago, così, diventa il simbolo di un presente insidioso, della corsa sfrenata al successo, al “controllo del mondo”, alla non accettazione delle angosce del nostro tempo (come la recente pandemia), quando invece la storia ci dice che pestilenze, drammi e paure, da sempre, attraversano il tempo.

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Perché tutti tacciono sull’epurazione etnica degli armeni nel Nagorno-Karabakh (Sussidiario.net 11.01.23)

L’obiettivo dell’Azerbaijan è ripulire della presenza armena gli ultimi 3-4mila kmq che ancora resistono alla sua sovranità. Per questo hanno chiuso il gasdotto e da un mese impediscono militarmente qualsiasi rifornimento alimentare ai 120.000 abitanti della Repubblica di Artsakh.

In teoria il corridoio di Lachın – e dunque il rifornimento – dovrebbe essere protetto e garantito dalla 15esima Brigata di fanteria motorizzata dell’Esercito russo, in base agli accordi di pace del 2020, ma i soldati di Putin sembrerebbero impotenti di fronte a un’azione di forza dei militari di Baku, travestiti da sedicenti e improbabili attivisti per l’ambiente, che bloccano l’unica strada che collega l’Armenia all’Artsakh.

I negozi sono vuoti da tempo a Stepanakert e siamo in presenza di una tragedia umanitaria per una popolazione che non si può alimentare e riscaldare e nemmeno   trasferire i malati più gravi nell’ospedale della capitale armena.

Eppure un fragoroso silenzio della comunità internazionale accompagna questo disastro. Persino i media ignorano la vicenda. L’unica voce levatasi è stata quella del Papa nell’Angelus del 18 dicembre e a Natale, a cui si è aggiunto un manipolo di intellettuali francesi  su Le Figaro.

La ragione di questa silente complicità appare essere tutta geopolitica. L’Azerbaijan è forte dell’alleanza con Turchia e Israele, a cui vende petrolio a copertura di un terzo del suo fabbisogno energetico e a cui fornisce logistica di spionaggio sull’Iran. L’Unione Europea, che pure a ottobre aveva deciso di mandare inviati alla frontiera armena per favorire un piano definitivo di pace, preferisce non disturbare il governo di Aliyev con cui ha appena stretto accordi per una fornitura di 12 miliardi di metri cubi di gas a sostituzione di quello russo. Peccato che nel frattempo gli azeri abbiano stretto la mano a Gazprom per importare 1 miliardo di metri cubi di gas russo per poter onorare il contratto con l’Unione Europea, con tante grazie di Putin che aggira così l’embargo occidentale.

Tra tutti questi interessi chi resta stritolata è proprio la popolazione armena dell’Artsakh, vittima sacrificale di un possibile accordo finale che cancellerebbe l’indipendenza di quella Repubblica e – in cambio della sopravvivenza di un minimo di autonomia e del ripristino del varco di Lachın – costringerebbe il governo armeno ad aprire un analogo corridoio nel sud presso Meghri per consentire alla exclave dell’Azerbaijan – il Nakhchıvan – di commerciare  via terra con la madre patria senza dover più passare per l’Iran.  Ma nulla garantisce che, un secolo dopo il genocidio armeno, l’obbiettivo finale non sia l’Artsakh ma la stessa Armenia!

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Gli armeni cancellati dalla guerra che nessuno vuole vedere (La Stampa 11.01.23)

La scrittrice: «Nel Nagorno-Karabakh un popolo invaso viene torturato nel silenzio»
ANTONIA ARSLAN
Le bugie hanno le gambe corte. Ma a volte, come nel caso della lettera del prof. Daniel Pommier Vincelli a La Stampa del 22 dicembre, pubblicata col titolo L’Azerbaigian rivendica i propri confini legittimi. Sono le interferenze russe a peggiorare la situazione, non le hanno affatto. Vorrei segnalare le affermazioni e omissioni più eclatanti di questa lettera. In risposta all’affermazione che «l’espulsione della popolazione civile» azera dal Nagorno-Karabakh negli Anni 90 è «stata tecnicamente la più grande pulizia etnica del XX secolo», vorremmo sommessamente ricordare al prof. Vincelli che nel XX secolo ci sono stati numerosi – e ben noti – genocidi e pulizie etniche, riguardanti – in primis – armeni ed ebrei e poi l’Holodomor ucraino (su cui, nel 2019, è uscito il bel film Mr. Jones), il Ruanda, la Cambogia, i Balcani… Quanto alla “pulizia etnica” dell’Azerbaijan, ricordiamo che di profughi armeni ce ne furono circa 400.000. Secondo l’European Commission against Racism and Intolerance, gli armeni erano «il gruppo più vulnerabile in Azerbaijan nel campo del razzismo e della discriminazione razziale» (2006). All’affermazione che «l’Armenia … all’Azerbaigian non solo la regione del Karabakh» e alla descrizione della prima guerra del Nagorno-Karabakh come «l’invasione armena dei territori azerbaigiani», faremmo notare che solitamente non si definiscono come “invasori” le popolazioni autoctone o indigene. Gli “invasori” vengono dal di fuori. Gli armeni, invece, vengono dal di dentro: sono autoctoni di quelle terre. Tanto è vero che la lingua ufficiale della regione autonoma (oblast)del Nagorno-Karabakh, dotata anche di un Soviet autonomo, era l’armeno. Infine: bene il richiamo al l’Onu del Vincelli: «Diritto all’autodifesa come da articolo 51 della carta delle Nazioni Unite». Male invece non aver citato l’altro fondamentale diritto riconosciuto dall’Onu: il diritto all’autodeterminazione dei popoli (Risoluzione 1514 (XV), 14 dicembre 1960). E arriviamo alle omissioni. Ciò che è più incredibile della lettera di Vincelli è il voler «spazzare sotto il tappeto», come si dice in inglese, il pericolo corso dal popolo autoctono armeno del NagornoKarabakh (tenuto a bada dall’Unione Sovietica, finché è durata). Come ricorda Sohrab Ahmari nel suo magistrale articolo sui fatti dell’Artsakh (del 22 dicembre scorso), finché c’era il Soviet gli armeni del Karabakh riuscirono a coesistere coi non armeni. Ma con il suo indebolimento, essi rividero lo spettro dei pogrom del XX secolo. Per loro combattere divenne una questione di sopravvivenza. Vergognoso poi è il silenzio sulle decapitazioni da parte azera di abitanti dell’Artsakh, sulle torture su civili armeni e sui prigionieri di guerra, sui video (da loro diffusi sui social) di donnearmene mutilate, sul vergognoso Parco della Vittoria creato da Aliyev a Baku alla fine della guerra; per non parlare dell’assassinio dell’ufficiale armeno Gurgen Markaryan durante il sonno, colpito 56 volte con un’ascia dall”ufficiale azero Ramil Safarov a Budapest, durante le esercitazioni Nato del gennaio 2004. Condannato all’ergastolo, Safarov venne rimpatriato dopo una trattativa segreta col governo ungherese, e festeggiato in patria come un eroe nazionale. Tutte questo cose sono state ampiamente documentate e riportate dai giornali. E che dire del “caso Akram Aylisli”? Questo scrittore ottantacinquenne, uno dei più noti e celebrati autori azeri, ha scritto un breve romanzo, Sogni di pietra (2013), pubblicato anche in Italia da Guerini, con la prefazione di Gian Antonio Stella. Una piccola storia incantevole di fratellanza e di pace ambientata a Baku, in cui un vecchio attore azero finisce in ospedale per aver difeso un armeno da un linciaggio, e nel delirio ricorda la pacifica convivenza nel villaggio natio. Aylisli è diventato un reietto: è stato dichiarato apostata, espulso dall’Unione degli scrittori azeri, privato della pensione, gli è stato impedito di uscire dal Paese. E infine, perché parlare di «una premessa storica, che assume un valore etico-politico»? Vogliamo proprio parlare di etica, prof. Vincelli? Perché non cominciamo con il parlare di verità? Come ricorda Kant, le bugie sono in sé cosa non etica: mendacium est falsiloquium in praeiudicium alterius. Proprio in questi giorni ecco l’ultimo episodio di questa spietata guerra sotterranea, chiaramente intesa afar sloggiare i restanti 120.000 abitanti armeni del Karabakh: il blocco del corridoio di Lachin, l’ultima strada – rimasta operativa sotto il controllo di militari russi – che collega al mondo questa enclave abitata da millenni dal popolo armeno. È una mossa che fa seguito ai bombardamenti del luglio scorso, in cui furono attaccati diversi villaggi di confine e anche la celebre stazione termale di Jermuk, nel territorio stesso dell’Armenia, con parecchi morti e feriti. Una perversa partita del gatto col topo, il cui scopo è di accrescere l’ansia e l’angoscia di questi poveri e ostinati montanari, attaccati come ostriche allo scoglio alla loro terra natia, dove sono ritornati dopo la guerra dell’autunno 2020, vinta dall’Azerbaigian col supporto dei droni turchi e delle milizie dei jihadisti siriani. Farli diventare miserandi profughi, insomma, come gli sventurati sopravvissuti al genocidio del 1915-1922, che non a caso in Turchia vennero chiamati “i resti della spada”. L’attuale blocco totale del corridoio di Lachin, attuato da sedicenti “ambientalisti” azeri da 18 giorni, stastrangolando gli armeni del Karabakh. Ogni attività si sta fermando. Nel severo inverno caucasico, manca il petrolio. Mancano o scarseggiano frutta, verdura, zucchero e molte altre cose di quotidiana utilità, che di solito arrivano dall’Armenia. I 612 studenti del complesso educativo italo-armeno (Hamalir Antonia Arslan), istituito dalla Cinf, fondazione italo-americana attiva da qualche anno, che vanno dai 4 ai 27 anni, sono costretti a casa, al freddo. Così hanno passato il Natale e il Capodanno.E il mondo occidentale tace, non guarda fischiettando dall’altra parte.

Armenia e Russia: annullate esercitazioni militari congiunte (Osservatoriosullalegalità 11.01.23)

L’Armenia ha rifiutato di ospitare esercitazioni militari dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), un’alleanza di paesi post-sovietici guidata dalla Russia, in un annuncio che riflette le crescenti tensioni di Yerevan con Mosca.

La Russia aveva annunciato all’inizio di quest’anno che l’Armenia avrebbe ospitato le esercitazioni annuali del gruppo che comprende sei stati: Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.

“Il ministro della Difesa armeno ha informato lo Staff congiunto della CSTO che, nella situazione attuale, riteniamo irragionevole tenere esercitazioni della CSTO sul territorio dell’Armenia. Almeno, tali esercitazioni non avranno luogo in Armenia quest’anno”, ha riferito l’agenzia di stampa Interfax riportando quanto dichiarato dal primo ministro Nikol Pashinyan.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, alla domanda sull’esercitazione militare annullata, ha detto che Mosca chiederà a Yerevan di chiarire la sua posizione.
“In ogni caso, l’Armenia è un nostro stretto alleato e continueremo il nostro dialogo, comprese le questioni più complesse”, ha detto ai giornalisti.

La mossa di Pashinyan ha fatto seguito al suo rifiuto nel 2022 di firmare un documento conclusivo di una riunione dei leader delle nazioni membri della CSTO a Yerevan, la capitale dell’Armenia. Nagorno-Karabakh
Le tensioni sono radicate nei conflitti dell’Armenia con l’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh.
I due ex stati sovietici mantengono buoni rapporti con la Russia nonostante la sua invasione dell’Ucraina; L’Armenia ospita una base militare russa e il Cremlino vuole mantenere i legami con l’Azerbaigian, ricco di petrolio.

Il Nagorno-Karabakh si trova all’interno dell’Azerbaigian, ma è stato sotto il controllo delle forze etniche armene sostenute da Yerevan da quando una guerra separatista si è conclusa nel 1994. Quel conflitto ha lasciato non solo il Nagorno-Karabakh stesso, ma anche grandi porzioni di terre circostanti nelle mani degli armeni.

In 44 giorni di pesanti combattimenti iniziati nel settembre 2020, l’esercito azero ha messo in rotta le forze armene, costringendo Yerevan ad accettare un accordo di pace mediato dalla Russia che ha visto il ritorno di una parte significativa del Nagorno-Karabakh all’Azerbaigian.

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L’Armenia ha vietato alla CSTO di condurre esercitazioni dell’organizzazione sul suo territorio
Nel 2023 non ci saranno esercitazioni a guida russa in Armenia
L’Armenia annulla le manovre militari della coalizione a guida russa | Notizie di politica

Il Nagorno-Karabakh sequestrato da “ecologisti” azeri. Pure le Ong politicamente corrette danno una mano a strozzare l’Armenia (Korazym 10.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 10.01.2023 – Renato Farina] – La tattica è cambiata. L’Azerbajgian, spalleggiato dalla Turchia, non intende più, almeno per ora, sgozzare come un capretto l’Armenia partendo dal Nagorno-Karabakh. Preferisce strozzarla, impiccarla come un cane, evitando il sangue che fa sempre un brutto effetto.

La strategia resta invariata: genocidio, non proprio ammazzandoci tutti come provarono a fare i Turchi nel 1915, ma liquidando la nostra sovranità, succhiando l’anima della nostra identità unica di Cristiani caucasici. La tecnica è quella dello stop and go, all’interno del disegno di instaurare un nuovo impero ottomano, nel cui ambito l’Armenia sia una riserva indiana, e gli Armeni una curiosità folkloristica in via di sparizione. Si illudono però di riuscire in questo disegno, dovranno passarci tutti a filo di drone, non ci arrenderemo, non partiremo con un fagotto in una nuova diaspora.
Mi rendo conto che chi legge per la prima volta questa rubrica non capirà un tubo. Perché di Armenia e della sua condizione di perseguitata, in Italia non parla nessuno, tranne Tempi [*]. Chi qui firma e scrive appartiene al piccolo popolo dei Molokani, eretici rifugiatisi all’ombra dei monasteri Cristiani di questa terra di pietre. Invio dal mio villaggio una lettera mensile per antica benevolenza di Luigi Amicone, che Dio lo benedica.

Il Corridoio di Lachin

Nel settembre del 2020 in 44 giorni gli Azeri, fiancheggiati dai Turchi e da armigeri siriani jihadisti, condussero una spietata guerra d’aggressione e di sterminio per conquistare ed espellere gli Armeni dalla Repubblica indipendente del Nagorno-Karabakh, in armeno Artsakh, per poi puntare verso Erevan. A questo punto la Russia inviò truppe per impedire la soluzione finale. Cinquemila soldati come forza di interposizione. Ma che sta succedendo ora? Ilham Aliyev, il dittatore di Baku, sfrutta le mutazioni geopolitiche che rendono fragile la Russia, e ha ordinato il blocco dell’unica strada che mette in comunicazione i 120 mila Armeni rimasti nei territori mutilati dell’Artsakh con il mondo. Hanno chiuso anche il metanodotto, niente rifornimento di viveri, medicine. Un gigantesco sequestro di persone, una sorta di muro di Berlino ottomano. Il Papa il 18 novembre ha chiesto di levare questo nodo scorsoio dal collo degli sventurati riaprendo il «Corridoio di Lachin nel Caucaso». Non ha fatto il nome di Stati o di popoli: chi vuol capire capisca. Ma gli Italiani – anzitutto le autorità istituzionali – fanno orecchie da mercante. Praticando un’etica di circostanza. Un po’ tanto miope: l’Armenia concentra in sé il vostro destino, ne è una profezia.

Questa nostra solitudine suscita da voi, in Italia, silenzio. Il vostro governo? Zitto. Persino gli Stati Uniti, e la Francia, Cipro e Grecia hanno mosso qualche obiezione a questi comportamenti criminali. Palazzo Chigi, Farnesina e Quirinale niente.

La colomba stritolata

Mi sono incamminato nottetempo dal mio villaggio molokano, presso il lago di Sevan, dove le trote principesse cavalcano onde leggere, verso il Corridoio di Lachin. Voi non avete idea di come sia prorompente la natura dell’Artsakh e splendide le testimonianze di secolare arte cristiana. Ed ecco la sorpresa. A bloccare con una tenaglia i rifornimenti e la libertà di movimento sono le Ong ecologiste! Aliyev ha schierato i cittadini politicamente corretti! Essi accusano gli Armeni di “terrorismo ambientale” poiché sfrutterebbero le miniere di oro e rame, e i soldati russi di consentire il contrabbando di armi.

Mi avvicino piano. Sono fortunato, non ho la tipica fisionomia armena, mi confondo tra i manifestanti. Una donna irosa compie il rito quotidiano. Fa spiccare il volo, ad una ad una, a 44 colombe bianche. Quarantaquattro come i giorni di guerra del 2020. Pacifisti ed ecologisti! La signora in pelliccia “attivista ambientalista e pacifista azera”, con l’altoparlante in una mano e una delle 44 colombe nell’altra, senza volere ha ucciso lo sventurato volatile strizzandolo istericamente, mentre urlava nel megafono. Ha lanciato poi la colomba morta in aria, invano sperando che sbattesse le ali. È finita calpestata sotto i piedi pacifisti e animalisti. So che non ci credete, ma io l’ho raccolta, accarezzata, seppellita.

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato sul mensile Tempi del 1° gennaio 2023.

[*] E qualche altro sparuto giornale o sito con un raro articolo, tranne questo Blog dell’Editore su Korazym.org, che segue quotidianamente le vicende dal 27 settembre 2020, il primo giorno della guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian contro l’Artsakh [V.v,B.].

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

«L’Ue non può più ignorare gli armeni del Nagorno-Karabakh» (Tempi 10.01.23)

Asili chiusi, supermercati quasi vuoti, tessere di razionamento: peggiora la crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh, dove 120 mila armeni sono isolati dal mondo. «Bruxelles deve intervenire», dichiara a Tempi Emanuele Aliprandi, specialista della regione

Nella repubblica dell’Artsakh, nel Nagorno-Karabakh. dove vivono 120 mila armeni, i supermercati sono ormai vuoti. Da quasi un mese l’Azerbaigian ha chiuso l’unica strada che collega la regione al resto del mondo

«L’Unione Europea definisce l’Azerbaigian un partner “affidabile” e non ha detto una parola sulla crisi umanitaria che sta causando nel Nagorno-Karabakh». Nel giorno in cui la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è arrivata a Roma per incontrare il premier Giorgia Meloni, il Consiglio per la comunità armena di Roma ha lanciato un appello perché Bruxelles, per preservare gli accordi sugli approvvigionamenti di gas firmati con il dittatore azero Ilham Aliyev, non chiuda gli occhi davanti alla violazione dei diritti umani dei 120 mila armeni residenti nel Nagorno-Karabakh che va avanti da quasi un mese. Un appello che, come prevedibile, è caduto nel vuoto. «Si è sempre fatto affari anche con le peggiori dittature, però l’Ue e il governo italiano avrebbero potuto spendere almeno due parole di condanna», dichiara in un’intervista a Tempi Emanuele Aliprandi, specialista del conflitto nel Caucaso, al quale ha dedicato libri come Pallottole e petrolio e Le ragioni del Karabakh. «La verità è che all’Europa interessa poco o niente degli armeni dell’Artsakh, ritenendo più importante il gas di Aliyev», spiega il membro del Consiglio della comunità armena di Roma.

Dal 12 dicembre, da quando cioè l’Azerbaigian ha bloccato il Corridoio di Lachin, gli armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh sono completamente isolati dal mondo. Qual è la situazione?
La situazione è critica: il Corridoio di Lachin è l’unica strada che connette la Repubblica dell’Artsakh all’Armenia e al resto del mondo. Ieri hanno chiuso gli asili e le scuole materne, perché non c’è più possibilità di offrire pasti ai bambini, e i beni di prima necessità stanno finendo. I supermercati sono quasi vuoti, non ci sono quasi più medicine, le operazioni chirurgiche negli ospedali sono sospese. Il carburante è agli sgoccioli, di sigarette non se ne trovano più ed è stata introdotta una tessera annonaria per razionare le scorte e assicurarsi che i cittadini comprino solo determinate quantità di prodotti.

Quanto possono andare avanti gli armeni in queste condizioni?
È difficile dirlo, i problemi sono davvero tanti. I bancomat, ad esempio, sono stati chiusi perché manca la cartamoneta. Nonostante tutti questi disagi la popolazione resiste e si sta comportando in modo ammirabile: a fine 2022 sessantamila persone sono scese in piazza a Stepanakert per invocare la riapertura del Corridoio di Lachin e ribadire che non accetteranno mai di fare parte dell’Azerbaigian.

Che cosa vogliono i manifestanti ambientalisti azeri che hanno bloccato la strada?
Fa ridere soltanto sentire nella stessa frase le parole “manifestanti” e “Azerbaigian”. Nel paese guidato da Aliyev, infatti, non esiste libertà di manifestare ed esistono enormi problemi ambientali. La verità è che molti dei cosiddetti manifestanti sono ex militari o soldati in abiti civili che bloccando il Corridoio di Lachin violano l’accordo di tregua del novembre 2020 tra Armenia e Azerbaigian, il quale prevede che quella strada rimanga aperta alla circolazione sotto il controllo dei peacekeeper russi.

L’ambientalismo dunque è una scusa?
È evidente. Ufficialmente i manifestanti chiedono chiarimenti circa lo sfruttamento di due miniere nel territorio controllato dagli armeni, ma nonostante l’interruzione delle attività minerarie non hanno interrotto il blocco. Inoltre, hanno respinto la proposta di lasciare che una commissione internazionale verifichi i presunti danni ambientali. Il vero obiettivo della protesta è stritolare il Nagorno-Karabakh ed esercitare un controllo su tutto ciò che transita dal Corridoio di Lachin.

Il ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, ha proposto di creare un “ponte aereo” per assicurare rifornimenti ai 120 mila armeni del Nagorno-Karabakh bloccati da un mese. È una soluzione percorribile per affrontare la crisi umanitaria?
Stepanakert dispone di un aeroporto inaugurato nel 2012 ma mai utilizzato, se non per l’atterraggio di qualche elicottero militare. L’Azerbaigian, infatti, ha sempre minacciato di abbattere qualunque aereo avesse tentato di far rotta sulla città. È chiaro che se le Nazioni Unite e l’Unione Europea decretassero la crisi umanitaria, allora l’aeroporto potrebbe essere utilizzato e per Baku sarebbe un enorme autogol visto che si creerebbe un collegamento aereo che fino ad oggi non è mai esistito. Tocca però agli organismi internazionali fare questo passo.

Crede che Bruxelles accetterà di inimicarsi l’Azerbaigian per aiutare gli armeni?
Io non contesto il fatto che l’Ue faccia affari con Baku, il mondo non va diviso in buoni e cattivi, però l’Europa dovrebbe rimarcare la differenza tra paesi democratici e non dando un segnale. L’Azerbaigian vuole mettere le mani sul Nagorno-Karabakh ma perché 120 mila armeni che oggi vivono in un sistema democratico dovrebbero essere trasferiti sotto una dittatura che, tra l’altro, diffonde l’odio etnico verso gli armeni? L’Ue dovrebbe rispondere anche se dubito che la von der Leyen e la Commissione europea se ne occuperanno.

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