La guerra del Nagorno Karabakhnon è finita con gli accordi trilaterali di cessate il fuoco firmati da Armenia, Russia e Azerbaijan il 9 novembre del 2020, e basta osservare quanto sta avvenendo in queste ore nella regione dell’Artsakh per rendersene conto. Il conflitto è semplicemente mutato, una nuova fase della guerra ha avuto inizio, in queste ore infatti non sono ci esplosioni e bombardamenti tra le valli del Caucaso meridionale ma c’è una crisi umanitaria indotta a minacciare la vita dei cittadini armeni che vivono nel territorio dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh.
Dal 12 dicembre centinaia di attivisti azerbaigiani hanno interrotto la strada che collega Goris con Stepanakert, ovvero l’unica arteria che mette in comunicazione l’Armenia con la piccola autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, isolando così i cittadini armeni dal resto del mondo. Da giorni i dimostranti impediscono il passaggio di uomini, mezzi, viveri, medicinali, in molti casi anche delle ambulanze e quest’azione ha già mietuto la prima vittima.
Non è la prima volta che si registrano provocazioni e violazioni della tregua dopo la fine della guerra dei 44 giorni iniziata il 27 settembre 2020 con l’aggressione da parte di Baku e che ha causato oltre 7’000 morti e più di 100’000 sfollati. In numerose occasioni ci sono stati scontri nelle aree di contatto tra l’esercito azerbaigiano e quello armeno, si è verificata ripetutamente la chiusura delle forniture di gas e di acqua potabile ai territori del Nagorno Karabakh e adesso un blocco stradale sta prendendo in ostaggio l’intera popolazione armena.
L’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, che conta 120’000 abitanti importa quotidianamente 400 tonnellate di beni di prima necessità dall’Armenia (grano, farina, verdura, frutta…) e questo dato dà la dimensione di quanto sia vitale per la sopravvivenza della popolazione locale il collegamento con Yerevan.
Gli attivisti azeri che a partire dal 12 dicembre hanno bloccato la strada hanno dichiarato di farlo per la difesa dell’ambiente e contro le attività estrattive che avvengono nella regione. Le rivendicazioni degli “ecoattivisti” sono state però messe in discussione da un report pubblicato dai Difensori dei diritti umanidell’Armenia e dell’Artsakh che nella loro relazione hanno denunciato con queste parole quanto sta avvenendo: “i blocchi stradali in corso sono in realtà finte manifestazioni ambientaliste inscenate da attivisti appartenenti ad organizzazioni finanziate dal governo azero o direttamente riconducibili a fondazioni della famiglia del premier Aliyev” e poi il report aggiunge che tra i dimostranti sono riconoscibili “numerosi appartenenti ai servizi speciali di sicurezza azeri”. I numerosi video e filmati che circolano su Twitter inoltre ritraggono i manifestanti intonare canzoni nazionaliste e inneggiare ai Lupi Grigi, l’organizzazione ultra nazionalista turca di cui faceva parte anche Ali Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II.
“Mi preoccupa la situazione creatasi nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso meridionale. In particolare sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni che rischiano ulteriormente di deteriorarsi nel corso della stagione invernale”. E’ con queste parole che domenica Papa Francesco, al termine dell’Angelus, ha espresso la sua personale apprensione per quanto sta accadendo. E enorme preoccupazione è trasparsa anche dalle parole di Karen, un cittadino di Stepanakert, intervistato da InsideOver: “Al momento la città è isolata e la popolazione sta ricorrendo alle proprie scorte di viveri, ma se questo blocco stradale dovesse durare ancora una settimana, forse anche meno, le conseguenze per tutti gli abitanti dell’Artsakh saranno catastrofiche. Tutto è bloccato, scuole e ospedali non possono funzionare, non sappiamo quanto possono durare le riserve di combustibile e di alimenti; se l’isolamento perdurerà il mondo dovrà rispondere di una tragedia”. Le immagini che arrivano dalla capitale dell’Artsakh mostrano i banchi del mercato completamente vuoti, i negozi di alimentari hanno le saracinesche abbassate, i medici lanciano appelli disperati dalle corsie degli ospedali e se oltre alla mancanza di beni si considera che per oltre 50 ore, in questi 10 giorni di isolamento, sono state tagliate anche le forniture di gas, si può a vere una comprensione chiara e vivida dell’emergenza umanitaria che sta colpendo la regione.
L’interruzione del corridoio di Lachin (la strada che collega l’Armenia con l’Artsakh ndr.) viola gli accordi siglati il 9 novembre, infatti il sesto punto del testo della tregua recita: “Il corridoio di Lachin che assicurerà la comunicazione tra l’Armenia e il Nagorno Karabakh, e che aggirerà la città di Shushi, dovrà rimanere sotto il controllo del contingente di peacekeeping della Federazione Russa”. Al momento in Karabakh, e a presidio del checkpoint degli attivisti azeri, sono dispiegati i soldati di Mosca come forze di interposizione ma questi si stanno dimostrando “neutrali” non facendo alcuna azione per riconsentire il transito di persone e merci tra l’Armenia e l’Artsakh. Molti analisti suppongono che dietro l’atteggiamento di inamovibile estraneità dei soldati russi via sia la longa manu di Putin visto che i suoi rapporti con il premier armeno Pashinyan si sono fatti sempre più tesi negli ultimi mesi, come dimostra lo scontro tra i due avvenuto a fine novembre in occasione del summit del OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva). E inoltre studiosi e giornalisti internazionali suppongono anche che lo Zar tema uno scontro frontale con Baku poiché rischierebbe così di deteriorare i rapporti con Ankara, storico alleato dell’Azerbaijan, e di spingere Aliyev ad avvicinarsi ulteriormente al blocco occidentale di cui già ora è uno dei principali fornitori di gas.
Ieri sera il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, mentre a Yerevan migliaia di persone hanno marciato sotto l’ambasciata russa e sino alla sezione locale dell’ONU per chiedere la riapertura del corridoio di Lachin, ha discusso di quanto sta accadendo nel Caucaso meridionale e molteplici sono stati i Paesi che hanno condannato l’azione dei dimostranti azerbaigiani e hanno chiesto un apertura della strada che collega l’Armenia con l’Artsakh per scongiurare un acuirsi della crisi.
Al momento 120’000 persone sono completamente isolate, di queste, 30’000 sono bambini e più di 1000 persone sono impossibilitate a ricongiungersi con i propri cari compresi i giovani ragazzi del Nagorno Karabakh che si sono recati a Yerevan in occasione dell’Eurovision junior e che adesso non hanno modo di tornare dai genitori. Ma la situazione più delicata la si riscontra nel nosocomio di Stepankert dove si registrano 10 bambini in terapia intensiva di cui uno in condizioni estremamente critiche, 11 adulti sono anch’essi in terapia intensiva e una persona è deceduta a causa della mancanza tempestiva dei trattamenti necessari.
La tragedia è imminente e per comprendere la portata di quanto sta accadendo è bene citare un altro passaggio della relazione degli osservatori dei Diritti Umani che lanciano un appello finale, dai toni disperati, nei confronti della comunità internazionale: “fermate il prima possibile lo spopolamento della nativa gente armena dall’Artsakh, e anche l’eventuale suo sterminio”.
È uno dei film d’animazione più apprezzati del 2022 e ha rappresentato l’Armenia nella corsa agli Oscar come miglior film internazionale.
Aurora’s Sunrise, l’alba di Aurora, è la storia vera di una giovane ragazza armena, Aurora Mardiganian, sopravvissuta al massacro degli armeni da parte dei turchi nel 1915.
Aurora’s Sunrise mescola animazione e documenti d’archivio per raccontare la vita di una giovane donna ma anche il percorso di un intero popolo.
“Quando ho appreso la storia di Aurora Mardiganian e la sua testimonianza, ho capito che si trattava di un modo unico per raccontare il dolore della mia nazione, attraverso la storia universale e molto personale di una giovane ragazza sopravvissuta al genocidio, che non si è mai arresa e non ha mai perso la sua umanità, e allo stesso tempo ha cercato di aiutare il nostro popolo” dice Inna Sahakyan, regista del film.
Il film tratto dalla sua storia è stato uno dei grandi successi degli anni ’20 negli Stati Uniti.
Racconta di violenze, omicidi, stupri e dell’assassinio di tutta la sua famiglia, Racconta della fuga e dell’esilio.
Ma non manca la bellezza: “Nonostante si parli di argomenti duri, di genocidio, cerco sempre di mostrare la bellezza della nostra terra e il legame che il mio personaggio e tutti noi armeni abbiamo con la nostra terra, i nostri ricordi e con la parte più luminosa del nostro passato – spiega la regista – Ecco perché credo che l’animazione e le illustrazioni siano lo strumento più adatto per catturare la bellezza e i ricordi del mio personaggio principale”.
Questo film esteticamente curato porta alla luce il viaggio di Aurora Mardiganian, una donna armena tornata dalle tenebre.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-26 18:45:072022-12-30 18:46:44Aurora's Sunrise: una storia vera sul genocidio armeno a Hollywood (Euronews 26.12.22)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 26.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nel quindicesimo giorno del #ArtsakhBlockade a causa dell’interruzione dell’autostrada Stepanakert-Goris, la #StradaDellaVita della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, organizzato dalla dittatura dell’Azerbajgian con la copertura di sedicenti ecoattivisti azeri, le forze di mantenimento della pace russe sono sul posto per garantire la sicurezza dell’Artsakh. Però, con il Corridoio di Berdzor (Lachin) bloccato dall’Azerbajgian, gli Armeni dell’Artsakh non sono al sicuro e stanno affrontando un genocidio moderno.
Il 25 dicembre 2022 si è tenuto un flash mob “Io sono Artsakh” allo Stadio Repubblicano di Stepanakert intitolato a Stepan Shahumyan, con la partecipazione di oltre 700 karateka dell’Artsakh, dove stanno lottando per la loro vita ogni giorno, chiedendo l’apertura immediata dell’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia e al mondo intero.
In un’intervista con Artsakh Press[QUI], il sei volte campione europeo, Arthur Arushanyan, ha detto, che i karateka di tutti gli stili che operano in Artsakh hanno partecipato al flash mob. “Il nostro obiettivo è mostrare al mondo intero che abbiamo forza, potere e lotta. Artsakh non si è arreso e continuerà la lotta”, ha detto Arushanyan.
Il raduno popolare tenutosi nel giorno del Santo Natale del Signore, 25 dicembre 2022 nella piazza della Rinascita a Stepanakert, la capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, di cui abbiamo riferito ieri [QUI], è stato al centro dell’attenzione di una serie di importanti media internazionali. Un corrispondente dell’agenzia Agence France Presse (AFP) ha scritto della manifestazione. L’articolo è stato distribuito da France 24, Digital Journal, Channel News Asia, Euronews, RFI media, ecc. Nell’articolo è stata presentata brevemente la situazione tra Armenia e Azerbajgian, nonché il blocco da due settimane del popolo dell’Artsakh. L’autore dell’articolo, riferendosi al governo della Repubblica di Armenia, osserva che dopo il blocco del Corridoio di Lachin, nel Nagorno-Karabakh si è verificata una carenza di cibo, medicine e carburante. Il giornalista di AFP ha parlato con Donara Gabrielyan, una settantenne residente di Stepanakert, che ha sottolineato che l’Artsakh è collegato all’Armenia solo attraverso il Corridoio di Lachin. “Questa è l’unica strada che collega l’Artsakh con il resto del mondo, non solo con l’Armenia, perché ci colleghiamo con il mondo attraverso l’Armenia”, ha detto Gabrielyan. Anche l’agenzia di stampa TASS ha coperto il raduno di ieri a Stepanakert, presentando anche il blocco del Corridoio di Lachin nelle ultime due settimane e le dichiarazioni di entrambe le parti al riguardo.
Un giornalista, per essere considerato libero, dovrebbe parlare della situazione in Artsakh/Nagorno-Karabakh e del conflitto nel Caucaso meridionale. Ma se decide di farlo, e di non rimanere in silenzio, dovrebbe tenere presente – a parte della storia della regione di cui parlerebbe – almeno tre punti minimi, per fare un giornalismo degno del nome.
Primo, l’Azerbajgian non è un paese libero, non c’è libertà di espressione o di riunione, e gli Azeri vengono incarcerate e sottoposte a violenze per qualsiasi protesta non organizzata e controllata dal governo. Secondo, i cittadini che hanno tenuto il raduno popolare ieri a Stepanakert, la capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, sono Armeni nativi, che protestano contro il #ArtsakhBlockade da parte dell’Azerbajgian. Terzo, l’Azerbajgian ha invaso l’Artsakh durante la guerra dei 44 giorni dal 27 settembre al 9 novembre 2020, occupando gran parte del territorio dell’Artsakh e il 12-14 settembre 2022 ha invaso l’Armenia e occupa parte del territorio sovrano armeno.
«La situazione intorno al Corridoio di Lachin potrebbe essere utile agli osservatori neutrali per comprendere la prospettiva armena sulla Prima Guerra del Karabakh. È diventata pratica comune tra vari studiosi e commentatori scrivere della Prima Guerra come se fosse iniziata nel 1993. In realtà, la fase attiva della guerra è iniziata alla fine del 1991 con l’assedio di Stepanakert. Alla fine del 1991 il Nagorno-Karabakh non aveva alcun collegamento terrestre con il mondo esterno. Gli aiuti umanitari venivano consegnati a Nagorno-Karabakh da elicotteri sotto la minaccia di essere abbattuti dall’Azerbajgian. Non c’erano gas, elettricità o acqua corrente nella Repubblica. Oltre al blocco totale del Nagorno-Karabakh, l’Azerbajgian ha iniziato a bombardare Stepanakert da Shushi e Khojaly nell’ottobre 1991. L’assedio di Stepanakert è durato dall’ottobre 1991 al maggio 1992. Dozzine di civili sono stati uccisi a Stepanakert durante questi attacchi indiscriminati. L’intera città viveva letteralmente negli scantinati (compresa la mia famiglia). La gente doveva uscire dagli scantinati negli intervalli tra i bombardamenti e fare lunghe file davanti alle sorgenti d’acqua o ai luoghi dove venivano distribuiti gli aiuti umanitari. Hanno imparato a sopravvivere in queste condizioni. Mia mamma, per esempio, faceva la pasta con un impasto di farina di frumento. La comunità internazionale ha rilasciato dichiarazioni di condanna delle azioni dell’Azerbajgian. Tuttavia, non è bastato a fermare le suddette atrocità. Il Nagorno-Karabakh ha dovuto reagire per rompere il blocco e sopravvivere. Nel maggio 1992 le forze del Karabakh presero il controllo di Shushi e aprirono il Corridoio di Lachin. Ma era solo l’inizio della guerra» (Tigran Grigoryan).
Ieri, 25 dicembre 2022 presso la chiesa di Santa Gayane di Etchmiadzin, al termine della Santa e Immortale Liturgia presieduta da Sua Santità Karekin II, Patriarca supremo della Chiesa Apostolica Armena e Catholicos di tutti gli Armeni, ha pregato per la pace e la solidarietà per il bene dell’Artsakh. Al Sacro Rito ha partecipato anche una delegazione guidata da Artak Beglaryan, Consigliere del Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, che insieme alla Congregazione della Santa Sede di Etchmiadzin ha rivolto una preghiera al Signore per invocare la pace dell’Armenia e dell’Artsakh e la vita sicura e protetta dell’intero popolo armeno.
Al termine della Cerimonia, il Catholicos di tutti gli Armeni ha ricevuto in Udienza la delegazione dell’Artsakh. Durante l’incontro, i membri della delegazione hanno presentato al Patriarca Supremo la situazione causata dal blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin), che ha portato alla violazione dei diritti vitali del popolo dell’Artsakh e ha messo gli Armeni dell’Artsakh in di fronte a un disastro umanitario.
Condannando la provocazione operata dalle autorità azere, gli interlocutori hanno discusso i passi per superare la situazione. A questo proposito, sottolineando il consolidamento del potenziale nazionale e gli sforzi a sostegno del popolo dell’Artsakh, Sua Santità Karikin II ha sottolineato che la Chiesa Apostolica Armena continuerà a compiere sforzi per fornire possibile sostegno e assistenza all’Artsakh e agli Armeni dell’Artsakh. Il Patriarca Supremo ha anche informato che in tutte le chiese, durante le Messe domenicali, sono state offerte preghiere per la pace e per il bene dell’Artsakh.
A seguito dell’attuale evento nella regione, il Consiglio Armeno per i Diritti Umani degli Stati Uniti, l’Istituto Lemkin per la Prevenzione del Genocidio e il Comitato Centrale per i Diritti Umani dell’Armenia, la Russia negli Stati Uniti, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta sull’attuale minaccia che gli Armeni stanno affrontando per mano dell’Azerbajgian.
Il Comitato Centrale per i Diritti Umani dell’Armenia, la Russia negli Stati Uniti, il Consiglio Armeno per i Diritti Umani degli Stati Uniti e l’Istituto Lemkin per la Prevenzione del Genocidio, hanno monitorato attentamente l’attuale situazione nell’Artsakh, più comunemente noto come Nagorno-Karabakh.
Il 12 dicembre, un gruppo di Azeri che si dichiarano ambientalisti ha bloccato per la seconda volta in meno di un mese il Corridoio di Berdzor (Lachin), l’unica strada che collega l’Artsakh con l’Armenia.
Le autorità dell’Artsakh hanno ritenuto che queste azioni criminali fossero condotte da agenti dei servizi segreti che tentano di provocare un conflitto.
Le conseguenze umanitarie di questo assedio sono catastrofiche. Gli Armeni in Artsakh sono completamente isolati. L’Azerbajgian ha bloccato l’unica strada di trasporto che collega l’Artsakh all’Armenia vera e propria, lasciando, ad esempio, pazienti a soffrire e morire a causa della mancanza di accesso a medicine e attrezzature mediche adeguate.
Il Servizio statale per le situazioni di emergenza dell’Artsakh ha annunciato che gli Azeri hanno chiuso la strada con il pretesto di preoccupazioni ambientali per presunte attività minerarie illegali nell’Artsakh.
Le autorità dell’Artsakh hanno dichiarato di essere pronte affinché un’organizzazione di monitoraggio internazionale verifichi la sicurezza delle loro operazioni minerarie e hanno descritto le azioni degli Azeri come “inaccettabili, aggressive e distruttive”. Il contingente per il mantenimento della pace russo è a conoscenza della situazione e le autorità dell’Artsakh stanno adottando misure per risolverla e mantenere i contatti con il comando del contingente per il mantenimento della pace russo.
Isolare la comunità armena dell’Artsakh nel contesto della guerra aggressiva portata avanti dal regime di Baku, la sua retorica genocida e la storia del genocidio contro gli Armeni, senza accesso a nessuna comunicazione e bisogni umani fondamentali, è un’azione genocida. La comunità internazionale non può continuare a ignorare il rischio di genocidio contro gli Armeni, un’indifferenza e un rischio che sono diventati più alti dopo l’inizio della guerra russo-ucraina.
Gli obblighi in materia di diritti umani e la protezione delle comunità contro crimini internazionali come il genocidio non possono essere selettivi. Devono essere universali. Come organizzazioni per i diritti umani e la prevenzione del genocidio chiediamo alla comunità internazionale di affrontare in modo equo i diversi conflitti nel mondo e di rispondere ad essi come ha fatto con l’Ucraina. Questa richiesta non è altro che quanto è stato accettato dagli Stati attraverso la Carta delle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico internazionale. Condannare e sanzionare le aggressioni dell’Azerbajgian agli Armeni è un obbligo sia legale che morale.
Aliyev dichiara che la capitale di Armenia, Yerevan è “storicamente” azero
Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha nuovamente rivendicato il territorio dell’Armenia odierna come azero, attaccando anche i critici in Occidente per aver sostenuto l’Armenia. “L’Azerbajgian occidentale [Armenia] è la nostra terra storica, questo è confermato da molti documenti storici, mappe storiche e dalla nostra storia”, ha detto Aliyev il 24 dicembre 2022, in un ampio discorso alla Comunità dell’Azerbajgian occidentale per il suo 61° compleanno, come ha riferito l’agenzia stampa azera AZERTAG [QUI].
“Azerbajgian occidentale” è un concetto irredentista utilizzato dalle autorità azere per rivendicare il territorio dell’odierna Armenia. “Il XX secolo ha portato grandi tragedie per il nostro popolo in questo senso. In una delle sue prime decisioni, la neonata Repubblica Popolare dell’Azerbajgian nel 1918 ha praticamente donato la nostra città storica – Yerevan – all’Armenia. È stato un passo imperdonabile, è stato tradimento ed è stato un crimine. Lo sappiamo tutti molto bene, e anche la nostra gente dovrebbe saperlo. Non dovremmo mai distorcere la nostra storia”, ha detto Aliyev. Nel corso degli anni, Aliyev ha spesso attaccato la leadership della Prima Repubblica dell’Azerbaigian, alla quale fa risalire le proprie radici il partito di opposizione Musavat.
Aliyev ha anche attaccato l’Armenia per aver cercato sostegno internazionale contro l’Azerbajgian. “Sperano ancora che qualcuno venga a fare la guerra contro di noi invece di loro, e come sempre si nasconderanno dietro qualche protettore e porteranno a termine i loro piani astuti contro di noi”, ha detto Aliyev.
I Paesi occidentali, in particolare Francia e Stati Uniti, sono diventati sempre più critici nei confronti dell’Azerbajgian. Diversi Paesi occidentali hanno condannato direttamente l’Azerbajgian per la guerra di 13-14 settembre 2022, così come per il blocco in corso del Corridoio di Berdzor (Lachin), l’unica connessione dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh con l’Armenia e il resto del mondo.
Aliyev sembrava suggerire che nuovi sforzi contro l’Azerbajgian all’ONU potrebbero essere imminenti. “Gli eventi di oggi sulla strada di Lachin [il Corridoio di Berdzor (Lachin)] hanno provocato un’altra isteria anti-azerbajgiana. Qui, non solo l’Armenia, ma forse anche più di loro, i loro protettori all’estero, gli Stati dietro di loro, hanno nuovamente avviato una campagna diffamatoria contro l’Azerbajgian e noi, che ci incontriamo oggi. Si sta preparando un’altra provocazione contro di noi all’ONU”, ha detto. “Da diversi giorni, alcuni Paesi scelti con speciale zelo sono determinati a portare a termine i loro prossimi sporchi piani contro di noi. Ma non sono ancora riusciti a ottenere nulla, hanno lottato per diversi giorni. Faranno i loro sforzi la prossima settimana”.
Aliyev ha fatto direttamente riferimento alla guerra di settembre del 2022, suggerendo che l’Azerbajgian l’ha iniziato. “Quest’anno si sono svolti molti eventi importanti. Abbiamo dovuto effettuare un’operazione militare al confine tra Azerbajgian e Armenia”, ha affermato. Durante la guerra di due giorni, le forze azere hanno preso il controllo di diverse posizioni all’interno dell’Armenia che detengono ancora. “Come risultato di questa operazione militare, le nostre città storiche sono ora davanti ai nostri occhi attraverso l’osservazione visiva”, ha detto Aliyev. “Oggi vediamo il lago Goyche [lago Sevan] direttamente. In primo luogo, penso che questo sia giusto. In secondo luogo, gli scontri di settembre ci assicureranno contro grossi problemi in futuro. Perché in Armenia stanno emergendo forze revansciste, sia al governo che all’opposizione”.
Aliyev ha continuato, dicendo che si sta lavorando a un “progetto di ritorno” per portare gli Azeri in Armenia, un processo che ha insistito sarebbe stato pacifico. “Verrà il giorno in cui i nostri compatrioti dell’Azerbajgian occidentale, i loro parenti, figli e nipoti torneranno nella nostra terra storica, l’Azerbajgian occidentale. Sono sicuro che questo giorno arriverà e sono sicuro che gli Azeri occidentali torneranno nelle loro terre natali con grande entusiasmo”, ha detto. Ha aggiunto che l’Armenia si stava “spopolando” a causa “della situazione politica intollerabile: repressioni, dittatura virtuale e difficoltà economiche”.
I gruppi internazionali per i diritti umani spesso etichettano l’Azerbajgian tra i Paesi più autocratici del mondo. Nel loro ultimo rapporto sui diritti politici e le libertà civili, il gruppo americano per i diritti umani Freedom House ha classificato l’Azerbajgian al 16° posto come Paese meno libero al mondo, ben dietro l’Armenia, che è stata classificata come “parzialmente libera”.
Il Ministero degli Esteri armeno ha affermato che le parole del Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev durante l’incontro con i rappresentanti del cosiddetto “Azerbajgian occidentale” del 24 dicembre 2022 “dimostrano ancora una volta che la leadership di questo Stato non è in alcun modo interessata all’instaurazione di pace e stabilità nel Caucaso meridionale. Inoltre, quest’ultimo non solo riconosce apertamente il fatto dell’occupazione del territorio sovrano dell’Armenia attraverso l’uso della forza, ma avanza anche nuove richieste territoriali e minaccia l’uso della forza nei confronti della Repubblica di Armenia, mostrando aperto disprezzo sia per il diritto internazionale che per i partner internazionali. Le dichiarazioni del leader azero, che contraddicono gli accordi raggiunti a Praga e Sochi quest’anno, riflettono le aspirazioni della leadership azera finalizzate alla conclusione del processo di pace. Tutte le giustificazioni fatte nel discorso riguardo al blocco illegale del Corridoio di Lachin non hanno nulla a che fare con la realtà. Questa e altre precedenti azioni aggressive condotte dall’Azerbajgian contro il popolo del Nagorno-Karabakh fanno parte della coerente politica di pulizia etnica del popolo del Nagorno Karabakh. Sottolineando ancora una volta la determinazione della parte armena a costruire la pace e la stabilità nella regione, chiediamo ai partner internazionali, attraverso dichiarazioni e azioni mirate, di obbligare l’Azerbajgian a fermare la retorica guerrafondaia e massimalista, ad adempiere agli impegni assunti, a ritirare le truppe azere dal territorio sovrano della Repubblica di Armenia e ripristinare il regolare funzionamento del Corridoio di Lachin».
Domanda: Durante la conferenza stampa con il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian a Mosca, il Ministro degli Esteri della Russia, Sergey Lavrov, ha espresso la sua sorpresa nell’essere informato della mancata partecipazione del Ministro degli Esteri dell’Armenia all’incontro trilaterale previsto per il 23 dicembre dalla stampa rilascio della parte armena, ma non attraverso canali diplomatici. Come commenterebbe questo? Risposta: Esprimo la mia sorpresa per la sorpresa del mio stimato collega Sergey Lavrov. Tenendo conto della crisi umanitaria derivante dal blocco illegale del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian, la richiesta della parte armena di rinviare il mio incontro con i Ministri degli Esteri di Russia e Azerbajgian in programma a Mosca è stata inoltrata dal Ministero degli Esteri dell’Armenia e dall’Ambasciata dell’Armenia in Russia sia ai rappresentanti dell’apparato centrale del Ministero degli Esteri della Federazione Russa che all’Ambasciata della Federazione Russa in Armenia. Altrimenti, è inspiegabile come il Ministero degli Esteri russo abbia potuto annunciare che la parte armena non era partita per Mosca nel suo comunicato stampa molto prima di quanto annunciato dal Ministero degli Esteri armeno e le ragioni di ciò.
Domanda: Il discorso del Ministro Lavrov ha espresso la convinzione che gli incidenti potrebbero essere continui nel caso in cui una delle parti si rifiutasse ogni volta di partecipare ai negoziati prestabiliti. Secondo lei, come dovrebbe essere percepito questo? Risposta: La parte armena ha chiaramente indicato il motivo e la necessità di rinviare l’incontro. Non si può negare che è difficile avere incontri costruttivi e produttivi di fronte alle continue minacce e alle sempre nuove manifestazioni dell’uso della forza. Per quanto riguarda la convinzione sull’ulteriore prosecuzione di queste manifestazioni, credo che la Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020 e il contingente russo di mantenimento della pace in Nagorno-Karabakh intendano escludere proprio questo tipo di condanne.
Domanda: Alla conferenza stampa con Sergey Lavrov, il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian, Bayramov, ha dichiarato che l’Armenia ha promesso di “liberare” otto villaggi nel novembre 2020, ma non ha rispettato tale accordo. Come commenterebbe questo? Risposta: Come abbiamo ripetutamente affermato, la parte armena non ha assunto tale impegno né ai sensi della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020 né in altro modo. Non esistono altro che gli accordi scritti, firmati e pubblicizzati. Riteniamo che parlando di tali accordi fittizi, il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian tenti di giustificare le continue e flagranti violazioni da parte del suo Paese delle disposizioni della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020. Allo stesso tempo, devo ricordare che l’Armenia ha ripetutamente proposto il ritiro delle truppe e il dispiegamento delle forze armate dell’Armenia e dell’Azerbaigian lungo il confine amministrativo tra le Repubbliche Socialiste Sovietiche armena e azera.
La decisione di annullare la visita di Mirzoyan a Mosca non è un’iniziativa politica
La decisione di annullare la visita concordata del Ministro degli Esteri armeno a Mosca per incontrare le controparti russa e azera non è un’iniziativa politica diretta contro Russia e Azerbajgian, il motivo è l’occupazione, ha dichiarato Sarkis Khandanyan, membro della commissione parlamentare per le relazioni estere del Parlamento armeno, frazione al potere Contratto Civile, spiegando che la diplomazia armena, compreso il Ministro Ararat Mirzoyan, sta ora concentrando la sua energia sull’apertura del Corridoio di Lachin. “In questa situazione, l’obbligo della Russia è garantire una comunicazione ininterrotta tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh. E l’Azerbajgian non dovrebbe interferire con questa connessione”, ha detto Khandanyan in un’intervista a cura di Ruzanna Stepanyan per Radio Azatutyun-Radio Free Europe/Radio Liberty del 24 dicembre 2022.
Alla domanda sul perché la Russia non lo stia facendo, il deputato ha risposto: “Penso che ci sia un problema di concentrazione di sforzi sufficienti e presumo che se verranno compiuti ulteriori sforzi, la Russia sarà in grado di risolvere questa situazione”.
Alla domanda, se non sarebbe più corretto andare a chiedere subito agli altri due parti che hanno firmato la Dichiarazione Tripartita del 9 novembre 2020, di aprire il Corridoio, il deputato Khandanyan ha risposto: “L’Armenia ha espresso pubblicamente la sua posizione sia alla parte russa che a quella azera”.
Nel frattempo, l’opposizione ritiene che la non partecipazione del Ministro degli Esteri all’riunione programmata a Mosca, sia stata una buona occasione per sollevare la questione: “Con la giustificazione che il Ministro degli Esteri è impegnato con questioni relative al Corridoio di Lachin, è ovvio che anche la questione del Corridoio di Lachin avrebbe dovuto essere oggetto di discussione in questa riunione. Anche se non fosse all’ordine del giorno, cosa che non sarebbe possibile, in questo caso, è chiaro che l’Armenia potrebbe in qualsiasi momento farne una questione all’ordine del giorno”, ha detto Tigran Abrahamyan, deputato della frazione di opposizione Ho l’Onore. Secondo Abrahamyan, non è chiaro cosa stia realmente accadendo dietro le quinte e vede una contraddizione nell’azione delle autorità: da un lato Yerevan continua a non escludere la possibilità di firmare un trattato di pace con l’Azerbajgian entro la fine dell’anno, dall’altro il Ministro degli Esteri armeno si rifiuta di incontrare con il Ministro degli Esteri azero a Mosca. Il deputato dell’opposizione non esclude che la parte armena possa essersi rifiutata di partecipare a questo incontro per evitare certe pressioni: “Se c’erano cose che cercavano di imporre all’Armenia con la forza, il ricatto e l’Armenia non era pronta per questa discussione o per questi negoziati, era giusto in questa situazione semplicemente non andare?”.
Secondo Armen Rustamyan, deputato della frazione di opposizione Hayastan, è necessario capire se in questo incontro sia stato possibile sollevare la questione del Corridoio di Lachin. “Se credono che non ci fosse tale possibilità, e credo che ci fosse stata una tale possibilità, questo problema non potrebbe essere separato. È stata un’opportunità per dire che se l’Azerbajgian decidesse di concludere solo un trattato di pace con l’Armenia e aggirare, ignorare la questione del Karabakh, allora questa è stata una buona opportunità per dimostrare che ciò è impossibile e si sarebbe potuto andato a dirlo “, ha detto Rustamyan.
Perché la Russia, tuttavia, non adempie ai suoi obblighi e non apre il Corridoio di Lachin? Secondo il deputato della frazione ARF, Dashnaktsutyun Armen Rustamyan, il motivo potrebbe essere che il mandato delle forze di mantenimento della pace russe non è stato chiarito, l’Azerbajgian non ha firmato le appendici che determinano la procedura per l’attuazione della missione russa. “Il problema qui è che ogni volta che l’accento è posto su la Dichiarazione Tripartita, sfortunatamente non esiste un tale accordo tripartito in termini di concretizzazione del mandato. E questa, penso, è un’omissione sia da parte nostra che da tutte le parti. Non ci sono i meccanismi, ma nello stesso tempo dicono: andate a controllare i territori. E se sorgono ostacoli, come, con quali poteri rimuoverli? Queste sono domande che avrebbero dovuto essere chiarite. Ma penso che ora questa sia un’opportunità, questo è un altro argomento per i negoziati”, ha detto il deputato dell’opposizione ARF.
Nel frattempo, Tigran Abrahamyan spiega il comportamento delle forze di pace russe mediante processi geopolitici. Secondo lui, nel contesto della crisi russo-ucraina, quando l’Occidente sta applicando dure sanzioni contro la Russia, Mosca ha diverse aree importanti per mantenere i contatti con il mondo esterno, una delle quali è la Turchia. Da questo punto di vista, nelle regioni dove è rappresentata la Turchia, la Russia sta cercando di risolvere i problemi nel modo più soft possibile, attraverso soluzioni politiche. “Ma credo che a un certo punto la Russia dovrà adottare misure molto più rigorose. Queste dure misure serviranno ad aprire la strada al momento ad ogni costo, o sarà un accordo su qualcos’altro con la Turchia su un fronte diverso. Perché ogni giorno di blocco del corridoio scredita la Federazione Russa”, ha detto Abrahamyan.
Le autorità armene inoltre non escludono che le forze di pace russe non aprano il corridoio di Lachin a causa delle pressioni esercitate sulla Russia. Allo stesso tempo, il Vicepresidente della Commissione Difesa del Parlamento armeno, Armen Khachatryan, si è detto fiducioso che il Corridoio di Lachin sarà finalmente aperto senza precondizioni. Quando e in conseguenza di ciò che accadrà, non ha specificato.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-26 18:44:112022-12-30 18:44:55Quindicesimo giorno del #ArtsakhBlockade. L’Azerbajgian e il suo dittatore Aliyev devono essere tenuti responsabili, poiché l’impunità genera crimini nuovi e più brutali (Korazym 26.12.22)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 25.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nel quattordicesimo giorno del blocco dell’autostrada Stepanakert-Goris, la #StradaDellaVita della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, organizzato dalla dittatura dell’Azerbajgian con la copertura di sedicenti ecoattivisti azeri, buon Santo Natale del Signore a tutti, in particolare ai Cristiani Armeni dell’Artsakh sotto #ArtsakhBlockade dagli Azeri.
Il blocco dell’Artsakh e le intenzioni dell’Azerbajgian sono vergognosi, ma ancora più vergognosa è la scarsa copertura mediatica che viene data a livello internazionale alla sopravvivenza dell’Artsakh messo in pericolo dall’Azerbajgian, che sta attuando una pulizia etnica (per il momento “soft”) degli Armeni in Artsakh. Rasmus Canbäck, un giornalista indipendente svedese ha scritto in un post su Twitter: «Ho proposto articoli sul blocco umanitario del Nagorno-Karabakh forse a 15 giornali. Tutti hanno detto di no o non hanno risposto. Mi schiero con i giornalisti che criticano profondamente il disinteresse».
Il raduno popolare del 25 dicembre in piazza della Rinascita a Stepanakert, a cui hanno partecipato migliaia di cittadini dell’Artsakh provenienti da diverse regioni, è iniziato con la preghiera del Signore e la benedizione del Primate della Diocesi di Artsakh della Chiesa Apostolica Armena, il Vescovo Vrtanes Abrahamyan. Nel suo discorso ha affermato che lo scopo di riunirsi è mostrare unità e determinazione: «Possiamo vedere che siamo riusciti in questo. Ci unisce oggi anche la comune preoccupazione di risolvere tanti problemi e di ridare fiducia nel futuro. Queste tribolazioni spesso ci aiutano ad unirci e a trovare vie di soluzione. Tutto ciò non deve essere fine a sé stesso e infruttuoso, ma deve dare l’opportunità di passi concreti e tangibili. Nella realtà spirituale e nell’esperienza umana, ci sono due verità parallele e interconnesse che sono diventate formule molto rilevanti anche per noi. Il primo dice: salva te stesso e molti intorno a te saranno salvati, e il secondo: vinci te stesso e tutti si inchineranno davanti a te. Sicuramente pensiamo tutti che se avessimo vinto l’ultima guerra dell’Artsakh, oggi non saremmo di fronte a tali difficoltà. Ma voglio che siamo in grado di esaminare le realtà più profondamente e di capire che i nemici più pericolosi dei nemici esterni sono dentro di noi. Come la storia ha più volte dimostrato, spesso dopo la vittoria insorgono i nostri nemici interiori: noi stessi, il materialismo, l’interesse personale e l’ottavo peccato mortale – l’indifferenza verso l’altra persona e la nazione, che rovina la nostra immagine, dimenticando Dio e la Chiesa, considerando il presente come stato definitivo e permanente, tutti cominciano a preferire i tesori terreni a quelli celesti. «Uscire da questo ciclo mortale dovrebbe essere il compito principale della nostra vita nazionale», ha sottolineato il Primate dell’Artsakh. Ha esortato i cittadini dell’Artsakh ad amarsi, perdonarsi e apprezzarsi di più, perché tutti sono sulla stessa barca e i pensieri e le preoccupazioni di tutti sono le stesse.
«Oggi, il futuro dell’Artsakh è diventato un altro esame della dignità armena, e affinché tale esame riceva una valutazione onorevole, noi come nazione dovremmo smaltire la sbornia e rinsavire. Artsakh e ognuno di voi dovrebbe diventare il campanello d’allarme della nostra anima e della coscienza della nazione», ha espresso la sua convinzione. Approfittando dell’occasione, ha fatto appello al popolo dell’Artsakh sparso nella madre Armenia e in diverse parti del mondo. «L’Artsakh appartiene ad ogni Armeno, ma prima di tutto ha bisogno dei figli nati dal suo seno. Oggi l’Artsakh ha bisogno della presenza fisica dei suoi bambini indigeni più che pregare per se stessi ed essere orgoglioso di essere cittadini dell’Artsakh. Perciò, cari cittadini dell’Artsakh, guardate dentro la vostra anima, cercate di capire cosa guadagnerà Dio da questa vita se perdete il tesoro che vi è stato affidato, il sostegno della vostra identità. Per favore e sollecita: tornate in Artsakh e prendete possesso di questa sacra reliquia che vi è stata affidata”, ha detto il leader spirituale dell’Artsakh. Ha fatto il suo inchino e rivolto la sua preghiera a Dio in memoria degli eroici martiri, e ha espresso la sua gratitudine e dato la sua benedizione a tutti quei cittadini dell’Artsakh che, anche dopo le difficoltà, rimangono attaccati alle loro radici e alla terra natale. Il Vescovo Abrahamyan ha anche apprezzato molto il servizio dedicato dagli statisti della Repubblica di Artsakh nella lotta per la statualità dell’Artsakh, nonché la missione della forza di mantenimento della pace della Federazione Russa. Ha trasmesso la benedizione paterna di Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni, e il sostegno della Chiesa Apostolica Armena alla giusta lotta del cittadino dell’Artsakh.
Ruben Vardanyan, Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh – Piazza della Rinascita di Stepanakert, 25 dicembre 2022.
Dobbiamo fare di tutto affinché la prossima generazione possa vedere che abbiamo superato queste difficoltà e ottenuto ciò per cui abbiamo sacrificato migliaia di persone, ha detto il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan, durante il suo discorso nel raduno popolare nella piazza della Rinascita a Stepanakert, osservando che il 23 febbraio 2023 segna il 35° anno della lotta per la sopravvivenza dell’Artsakh. «Siamo in lotta. Sono orgoglioso e grato di essere qui con così tante persone. Dico ai miei amici che sono felice che in Patria, insieme alla mia gente, tuteliamo la nostra dignità e il nostro futuro. Vengo in Artsakh da 20 anni e negli ultimi 52 giorni sono stato Ministro di Stato, e negli ultimi 14 giorni sono stato a Capo della sede operativa. Mi sento davvero orgoglioso e grato che le persone, nonostante le difficoltà, accettino questa situazione e siano pronte a combattere. Se troviamo un significato nel combattere, se riusciamo a credere nei nostri leader, siamo pronti ad affrontare qualsiasi cosa. La mattina sono andata al mercato, ho chiesto a una donna anziana com’era, lei ha risposto che non ci sono prodotti, niente verdure, è molto pesante. Chiedo, come lo stai affrontando, dice: solo se crediamo che non ci ingannerai, che siamo uniti».
Le persone riunite nella piazza della Rinascita di Stepanakert hanno indirizzato un loro messaggio-appello agli Armeni di tutto il mondo, alla comunità mondiale e a ogni individuo che lotta per la libertà e i valori universali:
«Dal 12 dicembre, l’Artsakh è sotto completo blocco. più di 120.000 persone, tra cui circa 30.000 bambini, si sono trovate in una situazione difficile, essendo completamente private della libera circolazione e di molte opportunità vitali ad essa connesse. Ancora una volta, la leadership politico-militare dell’Azerbajgian viola gravemente le norme del diritto internazionale e gli obblighi assunti dalla Dichiarazione Tripartita del 9 novembre 2020.
Il funzionamento ininterrotto della strada terrestre tra l’Artsakh e l’Armenia non può essere oggetto di trattative e contrattazioni. La comunicazione che collega l’Artsakh al mondo esterno dovrebbe essere ripristinata senza precondizioni e immediatamente, e dovrebbero essere create le condizioni per garantire il suo funzionamento ininterrotto in futuro.
La politica di pulizia etnica e discriminatoria attuata dall’Azerbajgian contro il popolo armeno, ha acquisito nuovo slancio nel 2020. Dopo la guerra che ci è stata imposta nel autunno e le sue disastrose conseguenze, mira a spopolare l’Artsakh armeno, continuando lo scenario del genocidio compiuto nel 1915 dalla Turchia nell’Armenia occidentale.
Nel 1988, la volontà popolare di vivere libera e indipendente nella sua patria storica ha indirizzato il nostro popolo alla lotta di liberazione, a seguito della quale abbiamo uno stato sovrano dichiarato in conformità con le norme del diritto internazionale e conquiste politiche, economiche e sociali visibili dimostrando la sua fattibilità.
Oggi, quando l’esistenza della Repubblica di Artsakh, il sogno di tutti gli Armeni, è minacciata, noi, inchinandoci davanti alla memoria degli Armeni che hanno sacrificato la loro vita sulla via della nostra lotta di liberazione, rinnoviamo il nostro voto di continuare l’opera del nostro santo martiri che restituisca la nostra dignità.
Durante la lotta in corso, come negli anni precedenti, abbiamo ancora bisogno del sostegno completo della Patria e di tutti gli Armeni. Negli ultimi anni, l’Artsakh è stato un simbolo dell’identità e della dignità armena. Oggi, quando la seconda repubblica armena sta affrontando nuove sfide, l’Artsakh dovrebbe diventare l’asse attorno al quale dovrebbe essere unito il potenziale nazionale. Il futuro della Repubblica di Artsakh è una questione di importanza nazionale e richiede consolidamento e solidarietà panarmeni.
La Repubblica di Artsakh continuerà a compiere sforzi per rafforzare le capacità di sicurezza e difesa del suo popolo, unendo le proprie capacità e le capacità della missione di mantenimento della pace della Federazione Russa.
La Repubblica di Artsakh, in quanto Stato guidato dalla supremazia dei diritti fondamentali internazionali, continuerà ad aderire ai valori universali e ad essere costruttiva. Le ambizioni espansive e gli interessi economici non dovrebbero dettare le moderne relazioni internazionali. Artsakh è il punto sulla mappa del mondo da cui, come nel 1988, può iniziare la formazione dell’ordine morale mondiale del XXI secolo».
Pazza della Rinascita di Stepanakert, 25 dicembre 2022.
“Dobbiamo salvare i 120.000 Armeni dell’Artsakh!”
In questo periodo natalizio, più di 200 intellettuali, scrittori, artisti e personalità della cultura in Francia si stanno mobilitando per i 120.000 Armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, minacciati di pulizia etnica dall’Azerbajgian. Segui il loro appello nella nostra traduzione italiana dal francese.
«In questo periodo natalizio in cui ci uniremo ai nostri cari, in cui gioiremo nel celebrare la famiglia oltre ogni confine religioso, in cui molti di noi avranno forse un pensiero per chi è solo o soffre, ricordiamoci come gli Armeni del Nagorno-Karabakh, sono stati tagliati fuori dal resto del mondo per quasi due settimane dall’Azerbajgian.
In un momento in cui i nostri figli scopriranno i loro doni, i genitori dei 30.000 bambini del Nagorno-Karabakh aspireranno a una sola cosa: preservare la loro vita, il loro futuro in queste alte montagne dove sono nati i loro antenati più di duemila anni, e salvali dalla lenta asfissia.
Dopo la guerra, dopo le bombe al fosforo, le torture, che hanno frantumato tante vite nel 2020, questa è proprio l’ultima perversione concepita dalla dittatura azera: bloccare il Corridoio di Lachin, unica via di accesso per gli Armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh verso l’esterno. Conseguenza: famiglie separate, carenze che peggiorano di giorno in giorno, assenza di assistenza medica che è già costata una vita e minaccia diversi pazienti in terapia intensiva, compresi dei bambini.
Mirabile il coraggio di queste persone piene di dignità che non si lasciano prendere dal panico e si organizzano, perché resistono e resisteranno fino alla fine. Ma contano su di noi e non possiamo sfuggire alla loro chiamata. Strano Natale 2022. Celebriamo la nascita di un re della povertà e della paglia che è venuto a portare agli uomini il calore della sua luce. È questa data che un dittatore del petrolio e dei punti di crescita sceglie deliberatamente per far precipitare una popolazione nella notte e nel freddo.
Quale futuro offriremo ai nostri figli, se diamo ragione alla dittatura, alla barbarie, contro una delle nostre civiltà più antiche, contro un popolo fraterno, legato a noi da secoli, contro un popolo ponte che ha sempre contribuito al dialogo tra le culture?
Cosa penseranno i nostri figli, su quali valori sapranno costruirsi, se lasciamo che accada di nuovo l’impensabile? Sì, riproduci. L’indifferenza, le proteste platoniche autorizzano gli aggressori di oggi a dichiararsi spudoratamente i carnefici del 1915, loro sinistra eredità, a usare gli stessi metodi per porre fine a coloro che detestano, perché si assomigliano.
Quindi i nostri auguri che gli abomini del XX secolo non si ripetessero mai più nel nostro non erano altro che pii e irenici desideri. Quindi in questo mondo i malvagi trionfano sempre finché hanno cose da vendere e fornire ai loro vicini.
L’anima degli Armeni abita infatti i nostri capolavori dell’arte romanica, l’influenza della nostra cultura fino ai confini dell’Oriente, il pensiero dei nostri filosofi dell’Illuminismo, la poesia romantica, le nostre lotte per la giustizia, le nostre melodie di fisarmonica, il mazzo di tulipani che potresti offrire sabato sera.
Ricordiamoci infine che se sappiamo del Natale, gli Armeni c’entrano senza dubbio, loro che ci hanno mandato i loro pellegrini dal V secolo, loro che ci hanno regalato il pan di zenzero che guarnirà le nostre tavole e i nomi dei Magi.
Ricordiamoci e, soprattutto, mobilitiamoci. Dalle nostre coscienze unite, dalle nostre voci unite, da tutti i modi in cui ciascuno di noi si opporrà al dramma che si sta svolgendo, potremo preservare la vita dei 120.000 Armeni del Nagorno-Karabakh».
Imbattibili. Questo Natale, l’Europa ha scambiato vite armene in Artsakh con gas russo riciclato dall’Azerbajgian. Ora, il blocco azero di Artsakh entra nel quattordicesimo giorno, la catastrofe umanitaria incombe. Eppure decine di migliaia di Armeni si alzano a Stepanakert per ricordare al mondo che l’Artsakh non sarà sconfitto. Gli azero-turchi non potranno mai sconfiggere una nazione che vuole vivere.
In un’intervista a cura di Leone Grotti, pubblicato ieri, 24 dicembre 2022 su Tempi.it [QUI], il Ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan ha detto: «La situazione è davvero critica, ma noi armeni non ci arrendiamo: continueremo a difendere il nostro diritto a vivere nella nostra terra». Già da più di 13 giorni l’Azerbajgian isola dal resto del mondo i 120.000 Armeni residenti nel Nagorno-Karabakh. «Vogliono cacciarci dalla nostra terra. Quanto sta accadendo è inaccettabile e viola l’accordo di tregua del novembre 2020»», ha detto Vardanyan. «Siamo completamente tagliati fuori dal mondo esterno e abbiamo già molti problemi umanitari. In una situazione del genere, la necessità di un ponte aereo diventa molto importante», ha affermato Vardanyan.
Parlando delle false affermazioni ambientali dell’Azerbajgian, ha detto: «Non sono affatto ambientalisti, sono rappresentanti dei servizi speciali dell’Azerbajgian. Evidenziando le questioni ambientali, abbiamo suggerito che l’Azerbajgian formi una commissione internazionale e verifichi se ci sono danni ambientali segnalati. Ma non erano d’accordo. Quello che succede è attentamente pianificato. L’intenzione degli Azeri è politica, non ambientale, vogliono fare pressione sul popolo dell’Artsakh affinché lasci la propria terra».
Rispondendo alla domanda sulla risoluzione del conflitto del Karabakh, Vardanyan ha affermato: “Armeni e Azeri sono nazioni diverse, hanno culture diverse, valori diversi, ma dovrebbero trovare un modo per vivere come vicini nella stessa regione, senza entrare in guerra contro l’un l’altro. Raggiungere un accordo di pace è difficile, ma possibile. È importante che l’Azerbaigian riconosca l’Artsakh. Sono sicuro che se si parte da questo punto si troverà la soluzione».
Alla domanda sull’Azerbajgian che lo prende di mira, Ruben Vardanyan ha detto che «l’Azerbajgian lo sta facendo perché posso rendere più udibile la voce della gente dell’Artsakh, e questo è un problema per Baku. Il nostro governo ha bisogno di leader esperti, l’Artsakh dovrebbe diventare più aperto e competitivo. Sono sicuro di poter usare le mie capacità per servire la mia nazione, e questo è il motivo perché l’Azerbajgian mi prende di mira».
Il ragazzino davanti alla foto del padre martirizzato, oggi, nel giorno del suo compleanno.
«I responsabili di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza del Corridoio di Lachin devono adottare tutte le misure necessarie per ripristinare immediatamente il movimento su questa strada e prevenire il deterioramento della situazione umanitaria nel Nagorno-Karabakh» (Dunya Mijatovic, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa).
«Le dichiarazioni del leader dell’Azerbajgian, che contraddicono gli accordi di Praga e Sochi di quest’anno, riflettono le aspirazioni della leadership dell’Azerbajgian volte alla fine del processo di pace» (Davit Manukyan, Missione permanente dell’Armenia presso le Organizzazioni Internazionali a Vienna).
Il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Armenia ieri ha rilasciato una dichiarazione in merito al discorso del Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, invitando i partner internazionali attraverso dichiarazioni mirate e azioni mirate a obbligare l’Azerbajgian a fermare la retorica bellicosa e fanatica, ad adempiere al obblighi da essa assunti, di ritirare le truppe azere dal territorio sovrano della Repubblica di Armenia e di ripristinare la normale attività del Corridoio di Berdzor (Lachin): «Oggi, 24 dicembre, i pensieri espressi dal Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev durante l’incontro con i rappresentanti del cosiddetto “Azerbajgian occidentale” dimostrano ancora una volta che la leadership di questo Stato non è in alcun modo interessata alla costituzione di pace e stabilità nel Caucaso meridionale. Inoltre, quest’ultimo non solo accetta apertamente il fatto dell’occupazione del territorio sovrano dell’Armenia attraverso l’uso della forza, ma avanza anche nuove richieste territoriali e minacce di forza contro la Repubblica di Armenia, mostra aperto disprezzo sia per il diritto internazionale che per la partner. Le dichiarazioni del leader azero, che contraddicono gli accordi raggiunti quest’anno a Praga ea Sochi, riflettono le aspirazioni della leadership azera di interrompere il processo di pace. Tutte le giustificazioni fatte nel discorso riguardo al blocco illegale del Corridoio di Lachin non hanno nulla a che fare con la realtà. Questa e altre azioni aggressive condotte dall’Azerbajgian contro il popolo del Nagorno Karabakh in passato fanno parte della coerente politica di pulizia etnica del popolo del Nagorno-Karabakh. Sottolineando ancora una volta la determinazione della parte armena a costruire la pace e la stabilità nella regione, chiediamo ai partner internazionali interessati attraverso dichiarazioni mirate e azioni mirate di obbligare l’Azerbajgian a fermare la retorica bellicosa e fanatica, ad adempiere agli obblighi da esso assunti, a ritirarsi le truppe azere dal territorio sovrano della Repubblica di Armenia e ripristinare il Corridoio di Lachin. il normale funzionamento del corridoio».
L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell, ha avuto un colloquio telefonico con il Ministro degli Affari Esteri dell’Azerbaigian Jeihun Bayramov. “Sono state discusse la necessità di libertà di movimento e accesso umanitario lungo il Corridoio di Lachin, l’importanza di mantenere la stabilità e la presenza dell’Unione Europea nella regione dopo la fine dell’EUMCAP (monitoraggio dell’Unione Europea)”, ha scritto Borrell in un post su Twitter.
Il blocco del Corridoio che collega l’Armenia al Nagorno-Karabakh è inaccettabile e ha gravi conseguenze umanitarie per la popolazione, ha affermato il Ministro degli Esteri francese, Catherine Colonna, in una lettera alla deputata Anne-Laurence Petel, Presidente del Gruppo di amicizia parlamentare Francia-Armenia. “La Francia ha immediatamente chiesto la revoca urgente e incondizionata delle restrizioni di movimento e ha ricordato all’Azerbajgian i suoi obblighi ai sensi della dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, per garantire la circolazione sicura di persone, veicoli e merci in entrambe le direzioni”, ha affermato il Ministro degli Esteri francese. “Come sapete, il Corridoio di Lachin è effettivamente sotto il controllo delle forze di mantenimento della pace della Federazione Russa, secondo la stessa dichiarazione tripartita. Non sono presenti né la Francia, né l’Unione Europea, né le Nazioni Unite”, ha affermato Catherine Colonna, osservando che “la Russia non è ancora in grado o non vuole fornire le garanzie di sicurezza che le sono state affidate. Considerata la gravità della situazione, la Francia ha preso l’iniziativa di inserire la questione all’ordine del giorno della sessione del 16 dicembre del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite su richiesta delle autorità armene. Questa riunione è stata seguita, sempre su iniziativa della Francia, da una nuova sessione di emergenza del Consiglio di Sicurezza in formato aperto, che ha consentito a tutti i suoi membri di chiedere il rapido ripristino del traffico attraverso il corridoio e l’accesso delle organizzazioni umanitarie al Nagorno- Karabakh”, ha scritto nella lettera Catherine Colonna. Ha indicato che la Francia è in contatto permanente con i suoi partner europei e americani, nonché con tutte le parti, per raggiungere un accordo il prima possibile. Ha anche ricordato che la Francia si sta adoperando affinché la missione di osservatori civili dell’Unione Europea in Armenia ottenga uno status permanente. Secondo il Ministero degli Esteri francese, questa missione ha notevolmente ridotto la tensione al confine e ha costituito un’importante misura di rafforzamento della fiducia per sostenere i negoziati in corso tra Armenia e Azerbajgian. “In questo quadro, dal 20 dicembre è stata lanciata una missione temporanea di valutazione e pianificazione sul territorio della Repubblica di Armenia. Ciò preparerà il rapido dispiegamento della missione di osservazione civile dell’Unione Europea, che inizierà non appena i 27 Stati membri dell’Unione Europea ne avranno approvato il mandato. Fedele ai suoi valori, al diritto internazionale e ai principi della Carta delle Nazioni Unite, la Francia continua, come ha fatto per più di tre decenni, a lavorare instancabilmente per una pace giusta e duratura nel Caucaso meridionale, dalla quale il popolo armeno beneficio in primo luogo”, ha concluso il Ministro degli Esteri francese.
Quando si tratta di questioni di libertà civili e politiche, l’Azerbajgian mantiene uno dei ranghi più bassi della democrazia nel mondo, con una comprovata esperienza nell’oppressione del diritto di riunione, proteste e dozzine di prigionieri politici, il Portavoce del Ministero degli Esteri armeno, Vahan Hunanyan, ha detto in un post su Facebook. “L’idea suggerita, quindi, che potrebbero esserci attivisti della società civile in Azerbajgian, in grado di lanciare un’azione indipendente di queste dimensioni e portata senza la guida e la supervisione diretta delle autorità statali è a dir poco plausibile”, ha detto Hunanyan. Ha affermato in precedenza che il blocco del Corridoio di Lachin era stato pianificato in anticipo dalle autorità azere.
Chi sono gli Azeri definiti da Baku “ecologisti”, che dalle ore 12.30 del 12 dicembre scorso bloccano il Corridoio di Berdzor (Lachin), l’unico collegamento della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh con l’Armenia e il resto del mondo? Il #ArtsakhBlockade è stato organizzato e mantenuto da organizzazioni governative azere, strutture create e finanziate dallo Stato azerbajgiano. Ne abbiamo già scritto in precedenti articolo e con l’articolo che segue aggiungiamo altre informazioni sulla questione.
Operazione “ecologisti” e blocco dell’Artsakh. Quali strutture dell’Azerbaigian gestiscono il circo? Karabakh Records, 16 dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dall’inglese. Nell’articolo orginale link e altre foto)
L’Artsakh è stato completamente bloccato. 120.000 civili dell’Artsakh sono tagliati fuori dal resto del mondo. L’unica strada che dovrebbe garantire loro un collegamento ininterrotto con l’Armenia e il resto del mondo, il Corridoio di Lachin, è bloccata da pseudo-attivisti azeri. Si definiscono “eco-attivisti” che sarebbero preoccupati per la “situazione ambientale” in Artsakh.
In questi giorni il nostro team ha studiato attentamente gli account di oltre 150 “attivisti” su diverse piattaforme di social network (Facebook, Instagram, Twitter). I risultati della nostra ricerca hanno mostrato che questa operazione è stata organizzata in anticipo dalle autorità e dalle strutture governative competenti dell’Azerbajgian, e le seguenti strutture sono coinvolte nel coordinamento delle azioni degli “attivisti”:
rami regionali e giovanili del partito al governo dell’Azerbaigian, “Yeni (Nuovo) Azerbajgian”;
“Agenzia di sostegno statale per le organizzazioni non governative dell’Azerbajgian” sotto l’Ufficio del Presidente dell’Azerbajgian;
“Azerbaijan Youth Fund” sotto l’Ufficio del Presidente dell’Azerbajgian;
Organizzazioni di “volontario” che operano sotto varie strutture statali dell’Azerbajgian;
Consigli pubblici sotto i Ministeri dell’ecologia e delle risorse naturali, dell’Istruzione e di altri enti statali dell’Azerbajgian.
Nel processo organizzativo della “dimostrazione” l’assistenza tecnica e di altro tipo fornisce:
il Ministero delle Situazioni di Emergenza dell’Azerbajgian;
il Ministero degli Interni dell’Azerbajgian;
altre agenzie governative.
I partecipanti a queste azioni provocatorie vengono inviati nei territori occupati dell’Artsakh in modo organizzato, con autobus, dopo aver ricevuto l’autorizzazione appropriata dal Ministero degli Interni dell’Azerbajgian. Tutti i partecipanti sono accuratamente selezionati. Le persone, i mass media, che non sono controllati dal governo, categoricamente non sono ammessi lì. Anche tutte le azioni degli “attivisti” sono accuratamente coordinate da Baku.
Il vero volto e i veri obiettivi degli “attivisti” (vedi Baku ufficiale)
Uno degli attori principali sul posto è Togrul Allahverdili. È il capo della “ONG” chiamata “Supporto per le iniziative e lo sviluppo dei giovani”, che riceve sovvenzioni dal “Fondo per i giovani dell’Azerbajgian” sotto l’amministrazione del Presidente dell’Azerbajgian. Tre giorni prima dell’inizio dell’”operazione” per bloccare il Corridoio di Lachin, Allahverdili e alcuni altri leader delle “ONG” azere hanno preso parte a un incontro organizzato dall’”Agenzia statale di sostegno alle ONG azere”, che opera nell’ambito dell’amministrazione del Presidente dell’Azerbajgian. I presenti alla riunione partecipano anche alla chiusura del Corridoio di Lachin. Più tardi quel giorno, Allahverdili e altri leader di “ONG” azere hanno organizzato una protesta davanti all’Ambasciata russa a Baku e hanno consegnato una lettera indirizzata al comandante del contingente di mantenimento della pace russo in Artsakh, Volkov. La lettera conteneva la richiesta di organizzare una visita di “specialisti” azeri alle miniere di Artsakh di Drmbon e Kashen, presumibilmente a scopo di “monitoraggio”. Dopo aver pubblicato un rapporto sulla loro azione, Allahverdiyev ha commentato: “La nostra strada conduce a Khankendi [la capitale di Artsakh, Stepanakert] e Khojaly [Ivanyan, una città in Artsakh]”. Cioè, dall’inizio, dichiarazioni politiche non ambientali, ma aggressive.
Va notato che 6 giorni prima un altro gruppo di rappresentanti azeri aveva già chiuso il Corridoio di Lachin con la stessa richiesta, ma lo ha aperto poche ore dopo. Il 10 dicembre, accompagnati dal Comandante del contingente di mantenimento della pace russo, hanno cercato di visitare le miniere, ma la popolazione locale non li ha fatti entrare.
Già la notte del 12 dicembre, alle ore 01.38 (GMT + 4), Allahverdili ha pubblicato la sua foto dalla città occupata di Shushi in Artsakh. La mattina dello stesso giorno, prima dell’inizio della provocazione, ha pubblicato un video di Shushi con una didascalia “Khojaly” [Ivanyan] era dietro di lui, e prima o poi l’Azerbaigian “prenderà Khojaly pacificamente o con un pugno di ferro”. A partire dalle ore 10.30 (GMT+4), ha preso parte attiva alla chiusura del Corridoio di Lachin come uno dei coordinatori delle azioni del gruppo azero. Il 15 dicembre ha annunciato che gli slogan degli “attivisti” azeri stavano cambiando. Poi altri “attivisti” hanno iniziato a ripetere dopo di lui nuovi slogan: “Harutyunyan [Presidente dell’Artsakh] vattene [dall’Artsakh]”, “Vardanyan [Ministro di Stato dell’Artsakh] vattene!”, “Chiediamo un posto di blocco di servizio dell’Azerbajgian al confine di Stato nel Corridoio di Lachin”. Queste sono già dichiarazioni e richieste puramente politiche.
Insieme ad Allahverdili, il leader di un’altra organizzazione “giovanile” (Taleh Mansurov), che anch’egli, secondo i suoi stessi documenti, riceveva sovvenzioni dalle due suddette organizzazioni operanti sotto l’amministrazione del Presidente dell’Azerbajgian, ha partecipato alla chiusura del Corridoio di Lachin dal primo giorno. Secondo le informazioni tratte dalla sua biografia, pubblicato nel suo profilo Facebook, in precedenza ha lavorato nel partito al governo dell’Azerbajgian “Yeni Azerbajgian”.
Nei giorni successivi, i ranghi degli pseudo-attivisti azerbajgiani sono stati reintegrati in modo organizzato. Sono stati trasportati in autobus, come testimoniano i video e le foto postate dai partecipanti sui social. Dal 13 dicembre, come parte dei nuovi “attivisti”, è arrivato a Shushi in autobus anche Azer Allahveranov, membro della suddetta Agenzia statale (membro del Consiglio di sorveglianza) per il lavoro con le ONG azere. La foto che ha pubblicato mostra che tra gli “attivisti” appena arrivati c’era un altro partecipante alla “pianificazione dell’operazione” sotto il coordinamento della suddetta organizzazione il 9 dicembre. Allahveranov è anche membro del Consiglio pubblico sotto il Servizio statale per la migrazione dell’Azerbajgian. Dopo essere arrivato nello Shushi occupato, ha pubblicato una foto congiunta con altri 7 membri di questo consiglio, che stanno anche prendendo parte all’”azione”.
Anche altri membri della leadership di questa organizzazione sotto l’amministrazione del Presidente dell’Azerbajgian, tra cui Ilgar Orudzhev, che ha anche pubblicato una foto con Allahveranov, stanno prendendo parte alla chiusura del corridoio Lachin. Orudzhev è anche membro del “Consiglio pubblico” sotto il Ministero dell’Istruzione dell’Azerbajgian.
Anche i membri dei “consigli pubblici” sotto altri ministeri e organi statali dell’Azerbajgian partecipano all’organizzazione dell’”azione”. In particolare, Mahsati Huseynov, vice capo del “Consiglio pubblico” del Ministero dell’Ecologia e delle Risorse Naturali dell’Azerbajgian, e altri membri del “Consiglio” sono attivamente coinvolti. Inoltre, i dipendenti di questo ministero, come Kenan Karimli, sono direttamente coinvolti.
Membri del partito al potere “Yeni Azerbajgian” e dipendenti delle amministrazioni di vari distretti di Baku (Khetai, Yasamal), come Farid Mustafayev, Fatima Hajibeyli, Vilayat Mammadov e altri, sono anche direttamente coinvolti nel blocco del Corridoio di Lachin. Uno di questi membri del partito al governo il 14 dicembre, dopo essere arrivato a Shushi, ha pubblicato una foto con il Viceministro dell’Ecologia dell’Azerbaigian, Firdovsi Aliyev, da cui risulta chiaro che è anche coinvolto nella chiusura del Corridoio di Lachin.
Anche centinaia di membri delle cosiddette organizzazioni di “volontario” sotto varie strutture statali dell’Azerbajgian, come il Servizio di migrazione, sono attivamente coinvolti nella chiusura del Corridoio di Lachin. Questi gruppi sono coordinati dal Capo dell’Unione delle organizzazioni di volontariato dell’Azerbajgian, Yusif Veliyev. Questa unione è stata creata nel 2020 “su chiamata del Presidente azero Ilham Aliyev” (come scritto sul sito web dell’organizzazione). I membri sono organizzazioni “volontarie” sotto le strutture statali dell’Azerbajgian.
Uno studio dei resoconti di altri partecipanti mostra che sono anche associati a varie strutture statali dell’Azerbajgian e/o al partito al potere. Il loro “trasferimento” in Artsakh viene effettuato solo dopo aver ottenuto il permesso dalle strutture competenti dell’Azerbajgian. E se c’è una “falla” dovuto al fatto che ogni giorno partono diversi autobus e potrebbero non avere il tempo di controllare correttamente tutti, quando viene rilevato un “problema”, viene immediatamente risolto. In particolare, la notte del 15 dicembre, una giornalista del sito web dell’opposizione azerbaigiana Meydan TV ha riferito che lei e due suoi colleghi sono stati arrestati nel tratto stradale Shushi-Stepanakert da persone con “maschere nere”. Sotto il suo post su Facebook, la rappresentante ufficiale del Ministero dell’Interno dell’Azerbajgian, Elshad Hajiyev, ha scritto che i giornalisti non sono stati arrestati: sono stati solo riportati indietro [a Baku] perché “non avevano il permesso di visitare [i territori occupati dell’Artsakh]”.
Altre dichiarazioni anti-armene dei partecipanti all’”azione”
I partecipanti all’”azione” hanno anche diffuso dichiarazioni apertamente anti-armene, lanciando appelli all’occupazione delle capitali dell’Artsakh (Stepanakert) e dell’Armenia (Yerevan). Una delle partecipanti, Afag Ferzalibekova, che si è unita all’”azione” il 14 dicembre, sulla sua pagina Facebook ha chiamato la capitale dell’Armenia Yerevan “azerbaigiana” (#Yerevan è #Azerbajgian) e in un altro post ha detto: “Una notte arriveremo all’improvviso a Khankendi [Stepanakert]”, che è una parafrasi della nota retorica aggressiva del Presidente turco. Inoltre, una dozzina di altri partecipanti ripetono la frase “la nostra strada per Shusha [Shushi] e il nostro obiettivo è Khankendi [Stepanakert]”: Yolumuz Şuşa, istiqamətimiz Xankəndidir! Alcune delle persone che hanno rilasciato dichiarazioni così aggressive sui loro profili sui social media hanno indicato di essere membri del partito al governo dell’Azerbajgian.
Sul profilo di uno dei partecipanti, Telman Gasimov (definito “esperto militare” dai media azeri, che parla armeno e, presumibilmente, collabora da tempo con i servizi speciali azeri), c’è una foto con Ramil Safarov (un ex ufficiale azero che, nel 2004, durante un corso di inglese sponsorizzato dalla NATO uccise con un’ascia un ufficiale armeno addormentato, Gurgen Margaryan). Ha anche una serie di altre fotografie, come la fotografia qui sotto, dove mostra il segno dei “lupi grigi” (ultranazionalisti turchi) sullo sfondo del muro, che dice quanto segue: “Il nostro obiettivo è Irevan [Erevan]. Lunga vita all’Azerbajgian unito”.
Ci sono dozzine di tali esempi. Altri partecipanti al blocco dell’Artsakh hanno ripetutamente dimostrato lo stesso segno dei “lupi grigi” durante la chiusura del Corridoio di Lachin e hanno rilasciato dichiarazioni anti-armene. Una cosa è chiara: la loro preoccupazione non è sicuramente l’ecologia oi problemi ambientali. Queste persone non hanno mai fatto tali dichiarazioni e azioni in Azerbajgian.
Sono attentamente coordinati dalle autorità azere e promuovono le idee aggressive della Baku ufficiale, come la creazione di un posto di blocco azero nel Corridoio di Lachin (in violazione della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020), la chiusura delle miniere sul territorio dell’Artsakh, il terrore contro la popolazione dell’Artsakh, un corridoio extraterritoriale sul territorio dell’Armenia, ecc.
L’Armenia ha inviato 10 tonnellate di merci umanitarie ad Artsakh/Nagorno-Karabakh attraverso il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Per l’Azerbajgian questo significa che il Corridoio di Berdzor (Lachin) non è bloccato. In realtà, per sopravvivere, all’Artsakh servono 400 tonnellate di merci essenziali ogni giorno, che non possono arrivare, perché l’autostrada Goris-Stepanakert è tenuto bloccata dall’Azerbajgian con falsi motivi “ecologisti”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-25 21:50:472022-12-25 21:51:36Quattordicesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Nel Giorno del Santo Natale del Signore il popolo armeno dell’Artsakh si appella al mondo: aprite la Strada della Vita! (Korazym 25.12.22)
Oltre quarantamila persone sono scese in piazza il giorno di Natale a Stepanakert, la capitale dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, per chiedere al mondo di fermare la catastrofe umanitaria che sta per travolgere il Paese. Da due settimane l’Azerbajian ha chiuso l’unica via di accesso impedendo i rifornimenti di cibo, medicinali, carburante, circa quattrocento tonnellate di merci al giorno. Il corridoio di Lachin continua infatti a essere bloccato da manifestanti azeri, che con la scusa di una protesta ambientalista stanno isolando l’Artsakh impedendo ai suoi abitanti di entrare o uscire dal Paese.
La situazione è grave perché le scorte di generi di prima necessità sono quasi esaurite, e a nulla sono serviti fino ad ora gli appelli alla comunità internazionale per rompere l’assedio. Avrebbe dovuto pensarci il contingente russo schierato da due anni lungo la linea di contatto tra Artsakh e Azerbajian, ma le forze di Mosca non sono state finora in grado di riaprire la strada e monta la protesta anche nei loro confronti.
Centoventimila persone, di cui un terzo sono bambini, di fatto sono completamente isolate e temono che l’Azerbajian miri a completare l’occupazione iniziata durante la Guerra dei 44 giorni, il conflitto lampo sostenuto con l’appoggio militare della Turchia che nel 2020 causò settemila morti, centomila sfollati e immense distruzioni. La pacifica manifestazione odierna potrebbe essere l’ultimo appello per scongiurare l’imminente crisi umanitaria, perché l’Azerbajian ha anche ridotto le forniture di gas e acqua potabile.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-25 20:58:042022-12-25 20:58:04Caucaso, l'autoproclamata Repubblica dell'Artsakh in piazza contro l'assedio dell'Azerbajian (La Stampa 25.12.22)
Si chiama «diplomazia del caviale». È la tecnica con cui da almeno 20 anni l’Azerbaijan adesca e tira dalla sua parte giornalisti, funzionari europei, deputati e affini dislocati nei vari consessi internazionali. Ottiene così il silenzio sulla natura autocratica del regime, l’omertà sull’assenza della libertà di stampa e di opinione; al contrario raccoglie elogi sperticati per le scelte illuminate e generose del presidente Ilham Aliyev e della vicepresidente consorte, spesso e volentieri in tuta mimetica. A che scopo questo dispendio di uova di storione? Trasformare la programmata aggressione alla repubblica indipendente del Nagorno Karabakh, popolata di armeni, in una passeggiata trionfale nella totale inerzia dell’opinione pubblica e delle istituzioni occidentali. È andata precisamente in questo modo, quando nel settembre del 2020, per 44 giorni, e poi ancora nel settembre scorso, per meno di una settimana, l’esercito azero, coadiuvato dai turchi e dai mercenari siriani, ha invaso e fatto facile strage di armeni nella certezza di non essere sanzionati da alcuno Stato del mondo.
Il fascinoso cocktail di caviale e di gas pescati dal Mar Caspio ha intontito la sensibilità umanitaria del pianeta fino a un attimo fa. Il venire alla luce della sfacciata corruzione condotta dal Qatar sta facendo saltare i coperchi dei vasetti di Beluga made in Baku. Hanno cominciato gli svedesi. Per la precisione il sito di controinformazioni e inchieste Blankspot.se. Ha individuato lo strano cambiamento di visione del mondo di due importanti eurodeputati, leader di una commissione decisiva per finanziare “villaggi smart” che sono il vanto ecologico degli azeri. Rasmussen Canback e Sasha Duerkop avevano osservato le mosse in particolare di chi improvvisamente ha ribaltato il proprio giudizio sull’Azerbaijan. Ad esempio. L’eurodeputato tedesco Engin Eroglu (gruppo Renew, i macroniani) si era fatto un nome presentando costantemente risoluzioni critiche nei confronti della dittatura.
BACIO ALLA PANTOFOLA
Il 14 settembre, all’apertura del Parlamento europeo, Eroglu aveva aspramente dissentito da Ursula von der Leyen per il suo viaggio a Baku dove aveva baciato la pantofola al dittatore Ilham Aliyev. Passa poco tempo, e giura di non aver pronunciato «alcuna parola critica nei confronti dell’Azerbaijan». Due settimane dopo, eccolo in Azerbaijan con una nutrita delegazione. Oltre a lui c’era il parlamentare sloveno Franc Bogovic del Gruppo cristiano democratico. Numerosi collaboratori con aereo pagato, il soggiorno non si sa, i regali non dichiarati. Interviste ai media locali, visite trionfali in città e borghi. Lo scopo principale del viaggio della delegazione era quello di visitare i citati villaggi smart, nella regione di Zangilan: ehi, proprio nelle zone che il regime di Aliyev ha ripreso con la forza dagli armeni del Nagorno-Karabakh nel 2020. Diciamola tutta: il territorio appartiene formalmente all’Azerbaijan. Dunque terra azera a tutti gli effetti? C’è un problema. Si chiama autodeterminazione dei popoli. Gli armeni che abitano lì da secoli e secoli alla caduta dell’Urss presero il controllo dell’area (1992). Dopo 30 anni, e molta diplomazia del caviale, l’Azerbaijan ha abbandonato i negoziati di pace dell’Osce voluti dalle Nazioni Unite. Ha invaso il Nagorno-Karabakh. Una azione che Freedom House ha definito «un’ispirazione per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia».
Torniamo ai due eurodeputati. Che magnifica conversione. Deve esserci stata qualche magia. In febbraio avevano votato la condanna per gli scempi delle vestigia cristiane massicciamente perpetrati a partire dal settembre 2020. Adesso esigono una vigorosa amicizia europea con i vandali. In precedenza ancora gli svedesi avevano dimostrato la potenza delle fake news gestite dal palazzo presidenziale di Baku per dissimulare gli orrori azeri e incolparne con immensi sciami di tweet gli armeni.
IL NODO GAS
Bravi gli scandinavi. Per loro non è un problema: non hanno bisogno del gas su cui galleggia l’Azerbaijan. L’Italia invece sì. Sfiorare anche solo con un piumino da borotalco il dittatore Ilham Aliyev rischierebbe di incasinare le forniture di metano di cui abbiamo necessità se si vuol evitare lo stop al riscaldamento delle case e il fermo delle fabbriche. Eppure persino la Grecia, che come noi usufruisce della Tap, ha speso delle parole non per dare addosso a Baku, ma per consentire un gesto umanitario. Almeno questo ci si aspetta dal Quirinale e dal Governo, imitando le parole del Papa che neppure ha citato Stati ed etnie, ma solo il luogo dove sta accadendo qualcosa di atroce. «Sud del Caucaso, corridoio di Lachin». Ci sono 120mila armeni del Nagorno-Karabakh (in armeno Artsakh), di cui 30mila bambini, murati senza rifornimenti di viveri, carburante, medicinali in un piccolo territorio la cui unica via di comunicazione con l’Armenia e il resto del mondo è sbarrata. È il corridoio di Lachin, da 12 giorni bloccato dai militanti di un incredibile movimento ecologista azero, inventato dalla fantasia del regime, con il pretesto di impedire il furto di oro e rame dalla sacra terra azera (in realtà sono i luoghi ancestrali della civiltà armena). Ne avete letto da qualche parte? Forza Giorgia. Come scrisse Solzhenitsyn: «Una parola dolce spezza le ossa», libera i ragazzini.
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 24.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nel tredicesimo giorno del blocco dell’autostrada Stepanakert-Goris nella Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, organizzato dalla dittatura dell’Azerbajgian con la copertura di sedicenti ecoattivisti azeri, è evidente che solo l’interposizione di una forza internazionale di pace del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite consentirà la riapertura del Corridoio di Berdzor (Lachin) e la protezione del popolazione armena dell’Artsakh. Stiamo assistendo di eventi epocali nel mondo. Di pochi tra questi si parla sui media (che scelgono accuratamente di cui dobbiamo essere informati) e la corsa per la sopravvivenza dell’Armenia è tra è in alto nella lista dei drammi rimossi dall’attenzione pubblica. La crude verità è che gli Armeni, la nazione cristiana più antica del mondo e le vittime del primo genocidio moderno, stanno affrontando l’estinzione nel loro territorio ancestrale, punteggiato dalle loro chiese, monasteri e croci di pietra.
++++ «Sono uno dei 3.000 che oggi hanno marciato fino a Shushi, dove il rappresentante delle forze di pace russe ha detto che la strada sarà aperta il 26 dicembre e non ci saranno posti di blocco azeri» (Marut Vanyan, giornalista freelance a Stepanakert – 24 dicembre 2022 Ore 17.41) ++++
Oggi, nel tredicesimo giorno di #ArtsakhBlockade il popolo dell’Artsakh, in maggioranza giovani, con donne e bambini, hanno avviato un’azione di protesta in piazza della Rinascita a Stepanakert, chiedendo l’immediata apertura della strada che collega Artsakh all’Armenia e al mondo esterno. Successivamente, i partecipanti all’azione di protesta hanno marciato verso il complesso commemorativo di Stepanakert per rendere omaggio ai soldati morti nelle guerre dell’Artsakh e poi verso posto di blocco delle forze di mantenimento della pace russa sulla strada Stepanakert-Shushi, per chiedere che rimuovano gli Azeri dal Corridoio di Berdzor (Lachin). “Perché loro? Perché abbiamo una dichiarazione tripartita firmata il 9 novembre 2020, in cui le parti hanno obblighi chiari, e oggi è chiaro che entrambe le parti [la Federazione Russa e l’Azerbajgian] non adempiono o non sono in grado di adempiere ai propri obblighi. L’Azerbajgian viola la sesta disposizione della dichiarazione e la Russia si è impegnata a garantire la sicurezza del Corridoio di Lachin, che non fornisce o non è in grado di fornire”, ha affermato Tigran Petrosyan, uno degli iniziatori dell’azione di protesta.
Ieri, 23 dicembre, un altro gruppo di cittadini dell’Artsakh è partito da Stepanakert verso il blocco azero all’altezza di Shushi, per presentare contro-argomentazioni alle false affermazioni degli Azeri che si spacciano per ambientalisti, bloccando la strada che collega l’Artsakh all’Armenia e al mondo esterno , ma le forze di pace russe non glielo hanno permesso di andare avanti.
Hikmet Hajiyev, l’Assistente del Presidente della Repubblica di Azerbaigian, Capo del Dipartimento per gli Affari Esteri dell’Amministrazione Presidenziale in un post su Twitter ha scritto: «Come mostra il video, gli eco-manifestanti si fanno da parte e un altro convoglio di ambulanze del Comitato Internazionale della Croce Rossa diretto verso Iravan [cioè, Yerevan] attraversa l’intersezione della strada Shusha-Khankandi [cioè, Sushi-Stepanakert]. Il bambino e i suoi genitori sono stati portati a Iravan. La strada è aperta per scopi civili/umanitari. Basta con la propaganda del “blocco”!!!».
Il bambino che lottava per la sua vita doveva essere a Yerevan più di una settimana fa. Se non ci fosse il #ArtsakhBlockade non avrebbe avuto bisogno di un convoglio di ambulanze del CICR per scortarlo. Hajiyev – come il regime fascista che rappresenta – mente sapendo di mentire. Senza vergogna, contando sull’impunità.
Il Ministro degli Esteri dell’Armenia, Ararat Mirzoyan, ha incontrato ieri, 23 dicember, a Yerevan il Ministro degli Esteri dell’Artsakh, Davit Babayan, con il quale ha discusso la situazione causata dal blocco azero del Corridoio di Berdzor (Lachin). Babayan si trova in Armenia dal 12 dicembre scorso, in quanto impossibilitato a rientrare in patria.
Il 24 dicembre, il Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan, ha incontrato presso il Palazzo della Cultura e della Gioventù a Stepanakert funzionari delle strutture statali e delle società private. All’incontro, a cui hanno partecipato anche il Presidente dell’Assemblea Nazionale dell’Artsakh, Artur Tovmasyan, e il Ministro di Stato, Capo dello Staff Operativo, Ruben Vardanyan, è stata presentata la situazione politico-militare creata dal blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian. Harutyunyan ha osservato che dal 3 dicembre scorso la parte azera ha avanzato richieste inaccettabili per la Repubblica di Artsakh usando il pretesto ambientale. Secondo il Presidente dell’Artsakh, l’unità del popolo e del mondo politico è necessaria per affrontare un’altra sfida.
Durante l’incontro è stata annunciata anche l’iniziativa di tenere una manifestazione popolare nella piazza della Rinascita a Stepanakert, alle ore 14.00 di domani 25 dicembre, confermando ancora una volta la determinazione del popolo dell’Artsakh a vivere nel proprio Paese.
Il Ministro di stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, aveva convocato una manifestazione popolare il 17 dicembre, ma in seguito ha annunciato che prima della manifestazione avrebbe visitato varie regioni dell’Artsakh, che avrebbe incontrato i cittadini e poi organizzato la manifestazione.
La corsa per la sopravvivenza dell’Armenia
di Sohrab Ahmari [*] Compact Magazine, 22 dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Il 26 febbraio 1988, Mikhail Gorbachev ricevette al Cremlino due scrittori armeni. Uno era il giornalista Zori Balayan, un intellettuale del movimento per l’autodeterminazione armena all’interno dell’Azerbajgian sovietico, un movimento che proprio in quel momento stava agitando il Caucaso meridionale e, per Gorbaciov, mettendo a fuoco i problemi nazionalisti che presto avrebbero spaccato il suo impero comunista. L’altro visitatore era il poeta Silva Kaputikian. Entrambi erano fedeli membri del Partito Comunista e inquadrarono il loro appello in termini di interessi dell’Unione Sovietica.
Ad un certo punto, hanno tirato fuori una mappa dell’URSS pubblicata in Turchia, una mappa usata, secondo loro, per educare i bambini turchi sulla loro vera eredità geografica come Turchi. Su di esso, una vasta regione che si estendeva dall’Asia centrale attraverso il Mar Caspio e nel Caucaso settentrionale e meridionale era dipinta di verde, inclusa l’Armenia. “La Turchia – ricordò in seguito Balayan di aver detto a Gorbaciov -, con questa mappa sta insegnando a scuola che tutti questi territori sono turchi”. Gorbaciov era impassibile. Esaminò brevemente la mappa prima di spingerla verso gli Armeni. “Questa è una specie di follia”, ha dichiarato il leader supremo sovietico.
“Quasi ogni struttura ha mostrato segni di danni da bombardamento”
Più di 34 anni dopo quell’incontro, la folle fantasia respinta da Gorbaciov si sta facendo strada verso la realtà in luoghi come Sotk, un villaggio di meno di 1.000 persone nell’estremo est dell’Armenia che a settembre è stato bombardato dal vicino Azerbajgian. L’assalto faceva parte di una breve ma micidiale incursione che ha visto le forze azere penetrare bene nell’Armenia vera e propria, al contrario del Nagorno-Karabakh, un territorio conteso e fortemente armeno all’interno dell’Azerbajgian che è stato parzialmente riconquistato dagli Azeri nel 2020.
Sotk (Foto di Sohrab Ahmari/Compact Magazine).
Ho visitato Sotk in ottobre, circa un mese dopo l’assalto dell’Azerbaigian. Una chiesa secolare al centro del villaggio è rimasta illesa, attestando silenziosamente l’indigeneità degli Armeni e del cristianesimo – le due identità sono indissolubilmente legate – in questa regione. Ma quasi tutte le altre strutture hanno mostrato segni di danni da bombardamento di settembre: i tetti dei fienili sono crollati; finestre frantumate e sostituite da teli di plastica; trattori e altre attrezzature agricole deformate dall’artiglieria; in particolare, una vicina caserma bombardata e apparentemente abbandonata dalle forze armene.
“Ci hanno bombardato da ogni direzione per tre giorni”, mi ha detto un contadino mentre mostrava i danni alla sua modesta abitazione. Mentre nessuno è morto a Sotk, altrove più di 100 hanno perso la vita e migliaia sono stati sfollati. Tra gli sfollati vi erano i familiari del contadino, che mandarono i figli a stare presso parenti più lontani dal confine. Dopo essere stato cacciato dall’Azerbajgian durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh (1988-1994), che vide gli Armeni conquistare il territorio mentre entrambe le parti espellevano le popolazioni, il contadino chiese: “Ora dove dovrei andare?”.
Più vicino al centro del villaggio, un bambino di 6 o 7 anni ha mostrato con orgoglio i bossoli della granata che aveva colpito la sua casa, ferendo il nonno. Sua sorella, 4 anni, rannicchiata con la madre dentro. Anche loro sono tornati per accudire i loro animali e piantare i loro campi, anche se ogni notte partono per zone più sicure. “La ragazza continua a chiedermi se hanno intenzione di far saltare in aria quest’area”, ha detto la madre. Suo marito e suo suocero, nel frattempo, hanno indicato i loro trattori danneggiati.
Più di recente, il regime cleptocratico dell’Azerbajgian ha imposto un blocco contro i 120.000 Cristiani Armeni che risiedono nel Nagorno-Karabakh. Le autorità di Baku, la capitale dell’Azerbajgian, hanno interrotto l’unica strada che collega il territorio all’Armenia vera e propria, privando la regione di cibo, medicinali e altre necessità fondamentali. Hanno anche interrotto brevemente il gas del territorio in mezzo a temperature gelide, almeno la seconda volta che lo hanno fatto in tanti anni. Gli aerei che proponevano per consegnare rifornimenti umanitari sono stati minacciati di abbattimento.
Gli Armeni, la nazione cristiana più antica del mondo e le vittime del primo genocidio moderno, affrontano l’estinzione in un territorio punteggiato dalle loro chiese e Croci. Nel frattempo, il loro stato-nazione rischia di essere declassato a uno stato sottosviluppato da un Azerbajgian pieno di entrate del gas naturale e incoraggiato dalle élite della politica estera a Washington e Brussel. Mentre la Russia, storica protettrice dell’Armenia, si allontana dalla scena, gli Armeni sono in corsa per la sopravvivenza nazionale.
“Mikhail Sergeyevich – i visitatori armeni avvertirono Gorbaciov nel 1988 -, le idee folli a volte diventano realtà”. E così è.
“Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian non è stato alimentato da odi antichi e mitici”
Il conflitto tra Armenia e Azerbajgian non è stato alimentato da antichi odi mitici, almeno non inizialmente. Piuttosto, le origini della disputa risiedono nell’ascesa del nazionalismo moderno tra la disgregazione di un ordine imperiale – i grandi imperi multinazionali crollati nella tempesta della Grande Guerra – e l’ascesa di uno nuovo: l’Unione Sovietica. Nella sua forma più utopica, l’impero comunista ha cercato di realizzare l’emancipazione di molti popoli trascendendo il popolo in quanto tale. In pratica, Gorbaciov ei suoi predecessori riuscirono semplicemente a congelare sul posto i vari nazionalismi del dopoguerra per la maggior parte del secolo, finché un giorno non ci riuscirono più.
Nel 1918, all’indomani della Prima Guerra Mondiale e secoli di dominio imperiale, prima persiano e poi russo, Armenia, Azerbajgian e Georgia nacquero come stati indipendenti. Nel caso dell’Armenia, il genocidio turco della sua popolazione armena ha dato un impulso particolarmente potente all’indipendenza. Quasi immediatamente, sono sorte controversie sui confini tra Armeni e Azeri in tre province miste: Nakhichevan, Zangezur [Syunik] e Karabakh [Artsakh/Nagorno-Karabakh].
Lo status delle prime due di quelle regioni – Nakhichevan e Zangezur [Syunik] – fu deciso in battaglie campali condotte dalle due parti nazionaliste. Nakhichevan, un frammento di terra situato tra l’Armenia e la Turchia, cadde nelle mani dell’Azerbajgian, formando un’exclave azera, e tale rimane ancora oggi. A Zangezur [Syunik], nell’Armenia meridionale, prevalsero gli Armeni. In ogni caso, la parte vittoriosa ha raggiunto un certo grado di consolidamento etnico, vale a dire che ha bruciato i villaggi dell’altra e ne ha cacciato la popolazione.
Restava indeciso, invece, il destino del Karabakh, che gli armeni chiamano Artsakh. Il montuoso cuore spirituale del popolo armeno, è il luogo in cui è stato creato il loro alfabeto e dove lo stato armeno è sopravvissuto anche se è stato estinto altrove dagli imperi. Gli Armeni del Karabakh hanno mantenuto la loro indipendenza anche attraverso secoli di sovranità iraniana, con i loro governanti che si definivano – e venivano riconosciuti dai persiani come – “scià”.
L’indigeneità degli Armeni nel Karabakh è inconfutabile, data la presenza di chiese secolari e croce di pietra. Eppure, ciò non ha scoraggiato l’attuale regime di Baku dal cimentarsi con il revisionismo storico e la falsa “archeologia” che comporta la rimozione di iscrizioni armene dalle chiese, cioè quando non ha demolito i siti commemorativi. Questi sforzi revisionisti includono una bizzarra affermazione secondo cui gli Armeni sono “intrusi”, che hanno sequestrato la regione agli Albanesi romani o caucasici, un popolo scomparso da tempo da non confondere con gli Albanesi dei Balcani. Come mi disse con un sospiro Grigor Hovhannesyan, ex Ambasciatore armeno a Washington, “i nuovi ricchi di questo mondo possono riscrivere la storia”.
Alla fine, nel 1920, l’Armata Rossa arrivò, conquistando sia l’Armenia che l’Azerbajgian. Presto i bolscevichi avrebbero imposto il loro grande congelamento su tutte le dispute nazionali. Ma cosa fare del Karabakh? Tra le loro decisioni più fatali, per quanto riguardava la popolazione di questa regione, c’era quella di concedere al Karabakh lo status di regione autonoma all’interno della nuova Repubblica Socialista Sovietica di Azerbaigian, avendola inizialmente contemplata come parte della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia.
La loro logica – o illogica – è stata oggetto di una voluminosa storiografia sovietica nel secolo successivo. In termini geopolitici immediati, i bolscevichi erano desiderosi di placare l’Azerbajgian ricco di petrolio, che speravano avrebbe anche rappresentato un faro rivoluzionario, convocando le masse oppresse del Medio Oriente a sollevarsi contro i loro governanti. Ma come ha notato lo storico Thomas de Waal, c’erano altre ragioni, attingendo sia alle tradizioni più antiche della politica russa sia ai precetti dell’ideologia marxista. Per prima cosa, i sovietici hanno accolto l’insistenza del modello imperiale russo secondo cui i singoli governatorati dovrebbero avere un senso geografico ed economico e, secondo loro, la Repubblica di Azerbajgian non sarebbe completa senza il Karabakh, poiché, ad esempio, i pastori azeri pascolerebbero il loro bestiame nella regione. Da una prospettiva marxista, inoltre, i sovietici credevano di poter aprire nuovi orizzonti utopici spingendo popoli etnicamente diversi a vivere fianco a fianco, costringendo gli estranei a diventare “popoli fratelli”.
Ecco la cosa pazzesca: per molto tempo ha funzionato tutto.
Per cominciare, c’erano le fondamenta cosmopolite lasciate in eredità da secoli di dominio imperiale. Gli Azeri, pur nascendo come popolo tartaro o turco con origini nelle steppe dell’Asia centrale, erano già stati profondamente persianizzati. Baku era un luogo profondamente cosmopolita nel XIX secolo, sede di molti Ebrei e Armeni. Anche l’Armenia vantava una minoranza Tartara con le proprie moschee. Gli Armeni hanno anche legami profondi con l’Iran, che risalgono alle loro origini come nazione. La dinastia che cristianizzò l’Armenia pochi anni prima della conversione costantiniana, era un ramo degli Arsacidi persiani. Le lingue armena e persiana condividono un notevole numero di affini. Al di sopra di questa fondazione multinazionale, i bolscevichi cercarono di far sorgere una società di mentalità laica, che leggeva la Pravda; Homo Sovieticus, per il quale ciò che doveva importare non era l’armeno o l’azerismo, ma la lotta congiunta per il socialismo reale.
E ancora, ha funzionato. L’Armenia prosperò all’interno dell’URSS, emergendo come una delle repubbliche sovietiche più prospere, grazie ai talenti tecnici e letterari degli Armeni, alla loro capacità apparentemente soprannaturale di navigare nelle strutture del Cremlino e al vecchio affetto dei Russi per una nazione cristiana ortodossa che era in qualche modo sopravvissuta ai rigori del materialismo dialettico. Nonostante la sua ricchezza di carbonio, l’Azerbajgian era molto più povero, anche se nei decenni successivi i leader sovietici azeri g a trasformare la loro repubblica in un centro manifatturiero regionale minore. Il russo era spesso la lingua franca della pubblica piazza – e talvolta anche della camera da letto: perché c’erano matrimoni misti su entrambi i lati del confine interno sovietico – un fatto scomodo che oggi sconcerta e respingono entrambi i popoli.
Per de Waal, il tallone di Achille dell’imperialismo sovietico era la centralizzazione ossessiva. Sebbene Mosca costringesse Azeri e Armeni (e molte altre etnie rivali) a vivere l’uno accanto all’altro, tutte le relazioni dovevano passare attraverso Mosca. Pertanto, queste comunità non hanno mai sviluppato un modo per risolvere le loro tensioni a un livello inferiore, parlando tra loro. Invece, se sorgesse qualche controversia su, diciamo, l’allocazione di determinate risorse, entrambe le parti invierebbero separatamente inviati al Cremlino; spesso, ma non sempre, gli Armeni se la cavarono meglio, grazie alla loro padronanza delle usanze di Mosca.
Finché il potere sovietico stava crescendo e l’ideologia sovietica conservava la sua vitalità, la cosa poteva essere tenuta insieme. Ma negli anni ’80 nessuno dei due era il caso. In una misura all’insaputa di Gorbaciov, l’intero sistema stava andando in pezzi quando i due intellettuali armeni lo visitarono (nel febbraio 1988) per esporre la loro tesi. La sensazione che il grande congelamento sovietico si stesse sciogliendo, aveva dato agli Armeni del Karabakh un’apertura, che usarono per porre fine alla questione lasciata irrisolta dall’accordo successivo alla Prima Guerra Mondiale: vale a dire, la questione della loro indipendenza dall’Azerbajgian.
Nelle settimane e nei mesi che seguirono, proteste pacifiche lasciarono il posto a esplosioni di violente tensioni intercomunitarie. Per un breve periodo, l’Homo Sovieticus fece la sua ultima resistenza, e una nobiltà brillò attraverso la sua inevitabile debolezza: perché quando gli Azeri agitati dalla rivolta del Karabakh, inscenarono un feroce pogrom anti-armeno nella città caspica di Sumgait, i giovani militanti comunisti erano gli unici Azeri per venire in aiuto del loro “popolo fraterno”, gli Armeni. In tal modo, hanno attinto alle tradizioni internazionaliste di sinistra che erano in rapido declino.
Scoppiò la guerra. Entrambe le parti hanno commesso atrocità: benzene iniettato nei corpi dei soldati catturati, massacri di civili in fuga, trasferimenti di popolazione. I casi di fanti che guardavano attraverso il mirino del fucile, solo per intravedere ex vicini e amici che indossavano uniformi nemiche, erano terribilmente comuni. Gli Armeni hanno beneficiato di una combinazione di zelo, iniziativa, accesso anticipato alle armi sovietiche e assistenza della classe degli ufficiali russi appena disoccupati. Quando le acque si calmarono, nel 1994, l’Azerbajgian perse il Karabakh, anche se nessun governo, nemmeno quello armeno che aveva combattuto per esso, riconobbe formalmente la neonata Repubblica di Artsakh. Per gli Armeni in Armenia vera e propria, era sufficiente che i loro cugini del Karabakh fossero al sicuro da una potenziale pulizia etnica, con una strada nota come Corridoio di Lachin che collegava le due società.
I “conflitti congelati” hanno un modo di diventare caldi. Negli anni successivi al trionfo dell’Armenia sul campo di battaglia, l’Azerbajgian sotto il regime di Aliyev – guidato prima da Heydar Aliyev, l’ex capo dell’apparato comunista, e ora da suo figlio Ilham – ha riempito le sue casse con le entrate del gas naturale. E ha iniziato a corteggiare l’Occidente, elargendo denaro ai lobbisti che hanno dato a Baku un nuovo look.
Il regime di Aliyev non era più una cleptocrazia guidata da un tipico presidente a vita post-sovietico. Per gli Stati Uniti e Israele è diventata una punta di diamante contro l’Iran. Agli Europei affamati di energia, è stato presentato come un supplemento o addirittura un sostituto del gas russo. Baku ha anche approfondito i suoi legami con Ankara in ascesa e assertiva, ora guidata dal Presidente Recep Tayyip Erdoğan, le cui ambizioni pan-turche coincidevano piacevolmente con la visione degli Azeri su gli armeni come fastidiosi intrusi. La divisione settaria un tempo solida tra la Turchia sunnita e l’Azerbajgian sciita si è rivelata abbastanza permeabile per gli attori regionali con interessi materiali condivisi.
L’Armenia, nel frattempo, si è trovata sempre più isolata. Ai neoconservatori di Washington non importava che l’Armenia avesse una cultura politica democratica: “È una società di protesta”, come mi ha detto l’ex Ministro degli Esteri, Zohrab Mnatsakanyan. “La libertà è un valore fondamentale ed esistenziale per la gente di questo Paese”. Né l’antica eredità Cristiana dell’Armenia ha influenzato i professionisti della politica estera di destra, proprio come il destino dei Cristiani aveva contato poco quando Washington soppesava i meriti del cambio di regime in Siria e Iraq. Ciò che importava, piuttosto, era che l’Armenia ospitasse una base russa, fosse membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) guidata da Mosca e avesse legami amichevoli con l’Iran a sud. “Siamo finiti dalla parte sbagliata del bianco e nero”, come mi ha detto Hovhannesyan, l’ex Ambasciatore.
Tutto questo era più che un po’ ingiusto. L’indipendenza armena era stata forgiata in guerra con l’Azerbajgian e, sulla scia di quella guerra, furono i Russi a farsi avanti come partner per la sicurezza di cui avevano un disperato bisogno. Questo accadeva ai tempi di Eltsin, quando le aspirazioni di Mosca di aderire all’Alleanza occidentale erano prese molto sul serio a Washington e a Brussel. Se gli Armeni erano da biasimare per aver stretto un’amicizia con la Russia post-sovietica, lo erano anche le amministrazioni Clinton, Obama e Bush (padre e figlio). Per quanto riguarda i legami dell’Armenia con l’Iran, quelli, come notato, risalgono all’epoca preislamica. La Repubblica islamica, inoltre, fu l’unico partner commerciale dell’Armenia durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh, quando un blocco turco minacciava la fame. Gli Americani tollerano molto peggio, in termini di complicate amicizie, da altri alleati isolati.
Quando l’Azerbajgian ha lanciato la sua operazione del 2020 per riconquistare aree del Nagorno-Karabakh, l’amministrazione Trump era in gran parte assente. Nel frattempo, alcuni analisti di politica estera di destra, come Michael Doran dell’Hudson Institute, hanno applaudito le forze azere mentre schieravano droni forniti da Israele per devastare gli Armeni. In gran parte ignorato è stato il filmato della fuga degli Armeni del Karabakh, cantando inni in addio ad antiche chiese che quasi certamente non avrebbero più rivisto. Allo stesso modo, l’Occidente è rimasto muto quando sono emerse prove del fatto che la Turchia di Erdoğan ha rafforzato l’esercito regolare dell’Azerbajgian con i jihadisti siriani, e anche quando la Turchia ha prestato a Baku il know-how della NATO, che ha superato le dottrine militari dell’Armenia in stile sovietico e della Seconda Guerra Mondiale. In Armenia come altrove, “l’Occidente” e l’islamismo violento hanno agito in tandem contro i Cristiani indigeni.
Ursula von der Leyen e Ilham Aliyev, luglio 2022.
Forse ancora più dannosa è stata la visita di quest’estate a Baku del Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dove ha firmato un accordo di fornitura di gas con Aliyev e si è espansa sul sedicente “grande leader”: “Sei davvero un partner energetico cruciale per noi, e tu sei sempre stato affidabile”. Quella visita e quelle parole, ritengono le autorità armene, quasi certamente hanno incoraggiato il regime di Aliyev mentre si proponeva di spremere sia il Nagorno-Karabakh che l’Armenia vera e propria. Come mi ha detto il Viceministro degli Esteri, Paruyr Hovhannisyan, in un’intervista a ottobre, prima del recente blocco del Karabakh: “Perché andare in Azerbaigian e presentarlo come ‘il nostro partner più affidabile’, senza menzionare i diritti umani e la guerra?” Mnatsakanyan, l’ex Ministro degli Esteri, è stato più schietto: “Ursula si è presa gioco di se stessa”.
L’indifferenza e l’ostilità occidentali sono particolarmente dolorose per l’attuale governo di Yerevan, che è salito al potere dopo una rivolta popolare del 2015, che ha preso di mira la classe dirigente ossificata dell’Armenia. Al posto delle cricche nazionaliste e ex-comuniste della vecchia scuola, che presero il potere subito dopo l’indipendenza, dopo essersi guadagnate i gradi nella vittoriosa guerra del Karabakh degli anni ’90, gli Armeni votarono per il primo ministro tecnocratico e neoliberista, Nikol Pashinyan.
Il nuovo Primo Ministro si è candidato alla pace e ha cercato di allineare Yerevan con Washington e Brussel. In effetti, è arrivato al punto di segnalare il disappunto per l’invasione russa dell’Ucraina, una mossa rischiosa che secondo alcuni ha spinto un Cremlino già distratto ad abbandonare Yerevan quando gli Azeri hanno effettuato la loro incursione di settembre e il più recente blocco del Karabakh. L’Armenia, inoltre, ha inviato truppe alla missione afghana della NATO. In effetti, è stato il secondo più grande contributore di truppe pro capite, notevole, considerando che è un membro dell’organizzazione di sicurezza russa, la CSTO.
E, chiedono i critici, per cosa? Cosa ci ha portato voltare le spalle all’orso russo? L’Occidente è venuto in nostro aiuto quando i Turchi e gli Azeri ci hanno attaccato? Uno di questi critici, Robert Kocharyan, secondo Presidente dell’Armenia dopo l’indipendenza e veterano della prima campagna del Karabakh, ha suggerito che la sicurezza sta nell’amicizia con la Russia e l’Iran, con i quali Yerevan dovrebbe formare un’intesa difensiva.
Hovhannesyan, l’ex inviato a Washington più vicino all’attuale governo, non crede a questo ragionamento. “Questa è una teoria frivola”, mi ha detto. “L’Armenia è molto negativa riguardo alla mossa di Putin: non solo strategicamente, ma perché rappresenta l’imperialismo del XIX secolo. Anche quando l’Armenia era totalmente nell’orbita russa, anche allora, dopo l’annessione della Crimea, abbiamo espresso quanto più possibile l’opposizione a Mosca”.
Mnatsakanyan, l’ex Ministro degli esteri, che ha negoziato con Putin, concorda: “Penso che sia impossibile. Hai a che fare con due Paesi sanzionati”: Russia e Iran. I Russi, ha detto, possono resistere all’isolamento, ma gli Armeni no: “La Russia è la Russia. Sono preparati a vivere di patate. Pensano così: ‘patate per la madrepatria’. Non è sostenibile, ma stiamo parlando di 5, 10, 30 anni? Ne hanno abbastanza per andare avanti per un po’. Per noi non è sostenibile. Ci sentiamo a nostro agio con i nostri partner occidentali”. Questo, anche se vede attraverso l’ipocrisia occidentale: “È così che funziona il nostro brutto mondo. L’Armenia non è sufficientemente democratica per te, perché non siamo sufficientemente anti-Russi? È questa la tua definizione di democrazia?
Anche se l’Armenia tornasse completamente nell’orbita russa, non vi è alcuna garanzia che possa superare l’attuale impasse. La Russia è distratta da quella che si è rivelata una disastrosa incursione in Ucraina. L’Iran, nel frattempo, ha ammassato 40.000 soldati al suo confine e ha promesso di rispondere a qualsiasi modifica da parte dell’Azerbajgian dei confini dell’Armenia vera e propria, che renderebbe Teheran completamente dipendente dall’Azerbajgian (e dalla Turchia) per il traffico terrestre nel Caucaso e oltre, una situazione che secondo quanto riferito, persino i funzionari americani ammettono che sarebbe inaccettabile per la Repubblica Islamica.
Ma molti in Armenia dubitano che Teheran riuscirà davvero a far fronte a questa minaccia, dati i suoi disordini interni. E se gli Iraniani agissero, potrebbero creare un potenziale scenario da incubo: una guerra azerbajgiana-iraniana significherebbe anche una guerra turco-iraniana, vale a dire una guerra NATO-iraniana, con la Russia nucleare in bilico nelle vicinanze, inclusi 2.000 caschi blu russi in Karabakh che potrebbero servire come fili di scatto.
Il risultato è che Baku può spremere e spremere e spremere. Cosa vogliono gli Azeri? Eric Hacopian, un analista armeno di origine iraniana e cresciuto in America, ha descritto in modo netto lo scopo dei giochi di Baku: “Un Nagorno-Karabakh etnicamente ripulito, un corridoio sovrano [che va dall’Azerbajgian alla sua exclave nel Nakhichevan], e la Gazaficazione dell’Armenia vera e propria”. Vale a dire, uno stato armeno gravemente indebolito di cui gli Azeri e i Turchi possono fare ciò che vogliono. O come ha affermato il Viceministro degli Esteri, Hovhannisyan: “L’Azerbajgian sta cercando di spingere così tanto su altre questioni, che dimentichiamo il Nagorno-Karabakh, che ci preoccupiamo così tanto della sicurezza del nostro Paese, non abbiamo tempo per i Karabakhi”. Una lotta che, come mi ha ricordato un deciso legislatore armeno, “è la base dello stato armeno”: il movimento per l’indipendenza all’interno dell’Unione Sovietica.
“Agli armeni del Karabakh deve essere concessa l’autodeterminazione”
Il fatto che gli Azeri abbiano rivendicazioni storiche più deboli sul Karabakh, non significa che manchino di rivendicazioni o che il territorio debba essere completamente “armeno”. Ma significa che agli Armeni del Karabakh deve essere concessa l’autodeterminazione in base alle regole stabilite per giudicare tali rivendicazioni. Aggiungete tre decenni di implacabile ed estrema propaganda anti-armena a cui sono stati esposti gli Azeri, e costringere gli Armeni del Karabakh e gli Azeri a vivere fianco a fianco oggi sarebbe molto più pericoloso di quanto avrebbe potuto essere in passato.
L’obiettivo più ampio, dal punto di vista turco-azerbaigiano, è la realizzazione di un “Grande Turchia”, il sogno illustrato nella mappa che gli intellettuali armeni mostrarono a Gorbaciov. “Il mondo turco si sta riconsolidando”, ha detto Hovhannesyan, l’ex Ambasciatore. “L’unica fastidiosa eccezione è questa striscia di terra è chiamata Armenia. L’aspirazione pan-turca non è accademica. Durante il periodo sovietico, l’Azerbajgian divenne cosmopolita con Russi, Ebrei, Armeni e altri. Il Paese aveva un ambiente più russo ed europeo, ma con Aliyev, per ottenere il potere, sono diventati [puristi]”.
Non ci vorrebbe molto per frenare l’Azerbajgian e i suoi sostenitori Turchi, per convincerli ad allentare la loro morsa sull’Armenia. L’amministrazione Biden e i Democratici al Congresso, per loro merito, si sono affrettati a rispondere all’aggressione di settembre, con il Presidente della Camera, Nancy Pelosi, che ha assunto una posizione di solidarietà a cui molti attribuiscono il merito di aver prevenuto ulteriori salassi. Una maggiore cooperazione di sicurezza USA-Armenia, una mediazione diplomatica più attiva e chiare linee rosse contro Baku, sostenute dalla minaccia di sanzioni, potrebbero far guadagnare tempo e spazio agli Armeni per riarmarsi e ristabilire una misura di equilibrio nella disputa, preparando il terreno per una soluzione della questione del Karabakh. Tale assistenza deve essere senza precondizioni: vale a dire, gli Armeni non devono subire pressioni affinché abbandonino i loro partenariati regionali (con Russia, Iran e CSTO).
La pressione, piuttosto, deve gravare sull’Azerbajgian, che al momento della stesura di questo pezzo, continua il suo blocco del Karabakh, minacciando l’estinzione di 120.000 residenti, mentre continua a far trapelare filmati di torture inflitte ai militari armeni catturati – ciò che i funzionari di Yerevan chiamano la “guerra porno di Baku”. Come mi ha detto l’ex Ministro degli Esteri, Mnatsakanyan: “Qualsiasi stronzata sul fatto che gli Azeri siano persone gentili e amirevoli, non la compreremo. Perché abbiamo guardato i filmati. La domanda è: aspetteremo fino a quando non ci sarà una situazione di Rohingya [genocidio] per reagire?”
[*]Sohrab Ahmari è un fondatore e redattore di Compact. In precedenza, ha trascorso quasi un decennio con News Corp., come editorialista del New York Post e come editorialista e redattore con le pagine di opinione del Wall Street Journal a New York e Londra. Oltre a queste pubblicazioni, i suoi scritti sono apparsi su The New York Times, The Washington Post, The New Republic, The Spectator, Chronicle of Higher Education, Times Literary Supplement, Dissent e The American Conservative, per i quali è redattore collaboratore. Tra i suoi libri ci sono From Fire, by Water (Ignatius, 2019) e The Unbroken Thread (Convergent, 2021).
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-24 20:36:392022-12-25 20:47:56Tredicesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Gli Armeni dell’Artsakh in marcia verso il posto di blocco delle forze di pace russe per chiedere la rimozione degli Azeri dal Corridoio di Berdzor (Lachin) (Korazym 24.12.22)
Già da 13 giorni l’Azerbaigian isola dal resto del mondo gli armeni del Nagorno-Karabakh. «Vogliono cacciarci dalla nostra terra, è inaccettabile». Intervista all’imprenditore miliardario e ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan
«La situazione è davvero critica, ma noi armeni non ci arrendiamo: continueremo a difendere il nostro diritto a vivere nella nostra terra». Da 13 giorni 120 mila armeni residenti nel Nagorno-Karabakh sono stati tagliati fuori dal mondo in seguito al blocco del Corridoio di Lachin, l’unica via che collega l’Artsakh all’Armenia e al mondo esterno, da parte di presunti manifestanti “ambientalisti” dell’Azerbaigian. Cibo, benzina e medicine scarseggiano e si rischia la catastrofe umanitaria. «Quanto sta accadendo è inaccettabile e viola l’accordo di tregua del novembre 2020», dichiara a Tempi Ruben Vardanyan, che a novembre ha assunto la carica di ministro di Stato dell’Artsakh con il compito di supervisionare il lavoro di tutti i ministeri tranne quelli dell’Interno e della Difesa. L’imprenditore miliardario è una figura di alto profilo e il suo trasferimento in Artsakh, in seguito alla rinuncia alla cittadinanza russa, ha fatto infuriare il governo azero…
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-24 20:33:202022-12-25 20:34:42Nagorno-Karabakh. «La situazione è critica, ma noi armeni non ci arrenderemo» (Tempi 24.12.22)
Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov ha affermato che l’Armenia e l’Azerbaigian avranno più incidenti se uno di loro si rifiuta di comunicare.
“Questi incidenti – che sono inevitabili in qualsiasi conflitto e che devono, ovviamente, essere presi in considerazione con urgenza e si dovrebbe tentare di risolverli rapidamente – si ripeteranno più a lungo se ogni volta che dopo un incidente una delle parti si ritirerà dai negoziati round che sono stati concordati. Questo non ha mai fatto del bene a nessuno“, ha detto in una conferenza stampa dopo i colloqui con il ministro degli Esteri azero, Jeyhun Bayramov.
Lavrov ha rilasciato la dichiarazione, quando gli è stato chiesto di commentare il rifiuto dell’Armenia di partecipare a una riunione ministeriale trilaterale a Mosca.
“Nessun trattato, nessun accordo, figuriamoci un accordo raggiunto dopo una guerra, un conflitto durato più di un decennio, si realizza subito al 100%”, ha detto il ministro. “Ciascuna delle parti di questo o quell’accordo, questo o quell’accordo per avere un cessate il fuoco, adotta misure pratiche per stabilizzare la situazione sul terreno, in un modo o nell’altro commette violazioni“.
Secondo Lavrov, il contingente russo di mantenimento della pace in Nagorno-Karabakh sta cercando di risolvere gli incidenti in questa regione il prima possibile in piena conformità con il suo mandato e offrire soluzioni concrete.
I ministri degli Esteri di Russia e Azerbaigian hanno parlato per telefono il giorno prima. Hanno espresso rammarico per la decisione dell’Armenia di rifiutarsi di partecipare ai colloqui per raggiungere un trattato di pace tra Yerevan e Baku che erano previsti per il 23 dicembre a Mosca. Il 22 dicembre è stato riferito che l’Armenia ha chiesto di rinviare l’incontro programmato a causa della situazione nel corridoio di Lachin.
In this photo released by Ministry of Defense of Armenia, an Armenian soldier fires an artillery piece during fighting with Azerbaijan’s forces in the breakaway region of Nagorno-Karabakh.
“La Russia è probabilmente più interessata di chiunque altro a garantire che venga stabilita una pace duratura ed equa tra i due stati amici in questa regione e che qualsiasi ricorrenza di passate manifestazioni di conflitto sia esclusa in modo affidabile“, ha affermato Sergey Lavrov.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-24 10:38:492022-12-25 20:40:52Lavrov avverte l’Armenia: non partecipare ai negoziati provoca altri scontri con l’Azerbaigian (Russianews 24.12.22)
Tra gli attacchi dell’Azerbaijan sul territorio della Repubblica d’Armenia e il blocco di Haut-Karabagh, i cristiani sospirano per l’arrivo del Natale, che la Chiesa apostolica armena festeggia il 6 gennaio.
Ancora una volta, il Natale si annuncia difficile per il popolo armeno. Questo paese del Caucaso, la cui popolazione è cristiana per il 90%, è ancora nel mirino delle intimidazioni azere, manifestate da una nuova aggressione il 13 e 14 settembre 2022, stavolta direttamente sul territorio della Repubblica d’Armenia.
Se il clima generale sembra essersi un tantino disteso, dopo quegli attacchi, la verità è piuttosto che la Repubblica di Azerbaijan ha cambiato metodo: da una decina di giorni essa sta imponendo un blocco del corridoio di Lachin, in Haut-Karabagh. I suoi abitanti sono dunque tagliati via dal resto del mondo, poiché quel tratto di terra è l’unico modo per collegare l’enclave alla Repubblica di Armenia. Si tratta di 120mila persone in tutto – 30mila dei quali bambini e 20mila dei quali anziani – che si apprestano a passare un Natale doloroso (i cristiani d’Armenia festeggiano il Natale generalmente il 6 gennaio).
Maxime Yevadian, storico e membro del laboratorio del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica (CNRS) di Lione, spiega:
Quel che accade oggi in Haut-Karabagh è l’applicazione in tutto il suo fulgore di una politica della pressione e del ricatto condotta dalla Repubblica di Azerbaijan, aiutata dalla Turchia e dal Pakistan, contro gli Armeni dello Haut-Karabagh.
L’Armenia è il catenaccio da far saltare, il sassolino nella scarpa della continuità turcomanna, vagheggiata dai vicini turchi e azeri.
Giovedì 22 dicembre saranno 10 giorni dall’avvio del blocco (che ha chiuso tutte le strade). Gli stock di derrate alimentari vanno progressivamente verso l’esaurimento, e i malati gravi non potranno essere trasferiti ad Erevan, la capitale, restando bloccati nell’ospedale di Stepanakert. Un paziente è già morto e altri quattro sono in stato grave, secondo il quotidiano ArmeNews. 24 operazioni chirurgiche sono sospese, i parti sono esposti a maggiori rischi. Al di fuori dell’agricoltura, nessuna attività economica permette più all’Artsakh di vivere correttamente: «La popolazione è imprigionata, blindata – prosegue Maxime Yevadian – e l’Azerbaijan sta volontariamente creando una grave crisi umanitaria».
Il gas è stato ripristinato abbastanza rapidamente per via della pressione esercitata dalla Russia, ma la reazione internazionale non è sufficientemente forte da costringere gli Azeri a riaprire il corridoio e permettere l’approvvigionamento. Nessun tentativo di negoziato è stato avviato dalla comunità internazionale, e la situazione rischia di aggravarsi: «Se per Natale non si sarà fatto nulla in tal senso, il 6 gennaio sarà un giorno amaro per l’Artsakh».
«La congiuntura attuale è effettivamente angosciante», riconosce ai microfoni di Aleteia mons. Gollnisch, direttore dell’Œuvre d’Orient:
Rivolgiamo un appello alle autorità francesi perché prendano contatto con gli omologhi di Haut-Karabagh per trovare una soluzione. Quelli che circondano la regione sono gli stessi del genocidio del 1915. Bisogna reagire.
In Repubblica di Armenia Natale è un rifugio
La situazione è un po’ più sostenibile fuori dall’enclave, almeno a Erevan, stando alle testimonianze di volontari francesi dell’Œuvre d’Orient sul posto: «Ci prepariamo a festeggiare un Natale relativamente normale», dicono ad Aleteia Félix, volontario da settembre presso il seminario cattolico di Erevan. «L’atmosfera è piuttosto festosa, ci sono tante decorazioni nelle strade». Da parte sua Élisabeth, anch’ella volontaria da tre mesi, annota:
Il ricordo della guerra del 2020 è riaffiorato nello scorso settembre, quando l’Armenia è stata nuovamente attaccata, ma da allora l’aria è più tranquilla. Gli armeni hanno la fede abbarbicata al corpo, dànno prova di resilienza estrema. La gioia di Natale resta presente, qui a Erevan: la gente cerca ad ogni costo di mantenere in vita quel che può portare speranza e luce. Sono visceralmente attaccati a queste tradizioni, che costituiscono come un rifugio. Malgrado tutto, la guerra resta sullo sfondo, un po’ come un’ombra, soprattutto con quel che accade in Haut-Karabagh. Sono preoccupata per una famiglia di Lachin che avevo incontrato nell’ospedale di Erevan – si erano fatti 7 ore di strada per venire in ospedale. Mi chiedo come festeggeranno il Natale laggiù.
Gli abitanti continuano ad avvertire la pressione esercitata dall’Azerbaijan: martedì 20 dicembre c’è stata ad Erevan una manifestazione per chiedere la cessazione del blocco del corridoio e l’estinzione del corrispondente clima deleterio.
Paese minacciato di cancellazione, «scheggia di noi stessi in Oriente», secondo l’espressione di Sylvain Tesson, il martirio silenzioso dell’Armenia sembra non voler trovare fine. Svariate decine di migliaia di famiglie sfollate a partire dalla guerra del 2020 continuano a vivere in condizioni precarie:
Sono famiglie private di prospettive di vita – osserva mons. Gollnisch –: senza lavoro, vivono in abitazioni di fortuna. Si celebra il Natale, certo, ma il Natale non dissolverà la situazione di estrema difficoltà in cui si trovano i cristiani.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-23 20:49:252022-12-25 20:50:35Il Natale martoriato dei cristiani d’Armeni (Aleteia 23.12.22)
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