STORIA: La comunità armena a Trieste, una presenza dimenticata (East Journal 23.12.22)

La storia quasi sconosciuta della diaspora armena a Trieste, tra architettura e toponomastica…

Per effetto della sua posizione geografica e della sua complicata storia, che la colloca tra gli universi culturale latino, asburgico, mitteleuropeo e, ovviamente, balcanico, Trieste è, ma soprattutto è stata un melting pot di culture ed etnie, in un mix la cui componente ebraica è solo tra le più note e consistente. La crescita economica della città tra XVIII e XIX secolo – quando quella che fino ad allora era poco più di un villaggio divenne un centro cosmopolita e un porto europeo di primo piano – attrassero diverse comunità, compresa quella armena, di cui oggi restano poche tracce.

Una presenza (quasi) dimenticata

L’attuale via Ciamician – dal nome del celebre chimico Giacomo Ciamician (1857-1922), uno scienziato all’avanguardia, egli stesso di origine armena – con la scalinata che guarda il mare, è al cuore di quello che fu il quartiere armeno di Trieste; questo comprende via dei Giustinelli, una strada defilata dall’eleganza dimessa: qui, incassata tra un edificio abbandonato, un giardino ormai selvaggio e un condominio è incastonata la Chiesa dei Padri Mechitaristi, la chiesa armena che, come riporta Adriana Hovhannessian, dell’Associazione per l’amicizia tra Italia e Armenia ITALIARMENIA, ospita un bellissimo organo Rieger.

Consacrata alla Beata Vergine delle Grazie il 1 maggio 1859, oggi non solo non è visitabile, ma praticamente nemmeno visibile, seminascosta da una vegetazione fuori controllo dietro a un divieto d’ingresso. Quasi pericolante e semisconosciuto dagli stessi cittadini, nei tempi che furono l’edificio era stato un punto di riferimento religioso e culturale della comunità armena in città, casa dei Padri Mechitaristi armeni, un cui primo gruppo era arrivato nel 1715 da Costantinopoli a Venezia – città attorno a cui avrebbe poi gravitato il ramo italiano della diaspora armena – passando poi a Trieste.

Nel corso del XVIII secolo, infatti, diversi commercianti confluirono a Trieste, divenuta Porto Franco, attratti dalle opportunità dei traffici commerciali e degli affari: così, in meno di un secolo da una manciata di decine di membri, gli armeni a Trieste superarono le 500 unità a fine Settecento, in una fase in cui il vescovo di Trieste incentivava l’arrivo di immigrati armeni per controbilanciare la presenza dei greco-ortodossi.

Le tracce architettoniche

Nonostante ciò, a differenza di greci, ebrei e serbi, la comunità armena non crebbe quanto le altre minoranze, forse anche perché il nucleo religioso originario dei Padri Mechitaristi era spaccato al suo interno, cosa che non favorì particolarmente i nuovi arrivi. Soprattutto  gli armeni, che già all’epoca avevano subito violenze e discriminazioni ad opera dell’Impero Ottomano, tendevano a essere diffidenti, preferendo restare legati alle proprie tradizioni molto radicate, piuttosto che integrarsi con il tessuto locale, cosa che contribuì anche a un certo gap linguistico.

Nondimeno, le tracce armene si possono ancora ripercorrere passeggiando sul colle di San Vito, attorno alla stessa via dei Giustinelli, il cui stesso nome è l’adattamento italiano del cognome di una celebre famiglia di origine armena, secondo un fenomeno che, con la naturalizzazione, rende difficile individuare nella toponomastica le origini armene. Nel 2021 la Commissione Regionale Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia ha deliberato di porre sotto tutela un edificio sito al numero 9 di via Tigor, quale componente essenziale del “borgo o colle armeno”: si tratta di un progetto del celebre architetto Ruggero Berlam.

Lo stesso Berlam, padre anche del progetto per la Sinagoga cittadina, nei primi anni del Novecento, disegnò una serie di edifici da adibire ad abitazioni per la piccola borghesia, voluti dall’imprenditore armeno triestino Haggi Giorgio Aidinian, commerciante di tappeti orientali, che li fece costruire sui terreni di proprietà dei padri Mechitaristi, convinti grazie al suo legame di parentela con l’Abate del monastero mechitarista viennese. L’ultimo della serie di edifici “armeni” è anche il più conosciuto, sito in via Giustinelli 1: si tratta di un massiccio stabile di cinque piani con uno stile vagamente cinquecentesco, caratterizzato da quattro torri angolari e posto in un’area sopraelevata, proprio come una fortezza.

Altre tracce sono andate invece perdute, come la pasticceria armena – o più precisamente “Fabbrica di dolci orientali” – fondata nel 1924 da Garabed Bahschian, nato a Costantinopoli e giunto a Trieste via Salonicco; sita al numero 5 di via Mazzini, la “Fabbrica” ebbe tanto successo che aprì in seguito una succursale in via Carducci 13; negli anni Venti e Trenta divenne un punto di ritrovo per greci, ebrei e armeni di passaggio, che si attardavano ai tavoli del suo caffè. La crisi economica alla fine della guerra e l’assottigliarsi progressivo delle comunità orientali a Trieste, che ne erano i principali clienti, portò la ditta Bahschian a chiudere a fine 1945. La comunità armena era già in declino e avrebbe poi continuato ad assottigliarsi: a oggi conta appena una decina di famiglie, tanto che la chiesa dei Padri Mechitaristi è passata, fino al 2009, alla Comunità cattolica di lingua tedesca, prima di venire chiusa e sostanzialmente abbandonata.

Fonti:

Tullia Catalan, Cenni sulla presenza armena a Trieste tra fine Settecento e primo Ottocento, in Storia economica e sociale di Trieste, La città dei gruppi l 719-1918, a cura di R. Finzi e G. Panjek, Trieste, Lint Editoriale 2001, vol. l, pp. 603-611

Anna Krekic e Michela Messina, Armeni a Trieste tra Settecento e Novecento: l’impronta di una nazione, Trieste, Civico Museo del Castello di San Giusto, 2008

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Dodicesimo giorno del #ArtsakhBlockade – Seconda parte. Il regime azero ha murato vivi 120.000 Armeni in Nagorno-Karabakh (Korazym 23.12.22)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.12.2022 – Vik van Brantegem] – Entrati del dodicesimo giorno del blocco dell’Artsakh da parte di sedicenti eco-attivisti azeri, riportiamo un’articolo dell’amico e collega Renato Farina pubblicato oggi su Libero Quotidiano, in cui descrive la tecnica della “diplomazia al caviale” con cui l’Azerbajgian da 20 anni blandisce i funzionari e politici nell’Unione Europea per garantirsi l’appoggio.

II regime di Aliyev ha ripreso con la forza la regione del Nagomo-Karabakh: l’esercito azero, coadiuvato dai Turchi e dai mercenari siriani, a fine 2020 ha invaso la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh e fatto facile strage di Armeni nella certezza di non essere sanzionati da alcuno Stato del mondo. L’eurodeputato tedesco Engin Eroglu (gruppo Renew) era uno strenuo oppositore del regime azero. Insieme allo sloveno Franc Bogovic del Gruppo Cristiano Democratico partecipò a una missione in Azerbaijan con una nutrita delegazione. Ora si schierano per l’amicizia con il regime dittatoriale de guerrafondaio di Ilham Aliyev. Guidavano la commissione che finanziò il vanto ecologico degli Azeri, i villaggi smart.

“Non esiste solo la violenza delle armi, esiste la violenza verbale, la violenza psicologica, la violenza dell’abuso di potere”, ha detto Papa Francesco nella parte finale del suo discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi di ieri, 22 dicembre 2022. Alla violenza verbale, violenza psicologica, violenza dell’abuso di potere di Aliyev e del suo regime abbiamo assistito per 20 anni, duranti il tempo della “diplomazia al caviale”. Poi, queste violenze sono finite nella violenza delle armi. Nel frattempo la “diplomazia al caviale” è stata intensificata per garantire alla dittatura azera di farla franca.

Il popolo armeno dell’Artsakh
è tenuto in ostaggio
#ArtsakhBlockade
#RoadOfLife
#UnblockTheRoad

La meravigliosa e eloquente canzone del gruppo “Vita” dei bambini di Artsakh bloccati a Yerevan, che chiedono l’apertura della “Strada della Vita” che porta a casa.

Cosa è successo nel Caucaso meridionale?

Il 12 dicembre 2022 alle ore 10.30, cittadini azeri che affermano di essere attivisti ambientalisti hanno chiuso il Corridoio di Berdzor (Lachin), bloccando con il pretesto di controlli ambientali l’autostrada Stepanakert-Goris che è l’unica via – la “Strada della Vita” – che collega l’Armenia con la autoproclamata e non riconosciuta Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh popolata da Armeni. Gli Azeri chiedono la cessazione dell’attività mineraria nella regione di Martakert dell’Artsakh per motivi ecologici, mentre la società Anglo-Asian Mining ne chiedo il libero accesso per poter assumere le attività minerarie. La sera del 13 dicembre, l’Azerbajgian ha interrotto le forniture di gas dall’Armenia al territorio dell’Artsakh e gli abitanti sono rimasti senza riscaldamento (a metà dicembre, la temperatura può scendere fino a -10 gradi). L’Azerbajgian ha poi riaperto il gasdotto. Però, oltre al fatto che gli Azeri avevano tagliato il gas già marzo, ci sono seri timori di un futuro black out completo.

Attualmente, 120.000 cittadini dell’Artsakh – un quarto dei quali sono bambini – vivono senza pace e senza strada, con la conseguente mancanza di medicine e cibo, con famiglie separate e con una crisi energetica. Vivono de facto nella più grande prigione all’aria aperta del mondo, sull’orlo di una catastrofe umanitaria. Molto presto potrebbero perdere l’accesso totale a medicine, cibo e carburante, poiché le risorse esistenti sono limitate ed è impossibile ricevere rifornimenti aggiuntivi a causa del blocco della “Strada della Vita”. Il 14 dicembre, il Ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, ha introdotto un protocollo per il risparmio di carburante: al momento la priorità è il lavoro ininterrotto di ambulanze, trasporti pubblici e servizi speciali. A più di 1.000 persone che viaggiavano lungo la strada è stato impedito di tornare alle loro case ad Artsakh e sono rimaste bloccate, impossibilitate a ricongiungersi con le loro famiglie.

Questo non è il primo blocco del territorio dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian. Ogni volta, le azioni dell’Azerbajgian sono state illegali. In primo luogo, il blocco del Corridoio di Lachin è una violazione delle norme e dei principi fondamentali del diritto internazionale. In secondo luogo, bloccare l’unica strada che collega l’Artsakh con il mondo esterno è una violazione diretta del paragrafo 6 dell’accordo tripartito di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, che ha sospeso la guerra dei 44 giorni del 2020. Il garante di questo accordo è la forza di mantenimento della pace russa di stanza nella regione. Ora, anche il loro posto è bloccato e difficilmente riescono a frenare i sedicenti “eco-attivisti” azeri. La situazione lungo la linea di contatto tenda di aggravarsi.

Sfortunatamente, gli attacchi terroristici azeri lungo la linea di contatto stanno già diventando una nuova norma. Ricordiamo che il 9 novembre 2020 Armenia, Azerbajgian e Russia hanno firmato l’accordo tripartito per concludere con un cessate il fuoco la guerra di 44 giorni scatenata dall’Azerbajgian in Nagorno-Karabakh. Dal 1° al 3 agosto 2022, le forze armate azere hanno violato il cessate il fuoco, provocando scontri con il non riconosciuto esercito di difesa della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 2022, le forze armate azere hanno bombardato Jermuk, Goris, Sotk e Vardenis in Armenia. Questa escalation è stata senza precedenti, poiché l’Azerbajgian ha attaccato e occupato territori sovrano dell’Armenia vera e propria, che non erano collegati alla non riconosciuta Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Cosa possiamo fare noi, testimoni della crisi umanitaria in atto nel’Artsakh?

Un’altra conseguenza del #ArtsakhBlockade è sul piano dell’informazione. Gli Azeri stanno attualmente tentando di bloccare il flusso di informazioni – tramite comunicazioni telefoniche e via Internet – al fine di privare gli abitanti dell’Artsakh dell’opportunità di accedere alle notizie e ottenere un quadro affidabile di ciò che accade intorno a loro.

Poi, solo la diffusione della verità su quanto sta succedendo in Artsakh e la pressione politica-diplomatica internazionale possono impedire all’Azerbajgian di proseguire con le azioni illegali. Ogni minuto del blocco disumano infligge perdite irreparabili alle orgogliose ma poche Armeni dell’Artsakh. L’attacco terroristico dell’Azerbajgian, ricco di risorse, avrà conseguenze disastrose. Già migliaia di famiglie sono rimaste senza la possibilità di riscaldare le loro case, poiché le persone non hanno accesso al combustibile, e molto presto si ritroveranno senza cibo e medicine necessarie, perché sono tagliate fuori dal mondo. Il blocco del Corridoio di Lachin ha tutti i segni di un’azione genocida azera contro il popolo armeno dell’Artsakh. La situazione sta peggiorando di minuto in minuto, quindi le aspirazioni estremiste dell’Azerbajgian devono essere frenate il prima possibile.

#UnblockTheRoad

120.000 Armeni (tra cui 30.000 bambini) dell’Artsakh hanno bisogno urgente del nostro aiuto. Non dobbiamo lasciare che il popolo dell’Artsakh affronti questa devastante crisi creata dal regime azero. La “Strada della Vita deve essere sbloccata.

Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev alla cerimonia del “Giorno della Vittoria” a Shushi l’8 settembre 2022 ha ammesso per la prima volta che l’Azerbaijan ha iniziato la seconda guerra del Nagorno-Karabakh. Nella foto: “Il vittorioso Comandante in capo delle forze armate Ilham Aliyev, la sua moglie Mehriban Aliyeva e il loro figlio Heydar Aliyev” (AZARTAC, l’agenzia di stampa statale dell’Azerbajgian) [QUI].

Nuovo fronte
Diplomazia al caviale con gli eurodeputati: regali sospetti dell’Azerbaigian
Due onorevoli, un tedesco e uno sloveno, sono diventati strenui difensori del regime autocratico. Dopo uno strano viaggio…

di Renato Farina
Libero Quotidiano, 23 dicembre 2022

Si chiama «diplomazia del caviale». È la tecnica con cui da almeno 20 anni l’Azerbajgian adesca e tira dalla sua parte giornalisti, funzionari europei, deputati e affini dislocati nei vari consessi internazionali. Ottiene così il silenzio sulla natura autocratica del regime, l’omertà sull’assenza della libertà di stampa e di opinione; al contrario raccoglie elogi sperticati per le scelte illuminate e generose del Presidente llham Aliyev e della Vicepresidente-Consorte, spesso e volentieri in tuta mimetica.

A che scopo questo dispendio di uova di storione? Trasformare la programmata aggressione alla Repubblica indipendente di Artsakh/Nagomo-Karabakh, popolata di Armeni, in una passeggiata trionfale nella totale inerzia dell’opinione pubblica e delle istituzioni occidentali. È andata precisamente in questo modo, quando nel settembre del 2020, per 44 giorni, e poi ancora nel settembre scorso, per meno di una settimana, l’esercito azero, coadiuvato dai turchi e dai mercenari siriani, ha invaso e fatto facile strage di Armeni nella certezza di non essere sanzionati da alcuno Stato del mondo.

Il fascinoso cocktail di caviale e di gas pescati dal Mar Caspio ha intontito la sensibilità umanitaria del pianeta fino a un attimo fa. Il venire alla luce della sfacciata corruzione condotta dal Qatar sta facendo saltare i coperchi dei vasetti di Beluga made in Baku. Hanno cominciato gli Svedesi. Per la precisione il sito di controinformazioni e inchieste Blankspot.se [QUI]. Ha individuato lo strano cambiamento di visione del mondo di due importanti eurodeputati, leader di una commissione decisiva per finanziare “villaggi smart” che sono il vanto ecologico degli Azeri.

Rasmussen Canback e Sasha Duerkop avevano osservato le mosse in particolare di chi improvvisamente ha ribaltato il proprio giudizio sull’Azerbajgian. Ad esempio. L’eurodeputato tedesco Engin Eroglu (gruppo Renew, i macroniani) si era fatto un nome presentando costantemente risoluzioni critiche nei confronti della dittatura.

Bacio alla pantofola

Il 14 settembre, all’apertura del Parlamento europeo, Eroglu aveva aspramente dissentito da Ursula von der Leyen per il suo viaggio a Baku dove aveva baciato la pantofola al dittatore Ilham Aliyev. Passa poco tempo, e giura di non aver pronunciato «alcuna parola critica nei confronti dell’Azerbajgian».

Due settimane dopo, eccolo in Azerbajgian con una nutrita delegazione. Oltre a lui c’era il parlamentare sloveno Franc Bogovic del Gruppo Cristiano Democratico. Numerosi collaboratori con aereo pagato, il soggiorno non si sa, i regali non dichiarati. Interviste ai media locali, visite trionfali in città e borghi. Lo scopo principale del viaggio della delegazione era quello di visitare i citati villaggi smart, nella regione di Zangilan: ehi, proprio nelle zone che il regime di Aliyev ha ripreso con la forza dagli Armeni del Nagorno-Karabakh nel 2020.

Diciamola tutta: il territorio appartiene formalmente all’Azerbajgian. Dunque terra azera a tutti gli effetti? C’è un problema. Si chiama autodeterminazione dei popoli. Gli Armeni che abitano lì da secoli e secoli, alla caduta dell’URSS presero il controllo dell’area (1992). Dopo 30 anni, e molta diplomazia del caviale, l’Azerbajgian ha abbandonato i negoziati di pace dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) voluti dalle Nazioni Unite. Ha invaso il Nagorno-Karabakh. Una azione che Freedom House ha definito «un’ispirazione per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia».

Torniamo ai due eurodeputati. Che magnifica conversione. Deve esserci stata qualche magia. In febbraio avevano votato la condanna per gli scempi delle vestigia cristiane massicciamente perpetrati a partire dal settembre 2020. Adesso esigono una vigorosa amicizia europea con i vandali. In precedenza ancora gli Svedesi avevano dimostrato la potenza delle fake news gestite dal palazzo presidenziale di Baku per dissimulare gli orrori azeri e incolparne con immensi sciami di tweet gli Armeni.

Il nodo gas

Bravi gli Scandinavi. Per loro non è un problema: non hanno bisogno del gas su cui galleggia l’Azerbajgian. L’Italia invece sì. Sfiorare anche solo con un piumino da borotalco il dittatore llham Aliyev rischierebbe di incasinare le forniture di metano di cui abbiamo necessità se si vuol evitare lo stop al riscaldamento delle case e il fermo delle fabbriche.

Eppure persino la Grecia, che come noi usufruisce della Tap, ha speso delle parole non per dare addosso a Baku, ma per consentire un gesto umanitario. Almeno questo ci si aspetta dal Quirinale e dal Governo, imitando le parole del Papa che neppure ha citato Stati ed etnie, ma solo il luogo dove sta accadendo qualcosa di atroce. «Sud del Caucaso, Corridoio di Lachin».

Ci sono 120mila Armeni del Nagorno-Karabakh (in armeno Artsakh), di cui 30mila bambini, murati senza rifornimenti di viveri, carburante, medicinali in un piccolo territorio la cui unica via di comunicazione con l’Armenia e il resto del mondo è sbarrata. È il Corridoio di Lachin, da 12 giorni bloccato dai militanti di un incredibile movimento ecologista azero, inventato dalla fantasia del regime, con il pretesto di impedire il furto di oro e rame dalla sacra terra azera (in realtà sono i luoghi ancestrali della civiltà armena).

Ne avete letto da qualche parte? Forza Giorgia. Come scrisse Solzhenitsyn: «Una parola dolce spezza le ossa», libera i ragazzini.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Aghavnì e il miracolo di un Natale armeno: Antonia Arslan a “Stelle di Pace” (Il Mattino 23.12.22)

Da una vecchia fotografia di famiglia, ritrovata a casa di un cugino in America, Antonia Arslan scopre la vicenda perduta e ora ritrovata di una giovane antenata armena, Aghavnì. E da qui trae un racconto avventuroso di dolore e di coraggio, di morte e di rinascita che culmina in uno strano Natale, in un misterioso presepio che diventa un riscatto dei cuori. Il destino di Aghavnì, toccante storia natalizia della grande scrittrice di origine armena, ci proietta nella primavera del 1915, pochi giorni prima dell’inizio del genocidio degli armeni, in una Piccola Città del centro dell’Anatolia e ci accompagna, prendendoci per mano con la suggestione del racconto orale e la dimensione della fiaba in una narrazione che è incontro tra storia ed invenzione. Ce ne parlerà a Napoli, il 27 dicembre alle ore 16,30 al Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore, Sala Capitolo, in anteprima nazionale con letture dal testo a cura di Salvatore Guadagnuolo e Giuseppe Coppola di Agita Teatro, accompagnati dalla fisarmonica di Mari Zingarina e la conduzione di Donatella Trotta.

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Antonia Arslan a Stelle di Pace con il suo nuovo libro

Distruzione del patrimonio culturale in Artsakh, Berg: “Responsabilità azere”. (Sardegnagol 23.12.22)

Secondo l’indagine condotta dal Caucasus Heritage Watch sulla distruzione del patrimonio a Nakhichevan, sarebbero stati distrutti dalle autorità azere circa 108 monasteri, chiese e cimiteri medievali. A sollevare la questione sulla necessità di tutelare il patrimonilo culturale nell’Artsakh è stato l’eurodeputato del gruppo dei Conservatori e Riforimisti europei, Lars Patrick Berg.

“Questa deliberata distruzione dell’eredità cristiana è ora perpetrata in Artsakh dalle autorità azere, ed è probabile che senza l’intervento internazionale questa distruzione culturale sarà completa entro il prossimo anno”, ha dichiarato Berg. “Intende la Commissione europea proteggere tale patrimonio, proponendo sanzioni contro coloro che nel governo dell’Azerbaigian si sono resi colpevoli di distruzione e profanazione culturale?”.

Per l’Alto rappresentante dell’UE, Josep Borrell, intervenuto in risposta dell’interrogazione parlamentare dell’esponente del gruppo ECR, “l’UE è fortemente impegnata nella protezione del patrimonio culturale in tutto il mondo. L’UE lavora per la conservazione e il restauro del patrimonio culturale nella regione attraverso il trasferimento di conoscenze e competenze, in linea con le Conclusioni del Consiglio sull’approccio dell’UE al patrimonio culturale nei conflitti e nelle aree di crisi, adottate il 21 giugno 2021. Tali conclusioni riconoscono il ruolo del patrimonio culturale come importante veicolo per la pace, la democrazia e lo sviluppo sostenibile, promuovendo la tolleranza, la comprensione reciproca, la riconciliazione, l’intercultura e lo sviluppo sostenibile”.

L’UE ha ripetutamente chiesto la protezione di tutto il patrimonio religioso e culturale della regione, in particolare i siti colpiti dal conflitto, senza alcuna differenziazione per motivi etnici o religiosi. L’UE – conclude – sostiene l’iniziativa di una missione di valutazione tecnica dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), incentrata sul patrimonio culturale della regione”.

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Il grido degli armeni nel Nagorno-Karabakh: «Abbiamo cibo solo per altri tre giorni» (Tempi 22.12.22)

Sono passati undici giorni da quando l’Azerbaigian ha bloccato il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega 120 mila armeni residenti nel Nagorno-Karabakh all’Armenia e al mondo esterno. Due giorni fa il primo paziente che necessitava di cure urgenti a Erevan è morto a Stepanakert, capitale dell’Artsakh. I cosiddetti manifestanti “ambientalisti” dell’Azerbaigian hanno impedito all’ambulanza di passare. «Saranno anche interessati all’ambiente ma non hanno alcuna umanità», dichiara a Tempi Tatev Zakaryan, preside del complesso scolastico professionale armeno-italiano “Antonia Arslan”. «Noi chiediamo solo di vivere nella nostra terra, ma il regime azero vuole portare a termine un genocidio».

«Abbiamo cibo solo per tre giorni»

Il complesso scolastico, realizzato a Stepanakert con l’aiuto di insegnanti e istituzioni locali e italiane, ospita 610 studenti ma come ogni attività nell’Artsakh a causa del blocco del Corridoio di Lachin è in forte difficoltà. «Durante i primi giorni del blocco, quando l’Azerbaigian ci ha tagliato le forniture di gas, abbiamo dovuto chiudere l’asilo perché faceva troppo freddo», racconta Zakaryan. «Ora l’abbiamo riaperto, ma presto dovremo chiudere di nuovo: non abbiamo più cibo e quello che ci resta basta solo per tre giorni».

La mancanza di generi alimentari e non solo ha costretto la scuola anche a chiudere i corsi di cucina e falegnameria, «perché mancano le materie prime con cui lavorare», continua la preside. «Molti studenti inoltre non riescono più a venire a scuola perché vivono nei villaggi circostanti. Il problema è che non c’è più benzina e gli autobus non possono più a circolare».

Il regime azero separa i figli dai genitori

Gli “ambientalisti” azeri – in realtà membri dell’esercito e dei servizi in borghese – hanno iniziato a far passare ogni giorno un veicolo della Croce rossa per dimostrare che il Corridoio di Lachin non è davvero chiuso. «Ma è solo una messinscena», replica con forza Zakaryan. «Abbiamo due insegnanti e due ragazzini di 13 e 14 anni che si erano recati in Armenia prima del blocco. Ora non possono più tornare indietro dalle loro famiglie e sono disperati. In tutto, 170 minori tra gli 8 e i 17 anni sono bloccati in Armenia: perché non li lasciano passare? Come possono fare questo alle famiglie?».

Tra pochi giorni sarà Natale e la scuola ha preparato regali per 200 bambini «perché almeno loro siano contenti». Ognuno cerca di affrontare la catastrofe umanitaria come può: «Quando torno a casa dai miei tre figli sorrido sempre, perché siano felici. Ma sono sorrisi falsi per nascondere l’angoscia», aggiunge la preside della scuola professionale “Antonia Arslan”. «Non riesco a capire come nel XXI secolo, dove si sbandiera la difesa dei diritti umani di tutti, nessuno si impegni per difendere noi armeni. L’Unione Europea fa affari con l’Azerbaigian: i soldi valgono più del nostro diritto a vivere?».

L’Azerbaigian perseguita gli armeni

Perché è solo questo che chiedono gli armeni del Nagorno-Karabakh: «Vogliamo solo vivere in pace nella nostra terra. E conserviamo la speranza che almeno i paesi cristiani interverranno in nostro aiuto. Ma nessuno si sta muovendo: nel mondo continua a prevalere la legge del più forte».

Oggi è il regime azero, sostenuto dalla Turchia, a essere più forte. Ed è per questo che, mentre fa di tutto per affamare il popolo armeno, invia ai giornali note come quella spedita a Tempi: «Non esiste un blocco sugli armeni locali e non sussiste una così detta catastrofe umanitaria». Lo vadano a dire ai 30 mila bambini, 20 mila anziani e novemila disabili che vivono in Artsakh, senza cibo, medicine e carburante.

@LeoneGrotti

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Undicesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Reale pericolo di genocidio nel Nagorno-Karabakh (Korazym 22.12.22)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 22.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nell’undicesimo giorno del blocco dell’Artsakh da parte di sedicenti eco-attivisti azeri, Yerevan chiede alle Nazioni Unite, all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) e alla Presidenza del Gruppo di Minsk dell’OSCE (Francia, USA e Russia) di inviare una missione di monitoraggio nel Corridoio di Lachin, ha detto oggi ai giornalisti il Segretario del Consiglio di sicurezza Armen Grigoryan. Secondo Grigoryan, è necessaria una missione internazionale “per risolvere la crisi esistente”. Si moltiplicano le dichiarazioni internazionali contro il criminale #ArtsakhBlockade sulla frontiera Armenia-Artsakh imposto dall’Azerbajgian alla Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Nel frattempo nel mondo: Zelensky nell’USA; violenza nella Repubblica Democratico del Congo, in Haiti, inMyanmar,…; Proteste in Peru; trattative di cessate il fuoco in Yemen; proteste in Iran e esecuzione di dimostranti; la guerra Ucraina-Russia prosegue e Zelensky torna a casa da Washington con 2 miliardi di aiuti militari freschi; ecc. ecc.

L’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ha indirizzato un appello alle Nazioni Unite affinché smascherino le provocazioni delle autorità azere con il fittizio pretesto ambientale.
“Il 12 dicembre 2022, il blocco del Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia e al mondo esterno, da parte delle autorità azere con falso pretesto ambientale e in violazione degli accordi raggiunti dalla dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, si è trasformato in un disastro umanitario e ha interrotto la fragile pace e una nuova regione tende a destabilizzarsi”, ha affermato l’Assemblea Nazionale in una nota.
L’Assemblea Nazionale ha espresso gratitudine ai Paesi preoccupati per il problema, alle organizzazioni internazionali, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, alla CEDU per aver risposto alla crisi umanitaria creatasi nella Repubblica dell’Artsakh, assediata dall’Azerbajgian.
“L’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh fa appello alle Nazioni Unite affinché smascherino le provocazioni delle autorità azere con il fittizio pretesto ambientale, affinché applichino i necessari strumenti internazionali, in particolare per inviare un gruppo di monitoraggio nella Repubblica di Artsakh e nelle zone limitrofe nell’ambito del programma ambientale delle Nazioni Unite, al fine di conoscere i problemi ambientali regionali e presentare conclusioni appropriate”, si legge nella dichiarazione. “Ci aspettiamo di risolvere la situazione di crisi creata nella regione con misure efficaci”, conclude.

Durante la sessione plenaria tenutasi oggi, il 22 dicembre 2022 il Congresso dei Deputati della Spagna ha adottato all’unanimità una dichiarazione di condanna del blocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian e la conseguente crisi umanitaria. La dichiarazione afferma specificamente: “Sono passati 11 giorni da quando l’Azerbajgian ha bloccato il Corridoio di Lachin, l’unico collegamento terrestre dell’Armenia con il Nagorno-Karabakh. Allo stesso tempo, la fornitura di gas all’area è stata interrotta, una situazione che ha portato a una crisi umanitaria e all’aumento delle tensioni nella regione. Per questo e in linea con la posizione della Commissione Europea, il Congresso dei Deputati:

  • Segue con preoccupazione i vari avvenimenti attorno al Corridoio di Lachin.
  • Invita le autorità azere a garantire la libertà e la sicurezza di movimento lungo il Corridoio in conformità con la dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020. Le restrizioni alla libera circolazione causano grandi sofferenze alla popolazione e possono creare una crisi umanitaria.
  • Invita le parti a risolvere e appianare le divergenze attraverso il dialogo e la negoziazione.
  • Sollecita le strutture internazionali a prevenire una nuova crisi umanitaria nella regione.

Siamo in attesa che i Parlamentari italiani si staccano dalla canna del gas azero e danno un segno di rispetto per i diritti umani e di umanità.

Dopo dieci giorni del blocco dell’autostrada Stepanakert-Goris, l’Artsakh si sta avviando verso una crisi umanitaria: scaffali dei negozi vuoti, benzina, medicine e omogenizzati per bambini mancano, famiglie rimaste divise. Questo pomeriggio, in un post sul account ufficiale, il Ministero degli Esteri dell’Artsakh ha scritto: «Giorno 11․ Blocco totale dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian è in corso. Le violazioni dei diritti umani fondamentali del popolo dell’Artsakh, incluso il diritto alla sicurezza, alla salute e alla libertà di movimento, continuano senza sosta. Il cibo e le medicine stanno finendo. 120.000 persone sono sull’orlo di un grave disastro umanitario».

Mentre il dittatore guerrafondaio e genocida dell’Azerbajgian sta letteralmente condannando a morire di fame 120.000 Armeni (tra cui 30.000 bambini) dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh sotto #ArtsakhBlockade, il Presidente della Serbia si sta godendo la frutta fresca con Ilham Aliyev. Gli Armeni dovrebbero accettare la dittatura genocida dell’Azerbajgian e il suo intento di uccidere tutti gli Armeni autoctoni dell’Artsakh. Quindi, quando ciò sarà fatto, gli azeri-turchi si rivolgeranno a Syunik, a Sevan e a Yerevan, che considerano proprietà dell’Azerbajgian. Aliyev l’ha detto in chiare lettere e ripetuto molte volte da quando è al potere a Baku.

Le 10 fasi del genocidio
1. Classificazione:
 le persone vengono divise in “noi e loro”.
2. Simbolizzazione: le persone sono costrette a identificarsi.
3. Discriminazione: le persone iniziano a subire discriminazioni sistematiche.
4. Disumanizzazione: le persone sono equiparate ad animali, parassiti o malattie.
5. Organizzazione: il governo crea gruppi speciali (polizia/militari) per far rispettare le politiche.
6. Polarizzazione: il governo trasmette propaganda per rivoltare la popolazione contro il gruppo.
7. Preparazione: inizia l’azione ufficiale per rimuovere/ricollocare le persone.
8. Persecuzione: inizio di omicidi, furto di proprietà, prove di stragi.
9. Sterminio: eliminazione totale del gruppo (è “sterminio” e non omicidio, perché le persone non sono considerate umane).
10. Negazione: il governo nega di aver commesso alcun reato.

Siranush Sargsyan, storica, politologa e giornalista di The Armenian Weekly – un giornale armeno in lingua inglese di proprietà della Federazione Rivoluzionaria Armena (ARF), un partito politico socialista nazionalista e democratico fondato nel 1890, che oltre al suo ruolo politico, detiene anche un alto livello di standard giornalistico e riporta notizie di rilevanza per la diaspora armena globale – ha scritto in un post su Twitter: «Mia nipote Ani e centinaia di studenti che hanno terminato il periodo degli esami a Yerevan, non possono tornare a casa in Artsakh per festeggiare il Natale con le loro famiglie, a causa del #ArtsakhBlockade».

Le forze di pace della Federazione Russa svolgono i loro compiti relativi al controllo del Corridoio di Lachin, ha detto il Portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, durante il briefing settimanale, commentando la dichiarazione del Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, secondo cui le forze di pace russe non stanno adempiendo ai loro doveri. “Posso dire il contrario: le forze di pace russe stanno portando avanti la loro missione. Si stanno intraprendendo azioni, si sta lavorando. Voglio ricordare a coloro che non lo sanno, o che si affidano a dichiarazioni politiche, che prima c’erano molte escalation, c’erano problemi, le parti si incolpavano a vicenda e sono state le forze di pace russe a fare di tutto per stabilizzare la situazione, ed è per loro ricevuto. Pertanto, tale atteggiamento nei confronti delle nostre forze di pace non è accettato”, ha detto Zakharova. Anche l’addetto stampa del Presidente russo, Dmitry Peskov, ha toccato questo argomento. Ha affermato che le forze di pace russe fanno tutto il possibile per garantire l’ordine e la pace nelle aree in cui operano. “Essi agiscono in conformità con lo spirito e la lettera dei documenti firmati tra le parti. Naturalmente, continueremo la discussione su questo argomento con i nostri partner e alleati armeni”, ha affermato Peskov.

Era prevista per domani, 23 dicembre 2022 a Mosca una riunione dei Ministri degli Esteri di Armenia, Russia e Azerbajgian. Ma il Portavoce del Ministero degli Esteri armeno, Vahan Hunanyan, in risposta ad una domanda di Armenpress, ha detto che la parte armena ha chiesto di rinviare l’incontro, perché al momento la priorità del Ministro degli Esteri armeno è quella di affrontare i problemi che si sono creati di conseguenza della crisi umanitaria in Artsakh/Nagorno-Karabakh e il riavvio senza ostacoli del Corridoio di Lachin.
Domanda: “È corretta l’informazione secondo cui un incontro tra i Ministri degli Esteri di Armenia, Russia e Azerbajgian, che era previsto per il 23 dicembre a Mosca nell’ambito dei negoziati sul trattato di pace, non avrà luogo?”
Risposta: “La parte armena ha confermato la sua disponibilità a partecipare all’incontro che si terrà a Mosca circa 2 settimane fa, prima del blocco illegale del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian. Ovviamente, la priorità di lavoro del Ministro degli Affari Esteri, Ararat Mirzoyan, al momento è il riavvio senza ostacoli del Corridoio di Lachin in conformità con la dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020 [*] e affrontando i problemi creati a seguito della crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh, sulla base della quale la parte armena ha chiesto di rinviare l’incontro in programma a Mosca. Allo stesso tempo, informiamo che come segno della costruttività della parte armena nel processo di normalizzazione delle relazioni con l’Azerbajgian, indipendentemente dalle circostanze dell’incontro, le nuove proposte della parte armena riguardo al documento sulla normalizzazione delle relazioni sono state trasferite in Azerbajgian».

[*] Dichiarazione del Primo Ministro della Repubblica di Armenia, del Presidente della Repubblica di Azerbajgian e del Presidente della Federazione Russa del 9 novembre 2020, Articolo 6: “La Repubblica di Armenia restituirà alla Repubblica dell’Azerbaigian la regione di Kalbajar entro il 15 novembre 2020 e la regione di Lachin entro il 1° dicembre 2020. Il Corridoio di Lachin (largo 5 km) che assicurerà la comunicazione tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia, e allo stesso tempo aggirerà la città di Shushi, rimarrà sotto il controllo del contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa”.
Va ricordata anche la disposizione dell’Articolo 4: “Il contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa rimarrà per un periodo di 5 anni, con ulteriori proroghe automatiche di 5 anni, ove 6 mesi prima della scadenza del periodo nessuna delle Parti dichiari la propria intenzione di porre termine all’applicazione della disposizione”.

Il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan, ha rilasciato un’intervista al sito statunitense Faithwire [QUI] Allarme “genocidio”: mentre i Cristiani armeni affrontano un potenziale orrore, parla un funzionario del Nagorno-Karabakh, presentando la situazione creata dall’Azerbajgian che blocca l’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia e al mondo. “Dal 12 dicembre, l’Azerbajgian ha bloccato il Corridoio di Lachin per una settimana, scrive il sito, osservando che le organizzazioni internazionali per i diritti umani avvertono del reale pericolo di genocidio in Artsakh. Il sito cita il Ministro di Stato Ruben Vardanyan, che ha affermato che questi eventi mostrano chiaramente cosa potrebbe accadere all’Artsakh se improvvisamente passasse sotto il controllo dell’Azerbajgian. “La situazione è difficile perché è inverno, le scorte di cibo, medicine e carburante sono limitate. Non sappiamo per quanto tempo ancora può andare avanti e dobbiamo applicare delle restrizioni. Nonostante tutte queste prove, i 120.000 cittadini del Nagorno Karabakh mostrano una forte determinazione. Queste difficoltà e limitazioni hanno reso le persone più unite”, ha detto Vardanyan, presentando la situazione. Parlando delle radici armene dell’Artsakh e della continua lotta per l’indipendenza, Vardanyan ha detto: “La nostra lotta per l’indipendenza è iniziata 34 anni fa e oggi le persone che vivono qui la continuano. Non vogliono far parte di nessun altro Stato. Questo non è un conflitto religioso tra l’Azerbajgian e il Nagorno-Karabakh, questa è una lotta tra un Paese autoritario e uno Stato democratico. Sappiamo tutti che in Azerbajgian non esiste un sistema democratico, nessun diritto umano”. Il Ministro di Stato dell’Artsakh ha aggiunto che c’è sempre il pericolo di un nuovo attacco da parte dell’Azerbajgian, ed è per questo che è importante capire che vivere come vicini può essere l’unica soluzione corretta nella situazione attuale. “Sono necessari grandi sforzi per stabilire la pace nella regione e dobbiamo capire che per risolvere la situazione, l’Azerbajgian deve accettare l’indipendenza dell’Artsakh e avviare i negoziati. Questo è possibile solo attraverso un compromesso. Una parte non può pensare di poter sparare e ottenere tutto, e l’altra parte non otterrà nulla”, ha affermato il Ministro di Stato dell’Artsakh. Rispondendo alla domanda sui suoi motivi per trasferirsi in Artsakh, Ruben Vardanyan ha detto: “L’Artsakh è per me uno dei capisaldi dell’identità armena e non potevo essere indifferente nel momento più pericoloso per il mio popolo. Questo è esattamente il momento in cui ho ritenuto importante utilizzare la mia conoscenza ed esperienza per servire la mia Patria. La gente dell’Artsakh dovrebbe sentire di avere il sostegno dell’intero mondo armeno. Siamo obbligati a trasmettere il diritto di vivere in Artsakh alle generazioni future”.

Dominando in alto sopra la capitale dell’Artsakh, Stepanakert, si erge un monumento iconico che simboleggia la connessione intrinseca tra l’Artsakh e il suo popolo resiliente. “Noi siamo le nostre montagne”, noto anche in Artsakh come “Tatik Papik” (nonna e nonno), è fatto di tufo vulcanico. La struttura rappresenta gli anziani dell’Artsakh in abiti tradizionali, orgogliosamente in piedi spalla a spalla. Non poggia su un piedistallo; è come se la collina fosse crepata e la nonna e il nonno si arrampicassero per stare con i piedi ben piantati nella loro terra natale. La natura simbolica della statua si esprime anche nel progetto architettonico dello scultore Sargis Baghdasaryan e dell’architetto Yuri Hakobyan. Il monumento ricorda la combinazione delle vette Sis e Masis del Monte Ararat, indicando ancora una volta l’idea dell’orgoglio armeno. Questo è stato il primo monumento dedicato alla longevità per il quale l’Artsakh è noto. Altri hanno avanzato l’idea che se la nonna a forma di tetto fosse posta sopra il nonno, la struttura assomiglierebbe a una casa. Forse è per questo che le giovani coppie che si sposano a Stepanakert e nei villaggi vicini, ricevono la loro prima “benedizione” da “Tatik Papik”. Prima della guerra dei 44 giorni di fine 2020, i turisti affollavano questo sito. In questi giorni, la gente di Artsakh, che ha perso il Katarot di Shushi (un’area pianeggiante in cima alle enormi rocce ai margini di Shushi, che è uno dei luoghi più belli ed era il più visitato del Nagorno-Karabakh), sta ora tenendo “Tatik Papik” vicino ai loro cuori, trascorrendo i giorni e le notti d’estate alla sua ombra.

Guardando 10 anni indietro nel tempo, rileggiamo l’articolo Il Presidente dell’Azerbajgian Aliyev nominato “Persona dell’anno” della corruzione a firma di Robert Coalson, pubblicato il 2 gennaio 2013 sul sito di Radio Free Europe/Radio Liberty [QUI], nella nostra traduzione italiana dall’inglese:

«Nel 2012, l’organismo di controllo della corruzione Transparency International ha riferito che due terzi dei Paesi del mondo possono essere considerati “altamente corrotti”. Sembrerebbe difficile scegliere qualcuno per il dubbio onore della “Persona dell’Anno” della corruzione. Una ONG di giornalismo investigativo ha fatto proprio questo. Il Organized Crime and Corruption Reporting Project-OCCRP (Progetto di segnalazione di criminalità organizzata e corruzione), con sede a Sarajevo e Bucarest, ha conferito la corona al Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev.

Il gruppo, specializzato in reportage sulla corruzione nella regione che va dall’Europa orientale all’Asia centrale, ha anche assegnato alcune menzioni “d’onore”. Sono andati al presunto contrabbandiere di sigarette e droga nato in Kosovo, Naser Kelmendi; al Primo Ministro montenegrino, Milo Djukanovic; al Presidente russo, Vladimir Putin; all’imprenditore serbo politicamente connesso, Miroslav Miskovic; al Presidente uzbeko di lunga data, Islam Karimov; e al trafficante di droga serbo ricercato, Darko Saric. L’elenco informale è stato determinato dai rappresentanti delle 15 organizzazioni internazionali dei media che compongono l’OCCRP. Ha lo scopo di evidenziare il lavoro intrepido e spesso coraggioso necessario per denunciare la corruzione in questi Paesi notoriamente opachi.

L’OCCRP ha scelto Aliyev, citando ampi rapporti e “prove ben documentate” secondo cui “la famiglia Aliyev ha sistematicamente conquistato quote delle attività più redditizie” in Azerbajgian per molti anni.

Quote di proprietà segrete

I rapporti includono quote di proprietà segrete in banche, imprese edili, miniere d’oro e società di telecomunicazioni. Molti dei rapporti su Aliyev sono stati indagati dall’affiliata dell’OCCRP, Khadija Ismayilova, una giornalista del servizio azero di RFE/RL.

“Il Presidente Aliyev e la sua famiglia, infatti, insieme ad altre persone nella sua cerchia ristretta, sono coinvolti in così tante attività segrete che abbiamo scoperto quest’anno, proprio insieme a Radio Free Europe”, afferma Paul Radu, Direttore esecutivo di OCCRP. “Abbiamo identificato le società nascoste che erano di proprietà della prima famiglia dell’Azerbajgian a Panama, per esempio, o nella Repubblica Ceca. E abbiamo identificato i beni che possedevano in Azerbajgian tramite queste società”.

Radu è ottimista sui nuovi strumenti che stanno rendendo questo tipo di reporting sempre più efficace. Un esempio che cita è che OCCRP ha collaborato con successo con un hacker informatico scozzese. “In questo momento lavora con noi all’Organized Crime and Corruption Reporting Project ed è lui che ha raschiato [è entrato] nel registro delle società panamense e questo ci ha permesso di eseguire ricerche basate sui nomi”, afferma Radu. “Ed è così che abbiamo trovato le società che sono di proprietà delle figlie di Aliyev e di sua moglie a Panama”.

Tuttavia, Radu aggiunge che l’impatto di tale segnalazione nel caso della famiglia Aliyev non è stato quello che si potrebbe sperare. Sono stati modificati gli assetti proprietari dei beni esteri della famiglia; il parlamento azero a giugno ha approvato una legge che rende più difficile scoprire chi possiede effettivamente società commerciali e protegge Aliyev e la sua famiglia da azioni penali.

Una terrificante campagna di minacce

Inoltre, la giornalista Ismayilova è stata oggetto di una terrificante campagna di minacce e vessazioni che sostiene sia stata orchestrata dagli alleati politici di Aliyev.

Tuttavia, l’editore di OCCRP Drew Sullivan afferma che “il 2012 è stato un anno eccezionale per quelli di noi che si occupano di criminalità organizzata e corruzione. È un’industria in crescita in tutto il mondo”.
Secondo Radu, l’OCCRP sta ora combinando numerosi database internazionali e collegandoli ai file in corso dell’organizzazione di “persone di interesse” – futuri candidati a spodestare Aliyev come “persona dell’anno” della corruzione.

L’elenco OCCRP ha anche lo scopo di evidenziare l’impatto globale della criminalità e della corruzione. Radu sostiene che la maggior parte delle persone nella lista OCCRP ha legami dubbi e opachi ben oltre i confini del proprio Paese. “Ci sono persone come Darko Sadic, per esempio, che è un noto trafficante di droga”, dice. “E questo tipo di persone non sono molto conosciute al di fuori dei Balcani, ma in realtà fanno parte di reti molto, molto grandi che a volte si estendono attraverso i continenti. In questo caso, questa persona era coinvolta nel traffico di cocaina dall’Argentina fino ai Balcani”. Radu aggiunge che la criminalità organizzata dei Balcani e dell’ex Unione Sovietica è profondamente coinvolta nelle feroci guerre alla droga in Messico e nel massiccio furto di risorse dai Paesi poveri dell’Africa. Questo rende ancora più importante esporre queste persone e gli schemi corrotti che sfruttano, dice».

Articoli precedenti

Giorno 1
– L’Azerbajgian alza il livello dello scontro per portare a termine la pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh armeno – 12 dicembre 2022
Giorno 2
– Provocatori azeri, inneggiando ai lupi grigi mentre bloccano l’unica strada tra Artsakh e Armenia, tengono in ostaggio 120.000 Armeni – 13 dicembre 2022
– Dopo la chiusura del Corridoio di Lachin, l’Azerbajgian ha tagliato anche la fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh- 13 dicembre 2022
Giorno 3
– L’Azerbajgian da più di due giorni tiene l’Artsakh sotto blocco. Il Presidente dell’Arsakh decreta la legge marziale per far fronte all’emergenza umanitaria – 14 dicembre 2022
Giorno 4
– Crisi umanitaria in Artsakh. Allarme Bandiera Rossa di Genocidio per l’Azerbajgian. Discorsi del Primo Ministro e del Ministro degli Esteri dell’Armenia – 15 dicembre 2022
– Il blocco dell’unica strada che collega l’Artsakh con il mondo esterno condanna la sua popolazione armena ad una morte lenta. E Baku nega l’evidenza – 15 dicembre 2022
Giorno 5
– È stata ripristinata la fornitura di gas all’Artsakh. Al momento il Corridoio di Berdzor (Lachin) rimane ancora bloccato – 16 dicembre 2022
Giorno 6
– Sesto giorno del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) ad opera di Baku. L’Artsakh isolato dall’Armenia e dal resto del mondo – 17 dicembre 2022
Giorno 7
– #ArtsakhBlockade dell’Azerbajgian da sette giorni. Repubblica di Artsakh, la più grande prigione all’aria aperta del mondo – 18 dicembre 2022
Giorno 8
– L’Artsakh isolato dal 12 dicembre con il blocco azero del Corridoio di Berdzor (Lachin). Chi rimane in silenzio è complice #ArtsakhBlockade – 19 dicembre 2022
Giorno 9
– Nono giorno del #ArtsakhBlockade. Davanti ai possibili scenari, per il Ministro di Stato dell’Artsakh l’obiettivo è preservare e sviluppare l’Artsakh – 20 dicembre 2022
Giorno 10
– Decimo giorno del #ArtsakhBlockade. Senza sanzioni, il regime di Aliyev non tornerà alla ragione e questa impunità porterà a sempre nuovi crimini – 21 dicembre 2022

L’assedio degli armeni nel Nagorno-Karabakh (La Nuova Bussola Quotidiana 22.12.22)

Gli armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh (Artsakh in lingua armena) sono assediati e di nuovo tagliati fuori dal mondo. A causa di una protesta “ecologista” è stato chiuso il corridoio di Lachin, che è l’unica rotta che collega la regione con l’Armenia. La situazione inizia a farsi critica, per mancanza di cibo e di carburante, mentre la congiuntura internazionale è la peggiore possibile.

Il Nagorno-Karabakh è da sempre abitato da una minoranza di armeni cristiani, incastonata nell’Azerbaigian musulmano. Al momento dello scioglimento dell’Urss erano già in corso, già da tre anni, violenze etniche e religiose molto gravi. Gli abitanti del Nagorno-Karabakh, a gran maggioranza, avevano votato il 10 dicembre 1991 per entrare a far parte dell’Armenia, ma essendo parte della ex repubblica sovietica dell’Azerbaigian, né le autorità azere, né la comunità internazionale hanno riconosciuto la volontà espressa in quel referendum. Tuttora, agli occhi dell’Onu, è solo una “regione separatista” nel cuore dell’Azerbaigian. Gli armeni del Nagorno-Karabakh sono sopravvissuti ad una prima guerra, molto cruenta, combattuta fra il 1991 e il 1994, conclusa con un fragile armistizio. I confini della piccola repubblica armena di Artsakh ressero all’assalto azero e finora sono stati garantiti solo dalla presenza di una forza di pace russa. Nel settembre 2020, con il mondo in pandemia, l’Azerbaigian provò una seconda volta a riannettere la regione, conquistando vaste porzioni di territorio. Il secondo conflitto si concluse nel novembre di quell’anno con una pace di compromesso, ottenuto soprattutto con un accordo fra Putin ed Erdogan, ma mal digerito dagli armeni, che hanno subito la mutilazione di più della metà del loro territorio. Solo la strada di Lachin, ormai, collega l’Armenia con quel che resta dell’Artsakh.

Gli ultimi due anni non sono stati pacifici, gli incidenti alla frontiera sono stati numerosi: non solo lungo i confini non riconosciuti fra Azerbaigian e repubblica di Artsakh, ma anche quelli internazionali fra Armenia e Azerbaigian. Inoltre la repubblica è stata messa in difficoltà con tattiche di strangolamento energetico: interrompendo le forniture di gas dietro vari pretesti tecnici, l’Azerbaigian sta togliendo energia alla regione. Forte di un esercito molto più potente rispetto a quelli di Artsakh e Armenia, oltre che dell’appoggio incondizionato della Turchia, il presidente azero Ilham Aliev ora sta compiendo un passo ulteriore: l’embargo totale. Anche se non lo dichiara, sta privando gli armeni del Nagorno-Karabakh (Artsakh) di tutti i beni di prima necessità.

Già dagli altri valichi non passava nulla, ora anche dal corridoio di Lachin non è più possibile far giungere le merci dall’Armenia. La strada, dal 12 dicembre, è bloccata da una “manifestazione di eco-attivisti” che protestano contro lo scavo di miniere d’oro da parte degli armeni. L’Azerbaigian non è una democrazia, normalmente non concede la libertà di manifestare e un blocco stradale, in circostanze normali durerebbe poche ore prima di essere sgomberato a forza dalla polizia. Ma in questo caso, a quanto pare, serve. Perché di fatto sta privando gli armeni di tutto il necessario per vivere. Dopo dodici giorni di embargo de facto, nel Nagorno-Karabakh restano ancora due giorni di scorte alimentari, i medicinali sono esauriti, i malati gravi non possono essere portati in ospedale in Armenia perché nemmeno le autoambulanze possono transitare (due giorni fa un paziente che necessitava di cure urgenti è morto per questo motivo).

Chi può ascoltare il grido di dolore dei 120mila armeni dell’Artsakh, ormai completamente circondati e assediati? La comunità internazionale, in Occidente, pensa soprattutto alla guerra in Ucraina. E gli armeni, che hanno avuto la fortuna e sfortuna (al tempo stesso) di essere protetti dai russi, ora si ritrovano con il protettore sbagliato. Chi vuole solidarizzare, ormai, con l’alleato dell’aggressore? La Russia stessa, impegnata sul fronte ucraino, ha ben poco da dedicare ad altri settori di crisi. Se dovesse scoppiare un conflitto nella regione caucasica, probabilmente, Putin preferirebbe un nuovo compromesso al ribasso con Erdogan, suo punto di riferimento per i negoziati internazionali. Nikol Pashinian, ministro degli Esteri dell’Armenia, ieri ha accusato Mosca di non rispettare gli accordi del cessate il fuoco del 2020, perché le truppe di pace russe non stanno facendo nulla per liberare il corridoio di Lachin. L’Iran è un altro alleato scomodo dell’Armenia e dell’Artsakh: paradossalmente la Repubblica Islamica è schierata con i suoi vicini cristiani, contro i musulmani sciiti azeri, solo per una logica di rivalità territoriale. Ma ora l’Iran si sta mettendo contro tutto il mondo e contro il suo stesso popolo, in tre mesi di brutale repressione delle proteste interne. Non ha un ruolo internazionale da giocare.

Quindi resta solo la diaspora armena, diffusa in tutto l’Occidente a partire dal 1915, fuggendo dal primo genocidio turco. La scrittrice Antonia Arslan (autrice de La Masseria delle Allodole, uno dei più potenti romanzi sul genocidio) assieme a Vittorio Robiati Bendaud (coordinatore del Tribunale rabbinico del Centro-nord Italia) hanno lanciato l’appello agli italiani. Un’intellettuale armena e uno ebreo, membri di spicco di due comunità accomunate da un passato in cui hanno subito il tentativo di annientamento totale, nell’appello ricordano: “Stante l’odierna situazione internazionale, e la guerra russo-ucraina, il rischio reale è il totale disinteresse delle democrazie occidentali al riguardo, dato che ciò espone tutti a un ginepraio immenso. Un popolo, quello armeno, che soffre, ignorato per calcolo e comodità, esposto al costante rischio di essere fatto scomparire (dopo aver patito un genocidio!) in un assordante e ubiquo silenzio. L’indifferenza strumentale e colpevole dell’Occidente, unita alle ciniche strategie caucasiche di Putin. Erdogan lo sa benissimo, eccezionale e attendista stratega qual è, erede di secoli di diplomazia ottomana – differentemente dagli improvvisati e sgangherati occidentali – specie ora che si è ritagliato un ruolo geopolitico straordinario, concessogli dall’Occidente. E lo sanno beni gli azeri, che ci possono ricattare con il gas, e noi tutti soffriamo molto il freddo, ‘sicuri nelle nostre tiepide case’. In primo luogo, il freddo gelido dell’assenza di idee decenti che animino la vita individuale e di società libere e democratiche”.

L’appello ricorda l’assedio di Musa Dagh del 1915, ultima roccaforte che resistette al genocidio turco, poi evacuata grazie all’intervento di navi da guerra francesi che riuscirono a imbarcare i superstiti. Il Nagorno-Karabakh sta seguendo da decenni quell’esempio di resistenza estrema, ma c’è una speranza di un intervento salvifico dall’esterno, stavolta? “Dobbiamo intervenire, e subito, a favore degli armeni – scrivono Arslan e Bendaud – Scuotiamo le nostre coscienze e reagiamo! Non è tollerabile che questo piccolo e antico popolo nuovamente debba patire umiliazione, terrore e morte e non è possibile che, ancora una volta, i loro aguzzini, eredi dei loro trisavoli, la facciano franca e imperversino, giostrando con abilità e ricatti le diplomazie occidentali, purtroppo tutt’altro che innocenti. Oggi bisogna difendere, a ogni costo, questi armeni di montagna, questo contemporaneo Musa Dagh, il che significa, a ben vedere, difendere anche noi stessi e la libertà”.

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Nagorno-Karabackh: Mijatovic (Consiglio d’Europa), “preoccupata per la situazione umanitaria. Si ripristini il movimento nel corridoio Lachin” (SIR 22.12.22)

Ripristinare con urgenza il movimento lungo il corridoio Lachin e prevenire un deterioramento della situazione umanitaria nel Nagorno-Karabackh: è quanto chiede oggi anche il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović. In una nota afferma di seguire “da vicino” la situazione nella regione, isolata dal 12 dicembre quando questa strada è stata bloccata. “Sono preoccupata che la prolungata interruzione della circolazione delle persone, impedendo ad alcune di raggiungere le proprie case, e l’accesso a beni e servizi essenziali, comprese le scorte alimentari e le cure mediche urgenti, minacci il godimento dei diritti umani da parte della popolazione del Nagorno-Karabakh”, ha detto la commissaria. Mijatović chiede che “tutte le parti interessate evitino l’escalation delle tensioni” e che “le autorità competenti propongano modalità di accesso efficaci e flessibili che consentano a tutti gli attori interessati, compreso il mio ufficio, di raggiungere in via prioritaria coloro che necessitano di assistenza umanitaria e tutela dei diritti umani”. E dichiara: “Sono pronta a impegnarmi con tutti gli interlocutori rilevanti per aiutare a superare le sfide esistenti”. Nei giorni scorsi si era levata, tra le altre levate, la voce di Papa Francesco; in una lettera, la Conferenza delle Chiese europee (Kek) e il Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) avevano chiesto l’intervento dell’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, per aiutare il popolo di etnia armena, tagliato fuori da vie di comunicazione.

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L’Azerbaigian sfrutta la distrazione dell’Ucraina per avvantaggiarsi nel conflitto armeno (L’Indro 22.12.22)

Il traffico attraverso il Corridoio di Lachin – l’unica via che collega la contesa regione del Nagorno-Karabakh con l’Armenia – è stato bloccato per il quinto giorno da autoproclamati attivisti ambientalisti azeri. Questa chiusura crea una potenziale crisi umanitaria per la popolazione armena del Nagorno-Karabakh, poiché è tagliata fuori dalle forniture mediche e alimentari dall’Armenia, da cui dipende interamente.

I posti di blocco, che secondo i manifestanti sono una risposta alle pratiche minerarie illegali nella regione, rappresentano l’ultima escalation delle tensioni tra Armenia e Azerbaigian negli ultimi mesi. In particolare, a metà settembre, le forze armene e azere si sono scontrate sia intorno al Nagorno-Karabakh che al confine dei Paesi, con l’Azerbaigian che ha aggravato la situazione attaccando l’Armenia.

Sia gli attacchi di settembre che gli attuali blocchi stradali sono sintomi di una realtà inquietante per il Caucaso: quella debolezza russa derivante dalla sua faticosa invasione dell’Ucraina ha aperto la porta a nuovi conflitti e dispute sui confini nella regione. La Russia, che ha ricoperto a lungo il ruolo di egemone regionale, ha stazionato forze di pace nel Nagorno-Karabakh e nel Corridoio Lachin sin dalla devastante seconda guerra del Nagorno-Karabakh del 2020.

L’Azerbaigian sta sfruttando l’attuale distrazione della Russia per sfruttare il suo vantaggio nel conflitto in ebollizione con l’Armenia. In effetti, gli attuali posti di blocco sono almeno in parte volti a fare pressione sulla piccola e mal definita missione di mantenimento della pace russa, con i manifestanti che chiedono un maggiore accesso dell’Azerbaigian al Nagorno-Karabakh e un incontro con il comandante delle forze russe.

Per gli armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh, le condizioni non potranno che peggiorare finché persisterà il blocco. L’ Azerbaigian ha anche bloccato le forniture di gas al Nagorno-Karabakh, ma a seguito di forti pressioni diplomatiche internazionali ha recentemente revocato questa decisione. Ma se i blocchi stradali persistessero a lungo termine, potrebbero esserci poche opzioni per rifornire il territorio, poiché il traffico aereo civile in entrata e in uscita dal territorio è bloccato dagli anni ’90. Nel frattempo, il governo de facto del Nagorno-Karabakh sta aumentando le sue richieste per un ponte aereo umanitario internazionale per rifornire il territorio bloccato.

Finora, gli Stati Uniti ei loro partner internazionali hanno risposto lanciando appelli diplomatici per porre fine ai blocchi stradali. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha rilasciato una dichiarazione tramite Twitter invitando il “governo dell’Azerbaigian a ripristinare la libera circolazione attraverso il corridoio”. L’ UE ha rilasciato un commento simile, invitando “le autorità azere a garantire libertà e sicurezza di movimento lungo il corridoio” dato che tali restrizioni “causano un disagio significativo alla popolazione locale e creano preoccupazioni umanitarie”.

Gli Stati Uniti possono avere un ruolo significativo, anche se limitato, da svolgere per porre fine all’attuale crisi e prevenire il nuovo scoppio della guerra tra l’Azerbaigian e l’Armenia. Washignton ha svolto un ruolo importante nel portare le due nazioni al cessate il fuoco dopo le incursioni dell’Azerbaijan di settembre, un notevole allontanamento dalla guerra del 2020 in cui la Russia ha mediato la tregua.

Tuttavia, come Anatol Lieven e io abbiamo recentemente sottolineato, ciò non significa che gli Stati Uniti debbano fare uno sforzo per soppiantare il ruolo di sicurezza che la Russia ha lasciato nel Caucaso. Gli Stati Uniti sono giustamente contrari a impegnare le proprie forze nella regione, e questo gli impedisce di fatto di fungere da garante della sicurezza in quella regione.

Invece, l’amministrazione Biden dovrebbe continuare il suo saggio corso di diplomazia. Gli Stati Uniti dovrebbero lavorare per ridurre le crisi nel Caucaso meridionale attraverso mezzi diplomatici, impegnandosi in modo appropriato con tutti gli attori e le parti interessate localiSe l’Azerbaigian continua a sfruttare il suo vantaggio nel conflitto attraverso mezzi coercitivi, specialmente con la forza militare, gli Stati Uniti e i suoi partner devono esercitare una vigorosa pressione diplomatica per spingere le parti a negoziare pacifici sulle loro dispute territoriali.

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Pashinyan: ha accusato il contingente russo di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh di non aver adempiuto alle proprie funzioni (Avia-pro 22.12.22)

Il primo ministro dell’Armenia ha accusato il contingente russo di mantenimento della pace di non adempiere alle proprie funzioni.

Sullo sfondo della difficile situazione che si è sviluppata in relazione al blocco del corridoio Lachin, in corso da 11 giorni, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato in una riunione del gabinetto dei ministri armeno che il contingente russo per il mantenimento della pace non è adempiendo alle sue funzioni. Le accuse sono probabilmente seguite dopo che, il giorno prima, un convoglio di forze di pace russe è stato dispiegato nell’area del corridoio di Lachin dalle forze di attivisti, militari e servizi speciali dell’Azerbaigian.

Le accuse di Pashinyan sollevano serie preoccupazioni per tali azioni da parte dell’Armenia. Tuttavia, Pashinyan sta promuovendo attivamente l’idea di coinvolgere nella situazione le forze di pace straniere e chiede anche di considerare la possibilità di inviare una missione OSCE e ONU nel corridoio di Lachin, che, secondo Pashinyan, dovrà affrontare in modo più efficace i compiti loro assegnati.

Va notato che Baku non ha ancora commentato il blocco del corridoio di Lachin, tuttavia, in precedenza era stato riferito che prima di gennaio i viaggi nel territorio dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh sarebbero stati chiusi.
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