Dal 12 dicembre prosegue il blocco azero dell’Artsakh, Repubblica autoproclamatasi indipendente dal 1992 con 120mila abitanti collegati solo da una sottile striscia di terra all’Armenia. Supposti eco-attivisti dell’Azerbaigian bloccano la strada, ma secondo gli abitanti si tratta di truppe azere mascherate, intenzionate a completare l’opera iniziata con la guerra del 2020 in Nagorno-Karabakh.
In Artsakh mancano farmaci, gas e beni di prima necessità: è deceduto un paziente in ospedale per la mancanza di medicinali, mentre un bambino di 4 mesi è in terapia intensiva. Un altro paziente è invece riuscito ad arrivare in Armenia, scortato dalle truppe russe che controllano da 2 anni il corridoio di Lachin, mentre la Repubblica di Artsakh ne mantiene l’amministrazione civile. Alle porte del territorio c’è invece l’Azerbaigian, sostenuto militarmente e politicamente dalla Turchia di Erdogan.
L’intervista di martedì 20 dicembre 2022 a Simone Zoppellaro, giornalista freelance che da anni segue il Caucaso, autore, tra gli altri, del libro“Armenia Oggi” (ed. Guerini e Associati)e attento osservatore di quanto accade tra Artsakh, Armenia, Azerbiaigian e Nagorno-Karabakh. Ascolta o scarica
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-20 18:48:592022-12-21 18:49:48CAUCASO: L’AZERBAIGIAN BLOCCA L’UNICO COLLEGAMENTO TRA ARMENIA E ARTSAKH. 120MILA PERSONE INTRAPPOLATE. (Radio Onda d'urto 20.12.22)
La Conferenza delle Chiese europee (Kek) e il Consiglio mondiale delle Chiese (Wvv) hanno inviato una lettera congiunta al capo della politica estera dell’Unione europea Josep Borrell, denunciando il blocco da parte dell’Azerbaigian della regione di etnia armena dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh , “in violazione dell’accordo tripartito che ha posto fine alla guerra delle sei settimane del 2020, del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani e dei più fondamentali principi morali”.
Ostruendo il corridoio umanitario di Lachin e tagliando temporaneamente le forniture di gas alla regione proprio all’inizio dell’inverno, l’Azerbaigian – si legge nella lettera diffusa oggi alla stampa dai due organismi ecumenici – “sta deliberatamente creando un’emergenza umanitaria per i 120.000 residenti di etnia armena”. La lettera è firmata dal segretario generale della Kek, Jørgen Skov Sørensen, e dal Segretario generale ad interim del Wcc, Rev. Dr Ioan Sauca. Secondo la Kek e il Wcc, “ciò segue un chiaro modello di comportamento dell’Azerbaigian che contraddice qualsiasi pretesa di buona volontà e responsabilità umanitaria” tanto che “i crescenti attacchi azeri al territorio armeno sovrano hanno spinto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a convocare una riunione di emergenza il 15 settembre 2022”. La lettera rileva anche prove crescenti di gravi violazioni dei diritti umani contro gli armeni da parte delle forze militari e di sicurezza dell’Azerbaigian. “La responsabilità per tali crimini e violazioni non è stata perseguita”, si legge. “In queste circostanze, i timori armeni di un nuovo genocidio contro di loro non possono essere ignorati, e il blocco dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh è un contesto in cui tali timori sono notevolmente e comprensibilmente esacerbati”.
La lettera esorta l’Ue a perseguire tutte le possibili iniziative diplomatiche per garantire che l’Azerbaigian riapra il corridoio di Lachin e fornisca poi adeguate garanzie perché rimanga aperto. “Inoltre, vi chiediamo di fare tutto ciò che è in vostro potere per garantire l’estensione del mandato dell’attuale missione di monitoraggio dell’UE al confine tra Armenia e Azerbaigian includendo il corridoio di Lachin, al fine di fornire un monitoraggio civile indipendente della situazione lungo il corridoio”, conclude la lettera. Il blocco infatti impedisce il transito di merci e persone; alcuni malati gravi ricoverati all’ospedale repubblicano di Stepanakert e in procinto di essere trasferiti ai nosocomi di Yerevan non possono essere spostati con gravi conseguenze per la loro salute.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-20 18:47:482022-12-21 18:48:26Nagorno-Karabakh: lettera della Kek e del Wcc all’Unione europea, “è emergenza umanitaria, timori di un nuovo genocidio non siano ignorati” (SIR 20.12.22)
Lettera delle Chiese cristiane al capo della politica estera dell’Unione europea Josep Borrell, perché intervenga e faccia il possibile per aiutare il popolo di etnia armena dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh bloccato dagli azeri e tagliato fuori da vie di comunicazione e accesso al gas, proprio all’inizio dell’inverno. “In queste circostanze – scrivono i due organismi ecumenici -, i timori armeni di un nuovo genocidio contro di loro non possono essere ignorati, e il blocco dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh è un contesto in cui tali timori sono notevolmente e comprensibilmente esacerbati”.
(Foto ANSA/SIR)
La Conferenza delle Chiese europee (Kek) e il Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) hanno inviato una lettera congiunta al capo della politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, denunciando il blocco da parte dell’Azerbaigian della regione di etnia armena dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh , “in violazione dell’accordo tripartito che ha posto fine alla guerra delle sei settimane del 2020, del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani e dei più fondamentali principi morali”. Ostruendo il corridoio umanitario di Lachin e tagliando le forniture di gas alla regione proprio all’inizio dell’inverno, l’Azerbaigian – si legge nella lettera diffusa oggi alla stampa dai due organismi ecumenici – “sta deliberatamente creando un’emergenza umanitaria per i 120.000 residenti di etnia armena”. La lettera è firmata dal segretario generale della Kek, Jørgen Skov Sørensen e dal Segretario generale ad interim del Wcc Rev. Ioan Sauca. Secondo la Kek e il Wcc, “ciò segue un chiaro modello di comportamento dell’Azerbaigian che contraddice qualsiasi pretesa di buona volontà e responsabilità umanitaria”. La lettera rileva anche prove crescenti di gravi violazioni dei diritti umani contro gli armeni da parte delle forze militari e di sicurezza dell’Azerbaigian.“In queste circostanze, i timori armeni di un nuovo genocidio contro di loro non possono essere ignorati, e il blocco dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh è un contesto in cui tali timori sono notevolmente e comprensibilmente esacerbati”.Il blocco infatti impedisce il transito di merci e persone; alcuni malati gravi ricoverati all’ospedale repubblicano di Stepanakert e in procinto di essere trasferiti ai nosocomi di Yerevan non possono essere spostati con gravi conseguenze per la loro salute. La lettera esorta l’UE a perseguire tutte le possibili iniziative diplomatiche per garantire che l’Azerbaigian riapra il corridoio di Lachin e fornisca poi adeguate garanzie perché rimanga aperto. “Inoltre, vi chiediamo di fare tutto ciò che è in vostro potere per garantire l’estensione del mandato dell’attuale missione di monitoraggio dell’UE al confine tra Armenia e Azerbaigian includendo il corridoio di Lachin, al fine di fornire un monitoraggio civile indipendente della situazione lungo il corridoio”.
Domenica scorsa all’Angelus, papa Francesco aveva espresso forte preoccupazione per la situazione creatasi nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso meridionale. “In particolare – ha detto – sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni che rischiano ulteriormente di deteriorarsi nel corso della stagione invernale”. Sulla vicenda è intervenuto nei giorni scorsi anche Sua Santità Aram I, Catholicos della Chiesa armena che in una nota ha denunciato: “l’Azerbaigian ha tagliato la fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh, lasciando questa popolazione isolata con scorte in diminuzione, che lottano per sopravvivere – senza riscaldamento – in condizioni invernali sotto lo zero. Ospedali, scuole e servizi sociali non sono in grado di funzionare correttamente; la prospettiva diventa minacciosamente cupa. Si sta verificando una terribile catastrofe umanitaria, specificamente progettata per eliminare la popolazione armena dell’Artsakh”. “Stiamo assistendo – scrive Aram I – a passi deliberati e concreti verso la pulizia etnica e il genocidio della popolazione armena dell’Artsakh”.Da qui l’appello ai “governi mondiali”, ai leader spirituali, a politici e attivisti per i diritti umani a “non rimanere indifferenti al destino del popolo armeno, ancora una volta sull’orlo del genocidio”.In campo sono scese anche l’Œuvre d’Orient (associazione cattolica francese nata a sostegno delle comunità cristiane del vicino e medio Oriente) e la Comunità armena di Roma. Quest’ultima si è rivolta alle “istituzioni italiane” chiedendo che “i diritti degli armeni dell’Artsakh (alla libertà di movimento, all’autodeterminazione, alla vita, alla libertà) siano rispettati come previsto dalle convenzioni internazionali”. Il Nagorno-Karabakh è una regione nel sud del Caucaso contesa da Armenia e Azerbaigian che si sono scontrati militarmente tra il gennaio 1992 e il maggio 1994. Da allora, i due paesi sono ancora tecnicamente in guerra e il governo dell’Azerbaigian minaccia di riconquistare il Nagorno-Karabakh con la forza militare. Le zone di confine tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian rimangono militarizzate in un regime di “cessate il fuoco” spesso violato da entrambe le parti. Si tratta di un conflitto “ibrido” o “congelato” ai confini dell’Europa che rischia di degenerare, mettendo a repentaglio la sicurezza di tutta la regione.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-20 18:45:252022-12-21 18:47:46L’appello delle Chiese, “è emergenza umanitaria, non siano ignorati i timori di un nuovo genocidio” (SIR 20.12.2)
La situazione dopo dieci giorni di blocco dei rifornimenti è al limite del sopportabile per circa 120 mila armeni – di cui 30 mila bambini – che vivono nella autoproclamata repubblica dell’Artsakh, nella regione del Nagorno Karabakh. Ormai scarseggiano persino i medicinali e le agenzie internazionali hanno lanciato l’allarme per il rischio (piuttosto alto) di assistere ad una crisi umanitaria. Papa Francesco all’Angelus ha espresso preoccupazione per «la situazione creatasi nel corridoio nel Caucaso meridionale» e «per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni che rischiano vivamente di deteriorarsi nel corso della stagione invernale». Quindi ha lanciato un appello «a tutti coloro che sono coinvolti di impegnarsi a trovare soluzioni pacifiche per il bene delle persone», in primis l’Azerbaigian, la Turchia e la Russia. Inoltre ha chiesto di imboccare la via del dialogo per superare la crisi.
Da più di dieci giorni sedicenti ambientalisti azeri hanno inscenato una protesta contro l’attività estrattiva di una miniera d’oro bloccando di conseguenza l’unica strada che collega l’Armenia all’Artsakh. In questo modo viene impedito ai convogli di utilizzare il corridoio di Lachin, l’unico modo di collegamento (e di rifornimento) tra l’Armenia e Artsakh. Si tratta dell’ennesimo episodio di una strategia della tensione che fa temere agli armeni il pericolo di una pulizia etnica nel Caucaso meridionale (a maggioranza armena ma all’interno dei confini azeri). Una regione da tempo contesa tra Erevan, sostenuta dalla Russia, e Baku, appoggiata invece dalla Turchia. L’ultima guerra, scoppiata nel 2020 dopo un’aggressione da parte dell’Azerbaijan, si era conclusa dopo 44 giorni con una tregua mediata dal presidente russo Vladimir Putin.
Circa 120mila armeni, di cui 30mila bambini, si trovano isolati, impossibilitati a ricongiungersi con i parenti o a ricevere cure mediche. Il Patriarca armeno Karekin II ha denunciato il tentativo di «spingere il popolo dell’Artsakh verso una catastrofe umanitaria».
Il Corridoio di Lachin collega le città di Stepanakert e Goris viene utilizzato per consegnare tutta la merce alla popolazione armena del Nagorno Karabakh, dal cibo alle medicine. L’Azerbaijan nei giorni scorsi ha anche interrotto la fornitura di gas per oltre 50 ore.
«Oggi l’Azerbaigian sta cercando di svuotare l’Artsakh della sua popolazione seminando il terrore. È inaccettabile che nel mondo di oggi che riconosce come valori supremi il diritto di ogni persona alla dignità e alla libertà possano esistere ed essere tollerate manifestazioni così disumane nei confronti di un intero popolo», ha affermato il Catholicos di tutti gli armeni alla agenzia Asianews. «Le semplici parole di condanna non saranno sufficienti a frenare le ambizioni espansionistiche dell’Azerbaigian e a fermare la sua ostilità. La Santa Chiesa apostolica armena manterrà i suoi sforzi affinché la comunità internazionale, gli Stati amici, le Chiese sorelle cristiane, le organizzazioni internazionali e religiose sostestengano l’Artsakh e il suo popolo armeno».
Anche il patriarcato cattolico armeno ha condannato «il blocco stradale”, un’azione che costituisce “una chiara violazione dei diritti umani, e una contraddizione con la dichiarazione tripartita emessa il 9 novembre 2020”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-19 20:28:102022-12-21 18:36:43Sos internazionale per il rischio di una crisi umanitaria nel Caucaso, «120 mila armeni in pericolo» (Il Messaggero 19.12.22)
Il 3 dicembre scorso un gruppo di azeri in abiti civili ha bloccato la strada Stapanakert-Goris all’altezza dell’intersezione Shusha/i – Karin Tak/ Dișaltı. Il gruppo di persone ha dichiarato di essere mosso da motivazioni di tipo ambientale . Per mezza giornata il collegamento fra Nagorno Karabakh e Armenia è risultato interrotto e la situazione si è sbloccata non facilmente con l’intervento dei peacekeeper russi.
L’intero episodio va ascritto in un complesso contesto in cui risulta evidente che Baku sta premendo per procedere con il negoziato, non si fida di Yerevan, e sta tirando vari fili in contemporanea per indirizzare il processo verso i propri interessi, da una posizione di forza.
Per Baku e Ankara questa è una rarissima congiuntura storica. Non solo l’Azerbaijan è uscito vincitore nel conflitto del Karabakh e ha dimostrato di aver messo insieme un esercito contro cui l’Armenia non può combattere, ma le due storiche potenze regionali con le quali da trecento anni ci si contende il Caucaso, ovvero Russia e Iran, sono travagliate da situazioni molto critiche che le pongono in grande isolamento internazionale. Un nuovo fronte sarebbe per entrambe difficile da gestire. L’occasione è quindi rara, e Baku e il suo alleato turco la stanno interpretando con piena consapevolezza.
Una delle fila che tira Baku riguarda la presenza militare russa in Karabakh. I peacekeepers russi sono accusati di lasciar transitare armi. Sulla tv azera vengono apertamente criticati e c’è persino una canzone che intona che il loro visto per l’Azerbaijan sta per scadere. Un recente sondaggio dice che l’80% degli azeri si pone negativamente verso i peacekeepers russi. L’Azerbaijan è stato sempre molto geloso della propria indipendenza militare, di essere stato da subito una delle poche repubbliche post sovietiche a non avere basi russe. La stazione radar di Qabala, l’unico presidio rimasto in mano russa, è tornato sotto il controllo di Baku nel 2012. Ora la presenza militare russa nella zona fa apparire quella del 2020 come una vittoria mutilata, e Baku non manca di ricordare in ogni singola dichiarazione pubblica che l’esercito russo è sul suo territorio de jure solo temporaneamente.
Prima della comparsa degli “ambientalisti” c’era stata una feroce polemica, partita dal ministero della Difesa azero. Ogni giorno i peacekeepers emettono un bollettino delle proprie attività in cui ci si riferisce al Nagorno Karabakh e alle località in modo non in linea con i toponimi azeri. È sempre stato così, dall’inizio della missione 2 anni fa. Ma ora il ministero della Difesa di Baku esige che nel bollettino vengano indicati i toponimi azeri e che il Nagorno Karabakh venga menzionato come area economica, come è stato deliberato dalla fine della guerra a Baku. I peacekeepers sostengono di non aver mai cambiato registro linguistico e che sia una polemica sterile. Per l’uso di toponimi come Stepanakert, Mardakert, la scelta sarebbe motivata dalla prassi commutata dal periodo Sovietico e le mappe ad esso afferenti. Il centro russo-turco di monitoraggio utilizza i toponimi indicati da Baku.
L’inizio dell’occupazione
La strada è stata sbloccata – stando a Baku – dopo aver ottenuto garanzie che si sarebbero attivati dei controlli su tutto ciò che transita fra Armenia e Nagorno Karabakh. Questo ha scatenato un ginepraio di illazioni, fra cui quella secondo la quale gli azeri avrebbero creato un check point sul corridoio armeno-karabakhi, informazione smentita sia dalle autorità de facto che dai peacekeepers, che dovrebbero ora secondo gli accordi dotarsi di scanner a raggi x e dell’occorrente per monitorare i carichi in transito.
Il 3 dicembre quindi è stato riaperto il transito verso le 3 del pomeriggio. Ma non è finita qui. Una delegazione azera è entrata nel Karabakh armeno, per la prima volta in decenni.
La delegazione composta da dipendenti del ministero dell’Ecologia e delle risorse naturali, un dipartimento del ministero dell’Economia e della AzerGold, azienda mineraria, si sono recati nel quartier generale dei peacekeepers a Khojali. Durante la discussione gli emissari di Baku hanno sollevato la questione dello sfruttamento delle risorse minerarie e dell’impatto ambientale di attività che non sono registrate in Azerbaijan, e quindi considerate illegali. Verso le 6 sono tornati a Shusha.
Un secondo incontro nella stessa sede si è tenuto il 7 dicembre. La delegazione è stata scortata dai peacekeepers al loro quartier generale dove ha avanzato delle proposte per attivare il monitoraggio delle attività estrattive e per rendere noto che attività non registrate che comportano sfruttamento delle risorse non possono essere tollerate.
È in questa occasione che ha partecipato anche il segretario del Consiglio di sicurezza del Nagorno Karabakh. Quindi un rappresentante del governo de facto del Nagorno Karabakh ha preso parte ad un incontro attraverso il quale Baku ha iniziato a muovere i primi passi per esercitare la propria sovranità sul territorio che ad oggi rimane nel limbo del presidio militare russo, con 120.000 abitanti armeni che hanno espresso chiara volontà di non essere parte dell’Azerbaijan.
Lo sviluppo
La delegazione azera ha lamentato di non essere riuscita a visitare i siti minerari che sarebbero il casus belli della “mobilitazione ambientalista” e di conseguenza l’episodio del 3 dicembre è divenuto la porta di ingresso di una nuova strategia di pressione su Armenia e Nagorno Karabakh: il blocco temporaneo della strada, lo strategico passaggio di Lachin, è diventato un presidio permanente, organizzato con tende e con un numero crescente di attivisti che hanno continuato ad arrivare da varie regioni dell’Azerbaijan.
Nonostante Baku sostenga che la società civile azerbaijana stia esprimendo le proprie legittime preoccupazioni sullo sfruttamento del territorio, osservatori dentro e fuori l’Armenia vedono in questi episodi una strategia operata dal governo azero per esercitare pressione su Armenia e Nagorno Karabakh.
La situazione umanitaria
È un atto di forza con contorni meno violenti che la guerra aperta, ma che sta comunque creando una situazione umanitaria insostenibile. Il Karabakh dipende dall’Armenia e con questo cordone ombelicale chiuso, 120.000 abitanti vedono messi a rischio l’approvvigionamento di cibo, medicine, cure sanitarie. Il blocco infatti permane ed è consentito solo il transito a mezzi dei peacekeepers.
Al blocco stradale si è aggiunto il blocco dei rifornimenti di gas. Dal 13 al 16 dicembre infatti ha smesso di arrivare gas in Karabakh e sono cominciati i razionamenti di vari combustibili.
Dure le critiche a Baku da parte di UE e Stati Uniti, i primi a esprimere preoccupazione per il quadro umanitario che si sta delineando. L’ennesima delusione per l’Armenia, con Mosca che reagisce tardi, e attraverso una mediocre dichiarazione della portavoce del ministero degli Esteri mentre il controllo del corridoio è responsabilità dei peacekeepers per cui, molto semplicemente, toccherebbe a loro uno sgombero di una attività che viola gli accordi stipulati, come ha sottolineato il primo ministro armeno Nikol Pashinyan . Il 19 dicembre, sempre su Twitter Pashinyan, ha così descritto la situazione: “Da 8 giorni il corridoio di Lachin è chiuso dall’#Az e la gente del Nagorno Karabakh è bloccata per le strade al freddo, le famiglie si trovano su lati diversi del blocco. I cittadini con gravi problemi di salute sono privati di medicine e servizi sanitari.”
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nell’ottavo giorno del blocco dell’Artsakh da parte di sedicenti eco-attivisti azeri, le autorità dell’Azerbajgian continuano a negare l’evidenza. Già il giorno dopo l’inizio di #ArtsakhBlockade alle ore 10.30 del 12 dicembre 2022, Hikmat Hajiyev, il Consigliere per la politica estera del Presidente dell’Azerbajgian, ha raccontato ai rappresentanti del corpo diplomatico a Baku la fake news, che “la strada di Lachin non è stata bloccata dai manifestanti azeri, ma dal contingente di mantenimento della pace russo”, come riferito da Azernews. Tecnicamente è vero, come anche le autorità di Artsakh e Armenia, le forze di pace russo impediscono i veicoli di raggiungere la manifestazione degli “eco-attivisti”, che invece continuano a bloccare il Corridoio di Berdzor (Lachin) (che le autorità di Baku indicano come “la strada di Lachin”, evitando accuratamente la parola “corridoio”, che ha tutt’altra significato, sempre sottolineando che l’Arsakh è “la regione di Karabakh dell’Azerbajgian”), per evitare ulteriori problemi.
I manifestanti, che da giorni conducono sit in davanti alle rappresentanze diplomatiche a Yerevan per #AtsakhBlockade, hanno coperto la recinzione dell’Ufficio delle Nazioni Unite in Armenia con una bandiera della Repubblica dell’Artsakh lunga 22 metri, informa il Consigliere del Ministro di Stato dell’Artsakh, Artak Beglaryan. “Un giorno la bandiera dell’Artsakh sarà sul quartier generale delle Nazioni Unite come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, ma prima è necessario il sostegno urgente delle Nazioni Unite per superare le questioni umanitarie e di sicurezza”, ha affermato sui social media.
Il territorio ancora libero della Repubblica di Artsakh dopo la seconda guerra del Nagorno-Karabakh dei 44 giorni di fine 2022. Il Corridoio di Berdzor (Lachin) è sotto controllo del contingente di mantenimento della pace russo, mentre la Repubblica di Artsakh ne mantiene l’amministrazione civile.
Ieri, 18 dicembre 2022 l’Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, Nasimi Aghayev, ha twittato: «Ogni giorno i camion che trasportano rifornimenti in Karabakh percorrono la strada di Lachin senza alcun ostacolo da parte degli attivisti ambientalisti azeri».
Solo i diplomatici di Aliyev possono interpretare una fornitura episodica di Artsakh da parte delle forze di pace russe come una connessione “senza ostacoli” per i cittadini Armeni. Perché da qualche giorno i suoi capi hanno accusato la Russia di aver chiuso il corridoio, se il video diffuso da Aghayev dimostra chiaramente che “chiudono e aprono” la strada per i “rifornimenti” russi?
Poi, questa mattina, 19 dicembre 2022, l’Ambasciatore Aghayev ha postato su Twitter un breve filmato con il seguente commento: «Civili che attraversano la strada di Lachin senza ostruzioni da parte di eco-attivisti azeri. La strada è aperta a tutti i civili. L’Azerbajgian è pronto a soddisfare i bisogni umanitari degli Armeni che risiedono nella sua regione del Karabakh. L’oligarca Ruben Vardanyan sta impedendo loro di usare la strada».
Ricordiamo che pochi giorni fa l’Azerbaigian ha dichiarato ufficialmente che la Russia, non Baku, ha chiuso “la strada di Lachin”. Oggi l’ambasciatore Aghayev afferma che è il Ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, chiude il Corridoio di Berdzor (Lachin). E questo personaggio è l’ambasciatore di Aliyev in Germania. Nel bravissimo filmato diffuso da Aghayev si vede che alcuni civili passano attraverso la folla dei sedicenti eco-attivisti azeri, che occupano la strada.
Oggi, un paziente che necessitava di un urgente intervento al cuore è stato trasportato in ambulanza, accompagnato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, dalle truppe di pace russe e dalla polizia attraverso il Corridoio di Berdzor (Lachin) al Centro Medico di Goris e poi alla Clinica Cardiologica Nork-Marashi a Yerevan.
Zara Amatuni, Responsabile dei programmi di comunicazione e prevenzione presso l’Ufficio armeno del Comitato Internazionale della Croce Rossa ha dichiarato: “Con la mediazione del Comitato internazionale della Croce Rossa, un paziente dell’Artsakh è stato portato in Armenia”.
Nelly Baghdasaryan, Consigliere del Presidente della Repubblica di Artsakh per le relazioni internazionali ha dichiarato: “Con la mediazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa un paziente con patologia cardiaca è stato trasferito dalla Repubblica di Artsakh in un centro medico specializzato dell’Armenia. L’ambulanza era accompagnata dai veicoli delle forze di pace russe e del Comitato Internazionale della Croce Rossa».
Un paziente gravemente malato è morto oggi ad Artsakh, riferisce la TV pubblica di Artsakh. Era impossibile trasportare il paziente a Yerevan a causa del blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbaijan da otto giorni. Il paziente era stato sottoposto a emodialisi per più di 15 anni e doveva essere trasferito in un altro centro medico. Al momento, 92 pazienti stanno ricevendo cure ospedaliere nell’Ospedale Repubblicano di Artsakh, di cui 11 nell’unità di terapia intensiva (tra cui un bambino), con 4 in condizioni critiche.
Il Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian cita il passaggio del convoglio delle Croce Rossa con un’ambulanza attraverso il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) come “prova” che l’Azerbajgian non l’ha bloccato. Non c’è da stupirsi, poiché lo Stato genocida e dittatoriale azero può solo generare odio, fabbricare falsità e falsificare la verità, la realtà e la storia. Intanto, ci sono ancora 120.000 Armeni tenuti in ostaggio sotto un blocco completo, quindi per far sembrare credibile la narrazione del contrario, deve essere coinvolto la Croce Rossa Internazionale per poter trasportare un paziente di emergenza dall’Artsak all’Armenia attraverso la folla degli “eco-attivisti” azeri che continuano a tener chiuso il Corridoio di Berdzor (Lachin).
Un tweet sui social azeri: «Mentre l’Armenia continua a mentire e a diffondere notizie false sull’Azerbajgian che blocca la strada di Lachin, il leader del Partito Europeo dell’Armenia, Tigran Khzmalyan, afferma che gli eco-attivisti azerbaigiani non potrebbero mai bloccare 100.000 persone in Karabakh e che la strada di Lachin è stata bloccata dalle forze di pace russe».
L’Azerbajgian, invece di aprire il Corridoio di Berdzor (Lachin), dopo aver visitato e conosciuto i bisogni di otto famiglie separati dal blocco, ha fornito loro cibo e articoli per l’igiene, informa il Ministero dello Sviluppo Sociale e della Migrazione della Repubblica dell’Azerbajgian, diffondendo anche la foto sopra.
Giorno 8 di #ArtsakhBlockade. La crisi umanitaria in Artsakh peggiora ogni ora che passa. Nel frattempo l’Azerbajgian sta cercando disperatamente di distogliere l’attenzione da #ArtsakhBlockade, con fake news e propaganda. Mentre taglia fuori dal mondo 120.000 Armeni, che hanno bisogno di cibo, assistenza medica e tanto aiuto, gli Azeri parlano di cultura. I sedicenti eco-attivisti azeri che bloccano il Corridoio di Berdzor (Lachin) all’altezza di Sushi, si distraggono con il mondiale di calcio trasmesso su un maxischermo e l’esibizione di un gruppo musicale. È triste che il loro dittatore non gli abbia insegnato di essere umani. Anche una colomba che simboleggia “la pace azera”, simbolo non di pace, ma di una dei 44 giorni della guerra di aggressione dell’Azerbajgian contro l’Artsakh, non è sopravvissuta nelle loro mani. Figuriamoci che fine faranno nelle loro mani gli Armeni di Arsakh, destinatari dell’odio inculcato dal regime di Artsakh nella popolazione azeri, dall’infanzia.
Il popolo dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh fa appello alla comunità internazionale affinché riconosca il diritto a vivere liberamente nella propria patria. Il dittatore genocida dell’Azerbajgian sta lavorando al suo piano per cancellare ogni traccia di cristianesimo e di armeni indigeni dalla loro terra natale. Esprimere preoccupazione non è sufficiente. Chiedere di porre fine al #ArtsakhBlockade è il primo passo.
«Mentre il regime di Aliyev tiene in ostaggio 120.000 persone dell’Artsakh con il #ArtsakhBlockade totale, Azerbajgian, Georgia, Romania e Ungheria hanno firmato un accordo sulla fornitura di energia elettrica dall’Azerbajgian. Von der Leyen ha salutato Aliyev lì. Vergogna a quei leader per aver stretto la mano al criminale» (Artak Beglaryan, Consigliere del Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh).
Rispetto dei diritti umani, sulla carta è il valore fondamentale dell’Europa. Invece, Ursula von der Leyen stringe un patto con il despota Aliyev, dimostrando la vergogna che degli interessi infami stanno al centro della preoccupazione dell’Unione Europea. Dalle ore 10.30 di questa mattina siamo entrati nell’ottova giorno dell’Azerbajgian che tiene in ostaggio 120.000 Armeni dell’Artsakh. Una domanda per von der Leyen: perché insistere sulla dipendenza dell’Unione Europea dall’Azerbajgian per motivi energetiche? Questo Paese è una delle peggiori dittature del mondo, conduce una politica di eliminazione sistematica degli Armeni da quanto rimane ancora delle loro terre ancestrali.
Tweet del Presidente della Romania, Klaus Iohannis: «Ottima discussione con il Presidente dell’Azerbajgian sul rafforzamento del partenariato strategico Romania-Azerbajgian. La sicurezza energetica e la connettività sono i nostri obiettivi comuni». Iohannis sta con convinzione dalla parte degli Ucraini, ma nel contempo è orgoglioso di collaborare con il Putin del Caucaso meridionale. Il fatto che siamo costretti a comprare gas o petrolio da dittatori assetati di sangue è piuttosto pietoso, ma perché anche pubblicizzarlo?
La Gazprom russa e la Socar azera hanno stretto un accordo, secondo il quale la Russia fornirà 1 miliardo di mc di gas all’Azerbajgian entro il 23 marzo 2023. Così, l’Unione Europea ha rifiutato il gas della Russia per poter acquistare il gas russo attraverso l’Azerbajgian, solo per fare un accordo con il dittatore Aliyev come “partner affidabile”. Diplomazia magistrale della democratica Unione Europea. La sicurezza energetica è importante, ma acquistare gas russo attraverso l’Azerbajgian e quindi sostenere due regimi che commettono atrocità contemporaneamente ai loro vicini? Ci dispiace, ma non è un risultato di cui andare fieri.
Un gruppo di uomini siede intorno a un fuoco vicino al posto di blocco della polizia fuori Stepanakert (Foto di Marut Vanyan/OC Media).
Il 12 dicembre, dei civili azeri che affermano di essere “eco-attivisti” sono scesi nel Corridoio di Lachin, ponendo il Nagorno-Karabakh de facto sotto un blocco. Con l’ancora di salvezza per l’Armenia e il mondo tagliati, alcuni nella regione temono un’incombente crisi umanitaria.
“Se continua così, non potremo durare a lungo”, afferma Karen Melkumyan, Direttrice del Centro Medico Arevik [a Stepanakert]. “L’autunno-inverno è la stagione delle malattie respiratorie acute e l’ospedale è sovraccarico”. Il Centro Medico Arevik è l’unico ospedale pediatrico del Nagorno-Karabakh. Quando OC Media ha parlato con Melkumyan il 16 dicembre, la fornitura di gas al Nagorno-Karabakh era stata interrotta per tre giorni. Le condutture che portano il gas dall’Armenia alla regione passano attraverso un territorio ora controllato dal governo azero, apparentemente per esercitare pressioni utilizzando una valvola installata in passato. “Riscaldiamo i reparti con l’elettricità in modo che i bambini non prendano freddo. Vedi che i corridoi dell’edificio dell’ospedale sono freddi e ci sediamo qui in doppio abito”, dice Melkumyan. Più tardi quel giorno, la fornitura di gas è stata ripristinata. “Stiamo usando le nostre medicine con parsimonia – dice Melkumyan -, in modo che se un bambino appare improvvisamente in condizioni critiche, possiamo aiutarlo per primo”. Il Centro Medico Arevik ha una sola ambulanza, che ora è bloccata dall’altra parte del blocco dopo aver trasportato un paziente a Yerevan, prima che la strada fosse bloccata. Ma anche se l’ambulanza fosse disponibile, è chiaro se non sarebbe utile. Il blocco ha portato a gravi carenze di carburante.
Mentre le strade di Stepanakert sono silenziose e vuote, con poche auto in vista, appena fuori città, dove inizia il Corridoio di Lachin verso l’Armenia, la gente attende la riapertura della strada. «Veniamo dalle regioni dell’Armenia. Veniamo in Karabakh per vendere merci, verdure, carne, frutta”, dice un uomo bloccato, rannicchiato attorno a un fuoco con molti altri conducenti. “Non possiamo né andare avanti né indietro.” “Abbiamo già l’odore del fumo, siamo seduti accanto a questo fuoco da tre giorni giorno e notte; non possiamo fare il bagno”, dice. “Dicono che vogliono aprire l’aeroporto di Stepanakert. Bene, trasporterò i tori con un boeing per venderli in Karabakh?’, chiede.
“Chiaramente mirato a creare un disastro umanitario”
Il governo azero ha negato ogni responsabilità sia per la chiusura della strada che per il taglio del gas, accusando la missione di pace russa per la prima e le autorità armene per il secondo. Queste sono affermazioni respinte dai funzionari di Stepanakert. “Sono già cinque giorni che l’Azerbajgian tiene sotto blocco totale i 120.000 abitanti dell’Artsakh con un programma ‘emotivo’ e accattivante, insaporito da falsi pretesti ambientali, mettendo così gli Armeni dell’Artsakh davanti a un disastro umanitario”, ha dichiarato il Presidente Araik Harutyunyan in un post del 16 dicembre scorso. “Tuttavia, come possiamo vedere, il popolo dell’Artsakh non si inginocchia e sta superando con onore i problemi attuali, che sono incompatibili con il XXI secolo e quasi inimmaginabili per un popolo civile”, ha affermato il Presidente.
Marina Simonyan, Rappresentante dell’Ufficio del Difensore dei diritti umani, avverte di una catastrofe umanitaria incombente se la strada non viene riaperta. Ha affermato che la popolazione della regione, inclusi 30.000 bambini, 20.000 anziani e 9.000 persone con disabilità, “è semplicemente privata di qualsiasi accesso umanitario”. “La chiusura del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian viola gravemente le norme del diritto umanitario internazionale ed è chiaramente mirata a creare un disastro umanitario in Karabakh”, ha dichiarato Simonyan a OC Media. Simonyan ha affermato che circa 1.100 persone, tra cui 270 bambini, sono attualmente bloccate, impossibilitate a tornare a casa. “Quattrocento tonnellate di beni di prima necessità vengono importate quotidianamente dalla Repubblica di Armenia in Karabakh, tra cui grano, farina, verdura, frutta, beni economici”, continua: “Attualmente, la fornitura di questi beni al Karabakh è stata completamente interrotta”. Entro il 18 dicembre erano già state segnalate carenze di beni essenziali e medicinali. Simonyan avverte che il blocco aveva già creato una “grave crisi medica”. “Il trasporto di pazienti in condizioni critiche che necessitano di cure urgenti e ricovero è diventato impossibile, per cui le vite di questi pazienti sono in pericolo”.
“Lascia che ci taglino l’elettricità”
Nonostante le difficoltà causate dal blocco, persiste un’aria di sfida. “Lascia che tolgano il gas per un paio di giorni, l’elettricità per un paio di giorni, va bene, bruceremo la legna per riscaldarci, purché restiamo nelle nostre case”, dice Ella Ghambaryan. È fuggita dal suo villaggio natale di Chayli (Aygestan), all’estremità nord-orientale dell’ex Oblast Autonomo del Nagorno-Karabakh, negli anni ’90, quando le forze azere hanno preso il controllo del villaggio. «Dicono che dovremmo vivere insieme pacificamente, ma vogliono soffocarci come quella colomba che è stata strangolata a morte. Era un avvertimento. Molti semplicemente non l’hanno capito. Vogliono solo fare lo stesso con noi”.
La colomba scossa a morte, in un filmato diffuso sui social da un “eco-attivista” azera che sta bloccando il Corridoio di Lachin dalle ore 10.30 del 12 dicembre 2022.
[*] Marut Vanyan è un giornalista freelance con sede a Stepanakert, capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.
La EU Monitoring Capacity in Armenia (EUMCAP) [Capacità di monitoraggio dell’Unione Europea in Armenia], lanciata in ottobre, completa oggi il suo mandato
Il 17 ottobre 2022 il Consiglio Europeo ha adottato una decisione per l’invio in Armenia di osservatori dell’Unione Europea dell’EU Monitoring Mission in Georgia (EUMM) [Missione di monitoraggio dell’Unione Europea in Georgia] fino al 19 dicembre 2022. Sulla base dell’accordo tra i leader di Armenia, Azerbajgian, Consiglio Europeo e Francia, l’EUMCAP è stato inviato il 20 ottobre sul lato armeno del confine internazionale con l’Azerbaigian [avendo quest’ultimo rifiutato l’accesso al suo territorio] con l’obiettivo di monitorare, analizzare e riferire sulla situazione sul campo. “Il dispiegamento di 40 esperti di monitoraggio europei si è rivelato efficace e ha contribuito a rafforzare la fiducia in una situazione instabile. Oggi iniziamo una nuova fase dell’impegno dell’Unione Europea nel Caucaso meridionale, con una squadra di transizione che preparerà il terreno per una possibile missione dell’Unione Europea a più lungo termine in Armenia, con l’obiettivo finale di contribuire a una pace sostenibile nella regione”, ha dichiarato Josep Borrell, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. In tale contesto, il Consiglio, d’intesa con le autorità dell’Armenia, ha deciso che l’attuale EUMM in Georgia invierà in Armenia una squadra transitoria di assistenza alla pianificazione per informare l’Unione Europea sulla situazione della sicurezza e contribuire alla pianificazione e la preparazione di una possibile missione civile di Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) nel Paese. Il gruppo di assistenza alla pianificazione transitoria dovrebbe inoltre sostenere il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, nel processo di normalizzazione tra Armenia e Azerbajgian facilitato dall’Unione Europea. In occasione dell’incontro della Comunità Politica Europea tenutosi a Praga il 6 ottobre 2022, la Repubblica di Armenia e la Repubblica di Azerbaigian hanno confermato il loro impegno nei confronti della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione sul rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’immunità delle frontiere degli Stati della Comunità di Stati Indipendenti concordata ad Alma-Ata il 21 dicembre 1991, in cui entrambi gli Stati si riconoscono reciprocamente l’integrità territoriale e la sovranità. Hanno confermato che sarebbe stata una base per il lavoro delle rispettive commissioni di delimitazione delle frontiere, la cui ultima riunione si è svolta a Brussel il 3 novembre 2022.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-19 20:23:362022-12-20 20:25:40L’Artsakh isolato dal 12 dicembre con il blocco azero del Corridoio di Berdzor (Lachin). Chi rimane in silenzio è complice #ArtsakhBlockade (Korazym 19.12.22)
Da oltre una settimana l’Azerbaijan sta imponendo la chiusura stradale sull’unica via di collegamento tra l’Armenia e l’autoproclamata repubblica dell’Artsakh, impedendo a migliaia di armeni di ricongiungersi con le famiglie o ricevere cibo e cure mediche. Una situazione ricordata ieri da papa Francesco nell’Angelus. Il monito del Catholicos d’Armenia Karekin II: “Le semplici parole di condanna non saranno sufficienti”
Erevan (AsiaNews) – “In questi giorni è con cuore turbato e preoccupato che tutti i nostri occhi sono rivolti alla regione armena dell’Artsakh”, ha dichiarato ieri durante la liturgia il Supremo patriarca e Catholicos d’Armenia Karekin II.
Da più di una settimana sedicenti ambientalisti azerbaijani – formalmente in protesta contro l’attività estrattiva di una miniera d’oro – stanno bloccando l’unica strada che collega l’Armenia all’autoproclamata repubblica dell’Artsakh, nella regione del Nagorno Karabakh, “attraverso atti di pura provocazione e con falsi pretesti”, ha sottolineato l’arcivescovo capo del Patriarcato armeno. Una situazione ricordata ieri anche da papa Francesco durante l’Angelus: il pontefice ha espresso “preoccupazione” per “le precarie condizioni umanitarie” della popolazione.
La regione del Caucaso meridionale, a maggioranza armena ma all’interno dei confini azerbaijani, è da tempo contesa tra Erevan, sostenuta dalla Russia, e Baku, appoggiata dalla Turchia. L’ultima guerra, scoppiata nel 2020 dopo un’aggressione da parte dell’Azerbaijan, si era conclusa dopo 44 giorni con una tregua mediata dal presidente russo Vladimir Putin.
Circa 120mila armeni, di cui 30mila bambini, sono stati ora isolati, impossibilitati a ricongiungersi con i parenti o a ricevere cure mediche, “spingendo il popolo dell’Artsakh verso una catastrofe umanitaria”, ha aggiunto Karekin II. La settimana scorsa diversi studenti karabakhi si erano recati a Erevan in occasione dell’Eurovision junior: lontani dalle loro famiglie non gli è stato permesso di valicare il confine e tornare a casa.
Il Corridoio di Berdzor (Lachin), che collega le città di Stepanakert (capitale di fatto dell’Artsakh) e Goris (nella provincia di Syunik) viene utilizzato per consegnare tutta la merce alla popolazione armena del Nagorno Karabakh, dal cibo alle medicine. L’Azerbaijan nei giorni scorsi ha anche interrotto la fornitura di gas per oltre 50 ore.
“Oggi l’Azerbaigian sta cercando di svuotare l’Artsakh della sua popolazione seminando il terrore. È inaccettabile che nel mondo di oggi che riconosce come valori supremi il diritto di ogni persona alla dignità e alla libertà possano esistere ed essere tollerate manifestazioni così disumane nei confronti di un intero popolo”, ha affermato ancora il Catholicos di tutti gli armeni. “Le semplici parole di condanna non saranno sufficienti a frenare le ambizioni espansionistiche dell’Azerbaigian e a fermare la sua ostilità. La Santa Chiesa apostolica armena manterrà i suoi sforzi affinché la comunità internazionale, gli Stati amici, le Chiese sorelle cristiane, le organizzazioni internazionali e religiose sostestengano l’Artsakh e il suo popolo armeno”.
Anche il patriarcato cattolico armeno ha condannato “il blocco stradale”, un’azione che costituisce “una chiara violazione dei diritti umani, e una contraddizione con la dichiarazione tripartita emessa il 9 novembre 2020”.
Già a settembre di quest’anno si erano riaccese le tensioni tra Armenia e Azerbaijan e secondo alcuni osservatori, a fronte dell’impegno della Russia in Ucraina, la questione rischia di degenerare in un nuovo conflitto.
L’allarme dei Difensori dei diritti umani: «Siamo sotto assedio, catastrofe umanitaria imminente: il mondo intervenga»
L’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh è sull’orlo di una catastrofe umanitaria: l’Azerbajian, ignorando l’accordo di cessate il fuoco firmato nel 2020 dopo la sanguinosa Guerra dei 44 giorni (oltre 7000 morti, più di 100.000 sfollati), ha ora bloccato le forniture del gas lasciando l’intera popolazione al freddo, priva della possibilità di affrontare il gelido inverno del Caucaso. Chiuse di conseguenza tutte le scuole, ridotte al minimo le attività degli ospedali, paralizzato il traffico con i distributori di carburante rimasti a secco. Il Paese è praticamente in ginocchio perché da mesi anche le forniture di acqua potabile sono state tagliate dall’Azerbajian. I tentativi di strangolare l’Artsakh per costringerlo alla capitolazione non si fermano qui: il 12 dicembre gli azeri hanno nuovamente bloccato l’unica strada che collega la piccola Repubblica all’Armenia, impedendo di fatto tutti i rifornimenti di cibo e medicinali destinati alla popolazione. Che ora è letteralmente isolata, ostaggio dell’ennesima aggressione. Nei giorni scorsi i ministeri degli Esteri di Armenia e Arstakh si erano appellati al Consiglio di sicurezza dell’Onu e al Gruppo di Minsk dell’Osce, ma il loro monito per l’imminente disastro umanitario fino a questo momento non sembra aver sortito alcun risultato. Ora a lanciare l’allarme alla comunità internazionale sono i Difensori dei diritti umani dei due Paesi con un documento congiunto in cui lanciano l’allarme per la grave situazione in atto: «È un genocidio pianificato, restano pochi giorni: intervenite prima che sia troppo tardi». Nel loro dettagliato report puntano il dito contro Baku, la capitale azera, elencando con dovizia di particolari e testimonianze le numerose violazioni di accordi e trattati internazionali.
Foto di Roberto TravanCirca 400 tonnellate di beni di prima necessità, tra cui grano, farina, verdura, frutta vengono importate quotidianamente in Artsakh dall’Armenia. «Attualmente, le forniture alimentari, mediche ed energetiche sono completamente interrotte» denuncia il report. E l’Artskah potrebbe avere scorte a sufficienza al massimo per una settimana, non di più, conferma una fonte del nostro giornale che vive a Stepanakert, la capitale. Inoltre, stando alle dichiarazioni fornite dallo Stepanakert Republican Medical Center e dal Ministero della Sanità, «a causa del continuo blocco stradale nel corridoio di Lachin, il trasferimento di pazienti in condizioni critiche per cure urgenti e il ricovero nei centri medici specializzati in Armenia è diventato impossibile». Secondo le informazioni raccolte nel dossier «i blocchi stradali in corso sono in realtà finte manifestazioni ambientaliste inscenate da attivisti appartenenti ad organizzazioni finanziate dal governo azero o direttamente riconducibili a fondazioni della famiglia del premier Aliyev». A conferma di ciò il fatto che tra i presunti ambientalisti sono stati riconosciuti «numerosi appartenenti ai servizi speciali di sicurezza azeri». Tra loro anche alcuni provocatori dei Lupi grigi, la formazione dell’estrema destra radicata in Turchia, Paese che nel 2020 ha sostenuto militarmente l’Azerbajian nell’offensiva che ha travolto l’Artsakh. Proteste e sbarramenti che la forza di pace russa – da due anni stanziata in base agli accordi sull’intera linea di contatto tra Arstakh e Azerbajian – non ha in alcun modo evitato, sostengono molti osservatori.Foto di Roberto Travan
L’interruzione della fornitura di gas per costringere la popolazione ad abbandonare l’Artsakh era già stata utilizzata all’inizio di quest’anno. «Con il pretesto di riparare un tratto del gasdotto che transita nel loro territorio, a marzo l’Azerbajian aveva installato una nuova valvola. Dopo i presunti lavori di riparazione, Baku ha poi interrotto la fornitura». Per gli estensori del rapporto non si tratterebbe di un episodio isolato ma, per l’appunto, di una vera e propria strategia “volta alla completa espulsione del popolo armeno dalla loro terra natale”. Dalla Dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco firmata il 9 novembre 2020 da Azerbajian Armenia e Russia, l’Ombudsman dell’Artsakh ha ripetutamente segnalato le minacce e le provocazioni azere. «Negli ultimi due anni l’Azerbajian ha attaccato deliberatamente numerose infrastrutture civili; ha privato la popolazione di acqua, luce e gas; ha messo in ginocchio l’economia agricola colpendo villaggi e aree rurali con bombe a grappolo vietate dalle convenzioni internazionali; ha diffuso panico e disinformazione effettuando attacchi informatici ai principali mezzi di informazione». Ora sta impedendo agli armeni del Karabakh di entrare o di uscire dal loro Paese: sono 120.000 le persone in trappola, un terzo sono bambini.
Foto di Roberto Travan
Per gli Ombdusman «è noto che le crisi umanitarie creano problemi complessi legati alla tutela dei diritti e all’assistenza dei civili. Ma il blocco dell’unica via di comunicazione con l’Armenia e con il mondo sta mettendo a rischio la stessa sopravvivenza degli abitanti dell’Artsakh: ostacolare intenzionalmente i soccorsi, bloccare i rifornimenti medici, così come far patire intenzionalmente la fame alla popolazione è un vero e proprio crimine di guerra».
Il tempo stringe, il documento si conclude con un appello, l’ennesimo. «I governi e gli attori internazionali coinvolti nella risoluzione del conflitto devono utilizzare tutte le possibili misure diplomatiche per fermare l’assedio e rompere l’isolamento dell’Artsakh: è necessario ripristinare tutte le vie di comunicazione e di approvvigionamento per scongiurare l’imminente disastro umanitario. Ma la comunità internazionale deve assumere urgentemente una posizione unanime e inequivocabile. E adottare azioni mirate per impedire all’Azerbajian di raggiungere impunemente il suo obiettivo finale: lo spopolamento dell’Artsakh e lo sterminio di tutta la sua popolazione nativa, gli armeni».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-18 18:35:392022-12-19 18:38:01Caucaso, l’Azerbajian blocca le forniture di gas e tutte le vie di comunicazione con l'Artsakh (La Stampa 18.12.22)
18.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nel settimo giorno del blocco dell’Artsakh, Papa Francesco ha espresso preoccupazione per la situazione umanitaria in Nagorno-Karabakh, creatosi dopo che l’Azerbajgian in pratica ha chiuso il Corridoio Lachin, con il blocco in forza dal 12 dicembre scorso sulla strada di montagna Stepanakert-Goris, che è l’unico collegamento dell’Artsak/Nagorno-Karabakh con l’Armenia e il resto del mondo. Papa Francesco ha invitato tutte le parti a trovare “soluzioni pacifiche per il bene del popolo”. «Mi preoccupa la situazione creatasi nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso meridionale. In particolare sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni, che rischiano ulteriormente di deteriorarsi nel corso della stagione invernale. Chiedo a tutti coloro che sono coinvolti di impegnarsi a trovare soluzioni pacifiche per il bene delle persone», ha detto Papa Francesco dopo la recita dell’Angelus Domini oggi in piazza San Pietro. Però, esprimere diplomaticamente preoccupazione non è sufficiente. Chiedere di porre fine all’#ArtsakhBlockade è il primo passo.
Oggi, 18 dicembre 2022 nella chiesa di Santa Gayane, poco distante dalla Cattedrale della Santa Sede di Echmiadzin, la città più sacra dell’Armenia, sede del Patriarca Supremo e Catholicos di Armenia e di tutti gli Armeni, Primate della Chiesa Apostolica Armena, a circa 20 chilometri a ovest della capitale Erevan, è stata celebrata una Santa Liturgia, presieduta da Sua Santità Karekin II, per la pace e la solidarietà per il bene dell’Artsakh. La Congregazione della Santa Sede di Etchmiadzin con i fedeli presenti ha pregato Dio per la pace dell’Armenia e dell’Artsakh, e per la vita sicura e protetta dell’intero popolo armeno.
Al termine, il Catholicos di Armenia e di tutti gli Armeni ha rivolto un messaggio al popolo dell’Artsakh e a tutti gli Armeni, sottolineando in particolare: “In questi giorni, con il cuore sconvolto e preoccupato, tutti i nostri occhi sono rivolti al mondo armeno dell’Artsakh. Da sette giorni le autorità dell’Azerbagian hanno chiuso l’unica via di comunicazione dell’Artsakh con l’Armenia e il mondo, con evidenti azioni provocatorie e false ragioni, lasciando la popolazione dell’Artsakh in un disastro umanitario. 120.000 dei nostri fratelli e sorelle dell’Artsakh che sono bloccati sono privati della possibilità di libera circolazione, molti pazienti sono privati delle cure mediche necessarie e la Repubblica di Artsakh è privata di rifornimenti vitali”.
Sua Santità Karekin II, riferendosi a queste tragiche realtà, ha affermato: “Oggi l’Azerbajgian sta cercando di spopolare l’Artsakh instillando paura. Non si può immaginare che nel mondo di oggi, che dichiara la persona e la sua vita dignitosa e libera come il valore più alto, sia possibile che simili manifestazioni anti-umane nei confronti di un intero popolo possano trovare posto ed essere tollerate”.
Notando che solo le parole di condanna non sono sufficienti per frenare le ambizioni espansionistiche dell’Azerbajgian e fermare il suo corso ostile, il Catholicos di Armenia e di tutti gli Armeni ha sottolineato che la Santa Chiesa Apostolica Armena continuerà a compiere sforzi affinché la comunità internazionale, gli Stati amici, le Chiese sorelle cristiane, le organizzazioni ecclesiastiche internazionali forniscono supporto all’Artsakh e ai bambini del popolo armeno dell’Artsakh.
Rivolgendosi al popolo dell’Artsakh, il Patriarca Supremo della Chiesa Apostolica Armena ha detto: “Cari cittadini dell’Artsakh, vi portiamo le nostre preghiere e il sostegno della Santa Sede di Etchmiadzin. La mia nazione armena è unita nella tua giusta richiesta di vivere libera, indipendente e sicura. Continua a rimanere imperterrito, forte nella fede e a vivere con l’ottimismo delle vittorie quotidiane grandi e piccole. Dobbiamo affrontare con coraggio tutte le calamità che ci hanno afflitto, in modo che Artsakh viva con lo spirito del popolo dell’Artsakh, con le grida dei bambini che nascono, con ricche testimonianze armene, edifici storici e santuari secolari”.
Sua Santità Karekin II ha fatto appello agli Armeni che vivono in Armenia e nella diaspora. “L’Artsakh e la protezione dei diritti degli Armeni dell’Artsakh è una questione di dignità del nostro popolo. È la questione della dignità di ogni Armeno, ovunque viva, in Armenia o nella diaspora. La nostra gente dell’Artsakh ha bisogno dell’attenzione e del sostegno di tutti. La soluzione dei problemi degli Armeni dell’Artsakh è una priorità non negoziabile e non può essere sostituita da nessun’altra preoccupazione. Rendiamoci conto che l’Artsakh è la nostra Patria, gli interessi dell’Armenia e dell’Artsakh sono identici e la sicurezza dell’Artsakh è indissolubilmente legata alla sicurezza dell’Armenia. Portiamo il nostro messaggio patriarcale a tutto il nostro popolo: scrollarsi di dosso ogni manifestazione di indifferenza, essere più decisi e attivi, perseguire e sostenere i diritti degli Armeni dell’Artsakh, la vita libera e indipendente dell’Artsakh con sforzi e responsabilità uniti. Questa è una lotta per preservare la nostra identità nazionale”.
Il Patriarca Supremo di tutti gli Armeni ha espresso il suo desiderio che, per buona volontà del Signore, si stabilisca una pace duratura e dignitosa in Armenia e nell’Artsakh, a beneficio della sacra Patria e del popolo armeno che ama Dio.
Circa 120.000 Armeni, di cui 30.000 bambini, vivono nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh e la chiusura del Corridoio di Berdzor (Lachin) li ha isolati dal mondo e privati di cibo, medicine e generi di prima necessità. Delle famiglie sono state separate ed è impossibile raggiungere l’Armenia per cure mediche adeguate. Questo blocco illegale da parte dell’Azerbajgian crea condizioni umanitarie precarie, che si aggravano giorno dopo giorno. L’Unione Europea ha invitato l’Azerbajgian a garantire libertà e sicurezza di movimento lungo il Corridoio, in linea con la dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2022 (firmata da Armenia, Azerbajgian e Russia). I rappresentanti dell’Unione Europea hanno avvertito che il blocco del Corridoio causa notevoli disagi alla popolazione locale e potrebbe portare a una grave emergenza umanitaria. Negando l’evidenza, con la faccia di piombo l’Azerbajgian ha negato di aver bloccato il Corridoio.
Il popolo dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh ha il diritto legale internazionale all’autodeterminazione e il diritto umano a vivere senza la minaccia costante e incombente del genocidio da parte dell’Azerbajgian. In copertina abbiamo messo il nuovo simbolo della dittatura, del fascismo e dell’aggressione del regime genocida azero. Quando un dittatore finge di essere pacifico, questo è quello che ci si può aspettare. Gli “eco-attivisti” azeri, che vicino a Sushi hanno bloccato l’autostrada Stepanakert-Goris, hanno lanciato in aria 44 colombe come “simbolo di pace”, una per ogni giorno della guerra di aggressione di fine 2020, con cui le forze armate dell’Azerbajgian hanno occupato gran parte della Repubblica di Artsakh.
La signora in pelliccia “attivista ecologista” azera con l’altoparlante in una mano, ritratta nella vignetta in copertina e qui sopra, ha letteralmente ucciso una delle 44 colombe, scuotendola istericamente con l’altra mano, mentre urlava nell’altoparlante. Ha poi lanciata la colomba morta in aria, finita sotto i piedi dei manifestanti. Il blocco illegale dell’Artsakh di questi manifestanti “pacifici” azeri, sta già avendo gravi conseguenze sulla vita dei cittadini. I pochi mezzi del contingente di mantenimento della pace russi non sono in grado di garantire di fornire assistenza con cibo, carburante, medicine, ecc. delle 120.000 persone che vivono nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, anche se riescono a far entrare e uscire il loro convoglio dall’Artsakh. Quella signora azera in pelliccia, che sventolava una colomba morta in mano, inneggiando alla pace con gli Armeni, è l’icona simbolica che i manifestanti azeri vedono per gli Armeni dell’Artsakh.
I due testi che seguono, rendono chiaro le intenzioni dell’Azerbajgian, secondo la politica ufficiale di Baku: per gli Azeri l’Artsakh è Azerbajgian. L’assicurazione di Baku di garantire la sicurezza degli Armeni in Artsakh una volta ritornato sotto il controllo dell’Azerbajgian, più che essere una promessa, suona come una minaccia.
Il primo testo è un appello del Consiglio di vigilanza dell’Agenzia per il sostegno statale alle organizzazioni non governative della Repubblica dell’Azerbaigian, rivolto un appello alle organizzazioni internazionali e alle organizzazioni non governative straniere. A parte delle finte motivazioni ecologiste, il punto è che per Baku gli Armeni dell’Artsakh occupano “illegalmente” il territorio che l’Azerbajgian il suo, non possono fare attività mineraria e non possono difendersi nelle loro terre ancestrali. Inoltre, secondo Baku l’Artsakh non è stato bloccato e non è isolato dal mondo, che è una bugia e una calunnia inventata dall’Armenia, visto che qualche mezzo russo può passare.
Ecco, ampi stralci dall’appello del Consiglio di vigilanza dell’Agenzia per il sostegno statale alle organizzazioni non governative della Repubblica dell’Azerbaigian, nella nostra traduzione italiana dall’inglese:
«(…) Organizzazioni non governative, ambientalisti e attivisti della società civile dell’Azerbajgian, in segno di protesta contro queste azioni delle forze di pace russe, nonché contro lo sfruttamento illegale e il saccheggio delle risorse naturali del nostro Paese, in particolare i depositi di oro e rame, e la commissione del terrorismo ambientale in questi territori, tengono un’azione pacifica sulla strada Khankendi-Lachin [tratto Stepanakert-Berdzor, che prosegue fino a Goris in Armenia].
La richiesta dei partecipanti all’azione è abbastanza semplice: porre fine allo sfruttamento illegale e al saccheggio delle risorse naturali dell’Azerbajgian; fermare il terrorismo ecologico commesso in questi territori e creare le condizioni per il monitoraggio di questi territori! (…)
Attualmente, le ONG del Paese chiedono di porre fine al trasporto illegale di armi e munizioni e formazioni militari verso il territorio sovrano dell’Azerbajgian [inteso il territorio della autoprocamata Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh] lungo la strada Lachin [il Corridoio di Berdzor (Lachin)] dall’Armenia, la sottrazione delle nostre risorse nazionali dal Paese, e il terrorismo delle mine.
Sfortunatamente, l’Armenia e la lobby armena stanno deliberatamente cercando di distorcere la natura dell’azione pacifica delle ONG azere, ingannare la comunità internazionale per evitare responsabilità e condurre una campagna di bugie e calunnie sugli eventi che hanno avuto luogo sulla strada Khankendi-Lachin.
La leadership politica dell’Armenia e i separatisti armeni [il popolo di Artsakh che scelto la via della autodeterminazione, fuori dall’Azerbajgian, secondo il diritto dell’allora Unione Sovietica e il diritto internazionale] inviano falsi appelli alle organizzazioni internazionali e all’estero, sostenendo che i partecipanti all’azione bloccano la strada di Lachin e interrompono la fornitura di gas naturale, organizzano un blocco degli Armeni che vivono a Khankendi [Stepanakert] e nelle aree adiacenti, ed esporli a una catastrofe umanitaria o alla pulizia etnica.
Dichiariamo con tutta la responsabilità che queste informazioni non hanno fondamento, sono tutte bugie e calunnie.
In risposta a questa menzogna, portiamo anche alla vostra attenzione che le ONG e gli ambientalisti non hanno creato alcuna restrizione alla libera circolazione di veicoli e persone lungo la strada di Lachin, un chiaro esempio del quale è la libera circolazione dei veicoli delle forze di pace e umanitarie russe forniture. (…)
Riteniamo che l’Armenia dovrebbe rinunciare alle sue rivendicazioni territoriali contro l’Azerbajgian [inteso l’auto-determinazione del popolo di Artsakh che si è dichiarato indipendente], adempiere a tutti i punti della Dichiarazione trilaterale firmata il 10 novembre 2020, in particolare, ritirare il resto delle sue forze armate illegali dall’Azerbajgian [Inteso l’esercito di difesa della Repubblica di Artsakh], fermare lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e porre fine al terrorismo ambientale.
In qualità di Consiglio di vigilanza dell’Agenzia per il sostegno statale alle organizzazioni non governative della Repubblica dell’Azerbajgian, facciamo appello a tutte le organizzazioni internazionali, organizzazioni non governative di Paesi stranieri coinvolti nella protezione ambientale ed ecologica, comprese le ONG armene, e le invitiamo sostenere le ragionevoli richieste avanzate dalle organizzazioni non governative azere».
Il Portavoce per la politica estera del gruppo parlamentare CDU/CSU del Bundestag tedesco, Jurgen Hardt, ha invitato il governo dell’Azerbajgian a fermare il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) tra l’Armenia e l’Artsakh/Nagorno-Karabakh. “Anche se l’Azerbajgian insiste che sta cercando una soluzione diplomatica, il conflitto non si placa”, ha detto Hard. Ha osservato: “Ovviamente, i bloccanti sono supportati da Baku. Il governo di Baku dovrebbe porre immediatamente fine al blocco”. Anche il Portavoce della politica estera della frazione dei Verdi del Bundestag, Jurgen Tritin, ha chiesto all’Azerbajgian di interrompere immediatamente il blocco del Nagorno-Karabakh, altrimenti si rischia un disastro umanitario. “Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha bisogno di segnali chiari dall’Europa che dovrebbe liberare il Corridoio di Lachin. Il nuovo ruolo dell’Azerbajgian come importante fornitore di energia per l’Europa non dovrebbe portare a una reazione morbida da parte di Brussel”, ha affermato Tritin.
Corridoio di Berdzor (Lachin), gennaio 2021 (Foto di Chris Huby/Le Pictorium/Open Democracy).
Riportiamo di seguito, nella nostra traduzione italiana dall’inglese, un articolo pubblicato da Open Democracy, a firma del giornalista azero, Bashir Kitachayev, che spiega perché il blocco dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh è una “tempesta perfetta”, che preannuncia un oscuro futuro per la regione.
Il blocco stradale azero ha tagliato l’accesso a cibo, carburante e medicine di decine di migliaia di persone
Una lotta per lea strada che collega l’Armenia al Nagorno-Karabakh ha visto i manifestanti bloccare rifornimenti vitali
di Bashir Kitachayev Open Democracy, 16 dicembre 2022
L’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia è stata bloccata dal 12 dicembre – da lavoratori di organizzazioni statali azere. I manifestanti hanno detto che si stanno opponendo alle forze di pace russe di stanza nel territorio conteso, che sostengono stiano coprendo l’estrazione illegale su un territorio che formalmente appartiene all’Azerbajgian. Hanno montato tende e si sono rifiutati di sgombrare la strada – conosciuta come il Corridoio di Lachin – negli ultimi quattro giorni [sette giorni ormai]. Tra loro ci sono funzionari pubblici, lavoratori dei cantieri vicini e rappresentanti di ONG filogovernative, ma anche ex militari – uno dei quali è stato fotografato mentre faceva il noto gesto dei Lupi Grigi, un famigerato gruppo turco di estrema destra. Bloccando la strada, hanno minacciato di una catastrofe umanitaria le decine di migliaia di Armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh, dicono i rappresentanti armeni.
All’indomani della seconda guerra del Nagorno-Karabakh nel 2020, in cui l’Azerbajgian ha ripreso con successo il controllo di parte del Nagorno-Karabakh e dei distretti adiacenti precedentemente detenuti dall’Armenia. Il blocco dell’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia sembra essere un tentativo di isolare la sua popolazione dal mondo esterno – e spianare la strada per assumere il pieno controllo della regione. (La prima guerra del Nagorno-Karabakh risale agli anni ’90.)
Numerosi attacchi dal 2020 contro le aree abitate dagli Armeni del Nagorno-Karabakh (una regione senza sbocco sul mare all’interno della catena montuosa del Karabakh, spesso chiamata Nagorno-Karabakh (in questo pezzo uso i due termini in modo intercambiabile), così come contro l’Armenia stesso, hanno segnalato l’intenzione dell’Azerbajgian di forzare un insediamento sul territorio. Hanno anche dimostrato che ci sono poche forme di pressione internazionale disponibili contro il Paese ricco di risorse, che è sostenuto dalla Turchia.
Le forze di pace russe – che dovrebbero garantire l’accesso alla strada ora bloccata – sono di stanza nella regione dal 2020 e la Russia è garante di un accordo di cessate il fuoco che è stato violato numerose volte [dall’Azerbajgian].
L’Unione Europea, nel frattempo, ha firmato accordi per miliardi di dollari in gas e investimenti con l’Azerbajgian da quando la Russia ha invaso l’Ucraina a febbraio.
Il blocco
Il blocco sta già colpendo gli Armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh. Hanno perso rifornimenti regolari di cibo, carburante e medicine. Il gas viene fornito alla regione attraverso un gasdotto dall’Armenia. La sera del 13 dicembre è stato riferito che anch’esso era stato interrotto – forse con una valvola presumibilmente installata dall’Azerbajgian durante i lavori all’inizio dell’anno – ma, dopo tre giorni, era stato comunicato che era stato ricollegato.
Il Ministero della Difesa russo afferma di essere in trattativa con i manifestanti per sbloccare la strada, ma ad oggi il comandante delle forze di pace russe si è rifiutato di incontrare gli “eco-attivisti” azeri. Il Cremlino non ha commentato la situazione, anche se i Presidenti russo e azero sono stati in contatto.
Sia il Dipartimento di Stato americano che l’Unione Europea hanno espresso preoccupazione per la “crisi umanitaria” e hanno invitato l’Azerbajgian a sbloccare la strada.
L’Azerbajgian vuole la pace alle sue condizioni
La seconda guerra del Karabakh si è conclusa nella notte del 10 novembre 2020 con la firma di un accordo trilaterale (Armenia, Azerbajgian e Russia), ma è stata ampiamente seguita da ulteriore caos e violenza [da parte dell’Azerbajgian].
Quell’accordo riconosceva il controllo di Baku sui territori che aveva preso con la forza all’interno del Nagorno-Karabakh, e restituiva il controllo sui territori [sotto controllo dell’Armenia] che confinavano con il Nagorno-Karabakh. In linea con quel documento, le forze di pace russe sono state portate nello stesso Karabakh per controllare la linea che separa gli Armeni del Karabakh dalle truppe azere, così come lo stesso Corridoio di Lachin.
L’accordo trilaterale obbliga l’Azerbajgian e l’Armenia a “sbloccare le comunicazioni” – strade, trasporti e collegamenti infrastrutturali – e garantire reciprocamente la libera circolazione delle merci attraverso i Paesi. Ma l’Armenia e l’Azerbajgian non sono d’accordo su cosa significhi “sbloccare”. Baku ritiene che lo “sblocco delle comunicazioni” dovrebbe significare che prende il controllo di una strada che attraversa la regione armena di Syunik, fino alla Repubblica Autonoma di Nakhichevan, un’exclave separata dal territorio principale dell’Azerbajgian. E Aliyev ha accompagnato le sue richieste per questo “Corridoio di Zangezur” – Zangezur è il nome azero di Syunik – con minacce. “Stiamo implementando il Corridoio di Zangezur, che l’Armenia lo voglia o no”, ha detto Aliyev nel 2021. “Se [l’Armenia] vuole, allora sarà più facile. Se [l’Armenia] non vuole, decideremo con la forza”. Questo piano, tuttavia, reciderebbe una striscia meridionale dell’Armenia e, con essa, il suo accesso all’Iran. Il desiderio di Baku di controllare il “Corridoio di Zangezur” è spesso citato come causa dei conflitti di confine.
Aliyev ha anche esercitato pressioni sull’Armenia durante i negoziati per firmare un trattato di pace. Per prima cosa, ciò richiederebbe alle parti di riconoscere reciprocamente l’integrità territoriale. Significa che l’Armenia dovrebbe finalmente abbandonare il Karabakh, che diventerebbe parte dell’Azerbajgian senza il diritto a uno status speciale. Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, dopo i combattimenti al confine nel settembre 2022, ha espresso la sua disponibilità a soddisfare le richieste di Baku. La Repubblica non riconosciuta di Artsakh/Nagorno-Karabakh, ha detto Pashinyan, potrebbe negoziare direttamente con le autorità azere sul suo status. Aliyev, tuttavia, rifiuta categoricamente di parlare con i rappresentanti delle autorità de facto del Karabakh, ostacolando l’accordo.
Inoltre, nello stesso Nagorno-Karabakh, gli Armeni non vogliono far parte dell’Azerbajgian. Le autorità e la popolazione locale temono vendetta da parte degli Azeri per i crimini di guerra che le parti hanno commesso l’una contro l’altra durante le due passate guerre per il Karabakh.
Mancanza di supporto internazionale
A differenza della guerra russo-ucraina, la comunità internazionale non si affretta a sostenere direttamente l’una o l’altra parte del conflitto. L’eccezione qui è la Turchia, che fornisce armi all’Azerbajgian, addestra il suo esercito e stipula lucrosi contratti con Aliyev. Il 10 dicembre scorso, un generale turco è diventato addirittura Consigliere del Ministro della Difesa dell’Azerbajgian.
Durante la seconda guerra del Karabakh, si dice che Ankara abbia inviato mercenari in Azerbajgian reclutati da gruppi islamisti controllati dalla Turchia in Siria, sebbene Turchia e Azerbajgian lo neghino.
Sullo sfondo, Armenia e Turchia hanno lavorato attivamente per ripristinare le relazioni diplomatiche interrotte durante la prima guerra del Karabakh.
Nel frattempo, l’Unione Europea sta attualmente tentando di fungere da piattaforma per i negoziati, sebbene abbia anche raggiunto un importante accordo sul gas con l’Azerbajgian. Il Capo della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha definito Aliyev “un partner affidabile dell’Europa” durante una visita a Baku all’inizio di quest’anno per firmare il contratto.
I leader dell’Azerbajgian e dell’Armenia si sono incontrati a Brussel, mediati dal Capo del Consiglio Europeo, Charles Michel. Questi incontri hanno portato a lavorare su un trattato di pace tra i due Paesi opposti. L’unico risultato è stato il riconoscimento da parte dei due Paesi della reciproca integrità territoriale, ma è ancora lontano da qualsiasi risultato significativo, poiché entrambe le parti si sono imposte ulteriori condizioni l’una all’altra. L’Unione Europea ha anche inviato un gruppo civile di osservatori al confine tra Armenia e Azerbajgian, anche se la sua presenza finirà presto e l’Armenia teme che ciò possa portare a una nuova aggressione da Baku.
Prima e durante la guerra del 2020, l’Occidente ha evitato di schierarsi a causa del ruolo del Gruppo di Minsk – Stati Uniti, Francia e Russia -dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), che avrebbe dovuto guidare il processo negoziale sul futuro del Nagorno-Karabakh. Ma molti anni di tentativi di una soluzione diplomatica non hanno dato frutti e, dopo la guerra, Baku ha dichiarato che il Gruppo di Minsk dell’OSCE non poteva più occuparsi del conflitto armeno-azerbaigiano [perché considera la questione del Nagorno-Karabakh “risolta”, con la forza, essendo il Nagorno-Karabakh Azerbajgian].
Il Cremlino è dolorosamente consapevole che l’Unione Europea sta rimuovendo il monopolio di Mosca sui negoziati internazionali e la mediazione sul conflitto armeno-azerbaigiano, un ruolo svolto in precedenza dalla Russia. La posizione indebolita della Russia è stata ulteriormente smascherata dall’offensiva dell’Azerbajgian di settembre contro l’Armenia, quando quest’ultima ha chiesto assistenza alla Russia tramite l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), di cui l’Armenia è membro. Secondo una delle clausole dell’accordo, la CSTO è obbligata a fornire assistenza militare se uno dei suoi Paesi membri viene attaccato. Eppure la CSTO si è rifiutata di fornire assistenza militare o di definire l’Azerbajgian l’aggressore.
Quello che stiamo osservando è una tempesta perfetta: con poche forme di pressione sull’Azerbaigian, continuerà a esercitare il suo vantaggio sul Nagorno-Karabakh e le persone che vivono nel territorio soffriranno enormi difficoltà nel processo. Il loro futuro all’interno dell’Azerbajgian sarà cupo.
Il Ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, a Martuni: «Dobbiamo trovare soluzioni intelligenti ed essere pronti a combattere»
Ieri, 17 dicembre 2022 il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan, ha tenuto riunioni a Martuni, 41 km a est della capitale Stepanakert. Il Ministro di Stato era accompagnato anche dai deputati dell’Assemblea nazionale dell’Artsakh: Artur Harutyunyan, Capo della frazione “Patria Libera-CMD”; Davit Ishkhanyan, Membro della frazione “Alleanza Rivoluzionaria Armena”; Davit Galstyan, Capo della frazione “Giustizia”; Davit Melkumyan, Capo della frazione “Partito Democratico dell’Artsakh”.
Il Ministro di Stato e i Deputati hanno visitato l’azienda “Base Metals”, hanno avuto un incontro con la direzione e i dipendenti dell’azienda, e hanno risposto alle loro domande.
Parlando della situazione creata e della politica attuata dall’Azerbajgian, Vardanyan ha osservato che l’Azerbajgian è molto coerente, passo dopo passo, cercando di creare panico e fare pressione sulla gente dell’Artsakh affinché se ne vada da qui. “Lo fanno con una strategia speciale, facendo a pezzi il nostro Paese, usando la cosiddetta strategia dell’affettare il salame. È anche chiaro che uno dei passaggi per raggiungere il loro obiettivo principale è fermare il lavoro di questa azienda, perché fornisce alle persone reddito e occupazione”, ha detto Vardanyan. Ha notato che ci sono due scenari in questa situazione.
“Il primo scenario è combattere. Dobbiamo ammettere che dopo il 9 novembre non abbiamo pace, anzi la guerra continua. Ora è in corso una seria guerra di informazione. Vogliono convincere il mondo intero che qui c’è un problema ambientale, mentre la realtà è che questo è un blocco, una crisi umanitaria. Per vincere questa guerra, quindi, dobbiamo essere uniti e fare di tutto per far sentire ai nostri alleati che siamo forti. Puoi sperare in aiuto solo quando hai fatto tutto da solo, non quando dici: sono debole, sono piccolo, vieni ad aiutarmi”, ha sottolineato Vardanyan.
“Il secondo scenario è la versione sognata dall’Azerbajgian: la nostra partenza da qui, il che è inaccettabile. Non dovremmo mai permetterlo. La guerra continua, e in questa situazione dobbiamo essere in grado di resistere in modo organizzato. Dobbiamo trovare soluzioni intelligenti ed essere pronti a combattere. Sono venuto qui con voi, per combattere e vincere, per costruire la nostra vita e il nostro futuro in un Artsakh indipendente e sicuro”, ha proseguito Vardanyan.
Ha sottolineato che per la prima volta l’Artsakh è sotto un blocco completo, ma allo stesso tempo ha notato felicemente che non ha infranto la volontà e lo spirito del popolo dell’Artsakh.
I partecipanti all’incontro nei loro interventi hanno assicurato di rimanere fermi nella loro terra e di essere pronti a fare di tutto per proteggere la loro casa e la loro patria.
Presso il Palazzo della Cultura di Martuni, intitolato ad Artur Aghasyan, l’eroe dell’Artsakh, il Ministro di Stato e i Deputati hanno avuto un incontro con l’amministrazione locale, le istituzioni-imprese, i rappresentanti di varie istituzioni e la popolazione, e hanno risposto alle loro domande, che riguardavano principalmente la sicurezza dell’Artsakh, la situazione creata a seguito del blocco dell’Azerbajgian, i passi e le soluzioni per superarlo. “L’unico modo in cui possiamo andare avanti è diventare un pugno forte insieme, fidarci l’uno dell’altro, rispettarci l’un l’altro, realizzare la gravità della situazione. Dobbiamo capirti e renderci conto che siamo tutti uguali davanti alla legge. Per ripristinare la fiducia, abbiamo adottato uno stile di lavoro trasparente, per questo ci informo personalmente ogni giorno sui passi, in modo da superare anche la disinformazione”, ha detto il Ministro di Stato. I partecipanti all’incontro hanno espresso il loro sostegno all’idea di tenere una manifestazione nazionale annunciata venerdì dal Ministro di Stato, per mostrare al mondo che c’è un popolo che vive in Artsakh che non solo sopporta le difficoltà e il blocco azero, ma sono anche pronti a lottare uniti per il diritto di vivere nella loro patria.
A Stepanakert si è svolto un flash mob dal motto “La Strada della Vita”
Su iniziativa di Aram Harutyunyan, Presidente del comitato permanente per la scienza, l’istruzione, la cultura, la gioventù e lo sport dell’Assemblea nazionale della Repubblica di Artsakh, ieri la sera, 17 dicembre 2022 si è svolto nell’area del memoriale “Noi siamo le nostre montagne” a Stepanakert un flash mob dal motto “La Strada della Vita”, che è stato raffigurato con le luci da entinaia di giovani dell’Artsakh hanno.
In una conversazione con Armenpress, Harutyunyan ha affermato che per il sesto giorno l’unica strada che collega l’Artsakh alla Madre Armenia è stata chiusa dall’Azerbajgian con l’obiettivo di intimidire, estorcere concessioni e infine privare gli Armeni dell’Artsakh del loro Paese. “Il nostro obiettivo e i nostri compiti sono di non permettere tutto questo e dobbiamo implementare ciò che dipende da noi.
Anche il flash mob “La Strada della Vita” e il video realizzato in tale contesto sono un’iniziativa di questo tipo per far conoscere al mondo il nostro problema”, ha affermato il Deputato Harutyynyan.
I giovani dell’Artsakh vogliono vivere in serenità e pace nella loro terra, secondo il diritto internazionale e i diritti dell’uomo, senza la minaccia di genocidio da parte dell’Azerbajgian.
I lavori di costruzione del tratto armeno della nuova autostrada Goris-Stepanakert (93,4 km), che collega l’Armenia all’Artsakh, sta proseguendo. Questa autostrada M12 Kornidzor-Tegh attraversa la municipalità di Tegh nella provincia di Suynik, fino alla frontiera con la Repubblica di Artsakh, all’inizio del Corridoio di Berdzor (Lachin). La lunghezza totale della M12 è di circa 11,7 km (8,5 km dei quali passano in pianura, con una ripida discesa che inizia nell’ultimo tratto di 3 km), divisa di 3 lotti con tre società che stanno portando avanti la costruzione. Il Direttore esecutivo della Fondazione “Dipartimento Stradale”, Gor Avetisyan, ha detto che si prevede di realizzare il manto stradale a marzo 2023, per terminare i lavori ad aprile e che al momento i lavori non sono in ritardo rispetto a quanto previsto. Anche il Ministro dell’Amministrazione del territorio e delle infrastrutture armeno, Gnel Sanosyan, ha annunciato che la costruzione dell’autostrada M12 sarà completata entro la primavera del 2023. In precedenza, in quella zona c’era una strada sterrata, che ora è in fase di ampliamento e ristrutturazione; in sostanza, si sta costruendo una strada completamente nuova. In precedenza. il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha dichiarato che l’Azerbajgian aumentato le provocazioni in Artsakh nei giorni in cui è stata avviata la costruzione effettiva dell’autostrada M12.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-18 16:51:132022-12-19 16:52:10#ArtsakhBlockade dell’Azerbajgian da sette giorni. Repubblica di Artsakh, la più grande prigione all’aria aperta del mondo (Korazym 18.12.22)
Decine di migliaia di civili, bambini compresi, sono sotto assedio, altri non possono tornare a casa. Le istituzioni mediche sono private dell’opportunità di ricevere medicine, risorse di primo soccorso, i rifornimenti di cibo e gas sono stati interrotti. Sono in pericolo i diritti degli armeni alla vita, all’assistenza sanitaria, alla libertà di movimento e altri diritti inalienabili.
L’Azerbaijan, il paese autocratico del Caucaso del sud, l’unico al mondo dove il presidente ha nominato sua moglie come vice-presidente dello Stato, e governato da più di mezzo secolo dalla dinastia petrolifera degli Aliyev, combatte già da oltre trent’anni contro la giovane democrazia della Repubblica d’Armenia, tentando di conquistare l’Artsakh (Nagorno-Karabakh), una repubblica democratica armena che si rese indipendente subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Grazie alla guerra scatenata contro gli armeni nel pieno della pandemia nel settembre 2020, Baku riebbe tutti i distretti adiacenti all’Artsakh, e in più la città di Shoushi (nota, tra l’altro, per la strage degli armeni del marzo 1920) e anche il distretto di Hadrout, territori che erano parti integranti del Nagorno-Karabakh.
Ora il presidente azero Aliyev, mediante svariate provocazioni, cerca di svuotare i territori che rimangono ancora sotto il controllo degli armeni. Per questo motivo già da una settimana ha bloccato l’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia e al mondo, impiegando un gruppo aggressivo di sedicenti “ambientalisti” turco-azeri. Uno stato dove la democrazia è una chimera e dove qualsiasi voce fuori dalla propaganda armenofoba viene messa in carcere, uno Stato che nel 2020 usava bombe a fosforo bianco contro la popolazione pacifica dell’Artsakh, oggi, molto d’improvviso, ha cominciato a battersi per questioni ambientali.
Tuttavia i video che descrivono il comportamento degli “attivisti”, così come il modo in cui parlano e le cose che chiedono alle forze di pace russe, rivelano la vera natura di questa “manifestazione”. Gli pseudo-ambientalisti azeri, in gran parte sostenitori del connubio Erdogan – Aliyev (come risulta da una semplice visione dei loro profili social) e soldati del Servizio di sicurezza azero travestiti da ambientalisti, gridano slogan antiarmeni mostrando fieramente il simbolo dell’organizzazione dei Lupi Grigi, incitano all’odio e richiedono l’intero territorio dell’Artsakh.
Così la popolazione dell’Artsakh, circa 120mila persone tra cui anziani, donne e bambini, si è trovata sull’orlo di un disastro umanitario e sta effettivamente affrontando la minaccia del genocidio. L’Azerbaijan continua ad agire con i propri metodi violenti, ignorando grossolanamente “le forze di pace”, le quali rimangono “neutrali” е non sostengono in alcun modo i diritti degli armeni.
Mentre il popolo dell’Artsakh resta intrappolato, a Yerevan, su invito del difensore dei diritti umani dell’Artsakh, migliaia di persone si uniscono davanti alle ambasciate dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu, alla delegazione Ue e agli uffici Onu in Armenia, a protestare contro il blocco della strada, quasi certamente sancito dal Cremlino per punire, ancora una volta, in modo proxy (ricorrendo simbolicamente allo stesso armamentario del blocco di strade) un regime armeno che venne al potere democraticamente grazie alla Rivoluzione di Velluto 2018, bloccando le strade delle autorità armene di allora…
Non a caso il deputato dell’alleanza “Il mio passo” e già vice-ministro della Difesa Gagik Melkonyan ha notato in un’intervista rilasciata ai media armeni in questi giorni che, come trentun’anni fa, anche oggi il Cremlino e Baku stiano realizzando un’operazione che può essere definita come “Koltso-2”. Ricordiamo che nel 1991 Gorbaciov ringraziò il primo presidente azero Ayaz Mutalibov e il popolo azero per aver risposto affermativamente al referendum che mirava alla preservazione dell’Unione Sovietica. Già tra l’aprile e il maggio 1991, con il sostegno del Cremlino, Baku condusse l’operazione “Koltso” (Anello), un esempio palese di violenza di Stato e pulizia etnica contro gli armeni dell’Artsakh.
Il membro del parlamento armeno ha ricordato inoltre la recentissima pulizia etnica dei villaggi armeni di Parukh, Khtsaberd e Hin Tagher, avvenuta alla presenza del contingente russo. Secondo lui la Russia sta realizzando una politica coercitiva nella sua visione imperialistica, spingendo l’Armenia verso la rinuncia alla propria sovranità.
Per tre giorni di fila la dittatura di Aliyev ha tagliato la fornitura di gas naturale all’Artsakh, privando 120mila persone della possibilità di riscaldare le proprie case in questo inverno. Tutto nel frattempo con il cosiddetto “movimento ambientalista” in strada.
Come era facile prevedere, le presunte motivazioni ambientaliste erano solo un pretesto per permettere all’Azerbaijan di perseguire un’azione contro la popolazione armena dell’Artsakh. Sono diventate virali le immagini che riassumono simbolicamente la verità di questa situazione: una pseudo-ambientalista in cappotto di abete, sostenuta dal gruppo portatore dell’ideologia dei Lupi Grigi, dopo il suo discorso stile Corea del Nord, cerca di liberare una colomba, simbolo della pace, che è però già morta nelle sue mani gelide. E la getta in aria come un rifiuto.
Mentre l’Europa è impegnata a comprare il gas dagli esponenti neoottomani, bloccando economicamente l’aggressore del conflitto ucraino, ai confini dell’Europa si sta consumando una storia di lotta tra i rappresentanti di una giovane democrazia e i Lupi Grigi, gli stessi che organizzarono nel 1981 l’attentato a Papa Giovanni Paolo II.
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http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-18 16:46:252022-12-19 16:47:33NAGORNO KARABAKH. LA COLOMBA DELLA PACE STRANGOLATA NELLE MANI DEGLI AZERI (Notizie Geopolitiche 18.12.22)
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