La via russa alla ricostruzione del Nagorno-Karabakh: dopo l’accordo di pace già recuperati 250 edifici (Farodiroma 02.01.21)

Sono già più di 250 gli edifici ricostruiti dalle squadre di tecnici inviate dalla Russia nel Nagorno-Karabakh, la regione contesa tra Armenia ed Azerbaigian dove, nel settembre scorso, erano scoppiati nuovi scontri tra le contrapposte forze in campo. La cooperazione russa, inserita nell’accordo sul cessate il fuoco sottoscritto in novembre sotto l’egida del Cremlino, si è inserita in un piano d’interventi coordinato dal ministero della Costruzione urbana e dal ministero degli Interni dell’area in sinergia con il ministero delle Emergenze di Mosca. Il report dell’attività finora svolta, anche di monitoraggio sugli immobili danneggiati, indica in 2.600 le strutture, pubbliche e private, che necessitano di interventi urgenti di ripristino; delle 250 finora recuperate all’uso, 245 sono case private mentre le rimanenti si diversificano in infrastrutture e spazi per l’assistenza alle fasce di popolazione maggiormente in difficoltà. Attualmente i lavori si stanno concentrando su circa altri 200 immobili, due dei quali governativi.

Il conflitto nella tormentata area del Nagorno-Karabakh era riesploso lo scorso 27 settembre ma le tensioni risalgono al 1988 quando il territorio, popolato in prevalenza da gruppi di etnia armena, annunciò la propria separazione dalla Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaigian. Dopo un’escalation protrattasi per alcune settimane, con grande preoccupazione della comunità internazionale, il 9 novembre il presidente russo Vladimir Putin, quello azerbaigiano Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan hanno firmato una dichiarazione congiunta su un cessate il fuoco completo in Nagorno-Karabakh a partire dal giorno successivo. L’intesa ha stabilito che l’Azerbaigian e l’Armenia mantengano le rispettive posizioni e che a forze di pace russe siano affidati compiti di controllo nella regione allo scopo di far rispettare l’accordo.

Alessandro Borelli

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Scampati ai droni del terrore nel Nagorno-Karabakh (Il Manifesto 02.01.21)

«Quando sono iniziati bombardamenti – racconta Aleqsandr Aleqsanyan, un anziano di 67 anni di Martakert che ha perso una gamba nella guerra del ’92 – non ci aspettavamo di dover abbandonare tutto, negli ultimi trent’anni ci sono stati molti episodi simili, lasciavamo la città per qualche giorno e poi tornavamo».

INVECE QUESTA VOLTA è stato diverso. «Il 27 settembre, alle sette di mattina, abbiamo scoperto che la guerra era iniziata, ci siamo attrezzati per nasconderci in cantina insieme ad alcuni vicini, i bambini erano terrorizzati, c’era molta confusione. L’indomani abbiamo ricevuto l’ordine di evacuare, i droni erano troppo vicini ormai». A metà giornata l’intera regione di Hadrut, a sud dell’Artaskh, vicino al confine con l’Iran, era un campo di battaglia.

Le truppe azere con il supporto turco hanno lanciato un’offensiva massiccia preceduta da intensi bombardamenti effettuati dai droni di ultima generazione. A differenza dei loro predecessori questi apparecchi volano ad altitudini maggiori, non li vedi arrivare. «Quando senti il sibilo – racconta Arsen Vardanyan, un soldato armeno impegnato sul fronte nord – vuol dire che hai cinque secondi per spostarti».

«SIAMO SCAPPATI con quello che avevamo addosso, non siamo riusciti a prendere niente – continua Aleqsandr -, in macchina con me c’erano altre dodici persone, compresi i miei tre nipoti e i figli dei miei vicini. Abbiamo percorso la strada insieme ad altre tre auto, più piccole, con otto persone ognuna». Sono donne, bambini e anziani nel centro per rifugiati di Metsamor, dove ho incontrato Aleqsandr non c’è un solo uomo di età compresa tra i 18 e i 60 anni.

A inizio dicembre l’Armenia ha dichiarato 2425 perdite, l’Azerbaijan 2783, ma i dati sembrano sottostimati in quanto la Croce Rossa non ha avuto il permesso di accedere alla linea del fronte e le ong locali, come Future Is Now parlano di numeri molto più alti.

Inoltre, c’è la questione ancora aperta dei «dispersi», che ufficialmente non rientrano nel novero delle vittime, ma dopo due mesi di silenzio le famiglie hanno ben poca speranze.

«MIO MARITO È STATO INVIATO nella regione di Talish – spiega Marine, la figlia di Aleqsandr -, dal 27 a oggi non ho avuto più sue notizie, l’ultima telefonata che mi ha fatto si è interrotta bruscamente e poi non sono riuscita più a parlarci; anche mio fratello è stato richiamato, così come molti altri; quando siamo scappati da Martakert non c’erano praticamente più uomini in tutto il mio quartiere». Marine ha tre figli che mentre parla guardano un video da un cellulare insieme ad altri bambini assorti. Nella stanza dove sono seduti vivono in tredici, tutti profughi della stessa città accomunati da quella fuga notturna.

MARINE SERVE UN TÈ, l’ospitalità è un valore sacro da queste parti, nonostante le angustie e i trent’anni di battaglie iniziate con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Da quando nel 1991 il Nagorno-Karabakh si è dichiarato indipendente dall’Azerbaijan, recuperando l’antico nome armeno di Artsakh, per questa gente non c’è stata più pace: due anni di guerra tra ’92 e ’94 e decine di incidenti più o meno prolungati fino allo scorso settembre, quando le truppe azere con l’ausilio turco hanno deciso di rientrare in possesso dei territori persi nella prima guerra.

Aleqsandr beve e poi racconta quasi sottovoce, forse per non farsi sentire dai bambini, la notte del 28 settembre: «Era buio pesto e c’era molta nebbia, siccome avevano chiuso la via normale siamo stati costretti a passare per le montagne, le curve non finivano più. Nella macchina c’era a malapena lo spazio per cambiare le marce, ma per fortuna siamo riusciti ad arrivare a Vardenis (in territorio armeno, ndr)».

Angela, che guidava una delle altre macchine, inizia a piangere al ricordo del rumore dei droni che li sorvolavano costantemente e colpivano i ponti.

Dopo aver constatato la situazione nel centro per rifugiati, Aleqsandr ha provato di nascosto a ritornare in Artsakh, ma la polizia lo ha bloccato al confine, nei pressi di Lachin. Mentre cercava di convincere gli agenti a farlo proseguire ha visto un pullman oltrepassare il check-point, percorrere duecento metri ed esplodere sotto i colpi di un drone andando in mille pezzi. «Potevamo essere noi… è stato un miracolo» conclude con la voce spezzata.

L’ARMENIA DI OGGI è piena di storie come questa. C’è chi racconta dei campi di melograno (il frutto nazionale) lasciati a marcire, chi della casa appena costruita, chi delle chiese e dei monasteri bombardati, ognuno dà una forma diversa alla propria perdita ma tutti, a un certo punto, finiscono per parlare di «quei poveri ragazzi». Spesso, entrando in una casa, capita di vedere dei fiori intorno alla foto incorniciata sopra la bandiera nazionale. E non serve mai chiedere, sono i parenti stessi a raccontare dove e quando. Il perché sembra essere evidente, come a dire che la vita nel Nagorno-Karabakh non è mai stata scontata, tantomeno la pace.

 

Un ragazzo con la foto del padre disperso in battaglia (foto di Sabato Angieri)

 

Tuttavia, per un Paese di due milioni e mezzo di abitanti come l’Armenia perdere tremila o più giovani vuol dire quasi rinunciare a una generazione e non è facile stimare quali saranno le conseguenze psicologiche, oltre che sociali ed economiche, di una tale tragedia.

«CI SONO FAMIGLIE che hanno perso tutto nella guerra del ’92 e oggi, dopo solo trent’anni, si ritrovano nella stessa situazione» mi spiega Sofik Avetisyan, psicologa 62enne di Erevan che dall’inizio della guerra ha iniziato a girare senza sosta villaggi e cittadine della sua regione, prestando assistenza nei centri per rifugiati. «Già una volta in una vita – prosegue – dovrebbe essere troppo, ora chi è in grado di spiegare a questa gente che bisogna ricominciare?».

Se si considera che a inizio novembre tutti i residenti dell’Artsakh erano potenzialmente dei profughi, arriviamo a più di 100 mila persone rimaste senza niente. Mane Tandilyan, ministro delle Politiche sociali dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, parla di circa 40 mila individui, provenienti principalmente dalle regioni di Hadrut, di Martakert e di Shushi: «I numeri sono in costante aggiornamento perché non è ancora chiaro chi ha fatto ritorno nelle zone rimaste sotto il nostro controllo e chi no». Per dare un’idea della situazione, delle sette provincie dell’Artsakh che si erano dichiarate indipendenti dall’Azerbaijan nel 1991, oggi solo Stepanakert (che ne era anche la capitale) e pochi territori limitrofi rimangono sotto il controllo del governo filo-armeno

 

LA GUERRA È RIUSCITA in due mesi a far crollare trent’anni di progetti e anche i più decisi a tornare nel Nagorno-Karabakh non riescono a nascondere l’incertezza sulle sorti di questa regione. Qualcuno, senza troppa convinzione, invoca ancora una sorta di arbitrato internazionale, ma gli scontri lungo la nuova frontiera di queste ultime settimane hanno dimostrato che probabilmente non è ancora stata detta l’ultima parola.

Intanto decine di migliaia di profughi aspettano di capire in che modo sopravvivere e il mondo sta a guardare l’ennesima tragedia del nuovo millennio senza prendere parte.

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Il Comune dà una mano all’Armenia (La Nazione 02.01.21)

Solidarietà internazionale, il Comune aiuta i giovani in Armenia. Il progetto seguito dall’assessore alla cooperazione, Diye Ndiaye, punta a creare un laboratorio linguistico per i giovani di un villaggio armeno in mondo che possano apprendere la lingua inglese e nozioni di informativa. I temi dell’iniziativa di solidarietà sono stati presentati l’altro giorno nel corso del convegno online “Armenia: conflitto secolare tra i popoli caucasici. Storia, origini e prospettive” al quale erano presenti i sindaci dei comuni metropolitani coinvolti nell’iniziativa. Il progetto è dei Comuni di Scandicci e Lastra a Signa e dalla Città Metropolitana di Firenze, e in Armenia ha come partner istituzionali il Comune di Choratan, la Ong ‘Mekhitarian Centre of Armenia’.

Nagorno-Karabakh: morti 3.300 armeni durante i recenti scontri armati (Agenzianova 02.01.21)

Erevan, 02 gen 18:36 – (Agenzia Nova) – Sono 3.300 le persone morte dal lato armeno durante gli scontri armati nel Nagorno-Karabakh avvenuti fra il 27 settembre e il 9 novembre scorsi. Lo ha scritto la portavoce del ministero della Salute di Erevan, Alina Nikoghosyan, in un post su Facebook.

“Al primo gennaio sono state effettuate le analisi forensi di 3.330 corpi. Per identificare i corpi dall’inizio della guerra, sono stati prelevati 1.441 campioni dai resti delle vittime e 871 di questi sono ancora in fase di ricerca”, ha scritto Nikoghosyan.

Secondo la portavoce, 436 corpi sono già stati identificati, di cui 66 negli ultimi dieci giorni. “Gli specialisti del Centro scientifico di medicina legale continuano a indagare e identificare i corpi delle vittime”, ha detto Nikoghosyan. (Rum)

Armenia – Dal disastro alla rinascita, la nuova economia di Yerevan (Assadakah 01.01.21)

Il governo armeno punta a fare del ministero della Difesa una delle forze propulsive dell’economia, e nei prossimi anni l’esercito diventerà uno dei maggiori clienti dell’economia, secondo il ministro dell’Economia Vahan Kerobyan. “Il 2020 è stato un anno di declino, ma il 2021 deve diventare un anno di crescita”, ha detto Kerobyan, sul piano d’azione del governo per rilanciare l’economia.

“Ci sono valutazioni diverse, la più ottimistica forse è la mia. Cercheremo di avere anche una crescita a doppia cifra, per compensare e addirittura superare i risultati del 2019. Il 2020 è stato un anno disastroso: il coronavirus, la guerra, ma questa è anche una buona occasione per un nuovo inizio, per ripensare i rami dell’economia, il nostro stile di vita, per concentrarci su istruzione, scienza e così via. Una delle questioni importanti su cui lo Stato dovrebbe concentrarsi è l’estensione delle catene del valore attraverso l’approfondimento della cooperazione. Ad esempio, ci sono buoni gioiellieri e buoni produttori di diamanti in Armenia. Ma i produttori di diamanti vendono i loro diamanti all’estero, mentre i gioiellieri a loro volta acquistano diamanti all’estero. Sembra che la cooperazione dovrebbe essere più stretta a livello nazionale e il valore aggiunto risultante che rimane in Armenia sarebbe maggiore, ma questa cooperazione non esiste, ognuno lavora da solo. Come ministero, il nostro compito deve essere quello di riunire queste persone. Questa è una delle direzioni, ma non la più importante. La cosa più importante è iniettare il sangue nelle vene dell’economia. E questo si chiama capitale. In Armenia la capitale continua ad essere molto inaccessibile. Abbiamo banche che concedono prestiti e questo è un sistema finanziario consolidato, ma questo è solo uno dei livelli di finanziamento dell’economia. Non abbiamo né strumenti di finanziamento angelico, né strumenti per fondi privati ​​o di rischio, né mercato delle obbligazioni societarie, né un mercato dei capitali stabilito. Queste sono tutte le infrastrutture fondamentali che dovrebbero alimentare l’economia di capitale. La nostra priorità principale dovrebbe essere quella di rendere i mezzi finanziari accessibili all’economia e in generale agli uomini d’affari ea chiunque sia disposto a condurre affari “, ha affermato Kerobyan.

Il ministro armeno dell’Economia Vahan Kerobyan

Il ministro ha detto che stanno progettando di cambiare in modo significativo il ruolo del governo nella politica di investimento per migliorare il clima degli investimenti. “Lo stato ha molte risorse: proprietà, denaro, regolamenti legislativi e dobbiamo usare tutto questo per incoraggiare l’ambiente degli investimenti. Ad esempio, non abbiamo una buona legislazione sui serbatoi e i serbatoi non vengono costruiti. C’è una grande concorrenza ora in termini di centrali solari. Ora, se diamo buone opportunità alle persone, buoni affari sui serbatoi, allora possiamo creare un nuovo settore di investimento. E coloro che vogliono fare un investimento una tantum e ricevere un profitto garantito di 20 anni entreranno immediatamente in questa attività. Creeremo nuove opportunità. “

Parlando della svalutazione del dram armeno, Kerobyan ha respinto le preoccupazioni e ha notato che la svalutazione sta effettivamente aumentando le esportazioni. “In quanto paese ed economia orientati all’esportazione, dovremmo certamente mantenere la nostra valuta in linea con quelle dei nostri principali partner commerciali. E oggi il dram armeno è molto più stabile delle valute dei nostri principali partner – paesi EEU, Georgia, Iran e molti altri, dove quest’anno hanno subito una svalutazione della valuta legata al COVID-19 del 30-40%. Da questo punto di vista crediamo che al contrario questa svalutazione sia molto inferiore a quella di cui l’economia armena ha bisogno”.

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Nagorno Karabakh. Cosa c’è alla base della vittoria dell’Azerbaigian (Notizie geopolitiche 01.01.21)

La violenza è esplosa in Karabakh il 27 settembre 2020 dopo un anno teso tra Armenia e Azerbaigian. Dopo i 44 giorni di combattimenti, con la conquista da parte degli azeri della città strategicamente importante di Shusha nel Karabakh in Azerbaigian, l’Armenia ha deciso di deporre le armi. Il conflitto ha causato la morte di 2.425 armeni e 2.783 azeri. Dopo che i combattimenti si sono conclusi con un cessate-il-fuoco mediato dalla Russia, le forze di pace russe sono state dispiegate nella regione per monitorare la tregua. L’accordo di pace, firmato il 9 novembre, ha garantito il trasferimento di tutti i sette distretti occupati dall’Armenia adiacenti al Karabakh all’Azerbaigian, la divisione del Karabakh in due parti controllate rispettivamente da Armenia e Azerbaijan, il diritto al ritorno degli sfollati interni e dei rifugiati negli anni ’90 alla regione di appartenenza, l’apertura di un corridoio dall’Azerbaigian alla sua repubblica autonoma di Nakhchivan, e al confine con la Turchia, il collegamento del Karabakh all’Armenia attraverso il corridoio Lachin. L’accordo non ha risolto la questione centrale dello status finale del Karabakh, che sarà deciso successivamente attraverso i negoziati tra Armenia e Azerbaigian.

Un fattore importante che ha contribuito alla vittoria dell’Azerbaigian sull’Armenia nella guerra lunga 44 giorni è stato l’intervento dela Russia. Tentando di espandere la sua influenza dopo che Vladimir Putin è salito al potere nel 2000, la Russia non ha voluto spingere l’Azerbaigian, un paese geostrategicamente importante ed esportatore di energia, tra le braccia dell’occidente. Per quanto riguarda l’Azerbaigian, anche se non ha aderito all’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO), guidato dalla Russia, e all’Eurasian Economic Union (EAEU), non ha trasformato la Russia in un nemico come nel caso della Georgia o dell’Ucraina. A differenza della Georgia, l’Azerbaigian non ha mai espresso a voce alta il suo desiderio di aderire alla NATO. Quindi, anche se l’Armenia era un alleato ufficiale della Russia, non c’era motivo per Mosca di punire Baku.

Consapevole del ruolo che la Russia potrebbe svolgere nella risoluzione del congelato conflitto del Karabakh, l’Azerbaigian ha collaborato con Mosca a scapito delle sue relazioni con l’occidente, fattore che ha determinato il plauso della Russia per l’Azerbaigian. Un evento spartiacque nella crescente cooperazione dell’Azerbaigian con la Russia è stata la guerra russo-georgiana dell’agosto 2008, la quale ha dimostrato che la Russia è l’attore dominante nella regione e che l’occidente non era disposto a contrastare la Russia. Ciò ha portato l’Azerbaigian ad aumentare la cooperazione economica con la regione di confine del Caucaso settentrionale nella Federazione Russa e ha portato all’espansione del soft power russo, compreso un aumento dell’istruzione fornita in lingua russa, la proliferazione di mezzi di comunicazione pro-Russia e iniziative politicamente impegnate in Azerbaigian.

L’Azerbaigian ha utilizzato massicciamente i proventi degli idrocarburi per l’espansione delle sue armi e delle sue attrezzature militari, creando una grande disparità tra le forze armate armene e azere nel corso degli anni. Il budget militare azero ha iniziato a crescere drasticamente nel 2006 quando l’oleodotto Baku-Tbilisi, il Ceyhan (BTC). è diventato operativo. Nel 2010 la sola spesa per la difesa dell’Azerbaigian ha superato l’intero bilancio dello Stato armeno. Dopo la fine del primo conflitto del Karabakh, la spesa militare dell’Azerbaigian ammontava a 70 milioni di dollari nel 1995. Nel corso degli anni c’è stato un drammatico balzo della sua spesa militare salendo ai 1,7 miliardi di dollari del 2018. La spesa militare dell’Armenia è stata invece di 50 milioni di dollari nel 1995, mentre ammontava a 610 milioni di dollari nel 2018. Cioè la spesa militare dell’Azerbaigian era tre volte superiore a quella dell’Armenia. Come risultato di questo ampio squilibrio nella spesa militare, se l’Armenia ha acquisito solo armi russe a prezzi sovvenzionati o armi di seconda mano, l’Azerbaigian ha acquistato armi ad alta tecnologia non solo dalla Russia ma anche da altri fornitori come Israele e Turchia. Apparentemente anche l’uso intensivo di droni senza pilota da parte dell’esercito azero ha giocato un ruolo decisivo nella sua vittoria.

Il cambiamento di posizione dell’Armenia è stato un altro fattore determinante nel destino della guerra del Karabakh. Il rapporto asimmetrico dell’Armenia con la sua alleata Russia si è deteriorato a spese di Erevan in quanto è la capitale è diventata fortemente dipendente dalla Russia in termini di economia, sicurezza e approvvigionamento energetico. I suoi confini chiusi, un settore manifatturiero debole, la sua incapacità di attrarre investimenti diretti esteri e il suo convogliamento di risorse economiche limitate alla spesa militare hanno frenato la crescita economica dell’Armenia, che così si è ritrovata un arsenale militare non alla pari con quello dell’Azerbaigian.
Il passaggio di mano alla guida dello stato armeno dopo la rivoluzione nel 2018 è stato un altro sviluppo che ha cambiato gli equilibri di potere a scapito dell’Armenia. Considerando il nuovo leader armeno Pashinyan, che ha rovesciato la vecchia guardia vicina al Cremlino, come “l’uomo di Soros”, la Russia ha voluto sostituirlo con un politico più leale. Inoltre, rendendosi conto che l’equilibrio nel conflitto si è spostato a favore dell’Azerbaigian in 26 anni, la Russia si aspettava che l’Armenia fosse più flessibile nei negoziati di pace prima dello scoppio del conflitto nel settembre 2020. Poiché l’Armenia non ha accettato una posizione più morbida, la Russia non ha voluto assumersi il costo geopolitico dell’intransigenza dell’Armenia.

L’avvicinamento turco-russo è stato un altro fattore che ha inclinato gli equilibri di potere nella regione a favore dell’Azerbaigian. Le relazioni tese con l’occidente hanno spinto Mosca e Ankara a stringere una stretta collaborazione tra loro. Dopo aver gareggiato con la Russia nella prima metà degli anni ’90 in Eurasia, la Turchia ha deciso di collaborare con essa dopo la seconda metà degli anni ’90, sviluppando un rapporto multidimensionale, basti pensare che il volume degli scambi bilaterali ha raggiunto i 26,3 miliardi di dollari nel 2019. Sebbene vi siano alcune differenze sulle questioni geostrategiche come in Siria, Libia e nel Mediterraneo orientale, entrambi beneficiano di questa partnership che comprende commercio, energia, investimenti, politiche relative ai gasdotti, turismo, fornitura di armi e questioni regionali. Quando è scoppiato il conflitto a settembre, la Turchia era un partner della Russia più che un rivale. Questo è il motivo per cui la Russia è rimasta in silenzio davanti al forte sostegno della Turchia all’Azerbaigian nel conflitto, a differenza della prima guerra del Karabakh all’inizio degli anni ’90.

Inoltre il sostegno incondizionato della Turchia all’Azerbaigian, soprattutto il suo sostegno militare compresa la fornitura di droni, è stato determinante nel conflitto. Hanno concluso un accordo di partenariato strategico e assistenza reciproca nel 2010 che prevedeva un aiuto reciproco in caso di attacco da parte di terzi. Il crescente sostegno della Turchia all’Azerbaigian deriva soprattutto non solo dalla sua crescente integrazione con l’Azerbaigian, in particolare nel campo dell’energia compreso il lancio del Trans Anatolian Pipeline (TANAP) nel 2019, la spedizione di più gas azero in Turchia e il massiccio investimento del gigante energetico statale azero SOCAR in Turchia, ma anche dalla sua crescente assertività nel suo vicinato: il suo sostegno infatti a Baku nel conflitto è allo stesso tempo un corollario della sua politica estera impiegata in Siria, Libia e nel Mediterraneo orientale. Grazie a una crescita costante della sua economia dopo il 2000, come risultato delle politiche economiche che la trasformano in uno “stato commerciale” e un concomitante aumento delle sue capacità militari, la Turchia si è trasformata in un attore importante nella regione.

Per quanto riguarda il ruolo occidentale nel conflitto, sebbene gli armeni si associno alla civiltà occidentale, l’Armenia non ha molta importanza strategica per l’occidente. È la più piccola repubblica post-sovietica, non ha risorse energetiche né ha rotte di transito energetico. Dato il regime autoritario che dominava nel paese nel periodo successivo alla Guerra Fredda, l’occidente ha perso il suo interesse per l’Armenia. Nel complesso l’Ue è stata tradizionalmente relativamente distaccata dal conflitto del Karabakh, principalmente a causa del ruolo dominante della Russia.
La Francia è rimasta imparziale nel conflitto, giustificando questo atteggiamento con il suo ruolo di copresidente nel Gruppo OSCE di Minsk. Un altro motivo per l’atteggiamento neutrale della Francia nella questione è che il Caucaso meridionale non è un’area di influenza tradizionale per la Francia, a differenza dell’Africa.

Allo stesso modo gli Stati Uniti sono rimasti lontani dal conflitto, ad eccezione di alcune dichiarazioni del segretario di Stato Mike Pompeo che chiedevano una risoluzione pacifica del conflitto. La mancanza di interesse degli Stati Uniti nel conflitto deriva in gran parte dal parziale disimpegno degli Stati Uniti dalla politica internazionale come risultato dell’approccio “America First” dell’amministrazione Donald Trump. La preoccupazione di Washington per le elezioni presidenziali e la lotta contro la pandemia di COVID-19 hanno anche distolto l’attenzione di Washington dalla regione.
Come l’Ue e gli Stati Uniti, un altro attore che ha svolto un ruolo marginale nel conflitto è l’Iran. L’Iran è diviso da un lato tra gli interessi geopolitici nel Caucaso meridionale e le realtà sociali all’interno del Paese, e da un lato si sforza di controbilanciare il dominio dell’alleanza Azerbaigian-Turchia nella regione, sostenendo l’asse Armenia-Russia. Lo stretto rapporto dell’Azerbaigian con Israele disturba l’Iran. D’altra parte ospita circa diciassette milioni di cittadini di etnia azera, che hanno chiesto allo stato iraniano di sostenere l’Azerbaigian contro l’Armenia nel conflitto. Di conseguenza l’Iran è rimasto in gran parte imparziale nel conflitto, oltre a proporre un piano di pace non certo efficace.

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Mkhitaryan tuttofare: protagonista e uomo dell’anno (Ilromanista 31.12.20)

Se gli spalti dell’Olimpico fossero popolati, i tifosi dovrebbero rispolverare l’apposito coro sulle note di Englishman in New York di Sting coniato dai tifosi del Manchester United qualche anno fa per celebrare Henrikh Mkhitaryan. Il 2020 dell’armeno è stato da incorniciare e, soprattutto, caratterizzato da un crescendo rossiniano. Dopo un avvio nella Capitale condizionato dagli infortuni, a febbraio l’ex Arsenal ha ingranato la marcia, salvo poi doversi fermare – come tutto il calcio – causa pandemia: gol e assist il 1° marzo contro il Cagliari, guarda caso l’ultima squadra affrontata quest’anno; alla ripresa, Micki ha inanellato tre gol e un assist, che però non sono bastati alla Roma per raggiungere la qualificazione in Champions. Il processo di ambientamento però procedeva bene, accompagnato dal passaggio in giallorosso a titolo definitivo e a costo zero. L’attuale stagione si è aperta con diversi assist, ma senza reti all’attivo fino al 5 novembre: Henrikh si sblocca contro il Cluj, e tre giorni dopo firma la sua prima tripletta in maglia giallorossa a Marassi contro il Genoa. Da lì in poi, Mkhitaryan non si ferma più: due gol al Parma, uno al Bologna e uno al Torino e altri due assist in campionato, oltre alla costante pericolosità in fase offensiva e al prezioso aiuto dato ai compagni nei ripiegamenti difensivi.

Micki dribbla, corre, insegue, accelera, serve passaggi al bacio che vanno solo appoggiati in porta, pressa e dialoga coi compagni (sia in senso figurato, sia in senso letterale). Non è un caso, del resto, che Paulo Fonseca lo abbia praticamente sempre schierato, risparmiandolo solo nella gara (ormai ininfluente) di Europa League in casa del Cska Sofia. Diciannove presenze stagionali su venti, con un totale di 1.432 minuti che fa del numero 77 il più utilizzato dal tecnico portoghese. In campionato ha sempre giocato tutti i 90 minuti, eccezion fatta per la trasferta di Udine, quando è stato sostituito da Carles Perez. Troppo prezioso il suo contributo per privarsene: del resto, le statistiche di rendimento dell’attuale Serie A lo vedono sempre nelle prime posizioni. E sarà pur vero che i numeri non dicono tutto, ma aiutano di certo a farsi un’idea dell’incidenza dell’armeno all’interno della Roma.

Gol, assist e non solo

Otto reti, proprio come Jordan Veretout: Mkhitaryan e il francese hanno anche la stessa suddivisione dei gol (sette in campionato e uno in Europa League). Sono loro i capocannonieri giallorossi in questa prima parte di stagione. Ma l’armeno brilla anche per assist in Serie A: ne ha serviti sei ed è leader della speciale classifica insieme a Mertens e Calhanoglu. Terzo gradino del podio con Berardi per quanto riguarda i tiri effettuati (38); hanno fatto meglio solo Ronaldo e Belotti. Con Spinazzola condivide il primato di passaggi chiave in Serie A (10) ed è sedicesimo nella graduatoria dei chilometri percorsi in media a partita: sono 11,064. Insomma, è un uomo per tutte le stagioni, Micki, che però in questa stagione è tornato a dimostrare il suo inestimabile valore calcistico.

L’impegno per l’Armenia

Al di fuori del campo, Mkhitaryan si segnala anche per il grande impegno sociale e civile, rappresentando una vera e propria leggenda per tutta l’Armenia: la sua battaglia per i diritti dei suoi connazionali lo ha portato a scrivere ai massimi vertici mondiali, affinché la questione relativa al suo Paese non passi inosservata. E proprio ieri, tramite una storia Instagram, ha ringraziato per il messaggio di solidarietà il giocatore di basket Enes Kanter, che milita nei Portland Trail Blazers. «Accolgo con piacere – scrive Micki – la tua determinazione per la pace e la giustizia. Credo anche che noi atleti abbiamo il potere di dare vita a un cambiamento con le nostre voci. Ti auguro un buon anno e tanti successi nell’imminente stagione con il tuo club. Spero di poter assistere a una tua partita un giorno». Esempio non solo in campo, ma anche al di fuori: identikit di un vero leader, quale Mkhitaryan è.

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San Pietro Vernotico contro i crimini ai danni del popolo armeno. La soddisfazione del Consigliere Martina (Corrieresalentino.it 31.12.20)

PUGLIA – Esprime soddisfazione il consigliere comunale di San Pietro Vernotico Raffaele Martina per l’approvazione di un provvedimento da lui stesso avanzato. “Il Consiglio Comunale di ieri – dice il Consigliere – ha approvato all’unanimità la mozione che avevo presentato per il riconoscimento da parte del nostro Comune della Repubblica di Artsakh. Credo che con l’atto appena approvato San Pietro Vernotico sia il primo Comune in Puglia ad esprimere solidarietà attraverso un provvedimento dal valore secondo me così importante, che è già stato adottato da amministrazioni di vario colore politico su iniziativa di esponenti che vanno dal Partito Radicale alla Lega. Ci aggiungiamo alla Regione Lombardia e ad altri consigli comunali in Italia come Milano, Palermo ed altri.

Sono immensamente grato al Sindaco e a tutti i consiglieri di maggioranza e opposizione che oltre ad approvare hanno rimarcato la solidarietà nei confronti del popolo armeno presente da secoli nel Nagorno Karabakh e a tutti i popoli oppressi del mondo.

Ci impegniamo a condannare i crimini di guerra perpetrati nei confronti della popolazione civile, la prevaricazione dell’esercito azero e l’uso di armi anche non convenzionali dagli esiti devastanti sulle persone come il fosforo bianco, la presenza di militanti jihadisti e la complicità della Turchia di Erdogan. La sproporzione enorme tra le forze militari in campo tra armeni e turco-azeri (quello turco è il secondo più grande esercito della NATO) non potrà mai legittimare alcuna violazione dei diritti umani né il diritto all’autodeterminazione dei popoli.

Ho inteso raccogliere il grido di dolore di centinaia di madri, orfani e fratelli che in ogni parte del mondo piangono per la loro terra lontana e i loro parenti caduti o torturati e quello della Comunità armena in Italia. Per questa causa continuano a spendersi ogni giorno importanti esponenti del mondo dello sport come il lottatore Giorgio Petrosyan, il calciatore Henrikh Mkhitaryan e dello spettacolo come il leader dei System of a Down, Serj Tankian giusto per citarne alcuni e non da ultimo l’appello sottoscritto da parte di importante accademici italiani affinché si salvaguardi il millenario patrimonio dell’umanità costituito dalle chiese cristiane armene. C’è il pericolo che nonostante gli accordi di pace recentemente sottoscritti si dia seguito al tentativo di un vero e proprio ‘genocidio culturale’ cancellando le tracce della presenza armena e cristiana nell’area.

Gli armeni – conclude Martina – sono il primo popolo nella storia ad aver abbracciato il cristianesimo ed il popolo a cui spetta il primato tristissimo per aver subito il primo genocidio del secolo scorso. Ci impegniamo a promuovere anche nelle nostre scuole questa memoria”.

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Speciale energia: Russia-Armenia, accordo su estensione forniture gas ma solo per primo trimestre 2021 (Agenzianova 31.12.20)

Mosca, 31 dic 2020 14:00 – (Agenzia Nova) – Gazprom Export e Gazprom Armenia hanno annunciato oggi, 31 dicembre, l’estensione del contratto per la fornitura di gas al Paese caucasico solo per il primo trimestre del 2021. Le due aziende, quindi, proseguiranno le trattative sulle forniture per il resto del prossimo anno, stando a quanto si legge in una nota. “Gazprom Export Gazprom Armenia il 30 dicembre hanno esteso il contratto per la fornitura di gas all’Armenia per il primo trimestre del 2021″, si legge nel comunicato. “Le consultazioni sulle forniture di gas nel prossimo periodo continueranno”, aggiunge la nota di Gazprom Export. Gazprom è l’unico fornitore di gas ai consumatori in Armenia. Dal primo gennaio 2019, il prezzo del gas russo per l’Armenia è cresciuto da 150 a 165 dollari per mille metri cubi. (Rum)

Instagram, Mkhitaryan per l’Armenia: “Noi atleti possiamo cambiare le cose con la nostra voce” (Laroma24.it 30.12.20)

Henrikh Mkhitaryan torna a dire la sua sulla difficile situazione armena. Il trequartista della Roma ha voluto commentare il messaggio del cestista apolide dei Portland Trail Blazers – originariamente turco – Enes Kanter, che nei giorni scorsi aveva scritto un semplice “vi amo tutti” in armeno, per manifestare la propria solidarietà alla popolazione coinvolta nel conflitto che sta colpendo l’Artsakh. Queste le parole di Mkhitaryan:

Grazie caro Enes. Apprezzo davvero il tuo messaggio di solidarietà per il popolo armeno. Ammiro il tuo senso di giustizia e di pace. Credo anche che noi atleti abbiamo il potere di portare il cambiamento con la nostra voce. Ti auguro buon anno e tanto successo per la stagione con il tuo club. Spero di poter assistere ad una delle tue partite in NBA un giorno“.

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