Hayastane è il nuovo singolo di Serj Tankian dei System Of A Down, scritto dal premier armeno Nikol Pashinyan (video e traduzione) (Optimagazine 28.04.20)

Nel nuovo singolo di Serj Tankian c’è tutta l’epica di un frontman che ha sempre fatto della passione politica e sociale la sua fonte di ispirazione in tutta la carriera dei System Of A Down. Non una semplice band metal, non una realtà da capelli sudati e ondeggianti durante i festival: i SOAD sono sempre i portavoce di un popolo che ancora soffre il dramma del genocidio avvenuto tra il 1915 e il 1916 per mano dell’impero ottomano.

Serj Tankian ha dato voce, a questo giro, a un testo scritto dal Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan in occasione della commemorazione di quel tragico capitolo della storia degli armeni. Il risultato è Hayastane, una ballata acustica piena di sentimento e sofferenza ma anche gravida di speranza, elementi che la voce vigorosa di Serj Tankian sottolinea in ogni battuta e ogni nota.

“Durante questi tempi difficili di pandemia e lockdown volevamo dare al popolo dell’Armenia un dono di speranza che essi stessi potessero condividere con il mondo. L’obiettivo era quello di scrivere una canzone che rappresentasse una celebrazione vittoriosa dello spirito armeno, che riguardasse il passato, il presente e il futuro della nostra nazione”.

Non una semplice canzone celebrativa: i proventi delle vendite del nuovo singolo di Serj Tankian saranno destinati all’associazione My Step Foundation che da sempre opera nel territorio con iniziative per la sanità pubblica, il sociale, la cultura, l’educazione e anche con opere che interessano la pandemia del Coronavirus.

In questo particolare periodo storico, inoltre, la My Step Foundation sta provvedendo alla fornitura di dispositivi di sicurezza (mascherine, guanti, divise) e al recupero di computer, tablet e altri device per tutti gli studenti che dovranno svolgere le proprie attività didattiche a distanza.

Per questo nuovo brano Serj Tankian ha accettato di cantare su un testo scritto da Nikol Pashinyan insieme al musicista Kamo Seyranyan. Serj Tankian, infatti, è nato in Libano da genitori armeni ma nonostante il suo trasferimento a Los Angeles guarda sempre alle sue origini con tutto il rispetto e l’amore che ognuno dovrebbe avere per le proprie radici.

Con i suoi System Of A Down ha più volte cantato brani sentimentalmente orientati al popolo armeno come accade in P.L.U.C.K., traccia che chiude il disco d’esordio System Of A Down (1998) e in Holy Mountains dall’ultimo disco in studio registrato dalla band, Hypnotize (2005).

Proprio per creare una linea diretta con il suo popolo d’origine, nel nuovo singolo di Serj Tankian il cantautore fraseggia in lingua armena e nel video ufficiale, diretto da Armen Soudjian, vediamo immagini di Tankian intento a cantare e suonare alternate con paesaggi mozzafiato e autoctoni immortalati nella vita quotidiana, oltre ad immagini di repertorio.

Nel frattempo ci si chiede ancora se i System Of A Down torneranno in studio. Mentre il bassista Shavo Odadjian riferiva che la band aveva sufficiente materiale per parlare di un nuovo disco, Serj Tankian negava tale possibilità e liquidava il discorso con un lapidario: “Ci abbiamo provato”.

Di seguito il testo, la traduzione e il video ufficiale di Hayastane, il nuovo singolo di Serj Tankian.

Hayastane – Testo in inglese tradotto dall’armeno

“Armenia is a country where the roads get lost
Friends gather together around a khorovats fire
Armenia is a country where the Autumn is serene and warm
And pure wines shine in grapes
Armenia is a land of fruits, a garden of apricots
A cellar full of dry lavash, a ringing thump of an anvil

Aragats, Grigor, Ararat and Sevan
Anahit, Naira, Zaruhi and Shushan
Hayasa, Urartu, Shubria, Armenia
Aratta, Nairi, Greater Hayq and Kilikia

Armenia is yarkhushta, kochari, horovel
Zurna-dhol, tar and duduk, seas lost in the past
Armenia is an identity, a glowing paternal home
Which you long for when you’re defeated or when you’re a victorious hero
Armenia is a people, a noisy family
A sister’s marriage, a brother’s tear, an unquenchable maternal longing

Armenia is Tumanyan, Tamanyan, Komitas
Aram Manukyan, Saryan, Hambardzumyan, Minas
Armenia is Tigran the Great, Saint Mashtots and Narek
King Pap, Dzenov Ohan, Khorenatsi, David Bek

Aragats, Grigor, Ararat and Sevan
Anahit, Naira, Zaruhi and Shushan
Hayasa, Urartu, Shubria, Armenia
Aratta, Nairi, Greater Hayq and Kilikia

Armenia is Noravank, Gandzasar, Akhtamar
Fidayi martyrs that fell for the sake of the Country
Armenia is Yerevan, Artashat, Dvin, Ani
Armenia is a history that has no beginning, no end”.

Traduzione

“L’Armenia è un Paese dove le strade si disperdono,
gli amici si riuniscono attorno a un fuoco khorovats.
L’Armenia è un Paese in cui l’autunno è sereno e mite
e le viti splendono di vino puro.
L’Armenia è una terra di frutti, un giardino di albicocche,
una cantina piena di lavash secco, un tonfo sordo di un’incudine.

Aragats, Grigor, Ararat e Sevan
Anahit, Naira, Zaruhi e Shushan
Hayasa, Urartu, Shubria, Armenia
Aratta, Nairi, Grande Hayq e Kilikia.

L’Armenia è yarkhushta, kochari, horovel,
Zurna-dhol, tar e duduk, mari che si perdono nel passato.
L’Armenia è un’identità, una casa paterna luminosa
che brami quando sei sconfitto o quando sei un eroe vittorioso.
L’Armenia è un popolo, una famiglia rumorosa,
il matrimonio di una sorella,
la lacrima di un fratello, un desiderio materno inestinguibile.

L’Armenia è Tumanyan, Tamanyan, Komitas,
Aram Manukyan, Saryan, Hambardzumyan, Minas.
L’Armenia è Tigran il Grande, i santi Mashtots e Narek
Re Pap, Dzenov Ohan, Khorenatsi, David Bek.

Aragats, Grigor, Ararat e Sevan
Anahit, Naira, Zaruhi e Shushan
Hayasa, Urartu, Shubria, Armenia
Aratta, Nairi, Grande Hayq e Kilikia.

L’Armenia è Noravank, Gandzasar, Akhtamar,
i martiri Fidayi che caddero per il bene del paese.
L’Armenia è Yerevan, Artashat, Dvin, Ani.
L’Armenia è una storia che non ha inizio né fine”.

Di seguito il video ufficiale di Hayastane, il nuovo singolo di Serj Tankian.


 

Serj Tankian pubblica una nuova canzone per l’Armenia: Hayastane

Serj Tankian non smette di impegnarsi per il suo paese

Serj Tankian dei System of a Down si rifà vivo, in questo periodo difficile, con una canzone dedicata e ispirata all’Armenia, paese nel quale, come è noto, l’artista ha le sue radici. Il nuovo singolo, che potete ascoltare qui sotto, si intitola Hayastane. Le liriche della canzone sono scritte da Nikol Pashinyan, l’attuale primo ministro dell’Armenia, e per un buon motivo. Il cento per cento dei profitti ricavati dalla vendita del singolo andranno infatti alla My Step Foundation. Trattasi di una organizzazione benefica molto attiva, in Armenia, in vari ambiti.
Serj Tankian – Hayastane, 2020

Ossia: nell’implemento e sviluppo della salute pubblica, dell’educazione, del welfare e della cura dell’ambiente. Naturalmente, la fondazione si impegna attualmente anche nella lotta contro il Coronavirus. “Durante questi difficili tempi di pandemia e lockdown, volevamo dare alla gente dell’Armenia un regalo di speranza da poter condividere con il mondo. L’obiettivo era scrivere una canzone che che rappresentasse una vittoriosa celebrazione dello spirito armeno, coprendo passato, presente e futuro della nostra nazione”, ha detto Serj Tankian sulla canzone.

Vai al sito

Armenia: autorità pronte ad allentamento misure restrittive (Agenzianova 28.04.20)

Erevan, 28 apr 12:54 – (Agenzia Nova) – Le autorità armene si stanno preparando a riaprire l’economia del paese e ad allentare le restrizioni relative al coronavirus nei prossimi 10 giorni. Lo ha dichiarato il primo ministro, Nikol Pashinyan. “Se non accade nulla di straordinario, nei prossimi 10 giorni inizieremo a ridurre al minimo le restrizioni. Ora stiamo pensando di riaprire tutti i settori dell’economia entro i prossimi 10 giorni”, ha dichiarato Pashinyan sulla propria pagina Facebook. Il primo ministro armeno ha aggiunto che il ministero della Sanità istituirà misure specifiche di sicurezza per tutti i settori economici. Pashinyan ha anche invitato i cittadini a contribuire al mantenimento dei bilanci del settore energetico del paese, pagando per le utenze. L’Armenia ha dichiarato lo stato di emergenza il 16 marzo, con validità fino al 14 maggio. Le autorità hanno vietato tutte le attività commerciali non essenziali e limitato il movimento dei cittadini a partire dal 25 marzo. Secondo le autorità sanitarie di Erevan, nel paese finora sono confermati 1.867 casi, con 30 decessi. (Res)

Gli Emirati Arabi Uniti inviano aiuti medici in Armenia nella lotta contro COVID-19 (Wam.ae 27.04.20)

ABU DHABI, 27 aprile 2020 (WAM) – Gli Emirati Arabi Uniti hanno inviato oggi un aereo di soccorso contenente sette tonnellate di forniture mediche in Armenia per sostenere gli sforzi del paese per frenare la diffusione di COVID-19.

L’aiuto aiuterà circa 7000 professionisti medici che lavorano per contenere il virus.

Commentando la consegna degli aiuti, Mohammed Issa Al Qattam Al Zaabi, ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti in Armenia, ha dichiarato: “Gli Emirati Arabi Uniti sono onorati di adempiere ai propri impegni a favore di altre nazioni nelle loro rispettive lotte contro COVID-19”.

“La leadership e il popolo degli Emirati Arabi Uniti sono solidali con tutti coloro che lavorano insieme per porre fine a questa crisi, riconoscendo che la comunità internazionale può sconfiggere COVID-19 solo se unificata in azione e intenzione”, ha osservato Al Zaabi.

Ad oggi, gli Emirati Arabi Uniti hanno inviato oltre 314 tonnellate di aiuti a oltre 27 paesi, supportando quasi 314.000 professionisti medici nel processo.

Tradotto da: Hussein Abuel Ela.

Vai al sito

Festa della Liberazione: Brancaleone ha celebrato il 25 Aprile (e omaggiato il martirio armeno – Strettoweb 27.04.20)

Si susseguono le iniziative promosse dall’Amministrazione Comune di Brancaleone guidata dalla Dott.ssa Isabella Giusto. Tra le iniziative quella di ieri 25 Aprile per le celebrazioni del 75° Anniversario della Liberazione d’Italia. La chiesa di Brancaleone Superiore è stata illuminata con i colori della bandiera Italiana. L’illuminazione artistica della chiesa di Brancaleone Superiore (oggi Centro Documentazioni e sala conferenze) è stato osservato da tutta la popolazione. Il monumento, infatti, è osservabile da vari punti della città. L’iniziativa è stata organizzata dalla Pro Loco di Brancaleone e Patrocinata dall’Amministrazione Comunale. Si è avvalsa del supporto della Polizia Municipale che ha coadiuvato l’evento. E’ stato un momento di grande coinvolgimento e commozione per la popolazione che da oltre due mesi si trova a seguire con grande rigore i regolamenti decise dal governo centrale dall’emergenza coronavirus. Un 25 aprile di luci verdi bianche e rosse che illuminano il monumento storico di Brancaleone Superiore – ha dichiarato la Commissaria del Comune di Brancaleone Isabella Giusto – Quest’anno, accogliendo la proposta della Proloco, il Comune ha previsto affinché potesse essere partecipata da tutti i cittadini di Brancaleone vicini e lontani. Una piccola cerimonia che nella sua semplicità e modestia ha mostrato una grande potenza trasmettendo a tutti grande emozione. Viva l’Italia, viva la Repubblica, viva la Costituzione! In centinaia i cittadini che dalle proprie finestre e dai propri balconi hanno immortalato l’evento invadendo il web con numerosi scatti fotografici. Apprezzamenti che in queste ore si susseguono anche da parte dei residenti all’estero. Hanno seguito con grande emozione le dirette facebook attraverso i canali di informazione della Pro Loco e del Comune di Brancaleone. E’ stato un messaggio di speranza, che colloca Brancaleone tra i pochi paesi della costa ionica ad aver organizzato un evento simile. E lo ha fatto in uno dei luoghi simbolo della storia e dell’identità brancaleonese, da anni sotto le cure della Pro Loco che sta svolgendo un opera di promozione e valorizzazione del Parco Archeologico Urbano di Brancaleone Vetus. In campo, infatti, ci sono una serie di azioni che in questi ultimi anni hanno coinvolto l’Amministrazione Commissariale. L’ente comunale si sta adoperando a valorizzare questo sito storico di grande pregio storico, archeologico e di interesse turistico locale.

OMAGGIO AL MARTIRIO ARMENO:

In tarda serata è stato omaggiato anche il Martirio del Popolo Armeno con l’illuminazione della facciata della chiesa di Brancaleone Superiore dei colori della bandiera Armena. Un atto dovuto – spiegano gli organizzatori – questa ricorrenza slittato all’anno prossimo, di solito cade in questa data e vede la cittadina di Brancaleone al centro dell’attenzione mediatica come l’unica comunità in Calabria a celebrare ormai da anni questa ricorrenza in ricordo del genocidio del popolo armeno. Popolo legato a Brancaleone da fatti storici che comprovano la presenza Armena sin dall’ VIII sec d.C. nel territorio comunale e in tutta la vallata, oggi conosciuta con l’appellativo di “Valle degli Armeni”. In questi anni il cerimoniale dedicato al Popolo Armeno, riconosciuto anche dallo Stato Italiano, e quello che si svolge a Brancaleone. Ha suscitato grande interesse da parte dell’Ambasciata della Repubblica d’Armenia con sede a Roma, il mondo dell’associazionismo e le Comunità Armene d’Italia. A tal punto da essere stato citato in varie riviste sul tema, in diverse parti del mondo.

Vai al sito

Dal genocidio armeno alla nascita del jazz in Etiopia (Eastjournal 25.04.20)

Gli eventi tragici del genocidio del 1915 sono all’origine della moderna diaspora armena: anche se le stime variano, circa 8 milioni di armeni vivono oggi sparsi per il mondo, di cui solo tre milioni residenti in Armenia. Non è raro quindi trovare in molte città, a diverse latitudini, delle steli che riproducono o evocano una croce di pietra (khachk’ar)simbolo della cultura armena cristiana. Spesso, al di fuori dai territori storicamente popolati dagli armeni, queste steli rappresentano anche un monumento eretto dalla diaspora in memoria del genocidio.

Addis Abeba è una di queste città: una piccola comunità armena, composta da circa un centinaio di persone, risiede oggi nella capitale dell’Etiopia – paese che con l’Armenia condivide anche l’appartenenza al cristianesimo ortodosso orientale. Sebbene la sua presenza passi oggi praticamente inosservata, dalla fine degli anni venti del Novecento la comunità armena ha giocato un ruolo di primo piano nello sviluppo culturale e musicale dell’Etiopia.

Quaranta bambini e una banda di ottoni

La storia di come un gruppo di orfani del genocidio armeno abbia trasformato la cultura musicale dell’Etiopia è poco nota e ha dei tratti quasi leggendari. Tutto inizia nel 1924, quando il reggente e principe ereditario etiope, ras Tafari Maconnèn si reca in visita a Gerusalemme, per una missione diplomatica legata al recente ingresso dell’Etiopia nella Società delle Nazioni. Visitando il quartiere armeno, ras Tafari si imbatte in un’orchestra di strada composta da quaranta giovani ragazzi, dal cui talento rimane impressionato. Durante una conversazione con il Patriarca armeno di Gerusalemme, il principe scopre che i giovani sono orfani del genocidio del 1915. Toccato dalla loro storia, decide di adottarli e portarli con sé ad Addis Abeba.

In Etiopia, il gruppo diventa noto con il nome di Arba Lijoch (quaranta bambini, in lingua amarica). Il principe provvede a fornire agli Arba Lijoch una vera e propria educazione musicale, che li porterà pochi anni dopo a formare la Royal Imperial Brass Band, la prima banda di ottoni dell’Etiopia. Questa ha un successo straordinario anche grazie al talento del suo direttore, il maestro Kevork Nalbandian. Anch’egli orfano del genocidio armeno, rifugiatosi prima in Siria e poi in Egitto, Nalbandian era stato scelto personalmente dal ras Tafari Macconnèn per formare e dirigere gli Arba Lijoch, nonché per comporre un inno nazionale per l’Etiopia. Intitolato “Sii felice, Etiopia”, l’inno viene interpretato per la prima volta dalla Royal Imperial Brass Band il 2 novembre 1930, giorno in cui il ras viene nominato imperatore con il nome di Hailé Selassié I.

Un aneddoto, che sarebbe stato tramandato da uno degli Arba Lijoch, racconta che la banda era solita suonare gli inni nazionali in occasione delle visite di diplomatici stranieri. Un giorno, ai membri della banda sarebbe stato ordinato di imparare l’inno della Turchia per dare il benvenuto alla delegazione turca. I quaranta orfani rifiutarono di imparare “l’inno del paese che aveva ucciso i loro genitori”; di fronte ai diplomatici turchi, l’orchestra eseguì invece un brano tradizionale armeno.

I Nalbandian e la nascita dell’ethio-jazz

In un contesto tradizionalmente dominato dagli strumenti a corde (come il krar, una sorta di lira), l’uso degli ottoni da parte della Royal Imperial Brass Band segna una vera e propria rivoluzione nella musica etiopespianando la strada all’ethio-jazz, un genere che si svilupperà nei decenni successivi. Le innovazioni musicali introdotte da Kevork Nalbandian saranno portate avanti da suo nipote Nerses, trasferitosi dalla Siria all’Etiopia sulle orme dello zio.

Dopo la liberazione del paese dall’occupazione italiana alla fine degli anni ’40, Nerses Nalbandian sostituisce lo zio alla direzione delle principali istituzioni musicali del paese (l’orchestra della Guardia Imperiale, l’orchestra della Polizia, l’orchestra municipale di Addis Abeba), diventando anche direttore di due scuole di musica. Violinista, pianista, sassofonista e fisarmonicista, oltre ad essere direttore d’orchestra Nerses Nalbandian è anche compositore e arrangiatore. Il suo principale lascito è quello di aver integrato le basi della musica tradizionale etiope (come la scala pentatonica e i ritmi ternari) con dei princìpi musicali ispirati alla musica classica occidentale e al jazz – modernizzandola, pur senza stravolgerne i parametri.

Negli anni ’50, i padri fondatori dell’ethio-jazz, come Mahmoud Ahmed, Alemayehu Eshete o Mulatku Astatke, iniziano la propria carriera all’interno delle istituzioni musicali ufficiali dirette da Nalbandian, o ne sono fortemente influenzati. Come spiega Francis Falceto, etnomusicologo francese che ha fortemente contribuito alla diffusione internazionale dell’ethio-jazz (attraverso una serie di compilations intitolate Ethiopiques), all’epoca queste istituzioni ufficiali – legate ai corpi militari o delle forze dell’ordine – erano le uniche ad essere autorizzate. Progressivamente, queste iniziano però a discostarsi dalla musica tradizionale e ad aprire dei veri e propri “night club”, dando spazio a ritmi più jazz e ballabili. La cosiddetta belle époque dell’ethio-jazz sarà bruscamente interrotta dalla dittatura del Derg (la giunta militare di ispirazione comunista che governò l’Etiopia dal 1974 al 1987), a cui seguirà però una riscoperta del genere a partire dagli anni ’90.

Sulle tracce della comunità armena in Etiopia, oggi

La lunga storia di connessioni musicali e commerciali che legano Armenia ed Etiopia è stata raccontata in un recente articolo apparso su BBC News, che rivela però anche delle prospettive poco rosee per il presente e il futuro della comunità armena di Addis Abeba. Se tra gli anni ‘30 e ‘60 del Novecento la comunità contava oltre 1200 membri (2000 secondo altre stime), la maggior parte degli armeni lasciò l’Etiopia quando la giunta militare del Derg avviò un processo di nazionalizzazione delle proprietà.

Oggi, la diaspora armena di Addis Abeba è composta da un centinaio di persone, perlopiù di età avanzata, mentre sono molti i giovani che partono per completare gli studi all’estero, senza fare ritorno. Nonostante tutto, la comunità riesce a mantenere dei legami attraverso diversi centri sociali e religiosi, come la scuola Kevorkoff, la chiesa apostolica di san Giorgio (ancora in funzione) e un club armeno, che comprende un ristorante dove viene servito cibo tradizionale.

Dal 2012, Aramazt Kalayjian, designer e regista statunitense di origine armena, sta lavorando ad un film che ha l’obiettivo di documentare la storia della comunità armena di Addis Abeba, riportandone alla luce la memoria collettiva. Il titolo del film, Tezeta, viene dal nome di un tipo di ballata jazz tradizionale. Come spiega il regista, la parola tezeta, che in amarico significa “ricordo” o “memoria”, trasmette anche un senso di nostalgia non facilmente traducibile. A causa della mancanza di finanziamenti, il processo di produzione e post-produzione di Tezeta si è rivelato lungo e complesso; la sua uscita, inizialmente prevista per il 2014, si prospetta forse per l’autunno di quest’anno.

Tra le tante storie raccontate dal film c’è quella del cantante pop Vahe Tilbian, armeno di quarta generazione, che nel 2015 ha rappresentato l’Armenia all’Eurovisione con il gruppo Genealogy (formato in occasione del centenario del genocidio armeno). In un contesto in cui la comunità armena di Addis Abeba rischia di scomparire, Tilbian cerca di preservare e trasmettere attraverso la propria musica un senso di appartenenza a entrambe le culture, armena ed etiope, combinandone i ritmi, gli strumenti e le lingue.

Vai al sito

Turchia: Erdogan esprime condoglianze a comunità armena per massacri 1915 (Agenzianova 24.04.20)

Ankara, 24 apr 18:49 – (Agenzia Nova) – Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha inviato oggi una lettera al patriarca Sahak Mashalyan e ai membri della comunità armena, ha espresso le sue condoglianze ai discendenti degli armeni che morirono durante i massacri compiuto dall’Impero ottomano che presero il via 24 aprile 1915. “Ricordo rispettosamente gli armeni ottomani che morirono in condizioni difficili durante la prima guerra mondiale, che portò grandi sofferenze ai popoli del mondo, ed esprimo le mie sincere condoglianze ai loro nipoti. Confido nella misericordia di Allah verso tutti i cittadini dell’Impero ottomano che morirono in quel periodo difficile”, ha sottolineato Erdogan, secondo quanto riporta il quotidiano “Daily Sabah”. Secondo Erdogan, l’obiettivo comune di armeni e turchi è “costruire un futuro basato sull’amicizia, radicata nel passato e negli alti ideali umani”. “Conosciamo quei circoli che ignorano la nostra unità e provano a fomentare l’ostilità su base storica. Vogliamo creare un futuro pieno di unità e tranquillità e il nostro desiderio principale non è quello di offrire opportunità a coloro che perseguono altri obiettivi”, ha aggiunto. La posizione della Turchia sugli eventi del 1915 è che la morte degli armeni nell’Anatolia orientale ebbe luogo quando alcuni si schierarono dalla parte dell’invasione dei russi e si ribellarono alle forze ottomane. Gli arresti di massa di eminenti politici, intellettuali e altri membri armeni ottomani sospettati di legami con gruppi separatisti, che nutrivano sentimenti nazionalisti e ostili al dominio ottomano che avvennero nell’allora capitale Istanbul il 24 aprile 1915, è commemorato come l’inizio dei massacri. La Turchia si oppone alla presentazione dei massacri degli armeni come “genocidio”, ma descrive gli eventi del 1915 come una tragedia in cui entrambe le parti hanno subito vittime. (Res)

Il silenzio del Covid-19 nei 105 anni dal genocidio armeno (Asianews 25.04.20)

Erevan (AsiaNews) – Il mausoleo del genocidio armeno situato su una collina nei pressi della capitale Erevan, non è mai stato cosi vuoto come ieri, 24 aprile, anniversario del genocidio (foto 3).

Ogni anno, il mausoleo – eretto in occasione del 50mo anniversario – è invaso da milioni di armeni in lutto. Ieri è apparso totalmente vuoto a causa dell’emergenza Covid-19. Per la prima volta in assoluto, tutte le strade che conducono al memoriale sono state chiuse fino alle 10 di stamane, lasciando aperta la possibilità di un pellegrinaggio virtuale.

A partire dalle ore 8 di ieri mattina, chiunque desiderava partecipare anche con un segno, poteva inviare un sms, anche dall’estero. I nomi delle persone che hanno inviato l’sms venivano proiettati sulle 12 colonne del mausoleo che rappresentano le 12 province dell’Armenia occidentale.

Per tutti gli armeni questa regione è stata occupata dai turchi che nel 1915 hanno perpetrato l’orribile crimine contro l’umanità.  In seguito si sono impossessati dei beni, dei monasteri, hanno distrutto manoscritti secolari preziosi, occupato il 90 per cento della patria del popolo armeno.

Il Genocidio non ha causato solo l’annientamento della maggior parte degli armeni nell’Armenia occidentale, ma ha privato loro della patria, della spiritualità e fede, condannando all’oblio tesori irrecuperabili non solo materiali, ma anche musiche, lingua, cultura e perfino la lingua di alcuni dialetti ormai perduti per sempre.

Alle ore 9 di sera del 23 aprile, vigilia della commemorazione, le campane di tutte le chiese in Armenia e Nagorno Karabakh, hanno suonato all’unisono per 3 minuti, seguiti dallo spegnimento di tutte le luci nelle strade e piazze di Erevan e di tutte le province del Paese. Nello stesso istante, tutta la popolazione, ognuno alla finestra della propria casa, ha acceso candele, luci degli smartphone, unendosi tutti al minuto di silenzio collettivo in tutto il Paese (foto 1).

Intanto, in diretta televisiva e sui social media dal mausoleo hanno trasmesso melodie tristi diffuse in pieno silenzio. Via web sono state trasmesse le messe di suffragio per le vittime, nelle chiese vuote.

Il primo ad arrivare e deporre una corona di fiori, pregando dinanzi alla fiamma perenne in memoria del milione e mezzo di vittime, è stato il Katholicos di tutti gli armeni, Karekine II (foto 2).

Lo ha seguito il premier Nikol Pashinian, accompagnato soltanto dalla moglie.  In un discorso trasmesso in diretta dal mausoleo, il premier ha ricordato “la politica di armenofobia condotta dagli ottomani” nel 1915.  “Il popolo armeno – ha aggiunto – non ha soltanto patito la perdita di un enorme numero di vite umane, ma anche la deportazione forzata e il genocidio culturale… Questo crimine non è soltanto nei confronti della nostra identità etnica, ma è un crimine contro la civiltà umana”.

“Siamo grati – ha detto Pashinian – ai Paesi e popoli che lo hanno riconosciuto. Ma perché’ i nostri sentimenti non si placano, anzi sono più vividi dopo 105 anni? Semplicemente perché le conseguenze del genocidio non sono state ancora eliminate. La Turchia fino ad oggi non ha chiesto perdono per quanto fatto “.

Il genocidio armeno, l’unico genocidio contro cristiani, ed il primo del secolo scorso – definito “il secolo dei genocidi” da Giovanni Paolo II – continua ad essere negato dall’odierna Turchia. Una legge turca sanziona penalmente chiunque afferma che esso sia mai avvenuto. In una dichiarazione di due giorni fa, il Partito democratico del popolo – all’opposizione in Turchia – ha criticato il governo di Ankara per non avere, affrontato le proprie responsabilità’ dopo oltre un secolo, e ha proposto di nominare piazze e strade in Turchia in onore delle vittime armene del genocidio.

Vai al sito

L’Armenia in preda al coronavirus ricorda il genocidio del suo popolo (Euronews 24.04.20)

Il genocidio degli armeni da parte degli ottamani fra il 1915 e il 1923 è stato commemorato secondo un protocollo imposto dalla pandemia a Yerevan. Presenti il premier Nikol Pashinyan e consorte in una cerimonia riservatissima presso il momoriale del genocidio, nella capitale armena.

Una ferita antica non sanata

“Il riconoscimento sincero della verità e del passato sono requisiti essenziali per sostenere la giustizia, la dignità umana, combattere l’impunità e stringere la solidarietà internazionale – ha dichiarato il ministro degli esteri armeno Zohrab Mnatsakanyan,- Ancor oggi ci inchiniamo davanti alla memoria dei santi e dei martiri del genocidio armeno riaffermando il nostro impegno per la promozione della giustizia storica e la prevenzione di nuovi genocidi”.

Gli armeni sostengono che fino a 1,5 milioni di persone furono uccise durante la prima guerra mondiale mentre l’Impero ottomano stava crollando, una richiesta sostenuta da molti altri paesi. Il presidente Sarkisian ha affermato che “il riconoscimento del genocidio armeno da parte della Turchia e l’eliminazione delle sue conseguenze è una questione di sicurezza per l’Armenia.

Alle prese col coronavirus

Giovedì l’Armenia ha spento i lampioni stradali mentre i cittadini hanno acceso candele…poi si sono sentiti i rintocchi delle campane… la capitale è rimasta silenziosa nella penombra.

Il mese scorso, l’Armenia – che conta 1.401 casi di coronavirus con 22 morti – ha dichiarato lo stato di emergenza oltre ad aver imposto il confinamento nazionale per rallentare la diffusione dell’infezione.

Vai al sito

Il Canto spezzato dei poeti (Pangea 24.04.20)

“E STANOTTE DI NUOVO NELLE CHIESE INNUMEREVOLI CADAVERI INNOCENTI”. IN MEMORIA DEL GENOCIDIO ARMENO: IL CANTO SPEZZATO DEI POETI

Chi crede che il poeta sia nulla sbaglia di diversi gradi e svariate latitudini. Proprio quel ‘nulla’ garantisce al poeta di essere tutto: addirittura, il canto di un luogo, di una alberatura, di una civiltà. Così, in ogni lato della Storia, si assiste alla triste replica della medesima passione: il potere, per giustificare se stesso, assassina il poeta – per un poeta che muore, ce ne saranno altri, fasulli burattini, riflessi demoniaci, che lo negano, leccando i piedi al potente. Se è vero, come ha scritto Roman Jakobson, che quella sovietica fu “una generazione che ha dissipato i suoi poeti”, che a Berlino i libri venivano passati al rogo e a Roma gli scrittori erano spediti in esilio, ciò che accadde in Turchia 105 anni fa origina l’irragionevole. I Giovani Turchi, con cristallina spietatezza, cercarono di estirpare una nazione, la sua identità, i suoi cantori. Per fortuna, la grande letteratura armena, pur ammazzata, è sopravvissuta, con dote di incanti e ombre. Nel 2017 le Edizioni Ares hanno raccolto come “Benedici questa croce di spighe…” una “Antologia di scrittori armeni vittime del Genocidio”, per la cura della Congregazione Armena Mechitarista e un invito alla lettura di Antonia Arslan. Da quella antologia, in memoria, ritagliamo parte dell’introduzione della Arslan e alcuni testi esemplari.

***

Come una folgore improvvisa che taglia in due un paesaggio, come un terremoto inaspettato che apre voragini e scuote ogni cosa costruita dall’uomo, così siamo abituati a immaginare l’inizio del genocidio degli armeni, quella notte del 24 aprile 1915, quando – su decisione del governo dei Giovani Turchi – furono arrestati uno dopo l’altro nella capitale Costantinopoli i principali esponenti della comunità armena nell’impero ottomano. Fra loro anche molti scrittori, giornalisti e poeti, perché la parola poetica in Oriente è importante: è amata, cantata, ripetuta, riconosciuta come la voce profonda del popolo. Una retata ben organizzata e letale. Nessuno spiegò loro niente. Furono contati accuratamente, fu verificata la loro identità, e dopo qualche ora furono fatti salire su un treno e avviati verso l’esilio. Questo gli venne detto, e così li tennero quieti; ma il programma reale era di dividerli, mandandoli verso diverse destinazioni: e poi di ucciderli un poco alla volta, preferibilmente con imboscate sulle strade poco sicure dell’interno dell’Anatolia – come in effetti avvenne. Pochissimi i sopravvissuti; ma erano uomini di penna, e scrissero, e raccontarono, anche in nome dei loro compagni che non avrebbero più potuto parlare. Così è avvenuto che le ombre degli scrittori assassinati sono riemerse un poco alla volta: sono diventati personaggi reali, protagonisti del racconto infinito di quella tragedia incombente che venne realizzata giorno dopo giorno, con l’astuzia di tenere i prigionieri all’oscuro del loro destino, fino all’ultimo momento dicendo e non dicendo, alternando minacce e apparente bonomia e rispetto, ingannandoli con raffinata doppiezza.

Daniel Varujan, il grande poeta che apre la raccolta, fu barbaramente ucciso insieme ad alcuni compagni di sventura il 26 agosto 1915. Nel momento dell’arresto, non aveva nessun sospetto del destino che l’aspettava; ma aveva dovuto affrontare la deportazione senza preavviso verso una destinazione sconosciuta, prima caricato su un treno, poi su carri per strade impraticabili, per arrivare infine nella minuscola cittadina rurale di Chankiri. Là credette di essere relativamente al sicuro: in esilio, ma vivo, e con la possibilità di ricevere lettere e sostegno da parenti e amici rimasti nella capitale. Ma era solo la quiete minacciosa prima della tempesta. Come in un infernale gioco di scacchi le vite degli esiliati vennero prese un po’ alla volta, capricciosamente, secondo gli ordini che venivano da Costantinopoli, dall’onnipotente ufficio del ministro degli Interni Talaat, presso il quale i loro supplichevoli e disperati telegrammi si accumulavano suscitando – è lecito crederlo – una perversa soddisfazione. Ma Varujan, raccontano le testimonianze dei pochi superstiti, si distingueva perché continuava a lavorare, a scrivere incessantemente…

Fra i primi uccisi, oltre a Varujan, furono i poeti Siamantò e Rupen Sevag. Erano quasi coetanei: Siamantò, dalla vena lirica fiammeggiante e nostalgica, imbevuto di un romantico amor di patria; Sevag, laureato in medicina, oltre a molte poesie autore di una serie di toccanti racconti, aveva sposato una ragazza tedesca che tentò in tutti i modi di convincerlo a restare a Losanna. Eppure anche lui ritornò in patria, come Varujan, come il mechitarista padre Garabed der Sahaghian e tanti altri giovani intellettuali, attirati dalla speranza che la situazione sarebbe cambiata, fiduciosi nella nuova democrazia turca. La particolare importanza della deportazione e dell’annientamento dell’élite armena della capitale risiede proprio nel fatto che essi furono conseguenza di un abilissimo inganno, di cui oggi sono state rivelate le circostanze e i segreti accordi che lo precedettero. Ma loro erano giovani, idealisti, ingenui e forse un po’ troppo sicuri di sé e della forza luminosa del progresso… Eppure a me sembra quasi più importante ascoltarli, leggere le loro parole, i loro pensieri, che conoscere le loro storie, che infine purtroppo si somigliano tutte. Sono storie di illusioni e di tradimenti subiti, di un amore fervido e altruistico per la propria cultura e per il proprio popolo, ma anche della pietà per gli oppressi e della generosa sensibilità verso la liberazione dei miseri.

Antonia Arslan

***

Notte sull’aia

Dolce notte estiva. La testa abbandonata sull’aratro
l’anima sacra del contadino riposa sull’aia.
Nuota il grande Silenzio tra le stelle divenute un mare.
L’infinito con diecimila occhi ammiccanti mi chiama.

Cantano di lontano i grilli. Nelle acque del lago
questa notte si celebrano le nozze segrete delle naiadi.
La brezza agitando il salice sulla sponda del ruscello
risveglia dei canti su accordi sconosciuti.

Nel profumo del serpillo, disteso in cima a un covone
io lascio che ogni raggio tocchi il mio cuore,
e m’inebrio del vino della grande botte dell’Infinito
dove un passo sconosciuto schiaccia le stelle cadenti.

È squisito per il mio spirito tuffarsi nell’onda luminosa di azzurro,
naufragare – se è necessario – nei fuochi celesti;
conoscere nuove stelle, l’antica patria perduta,
da dove la mia anima caduta piange ancora la nostalgia del cielo.

È dolce per me sollevarmi sulle ali del silenzio,
ascoltare soltanto il respiro imperturbabile dello Spazio,
finché i miei occhi si chiudano in un sonno magico,
e sotto le mie palpebre rimanga l’Infinito con le sue stelle.

Così, così si addormenta tutta la gente del villaggio;
il pastore sul suo carro, sotto la trapunta che stilla luce,
la sposa in cima a un covone, scoperto dallo zefiro il seno
dove la Via Lattea svuota il suo latte brocca dopo brocca.

E così, avendo dormito un giorno sotto lo sfavillìo del cielo,
i miei genitori contadini mi concepirono con tenerezza,
mi concepirono fissando lassù i loro occhi buoni
sulla più grande Stella, sulla Fiamma più splendente.

Daniel Varujan

Da Il canto del pane (trad. Antonia Arslan e Chiara Haiganush Megighian)

*

Sogno di tortura

Sera di primavera e di massacri,
la mia anima è ancora uno zampillo di vendetta
proteso furiosamente verso l’alto,
e le foglie, simili ad anime disperate,
cadono sopra l’acqua chiara delle vasche e su noi tutti,
e dagli abissi voci di appestati,
e verso gli abissi in affannosa ricerca di aiuto
grida di morenti, vite già morenti.
E stanotte di nuovo nelle chiese
innumerevoli cadaveri innocenti,
sopra il mio tetto una scrosciante pioggia di ferro,
sotto il mio cranio una bufera d’incendi,
e sopra l’acque che scorrono appaiono martiri crocifissi…
E con la sera di pioggia e di supplizio
un incalzante terrore di massacro
di città in città…
nella mia anima uno spavento infernale di uragano…
una bara vuota sotto le mie misere dita,
e dall’alto di infiniti marmorei scaloni
– oh venite in soccorso! – corpi decapitati
marciano su di me…
Ma voi, anime fraterne della tortura e delle sere,
prima dell’irruzione della tempesta e dei barbari stasera
tenacemente e virilmente scegliete la vostra via…

Siamantò

Da Fiaccole di agonia e di speranza (trad. p. Mesrop Gianascian)

Centocinque anni fa, il genocidio armeno. Ma le celebrazioni sono in forma ridotta (AciStampa 24.04.20)

Oggi a mezzogiorno, le campane di tutte le chiese di Armenia suoneranno a memoria di tutte le vittime del genocidio armeno. Ma il 105esimo anniversario della tragedia che colpì il popolo armeno non avrà grandi manifestazioni pubbliche, per via dell’emergenza coronavirus: a Etchmiadzin, la Sede Madre della Chiesa Apostolica Armena, si terrà una Divina Liturgia a porte chiuse, e così sarà in tutte le chiese, in una comunione spirituale. Ma non sarà possibile andare a Tsitsernakebard, al Museo del genocidio, per riunirsi lì, sotto il “nido delle rondini” e fare memoria di quello che è successo.

La più antica nazione cristiana del mondo, quella in cui la storia non si misura in secoli, ma in millenni, si trova così in un momento della storia che sembra essere sospeso. Ma la storia scorre in Armenia sotto gli occhi di tutti, la memoria è un esercizio cruciale per un popolo che ha fatto del libro una sorta di culto, e che ritiene che la sua fede sia stata salvata da 36 soldati, che sono poi le lettere dell’alfabeto.

“La Santa Sede di Ethcmiadzin – si legge in una nota della Chiesa Apostolica Armena – invita i bambini della nostra gente a pregare nelle loro case in questo giorno sacro, nelle difficili condizioni della pandemia, e a pregare Dio per l’intercessione dei nostri santi martiri per la vita sana e sicura della nostra gente in tutto il mondo e per la pace e la prosperità della nostra patria”.

Le campane hanno suonato anche ieri sera alle 9, per tre minuti continui, mentre sono state spente le luci nella capitale Yerevan e in ogni regione per commemorare il genocidio. Lo sguardo di tutti sarà verso lo Tsitsernakaberd, mentre in tutte le strade si ascoltare la canzone “Vieni mio usignolo” (Ari im sokhak) di Patkanyan. Alle 10 del mattino di oggi, ora armena, il presidente, il primo ministro e il Catholicos Karekin II andranno al memoriale e il governo armeno deporrà una corona di 105 fiori di fronte al fuoco eterno del memoriale, a nome di tutti gli armeni.

Tra il XIX secolo e l’inizio del XX, milioni di armeni furono deportati, fino ai tragici fatti del 1915. È noti, grazie al lavoro di padre Henry-Georges Ruyssenl’impegno della Santa Sede per aiutare e salvare i rifugiati. Addirittura, Benedetto XV accolse dei rifugiati armeni nella residenza pontificia di Castel Gandolfo e aveva scritto tre volte al sultano di Turchia per chiedergli di fermare lo sterminio.

L’approccio diplomatico ebbe poco successo anche a causa della dissoluzione dell’impero Ottomano. Uno Stato armeno fu costituito, ma fu effimero e fu presto assorbito dell’Unione Sovietica, che mise a tacere la questione fino al 1991.

Ma c’era, in Vaticano, una personalità che teneva vivo il tema con la sua sola presenza. Era il cardinale Gregorio Pietro Agagianian. Il Cardinale fu considerato papabile nel conclave che elesse Giovanni XXIII, unico cardinale di rito orientale nella storia moderna ad arrivare vicino al Soglio.

Nato nel 1895 nell’Impero Russo, ordinato sacerdote a Roma nel 1917, nunzio apostolico nel 1935, il Cardinale Agagianian è stato dal 1937 al 1962 Catholicos di Cilicia e prefetto della Congregazione di Propaganda Fide dal 1958 al 1970. Fu creato cardinale nel 1946.

C’è un editto del Vicariato di Roma del 4 febbraio 2020 che ha ordinato di raccogliere e far pervenire tutti gli scritti del Cardinale per il processo di beatificazione alla Corte di Appello entro due mesi. Forse, presto la Chiesa Apostolica Armena potrebbe avere un beato.

Tra le iniziative per la giornata, ce n’è una della comunità armena degli Stati Uniti: una raccolta fondi per sostenere gli 1,5 milioni di americani bisognosi a causa dell’epidemia di coronavirus. L’iniziativa unisce le più grandi organizzazioni della comunità armena americana, che poi distribuirà il denaro a Feeding America, che fornisce cibo a bisognosi e poveri.

È un gesto di gratitudine per quello che la popolazione degli Stati Uniti fece nel 1915, quando furono in centinaia di migliaia a rispondere alla chiamata di sostegno per la popolazione armena lanciato dall’American Relief Committee. All’iniziativa si unì anche il Congresso degli Stati Uniti, stabilendo una giornata in cui tutti i comuni potessero inviare donazioni per supportare la popolazione armena.

Vai al sito