Il genocidio dimenticato, quello degli armeni (TGR 09.11.25)

Il primo genocidio del Novecento e uno dei più dimenticati: lo sterminio degli armeni dell’Anatolia avvenuto durante la Prima guerra Mondiale. A parlarne al pubblico del teatro Verdi di Trieste è uno dei più grandi conoscitori del tema, il professor Marcello Flores, che ha insegnato storia contemporanea alle università di Trieste e di Siena. Una strage decisa dalla dirigenza più nazionalista dei Giovani Turchi che fece più di un milione di morti

Flores: “Un genocidio che è stato dimenticato perché il termine genocidio ancora non esisteva – si parlava genericamente di massacri – ma soprattutto perché quello che è successo dopo, la nascita della repubblica turca, che non era direttamente corresponsabile del genocidio ma ha riscritto in qualche modo la storia mettendo in sordina questo avvenimento, e tutta una serie di altri episodi che volevano reintegrare la Turchia all’interno del mondo occidentale, avevano fatto sì che fosse meglio non parlarne”.

Un tema che suscita interesse, in un momento storico in cui il termine genocidio è al centro di dibattito e in una città come Trieste, dove quella degli armeni è una presenza storica che si ritrova, per esempio, in cognomi come Hermet o Ciamician. Tanti poi sono gli affezionati al ciclo di lezioni ideate dagli Editori Laterza e promosse dal Comune.

La lezione è la prima di un ciclo dedicato al Novecento. Molto vari i temi dei prossimi quattro appuntamenti: la disgregazione degli imperi coloniali, la conferenza di Yalta, un focus sul Sessantotto, nelle parole di Benedetta Tobagi, e la rivoluzione iraniana del 1979.

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I prossimi mesi saranno decisivi per il futuro dell’Armenia — Garo Paylan (Notizie da Est 09.11.25)

«La Georgia è ora sotto l’influenza russa. L’UE e gli Stati Uniti avranno bisogno di una via alternativa verso l’Asia centrale. Anche la Turchia ha bisogno di un backup per i corridoi attraverso la Georgia — un ‘Piano B’. Per questo Ankara sta promuovendo l’iniziativa ‘Rotta Trump’ e sta sbloccando le comunicazioni regionali», ha detto Garo Paylan, ex deputato turco e rappresentante della Carnegie Endowment.

Ha anche parlato della normalizzazione armeno-turca. Ankara sembra muoversi in quella direzione.

«Sono ottimista. Mi aspetto che la Turchia apra la frontiera armena-turca ai cittadini di paesi terzi nel gennaio 2026. Nei mesi successivi, la frontiera sarà aperta anche ai cittadini armeni e turchi», ha detto a una emittente televisiva armena.

  • «L’Armenia attende passi concreti dalla Turchia»: cosa è stato raggiunto e cosa resta possibile
  • «La Turchia sta cercando di limitare le opzioni di transito dell’Armenia», affermano gli analisti a Yerevan
  • «La rotta attraverso l’Armenia sarà un’alternativa, non quella principale»: opinione di un esperto

Secondo il rappresentante della Carnegie Endowment, Garo Paylan, «Trump vuole collaborare con Erdoğan». Ha detto che la loro cooperazione va oltre il Caucaso e la normalizzazione delle relazioni armeno-turche. Comprende anche l’impegno con altri paesi. Paylan ha indicato la Siria come esempio. Ha segnalato prossimi investimenti congiunti di aziende americane e turche nel processo di ricostruzione del paese. Ha anche evidenziato la disponibilità di entrambi i presidenti a rafforzare la cooperazione.

Paylan ha detto che i prossimi mesi saranno decisivi per il futuro dell’Armenia. Ha sottolineato la necessità di garantire progressi sui progetti in corso, in particolare la “Rotta Trump.” Si tratta di un corridoio di transito pianificato attraverso l’Armenia che collega l’Azerbaijan con l’enclave del Nakhchivan. I leader dell’Armenia e dell’Azerbaijan hanno concordato il progetto a Washington l’8 agosto, sotto la mediazione del presidente degli Stati Uniti.

«Trump è interessato. Il presidente degli Stati Uniti vede i benefici di questo progetto. Ma se non riusciremo a avanzare nei prossimi mesi, Trump potrebbe tirarsi indietro. Potrebbe dire: se gli armeni e i turchi non lo vogliono, lo dimenticherò», ha avvertito Paylan.

Ha sottolineato che l’Armenia non deve perdere la finestra di opportunità per normalizzare le relazioni armeno-turche.

Allo stesso tempo, Paylan ha sottolineato che questo processo è strettamente legato alle relazioni Armenia-Azerbaijan. Ha notato recenti dichiarazioni da Baku che sollevano dubbi sulla disponibilità dell’Azerbaijan per la pace.

Paylan ritiene che l’UE e gli Stati Uniti debbano coordinare i propri sforzi per mantenere il processo in movimento. «Penso che Trump, l’amministrazione statunitense e l’Unione Europea stiano già cercando di convincere Ilham Aliyev a non rallentare. Aliyev vuole che possa aprirsi solo la “Rotta Trump” mantenendo chiuse tutte le altre rotte. È semplicemente impossibile. L’Armenia deve anche ottenere un accesso diretto verso la Turchia e verso altri paesi.»

Pashinyan afferma che la normalizzazione dell’Armenia con la Turchia è vicina

Il primo ministro armeno afferma che non restano “ostacoli” all’instaurazione di legami diplomatici con la Turchia, affrontando anche le relazioni con l’Azerbaijan e le imminenti elezioni in Armenia

Un ex parlamentare turco ha anche espresso preoccupazione per un possibile dialogo tra Donald Trump e Vladimir Putin sulla guerra in Ucraina. Teme che Putin possa convincere Trump che «l’Ucraina e il Caucaso rientrano nella sua sfera di influenza». Putin potrebbe convincere il presidente degli Stati Uniti ad allontanarsi dalla regione in cambio di concessioni.

«Questi sono grandi poteri. Per loro l’Armenia, l’Azerbaijan e l’Ucraina sono solo carte nel loro gioco. Potrebbe scambiare una carta per guadagnarne un’altra», ha spiegato.

L’inviato speciale turco per la normalizzazione con l’Armenia visita Yerevan: nessuna svolta

Le aspettative pubbliche per la prima visita di un diplomatico turco in Armenia erano molto alte. Ma a giudicare dalle dichiarazioni ufficiali dopo l’incontro, non è stato raggiunto alcun progresso significativo nelle relazioni

 

 

Ritornando alla normalizzazione armeno-turca, Garo Paylan ha detto che sono necessarie azioni. Le frontiere devono aprirsi e il commercio deve iniziare.

Crede che i contatti tra le persone e il ripristino dei legami siano la chiave per curare le ferite del passato.

«C’è stata una catastrofe — il Genocidio armeno — che ci ha intrappolati per più di un secolo. Quando si apriranno le frontiere e inizierà il commercio e la comunicazione, sarà più facile parlare del passato. In queste condizioni, possiamo vivere solo avendo buone relazioni con i vicini. Vedo una luce in fondo al tunnel — possiamo riuscirci», ha detto.

Paylan ha citato le relazioni turco-greche come esempio. I problemi rimangono, ma la fiducia è cresciuta grazie a confini aperti, commercio e turismo. Milioni di turisti visitano entrambi i paesi ogni anno, a beneficio di entrambe le parti.

«L’Armenia è un paese chiuso con una piccola economia. Il suo esercito non può garantire l’integrità territoriale. Ma se diventiamo un paese ponte, la nostra economia crescerà», ha detto.

Stima che l’apertura della frontiera armeno-turca potrebbe attirare 10-15 milioni di turisti entro cinque anni e stimolare nuovi progetti infrastrutturali. L’Armenia potrebbe anche importare grano dalla Turchia ed esportare elettricità in cambio.

Paylan resta ottimista sul fatto che la frontiera si apra, verranno stabilite relazioni diplomatiche, e che il presidente turco potrebbe visitare Yerevan l’anno prossimo per il vertice della Comunità Politica Europea.

Ararat sarà rimosso dai timbri di frontiera dell’Armenia — inchinarsi davanti alla Turchia?

La decisione di rimuovere l’immagine della montagna — considerata in Armenia come simbolo nazionale, sebbene si trovi nell’attuale Turchia — ha provocato una tempesta di critiche non solo dall’opposizione ma da gran parte del pubblico

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Nell’Artsakh vite di confine tra Armenia e Azerbaijan: “Traditi da tutti” (La Stampa 09.11.25)

L’esodo del 2023 ha cancellato l’Artsakh dalle mappe. La nuova “Trump Route” promette stabilità, ma tra le montagne del Syunik, nell’Armenia meridionale, le comunità vivono sospese: case divise, terre perdute e un fragile equilibrio

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“Sia la pace tra gli uomini”: evento culturale al CICRES di Corato (Coratoviva 08.11.25)

Si intitola “Sia la pace tra gli uomini”, con sottotitolo “Il genocidio degli armeni: il primo di una serie” l’evento che sarà ospitato presso la sede sociale del Cicres, il prossimo sabato sera 8 novembre 2025. Non solo storia, ma anche letteratura, canti popolari e musiche dall’Armenia nell’incontro col prof. Kegham J. Boloyan (armeno siriano di Aleppo), professore di Lingua e Traduzione Araba, presso le Università di Bari e Lecce.

Il tema verrà trattato a partire dal celebre romanzo “La Nuora – Il genocidio armeno di Kessab in Siria“, Edizioni Radici Future, di K.G. Apelian, con traduzione di Daniela Musardo e prefazione di Franco Cardini, curato dal prof. Kegham Boloyan.

Ad arricchire l’intervento storico-letterario, i cui testi saranno letti da Angela M. Rutigliano, ci saranno le musiche e i canti armeni proposti dal gruppo Komitas, con Tiziana Portoghese, Francesco ed Adriano Palazzo.

I saluti del Cicres saranno portati dal presidente Mimma Pappagallo e l’introduzione sarà del prof. Gaetano Bucci. Con questa iniziativa di carattere storico-letterario, il Cicres intende offrire una testimonianza viva di cultura e di amicizia tra i popoli, come già più volte fatto nella sua pluridecennale storia associativa. Per questo il sodalizio ringrazia l’Ambasciata della Repubblica Armena di Roma e il Consolato Onorario Armeno di Bari per aver offerto col proprio logo il patrocinio morale all’evento.

Il tema dell’incontro focalizza una delle più grandi emergenze del nostro tempo, ovvero i crimini contro l’umanità e le “guerre genocidarie”, che tradiscono il sacro diritto dei popoli a vivere in armonia e nella Pace. Ciò a partire dal “genocidio armeno” del 1915-’16 che ancora cerca un riconoscimento condiviso nella sua valenza storica e nel suo monito universale. “Sia la Pace tra gli uomini” è oggi un imperativo universale, ancor prima che un augurio e una speranza.

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Lezioni di Storia a Trieste: Flores sul genocidio degli armeni (Il Piccolo 08.11.25)

a storia non si ripete mai, ma rileggere il passato ci permette di capire il mondo che gira oggi intorno a noi. Per trovare le radici del nostro presente le Lezioni di Storia, appuntamento che da ormai più di dieci anni riscuote sempre un grande successo di pubblico, propone quest’anno un ciclo tutto centrato sul Novecento.

Eventi, idee, processi e dinamiche che hanno plasmato la realtà attuale, a livello politico, sociale, economico e culturale saranno riletti a partire da domani, domenica 9 novembre, quando Marcello Flores dedicherà la sua lezione al massacro degli Armeni, compiuto dagli Ottomani negli anni della Prima guerra mondiale e che costò la vita a oltre un milione di persone.

Gli incontri del ciclo, ideato e progettato dagli Editori Laterza, promosso dal Comune di Trieste, sono organizzati con il contributo della Fondazione CRTrieste, Media partner “Il Piccolo” – Nord Est Multimedia e si terranno al Teatro Verdi alle 11.

Introdotti da giornalisti de “Il Piccolo” , sono a ingresso libero fino ad esaurimento posti. Le lezioni potranno essere seguite anche in diretta streaming sul canale YouTube del Comune di Trieste e sul sito de “Il Piccolo” .

Professor Flores, lei è stato il primo in Italia a dedicare, nel 2017, uno studio sul genocidio degli Armeni. Quali ne furono le origini?

«Il fenomeno inizia con l’affermarsi di un forte nazionalismo turco, che vede nell’Anatolia l’unica vera patria del popolo turco. Si diffonde l’idea che in Anatolia debbano vivere soltanto i turchi. Il problema è che, dopo la perdita dei territori europei, molti cittadini turchi provenienti da quelle aree vengono trasferiti nella parte orientale dell’Anatolia, una regione abitata da secoli – direi da millenni – dagli armeni. Questo porta a tensioni crescenti tra le due comunità».

Quindi il conflitto ha anche una dimensione etnica e religiosa?

«Esattamente. La conflittualità etnico-religiosa cresce a fine Ottocento, e già allora si registrano massacri e violenze. Nei circoli nazionalisti più radicali prende corpo l’idea di espellere gli armeni dall’Anatolia».

Quando questa idea si traduce in un’azione concreta?

«Con lo scoppio della Prima guerra mondiale. L’Impero Ottomano è alleato della Germania e teme che gli armeni possano allearsi con la Russia, dove vive una minoranza armena. I russi stanno avanzando, e si diffonde la paura di una possibile collaborazione tra armeni e russi. Mentre i britannici sbarcano ai Dardanelli, il governo ottomano prende una decisione tragica: attraverso due leggi ufficiali ordina la deportazione di tutti gli armeni e la confisca dei loro beni».

Quante furono le vittime?

«Un milione e duecentomila, una cifra enorme soprattutto considerando che la popolazione armena complessivamente era di due milioni e mezzo. Quelli che si salvarono si dispersero in altri Paesi, una parte verso l’Armenia russa, una delle repubbliche sovietiche. In Turchia rimasero in 50 mila. Molti bambini furono islamizzati a forza, presi da famiglie turche, e in gran parte si sono dimenticati le loro origini. Una trentina di anni fa, quando è esplosa a livello mondiale la discussione sul genocidio, sono venuti fuori molti casi di persone che hanno identificato nei propri nonni degli armeni che erano stati islamizzati a forza».

Cosa accade dopo la fine della guerra?

«Con la sconfitta dell’Impero Ottomano, gli inglesi favoriscono la formazione di un governo di tipo liberale. Questo governo tenta di processare i responsabili dei massacri, ma i principali colpevoli erano già fuggiti all’estero, protetti dai tedeschi. Vengono condannati in contumacia».

E come reagisce la comunità armena?

«Alcuni giovani armeni organizzano una vendetta. Nel 1921, uno di loro assassina a Berlino l’ex capo dell’Impero Ottomano, ma il tribunale della Repubblica di Weimar assolve l’attentatore, riconoscendone le motivazioni».

Che ruolo ha invece Mustafa Kemal Atatürk in tutto questo?

«Atatürk rappresenta un nazionalismo diverso: laico, moderno. Non è coinvolto nel genocidio; anzi, fa giustiziare alcuni dei responsabili. Tuttavia, allo stesso tempo, accoglie molti altri funzionari ottomani all’interno del suo nuovo regime. È proprio il regime di Atatürk a “mettere la sordina” su quegli eventi, rendendoli un tabù nella società turca per decenni».

Quando si è iniziato a parlare del genocidio?

«A partire dagli anni Sessanta e poi soprattutto dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Prima non se ne aveva conoscenza neanche in Italia dove c’era un certo numero di esuli armeni che erano venuti a rifugiarsi soprattutto a Venezia dove c’era una antica comunità, e che è uno dei centri armeni più importanti d’Europa».

Oggi in Turchia si riconosce quanto è successo?

«No, ma mentre prima si negava il massacro, ora si riconosce che c‘è stato, seppur riconducendolo all’ambito della guerra. Quello che si rifiuta in modo totale è di usare il termine genocidio, anche se qualche anno fa è uscito un libro, scritto dal nipote di uno dei tre triumviri dell’impero ottomano che lo avevano organizzato, intitolato proprio”Il genocidio degli Armeni”».

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Quegli armeni ostaggi in Azerbaigian e dimenticati da tutti (Tempi 08.11.25)

Vanno avanti a Baku i processi farsa contro 23 armeni, rinchiusi in isolamento. Molti hanno tentato il suicidio in cella nell’indifferenza della comunità internazionale
Quindici politici e funzionari dell'Artsakh, rapiti durante l'invasione azera, assistono all'udienza preliminare del processo presso il tribunale militare di Baku, in Azerbaigian, il 17 gennaio 2025
Quindici politici e funzionari dell’Artsakh, rapiti durante l’invasione azera, assistono all’udienza preliminare del processo presso il tribunale militare di Baku, in Azerbaigian, il 17 gennaio 2025 (foto Ansa)

Da quasi un anno, il regime dittatoriale di Baku inscena un processo farsa contro i leader dell’Artsakh e altri sette cittadini armeni. Lunedì scorso, il pubblico ministero del tribunale militare dell’Azerbaigian ha dichiarato che gli imputati sono responsabili di crimini commessi tra il 1988 e il 20 settembre 2023, dal movimento di liberazione del Karabakh fino all’attacco azero e alla pulizia etnica degli armeni dell’Artsakh.

Tentativi di suicidio in carcere

I 23 prigionieri armeni sono stati messi in isolamento completo dopo la chiusura della sede del Comitato internazionale della Croce Rossa a Baku. I familiari non riescono a ottenere alcuna informazione indipendente sulle loro condizioni. Dalle foto disponibili sembra che il loro stato di salute non sia ottimale e ci sono stati persino tentativi di suicidio, come riportato da Siranush Sahakyan, avvocata dei detenuti presso la Corte Europea.

I parenti sottolineano che, in un regime così autoritario, è purtroppo naturale che qualunque accusa possa essere inventata contro persone indifese. Nonostante siano imputati di decine di gravi reati, i detenuti mantengono la speranza di tornare presto in patria, confidando di trascorrere il prossimo Capodanno non in carcere a Baku, ma accanto ai propri cari.

In Azerbaigian la giustizia non esiste

Il movimento per l’autodeterminazione dell’Artsakh nacque come risposta legittima alle violenze e discriminazioni sistematiche subite dagli armeni del Nagorno-Karabakh. Le stragi di Sumgait, Kirovabad e Baku, tra il 1988 e il 1990, segnarono l’inizio di una politica di pulizia etnica che oggi raggiunge la sua forma più brutale: la deportazione, già avvenuta nel 2023, e l’annientamento sistematico delle tracce storiche e culturali del popolo autoctono dell’Artsakh.

Il regime dittatoriale di Baku, fondato su un’ideologia di odio etnico e dotato di una magistratura completamente asservita al potere, usa i tribunali come strumenti di propaganda e repressione. Appare evidente che ogni “documento” o “testimonianza” prodotti in tali processi è privo di legittimità e valore giuridico.

Il silenzio internazionale

Inaccettabile è inoltre il silenzio delle grandi potenze — Stati Uniti, Francia e Russia — che per trent’anni hanno riconosciuto i leader della repubblica autoproclamata dell’Artsakh come interlocutori legittimi nei negoziati dell’Osce. E ancora più grave è l’indifferenza delle autorità armene, che assistono senza reagire al destino dei propri compatrioti incarcerati.

Questi prigionieri non sono imputati, ma ostaggi di un sistema barbarico. E ogni giorno di silenzio della comunità internazionale è un giorno in più di complicità con la dittatura e con i suoi crimini contro la verità e la giustizia.

L’attuale governo dell’Armenia dovrebbe rendersi conto dell’illusione di poter costruire la pace senza giustizia, senza che la controparte riduca la propria retorica anti-armena quotidiana che alimenta l’espansionismo e la pressione costante sul popolo armeno.

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Armenia, silenziata la comunità scientifica su Baku: stop ai finanziamenti per gli accademici che criticano l’Azerbaijan sul Nagorno-Karabakh (IlGiornaleditalia 07.11.25)

Secondo lo studioso, per qualsiasi critica rivolta al paese vicino – storico nemico dell’Armenia in un conflitto durato decenni – il governo minaccia i ricercatori di tagliare finanziamenti, borse di studio e sovvenzioni. Le misure colpiscono anche l’Armenian Scholars Fellowship Organization (ASOF), una ong che sostiene gli studiosi armeni nello sviluppo di progetti di ricerca

07 Novembre 2025

Armenia, silenziata la comunità scientifica su Baku: stop ai finanziamenti per gli accademici che criticano l'Azerbaijan sul Nagorno-Karabakh

Ricercatori armeni stanno subendo pressioni da parte del proprio governo quando conducono studi che ritraggono l’Azerbaijan in modo negativo. Lo ha rivelato un importante accademico armeno durante la Conferenza Internazionale di Studi Italiani ed Europei tenutasi lo scorso ottobre. Per timore di ritorsioni, la fonte ha preferito mantenere l’anonimato. Tra i lavori censurati, figura una ricerca che documentava la distruzione di una chiesa armena nella città di Nakhchivan, capoluogo dell’omonima enclave azera.

Secondo lo studioso, per qualsiasi critica rivolta al paese vicino – storico nemico dell’Armenia in un conflitto durato decenni – il governo minaccia i ricercatori di tagliare finanziamenti, borse di studio e sovvenzioni. Le misure colpiscono anche l’Armenian Scholars Fellowship Organization (ASOF), una ong che sostiene gli studiosi armeni nello sviluppo di progetti di ricerca.

Gli esperti temono che questa linea impedisca di fatto di documentare e denunciare le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze azere durante la guerra del Nagorno-Karabakh. Tra queste, la sistematica distruzione del patrimonio culturale armeno nei territori sotto controllo azero, avvenuta sia durante che dopo il conflitto.

L’organizzazione Caucasus Heritage Watch, che monitora questi abusi, sostiene che nella sola Nakhchivan siano stati completamente distrutti 108 siti di interesse culturale tra il 1997 e il 2011, per lo più edifici religiosi. Le chiese e i monasteri più antichi risalivano al XII-XIII secolo. Alcuni studiosi stimano che dal 1921, quando l’enclave passò sotto controllo azero, siano stati rasi al suolo fino a 27mila monumenti.

Le accuse di pulizia etnica

I temi sensibili per il governo di Nikol Pashinyan potrebbero non limitarsi alla distruzione dei monumenti storici. Secondo l’ong americana Freedom House, gli armeni in Azerbaijan subiscono repressioni dagli anni Novanta. Cittadini di etnia armena vengono discriminati sul piano religioso, subiscono limitazioni alla libertà di espressione e restrizioni all’ingresso nel paese. Dopo aver preso il controllo del Nagorno-Karabakh, secondo l’organizzazione, il governo di Ilham Aliyev avrebbe condotto una pulizia etnica, costringendo 120mila abitanti della regione a rifugiarsi in Armenia.

Dal canto suo, Baku nega non solo le persecuzioni, ma anche l’autenticità del patrimonio culturale armeno. Nel febbraio 2022 il ministro della Cultura azero Anar Karimov annunciò l’intenzione di creare un gruppo di lavoro per “eliminare le false tracce sugli edifici religiosi albanesi”. La teoria alla base di questa decisione sostiene che l’origine armena di molte chiese antiche del Caucaso meridionale sia una falsificazione storica. Quattro giorni dopo, il ministero fece marcia indietro.

L’Azerbaijan nega la distruzione dei monumenti anche a livello internazionale. I legami culturali e scientifici con l’Europa, e in particolare con l’Italia, potrebbero però dare qualche risultato. Nel 2021 l’organizzazione europea Europa Nostra ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla sorte degli edifici religiosi nel Nagorno-Karabakh, senza tuttavia riuscire ad assumere una posizione netta sulla questione.

La sconfitta di Pashinyan

Il governo del premier Nikol Pashinyan è stato segnato dalla netta sconfitta dell’Armenia nel conflitto con l’Azerbaijan nel 2020. Nell’agosto 2025 un accordo di pace ha sancito definitivamente la perdita del controllo sul Karabakh. È probabile che l’esecutivo armeno cerchi ora di limitare i danni alla propria reputazione, ed è a questo che potrebbero ricondursi le notizie sul controllo sempre più stretto sui contenuti della ricerca accademica.

Le segnalazioni di crescenti pressioni arrivano mentre si avvicinano le elezioni parlamentari in Armenia, previste per giugno 2026. In situazioni analoghe a quella di Pashinyan, i governi di solito vengono sconfitti alle urne. Il premier salì al potere nel 2018 promettendo una svolta filoeuropea per il paese, pur mantenendone le posizioni strategiche. Nel 2019 dichiarò pubblicamente che “l’Artsakh è Armenia”, riferendosi al Nagorno-Karabakh, ma appena un anno dopo perse completamente il controllo del territorio.

A questo si aggiunge il fatto che non sia riuscito a imporre un corridoio logistico più sicuro dalla Turchia al Mar Caspio attraverso Yerevan. Al contrario, è stato costretto non solo ad aprire il corridoio di Zangezur, vantaggioso per Turchia e Azerbaijan, ma anche a cedere per 99 anni il controllo di questo tratto infrastrutturale armeno agli Stati Uniti.

Nel 2020 Pashinyan presentò una strategia di trasformazione del paese fino al 2050, che prevedeva di far crescere la popolazione da 3 a 5 milioni di abitanti, moltiplicare lo stipendio medio per sette e il PIL per venti – il che avrebbe equiparato l’economia armena a quella degli attuali Paesi Bassi, che contano quasi 20 milioni di abitanti.

Verso le elezioni del 2026

Promesse irrealistiche e una disfatta militare nel Nagorno-Karabakh potrebbero portare al crollo elettorale del partito di governo “Contratto Civile” e alla fine della carriera politica di Pashinyan – ammesso che l’opinione pubblica possa discutere liberamente di questi problemi.

Un ulteriore fattore che spinge a prevenire simili discussioni anche all’estero è che, dei circa 15 milioni di armeni nel mondo, solo 3 milioni vivono in Armenia. Senza limitare la libertà di espressione, le possibilità di vittoria del “Contratto Civile” alle prossime parlamentari sono ridotte al minimo.

Di Simone Lanza

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PADOVA – 12 novembre 2025 – Presentazione del libro “Le ali della chimera”  di Vartan Giacomelli

Mercoledì 12 novembre 2025, ore 18.00

presentazione del libro “Le ali della chimera”  di Vartan Giacomelli

dialogano con l’autore Antonia Arslan e Pierpaolo Faggi

Sala Rossini, piano nobile del Caffè Pedrocchi – PADOVA

“1915. Gli Armeni e il primo genocidio”, primo appuntamento del nuovo ciclo di “Lezioni di storia-le radici del presente” (Comune Trieste 06.11.25)

Domenica 9 novembre alle ore 11.00 prende il via, al Teatro Verdi di Trieste con la lezione “1915. GLI ARMENI E IL PRIMO GENOCIDIO” a cura di Marcello Flores, il nuovo ciclo di incontri “LEZIONI DI STORIA – LE RADICI DEL PRESENTE”, ideato e progettato dagli Editori Laterza, promosso dal Comune di Trieste e organizzato con il contributo della Fondazione CRTrieste, in collaborazione con il media partner “Il Piccolo”- Nord Est Multimedia.

L’evento, ad ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, prevede 5 incontri dal 9 novembre 2025 al 25 gennaio 2026.

Le lezioni possono essere seguite anche in diretta streaming sul canale Youtube del Comune di Trieste e sul sito de “Il Piccolo”.

Le radici del presente – un ciclo tutto centrato sul Novecento – intende proporre una rilettura degli eventi, delle idee, dei processi e delle dinamiche che hanno plasmato la realtà attuale, a livello politico, sociale, economico e culturale.

Se è vero che la storia non si ripete mai, una riflessione su questo passato ancora relativamente prossimo e facilmente riconoscibile nell’impatto sulla nostra quotidianità è di certo fondamentale, per analizzare criticamente il mondo contemporaneo, capire le cause dei problemi attuali e affrontare le sfide del futuro.

Incontro di domenica 9 novembre 2025:
MARCELLO FLORES
1915. GLI ARMENI E IL PRIMO GENOCIDIO

Il massacro degli armeni ebbe luogo nel contesto della prima guerra mondiale, quando l’impero ottomano si ritrovò in grave difficoltà con la Russia e la Gran Bretagna sotto il profilo militare. La scelta della dirigenza più nazionalista e radicale dei Giovani Turchi è allora quella di espellere dall’Anatolia la minoranza armena, accusata di collaborare con i russi, con uccisioni dirette nei confronti dei giovani e con la deportazione dell’intera popolazione che avverrà in tragiche marce della morte.

Marcello Flores ha insegnato storia contemporanea presso le Università di Trieste e di Siena.

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Il Movimento Shalom in partenza per il “pellegrinaggio di pace” in Armenia (GoNews 06.11.25)

“Il popolo armeno è ammirabile per la fedeltà al Vangelo e la difesa ininterrotta della propria cultura malgrado le continue guerre che hanno via via limitato il suo territorio. La Grande Armenia non c’è più, oggi è un piccolo stato ancora più ridotto dopo l’ultimo conflitto con l’Azerbaijan. La sua popolazione è ridotta ad appena tre milioni di abitanti. Della sua terra se ne parla di già nel libro della Genesi in rapporto al monte Ararat dove incagliò l’arca di Noè, dopo il diluvio. Oggi è il più alto monte della Turchia”. Così in una nota il Movimento Shalom che annuncia un “pellegrinaggio di pace” in Armenia dal 9 al 16 dicembre 2025. “Il genocidio mai riconosciuto dai Turchi – dichiara don Andrea Cristiani che accompagnerà il gruppo – ha causato la morte di un imprecisato numero di Armeni; c’è chi parla di due milioni di vittime. Visiteremo il Mausoleo. La lunga annessione al blocco sovietico ha lasciato dolorose tracce. Arminé, la nostra guida in Armenia parlante italiano, è molto colta. Ci accompagnerà a scoprire le meraviglie storiche, architettoniche e paesaggistiche di questo mondo incantevole che ha un grande desiderio di Pace”. Il pellegrinaggio segna anche la penultima tappa del 50° anniversario di Shalom che si concluderà il prossimo 8 dicembre.

Leggi questo articolo su: https://www.gonews.it/2025/11/06/il-movimento-shalom-in-partenza-per-il-pellegrinaggio-di-pace-in-armenia/
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