Presentazione delle Lettere Credenziali dell’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso il Quirinale

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Palazzo del Quirinale 28/07/2016

La neo ambasciatrice della Repubblica d’Armenia presso il Quirinale S.E.  Victoria Bagdassarian,  ha presentato in data 28.07.2016, le sue Lettere Credenziali al Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella.

Olimpiadi Rio 2016 – Tutta la squadra dell’Armenia: convocati, partecipanti e qualificati (Oasport.it 20.07.16)

 L’Armenia parteciperà ai Giochi Olimpici di Rio 2016 con una delegazione di 33 atleti in otto discipline differenti.

ATLETICA
Levon Aghasyan (salto triplo maschile)
Gor Nerkararyan (salto in lungo maschile)
Gayane Chiloyan (200 metri femminili)
Lilit Harutyunyan (400 metri ostacoli femminili)
Diana Khubeseryan (200 metri femminili)
Amaliya Sharoyan (salto in lungo femminile)

BOXE
Artur Hovhannisyan (pesi mosca leggeri maschili)
Narek Abgaryan (pesi mosca maschili)
Aram Avagyan (pesi gallo maschili)
Hovhannes Bachkov (pesi superleggeri maschili)
Vladimir Margaryan (pesi welter maschili)

GINNASTICA ARTISTICA
Artur Davtyan (maschile)
Harutyun Merdinyan (maschile)
Houry Gebeshian (femminile)

JUDO
Hovhannes Davtyan (60 kg maschile)

TIRO
Hrachik Babayan (carabina 10 m, carabina 50 m tre posizioni maschile)

NUOTO
Vahan Mkhitaryan (50 m stile libero maschile)
Monika Vasilyan (50 m stile libero femminile)

SOLLEVAMENTO PESI
Andranik Karapetyan (77 kg maschile)
Arakel Mirzoyan (85 kg maschile)
Simon Martirosyan (105 kg maschile)
Ruben Aleksanyan (+105 kg maschile)
Gor Minasyan (+105 kg maschile)
Nazik Avdalyan (69 kg femminile)
Sona Poghosyan (75 kg femminile)

LOTTA
Garnik Mnatsakanyan (57 kg libera maschile)
David Safaryan (65 kg libera maschile)
Georgy Ketoyev (97 kg libera maschile)
Levan Berianidze (125 kg libera maschile)
Migran Arutyunyan (66 kg greco-romana maschile)
Arsen Julfalakyan (75 kg greco-romana maschile)
Maksim Manukyan (85 kg greco-romana maschile)
Artur Aleksanyan (98 kg greco-romana maschile)

Il Grazie del Consiglio per la comunità armena di Roma alla città di Genova

LA MEMORIA STRUMENTO DI CRESCITA CULTURALE DEI POPOLI.

GLI ARMENI RINGRAZIANO IL CONSIGLIO COMUNALE DI GENOVA

Il recente voto all’unanimità del Consiglio comunale genovese che impegna l’amministrazione di Genova a dedicare una strada o piazza della toponomastica locale al ricordo del genocidio armeno del 1915 è motivo di orgoglio per la città e di grande soddisfazione per la comunità armena locale e nazionale.

Esso si innesta nel solco di radicati legami tra Genova e il popolo

armeno: ricordiamo al riguardo la votazione consigliare dell’ottobre del

1998 che fece della città una delle prime in Italia a riconoscere ufficialmente il genocidio del 1915 allorché sotto i colpi dell’Impero ottomano un milione e mezzo di armeni furono sterminati e la restante esigua parte della popolazione costretta ad abbandonare la terra degli avi.

Ma anche antichi legami storici, culturali, religiosi e commerciali come testimoniato ad esempio dalla chiesa di san Bartolomeo degli Armeni e dalla stessa piazza Armenia.

Ricordare a oltre cento anni quello che gli armeni chiamano “Il Grande Male” non significa ripercorrere didascalicamente una lontana, ancorché dolorosa, pagina di storia: ma piuttosto insegnare, soprattutto ai giovani, la cultura della Memoria come antidoto alla violenza e all’intolleranza.

Hitler, pianificando l’invasione della Polonia, così rispose a coloro che temevano per le conseguenze che oggi definiremmo “mediatiche”: «chi si ricorda più del massacro degli armeni?» Erano passati circa trent’anni e la tragedia di quel popolo ormai dimenticata; il genocidio armeno fu il primo del Novecento, il primo a essere dimenticato, il primo a essere negato. E ogni strage, ogni pulizia etnica, ogni olocausto altro non è se non il figlio di quel Grande Male.

Grazie dunque ai consiglieri genovesi per il loro gesto che ci auguriamo sarà presto seguito da un risultato concreto.

Consiglio per la comunità armena di Roma

 

IL TESTO INTEGRALE DELLA CONFERENZA STAMPA DI BERGOGLIO SUL VOLO DI RITORNO DALL’ARMENIA

Pubblichiamo il testo integrale della conferenza stampa di Papa Francesco durante il volo di ritorno dall’Armenia

Padre Lombardi:
Santo Padre, grazie mille di essere qui al termine di questo viaggio abbastanza breve ma molto intenso. Siamo stati contenti di accompagnarLa e adesso vogliamo farLe ancora, come al solito, un poco di domande, approfittando della Sua gentilezza. Abbiamo una lista di persone che sono qui iscritte a parlare, e possiamo incominciare, come al solito, con i colleghi dell’Armenia, perché diamo a loro la priorità. Il primo è Arthur Grygorian, della televisione pubblica armena.


Papa Francesco:
Buona sera! Vi ringrazio tanto per l’aiuto in questo viaggio e per tutto il vostro lavoro che fa bene alla gente: comunicare bene le cose vuol dire buone notizie, e le buone notizie fanno bene sempre. Grazie tante, grazie.

Arthur Grygorian, televisione pubblica armena:
(in inglese) Santo Padre, è risaputo che Lei abbia amici armeni. Lei aveva già contatti con le comunità armene in Argentina. Nel corso degli ultimi tre giorni, Lei – per così dire – è arrivato a toccare lo spirito armeno. Quali sono i Suoi sentimenti, le Sue impressioni, e qual è il messaggio per il futuro, le Sue preghiere per noi armeni?

Papa Francesco:
Bene, pensiamo al futuro e poi andiamo al passato. Io auguro a questo popolo la giustizia e la pace. E prego per questo, perché è un popolo coraggioso. E prego perché trovi la giustizia e la pace. Io so che tanti lavorano per questo. E io sono stato anche molto contento, la settimana scorsa, quando ho visto una fotografia del Presidente Putin con i due Presidenti armeno e azero: almeno si parlano. E anche con la Turchia: il Presidente della Repubblica [Armena] nel suo discorso di benvenuto ha parlato chiaro; ha avuto il coraggio di dire: “Mettiamoci d’accordo, perdoniamoci e guardiamo al futuro”. Questo è un coraggio grande! Un popolo che ha sofferto tanto! L’icona del popolo armeno – e questo pensiero mi è venuto oggi mentre pregavo un po’ – è una vita di pietra e una tenerezza di madre. Ha portato croci, ma croci di pietra –si vedono anche [le caratteristiche croci di pietra dette khachkar] –; ma non ha perso la tenerezza, l’arte, la musica, quei “quarti toni” tanto difficili da capire, e con grande genialità… Un popolo che ha sofferto tanto nella sua storia, e soltanto la fede, la fede lo ha mantenuto in piedi. Perché il fatto che sia stata la prima nazione cristiana, questo non è sufficiente; è stata la prima nazione cristiana perché il Signore l’ha benedetta, perché ha avuto i santi, ha avuto vescovi santi, martiri… E per questo si è formato nella sua resistenza quella “pelle di pietra” – diciamo così –, ma non ha perso la tenerezza di un cuore materno; e l’Armenia è anche madre. Questa era la seconda domanda. E veniamo alla prima, adesso. Sì, io avevo tanti contatti con gli armeni, andavo spesso da loro alle Messe; tanti amici armeni; o una cosa che di solito non mi piace fare per riposo, ma andavo a cena con loro, e voi fate cene pesanti! Ma sono molto amico, molto amico sia dell’arcivescovo Kissag Mouradian, della Chiesa Apostolica, sia di Boghossian, quello cattolico. Ma fra voi, più importante dell’appartenenza alla Chiesa Apostolica o alla Chiesa Cattolica, è l’“armenità”, e questo io l’ho capito in quei tempi. Oggi mi ha salutato un argentino di famiglia armena che, quando andavo alle Messe, sempre l’Arcivescovo lo faceva sedere accanto a me perché mi spiegasse alcune cerimonie o alcune parole che io non capivo.

Padre Lombardi:
Grazie mille, Santo Padre. Adesso diamo la parola a un’altra rappresentante armena che è la signora Jeanine Paloulian, di “Nouvelles d’Arménie”.

Jeanine Paloulian, “Nouvelles d’Arménie”:
(in francese) Grazie, Santo Padre. Ieri sera, all’incontro ecumenico di preghiera, Lei ha chiesto ai giovani di essere artefici della riconciliazione con la Turchia e con l’Azerbaigian. Vorrei chiederLe semplicemente – visto che tra qualche settimana Lei andrà in Azerbaigian – cosa Lei, cosa la Santa Sede può fare concretamente per aiutarci, per aiutarci a procedere. Quali sono i segni concreti. Lei ne ha fatti in Armenia. Quali sono i segni che Lei farà, domani, in Azerbaigian?

Papa Francesco:
Io parlerò agli azeri della verità, di quello che ho visto, di quello che sento. E incoraggerò anche loro. Io ho incontrato il Presidente azero e ho parlato con lui. E dirò anche che non fare la pace per un pezzettino di terra – perché non è una gran cosa – significa qualcosa di oscuro… Ma lo dico a tutti, questo: agli armeni e agli azeri. Forse non si mettono d’accordo sulle modalità di fare la pace, e su questo si deve lavorare. Ma di più non so cosa dire. Dirò quello che al momento mi viene nel cuore, ma sempre in positivo, cercando di trovare soluzioni che siano percorribili, che portino avanti.

Padre Lombardi:
Grazie mille. E adesso diamo la parola a Jean-Louis de la Vaissière, di “France Presse”. Credo che sia l’ultimo viaggio che fa con noi. Quindi siamo contenti di dargli la parola.

Jean-Louis de la Vaissière, “France Presse”:
Santo Padre, prima di tutto vorrei ringraziarLa da parte mia e da parte di Sébastien Maillard di “La Croix”. Noi andiamo via da Roma e volevamo di cuore ringraziare per questo soffio di primavera che soffia sulla Chiesa. Poi avevo una domanda: perché Lei ha deciso di aggiungere apertamente la parola “genocidio” nel suo discorso al Palazzo presidenziale? Su un tema doloroso come questo, pensa che sia utile per la pace in questa regione complicata?

Papa Francesco:
Grazie. In Argentina, quando si parlava dello sterminio armeno, si usava sempre la parola “genocidio”. Io non ne conoscevo un’altra. E nella cattedrale di Buenos Aires, sul terzo altare a sinistra abbiamo messo una croce di pietra a ricordo del “genocidio armeno”. E’ venuto l’Arcivescovo, i due Arcivescovi armeni, quello cattolico e quello apostolico, e l’hanno inaugurata. Inoltre, l’Arcivescovo apostolico nella chiesa cattolica di San Bartolomeo – un’altra [chiesa] – ha fatto un altare in memoria di San Bartolomeo [evangelizzatore dell’Armenia]. Ma sempre…, io non conoscevo un’altra parola. Io vengo con questa parola. Quando arrivo a Roma, sento l’altra parola, “il Grande Male” o “la tragedia terribile”, in lingua armena [Metz Yeghern], che non so pronunciare. E mi dicono che quella del genocidio è offensiva, che si deve dire questa. Io sempre ho parlato dei tre genocidi del secolo scorso, sempre tre. Il primo, quello armeno; poi, quello di Hitler; e l’ultimo, quello di Stalin. I tre. Ce ne sono altri più piccoli. Ce n’è stato un altro in Africa [Rwanda]. Ma nell’orbita delle due grandi guerre, sono questi tre. E ho domandato, perché qualcuno dice: “Alcuni pensano che non è vero, che non è stato un genocidio”. Un altro mi diceva – un legale mi ha detto questo, che mi ha interessato tanto –: “La parola genocidio è una parola tecnica, è una parola che ha una tecnicità, che non è sinonimo di sterminio. Si può dire sterminio, ma dichiarare un genocidio comporta azioni di risarcimenti e cose del genere”. Questo mi ha detto un legale. L’anno scorso, quando preparavo il discorso [per la celebrazione del 12 aprile 2015 a Roma], ho visto che san Giovanni Paolo II ha usato la parola, le ha usate tutt’e due: “il Grande Male” e “genocidio”. E io ho citato tra virgolette questa. E non è caduta bene: è stata fatta una dichiarazione del governo turco; la Turchia in pochi giorni ha richiamato ad Ankara l’Ambasciatore – che è un bravo uomo, un ambasciatore “di lusso” ci ha inviato la Turchia! – è tornato due o tre mesi fa… E’ stato un “digiuno diplomatico”… Ma ne ha il diritto: il diritto alla protesta l’abbiamo tutti. E in questo discorso [in Armenia], all’inizio non c’era la parola, questo è vero; e rispondo sul perché io l’ho aggiunta. Dopo aver sentito il tono del discorso del Presidente, e anche con il mio passato riguardo a questa parola, e dopo aver detto questa parola l’anno scorso in San Pietro, pubblicamente, sarebbe suonato molto strano non dire lo stesso, almeno. Ma lì io volevo sottolineare un’altra cosa, e credo – se non sbaglio – che ho detto: “In questo genocidio, come negli altri due, le grandi potenze internazionali guardavano da un’altra parte”. E questa è stata l’accusa. Nella Seconda Guerra Mondiale, alcune potenze avevano le fotografie delle ferrovie che portavano a Auschwitz: avrebbero avuto la possibilità di bombardare, e non l’hanno fatto. E’ un esempio. Nel contesto della Prima Guerra, dove c’è stato il problema degli armeni, e nel contesto della Seconda Guerra, dove c’è stato il problema di Hitler e Stalin, e dopo Yalta i lager e tutto questo, nessuno parla? Si deve sottolineare questo, e fare la domanda storica: perché non avete fatto questo? Voi potenze – non accuso, faccio una domanda. E’ interessante: si guardava, sì, alla guerra, a tante cose, ma quel popolo… E, non so se è vero, ma mi piacerebbe vedere se è vero, che quando Hitler perseguitava tanto gli ebrei, una delle cose che lui avrebbe detto è: “Ma chi si ricorda oggi degli armeni? Facciamo lo stesso con gli ebrei!”. Non so se è vero, forse è una diceria, ma io ho sentito dire questo. Gli storici cerchino e vedano se è vero. Credo di avere risposto. Ma questa parola, mai io l’ho detta con animo offensivo, piuttosto oggettivamente.

Padre Lombardi:
Grazie mille, Santità. Ha toccato un argomento delicato, con grande sincerità e profondità. Adesso diamo la parola a Elisabetta Piqué che, come Lei sa, è dell’Argentina, de “La Nación”.

Elisabetta Piqué, “La Nación”:
(in spagnolo) Complimenti, prima di tutto, per il viaggio. Vorrei chiederLe: sappiamo che Lei è il Papa, ma c’è anche Papa Benedetto, il Papa emerito. Ultimamente ci sono state delle voci, una dichiarazione del Prefetto della Casa Pontificia, mons. Georg Gänswein, che avrebbe detto che ci sarebbe un ministero petrino condiviso – se non mi sbaglio – con un Papa attivo e un altro contemplativo. Ci sono due Papi?

Papa Francesco:
(in spagnolo) C’è stata un’epoca nella Chiesa in cui ce ne sono stati tre! (ripete in italiano) In un certo periodo, nella Chiesa, ce n’erano tre! Io non ho letto quella dichiarazione perché non ho avuto tempo. Benedetto è Papa emerito. Lui ha detto chiaramente, quell’11 febbraio, che dava le sue dimissioni a partire dal 28 febbraio, che si sarebbe ritirato per aiutare la Chiesa con la preghiera. E Benedetto è nel monastero, e prega. Io sono andato a trovarlo tante volte, o al telefono… L’altro giorno mi ha scritto una letterina – ancora firma con quella firma sua – facendomi gli auguri per questo viaggio. E una volta – non una volta, parecchie volte – ho detto che è una grazia avere a casa il “nonno” saggio. Anche davanti a lui l’ho detto, e lui ride. Ma lui per me è il Papa emerito, è il “nonno” saggio, è l’uomo che mi custodisce le spalle e la schiena con la sua preghiera. Mai dimentico quel discorso che ci ha fatto, ai Cardinali, il 28 febbraio: “Uno di voi sicuramente sarà il mio successore. Prometto obbedienza”. E lo ha fatto. Poi ho sentito – ma non so se è vero questo – sottolineo: ho sentito, forse saranno dicerie, ma concordano con il suo carattere, che alcuni sono andati lì a lamentarsi perché “questo nuovo Papa…”, e lui li ha cacciati via! Con il migliore stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via. E se non è vero, è ben trovato, perché quest’uomo è così: è un uomo di parola, un uomo retto, retto, retto! Il Papa emerito. Poi, non so se Lei si ricorda, che io ho ringraziato pubblicamente – non so quando, ma credo durante un volo – Benedetto per aver aperto la porta ai Papi emeriti. 70 anni fa i vescovi emeriti non esistevano; oggi ce ne sono. Ma con questo allungamento della vita, si può reggere una Chiesa a una certa età, con acciacchi, o no? E lui, con coraggio – con coraggio! – e con preghiera, e anche con scienza, con teologia, ha deciso di aprire questa porta. E credo che questo sia buono per la Chiesa. Ma c’è un solo Papa. L’altro… o forse – come per i vescovi emeriti – non dico tanti, ma forse potranno essercene due o tre, saranno emeriti. Sono stati [Papi], [ora] sono emeriti. Dopodomani si celebra il 65° anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Ci sarà il suo fratello Giorgio [questa presenza non è stata confermata], perché tutti e due sono stati ordinati insieme. E ci sarà un piccolo atto, con i Capi Dicastero e poca gente, perché lui preferisce… Ha accettato, ma molto modestamente; e anch’io ci sarò. E dirò qualche cosa a questo grande uomo di preghiera, di coraggio che è il Papa emerito – non il secondo Papa – che è fedele alla sua parola e che è un uomo di Dio. E’ molto intelligente, e per me è il nonno saggio a casa.

Padre Lombardi:
Adesso diamo la parola ad Alexej Bukalov, che è uno dei nostri decani e che – come Lei ben sa – rappresenta Itar-Tass, e quindi la cultura russa fra noi.

Papa Francesco:
Ha parlato russo in Armenia?

Alexej Bukalov – Itar-Tass:
Sì, con grande piacere. La ringraziamo sempre… Grazie, Santità, grazie per questo viaggio, che è il primo viaggio sul territorio ex-sovietico. Per me era molto importante seguirlo… La mia domanda va un po’ fuori da questo argomento: io so che Lei ha incoraggiato molto questo Concilio Panortodosso, addirittura all’incontro con il Patriarca Kirill a Cuba è stato menzionato come auspicio. Adesso Lei che giudizio ha su questo – diciamo – forum? Grazie.

Papa Francesco:
Un giudizio positivo! È stato fatto un passo avanti: non con il cento per cento, ma un passo avanti. Le cose che hanno giustificato, fra virgolette, [le assenze] sono sincere per loro, sono cose che con il tempo si possono risolvere. Volevano – i quattro che non sono andati – farlo un po’ più avanti. Ma credo che il primo passo si fa come si può. Come i bambini, quando fanno il primo passo lo fanno come possono: il primo lo fanno come i gatti e poi fanno i primi passi. Io sono contento. Hanno parlato di tante cose. Credo che il risultato sia positivo. Il solo fatto che queste Chiese autocefale si siano riunite, in nome dell’Ortodossia, per guardarsi in faccia, per pregare insieme e parlare e forse dire qualche battuta, ma questo è positivissimo. Io ringrazio il Signore. Al prossimo saranno di più. Benedetto sia il Signore!

Padre Lombardi:
Grazie Santità. Adesso passiamo il microfono a Edward Pentin, che rappresenta un po’ la lingua inglese: questa volta National Catholic Register.

Edward Pentin – National Catholic Register:
Santo Padre, come Giovanni Paolo II Lei sembra essere un sostenitore dell’Unione Europea: ha elogiato il progetto europeo quando recentemente ha ricevuto il Premio Carlo Magno. Lei è preoccupato del fatto che Brexit potrebbe portare alla disintegrazione dell’Europa ed eventualmente alla guerra?

Papa Francesco:
La guerra già c’è in Europa! Poi c’è un’aria di divisione, e non solo in Europa, ma dentro gli stessi Paesi. Si ricordi della Catalogna, l’anno scorso la Scozia… Queste divisioni non dico che siano pericolose, ma dobbiamo studiarle bene e, prima di fare un passo avanti per una divisione, parlare bene fra di noi e cercare soluzioni percorribili. Io davvero non so, non ho studiato quali siano i motivi perché il Regno Unito abbia voluto prendere questa decisione. Ma ci sono decisioni – e credo che questo l’ho già detto una volta, non so dove, ma l’ho detto – di indipendenza, che si fanno per emancipazione. Per esempio, tutti i nostri Paesi latinoamericani, anche i Paesi dell’Africa, si sono emancipati dalle corone di Madrid, di Lisbona; anche in Africa: da Parigi, Londra; da Amsterdam, l’Indonesia soprattutto… L’emancipazione è più comprensibile, perché c’è dietro una cultura, un modo di pensare. Invece la secessione di un Paese – ancora non sto parlando della Brexit –, pensiamo alla Scozia, è una cosa che ha preso il nome – e questo lo dico senza offendere, usando quella parola che i politici usano – di “balcanizzazione” – senza sparlare dei Balcani! E’ un po’ una secessione, non è emancipazione, e dietro ci sono storie, culture, malintesi; anche tanta buona volontà in altri. Questo bisogna averlo chiaro. Per me sempre l’unità è superiore al conflitto, sempre! Ma ci sono diverse forme di unità; e anche la fratellanza – e qui arrivo all’Unione Europea – è migliore dell’inimicizia o delle distanze. Rispetto alle distanze – diciamo – la fratellanza è migliore. E i ponti sono migliori dei muri. Tutto questo ci deve far riflettere. E’ vero, un Paese [dice]: “Io sono nell’Unione Europea, ma voglio avere certe cose che sono mie, della mia cultura…”. E il passo – e qui vengo al Premio Carlo Magno – che deve fare l’Unione Europea per ritrovare la forza che ha avuto nelle sue radici è un passo di creatività e anche di “sana disunione”: cioè dare più indipendenza, dare più libertà ai Paesi dell’Unione. Pensare un’altra forma di unione, essere creativi. Creativi riguardo ai posti di lavoro, all’economia. C’è un’economia “liquida” oggi in Europa che fa – per esempio in Italia – che la gioventù dai 25 anni in giù non abbia lavoro: il 40 per cento! C’è qualcosa che non va in quell’Unione massiccia… Ma non buttiamo il bambino con l’acqua sporca dalla finestra! Cerchiamo di riscattare le cose e ri-creare… Perché la ri-creazione delle cose umane – anche della nostra personalità – è un percorso, e sempre si deve fare. Un adolescente non è lo stesso della persona adulta o della persona anziana: è lo stesso e non è lo stesso, si ri-crea continuamente. E questo gli dà vita e voglia di vivere, e dà fecondità. E questo lo sottolineo: oggi le due parole-chiave per l’Unione Europea sono creatività e fecondità. E’ la sfida. Non so, la penso così.

Padre Lombardi:
Grazie Santità. Allora adesso diamo la parola a Tilmann Kleinjung, che è di Adr, la radio nazionale tedesca. Anche per lui credo sia l’ultimo viaggio… Quindi siamo lieti di dargli questa possibilità.

Tilmann Kleinjung – Adr:
Sì, anch’io sono in partenza per la Baviera. Grazie per poter fare questa domanda. “Zu viel Bier, zu viel Wein”. Heiliger Vater, io volevo farLe una domanda: Lei oggi ha parlato dei doni condivisi delle Chiese, insieme. Visto che Lei andrà – fra quattro mesi – a Lund per commemorare il 500° anniversario della Riforma, io penso che forse questo è il momento giusto anche per non ricordare solo le ferite da entrambe le parti, ma anche per riconoscere i doni della Riforma, e forse anche – e questa è una domanda eretica – per annullare o ritirare la scomunica di Martin Lutero o di una qualsiasi riabilitazione. Grazie.

Papa Francesco:
Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate: era un riformatore. Forse alcuni metodi non erano giusti, ma in quel tempo, se leggiamo la storia del Pastor, per esempio – un tedesco luterano che poi si è convertito quando ha visto la realtà di quel tempo, e si è fatto cattolico – vediamo che la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione nella Chiesa, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato. Poi era intelligente, e ha fatto un passo avanti giustificando il perché faceva questo. E oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di credere, in un modo di fare, in modo liturgico. Ma non era lui solo: c’era Zwingli, c’era Calvino… E dietro di loro chi c’era? I principi, “cuius regio eius religio”. Dobbiamo metterci nella storia di quel tempo. E’ una storia non facile da capire, non facile. Poi sono andate avanti le cose. Oggi il dialogo è molto buono e quel documento sulla giustificazione credo che sia uno dei documenti ecumenici più ricchi, più ricchi e più profondi. E’ d’accordo? Ci sono divisioni, ma dipendono anche dalle Chiese. A Buenos Aires c’erano due chiese luterane: una pensava in un modo e l’altra in un altro. Anche nella stessa Chiesa luterana non c’è unità. Si rispettano, si amano… La diversità è quello che forse ha fatto tanto male a tutti noi e oggi cerchiamo di riprendere la strada per incontrarci dopo 500 anni. Io credo che dobbiamo pregare insieme, pregare. Per questo la preghiera è importante. Secondo: lavorare per i poveri, per i perseguitati, per tanta gente che soffre, per i profughi… Lavorare insieme e pregare insieme. E che i teologi studino insieme, cercando… Ma questa è una strada lunga, lunghissima. Una volta ho detto scherzando: “Io so quando sarà il giorno dell’unità piena” – “Quale?” – “Il giorno dopo la venuta del Figlio dell’uomo!”. Perché non si sa… Lo Spirito Santo farà questa grazia. Ma nel frattempo bisogna pregare, amarci e lavorare insieme, soprattutto per i poveri, per la gente che soffre, per la pace e tante altre cose, contro lo sfruttamento della gente… Tante cose per le quali si sta lavorando congiuntamente.

Padre Lombardi:
Grazie. Allora adesso diamo la parola a Cécile Chambraud, di “Le Monde”, che rappresenta ancora la lingua francese.

Cécile Chambraud – Le Monde:
(Domanda in spagnolo) Santo Padre, qualche settimana fa, Lei ha parlato di una Commissione per riflettere sulla tematica delle donne diaconesse. Vorrei sapere se già esiste questa Commissione e quali saranno le domande sulle quali rifletterà per essere risolte? E, infine, a volte una Commissione serve per dimenticarsi dei problemi: vorrei sapere se questo è il caso?

Papa Francesco:
C’era un presidente dell’Argentina che diceva, e consigliava agli altri presidenti degli altri Paesi: quando tu vuoi che una cosa non si risolva, fai una commissione! Il primo ad essere sorpreso di questa notizia sono stato io, perché il dialogo con le religiose, che è stato registrato e poi pubblicato su “L’Osservatore Romano”, era un’altra cosa, su questa linea: “Noi abbiamo sentito che nei primi secoli c’erano la diaconesse. Si potrà studiare questo? Fare una commissione?…”. Niente di più. Hanno chiesto, sono state educate, e non solo educate, ma anche amanti della Chiesa, donne consacrate. Io ho raccontato che conoscevo un siriano, un teologo siriano che è morto, quello che ha fatto l’edizione critica di Sant’Efrem in italiano. Una volta, parlando delle diaconesse – quando io venivo, alloggiavo in Via della Scrofa e lui abitava lì – a colazione, mi ha detto: “Sì, ma non si sa bene cosa erano, se avessero l’ordinazione…”. Certamente c’erano queste donne che aiutavano il vescovo; e lo aiutavano in tre cose: la prima, nel Battesimo delle donne, perché c’era il Battesimo per immersione; la seconda, nelle unzioni pre e post battesimali delle donne; e la terza – questo fa ridere – quando c’era la moglie che andava dal vescovo a lamentarsi perché il marito la picchiava, il vescovo chiamava una di queste diaconesse, la quale vedeva il corpo della donna per trovare lividi che provassero queste cose. Ho detto questo. “Si può studiare?” – “Sì, io dirò alla [Congregazione per la] Dottrina della Fede che si faccia questa Commissione”. Il giorno dopo [sui giornali]: “La Chiesa apre la porta alle diaconesse!”. Davvero, mi sono un po’ arrabbiato con i media, perché questo è non dire la verità delle cose alla gente. Ho parlato con il Prefetto della [Congregazione per la] Dottrina della Fede, che mi ha detto: “Guardi che c’è uno studio che ha fatto la Commissione Teologica Internazionale negli anni Ottanta”. Poi ho parlato con la presidente [delle Superiore Generali] e le ho detto: “Per favore, mi faccia arrivare una lista di persone che Lei crede che si possa prendere per fare questa Commissione”. E mi ha inviato la lista. Anche il Prefetto mi ha inviato la lista, e adesso è lì, sulla mia scrivania, per fare questa Commissione. Io credo che si sia studiato tanto sul tema nell’epoca degli anni Ottanta e non sarà difficile far luce su questo argomento. Ma c’è un’altra cosa. Un anno e mezzo fa, io ho fatto una commissione di donne teologhe che hanno lavorato con il Cardinale Ryłko [Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici], e hanno fatto un bel lavoro, perché è molto importante il pensiero della donna. Per me la funzione della donna non è tanto importante quanto il pensiero della donna: la donna pensa in un altro modo rispetto a noi uomini. E non si può prendere una buona decisione, buona e giusta, senza sentire le donne. Alcune volte, a Buenos Aires, facevo una consultazione con i miei consultori, li sentivo su un tema; poi facevo venire alcune donne e loro vedevano le cose con un’altra luce, e questo arricchiva tanto, tanto; e poi la decisione era molto, molto feconda, molto bella. Io devo incontrare queste donne teologhe, che hanno fatto un buon lavoro, che si è però fermato. Perché? Perché il Dicastero per i laici adesso cambia, si ristruttura. E io aspetto un po’ che ciò avvenga per continuare questo secondo lavoro, quello delle diaconesse. Un’altra cosa circa le donne teologhe – e questo io vorrei sottolinearlo –: è più importante il modo di capire, di pensare, di vedere le cose delle donne che la funzionalità della donna. E poi ripeto quello che dico sempre: la Chiesa è donna, è “la” Chiesa. E non è una donna “zitella”, è una donna sposata con il Figlio di Dio, il suo Sposo è Gesù Cristo. Pensi su questo e poi mi dice cosa pensa…

Padre Lombardi:
Allora, dato che ha parlato delle donne, facciamo fare un’ultima domanda ad una donna; dopo, ne faccio una e concludiamo…. Così dopo un’ora La lasciamo in pace. Cindy Wooden, che è responsabile di Cns, che è l’Agenzia cattolica degli Stati Uniti.

Cindy Wooden – Cns:
Grazie Santità. Nei giorni scorsi, il Cardinale tedesco Marx, parlando ad una grande conferenza molto importante a Dublino, sulla Chiesa nel mondo moderno, ha detto che la Chiesa cattolica deve chiedere scusa alla comunità gay per aver marginalizzato queste persone. Nei giorni successivi alla strage di Orlando, tanti hanno detto che la comunità cristiana ha qualcosa a che fare con questo odio verso queste persone. Cosa pensa lei?

Papa Francesco:
Io ripeterò la stessa cosa che ho detto nel primo viaggio, e ripeto anche quello che dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: che non vanno discriminati, che devono essere rispettati, accompagnati pastoralmente. Si possono condannare, non per motivi ideologici, ma per motivi – diciamo – di comportamento politico, certe manifestazioni un po’ troppo offensive per gli altri. Ma queste cose non c’entrano con il problema: se il problema è una persona che ha quella condizione, che ha buona volontà e che cerca Dio, chi siamo noi per giudicarla? Dobbiamo accompagnare bene, secondo quello che dice il Catechismo. E’ chiaro il Catechismo! Poi ci sono tradizioni in alcuni Paesi, in alcune culture che hanno una mentalità diversa su questo problema. Io credo che la Chiesa non solo debba chiedere scusa – come ha detto quel Cardinale “marxista” [Cardinale Marx] – a questa persona che è gay, che ha offeso, ma deve chiedere scusa anche ai poveri, alle donne e ai bambini sfruttati nel lavoro; deve chiedere scusa di aver benedetto tante armi… La Chiesa deve chiedere scusa di non essersi comportata tante, tante volte… – e quando dico “Chiesa” intendo i cristiani; la Chiesa è santa, i peccatori siamo noi! – i cristiani devono chiedere scusa di non aver accompagnato tante scelte, tante famiglie… Io ricordo da bambino la cultura di Buenos Aires, la cultura cattolica chiusa – io vengo da là! –: da una famiglia divorziata non si poteva entrare in casa! Sto parlando di 80 anni fa. La cultura è cambiata, grazie a Dio. Come cristiani dobbiamo chiedere tante scuse, non solo su questo. Perdono, e non solo scuse! “Perdono, Signore!”: è una parola che dimentichiamo – adesso faccio il pastore e faccio il sermone! No, questo è vero, tante volte il “prete padrone” e non il prete padre, il prete “che bastona” e non il prete che abbraccia, perdona, consola… Ma ce ne sono tanti! Tanti cappellani di ospedali, cappellani dei carcerati, tanti santi! Ma questi non si vedono, perché la santità è “pudorosa” [ha pudore], si nasconde. Invece è un po’ sfacciata la spudoratezza: è sfacciata e si fa vedere. Tante organizzazioni, con gente buona e gente non tanto buona; o gente alla quale tu dai una “borsa” un po’ grossa e guarda dall’altra parte, come le potenze internazionali con i tre genocidi. Anche noi cristiani – preti, vescovi – lo abbiamo fatto questo; ma noi cristiani abbiamo anche una Teresa di Calcutta e tante Terese di Calcutta! Abbiamo tante suore in Africa, tanti laici, tante coppie di sposi santi! Il grano e la zizzania, il grano e la zizzania. Così Gesù dice che è il Regno. Non dobbiamo scandalizzarci di essere così. Dobbiamo pregare perché il Signore faccia in modo che questa zizzania finisca e che ci sia più grano. Ma questa è la vita della Chiesa. Non si può porre un limite. Tutti noi siamo santi, perché tutti noi abbiamo lo Spirito Santo dentro, ma siamo – tutti noi – peccatori. Io per primo. D’accordo? Grazie. Non so se ho risposto… Non solo scusa, ma perdono!

Padre Lombardi:
Santo Padre, mi permetto di fare io un’ultima domanda e poi La lasciamo andare in pace…

Papa Francesco:
Non mi metta in difficoltà….

Padre Lombardi:
Riguarda il prossimo viaggio in Polonia, a cui stiamo già cominciando a prepararci. E Lei vi dedicherà la preparazione in questo mese di luglio. Se ci dice qualcosa sui sentimenti con cui va verso questa Giornata Mondiale della Gioventù, in questo Giubileo della Misericordia. E un altro punto, un po’ specifico, è questo: noi abbiamo visitato con Lei il Memoriale di Tzitzernakaberd, durante la visita in Armenia, e Lei visiterà anche Auschwitz e Birkenau, durante il viaggio in Polonia. Io ho sentito che Lei desidera vivere questi momenti più col silenzio che con le parole, sia come ha fatto qui, forse anche a Birkenau. Quindi volevo chiederle se ci voleva dire se avrebbe fatto lì un discorso o se preferiva, invece, fare un momento di preghiera silenziosa con una sua motivazione specifica.

Papa Francesco:
Due anni fa, a Redipuglia, ho fatto lo stesso per commemorare il centenario della Grande Guerra. A Redipuglia sono andato in silenzio. Poi c’era la Messa e alla Messa ho fatto la predica, ma era un’altra cosa. Il silenzio. Oggi abbiamo visto – questa mattina – il silenzio…. Era oggi? [P. Lombardi: No, ieri] Io vorrei andare in quel posto di orrore senza discorsi, senza gente, soltanto i pochi necessari… Ma i giornalisti è sicuro che ci saranno!… Ma senza salutare questo, questo… No, no. Da solo, entrare, pregare… E che il Signore mi dia la grazia di piangere.

Padre Lombardi:
Grazie Santità. Allora La accompagneremo anche nella preparazione di questo prossimo viaggio e La ringraziamo tantissimo per il tempo che ci ha dedicato. Adesso si riposi un po’, mangi anche Lei… E si riposi anche nel mese di luglio, poi.

Papa Francesco:
Grazie tante! Di nuovo grazie, grazie anche per il vostro lavoro e per la vostra benevolenza.

Viaggio del Papa in Armenia: rassegna stampa completa (dal 23 al 27 giugno 2016)

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>> Visit To The First Christian Nation / Pope Francis (Video) 


 


 




 

Papa: in Armenia come servo del Vangelo, pellegrino di pace

Alla vigila del 14° viaggio apostolico in Armenia, Papa Francesco ha diffuso un videomessaggio. Il Pontefice saluta con affetto il “primo Paese cristiano – come recita il motto del viaggio – che incontrerà tra breve. Il servizio del nostro inviato in Armenia, Giancarlo La Vella:

La grande fede cristiana e l’accorata richiesta di pace. Questi i punti salienti sui quali Papa Francesco incentra il videomessaggio col quale saluta il popolo armeno a poche ore dal viaggio.

“Vengo come pellegrino, in questo Anno Giubilare, per attingere alla sapienza antica del vostro popolo e abbeverarmi alle sorgenti della vostra fede, rocciosa come le vostre famose croci scolpite nella pietra”.

Vengo come vostro fratello – continua il Papa – animato dal desiderio di vedere i vostri volti, di pregare con voi e condividere il dono dell’amicizia. Poi Francesco guarda più da vicino le ferite di un popolo tenace, ma duramente colpito nella sua storia, una storia – dice il Santo Padre – che suscita ammirazione e dolore.

“Ammirazione, perché avete trovato nella croce di Gesù e nel vostro ingegno la forza di rialzarvi sempre, anche da sofferenze che sono tra le più terribili che l’umanità ricordi; dolore, per le tragedie che i vostri padri hanno vissuto nella loro carne”.

Ma è un popolo forte, quello armeno, che ha i mezzi per reagire al dolore e agli assalti del male, sottolinea Papa Francesco. Come Noè dopo il diluvio, di fronte alle difficoltà, anche tragiche, non deve mai mancare la speranza e la voglia di resurrezione.

“Come servo del Vangelo e messaggero di pace desidero venire tra voi, per sostenere ogni sforzo sulla via della pace e condividere i nostri passi sul sentiero della riconciliazione, che genera la speranza”.

Il videomessaggio si conclude con spirito ecumenico: il Papa esprime trepidazione nell’attesa di riabbracciare il Patriarca della Chiesa apostolica armena, quello che lui stesso chiama “il mio fratello Karekin”, e insieme a lui dare rinnovato slancio al nostro cammino verso la piena unità. A conclusione del videomessaggio, un saluto in tradizione puramente armena:

“Grazie e a presto! Tsdesutiun!”.

Una via nel nuovo polo universitario dedicata al primo rettore veronese (Veronasera.it 16.06.16)

Una via nel nuovo polo universitario dedicata al primo rettore veronese

Si è svolta questa mattina, 16 giugno, la cerimonia di intitolazione di una nuova via a Hrayr Terzian, medico neurologo e primo rettore dell’Università di Verona. La via è situata nella nuova area di circolazione, posta tra via Campofiore e via dell’Università, creatasi all’interno della recente lottizzazione caserma Passalacqua.
La targa è stata posta in occasione del 33° anniversario della nomina di Terzian a rettore dell’ateneo scaligero, nel 1983, l’anno successivo al riconoscimento dell’autonomia dell’Università di Verona, avvenuta con il distaccamento dall’ateneo patavino nel 1982.
Presenti alla cerimonia il Sindaco Flavio Tosi, il rettore Nicola Sartor, il vice presidente della Provincia Andrea Sardelli, l’assessore ai Servizi demografici Alberto Bozza, la presidente della 1ª Circoscrizione Daniela Drudi, il presidente dell’Unione degli Armeni d’Italia Minas Lourian, l’autrice delle memorie biografiche di Terzian Antonia Arslan, la vedova di Terzian Giuliana Ferri con la figlia Emanuela, oltre a numerosi rappresentanti delle istituzioni civili e religiose cittadine.

“La scelta di dedicare una via, all’interno di quello che sarà il campus della nostra Università, a uno dei padri fondatori del nostro prestigioso ateneo è più che mai appropriata – ha detto il Sindaco – un riconoscimento doveroso anche nei confronti della comunità armena presente a Verona e in Italia, una comunità che mantiene salde le proprie radici e, nonostante le vicissitudini passate, ha saputo imporsi per capacità ed intelligenza”.
Il rettore Sartor ha espresso “gratitudine all’Amministrazione comunale per aver proposto questa intitolazione che onora la nostra Università e testimonia il l’interazione e la positiva collaborazione tra l’ateneo e la città”. Sartor ha ricordato Hrayr Terzian come “un rettore che ha investito completamente la propria energia, il proprio entusiasmo e la propria lungimiranza a servizio dell’Università, facendola decollare verso quei progressi che fanno del nostro ateneo un punto di riferimento a livello nazionale”.
L’assessore Bozza ha sottolineato “lo sforzo, in questa fase di nuove intitolazioni, profuso dall’Amministrazione nel cercare di cogliere gli aspetti storici e civici più significativi per la nostra città, da legare alle moderne urbanizzazioni e riqualificazioni”.

CHI ERA HRAYR TERZIAN – Hrayr Terzian nacque ad Addis Abeba il 18 agosto 1925. Fu medico neurologo, professore di clinica neurologica, nonché direttore dell’istituto di neurologia. Figlio di armeni rifugiati in Etiopia durante la prima guerra mondiale in seguito al massacro e alla cacciata che la popolazione di quell’etnia subì dai turchi, ancora adolescente si trasferì in Italia per studiare presso il Collegio degli armeni a Venezia. Nel 1948 si laureò a Padova e iniziò a frequentare la clinica neurologica diretta da uno dei maggiori neurologi del Novecento, Giovanni Battista Belloni. La sua preparazione scientifica si arricchì a Londra nel reparto neurologico del National Hospital, a Marsiglia, dove apprese le frontiere più avanzate della neurofisiologia mondiale. La sua carriera universitaria iniziò a Padova come assistente, poi professore a Cagliari nel 1966 per approdare a Verona nel 1970 quando la facoltà di medicina era ancora un distaccamento dell’ateneo patavino. Fu insignito di alcuni premi, ottenne la presidenza della Società italiana elettroencefalografia e di neurofisiologia (1965 – 1968), fece parte – nel comitato scientifico – di importanti riviste internazionali. Nei diciotto anni della sua direzione, l’istituto di neurologia di Verona ha raggiunto una strutturazione moderna ed efficiente, acquisendo capacità di elaborazione culturale e di ricerca, che ne hanno permesso l’affermazione in ambito nazionale e internazionale; fu tra i primi a riflettere sulla gravità del fenomeno della tossicodipendenza, analizzandone cause e conseguenze sociali e organizzando in Clinica un centro di studio e assistenza per tossicodipendenti. Fu uomo attento agli aspetti sociali e politici della pratica medica; fondamentale fu l’incontro con Franco Basaglia con cui lavorò per la riforma della moderna psichiatria, ponendo al centro dell’agire medico il rispetto per il malato. Quando, nel 1982, l’Università di Verona divenne autonoma, ne fu il primo Rettore, capace di una visione progettuale della ricerca che fece la fortuna del neonato Ateneo. All’inaugurazione del primo anno accademico volle la presenza di Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica. Nella sua instancabile attività si è battuto per il ruolo centrale dell’Università come luogo di elaborazione e diffusione del sapere, come comunità plurale nella quale si creano e si consolidano le basi del progresso culturale, tecnico, scientifico e sociale. Hrayr Terzian scomparve a Verona, per un aneurisma, nel 1988.

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Intitolata una strada al primo rettore: è Via Terzian (L’Arena 16.06.16)

Lettera del Consiglio per la comunità armena di Roma all’Ambasciata Tedesca

Il Consiglio per la comunità armena di Roma esprime, attraverso codesta rappresentanza diplomatica, la più profonda gratitudine ai membri del Bundestag tedesco, per il coraggio e la determinazione con i quali hanno approvato la risoluzione sul genocidio armeno, riconoscendone la validità storica e rendendo omaggio alla Memoria del milione e mezzo di armeni che hanno perso la vita in quel che viene definito il “primo genocidio del XX secolo”.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma nel contempo auspica che questo ulteriore riconoscimento sia d’incoraggiamento a tutta la società civile turca per cominciare a fare i conti con la propria storia e con il proprio passato in modo da poter guardare ad un futuro più sereno e costruttivo.

Auspichiamo altresì che il governo turco rinunci, una volta per sempre, alla politica negazionista che offende non solo la memoria dei morti ma anche la dignità di un popolo. Poiché la negazione non è altro che l’ultimo atto di un genocidio.

Consiglio per la comunità armena di Roma

La Germania riconosce il genocidio degli armeni, Erdogan richiama l’ambasciatore (Raccolta 02.06.2016)

Il Bundestag alla fine ha approvato la risoluzione che riconosce il genocidio degli armeni, massacrati da parte dell’Impero ottomano nel 1915.

Angela Merkel e Recep Tayyip Erdoğan a Istanbul

La Turchia, per tutta risposta, ha richiamato il proprio ambasciatore a Berlino, in segno di clamorosa protesta.

La camera bassa del parlamento di Berlino non ha avuto paura delle minacce della Turchia di Recep Erdogan, che alla vigilia del voto aveva fatto sapere, per bocca del primo ministro Binali Yildrim, che un voto favorevole avrebbe “messo a dura prova” l’amicizia turco-tedesca, ponendo a rischio le relazioni diplomatiche fra i due Paesi.

Oggi il presidente turco, parlando a Nairobi, ha spiegato che il voto tedesco “comprometterà seriamente i rapporti fra i due Paesi: il ritiro dell’ambasciatore è stato solo il primo paso”

L’assemblea legislativa della Germania, però, non ha temuto gli strali provenienti da Ankara e ha votato la mozione quasi all’unanimità: solo un deputato si è astenuto e un altro ha votato contro. Tra il 1915 e il 1916 il governo dell’allora Sublime Porta ordinò l’espulsione e il massacro di un milione e mezzo di armeni, sparsi nelle varie province dell’Impero ottomano. In tempi recenti, però, la Turchia si è sempre opposta con forza a chi ha qualificato quei fatti come “genocidio”, facendone una questione pregiudiziale della propria politica estera.

La sfida tedesca alla Mezzaluna, peraltro, giunge in un momento assai delicato. Ieri scadeva il termine per l’implementazione dell‘accordo fra Turchia e Ue sui migranti, in base al quale Ankara dovrebe frenare il flusso incontrollato degli arrivi in cambio della liberalizzazione dei visti necessari ai cittadini turchi per circolare liberamente nel territorio dell’Unione.

Se Erdogan ha sempre alzato la voce contro le presunte incoerenze dell’Europa, che si ostina a pretendere dalla Turchia il rispetto delle 72 clausole sul rispetto dei diritti umani, ora la questione dell’Armenia rischia di riaprire una ferita mai del tutto rimarginatasi.

Se il presidente turco alza la voce, Angela Merkel sembra però più conciliante: “La Germania ha ampie e forti relazioni con la Turchia nonostante le differenze su alcune questioni – spiega la cancelliera – Affrontare questioni controverse fa parte della democrazia: il voto sugli armeni non intaccherà le nostre relazioni amichevoli e strategiche”.

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Istanbul – Il Parlamento tedesco ha approvato una risoluzione con la quale definisce “genocidio” la strage degli armeni del 1915 e la reazione della Turchia non si è fatta attendere: richiamato l’ambasciatore ad Ankara, mentre il presidente Recep Tayyip Erdogan da Nairobi ha annunciato “serie ripercussioni” nei rapporti tra i due Paesi ma anche con l’Europa. Basta il termine “genocidio” ad aprire una crisi tra la Turchia e il suo principale partner commerciale, una crepa sulle cui conseguenze Erdogan aveva già messo in guardia la cancelliera Angela Merkel con una telefonata di venerdì, invitando la cancelliera a considerare i rapporti tra i due Paesi e i tre milioni e mezzo di cittadini turchi residenti in Germania.

Una decisione che “comprometterà seriamente i rapporti tra i due Paesi”, ha avvertito Erdogan. Di “errore storico”, ha parlato il governo turco che ha respinto la risoluzione del Bundestag come “nullo e mai avvenuto”, e richiamando l’ambasciatore.

L’approvazione della risoluzione da parte della Camera bassa tedesca giunge al culmine delle tensioni per l’accordo sulla crisi dei migranti che prevede, in cambio dell’aiuto di Ankara, l’abolizione del visto Ue per i cittadini turchi se la Turchia rispetterà le condizioni poste da Bruxelles. Un prezzo politicamente elevato per Berlino che in caso di apertura delle frontiere europee rischia di vedere intensificato l’arrivo di cittadini turchi. E la tensione tra i due governi è in continua crescita. Il voto di oggi era già stato programmato lo scorso anno, ma fu congelato dopo una serrata polemica internazionale proprio per non compromettere i rapporti tra Germania e Turchia.

E le conseguenze, al di là delle smentite di rito, potrebbero estendersi agli accordi che Ankara ha preso con Bruxelles, considerando che la Merkel è stata la principale controparte con la quale l’ex premier Ahmet Davutoglu ha condotto la trattativa che ha portato alla chiusura dell’accordo siglato lo scorso 18 marzo che prevedeva la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi e il respingimento degli immigrati irregolari dalla Grecia in Turchia. Per il neo premier Binali Yildirim si tratta invece del primo banco di prova in ambito di politica internazionale. Negli scorsi giorni Yildirim aveva definito “ridicola” la discussione della risoluzione da parte del Bundestag, per poi riferire i tragici fatti del 1915 a “dinamiche normali in tempo di guerra, avvenuti in qualsiasi territorio che abbia combattuto la prima guerra mondiale”. Oggi il premier si è limitato a esprimere il proprio disappunto, mentre il suo vice Numan Kurtulmus ha assicurato che la reazione della Turchia “non si fara’ attendere in nessun ambito”.

Angela Merkel, con Ankara relazioni solide

Il ministro degli Esteri tedesco, Wolfgang Steinmeier, da Buenos Aires ha cercato di gettare acqua sul fuoco: “Ci aspettavamo il malcontento da parte di Ankara, lavoreremo nelle prossime settimane per evitare che le reazioni diventino sproporzionate”.

Non e’ solo l’Akp, il partito di maggioranza cui appartengono presidente e premier, a fare la voce grossa. I rappresentanti di tre dei quattro partiti in parlamento hanno firmato una dichiarazione congiunta, con la quale invitano la Germania a rivedere il testo, approvato “a detrimento di tutte le parti”. I repubblicani del Chp, principale partito di opposizione, attraverso il portavoce Ozturk Yilmaz ha definito “inaccettabile” il voto tedesco, un voto che danneggia i cittadini di origine turca e pone un ulteriore ostacolo al processo di riavvicinamento di Turchia e Armenia, mentre i nazionalisti del Mhp hanno invitato Berlino “a riprendersi gli immigrati”. Solo i curdi del Hdp hanno rifiutato la firma, invitando il Parlamento turco a “guardare in faccia alla realta’”.

Un contenzioso che dura da oltre un secolo

Lo scorso anno, in occasione del centenario dello sterminio, fu Papa Francesco a utilizzare il termine “genocidio” scatenando la dura reazione di Erdogan, in seguito alla quale si sfiorò la crisi diplomatica con il Vaticano. In quell’occasione il presidente turco rinnovo’ la proposta di una commissione congiunta di storici turchi e armeni che lavorasse “al raggiungimento di una verita’ storica, per porre fine a strumentalizzazioni da parte della politica”. Quando ancora ricopriva la carica di premier infatti, Erdogan scrisse al presidente armeno Robert Kocharyan, offrendo la completa apertura degli archivi e la pubblicazione dei documenti relativi le operazioni militari del 1915. Secondo Erevan furono un milione e mezzo i morti, il triplo di quelli riconosciuti da Ankara , ma al di la’ dei numeri sono le modalita’ a costituire il nervo scoperto di una questione che appare non avere sintesi né soluzione. Per gli armeni rastrellamenti, campi di sterminio e pulizia etnica non laciano spazio a dubbi: fu genocidio. Per i turchi la carenza di cibo e il freddo glaciale che attanaglia sistematicamente una regione dove le temperature raggiungono anche i -50°C, furono tra i principali fattori alla base di una strage che vide morire, secondo Ankara, anche piu’ del 60% dei soldati turchi.

Finora 20 Paesi – tra i quali Francia e Russia – hanno già riconosciuto ufficialmente lo status di genocidio al massacro degli armeni. (AGI)



Genocidio Armeno, gli archivi vaticani dell’epoca inchiodano la Turchia (Il Messaggero)

Franca Ginasoldati

CITTA’ DEL VATICANO – Il copione si ripete. Stavolta la tensione alle stelle investe i rapporti tra Germania e Turchia, due Paesi storicamente alleati dai tempi dell’Impero Ottomano. Il Bundestang approvando la Risoluzione presentata da Cdu, Spd e Verdi per riconoscere il genocidio armeno, il primo genocidio del XX secolo, un capitolo buio e vergognoso per l’Europa intera, costato la vita a un  milione e mezzo di uomini, donne e bambini sterminati tra il 1915 e il 1919, ha indebolito le buone relazioni con Ankara.  Nonostante siano passati 100 anni da quei fatti, la Turchia moderna continua a respingere qualsiasi addebito storico, anzi minaccia apertamente quei Paesi che portano avanti mozioni parlamentari tese a ristabilire la verità storica. L’anno scorso a farne le spese era stato Papa Francesco che aveva osato pronunciare, durante una messa a San Pietro per le vittime dello sterminio, la parola «genocidio». Per tutta risposta il presidente Erdogan aveva richiamato immediatamente il suo ambasciatore, congelando le relazioni diplomatiche.

La Germania resta in attesa di conoscere la controffensive di Ankara anche se le intimidazioni non hanno fermato l’iter parlamentare. Contro il testo della risoluzione si è espresso il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, della Spd. Il presidente turco, nei giorni scorsi, ha fatto sapere a Berlino che scatteranno pesanti conseguenze. Erdogan, durante una conversazione telefonica con la Cancelliera, si è appellato al buon senso della Merkel. Sullo sfondo ci sono notevoli interessi commerciali, militari, strategici. Il presidente armeno, Serz Sargsyan, in una intervista alla Bild, tre giorni fa aveva incoraggiato i deputati del Bundestag a non lasciarsi intimidire. «Non è giusto che non si possa chiamare genocidio il genocidio contro gli armeni, solo perché il capo di Stato di un altro Paese ne è disturbato». Paesi come Russia e Francia in passato hanno riconosciuto il genocidio. Il Parlamento italiano lo ha fatto nel 2000, con una mozione trasversale presenta dal leghista Pagliarini. Di dubbi storici non ce ne sono su come si svilupparono i fatti non ce ne sono. Il piano di sterminio fu pianificato nel 1915 a tavolino dal triumvirato Talat, Enver e Pasha, tre ministri che, ancora oggi, sono considerati eroi nazionali, al pari di Garibaldi o Mazzini.

Erdogan aveva anche proposto agli armeni di istituire una commissione storica per stabilire la verità ma nulla si è mosso. Secondo gli armeni i morti di quelle terribili marce forzate nel deserto, superano il milione e mezzo, secondo i turchi si attestano a 200-300 mila: le stragi sono attribuite al durissimo inverno e alla carenza di cibo. L’anno scorso la Santa Sede ha terminato di raccogliere, catalogare, pubblicare e rendere fruibili gli sterminati archivi dell’epoca (1914-1920), mettendoli a totale disposizione di tutti gli studiosi del mondo. Contengono cablogrammi, dossier, resoconti diplomatici, lettere di sacerdoti, missionari, vescovi, appunti arrivati a Roma da diversi ambasciatori e testimoni vari, dai quali è facile ricostruire nel dettaglio ogni singola fase genocidaria. Il fatto è che gli armeni sotto l’Impero Ottomano erano una minoranza ricchissima, influente, di religione cristiana da sterminare per poter incamerare (mediante una legge parlamentare) le immense ricchezze. Tra due settimane Papa Francesco andrà a Yerevan, a pregare sul memoriale del genocidio. Libererà due colombe pensando alla pace, guardando l’Ararat, e sperando che la scintilla della misericordia possa fare mutare la direzione del vento politico.


Berlino e il «genocidio» armeno – Un duro colpo per Erdogan Corriere della Sera

Il parlamento tedesco ha votato nella mattinata di giovedì, quasi all’unanimità, una mozione che definisce «genocidio» il massacro degli armeni avvenuto a opera dell’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916: un milione e mezzo di morti.

Ha così affermato due cose. Primo che non si fa intimorire dalle molte reazioni turche, innanzitutto quelle del presidente Recep Tayyp Erdogan, il quale nei giorni scorsi ha minacciato ripercussioni nelle relazioni bilaterali tra Ankara e Berlino, a causa della mozione. Anche durante una telefonata con Angela Merkel.

Da parte del Bundestag, è un atto di affermazione di autonomia, anche se molti deputati si rendevano conto, mentre votavano, che la reazione turca avrebbe potuto creare problemi all’accordo sui rifugiati che la Ue ha firmato con Ankara e che la cancelliera tedesca ha voluto a tutti i costi (Frau Merkel non era in aula per altri impegni). In realtà, il tenere ferma la posizione da parte del parlamento di Berlino ribalta su Erdogan il problema: ora dovrà decidere se vale la pena prendere iniziative drastiche per una questione rilevante dal punto di vista politico ma senza conseguenze pratiche. Non probabile, dicono gli osservatori, al di là delle dichiarazioni e magari del coinvolgere gli ambasciatori dei due Paesi come forma di protesta.

La seconda affermazione del Bundestag riguarda l’idea di portare in parlamento una questione che solitamente si lasciava agli storici (altri Paesi lo hanno già fatto) e decidere su basi politiche che quello di allora fu un genocidio (alcuni storici non sono d’accordo, ritengono che l’obiettivo ottomano non fosse lo sterminio definitivo degli armeni). In Germania, la mozione non avrà forza di legge, quindi nessuno andrà in prigione o verrò multato se negherà il genocidio armeno. Ciò nonostante, alcuni storici e intellettuali hanno sollevato dubbi sull’opportunità di un’azione del genere.

Occorre aggiungere che la mozione votata è anche molto autocritica sul ruolo della Germania, alleata dell’Impero Ottomano durante la prima guerra mondiale, nelle vicende di quegli anni. Sapeva e non disse niente.



Per la Germania la strage ottomana degli Armeni fu “genocidio” (Radio Vaticana)

Quasi all’unanimità il Bundestag, il parlamento tedesco, ha approvato oggi la risoluzione che definisce come genocidio il massacro degli armeni da parte dell’Impero Ottomano, avvenuto tra il 1915 e il 1916. La risoluzione, che è stata adottata con un solo voto contrario e un astenuto, rischia di raffreddare i rapporti tra Berlino e la Turchia, che ha già richiamato ad Ankara il proprio ambasciatore in Germania. Sentiamo Giancarlo La Vella:

Non vogliamo mettere la Turchia sotto accusa, ma riconoscere che la riconciliazione è possibile solo se i fatti accaduti vengono riconosciuti. Questo il commento del capogruppo dei Cristiano democratici sulle sofferenze subite da 1 milione e mezzo di armeni, espulsi e uccisi. Parole chiare e nette di fronte alla posizione negazionista dei governi turchi dopo la fine dell’Impero Ottomano. Non fa eccezione la Turchia di oggi. Dopo aver richiamato per consultazioni l’ambasciatore a Berlino, il presidente Erdogan ha parlato di serie conseguenze nei rapporti economici e militari tra Ankara e Berlino. I tedeschi pensino all’olocausto e non agli armeni – ha aggiunto il ministro della Giustizia, Bozdag. La cancelliera Merkel minimizza: “Con Ankara rapporti solidi, ma idee diverse”. Il timore è che ad andarci di mezzo sia proprio il recente accordo tra Turchia e Unione Europea sulla crisi dei migranti. Dalla sua, l’Armenia ha accolto con soddisfazione il voto del Bundestag, ma rimane in attesa della dichiarazione più importante: quella della Turchia. Venti Paesi, tra i quali Italia, Francia e Russia hanno già riconosciuto il genocidio degli armeni.



La tragedia armena: ferita ancora aperta (Avvenire.it)

Quello armeno fu il primo genocidio del XX secolo, ma il massacro avvenuto tra il 1915 e il 1918 è stato riconosciuto ufficialmente soltanto da 29 Paesi (compresa la Germania con il voto di oggi). L’Onu lo riconobbe già nel 1985 e due anni dopo fu la volta del Parlamento europeo. A cento anni dall’inizio delle deportazioni, la Turchia continua a negare ciò che è invece considerato un fatto dalla maggior parte degli storici contemporanei e che lo studioso Michael Hesemann ha certificato una volta di più attraverso un attento studio degli archivi segreti Vaticani nel 2012 (leggi l’intervista).

Giovanni Paolo II usò la parola “genocidio” in un documento firmato nel 2001 dal patriarca armeno Karekin II, mentre Jorge Bergoglio lo aveva già impiegato prima di diventare Pontefice nel 2013 e almeno una volta in privato. Ad aprile dello scorso anno lo stesso Francesco ha pronunciato il termine il termine in pubblico, in occasione del centenario dell’inizio dei massacri.

I FATTI. L’incubo armeno comincio nell’ottobre nel 1914 quando gli ottomani entrarono in guerra al fianco dell’Impero Austro-ungarico e della Germania. Poche settimane dopo i primi arresti di massa dei leader armeni, nel maggio 1915, una legge speciale autorizzò le deportazioni per motivi di sicurezza interna di tutti i gruppi sospetti. La popolazione armena di Anatolia e di Cilicia, additata come “il nemico interno”, fu deportata verso i deserti della Mesopotamia. Durante l’esodo forzato molti morirono di stenti e malattie o furono uccisi da guerrieri curdi al servizio degli ottomani. Altri morirono nei campi dove furono confinati mentre alcuni riuscirono a fuggire in Occidente. L’operazione di pulizia etnica mirava ad occupare le terre appartenenti agli armeni e ad annichilire le speranze di una minoranza cristiana. Nel maggio 1918 fu infine istituito uno Stato armeno, inglobato nell’ex Urss. Dopo decenni di ostilità, nel dicembre del 1991, la Turchia riconobbe l’indipendenza dell’Armenia dall’Unione Sovietica, senza però stabilire alcun contatto diplomatico. Nel 2005 Ankara si mostrò per la prima volta disponibile all’avvio di relazioni politiche.

PAROLE E NUMERI. La Turchia non riconosce il termine “genocidio”, ma ammette i massacri e la morte di molti armeni durante le deportazioni. Secondo Ankara si trattò di repressione contro una popolazione che collaborava con la Russia zarista. Ma la questione rimasta da sempre in sospeso è quella sui numeri dei morti: circa 1,3 milini di vittime per gran parte della comunità internazionale, tra i 250 e i 500mila per Ankara.

Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento proponiamo qui un brano tratto da Libro per Pietro. Memorie per un figlio di Herman Vahramian, una delle voci più interessanti della diaspora armena in Italia e in Europa e per lungo tempo nostro collaboratore fino alla sua morte nel 2009 a Milano.


 

Lutto nellla comunità armena di Roma per la prematura scomparsa di Michel Jeangey

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Il Consiglio per la comunità armena dà il triste annuncio della prematura scomparsa del Diacono Michel Jeangey,

già direttore della sezione armena di Radio Vaticana e già Presidente del Consiglio per la comunità armena di Roma,

che è venuto a mancare nella prime ore dell’alba del 28 maggio 2016.

Michel, era conosciuto da tutti per la sua dedizione alla chiesa ed alla comunità, per il suo spirito servizievole e altruista, per il suo carettere mite e discreto.

Era un punto di riferimento per tante persone. Per lui contava più il fare che l’apparire.

Ha servito la comunità con spirito di sacrificio, pensava sempre a chi ne aveva bisogno, a chi stava in difficoltà, a chi cercava lavoro o a chi doveva risolvere qualche problema.

Di fronte alle ingiustizie subite sorrideva, non portava rancore. Aveva uno sguardo positivo della vita.

E’ stato per più di trent’anni l’anima viva degli incontri comunitari, in particoalre della Festa del Natale Armeno e dell’annuale gita campestre.

Il 27 settembre 2007 era stato insignito da Benedetto XVI con l’onorificenza di Commendatore del Santo Ordine di Papa Silvestro.

Servire e far felice gli altri era il suo motto e lo è stato fino all’ultimo respiro, quando questa mattina ci ha lasciati dopo aver organizzato

la festa del 50° anniversario della sezione armena della Radio Vaticana .

Il Conisglio per la comunità armena di Roma, piange la sua morte e si stringe commosso

alla moglie Sonia ed alle Figlie Michelle e Christine ed a tutti coloro che lo hanno conosciuto e che lo hanno voluto bene.

La sua scomprasa lascia un vuoto incolmabile.

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I funerali si svolgeranno lunedì 30 maggio 2016 alle ore 11 presso la Chiesa Armena di San Nicola da Tolentino 17.

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