Nell’84° giorno del blocco criminale del corridoio di Lachin(Berdzor) – a dispetto della sentenza della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite di non ostacolare la libera circolazione di merci, persone e trasporti attraverso il corridoio – la dittatura di Baku ha realizzatol’ennesimo atto terroristico contro gli armeni dell’Artsakh. La mattina del 5 marzo un gruppo di militari azeri è penetrato nel territorio controllato dalle forze di pace russe e ha sparato contro un’auto della polizia locale nei pressi del villaggio di Ghaibalishen, non troppo lontano da Stepanakert, togliendo la vita al tenente colonnello Armen Babayan, al maggiore David Danielyan e al tenente Ararat Gasparyan.
La propaganda dell’Azerbaigian
Da giorni le truppe azere continuavano a sparare nella direzione delle postazioni armene e anche contro le camere di sorveglianza per danneggiare ogni sistema di sicurezza e per impedire la videoregistrazione dei loro atti criminali. Tra l’altro, come preludio a ogni tipo di incursione militare, la macchina di propaganda dell’Azerbaigian in modo proattivo si era impegnata a preparare testi per accusare la parte armena.
Così, giustificando queste ultime uccisioni, la macchina di propaganda azera ha spacciato per verità le fake news su un presumibile “trasporto di armi”, smentite subito con la pubblicazione da parte delle autorità dell’Artsakh di una serie di filmati, i quali hanno rivelato tra l’altro che i soldati azeri, entrati nel territorio degli armeni, avevano teso loro un’imboscata.
Sradicare gli armeni dalla loro terra
Da oltre 84 giorni le autorità di Baku continuano a orchestrare – mediante gruppi di persone accompagnate da convogli, soldati e agenti speciali – una manifestazione etichettata come “ambientalista” sulla strada di Lachin, l’unico collegamento tra Artsakh e Armenia, dopo la pulizia etnica degli insediamenti armeni di Berdzòr, Aghavnò e Sus.
L’Azerbaigian, sempre agli ultimi posti nelle classifiche mondiali sui diritti umani e sulle libertà di espressione e della stampa, sta sfruttando le manifestazioni, come ogni altro tipo di espressione democratica – un fatto notato anche da diversi giornalisti azeri. Naturalmente sarebbe vietato esprimersi, per esempio, sull’inquinamento del Caspio causato dal massiccio sfruttamento delle miniere petrolifere. Va aggiunto che il piano – rivelatosi nella dichiarazione del presidente azero: «[Gli armeni dell’Artsakh] possono andare via, la strada è aperta» – manifesta l’intenzione di sradicare la popolazione armena dell’Artsakh e corrisponde perfettamente a quanto definito dall’articolo 2 della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948): un palese atto di genocidio.
Se Baku è un “partner affidabile”
Comunque, più preoccupante è il fatto che simili dichiarazioni si inquadrino nella logica del demagogismo russo-turco, alla base di ogni politica anti-armena: «Non siamo noi a bloccare la strada» dichiarano all’unisono sia i russi chiamati “forze di pace”, sia gli aggressori azeri, giocando con l’Armenia e con gli spettatori occidentali. Nel frattempo, per aggravare la situazione, la parte azera danneggia sistematicamente le infrastrutture di gas e di elettricità della piccola repubblica autoproclamata, dove 120 mila persone restano intrappolate e dove sono privati del diritto allo studio oltre 6.000 alunni degli enti pre-scolari, 19.000 studenti delle scuole medie e 6.800 studenti universitari.
È questo che accade quando i dittatori si guadagnano l’alloro di santi fornitori di gas: “partner affidabili” dell’Europa e, allo stesso tempo, artefici e negazionisti di un genocidio infinito degli armeni.
L’Armenia invia aiuti alla Turchia terremotata
Dopo il terremoto devastante avvenuto il mese scorso in Turchia meridionale, l’Armenia è stata tra i primi paesi a mandare una squadra professionale di soccorso e centinaia di tonnellate di assistenza umanitaria a uno Stato fondato, tra l’altro, sui cadaveri di armeni, curdi e greci del Ponto; a quella Turchia di un fiero dittatore, erede di un enorme patrimonio economico, finanziario e culturale strappato agli armeni durante il genocidio del 1915-23. Sempre in linea con i valori universali, gli armeni hanno mandato assistenza alla Turchia, alla quale nel 1928, nel nome di Agop Martayan, regalarono perfino l’attuale alfabeto (Turk alfabesi), aiutando il popolo turco a stabilirsi anche culturalmente come una nazione.
Oggi, avvalendosi del doppiogiochismo dell’Occidente, che si manifesta nella mancanza di appoggio all’Armenia di fronte alla minaccia esistenziale, la Turchia di Erdogan continua a favorire l’annientamento degli armeni, secondo le mappe dell’espansionismo del “mondo turco” nelle quali Erevan – unica democrazia sudcaucasica – è già cancellata.
L’Armenia è come l’Ucraina
Nella recente conferenza stamparilasciata assieme al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Giorgia Meloni ha dichiarato che «la comunità internazionale non accetta l’invasione di Stati sovrani», non accetta «un mondo dove la forza può ridisegnare i confini tra gli Stati» e non accetta un mondo dove «chi ritiene di essere militarmente più forte si ritiene, per questo, anche in diritto di invadere il suo vicino».
Resta aperta la domanda: allora perché il mondo tace quando l’Azerbaigian invade l’Armenia a Jermuk, Ishkhanasar, Shorzha e Sotq, uccidendo soldati e civili armeni? Aliyev non sta calpestando il diritto internazionale con la forza? O le sentenze della Corte Internazionale dell’Onu non emanano dal diritto internazionale? Bisogna notare che girandosi dall’altra parte, i doppiogiochisti avvicinano automaticamente anche il trionfo del terrorismo internazionale e di nuove modalità di fare guerre per procura. Non dimentichiamo che la Turchia nel 2020 trasportava mercenari jihadisti dalla Siria in Azerbaigian per «conquistare le terre degli infedeli».
Pure questa è un’invasione di un altro Stato e pure qui c’è un popolo aggredito: il popolo armeno. Un popolo che non aveva in partenza le stesse forze per difendersi ma che a prezzo del proprio sangue protegge la sicurezza dell’Europa. Dunque, è facilissimo ricontestualizzare e attribuire le parole della Meloni anche al caso armeno: la battaglia che l’Armenia combatte, la combatte per ciascuno di noi. Non esistono giustificazioni morali per fare finta di non vedere.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-03-08 20:05:042023-03-09 20:07:30L’Armenia va difesa proprio come l’Ucraina (Tempi 08.03.23)
Domenica l’agenzia di stampa Armenpress aveva diffuso una notizia: un gruppo di sabotatori dell’esercito azero ha sparato contro un mezzo della polizia armena. L’agenzia di stampa Apa raccontava un’altra storia: un gruppo di militari azeri ha impedito una provocazione da parte dei separatisti armeni. Il veicolo grigio della polizia armena crivellato di colpi è rimasto immobile lungo l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia: il corridoio di Lachin. I morti sono stati cinque, tre poliziotti armeni e due soldati dell’Azerbaigian. Baku accusa Erevan di voler portare armi ai separatisti del Nagorno-Karabakh, territorio interno allo stato azero abitato da armeni. Erevan accusa Baku di aver bloccato il corridoio di Lachin a qualsiasi rifornimento destinato agli armeni del Nagorno-Karabakh.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-03-08 19:56:412023-03-09 20:01:19L'Iran collabora con Mosca in Ucraina pensando al Caucaso meridionale (Il Foglio 08.03.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.03.2023 – Vik van Brantegem] – In questa Giornata Internazionale della Donna il nostro pensiero va a tutte le donne, in particolare alle donne armene e specialmente alle madri e ai loro bambini piccoli che soffrono per la mancanza di cibo, di riscaldamento, di medicine e di cure mediche adeguate a causa del blocco illegale imposto dall’Azerbajgian all’Artsakh. Oggi celebriamo particolarmente il coraggio delle donne dell’Artsakh. Lottano per la libertà con i 120.000 Armeni, tra cui 30.000 bambini (più di 300 nati dopo il 12 dicembre 2022, durante il blocco), intrappolati nella loro terra ancestrale del Caucaso meridionale dal regime autocratico dell’Azerbajgiana, che mira alla spoliazione del patrimonio storico, culturale e cristiano del popolo armeno. #StandWithArtsakh #EndArtsakhBlockade
Le madri sotto assedio in Artsakh denunciano il genocidio e sfidano il blocco di 120.000 Armeni [QUI]. «I neonati e i bambini piccoli corrono un grave rischio di malnutrizione, persino di fame, se gli aiuti di emergenza internazionali non vengono implementati presto» (Uzay Bulut, giornalista di origine turca).
I bambini e le donnedi Askeran che hanno organizzato la giornata speciale dell’8 marzo.
Dopo la guerra dei 44 giorni in Artsakh, Askeran divenne un insediamento di confine. Quasi tre anni dopo, nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli, le persone continuano non solo a vivere e lavorare, ma anche a sostenere le donne attive e creative della regione con varie iniziative.
Alla Arzumanyan ha 59 anni e ha vissuto ad Askeran per tutta la vita. Lavora come capo del Servizio di protezione statale dell’ambiente storico. Ha spiegato che dopo la guerra dei 44 giorni 126 monumenti storici di Askeran sono passati sotto il controllo dell’Azerbajgian. In molti casi, il Servizio di protezione statale non può neanche avvicinarsi ai monumenti che sono sotto ancora il controllo dell’Artsakh, perché si trovano sotto l’osservazione dei soldati azeri. Tuttavia, anche in queste condizioni, l’organizzazione continua a lavorare alla conservazione dei restanti monumenti.
Durante la prima guerra dell’Artsakh, Arzumanyan ha lavorato in una fabbrica di vino. All’inizio del movimento di liberazione dell’Artsakh, ha lavorato come cuoca e ha continuato a combattere nel reggimento di carri armati Askeran fino alla fine della guerra. Poi ha lavorato come ristoratrice e ha aperto un caffè all’aperto nel suo cortile, uno dei primi caffè di quegli anni. Era più un luogo di incontro per giovani e donne, dove si riunivano con una tazza di tè e discutevano di vari argomenti.
È così che è nata Mayrik. Ha tenuto fede al suo nome perché, come una madre, ha riunito non solo gente del posto ma anche turisti. Le tisane con additivi alla frutta, le patatine di frutta e verdura e le caramelle alla frutta sono diventate una fonte di piccole imprese.
La guerra dei 44 giorni ha cambiato tutto. L’assenza di turisti ha avuto un impatto su questa piccola impresa. Oltre a Mayrik, Arzumanyan, insieme ad altre donne intraprendenti, ha aperto il Centro di Sviluppo di Askeran e ha iniziato a collaborare con diverse organizzazioni no profit per organizzare proiezioni di film, dibattiti, incontri con psicologi e corsi professionali nel campo dell’agricoltura. Si è scoperto che le donne sono interessate al lavoro agricolo come fonte di reddito, quindi hanno iniziato a coltivare i campi, cosa che non avevano mai fatto prima.
Tutte queste donne hanno mantenuto il loro lavoro regolare, ma era difficile sostenere le loro famiglie con quei salari. Ruzanna è un’insegnante, impegnata nell’allevamento di pollame con la suocera, che, tra l’altro, è la donna più anziana del centro con i suoi 78 anni, ma continua a lavorare. Marine cuoce i tradizionali cappelli jingalov (pane appiattito ripieno di verdure). Maria è una fiorista. Narine lavora nell’apicoltura. Zarina alleva maiali e Lilia mette sott’aceto verdure in vasetti. Mira raccoglie cachi, la maggior parte dei quali vende. Il resto li asciuga.
Uno dei beneficiari del Centro di Sviluppo di Askeran è Mira Hayrapetyan, un’insegnante di scuola elementare di 63 anni, che lavora nel campo dell’istruzione da 45 anni. I suoi due figli e la figlia prestano servizio nelle forze armate dell’Artsakh. “Servo la patria con una penna, i miei figli con un’arma”, dice Hayrapetyan con orgoglio. Sebbene ami molto i suoi studenti, le piace di più lavorare la terra. Ha un terreno di 3.000 metri, un orto e un frutteto, da cui raccoglie fino a una tonnellata di cachi all’anno. Inoltre, produce cappelletti jingalov, sottaceti e cibi secchi. Durante la guerra raccoglieva anche cachi sotto i bombardamenti e cuoceva il pane con altre donne da inviare nelle postazioni di combattimento. “Non ho il diritto di preoccuparmi”, dice. “Non me lo permetto, perché ho tre figli in postazione. La cosa più importante è vivere qui in modo che l’Artsakh non si spopoli. Questa sarà la nostra più grande missione”, ha aggiunto con fermezza.
Lana Hambardzumyan è la partecipante più giovane del Centro. È una studentessa di giornalismo di 20 anni di Ughtasar. Dopo la guerra dei 44 giorni, Ughtasar e altre sette comunità del distretto di Askeran furono occupate dall’Azerbajgian. Ora Hambardzumyan vive con la sua famiglia nella città di Askeran. Oltre ai suoi studi, partecipa attivamente a iniziative di sviluppo della comunità. È membro dell’Unione dei Rifugiati per la Giustizia e ha organizzato eventi per i bambini nei villaggi.
Per queste donne è stato difficile adattarsi alla realtà del dopoguerra. Questi incontri e discussioni li aiutano a tornare alle loro vite precedenti. “Ho notato che stanno già discutendo del rapporto tra la sposa e la suocera”, scherza Arzumanyan, come se stessero tornando in vita. Ma, dice, “Viviamo per oggi. Tutti i nostri piani iniziano con le espressioni ‘Se sopravviviamo’ e ‘Se c’è pace’”.
Durante il blocco dell’Artsakh in corso, queste donne continuano a lottare, non solo per provvedere alle loro famiglie, ma anche per sostenere i residenti bisognosi della comunità di Askeran.
Le donne si sono riunite presso il Centro di Sviluppo di Askeran per discutere i loro piani futuri e assaggiare il cibo e i dolci che hanno preparato.
Il Centro di Sviluppo di Askaran ha iniziato a raccogliere cibo e vestiti pesanti da distribuire alle famiglie più bisognose. Arzumanyan dice che è stato durante il blocco che si sono resi conto dell’importanza e della rilevanza della formazione organizzata dal centro e dei programmi attuati. Ad esempio, il raccolto dell’orto di Hayrapetyan e le uova ottenute grazie all’allevamento di pollame di Ruzanna hanno svolto un ruolo fondamentale nel soddisfare i bisogni dei membri della comunità che affrontano gravi carenze alimentari.
Il Centro ha programmato per questo mese una serie di attività nel fine settimana per i bambini. Hayrapetyan insegnerà ai bambini come realizzare i tradizionali cappelli jingalov. Arzumanyan insegnerà loro come fare il dolma. Hanno anche programmato un incontro con uno psicologo infantile, che attraverso l’arteterapia cercherà di distrarre i bambini dai problemi personali ed emotivi nelle condizioni di un blocco che dura da quasi tre mesi.
I bambini di Askeran creano cartoline speciali per le loro madri e nonne.
In preparazione alla Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo, il centro ha organizzato i bambini per realizzare dei biglietti di auguri per congratularsi con le loro madri e nonne. Allo stesso tempo, Hambardzumyan e Snezhana Tamrazyan stanno cercando di organizzare eventi gratuiti per i bambini della comunità con i loro personaggi dei cartoni animati. Lo scopo di queste iniziative è utilizzare le risorse delle donne del centro per proteggere i bambini dalla realtà dell’assedio.
87 giorni dopo l’inizio dell’assedio, l’Azerbajgian si appresta a terminare i suoi sforzi di pulire etnicamente l’Artsakh dagli armeni etnici ancora rimasti, come si può comprendere dalle dichiarazioni ufficiali e dai media statali (di cui riportiamo in chiusura gli esempi). Come ha affermato il Presidente della Repubblica di Artsakh, Arayik Harutyunyan, l’Azerbajgian intimato gli Armeni nativi dell’Artsakh di accettare l’integrazione nell’Azerbaigian o non ci sarà soluzione ai problemi esistenti, minacciando “passi più duri e più netti”, cioè, l’uso della forza per terminare la pulizia etnica.
A seguito del blocco in corso, l’economia della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ha subito una perdita di circa 150 milioni di dollari, portando al calo dell’indice del PIL annuo previsto (903 milioni di dollari) di oltre il 16%. Quindi, è corretto quanto si legge ieri, 7 marzo 2023 sui social azeri, che il #ArtsakhBlockade su «la strada strategica del Karabakh funziona correttamente nell’86° giorno della protesta 24 ore su 24 degli eco-attivisti azeri», confermando che il blocco-che-non-c’è è sempre attivo: «Come nei giorni scorsi, anche oggi sta assistendo al passaggio senza ostacoli dei veicoli delle forze di mantenimento della pace russe nell’area della protesta pacifica degli eco-attivisti azeri sulla strada Lachin-Khankandi, riporta Azernews. Oggi ricorre l’86° giorno di protesta degli eco-attivisti azeri sulla strada di Lachin per protestare contro il saccheggio delle risorse naturali dell’Azerbaigian da parte dei separatisti del Karabakh in concerto con l’Armenia. Il 7 marzo, sin dalle prime ore del mattino, gli eco-attivisti della zona hanno consentito l’accesso senza ostacoli a tutti i tipi di veicoli utilizzati per scopi umanitari e sono state create le condizioni per il passaggio di ambulanze [del Comitato Internazionale della Croce Rossa], oltre a 13 mezzi di sicurezza e tre autovetture delle forze di mantenimento della pace russe da Khankandi verso Lachin. Contrariamente all’interminabile campagna di diffamazione armena secondo cui la strada per il Karabakh è bloccata, ciò dimostra ancora una volta, viceversa, che il picchetto non ha lo scopo di ostacolare il movimento di veicoli a scopo umanitario. I resoconti dei media armeni sui manifestanti che avrebbero bloccato la strada Khankandi-Lachin e impedito ai veicoli di sicurezza di passare nell’area rimangono parte dell’ampia campagna mediatica degli Armeni volta a gettare un’ombra sugli sforzi dell’Azerbajgian per ripristinare la pace e l’ordine nella regione travagliata. Al momento in cui scriviamo, i rapporti dalla regione affermano che sono state create le condizioni per il passaggio senza ostacoli di 25 veicoli di sicurezza e tre veicoli passeggeri delle forze di mantenimento della pace russe da Lachin a Khankandi attraverso la sede del picchetto oltre a quanto sopra menzionato» (Aytac Seyhunqizi – Azernews, 7 marzo 2023).
Questo è l’inizio dell’87° giorno del blocco azero dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh per gli studenti universitari del picchetto sull’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert lungo il Corridoio di Berdzor (Lachin), vengono portati in un viaggio di 800 km di andata e ritorno da Baku su autobus giganti per cantare “Ama la natura! Salva la natura!”, per un paio di giorni di turno alla volta.
Stati Uniti e Francia affermano spesso di essere inclini a mantenere la co-Presidenza del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Entrambi i co-Presidenti statunitensi e francesi sono ora nella regione, è l’87° giorno del #ArtsakhBlockade e la situazione è estremamente tesa. Cosa impedisce loro di visitare l’Artsakh e mostrare il loro impegno per la co-Presidenza del Gruppo di Minsk?
Commemorazione del genocidio degli Armeni (Foto ANSA).
L’Armenia va difesa proprio come l’Ucraina
Aliyev è un dittatore e non è possibile ignorare i suoi crimini contro gli armeni solo perché rifornisce di gas l’Europa
di Grigor Ghazaryan Tempi.it, 8 marzo 2023
Nell’84° giorno del blocco criminale del Corridoio di Lachin (Berdzor) – a dispetto della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite di non ostacolare la libera circolazione di merci, persone e trasporti attraverso il corridoio – la dittatura di Baku ha realizzato l’ennesimo atto terroristico contro gli Armeni dell’Artsakh. La mattina del 5 marzo un gruppo di militari azeri è penetrato nel territorio controllato dalle forze di mantenimento della pace russe e ha sparato contro un’auto della polizia locale nei pressi del villaggio di Ghaibalishen, non troppo lontano da Stepanakert, togliendo la vita al tenente colonnello Armen Babayan, al maggiore David Danielyan e al tenente Ararat Gasparyan.
La propaganda dell’Azerbajgian
Da giorni le truppe azere continuavano a sparare nella direzione delle postazioni armene e anche contro le telecamere di sorveglianza per danneggiare ogni sistema di sicurezza e per impedire la videoregistrazione dei loro atti criminali. Tra l’altro, come preludio a ogni tipo di incursione militare, la macchina di propaganda dell’Azerbajgian in modo proattivo si era impegnata a preparare testi per accusare la parte armena.
Così, giustificando queste ultime uccisioni, la macchina di propaganda azera ha spacciato per verità le fake news su un presumibile “trasporto di armi”, smentite subito con la pubblicazione da parte delle autorità dell’Artsakh di una serie di filmati, i quali hanno rivelato tra l’altro che i soldati azeri, entrati nel territorio degli Armeni, avevano teso loro un’imboscata.
Sradicare gli Armeni dalla loro terra
Da oltre 84 giorni le autorità di Baku continuano a orchestrare – mediante gruppi di persone accompagnate da convogli, soldati e agenti speciali – una manifestazione etichettata come “ambientalista” sulla strada di Lachin, l’unico collegamento tra Artsakh e Armenia, dopo la pulizia etnica degli insediamenti armeni di Berdzor, Aghavno e Sus.
L’Azerbajgian, sempre agli ultimi posti nelle classifiche mondiali sui diritti umani e sulle libertà di espressione e della stampa, sta sfruttando le manifestazioni, come ogni altro tipo di espressione democratica – un fatto notato anche da diversi giornalisti azeri. Naturalmente sarebbe vietato esprimersi, per esempio, sull’inquinamento del Caspio causato dal massiccio sfruttamento dei depositi petroliferi. Va aggiunto che il piano – rivelatosi nella dichiarazione del Presidente azero: «[Gli Armeni dell’Artsakh] possono andare via, la strada è aperta» – manifesta l’intenzione di sradicare la popolazione armena dell’Artsakh e corrisponde perfettamente a quanto definito dall’articolo 2 della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948): un palese atto di genocidio.
Se Baku è un “partner affidabile”
Comunque, più preoccupante è il fatto che simili dichiarazioni si inquadrino nella logica del demagogismo russo-turco, alla base di ogni politica anti-armena: «Non siamo noi a bloccare la strada» dichiarano all’unisono sia i Russi chiamati “forze di mantenimento della pace”, sia gli aggressori azeri, giocando con l’Armenia e con gli spettatori occidentali. Nel frattempo, per aggravare la situazione, la parte azera danneggia sistematicamente le infrastrutture di gas e di elettricità della piccola repubblica autoproclamata, dove 120 mila persone restano intrappolate e dove sono privati del diritto allo studio oltre 6.000 alunni degli enti pre-scolari, 19.000 studenti delle scuole medie e 6.800 studenti universitari.
È questo che accade quando i dittatori si guadagnano l’alloro di santi fornitori di gas: “partner affidabili” dell’Europa e, allo stesso tempo, artefici e negazionisti di un genocidio infinito degli Armeni.
L’Armenia invia aiuti alla Turchia terremotata
Dopo il terremoto devastante avvenuto il mese scorso in Turchia meridionale, l’Armenia è stata tra i primi Paesi a mandare una squadra professionale di soccorso e centinaia di tonnellate di assistenza umanitaria a uno Stato fondato, tra l’altro, sui cadaveri di Armeni, Curdi e Greci del Ponto; a quella Turchia di un fiero dittatore, erede di un enorme patrimonio economico, finanziario e culturale strappato agli armeni durante il genocidio del 1915-23. Sempre in linea con i valori universali, gli Armeni hanno mandato assistenza alla Turchia, alla quale nel 1928, nel nome di Agop Martayan, regalarono perfino l’attuale alfabeto (Turk alfabesi), aiutando il popolo turco a stabilirsi anche culturalmente come una nazione.
Oggi, avvalendosi del doppiogiochismo dell’Occidente, che si manifesta nella mancanza di appoggio all’Armenia di fronte alla minaccia esistenziale, la Turchia di Erdoğan continua a favorire l’annientamento degli Armeni, secondo le mappe dell’espansionismo del “mondo turco” nelle quali Erevan – unica democrazia sudcaucasica – è già cancellata.
L’Armenia è come l’Ucraina
Nella recente conferenza stampa assieme al Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Giorgia Meloni ha dichiarato che «la comunità internazionale non accetta l’invasione di Stati sovrani», non accetta «un mondo dove la forza può ridisegnare i confini tra gli Stati» e non accetta un mondo dove «chi ritiene di essere militarmente più forte si ritiene, per questo, anche in diritto di invadere il suo vicino».
Resta aperta la domanda: allora perché il mondo tace quando l’Azerbajgian invade l’Armenia a Jermuk, Ishkhanasar, Shorzha e Sotq, uccidendo soldati e civili armeni? Aliyev non sta calpestando il diritto internazionale con la forza? O le sentenze della Corte Internazionale dell’Onu non emanano dal diritto internazionale? Bisogna notare che girandosi dall’altra parte, i doppiogiochisti avvicinano automaticamente anche il trionfo del terrorismo internazionale e di nuove modalità di fare guerre per procura. Non dimentichiamo che la Turchia nel 2020 trasportava mercenari jihadisti dalla Siria in Azerbaigian per «conquistare le terre degli infedeli».
Pure questa è un’invasione di un altro Stato e pure qui c’è un popolo aggredito: il popolo armeno. Un popolo che non aveva in partenza le stesse forze per difendersi ma che a prezzo del proprio sangue protegge la sicurezza dell’Europa. Dunque, è facilissimo ricontestualizzare e attribuire le parole della Meloni anche al caso armeno: la battaglia che l’Armenia combatte, la combatte per ciascuno di noi. Non esistono giustificazioni morali per fare finta di non vedere.
Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian, con una dichiarazione pieno di menzogne e disinformazione, ha rimandato al mittente la dichiarazione del Ministero della Difesa della Federazione Russa sull’imboscata del commando terroristico azero del 5 marzo, in cui si afferma che le truppe azera “hanno tentato di arrestare il veicolo che trasportava armi illegali che successivamente ha aperto il fuoco”, accusando falsamente l’Armenia di trasferimenti di armi, definendo i poliziotti dell’Artsakh uccisi, «membri del gruppo armato armeno» appartenente a «unità militari armene che effettuano trasporti militari illegali dall’Armenia», alla faccia di tutte le prove disponibile, nonostante che le forze armate azere nei giorni precedenti hanno provato di abbattere tutte le telecamere di sorveglianza della linea di contatto.
Riportiamo di seguito, nella nostra traduzione italiana, la dichiarazione del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian e un articolo da Azernews, agenzia statale azera, che elabora su questa dichiarazione. Non occorre un commento, basta leggere e verificare quanto abbiamo pubblicato nei giorni precedenti (anche confutando che l’Armenia starebbe inviando armi all’Artsakh, ricordando che la questione delle mine è stata respinta dalla Corte Internazionale di Giustizia e che il comando terroristiche azero ha teso l’imboscata sul territorio della Repubblica di Artsakh in violazione della dichiarazione tripartita di cessate il fuoco del 9 novembre 2020) e oggi è stato ripetuto in modo sintetico su Tempi. Come di consueto, l’Azerbajgian da aggressore si presente come vittima “martire”.
Dichiarazione del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian
«Prendiamo atto con rammarico che il 6 marzo il Ministero della Difesa della Federazione Russa ha distorto i fatti e diffuso informazioni non veritiere nel suo bollettino in merito all’incidente armato avvenuto ieri sulla strada Khankendi-Khalfali-Turssu.
Si informa che il 5 marzo, sulla base di informazioni operative, è stato effettuato un tentativo di fermare e controllare il veicolo delle unità militari armene che effettuano trasporti militari illegali dall’Armenia da parte di unità dell’esercito dell’Azerbajgian. Mentre si avvicinavano al veicolo, i nostri militari sono stati colpiti con armi automatiche dai membri del gruppo armato armeno all’interno del veicolo, a seguito del quale due militari sono stati uccisi e uno è rimasto ferito. Tre membri del gruppo armeno illegale sono stati uccisi e uno è rimasto ferito dal fuoco di risposta. Presentare questo personale militare, completamente equipaggiato con armi e munizioni, come agenti di polizia che svolgono il servizio “passaporto e visto” non è altro che ipocrisia.
Le informazioni diffuse sulla fornitura di pronto soccorso e di evacuazione da parte dei rappresentanti del contingente di mantenimento della pace russo ai nostri militari feriti a seguito dell’incidente non riflettono la verità. L’evacuazione dei nostri martiri e soldati feriti dalla zona è stata effettuata dal nostro personale militare.
Contrariamente alle disposizioni della dichiarazione tripartita, l’Armenia continua a fornire armi, munizioni, rifornimenti e altro equipaggiamento militare a gruppi armati armeni illegali nella regione economica del Karabakh dell’Azerbajgian, così come la rotazione del personale. Al fine di prevenire immediatamente tali situazioni inaccettabili, il contingente russo di mantenimento della pace dovrebbe adempiere ai propri doveri.
In particolare, rileviamo che la politica di terrorismo con mine portata avanti dall’Armenia contro l’Azerbajgian è tuttora in corso. Nonostante i ripetuti avvertimenti da parte nostra, i nostri civili e militari sono vittime di mine trasportate illegalmente in Azerbajgian e seppellite nel nostro territorio. Così, a seguito dell’esplosione della mina avvenuta il 4 marzo nel distretto economico del Karabakh, un altro dei nostri militari è stato martirizzato. Nel 2021, sono stati determinati i fatti del trasporto e del seppellimento in massa delle mine prodotte in Armenia utilizzando la strada Lachin verso il territorio dell’Azerbaigian ed è stata effettuata una visita conoscitiva dei rappresentanti dell’Osservatorio congiunto Turchia-Russia e degli addetti militari in quella zona organizzato. In risposta a tali atti dell’Armenia e delle unità militari armene illegali e al martirio del nostro militare, l’esercito azero ha condotto l’operazione “Vendetta” nell’agosto 2022.
Avvertiamo ancora una volta che il trasporto di beni militari da parte dell’Armenia nel territorio dell’Azerbajgian, l’invio e la rotazione del personale delle forze armate armene dovrebbero essere immediatamente e una volta per tutte interrotti e le truppe armene dovrebbero essere completamente ritirate dal territorio del nostro Paese. In caso contrario, la parte azera sarà costretta a prendere le misure assolutamente necessarie per disarmare e neutralizzare le forze armate illegali utilizzando tutte le possibilità.
Tali atti dell’Armenia sono considerati una continuazione dell’aggressione militare.
Gli eventi verificatisi e il perdurare dei trasporti militari illegali dell’Armenia verso i territori sovrani del nostro Paese, confermano ancora una volta la necessità di assicurare un regime di controllo sulla strada di Lachin nel territorio dell’Azerbajgian».
L’Armenia commette un’altra provocazione in Karabakh: prova della determinazione di Baku o richiesta di un’operazione militare?
di Fuad Muxtar-Aqbabali
Azernews, 7 marzo 2023
L’Armenia ha fatto ricorso a un’altra provocazione contro la ferma determinazione dell’Azerbajgian di far rispettare le proprie leggi nazionali in tutto il Karabakh, e la situazione all’interno e intorno alla regione travagliata, una volta sotto l’occupazione dell’Armenia riconquistata durante la guerra del 2020, è nuovamente degenerata al limite.
Cosa c’è dietro la nuova provocazione armena?
Questa provocazione ha tardato ad arrivare e l’Azerbajgian ha subito due perdite il 5 marzo, impedendo un altro tentativo dei separatisti del Karabakh di contrabbandare armi e mine nel Paese dall’Armenia utilizzando una strada sterrata.
Le violazioni della tregua sono state registrate contemporaneamente nei distretti di Daskasan, Kalbajar e Gadabay al confine armeno tra il 5 e il 6 marzo, così come il bombardamento delle postazioni dell’esercito azero a Shusha da parte di gruppi armati armeni illegali nel Karabakh doveva distrarre l’attenzione sull’importante carico di armi alla regione separatista. Le violazioni della tregua lungo i confini azeri e armeni e all’interno del Karabakh di solito si verificano quando gli Armeni pianificano spedizioni militari nella regione per distrarre l’attenzione di Baku e anche questo non è stato escluso domenica.
Senza ombra di dubbio, l’Azerbajgian è a conoscenza di consegne illecite dall’Armenia alla regione separatista attraverso la strada al di fuori del suo controllo sotto la supervisione delle forze di mantenimento della pace russe come il picchettaggio di 86 giorni degli eco-attivisti azeri e dei rappresentanti della società civile sulla strada di Lacin capovolti i piani dei separatisti di utilizzare l’ultramoderno collegamento di trasporto per l’invio di armi e personale militare nella zona per rafforzare le posizioni dopo la sconfitta del 2020.
In una dichiarazione sulla provocazione dell’Armenia nelle immediate vicinanze di Shusha, il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian ha affermato che l’incidente è avvenuto quando i militari hanno cercato di fermare un veicolo dei separatisti per verificare le informazioni secondo cui la strada sterrata Khankandi-Xalfali-Turssu è utilizzata per armi, mine e consegne di truppe dall’Armenia alla regione separatista.
L’ultima sparatoria sulla strada Khankandi-Xalfali-Turssu ha dimostrato ancora una volta che i separatisti in Karabakh, sostenuti dall’Armenia e dalla loro rete multitentacolare di mercenari e organi di stampa, lavorano fianco a fianco, e i loro sforzi sono volti a silurare la fiducia nell’Azerbaigian negli ultimi mesi. Contraccolpo di riconciliazione? La sparatoria del 5 marzo in Karabakh è avvenuta quattro giorni dopo i colloqui tra rappresentanti della comunità azera e del Karabakh a Khojaly con la mediazione delle forze di mantenimento della pace russe.
Il 1° marzo l’Azerbajgian ha avviato un incontro con i rappresentanti della comunità armena del Karabakh in previsione del riavvio del processo di riconciliazione dopo la cacciata di Ruben Vardanyan, un emissario inviato da Mosca per aumentare la tensione nella regione.
Il Ministero ha affermato che la strada Lachin-Khankandi è l’unica via che potrebbe essere utilizzata per il collegamento tra l’Armenia e il Karabakh e che l’uso di strade alternative è assolutamente inaccettabile. Ha aggiunto che l’incidente del 5 marzo ha dimostrato l’importanza di istituire un posto di blocco da parte dell’Azerbajgian sulla strada di Lachin.
Il Presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev in un discorso ai giornalisti il 18 febbraio a Monaco ha comunicato la proposta di Baku per l’erezione di posti di blocco al confine armeno per tenere sotto controllo ciò che viene portato alla e portato fuori dalla regione: “Sarebbe bene se l’Armenia e l’Azerbajgian istituissero posti di blocco sul confine armeno-azerbaigiano in modo bilaterale. Abbiamo fatto questo suggerimento in precedenza e lo abbiamo reso ufficiale oggi. In precedenza, questo suggerimento veniva comunicato attraverso canali non ufficiali. L’Armenia non ha espresso alcuna posizione. Probabilmente hanno bisogno di un po’ di tempo per discuterne”, ha detto il Presidente. Cosa incoraggia l’Armenia? Oggi l’Armenia sembra fiduciosa nel dispiegamento della missione di osservazione dell’Unione Europa sul confine non delimitato con l’Azerbajgian e ripone grandi speranze nella missione come rimedio e protezione anti-azerbaigiana.
Il 6 marzo, una serie di filmati è diventata di pubblico dominio, che mostrava consegne militari dall’Armenia al Karabakh attraverso la strada dove è avvenuta la sparatoria.
Il Ministero degli Esteri azero ha affermato in una dichiarazione del 5 marzo che l’Armenia dovrebbe interrompere le consegne militari in Karabakh e ritirare immediatamente le forze armate dalla regione.
La provocazione in Karabakh mostra l’intenzione di Yerevan di andare avanti con politiche simili progettate per preservare né la pace né lo status quo di guerra per i giorni desiderosi dell’Armenia di tentare di riprendere il controllo se l’Azerbajgian fallisce.
L’Armenia non ha rinunciato alla sua politica di occupazione contro l’Azerbajgian e non è interessata a stabilire la pace e la sicurezza nella regione. L’Armenia ha sostanzialmente modificato il modo di presentare i propri obiettivi di politica estera, evitando un linguaggio pretenzioso e fingendo che la questione del Karabakh sia fuori dall’agenda mettendo in luce l’aspetto umanitario della questione. Tuttavia, le consegne militari la dicono lunga sui suoi impegni palesi e segreti e mettono a nudo gli obiettivi delle speranze futili ma orientate al futuro di Yerevan che la situazione un giorno si riprenda.
L’appello dell’Armenia alle organizzazioni internazionali per una missione conoscitiva internazionale nei territori sovrani dell’Azerbajgian è un altro sfacciato tentativo di Yerevan di mettere il naso negli affari di Baku.
“Nelle circostanze attuali, l’invio di una missione conoscitiva internazionale nel Corridoio di Lachin e nel Nagorno-Karabakh è di vitale importanza”, ha affermato il Ministero degli Esteri armeno. L’azione militare in Karabakh è un must Nelle aree separatiste del Karabakh oggigiorno le operazioni militari sono un must per schiacciare gli sviluppi negativi sul nascere e la questione non è mai stata tolta dal tavolo. L’Azerbajgian può iniziare un’operazione antiterrorismo da un momento all’altro.
Colpevoli dell’incidente mortale sono anche le truppe di mantenimento della pace russe, che hanno il controllo dell’area, che chiudono un occhio sull’uso da parte degli Armeni di strade alternative in Karabakh in cambio di tangenti e altri doni, e questo è fuor di dubbio.
Il contingente militare russo fa soldi con il disastro, il conflitto e lo spargimento di sangue delle due nazioni e questo è uno dei motivi del fallimento dei Russi nella regione nel mantenere le forze armate armene in Karabakh. Insoddisfazione per la Russia La sparatoria è avvenuta nella zona di responsabilità del contingente di mantenimento della pace russo. E questa circostanza ha subito provocato un’ondata di critiche contro Mosca, sia a Baku che a Yerevan.
L’Armenia rimprovera alle forze di pace l’incapacità di porre fine al “blocco del Karabakh” e Baku è insoddisfatta del fatto che le forze di pace consentano alle forze di sicurezza armene di muoversi lungo le strade di campagna nella loro area di responsabilità, il che apre la possibilità al trasporto non autorizzato di armi nella regione. L’Azerbajgian ritiene che il comando russo stia cooperando troppo strettamente con le strutture di potere dei separatisti.
Yerevan è insoddisfatta della situazione attuale e sta anche cercando di influenzare Mosca, ma con altri metodi geopolitici. La squadra del Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, in ogni occasione, mostra al Cremlino che l’Occidente può essere scelto come principale mediatore, protettore e sponsor. Non è un caso che recentemente Yerevan abbia notevolmente aumentato i contatti con i rappresentanti europei e americani e discuta sempre più volentieri le vie d’uscita dal conflitto con l’Azerbajgian non a Mosca, ma a Brussel.
I canali media e Telegram associati a Nikol Pashinyan e al suo team sono molto critici nei confronti della Russia. La situazione ricorda sempre più lo Zugzwang, quando ciascuna delle possibili mosse non fa che peggiorare la posizione.
Il 6 marzo, il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian ha accusato il Ministero della Difesa della Russia di aver diffuso informazioni false che servono gli interessi dell’Armenia e gestiscono i principi della missione di cui è stata investita dal 2020.
Poi l’articolo conclude con due foto (a sinistra, con il nome del file “Guerra in Karabakh” e a destra la missione di monitoraggio dell’Unione Europea in Armenia) e non è difficile capirne il messaggio dell’accostamento, leggendo quanto scritto prima:
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-03-08 19:46:062023-03-09 19:54:10Ottantasettesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Nella Giornata Internazionale della Donna il nostro pensiero va alla donne dell’Artsakh, specialmente alle madri e loro bambini (Korazym 08.03.23)
La Corte internazionale di giustizia dell’Aja lo scorso 22 febbraio ha emesso alcune sentenze inerenti ai rapporti tra Armenia e Azerbaijan. Entrambi i paesi hanno fatto ricorso alla corte dopo il conflitto del 2020 e più di recente dopo gli scontri del settembre 2022 e il blocco del corridoio di Lachin
Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha inviato, alla fine dello scorso anno, una lettera al governo dell’Azerbaijan su violazione dei diritti umani e crimini di guerra. Si ricorda che erano girati anche sul web filmati che documentavano casi di tortura di prigionieri di guerra sia nel 2020 che negli scontri del settembre 2022. In particolare aveva causato oltraggio la sorte di Anush Apetyan, soldatessa armena il cui corpo era stato violato, smembrato e profanato a Jermuk. Il governo dell’Azerbaijan si era impegnato a svolgere un’indagine relativa alle varie prove che stavano emergendo ma il 2022 si è concluso con nulla di concreto.
Il ministero degli Esteri armeno ha sottolineato come , al febbraio 2023, non sia ancora pervenuta nessuna risposta alla lettera di sollecito dell’Onu. Yerevan continua inoltre a esercitare pressione anche per la sorte dei prigionieri di guerra che si troverebbero ancora in mano azera e di quanti risultano ancora scomparsi, dagli scontri del 2022 e dalla guerra dei 44 giorni del 2020.
Al ministero degli Esteri armeno ha risposto il portavoce di quello azero che ha accusato la controparte di ipocrisia, data la lunga storia di violazioni commesse nel trentennio che separa la prima e la seconda guerra del Nagorno Karabakh e che ha confermato che Baku sta investigando sui casi di crimini .
La corte internazionale di Giustizia: Armenia vs Azerbaijan
Dopo la guerra del 2020 l’Armenia si è rivolta alla Corte Internazionale di Giustizzia dell’Aia con un contenzioso che si basa sulla Convenzione internazionale sull’Eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965. La parte armena ha attivato questa procedura affinché l’Azerbaijan garantisca la sicurezza dei prigionieri di guerra, si astenga da istigare l’odio anti armeno e tuteli il patrimonio artistico, religioso e culturale nelle aree che sono passate sotto il suo controllo. A questo iniziale procedimento se ne sono aggiunti altri due, uno dopo gli scontri del settembre 2022, e uno a dicembre per il blocco sia delle persone sia dei servizi del corridoio di Lachin.
L’Armenia ha perorato davanti alla Corte il movente etnico del blocco, perché questo impedisce agli armeni del Karabakh di godere degli stessi diritti degli altri cittadini, come per esempio l’accesso alle cure, ai servizi, la libertà di movimento e i ricongiungimenti familiari. Yerevan interpreta il blocco come un tassello nel mosaico di pulizia etnica perché le condizioni di vita nell’area isolata sono tali che presto i residenti si saranno costretti a evacuare, e insiste sul fatto che il movimento sedicente ecologista che ha causato la crisi non sia spontaneo ma istituito e controllato dal governo centrale azero.
L’Azerbaijan sostiene invece che la protesta sia spontanea e che non impedisca il movimento lungo il corridoio, come dimostra il quotidiano passaggio dei mezzi dei peacekeepers e della Croce Rossa. Baku nega anche che le interruzioni di flusso di gas siano intenzionali.
La Corte ha ritenuto di dover indicare misure provvisorie data l’urgenza del rischio per i residenti del Karabakh, a cui ha riconosciuto lo stato di isolamento causato dalla protesta e la conseguente crisi umanitaria. Ha pertanto ritenuto valido l’obbligo per l’Azerbaijan di garantire la sicurezza delle persone e dei beni che devono poter transitare liberamente sul corridoio di Lachin, come sancito dalla dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020. La dichiarazione pone infatti il corridoio sotto il controllo dei peacekeeper russi, con l’obbligo dell’Azerbaijan di non impedirne l’accesso. La corte non ritiene invece di avere sufficienti prove relative all’intenzionalità dell’interruzione del flusso di gas.
Pertanto l’ordine della Corte del 22 febbraio è che: “[…] l’Azerbaijan, in attesa della decisione finale e in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione, adotti tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento di persone, veicoli e merci lungo il corridoio di Lachin in entrambe le direzioni, senza ostacoli.”
L’ordine della Corte è stato accolto ovviamente molto positivamente a Yerevan. Avendo ottenuto una così autorevole legittimazione delle proprie posizioni sulla questione di Lachin (rimangono aperte invece le altre questioni, la misura si riferisce solo alla crisi umanitaria in Karabakh), il primo ministro armeno auspica ora che in assenza di una implementazione dell’ordine della Corte Baku subisca delle conseguenze imposte dalla comunità internazionale. L’Ordine della corte ha carattere cogente, e l’Azerbaijan è pertanto ora tenuto ad implementarlo.
Azerbaijan vs Armenia
Lo stesso 22 febbraio la Corte ha emesso un ordine relativo al contenzioso aperto dall’Azerbaijan contro l’Armenia. Il contenzioso si riferisce alla stessa Convenzione e riguarda la posa di mine e di ordigni esplosivi. L’Azerbaijan richiede che la Corte imponga all’Armenia di adottare tutte le misure affinché Baku possa sminare e garantire il rientro in sicurezza degli sfollati di guerra nei distretti di Lachin, Kalbajar e tutta la zona che è passata sotto il proprio controllo. Queste misure riguardano sia la comunicazione sulla presenza di mine sia di altri ordigni esplosivi, la consegna della mappatura della posa delle mine e l’immediata interruzione della posa stessa. L’Azerbaijan ha presentato due volte questa richiesta alla Corte, precisando che sono emerse nuove prove che l’Armenia stia piazzando nuovi esplosivi con lo scopo specifico di colpire civili etnicamente azeri. La presenza di questi strumenti di morte dimostrerebbe la volontà di Yerevan di impedire i ritorni nelle aree riconquistate dall’Azerbaijan, ferendo, uccidendo e intimidendo gli sfollati azeri che intendono reinsediarsi nelle aree da cui sono fuggiti 30 anni fa.
L’Armenia nega, e sostiene che le mine sono state collocate a scopo difensivo e quindi nel proprio territorio e che ulteriori mine ritrovate sono i resti delle operazioni militari precedenti e che gli ordigni esplosivi non sono utilizzati dall’esercito armeno. Quelli ritrovati in case private potrebbero essere stati lasciati da privati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni per l’avanzata dell’esercito azero.
La Corte ha deciso che l’Azerbaijan non ha presentato prove indicanti che l’Armenia sta utilizzando le mine antiuomo con lo specifico scopo di pregiudicare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, di diritti delle persone etnicamente azere.
Il ministero degli Esteri dell’Azerbaijan ha dichiarato che continuerà a cercare giustizia.
Le sentenze del 22 febbraio rappresentano una nuova tappa di una battaglia legale in corso tra Armenia e Azerbaijan presso la Corte Internazionale di Giustizia, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Il tribunale ha precedentemente ordinato a entrambi i paesi di prevenire la discriminazione nei confronti dei cittadini dell’altro e di non aggravare ulteriormente il loro conflitto ultradecennale.
L’Azerbaijan ha aperto un nuovo contenzioso relativo alla Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa, anche nota come convenzione di Berna, contro l’Armenia per distruzione dell’ambiente in Karabakh. È la prima volta che un paese chiede un arbitrato interstatale ai sensi di tale convenzione.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-03-07 20:04:382023-03-09 20:04:49Corte internazionale di Giustizia: Armenia vs Azerbaijan (Osservatorio Balcani e Caucaso 07.03.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.03.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi ricorre il giorno 86 del #ArtsakhBlockade dell’Azerbaigian che ha intrappolato 120.000 persone nella Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Nel frattempo, con il pretesto di “trattative”, il “partner affidabile” di Ursula von der Leyen minaccia gli Armeni etnici dell’Artsakh con nuove violenze. Il giorno dopo aver ucciso tre poliziotti dell’Artsakh, l’Azerbajgian chiede al Nagorno-Karabakh di «accettare la politica di integrazione o ci saranno passi più duri e decisi», minacciando apertamente come modo di “trattare”, di continuare a uccidere la popolazione armena a meno che non si sottometta.
Dopo aver perso il caso con le accuse inventato delle “mine” e avendo ricevuto l’ordine di porre fine al blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) alla Corte Internazionale di Giustizia, l’Azerbajgian cerca disperatamente di fabbricare “prove” che gli Armeni presumibilmente utilizzino in modo improprio il corridoio. Un comando terroristico dell’Azerbajgian ha attaccato un furgoncino della polizia dell’Artsakh, sperando di trovare armi ma non ne hanno trovato, uccidendo tre poliziotti e ferendone un altro, ancora ricoverato in gravi condizioni al Centro Medico Repubblicano di Stepanakert.
Intanto, l’Azerbajgian sta creando nuovi incidenti per giustificare l’assedio dell’Artsakh e l’aggressione contro gli Armeni etnici dell’Artsakh. Il Servizio stampa del Ministero della Difesa della Repubblica di Artsakh ha reagito con un comunicato al messaggio diffuso dal Ministero della Difesa dell’Azerbaigian secondo cui le unità delle Forze di Difesa dell’Artsakh il 5 marzo avrebbero aperto il fuoco in direzione delle postazioni azere situate nei territori occupati della regione di Shushi della Repubblica di Artsakh, definendolo «un’altra disinformazione», ricordando che «il 5 marzo un gruppo eversivo delle forze armate azere ha preso di mira e ha aperto il fuoco contro il veicolo di turno del Dipartimento Passaporti e Visti della Polizia, venendo da Stepanakert, nella zona denominata “Khaipalu”, come risultato di cui 3 agenti di polizia sono stati uccisi e 1 agente è rimasto ferito».
Si sono svolti presso la chiesa di San Giacomo nella capitale Stepanakert della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh i funerali per i tre agenti armeni trucidati da soldati azeri.
È seguita una marcia di protesta verso il quartier generale del Comando del contingente di mantenimento della pace russo, accusato di non ottemperare agli obblighi dell’accordo trilaterale del 9 novembre 2020, non obbligando l’Azerbajgian a togliere il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin), in atto dalle ore 10.00 del 12 dicembre 2022.
Nella protesta davanti all’ingresso del quartier generale del comando delle forze di mantenimento della pace della Federazione Russa nell’Artsakh i cittadini di Artsakh le hanno chiesto di adempiere ai propri doveri: «Abbiamo bisogno di veri peacekeeper (mantenitori della pace)», «Tutti i nostri diritti umani sono violati», «DOVE SIAMO NOI – C’È PACE?».
“Где МЫ – там МИР!” (Dove siamo NOI – C’è PACE!) è il motto con cui si conclude ogni (sporadico) post sul canale Telegram Peacekeeper del Contingente di mantenimento della pace russo di stanza in Artsakh.
Un residente dell’Artsakh ha bloccato l’ingresso al quartier generale del comando delle forze di mantenimento della pace russe con la sua auto e ha chiesto alle forze di mantenimento della pace russe di adempiere ai loro obblighi e sbloccare il Corridoio di Lachin [QUI].
«I manifestanti in Artsakh hanno limitato il movimento del contingente di mantenimento della pace russo. Chiedono che le forze di mantenimento della pace adempiano ai loro obblighi ai sensi della dichiarazione del 9 novembre 2020» (Ararat Petrosyan, Capo Redattore di Respublica Armenia) [QUI].
Di fronte ai “peacekeeper” russi, gli Armeni dell’Artsakh chiedono peacekeeper delle Nazioni Unite.
«”Il cielo dell’Artsakh attraverso gli occhi dei bambini”. Un assaggio delle opere oniriche in mostra alla Galleria Stepanakert per il prossimo mese. Questa mostra presenta le opere di oltre cento bambini della Repubblica di Artsakh, che vivono il loro 86° giorno sotto l’assedio azero» (Alison Tahmizian Mosa).
Poiché 120.000 Armeni etnici dell’Artsakh sono ancora sotto blocco azero, intrappolati nella loro stessa patria, con carenza di cibo, medicine, elettricità e gas, i giovani Armeni a Parigi si schierano con Artsakh e il suo popolo. Ieri è stato organizzato un flashmob nel cuore di Parigi. I passanti si sono fermati per saperne di più sulla situazione. Un commento alla manifestazione su Twitter, ripetendo la narrazione del dittatore Aliyev: «Potrebbero sempre andarsene non sono in trappola».
Promemoria ai difensori professionali dei diritti umani: le vostre “preoccupazioni” e “chiamate” sul #ArtsakhBlockade di 120.000 civili sono pubblicamente ignorate dall’Azerbajgian da quasi tre mesi. Questo non vi dà fastidio?
«Tornato a Baku. Non vedo l’ora di incontri sostanziali con la leadership dell’Azerbajgian per far avanzare il processo di pace dopo gli incontri a Monaco. L’incidente mortale di oggi sottolinea l’urgenza di portare avanti i negoziati per raggiungere la stabilità e una pace giusta» (Toivo Klaar – Twitter, 5 marzo 2023).
Bravo Toivo Klaar, di nuovo riemerso dall’ibernazione. Continua così e vedrai che alla fine avrà la sua «stabilità e pace» con le condizioni di Aliyev, l’Artsakh (che a te piace chiamare Qarabag) etnicamente pulito senza Armeni. “L’incidente mortale”? Che incidente misterioso è? Chi è morto, dove dalla mano di chi? Forse i suoi padroni a Baku possono dirlo. Si diverta a baciare il dittatore. Nel frattempo, #ArtsakhBlockade è quasi al quarto mese e l’Azerbajgian invece di ripristinare il libero movimento, aggrava le cose uccidendo le persone, certamente per «far avanzare il processo di pace».
«Con gli Azeri ora saldamente al controllo dei sette territori adiacenti che le forze armene avevano conquistato nella prima guerra, il nucleo della disputa territoriale è ora interamente concentrato sullo stesso Nagorno-Karabakh. La posizione dell’Azerbajgian è che l’unico accordo che vuole è quello che inizia con l’accettazione inequivocabile da parte dell’Armenia della sovranità di Baku su tutto il territorio all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale, compreso l’intero Nagorno-Karabakh. Non è stato interessato a esplorare soluzioni creative per lo status del Nagorno-Karabakh del tipo emerso tra le due guerre che ha comportato un alto grado di autonomia da Baku e autogoverno, comprese le proprie forze di polizia. Invece, sostiene che gli Armeni etnici che vivono in Karabakh saranno semplicemente cittadini azeri. Per gli Armeni e le autorità de facto [della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh], questi impegni sono insufficienti, sebbene la leadership di Yerevan abbia indicato che la sicurezza e i diritti per gli Armeni del Karabakh potrebbero essere più cruciali per loro dello status del territorio» (Crisis Group, 22 aprile 2022).
L’Artsakh non ha mai fatto parte di un Azerbajgian indipendente, anche in URSS aveva lo status di “oblast autonomo”. Ora da parte dell’Azerbajgian c’è revanscismo. Umiliato dalla perdita di una guerra e di un territorio 30 anni fa (riconquistata nella guerra del 2020), la dittatura di Baku sta punendo gli Armeni dell’Artsakh.
«La presenza internazionale in Artsakh contribuirà ad aumentare la responsabilità e limiterà le opportunità dell’Azerbajgian di ricorrere regolarmente ad attività criminali. La presenza delle Nazioni Unite e di altre strutture nell’Artsakh è vitale per prevenire la pulizia etnica e il genocidio» (Gegham Stepanyan, Difensore dei Diritti Umani della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh).
L’Unione Europea deve promuovere la democrazia invece dell’autocrazia nel Caucaso meridionale. L’Armenia è vittima di una dittatura aggressiva e corrotta in Azerbajgian controllata dal regime autocratico turco.
Il 27 settembre 2020, in occasione del 100° anniversario dell’attacco turco ottomano alla Repubblica di Armenia da poco indipendente, l’Azerbajgian ha attaccato l’enclave armena del Nagorno-Karabakh. Sebbene inizialmente senza successo, le forze di difesa armene locali crollarono dopo che si unirono le forze speciali e gli F-16 turchi. Prima che entrambe le parti accettassero un cessate il fuoco, gli Armeni persero il controllo di metà dell’enclave che governavano.
A quel tempo, la campagna presidenziale degli Stati Uniti era in pieno svolgimento. Joe Biden ha rilasciato una dichiarazione in cui critica il Presidente Donald Trump per aver gestito male la crisi. “Mentre si vanta delle sue capacità di concludere accordi durante le manifestazioni elettorali, Trump deve ancora essere coinvolto personalmente per fermare questa guerra. L’amministrazione deve attuare pienamente e non rinunciare ai requisiti della sezione 907 del Freedom Support Act per fermare il flusso di attrezzature militari all’Azerbajgian e invitare la Turchia e la Russia a smettere di alimentare il conflitto con la fornitura di armi e, nel caso della Turchia, di mercenari”, ha affermato Biden.
Se solo Biden 2023 avesse la chiarezza morale di Biden 2020. Oggi l’Azerbajgian parla non solo del completamento della pulizia etnica del Nagorno-Karabakh, ma anche della conquista dell’Armenia vera e propria. Piuttosto che fermare il flusso di equipaggiamento militare all’Azerbajgian, Biden e il Segretario di Stato, Antony Blinken, non solo violano il Freedom Support Act per inviare più armi in Azerbajgian, ma cercano anche l’approvazione del Congresso per inviare F-16 aggiornati in Turchia.
Il Presidente azero, Ilham Aliyev, suona Biden come un violino. Mentre dietro le quinte dice ai diplomatici che è interessato alla pace, Biden si rifiuta di interrompere il suo flusso di equipaggiamento militare. Biden dovrebbe calibrare gli incentivi alla pace, non ai negoziati. Fare altrimenti incentiva avversari insinceri a impegnarsi nel processo ma non raggiungere mai la pace. Se Aliyev è sincero riguardo alla pace, rinuncerà alle ambizioni territoriali, smetterà di sradicare il patrimonio culturale armeno e fermerà la deliberata fame di oltre 100.000 persone per il crimine di essere Cristiani.
La fornitura di armi smentisce anche una domanda fondamentale: per cosa?
Questo va al secondo falso presupposto alla base della politica di Biden. I lobbisti dell’Azerbajgian insistono sul fatto che l’Azerbajgian si oppone all’Iran. Descrivono l’Azerbajgian come un’oasi filo-occidentale in una regione minacciata da Iran e Russia. In realtà l’Azerbajgian collabora con entrambi. Cerca un corridoio commerciale Iran-Azerbajgian-Russia, collabora con compagnie petrolifere russe nel Mar Caspio e scambia gas per dare all’Iran uno sbocco in Europa.
È vero, l’Azerbajgian lavora anche con Israele. Israele e l’Azerbajgian hanno una lunga partnership armi-per-energia, e l’Azerbajgian consente a Israele di spiare l’Iran e forse anche di infiltrarsi nel Paese. Qui, però, ripete semplicemente la strategia della Turchia, sfruttando al massimo entrambe le parti.
L’Armenia oggi è una democrazia, sempre più inclinata verso l’Occidente. L’Azerbajgian è uno dei regimi più autocratici e corrotti del mondo. Che Biden in azione se non nella retorica si schieri con il secondo contro il primo suggerisce che Biden abbia basato le sue critiche del 2020 a Trump non sul principio ma sull’opportunismo politico.
La verità è che sia Trump che Biden hanno ugualmente torto. Se Biden vuole essere ricordato come migliore di Trump, forse non dovrebbe replicare la peggiore delle sue politiche. È tempo di una politica di principio nel Caucaso meridionale, basata sulla realtà e sulle preoccupazioni per i diritti umani piuttosto che su un pio desiderio e sui contratti di armi.
Vivere nel limbo
Il blocco del Corridoio di Lachin ha sconvolto la vita quotidiana nel Nagorno-Karabakh e non se ne vede la fine
di Lilia Yapparova (edito da Eilish Hart) Meduza, 2 marzo 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Situata all’interno dell’Azerbajgian e con una popolazione prevalentemente armena, l’enclave contesa del Nagorno-Karabakh ha solo un’ancora di salvezza che la collega al mondo esterno: un passo di montagna noto come Corridoio di Lachin. I manifestanti che affermano di essere attivisti ambientali, ma apparentemente agiscono con il sostegno ufficiale di Baku, si sono accampati lungo la strada a metà dicembre 2022 e da allora è stata chiusa al traffico regolare. Più di due mesi dopo, i gruppi per i diritti umani avvertono che il posto di blocco sta mettendo a rischio migliaia di vite, poiché i residenti bloccati hanno un accesso fortemente limitato a beni e servizi essenziali. Le forze di mantenimento della pace russe, che hanno sorvegliato il Corridoio di Lachin da quando Mosca ha mediato la fine della guerra del 2020 tra Armenia e Azerbajgian, non sono state in grado di togliere il blocco. E gli aiuti umanitari che loro e il Comitato Internazionale della Croce Rossa riescono a fornire alla regione continuano a non essere all’altezza della necessità.
Nel frattempo, le autorità azere negano ogni responsabilità per il blocco e hanno respinto categoricamente l’affermazione di Yerevan secondo cui la crisi dovrebbe aprire la strada alla “pulizia etnica” (nel frattempo, il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha dichiarato a gennaio che gli Armeni del Karabakh sono liberi di lasciare la regione). La Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha recentemente ordinato a Baku di sbloccare il corridoio, ma la sentenza non ha ancora avuto alcun effetto pratico. In un dispaccio per The Beet, l’inviata speciale di Meduza, Lilia Yapparova, riferisce di come il blocco in corso abbia sconvolto la vita quotidiana nel Nagorno-Karabakh.
Una notte di fine dicembre scorso, Narine Danilyan si è svegliata al suono di singhiozzi provenienti da dietro il muro nel suo appartamento a Stepanakert, la capitale de facto del Nagorno-Karabakh. Narine si precipitò nella stanza accanto, che era buia e fredda – il risultato dell’ennesimo blackout elettrico – e trovò sua madre, Zara, che piangeva sommessamente nel suo letto.
Il figlio di nove anni di Narine, Garo, si dimenava nel letto accanto. Il corpo del bambino era sconvolto da spasmi epilettici così brutali che sembrava stesse cercando di alzarsi di scatto dal letto, ha ricordato. “Non riusciva a controllare il suo corpo. E lo sentivo ansimare. Stava soffocando e non sapevo come aiutarlo”, dice Narine a The Beet.
Garo soffre di epilessia e fibrosi cistica. Rischia di morire senza le sue medicine, ma non c’è modo per la sua famiglia di ottenere le pillole, poiché i manifestanti sostenuti dall’Azerbajgian hanno bloccato l’unica strada in entrata e in uscita dal Nagorno-Karabakh. Migliaia di famiglie nel territorio conteso, situato all’interno dell’Azerbajgian, stanno soffrendo a causa di un conflitto decennale che una volta speravano potesse essere risolto attraverso la mediazione della Russia. Ma mentre Mosca rimane preoccupata per la sua invasione in stallo dell’Ucraina e l’Azerbajgian continua con il blocco nella speranza di ottenere il pieno controllo dell’area, il Nagorno-Karabakh sta precipitando in una vera e propria crisi umanitaria.
Negli anni della malattia del figlio, Narine ha imparato ad alleviare almeno alcuni degli effetti terrificanti delle crisi: accendere le luci e aprire una finestra per arieggiare la stanza. Anche questi semplici rimedi sono ormai impossibili. Baku interrompe periodicamente le forniture di elettricità e gas all’enclave, costringendo Narine a convivere con l’impossibile dilemma di esporre la sua famiglia a temperature gelide o alleviare le convulsioni di suo figlio. “In casa mia non c’è quasi mai riscaldamento o luce”, dice. “Se apro le finestre, congelerò completamente l’appartamento. Stiamo tremando così com’è.
Il blocco quasi totale del passo di montagna di sei chilometri che conduce al Nagorno-Karabakh, noto come Corridoio di Lachin, ha tagliato fuori famiglie come i Danilyan dal resto del mondo ormai da quasi tre mesi. I manifestanti azeri che affermavano di essere eco-attivisti il 12 dicembre 2022 hanno bloccato prima il percorso. Il gruppo ha iniziato un sit-in 24 ore su 24, impedendo quasi tutti i movimenti sulla strada, e successivamente ha allestito delle tende. I sedicenti ambientalisti affermano di protestare contro ciò che l’Azerbajgian definisce l’estrazione mineraria illegale nel Nagorno-Karabakh.
Il blocco ha segnato una nuova escalation nella disputa decennale su una regione riconosciuta a livello internazionale come parte dell’Azerbajgian ma che ospita circa 120.000 Armeni etnici. Governato dalla non riconosciuta Repubblica di Artsakh, è di fatto indipendente dall’inizio degli anni ’90. Baku e Yerevan hanno combattuto due guerre per ottenere il controllo del Nagorno-Karabakh – una dal 1988 al 1994 e un’altra nel 2020 – che hanno causato decine di migliaia di vittime da entrambe le parti.
Il governo dell’Azerbajgian nega qualsiasi blocco ma ha appoggiato le proteste, che secondo l’Armenia sono state orchestrate da Baku. Nel frattempo, gli abitanti del Nagorno-Karabakh sono tagliati fuori dalle scorte di cibo, carburante e medicinali.
Per i Danilyan, la carenza di medicinali è il problema più acuto. Le farmacie di Stepanakert mancano dei beni di prima necessità, per non parlare dei rimedi per le convulsioni, e Narine deve setacciare le bacheche locali di Facebook nella speranza che alcuni dei suoi vicini possano avere le pillole. Finora, questo ha prodotto solo alcune vitamine e una carota.
“C’è un’epidemia di varicella e influenza in corso, e non posso nemmeno fornire ai miei clienti suprastin [un antistaminico] e antisettici”, dice a The Beet Nana Martirosyan , proprietaria di una farmacia di Stepanakert. “Quando qualcuno chiede delle pastiglie per la gola, devo consigliargli di fare i gargarismi con l’aceto di mele. Quando le persone vengono a comprare i cerotti alla senape, spiego come farli da soli con la pergamena unta con un mix di olio di semi di girasole e pepe.
Garo ha bisogno di un cocktail giornaliero di un massimo di 13 diversi farmaci antiepilettici, anticonvulsivanti, respiratori e antibatterici per sopprimere le sue convulsioni e i sintomi della fibrosi cistica. Ed è fuori da tutti, tranne alcune vitamine e il salbutamolo (un farmaco usato per alleviare i problemi respiratori). Senza le medicine, il muco denso e appiccicoso ostruisce le vie respiratorie di Garo e il suo corpo “diventa blu per la mancanza di ossigeno”, spiega Narine. Le convulsioni di suo figlio (tre attacchi dall’inizio del blocco, tutti di notte) lo fanno svenire mentre il suo corpo ha le convulsioni.
“Non lo guardo negli occhi quando ha gli spasmi”, dice Narine. “Quando ci provo, mi sento male. Ha occhi terribili in questi momenti: vitrei, né aperti né chiusi. Sta solo fissando, completamente inconsapevole di ciò che lo circonda. È come se al posto di mio figlio ci fosse un oggetto inanimato”.
“Il mondo ci ha abbandonato”
A metà gennaio, dopo l’ennesima interruzione dell’elettricità, Nellie Melkumyan (nome di fantasia) è uscita per comprare delle candele, ma gli scaffali del supermercato erano vuoti.
“Poi ho provato al negozio della chiesa. Il negoziante mi conosce: di solito prendo un cero grande per la preghiera, così posso accenderlo e presentare le mie richieste a Dio allo stesso tempo. E ora, di punto in bianco, mi avvicino al bancone e chiedo tre grandi candele contemporaneamente! Nellie ricorda. “Li ho usati tutti per fare il caffè in una caffettiera e illuminare il mio appartamento, non per fare appello al Signore. Era come barare! Mi sentivo davvero a disagio per l’intera faccenda, ma ho placato il mio senso di colpa dicendomi che Dio non avrebbe voluto che soffrissi senza elettricità.
Per riscaldarsi, Nellie corre e si accovaccia nei suoi vestiti invernali (non aiuta molto, ammette). La Stepanakert di oggi ricorda sempre più la sua giovinezza sovietica, con i suoi deficit di beni di prima necessità e buoni pasto, che le autorità del Nagorno-Karabakh hanno introdotto a gennaio. “Ho visto una colluttazione tra donne in fila per le uova. Ci sono consegne occasionali di piselli o caffè e, una volta che la notizia si diffonde, è una gara”, dice Nellie. “Le persone passano ore a cercare cibo. Il viso di ogni altra giovane commessa ora è segnato da questa schietta e feroce ostilità che ricordo dalla mia giovinezza.
Ma ciò che riporta veramente Nellie ai tempi sovietici è la vista dei posti di blocco azeri. “L’ho già vissuto negli anni ’90, durante la prima guerra del Karabakh. Il blocco è durato quattro anni, dal 1988 al 1992”, racconta Nellie a The Beet. “Non mi interessa se gli Azeri sono intenzionati a farci morire di fame – temo che cercheranno di entrare a Stepanakert la prossima volta. Temiamo di essere massacrati”.
Durante il periodo sovietico, quando l’enclave prevalentemente etnica armena faceva parte della Repubblica Sovietica di Azerbajgian, le due etnie coesistevano nonostante le persistenti tensioni. Ma le vecchie faide si riaccesero quando l’URSS si sgretolò. Nel 1988, la maggioranza armena del Nagorno-Karabakh cercò l’indipendenza dall’URSS e fece una campagna per unirsi all’Armenia. I disordini sono esplosi in pogrom e i pogrom si sono trasformati in una guerra totale, provocando migliaia di morti da entrambe le parti. Il conflitto si concluse con un cessate il fuoco del 1994, con l’Armenia che rivendicava il controllo non solo del Nagorno-Karabakh, ma anche di sette distretti circostanti che facevano legalmente parte dell’Azerbajgian. Mezzo milione di Azeri sono stati costretti a fuggire dall’area.
L’armistizio è durato un quarto di secolo, ma le ostilità sono scoppiate di nuovo nel 2020. Questa volta, la potenza di fuoco dell’Azerbajgian si è dimostrata superiore, con la ricchezza petrolifera del Paese che ha finanziato una flotta di sofisticati droni. La guerra delle sei settimane ha visto l’Azerbajgian riconquistare gran parte del territorio che aveva perso negli anni ’90, lasciando agli armeni del Karabakh il controllo solo della loro capitale de facto, Stepanakert, e dell’area circostante. Ora, gli abitanti di questi territori, intrappolati dal blocco, corrono un rischio crescente di carestia.
“Un malato di cancro della nostra zona desidera ardentemente le banane, ma non c’è modo di ottenerle. Questo potrebbe essere il suo ultimo desiderio. Com’è per i suoi cari non poterlo assecondare in una cosa così banale? chiede Anahit Petrosyan, Consigliere del Capo della provincia di Askeran della regione separatista.
Durante la loro ultima chiamata FaceTime, Gegham Asryan ha appreso da sua moglie che era riuscita a procurarsi un mandarino. Il blocco ha tenuto Gegham, un dentista, separato dalla sua famiglia a Stepanakert, lasciando sua moglie Lucine a prendersi cura da sola della figlia di sei anni Beatrice. Beatrice – o Betty come la chiama affettuosamente suo padre – gli invia dozzine di messaggi vocali, in cui per lo più piange senza pronunciare una parola.
“Riesco a malapena a mangiare adesso”, dice Gegham al The Beet. “Ogni volta che sbuccio un’arancia, tutto quello a cui riesco a pensare è Betty e il cibo mi si blocca in gola. Il mondo ci ha abbandonato. È cieco e sordo alla nostra sofferenza. E lo odio.
Senza accesso a frutta e verdura, i bambini si ammalano più spesso, ha detto Christina Agadzhanyan, l’unico medico pediatrico di Stepanakert. “La loro immunità è già diminuita. I miei figli, di quattro e sei anni, non vedono frutta da un mese. Che tipo di attivista ambientale nega a un bambino l’accesso al cibo? dice. “I partecipanti al blocco tengono in mano cartelli che dicono: ‘La gente dell’Artsakh inquina l’ambiente’. Forse intendono l’aria che passa attraverso i nostri polmoni? Che anche il nostro respiro è contaminante?”
I manifestanti affermano che gli Armeni del Karabakh hanno utilizzato il Corridoio di Lachin per esportare oro estratto illegalmente e stanno danneggiando l’ambiente nel processo. Ma gli osservatori si sono affrettati a sottolineare che pochi dei manifestanti hanno precedenti di eco-campagna, e quelli che cantano slogan più forti sono ex soldati azeri, membri del partito al governo del Presidente Ilham Aliyev, attivisti filogovernativi azeri, e dipendenti di aziende statali.
“Non abbiamo visto nessuna di queste persone quando il Ministero per l’Ecologia e le Risorse Naturali [dell’Azerbajgian] ha messo in vendita intere foreste e parchi nazionali”, ha detto Cavid Qara, capo di Ecofront, un’importante organizzazione ambientalista azera.
Il governo di Aliyev è pronto a reprimere le proteste di base in patria, il che rende ancora più straordinario il fatto che il blocco sembri avere il pieno sostegno del suo governo: Aliyev ha elogiato gli attivisti, definendoli “il nostro orgoglio”, e il Ministero delle situazioni di emergenza dell’Azerbajgian ha aiutato loro di accamparsi.
L’Armenia afferma che Baku ha inviato gli attivisti per aumentare la pressione sugli Armeni del Karabakh e per costringere Yerevan a nuove concessioni (accuse che l’Azerbajgian nega). Dal cessate il fuoco nel 2020, i due Paesi hanno negoziato un trattato di pace, ma i colloqui devono ancora portare a una risoluzione, lasciando l’enclave in un limbo legale. Gli analisti affermano che l’Azerbajgian sta ora spingendo per un accordo che completerebbe la sua vittoria militare e consoliderebbe il suo controllo su tutto il Nagorno-Karabakh.
“Abbiamo dovuto seppellire la mamma a Yerevan”
Khalisa Avetyan (cognome di fantasia) ha fatto i suoi piani funebri esattamente 31 anni fa, quando ha seppellito suo figlio. Da quel giorno del 1992, gli Avetyani hanno un appezzamento di famiglia nel cimitero di Stepanakert. Il 24 dicembre 2022, a due settimane dall’inizio del blocco, Khalisa, 90 anni, è morta a casa di sua figlia a Yerevan. Ma la sua famiglia non poteva portare il corpo a Stepanakert; la folla di manifestanti non avrebbe lasciato passare le auto civili.
“Lo spazio sulla lapide accanto ai nomi di mio fratello e mio padre dovrà rimanere vuoto”, dice a The Beet la figlia di Khalisa, Karina. “Abbiamo dovuto seppellire la mamma a Yerevan. L’avevamo tenuta all’obitorio già abbastanza a lungo, in attesa che si aprisse la strada. Mi ha tenuto sveglio la notte: continuavo a pensare a come fosse lì, nel congelatore, invece che sotto terra, come dovrebbe essere. La mamma è venuta da me nei miei sogni per dirmi come l’abbiamo delusa, lasciandola sola in un frigorifero.
Le persone che cercano di lasciare Stepanakert affrontano lo stesso problema: i convogli di mantenimento della pace russi e un piccolo numero di veicoli di soccorso della Croce Rossa (ICRC) sono gli unici che possono passare, dicono i funzionari del Nagorno-Karabakh. Nei primi giorni del blocco, anche l’evacuazione dei pazienti in condizioni critiche era impossibile e le persone morivano perché non potevano raggiungere Yerevan per procedure come la chemioterapia e l’emodialisi. Quando le ambulanze della Croce Rossa hanno trovato un modo per portare le persone in Armenia, almeno 10 persone erano morte, ha detto a Meduza a gennaio l’ex Ministro di Stato della non riconosciuta Repubblica di Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan.
Una di queste vittime era Norayr Mailyan, un pastore del Karabakh nord-orientale che era “bravo a cantare, ballare e sapeva scherzare su qualsiasi cosa”, ricorda sua sorella Narine Sarkisyan. I residenti di Khanapat, il villaggio ancestrale dei Mailyan, lo chiamavano “Jimmy” – un soprannome preso in prestito dal film di Bollywood del 1982 Disco Dancer, che divenne una sensazione in URSS proprio nel periodo in cui Norayr nacque.
A 26 anni, Norayr ha sofferto di doppia insufficienza renale. Ciò significava emodialisi per tutta la vita. “Dopo questo, non era più lo stesso Norayr, ma amava ancora ballare”, dice Narine a The Beet. “Anche se mio figlio maggiore ha dovuto sostenerlo per le spalle, ha continuato a ballare. Anche quando mio fratello non riusciva a stare in piedi e doveva solo sedersi sul divano, continuava ad agitare le braccia a ritmo”.
Nel dicembre 2022 Norayr è diventato settico; il suo catetere per emodialisi, costantemente collegato al braccio, era la fonte dell’infezione e doveva essere rimosso. Per applicare un nuovo catetere, Norayr aveva bisogno di raggiungere i medici a Yerevan. Aveva un appuntamento fissato per il 12 dicembre, lo stesso giorno in cui i manifestanti azeri hanno bloccato la strada in uscita dal Nagorno-Karabakh.
Norayr non ha mai raggiunto Yerevan. Incapace di passare attraverso il blocco, è caduto in coma ed è morto il 19 dicembre. La sua veglia funebre (incluso un pasto commemorativo di “insalata di piselli e tradizionale porridge di kurkut con salsicce”) si è tenuta a Khanapat.
Il Ministero degli Esteri di Azerbajgian nega che la chiusura del Corridoio di Lachin abbia creato una crisi umanitaria, e i manifestanti insistono sul fatto che si stiano facendo da parte per qualsiasi veicolo medico. “Non so di quale blocco stai parlando. Se fossi giusto, probabilmente non useresti una frase del genere. In effetti, il pregiudizio nelle domande di un giornalista così bello e giovane non è adatto all’attività professionale”, ha detto al corrispondente di The Beet, İlqar Orucov, uno degli organizzatori della protesta [Presidente della Società dei giovani scienziati, dottorandi e maestri dell’Azerbajgian, Membro del Consiglio pubblico presso il Ministero della Scienza e dell’Istruzione della Repubblica di Azerbaigian e Membro del Consiglio di vigilanza dell’Agenzia per il sostegno statale alle organizzazioni non governative (ONG) dell’Azerbaigian sotto l’ufficio del Presidente dell’Azerbajgian; la foto di copertina della sua pagina Facebook recita: “Qarabağ è Azerbajgian!”].
“Norayr è morto a 42 anni!” esclama Narine. “Gli Azeri non dormiranno sonni tranquilli, te lo prometto. Perseguiteremo i loro sogni.
“Putin, mantieni la tua parola”
In uno dei suoi disegni a matita, Garo Danilyan ha abbozzato tre sagome umane sotto un sole rozzamente disegnato. Osservando più da vicino, è chiaro che le figure indossano uniformi militari e gli scarabocchi tra i soldati rappresentano il filo spinato e la recinzione di confine.
Proprio come nel disegno di Garo, i militari armeno e azero si fronteggiano lungo il confine ancora non delimitato tra i due Paesi. Ma nello schizzo manca un elemento: da quando la guerra del 2020 si è conclusa con un armistizio mediato da Vladimir Putin, le forze di mantenimento della pace russe pesantemente armate sono intervenute per far rispettare la traballante tregua. Quasi 2.000 truppe russe furono dispiegate per proteggere gli Armeni rimasti nell’enclave e per garantire che il Corridoio di Lachin rimanesse aperto. Ma le forze di mantenimento della pace russe non sono riuscite a impedire il blocco e sembrano impotenti a romperlo.
Il 27 dicembre, Garo e Narine – insieme a dozzine di altri uomini, donne e bambini – hanno marciato verso i cancelli del quartier generale russo per il mantenimento della pace per chiedere risposte. “[Garo] tossiva e respirava a malapena, ma mi ha fatto venire con lui a questa manifestazione”, dice Narine, con una punta di orgoglio nella voce.
Una giovane donna portava un cartello con le parole: “Ci siamo fidati di te”. Un altro diceva: “Putin, mantieni la tua parola”. Mosca e Yerevan sono alleate da anni e gli Armeni del Karabakh hanno ampiamente accolto con favore l’arrivo delle forze di mantenimento della pace russe due anni fa. Ora, la rabbia sta crescendo mentre la Russia sembra riluttante a forzare la riapertura della strada.
Durante il raduno del 27 dicembre, Garo e il resto della folla hanno continuato a urlare contro il quartier generale finché le guardie non sono uscite, dice Narine. I manifestanti hanno chiesto di vedere il maggiore generale Andrey Volkov, ma le forze di mantenimento della pace russe non sono riuscite a contattare il loro comandante. I manifestanti hanno aspettato fino all’alba, ma Volkov non si è mai presentato.
Mosca è stata distratta dalla sua stessa guerra in Ucraina e non è intervenuta in Nagorno-Karabakh, nonostante le suppliche dirette del Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, a Putin. “È inaccettabile per noi che le forze di mantenimento della pace russe stiano diventando testimoni silenziosi dello spopolamento del Nagorno-Karabakh”, ha detto Pashinyan a due settimane dall’inizio del blocco.
Il Cremlino sta aggirando in punta di piedi la situazione in Karabakh perché non può rischiare di rimanere invischiato in un’altra battaglia, questa volta con l’Azerbajgian, secondo gli analisti. Baku, nel frattempo, ha colto al volo l’occasione per sfidare la presenza della Russia nella regione. “La ricerca di Mosca per aumentare la sua influenza l’ha resa una potenza ridotta e meno formidabile nel Caucaso meridionale”, ha detto alla rivista Time Jade McGlynn, ricercatrice presso il Dipartimento di studi sulla guerra del King’s College di Londra.
I veicoli delle forze di mantenimento della pace russe – autocarri pesanti o autovetture con una linea blu distintiva che attraversa il lato, alcuni dei quali decorati con la lettera “Z” – possono essere visti in ogni altra città armena sulla strada per il Nagorno-Karabakh. Alcune delle famiglie dei soldati vivono a Tegh, l’ultimo insediamento prima di varcare il confine della repubblica non riconosciuta. Sembra una misteriosa città fantasma. Una gelida nebbia montana riempie ogni crepaccio e scende sul Corridoio di Lachin. Ogni giorno vi passavano circa 800 auto, ma il traffico stradale è diminuito di dieci volte dal blocco.
Fatta eccezione per l’occasionale abitante del villaggio, i soldati sono ora i principali clienti del Sara Supermarket di Tegh. Il negozio funge anche da negozio duty free per le forze di mantenimento della pace russe che ruotano attraverso il confine del Nagorno-Karabakh: bottiglie giganti di whisky a forma di crocifisso sono tenute sotto il bancone solo per i soldati russi che tornano a casa dal servizio, Esmine Ghazaryan, un’impiegata del supermercato (il cui nome è di fantasia), racconta a The Beet.
Un peacekeeper – un uomo magro con uno strato di sporcizia sulla sua uniforme mimetica – entra per comprare un cacciavite. Sentendo la domanda del nostro corrispondente sul blocco, sostiene il suo sguardo per un momento, poi fissa lo sguardo sul bancone. “Certo che so che ci sono bambini [isolati] a Stepanakert. Ma quella strada è bloccata. Sono un autista, vieni a vedere il mio camion KamAZ pieno d’acqua che aspetta fuori. Anche io sono rimasto bloccato qui! Non mi lasciano passare”, dice il soldato. “I decisori sono lassù. Solo loro possono darci il diritto di liberare la strada. Non siamo responsabili.
Il peacekeeper torna di corsa al suo camion, lasciando il resto sul bancone. “Il blocco sta andando avanti proprio sotto il loro naso. Eppure non stanno facendo niente”, dice Esmine. “Un altro peacekeepter che conosco dice che ‘non ha ricevuto l’ordine di mettere al bando gli azeri’. Penso che sia imbarazzato che siano così impotenti ora”.
Da Tegh, sono solo tre chilometri di tornanti dell’altopiano fino al confine. La strada tortuosa che porta al Nagorno-Karabakh è ricoperta di ghiaccio e avvolta da una nebbia impenetrabile, che nasconde la distesa delle montagne. Greggi di pecore belano affamati nell’abisso invisibile.
Un ufficiale della polizia militare armena presidia il primo posto di blocco al confine. Lancia uno sguardo malinconico e in qualche modo compassionevole al corrispondente di The Beet. “Scusa, non posso farti entrare,” dice. “Anch’io sono di Stepanakert. [Ho] una famiglia lì. Onestamente non so cosa dirti del blocco. [Quando finirà] penso che saremo gli ultimi a saperlo.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-03-07 20:01:582023-03-09 20:03:07Ottantaseiesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Il mondo è cieco e sordo alla sofferenza dell’Artsakh. Agire adesso per prevenire il secondo genocidio armeno (Korazym 07.03.23)
Cinque sono le ultime vittime di uno scontro a fuoco occorso domenica nella regione del Nagorno-Karabakh, due militari azeri e tre ufficiali armeni. Verso le 10:00, un gruppo di militari azeri ha attraversato la linea di contatto e ha attaccato un veicolo del Dipartimento passaporti e visti della polizia della Repubblica di Artsakh. Come risultato di questo attacco, tre agenti di polizia sono stati uccisi e un altro è stato ferito.
Gli azeri riferiscono che da diverso tempo ricevono informazioni sul trasporto di armi e munizioni dal territorio dell’Armenia alla regione del Karabakh attraverso strade secondarie bypassando la principale strada Lachin-Khankendi.
L’altroieri, al fine di verificare le informazioni ricevute, unità dell’esercito azero avrebbero tentato di fermare e ispezionare un veicolo sospettato di trasportare illegalmente armi e munizioni ma dall’auto sarebbero partiti colpi di arma da fuoco da cui ne è scaturita una sparatoria con caduti da entrambe le parti.
Già tra il 2 e 3 marzo, stando a quanto dice il Ministero della Difesa del Nagorno-Karabakh, unità delle forze armate azere schierate nei territori controllati da Baku nei distretti di Askeran, Martakert e Martun hanno violato il cessate il fuoco con l’uso di armi leggere. La violazione è stata confermata anche dal comando delle forze di pace russe di stanza nell’area.
Il Ministero degli Affari Esteri dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) ha dichiarato che “un’analisi preliminare delle circostanze dell’uccisione di agenti di polizia consente di considerare le azioni della parte azera come un crimine di guerra.”1 Sempre lo stesso ministro considera l’episodio di ieri una violazione della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020 così come la violazione del cessate il fuoco.
La disputa tra Armenia ed Arzebaijan si riaccesa nel settembre scorso quando in due giorni di combattimento sono morti 155 soldati di entrambe le parti.
La dichiarazione di cessate il fuoco è venuta in seguito a due giorni di pesanti combattimenti che hanno segnato il più grande scoppio di ostilità tra i due avversari in quasi due anni. Armenia e Azerbaigian si sono scambiati la colpa per il bombardamento, con le autorità armene che accusano Baku di aggressione non provocata e i funzionari azeri che affermano che il loro paese sta rispondendo agli attacchi armeni.
Le due ex repubbliche sovietiche sono state bloccate in un conflitto decennale sul Nagorno-Karabakh che formalmente parte dell’Azerbaigian era sotto il controllo di forze sostenute dall’Armenia da quando una guerra si è conclusa nel 1994. Durante un conflitto di sei settimane nel 2020, l’Azerbaigian ha reclamato ampie aree del Nagorno-Karabakh e dei territori adiacenti detenuti dalle forze armene. Ufficialmente più di 6700 persone sono morte nei combattimenti (ma ci sono fondate ragioni per credere che il numero reale sia assai maggiore, ndr) che si sono conclusi con un accordo trilaterale per la cessazione delle ostilità mediato dalla Russia.
Da metà dicembre, un gruppo attivisti “ambientali” azeri ha sbarrato l’unica strada che collega il Karabakh all’Armenia, il corridoio di Lachin. La Corte Internazionale di Giustizia a fine febbraio ha ordinato all’Azerbaigian di rimuovere il blocco stradale dall’unica strada tra l’Armenia e la regione del Nagorno-Karabakh a maggioranza armena in Azerbaigian che ha ulteriormente alimentato le tensioni tra i due paesi. La sentenza è legalmente vincolante ed il presidente della Corte internazionale di giustizia, Joan Donoghue, ha affermato che le prove presentate dall’Armenia hanno stabilito che il blocco “ha impedito il trasferimento di persone di origine nazionale ed etnica armena ricoverate in ospedale nel Nagorno-Karabakh in strutture mediche in Armenia per cure mediche urgenti.”2 Il blocco della strada ha, inoltre, interrotto le forniture al Nagorno-Karabakh di “beni essenziali, causando carenze di cibo, medicine e altre forniture mediche salvavita.” La corte ha ordinato all’Azerbaigian di “prendere tutte le misure a sua disposizione per garantire il libero movimento di persone, veicoli e merci lungo il corridoio di Lachin in entrambe le direzioni”. Ha, altresì, respinto la richiesta dell’Armenia di ordinare all’Azerbaigian di non bloccare le forniture di gas al Nagorno-Karabakh.
Il Consiglio d’Europa, a seguito di una lettera del Ministro degli esteri dell’Armenia in cui richiedeva lo schieramento di una missione civile in ambito PSDC, il 23 23 gennaio 2023 ha adottato una decisione che istituisce l’EUMA, ossia una missione neutrale e senza compiti esecutivi.
L’obiettivo della missione è contribuire a garantire la stabilità nelle zone di frontiera dell’Armenia, a rafforzare la fiducia e la sicurezza umana nelle zone di conflitto e garantire un contesto favorevole agli sforzi di normalizzazione tra l’Armenia e l’Azerbaigian sostenuti dall’UE. Il comando operativo della missione sarà a Yeghegnadzor, nella provincia armena di Vayots Dzor.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-03-07 19:54:302023-03-09 19:56:09ALTRI MORTI NELLA DISPUTA AZERBAIGIAN-ARMENIA NEL NAGORNO-KARABAKH (Difesaonline 07.03.23)
Aumenta la tensione tra Azerbaigian e Armenia nella regione del Nagorno-Karabakh. Domenica mattina, intorno alle 10, un commando dell’esercito azero ha teso un’imboscata a un camioncino del dipartimento di polizia della Repubblica dell’Artsakh, uccidendo tre agenti e ferendone gravemente un quarto. Nell’assalto sono rimasti uccisi anche due soldati azeri.
«L’attentato terroristico» dell’Azerbaigian
Il veicolo armeno è stato crivellato di colpi, come mostrano le foto pubblicate dal governo di Stepanakert. Il camioncino, partito da Stepanakert, si stava dirigendo a Lisagor attraverso una strada alternativa al Corridoio di Lachin, che l’Azerbaigian blocca illegalmente da tre mesi. Lungo il percorso il furgone è stato intercettato da 15 soldati dell’esercito di Baku, sbucati dalla boscaglia, che hanno aperto il fuoco in modo indiscriminato.
Per giustificare l’attacco il governo azero ha accusato i poliziotti armeni di trasportare illegalmente armi. Ma come confermato dal governo dell’Artsakh, in realtà nel camioncino c’erano solo le armi d’ordinanza della polizia. Secondo quanto dichiarato dal ministero degli Esteri dell’Artsakh, l’imboscata è una «flagrante violazione» dell’accordo del 9 novembre 2020, che non prevede la presenza di soldati azeri nell’area dove è avvenuto lo scontro a fuoco.
Il presidente del Parlamento dell’Artsakh, Artur Tovmasyan, ha denunciato «l’attentato terroristico» accusando l’Azerbaigian di portare avanti un’operazione di «pulizia etnica» ai danni degli armeni residenti in Artsakh per «costringerli ad abbandonare la loro terra».
L’Azerbaigian viola ancora il cessate il fuoco
L’imboscata di domenica è solo l’ultima di una lunga serie di provocazioni condotte dal regime di Baku. Nella notte tra giovedì e venerdì alcuni soldati dell’esercito azero di stanza nelle regioni di Askeran, Martakert e Martuni, nell’Artsakh, hanno violato il cessate il fuoco, come confermato anche dai peacekeeper russi.
La pressione ai danni della popolazione armena sta aumentando. Dal 12 dicembre gruppi di cosiddetti “ambientalisti” provenienti dall’Azerbagian bloccano il Corridoio di Lachin, l’unica via che collega i 120 mila armeni residenti nell’Artsakh all’Armenia e al resto del mondo, rischiando di provocare una catastrofe umanitaria.
Nel suo ultimo discorso il dittatore azero Ilham Aliyev ha dichiarato che il corridoio di Lachin è «aperto per tutti gli armeni che vogliono abbandonare il Nagorno-Karabakh». Questo significa, come ha spiegato il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, «che il Corridoio è chiuso per gli armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh e che vogliono continuare a farlo».
«L’Azerbaigian vuole invadere l’Armenia»
Mentre la comunità internazionale accetta la palese violazione da parte dell’Azerbaigian della sentenza della Corte dell’Onu, in un importante discorso al Bundestag tedesco, Pashinyan ha dichiarato durante la sua recente visita di Stato:
«Siamo sicuri che l’obiettivo dell’Azerbaigian sia condurre un’operazione di pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh, liberando il territorio dai residenti armeni. Temiamo che il blocco del Corridoio di Lachin sia soltanto l’inizio di un’escalation nel Nagorno-Karabakh e al confine tra Armenia e Azerbaigian, perché l’Azerbaigian continua a utilizzare una retorica molto aggressiva. Sapete che a settembre l’Azerbaigian ha iniziato un’aggressione su larga scala contro l’Armenia, occupando dei territori sovrani armeni. L’Azerbaigian considera tutta l’Armenia un suo territorio e si prepara a un’aggressione su larga scala contro di noi».
La Russia conferma che nei giorni precedenti sono stati violati molte volte i cessate il fuoco nella zona di battaglia.
La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, si è detta molto preoccupata per le tensioni che si sono venute a creare nella zona di Nagorno-Karabakh. Così, la Russia chiede alle due parti di moderare le proprie azioni, per non rischiare un’escalation.
soldato russo kalashnikov
Quest’oggi, Zakharova ha espresso “seria preoccupazione per l’escalation delle tensioni nella zona”, precisando che ci sono state ripetute violazioni del cessate il fuoco negli ultimi giorni. “Un incidente armato avvenuto il 5 marzo ha provocato la morte sia di armeni che di azeri lati”, continua.
“Imperativo negoziare”
La Russia esorta la Regione a esercitare moderazione e ad adottare misure per ridurre la situazione. Alta la necessità di rispettare le disposizioni della dichiarazione di Russia, Azerbaigian e Armenia del 9 novembre 2020, sulla completa cessazione del fuoco e di tutte le ostilità nella zona del conflitto del Nagorno-Karabakh.
La portavoce poi ha affermato che le questioni sulla garanzia della sicurezza e della vita quotidiana nella zona “di responsabilità del contingente russo di mantenimento della pace, dovrebbe essere risolta pacificamente attraverso la comunicazione tra le parti sotto gli auspici dell’RPC”.
Fondamentale che “Baku e Yerevan tornino prontamente ai negoziati come parte dell’attuazione delle disposizioni delle dichiarazioni trilaterali dei leader di Russia, Azerbaigian e Armenia del 9 novembre 2020, 11 gennaio e 26 novembre 2021 , così come il 31 ottobre 2022, comprese quelle relative allo sblocco delle linee di comunicazione regionali, alla delimitazione del confine armeno-azerbaigiano e alla preparazione di un trattato di pace”, ha affermato.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-03-06 18:21:542023-03-07 18:25:59Russia preoccupata per le tensioni in Nagorno-Karabakh (Newsmondo 06.03.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 06.03.2023 – Vik van Brantegem] – Giorno 85 dell’assedio azero all’Artsakh. Non ci sono cambiamenti nella situazione del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) che collega l’Artsakh all’Armenia, che rimane in vigore, presidiato dalle organizzazioni guidate e coordinate dallo Stato dell’Azerbajgian. È interessante notare che il numero di “eco-attivisti” al posto di blocco triplica, quando l’Azerbajgian paga influencer e giornalisti stranieri per venire a visitare la finta “eco-protesta”.
Il Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan, ha dichiarato oggi durante la sessione allargata del Consiglio di Sicurezza dell’Artsakh, che l’Azerbajgian ha trasmesso attraverso i suoi canali che «l’Artsakh o accetta la politica di integrazione, o non ci sarà soluzione ai problemi esistenti, al contrario, ci saranno passi più duri e più netti». Gli Azeri ci stanno mostrando come vogliono la pace. Vogliono la pace senza gli Armeni. I crimini di guerra e gli atti di terrorismo, che seguono il cessate il fuoco del 9 novembre 2020, dimostrano che azioni “più duri e più netti” significano per l’Azerbajgian l’uso della forza armata e una nuova escalation. Il mondo non ha il diritto di tacere.
Bollettino informativo quotidiano del Ministero della Difesa della Federazione Russa sulle attività del contingente di mantenimento della pace russo nella zona del conflitto del Nagorno-Karabakh (6 marzo 2023) [QUI]: «Alle ore 10.00 del 5 marzo 2023, nell’area dell’insediamento di Dyukyanlar [si trova 3 km ad ovest del villaggio di Ghaibalishen], i militari delle Forze Armate della Repubblica di Azerbajgian hanno sparato contro un’auto con agenti delle forze dell’ordine del Nagorno-Karabakh. A seguito dello scontro, tre persone sono morte e un dipendente che era a bordo dell’auto è rimasto ferito. Da parte azera le perdite furono: due morti, un ferito. Grazie all’intervento delle forze di mantenimento della pace russe, lo scontro è stato fermato. Su questo fatto, il comando del contingente di mantenimento della pace russo, insieme alle parti azera e armena, sta conducendo un’indagine».
Come abbiamo riferito [QUI], ieri 5 marzo 2023 intorno alle ore 10.00, un comando di sabotaggio delle Forze Armate della Repubblica di Azerbajgian, al fine di destabilizzare la situazione interna della Repubblica di Artsakh, ha teso un’imboscata effettuando un attacco terroristico sul territorio della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh contro un gruppo di agenti del Dipartimento Passaporti e Visti del Ministero degli Interni della Repubblica di Artsakh, mentre con un pulmino di servizio percorrevano una strada in una zona chiamata Khaipalu, ad ovest del villaggio di Ghaibalishen, sulla riva sinistra del fiume Armenavan, non lontano dalla capitale Stepanakert e dalla città di Sushi, occupata dalle forze armate dell’Azerbajgian.
I tre poliziotti dell’Artsakh uccisi ieri nell’attentato terroristico azero sul territorio dell’Artsakh: il Tenente colonnello della polizia Armen Majori Babayan, il Maggiore della polizia Davit Valerii Danielyan e il Tenente della polizia Ararat Telmani Gasparyan.
Utilizzando armi di diverso calibro, il comando di sabotaggio azero ha attaccato il pulmino, uccidendo il Tenente colonnello della polizia Armen Majori Babayan, il Maggiore della polizia Davit Valerii Danielyan e il Tenente della polizia Ararat Telmani Gasparyan, e gravemente ferendo il Tenente della Polizia Davit Hovsepyan. Sul corpo di uno dei poliziotti uccisi sono state trovate più di 20 ferite da arma da fuoco.
Secondo il comunicato dell’Ufficio del Presidente dell’Artsakh, prima di iniziare la seduta odierna della sessione allargata del Consiglio di Sicurezza dell’Artsakh, con la partecipazione dei capi delle forze politiche dell’Assemblea Nazionale e delle amministrazioni regionali, i partecipanti sono rimasti per un minuto in silenzio per onorare la memoria degli agenti di polizia del Ministero degli Interni dell’Artsakh, deceduti a seguito dell’attentato azero di ieri. Poi il Presidente Harutyunyan ha rilasciato una dichiarazione.
Harutyunyan ha detto che i rappresentanti dell’Artsakh hanno incontrato i rappresentanti dell’Azerbajgian il 24 febbraio scorso con la mediazione e alla presenza del comando delle truppe di mantenimento della pace russe di stanza nell’Artsakh per discutere le questioni umanitarie e infrastrutturali della situazione. Poi è stato raggiunto un accordo sul secondo incontro, che si è svolto il 1° marzo, sotto la guida del Segretario del Consiglio di sicurezza Samvel Shahramanyan. Quattro i temi all’ordine del giorno degli incontri: lo sblocco del Corridoio di Lachin, il ripristino della fornitura di elettricità dall’Armenia all’Artsakh, la fornitura ininterrotta di gas naturale e il riutilizzo della miniera di Kashen.
“Durante il secondo incontro, il rappresentante dell’Azerbajgian ha cercato di discutere di argomenti politici usando la parola integrazione, ma il Signor Shahramanyan lo ha impedito, dicendo che se dovessero discutere di questioni politiche, dovrebbe essere il tema del riconoscimento dell’indipendenza dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian. Ha aggiunto che non sono autorizzati a discutere questioni politiche e non si possono discutere tali questioni in questo incontro”, ha detto Harutyunyan.
Dopodiché, ha aggiunto Harutyunyan, la parte azera ha trasmesso attraverso i suoi canali che o si accetta la politica di integrazione, o non ci sarà soluzione ai problemi esistenti, al contrario, ci saranno passi più duri e più netti.
“Non abbiamo accettato, non accettiamo e oggi voglio affermare ancora una volta che non è solo una decisione del Consiglio di Sicurezza, ma la stragrande maggioranza del nostro popolo accetta che non devieremo dal nostro diritto all’indipendenza e all’auto-determinazione. E questo significa che nel prossimo futuro avremo vari sviluppi, situazioni che dovremo affrontare. Scegliamo se continuare la lotta che abbiamo intrapreso, o se ci sono tali stati d’animo nel pubblico che dovremmo accettare la proposta presentata dall’Azerbajgian, allora hanno l’opportunità di parlare nell’ambito dei loro diritti civili e dire che il percorso che abbiamo scelto è sbagliato, provare a plasmare quegli umori e formare un nuovo governo nel Paese. Ma dal momento che abbiamo scelto il percorso della lotta, per favore, prima di tutto rispetto la nostra decisione e non reagiamo a tali fenomeni e non attribuiamo alcuna implicazione politica interna”, ha affermato il Presidente Harutyunyan.
Toccando il tragico caso dell’uccisione degli agenti di polizia del Ministero degli Interni della Repubblica di Artsakh a seguito dell’attentato azero il 5 marzo, il Presidente della Repubblica ha osservato che, purtroppo, tali provocazioni non sono escluse nel prossimo futuro. “Dobbiamo renderci conto del fatto che dobbiamo lottare a lungo e nel quadro di quella lotta ci saranno tali situazioni, e dovremmo prendere misure preventive. Ho discusso i nostri problemi con il Ministro di Stato e oggi informerò il governo della decisione del Consiglio di Sicurezza di sviluppare un programma di sicurezza alimentare e energetica, poiché dobbiamo calcolare tutti gli scenari”, ha affermato Harutyunyan.
“Qualunque cosa facciamo, lo facciamo bene”. Questo è un post pubblicato da Adnan Huseyn, dopo che le Forze Armate azere hanno ucciso i tre poliziotti etnici armeni dell’Artsakh. Come abbiamo segnalato già più volte, Adnan Huseyn ogni giorno pubblica filmati su Twitter in cui ripete che non esiste un #ArtsakhBlockade, invitando le persone a provare di transitare, che in realtà è una trappola/esca per provocare un altro conflitto violento. In questo post si trova la conferma quanto abbiamo affermato soltanto due giorni fa [QUI], quando abbiamo spiegato chi è questo personaggio che trasmette dal Corridoio di Berdzor (Lachin), che non è territorio azero, ma dell’Artsakh, insieme agli altri occupanti illegali, protetti dalla polizia e dalle forze speciali dell’Azerbajgian, che bloccano da 85 giorni l’autostrada Stepanakert-Berdzor (Lachin)-Goris.Ecco, il nostro “eco-attivista” (ora “eco-avvocato”) del governo dell’Azerbajgian, Adnan Huseyn, lamenta che “l’Armenia viola la dichiarazione tripartita”, chiedendo che si faccia traffico sulla strada che lui stesso blocca. E conferma che l’Azerbajgian ha invaso la zona proibita come lo fa lui stesso sul blocco (secondo la dichiarazione tripartita). A parte di questo, ripete pedissequamente le ridicole falsità del Ministero della Difesa azero, come lo sta facendo ormai da 85 giorni con i suoi video. Ripetiamo: lui è un genio della comunicazione per far capire anche ai bambini quale è lo scopo del #ArtsakhBlockade: la pulizia etnica degli Armeni dall’Artsakh/Nagorno-Karabakh. Ormai da tempo lui fornisce le prove che tutta la questione non ha niente a che fare con la difesa dell’ambiente (poi nessuno ci crede, neanche lui). Proviamo insieme a vedere armi e munizioni in questo video. Anche se l’Artsakh ha tutti i diritti di difendersi contro gli attacchi dell’Arzerbajgian. Insomma, questo post è fantastico. Si sta superando. È un video che nessuno sa quando e dove è stato girato. In qualche modo, lui, il finto “eco-attivista”, ha accesso ad esso e con un retroscena di contrabbandieri di armi. Questo, mentre i terroristi azeri hanno ucciso tre poliziotti dell’Artsakh a sangue freddo, lamentandosi che l’esercito di difesa dell’Artsakh ha ucciso due di loro. Il suo lavoro diventa più sporco con ogni giorno che passa.
Questo in riposta al finto “eco-Sherlock Holmes” di cui sopra: «Abbiamo ricevuto numerosi messaggi privati che chiedevano informazioni sulla possibilità di trasferimenti di armi dall’Armenia al Nagorno-Karabakh dopo l’agguato di ieri. In risposta, questi brevi osservazioni.
Nessuna informazione open source o non open source verificabile in modo indipendente in cui ci siamo imbattuti dalla conclusione della guerra del 2020 suggerisce che siano in corso trasferimenti di armamenti dall’attuale governo in Armenia alle autorità de facto di Nagorno-Karabakh.
Inoltre, dal 2018, e definitivamente dalla guerra del 2020, le autorità di Yerevan hanno preso sempre più le distanze dal Nagorno-Karabakh e dai 120.000 Armeni rimasti lì, nonostante questi ultimi possedessero la cittadinanza armena.
L’Armenia ha ritirato il suo personale militare rimanente dal Nagorno-Karabakh dopo la guerra del 2020, in pratica modificando la sua dottrina di difesa decennale di essere il principale garante per gli Armeni etnici in Nagorno-Karabakh, non prima di un grande rimescolamento politico e politiche di tipo epurazione verso precedenti funzionari militari di alto rango o politici a favore del mantenimento di una dottrina di difesa orientata al Nagorno-Karabakh.
Quello che abbiamo ora nel Nagorno-Karabakh è simile alla situazione del 1988: una popolazione locale a maggioranza etnico-armena con pochissimi mezzi di difesa, isolata e bloccata.
La differenza questa volta è un Azerbajgian politicamente e militarmente organizzato, tecnologicamente superiore negli armamenti, pur lungo dall’essere un Paese democratico, gioca un ruolo significativo nella sicurezza energetica di numerosi Paesi, quindi forti interessi diplomatici ed economici.
Sebbene le autorità di difesa azere abbiano riferito in numerose occasioni di trasferimenti di armi dall’attuale governo armeno a Nagorno-Karabakh, questi rapporti non sono stati verificati in modo indipendente. Oltre a quest’ultimo, l’orientamento politico che regna a Yerevan va contro il sostegno alla causa del Nagorno-Karabakh.
Al di là delle dichiarazioni periodiche che affermano la necessità di difendere i diritti umani e le garanzie di sicurezza per le persone nel Nagorno-Karabakh, nessuno sforzo diplomatico, politico, economico o militare tangibile da parte di Yerevan dal 2018 si è materializzato in modo positivo a favore della causa del Nagorno-Karabakh.
Inoltre, Yerevan ha cercato di “lanciare” la questione del Nagorno-Karabakh alla Russia dal 2020, lasciando a quest’ultima l’incarico di mantenere una fragile pace che coinvolge 120.000 dei suoi stessi cittadini, mentre cerca legami diplomatici più stretti con la Turchia, uno dei principali partecipanti alla guerra del 2020.
Per riassumere: l’attuale leadership dell’Armenia non ha una posizione pro-Nagorno-Karabakh, né vi è alcuna indicazione che sia a favore della difesa militarmente dei suoi parenti etnici nel territorio tanto quanto Baku lo è per rafforzare la sua presa su ciò che resta dell’enclave» (Nagorno Karabakh Observer – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
Le autorità giudiziarie della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh hanno annunciato oggi, che stanno trattando l’imboscata del 5 marzo da parte delle forze azere come “terrorismo internazionale”. In una dichiarazione, la Procura generale dell’Artsakh ha dichiarato di aver avviato un procedimento penale ai sensi dell’articolo 415 del codice penale, che riguarda i casi di terrorismo internazionale. Secondo i pubblici ministeri dell’Artsakh, l’imboscata azera in cui tre agenti di polizia dell’Artsakh sono morti e uno è rimasto ferito mentre erano in servizio nella loro auto della polizia, ha cercato di “destabilizzare la situazione interna” nell’Artsakh uccidendo o ferendo persone e distruggendo o danneggiando infrastrutture e altri beni.
Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian afferma che gli Armeni hanno cercato di utilizzare una strada alternativa al Corridoio di Lachin nel tentativo di contrabbandare materiale militare dall’Armenia al Karabakh, e che di conseguenza c’è stata una sparatoria e perdite di vite da entrambi i lati.
I video dell’attacco al veicolo della polizia in Artsakh da parte di un comando terroristico dell’Azerbajgian, diffuse dal Difensore dei Diritti Umani dell’Artsakh, con una descrizione degli episodi dell’attacco azero, dimostrano innanzitutto che si tratta da un agguato organizzato, non una semplice violazione del cessate il fuoco:
L’ex Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Artak Beglaryan, ha rilasciato una dichiarazione sulla disinformazione azera in merito all’imboscata mortale del 5 marzo da parte delle forze azere contro gli agenti di polizia dell’Artsakh. Beglaryan ha affermato che la disinformazione azera è “semplice e irragionevole” a tal punto che persino un bambino può identificare le bugie. Di seguito riportiamo la dichiarazione completa rilasciata da Beglaryan:
«La disinformazione da parte delle autorità azere è così semplice e irragionevole nella sua logica che persino un bambino può identificare le loro bugie sull’imboscata che le loro forze armate hanno condotto oggi ai poliziotti dell’Artsakh.
1. Il veicolo della polizia dell’Artsakh stava viaggiando da Stepanakert al posto di blocco di servizio nella regione di Shushi, mentre la parte azera afferma che stava viaggiando dall’Armenia a Stepanakert. La direzione di marcia dell’auto è pienamente visibile nel video pubblicato dalla polizia dell’Artsakh.
2. Con il veicolo della polizia in viaggio da Stepanakert, è chiaramente impossibile che stessero trasferendo armi, o qualsiasi altra cosa, dall’Armenia ad Artsakh perché stavano viaggiando nella direzione opposta.
3. Il video mostra anche il momento in cui i militari azeri hanno teso un’imboscata al veicolo della polizia, sparando poi avvicinandosi e aprendo la porta poi lanciando documenti, affermando di controllare la presenza di armi che non hanno trovato.
4. Una foto pubblicata dalla polizia mostra anche che il veicolo preso di mira, nel luogo, dopo l’attacco, era vuoto, il che significa che non c’era carico all’interno.
5. Oltre al fatto che gli ufficiali viaggiavano da Stepanakert, viaggiavano anche su un piccolo veicolo appena sufficiente per i passeggeri, come potevano essere trasportate armi in un veicolo così piccolo?
6. Il video mostra anche come i militari azeri sparassero al veicolo da lontano e poi si avvicinassero e sparassero di nuovo contro l’auto. Le prove video rendono evidente che solo dopo aver lasciato il luogo dell’attacco, le postazioni militari dell’Artsakh hanno sparato in difesa. Confuta le false affermazioni azere secondo cui la squadra dell’Artsakh ha sparato per prima.
7. Se l’Artsakh è stato il prima aggressore secondo l’Azerbajgian, allora che dire delle prove video e del perché il veicolo preso di mira e le perdite di entrambe le parti erano sulla strada sotto il nostro controllo a più di 1 chilometro dalla linea di contatto?
8. Le autorità azere hanno pianificato questo attacco, supponendo erroneamente che la loro imboscata e l’uccisione della nostra gente non avrebbero ricevuto una risposta adeguata e difensiva dalla posizione militare dell’Artsakh vicino al luogo dell’incidente. Abbiamo pieni diritti per proteggere il nostro popolo dai crimini azeri e dalle azioni di genocidio.
Questa non è altro che una continuazione della politica di pulizia etnica del regime di Aliyev contro il popolo dell’Artsakh in linea con i loro 84 giorni di blocco.
L’Azerbajgian non solo non ha fatto nulla per attuare l’ordine della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, pubblicato il 22 febbraio, per aprire il Corridoio di Lachin al movimento senza ostacoli di persone, auto e merci, ma continua a peggiorare ulteriormente la crisi umanitaria con questo tipo di aggressioni.
A proposito, la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha respinto la richiesta dell’Azerbajgian sulle munizioni armene affermando che non ci sono prove sufficienti per tali affermazioni.
Il regime dittatoriale di Aliyev dell’Azerbajgian deve essere punito dalla comunità internazionale per questo e precedenti crimini, incluso il blocco, altrimenti continueranno a intensificare le loro aggressioni e commetteranno nuovi e più brutali crimini contro l’umanità e il popolo dell’Artsakh».
Il Primo Ministro della Repubblica di Armenia, Nikol Pashinyan, ha ricevuto il co-Presidente francese del Gruppo di Minsk dell’OSCE, Brice Roquefeuil. Pashinyan ha richiamato l’attenzione di Roquefeuil sul fatto dell’attacco di sabotaggio compiuto dalle forze armate azere nell’Artsakh il 5 marzo, a seguito del quale tre agenti del Dipartimento passaporti e visti della polizia del Ministero degli Interni dell’Artsakh sono stati uccisi e uno è rimasto ferito. Pashinyan ha sottolineato che le azioni del gruppo di sabotaggio azero non possono essere descritte come nient’altro che terrorismo e ha aggiunto che parallelamente al blocco del Corridoio di Lachin e alle azioni volte a provocare un disastro umanitario in Nagorno-Karabakh per quasi tre mesi, l’Azerbajgian continua le azioni per terrorizzare la popolazione armena dell’Artsakh con l’obiettivo finale di realizzare la pulizia etnica. Entrambe le parti hanno sottolineato la necessità per l’Azerbajgian di attuare immediatamente la decisione della Corte Internazionale di Giustizia sullo sblocco del Corridoio di Lachin. Allo stesso tempo, il Primo Ministro armeno ha sottolineato che, nelle condizioni esistenti, l’invio di una squadra internazionale di accertamento dei fatti nel Corridoio di Lachin e nel Nagorno-Karabakh diventa una necessità vitale.
Sono state inoltre discusse le questioni relative al processo di normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbajgian e la questione del Nagorno-Karabakh. Allo stesso tempo, è stata sottolineata l’importanza dell’attività della missione civile dell’Unione Europea in Armenia, che contribuirà alla stabilità regionale e alla pace.
«L’esercito azerbajgiano ha impedito il tentativo di trasferimento illegale dall’Armenia alla regione di Karabakh nell’Azerbaijgian [tradotto: la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh] attraverso la strada Khankendi-Khalfali-Turshsu [tradotto: la strada Stepanakert-Ghaybalishen-Lisagor] di munizioni, attrezzature, forniture e personale militare in grave violazione della dichiarazione trilaterale. L’Armenia non vuole la pace» (Rahman Mustafayev, Ambasciatore dell’Azerbajgian nei Paesi Bassi, ripetendo la disinformazione del Ministero della Difesa azero). Quando il bue da del cornuto all’asino. A parte delle sue farneticazioni, ciò che Mustafayef omette di dire, è che tre poliziotti etnici Armeni nati in Artsakh (quindi, secondo lui cittadini dell’Azerbajgian) sono stati uccisi in un agguato da militari azerbajgiani in completa violazione dell’accordo trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, tenendo il resto della popolazione Artsakh sotto assedio da 85 giorni. Poi, tutto quello che elenca in un minibus! Peccato per il diplomatico bugiardo di Aliyev, non solo il pulmino veniva da Stepanakert e non dall’Armenia, e che le forze di mantenimento della pace russe, arrivate subito sul luogo dell’attentato, non hanno trovato niente di tutto ciò che lui repete dalla narrazione di Baku.
L’Ambasciatore azero in Germania è un manipolatore di odio. Si dimentica di indicare sulla piantina che gli agenti di polizia dell’Artsakh assassinati da soldati azerbajgiani non erano in Azerbajgian, ma in Artsakh, ad 1 km di distanza dalla linea di contatto, fissata nell’accordo trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, che è stata attraversata dal comando terroristico azero per l’imboscata. I poliziotti dell’Artsakh andavano con loro pulmino da Stepanakert ad un loro posto di servizio per il cambio di turno, quindi non venivano dall’Armenia e non trasportavano materiale militare.
Qui si vede esattamente dove è avvenuto l’imboscata del comando di sabotaggio delle Forze Armate dell’Azerbajgian in territorio della Repubblica di Artsakh.
Da notare soprattutto che l’attentato è avvenuto dopo gli incontri di questi giorni, di trattative per sbloccare il Corridoio di Berdzor (Lachin). L’Azerbajgian sta testando ulteriormente fino a che punto possono spingere i loro limiti prima di ricevere qualsiasi tipo di pressione o azione dalla comunità internazionale? Sembra che questo sia ciò che l’Azerbajgian sta cercando di fare perché è diventato chiaro negli ultimi giorni con le loro palese violazioni del cessate il fuoco, quali sono le loro vere intenzioni. È chiaro che alla comunità internazionale non importa niente di Artsakh e Armenia, il che potrebbe costituire un precedente molto pericoloso in questa regione se questi tipi di azioni possono persistere.
La logica azera: 1. Non c’è blocco. 2. Se provate a usare una strada alternativa, vi uccidiamo.
La logica azera: 1. Noi ci armiamo e ci prepariamo alla prossima guerra. 2. Se provata ad armarvi per difendervi, vi uccidiamo.
Un IL-76 azero Silkway, sopra Israele. Approda spesso all’Ovda Crediti (Foto di Yarden Antebi).
92 voli dalla base israeliana rivelano esportazioni di armi in Azerbajgian
L’indagine di Haaretz rivela dozzine di voli cargo da Baku alla pista di atterraggio israeliana utilizzati per l’esportazione di esplosivi
Israele vende armi per miliardi all’Azerbajgian e, secondo le fonti, riceve petrolio e accesso all’Iran
Le tensioni tra l’Azerbajgian e l’Iran e l’Armenia sono recentemente aumentate
di Avi Scharf e Oded Yaron Haaretz, 5 marzo 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Un aereo cargo azero è atterrato giovedì scorso alla base aerea israeliana di Ovda a nord di Eilat. Dopo due ore a terra, come al solito, il vecchio aereo da trasporto Ilyushin-76 è decollato, ha sorvolato il centro di Israele, ha proseguito verso nord sopra la Turchia e poi verso est, tornando al suo campo base a Baku, la capitale dell’Azerbajgian.
Un’indagine di Haaretz, basata su dati aeronautici disponibili al pubblico, rivela che negli ultimi sette anni, 92 voli cargo operati dalle Silk Way Airlines dell’Azerbajgian sono atterrati alla base aerea di Ovda, l’unico aeroporto in Israele attraverso il quale possono essere fatti entrare e uscire esplosivi.
Israele ha stretto un’alleanza strategica con l’Azerbajgian negli ultimi due decenni, e Israele vende armi al grande Paese a maggioranza sciita per un valore di miliardi di dollari – e in cambio, l’Azerbajgian, secondo le fonti, fornisce a Israele petrolio e accesso all’Iran.
Secondo i resoconti dei media stranieri, l’Azerbajgian ha permesso al Mossad di istituire un ramo avanzato per monitorare ciò che sta accadendo in Iran, vicino a sud dell’Azerbajgian, e ha persino preparato un aeroporto destinato ad aiutare Israele nel caso decidesse di attaccare i siti nucleari iraniani. Rapporti di due anni fa affermavano che gli agenti del Mossad che avevano rubato l’archivio nucleare iraniano lo avevano contrabbandato in Israele attraverso l’Azerbajgian. Secondo i rapporti ufficiali dall’Azerbajgian, negli anni Israele gli ha venduto i sistemi d’arma più avanzati, tra cui missili balistici, sistemi di difesa aerea e di guerra elettronica, droni kamikaze e altro ancora.
Silk Way è una delle più grandi compagnie aeree cargo in Asia e, secondo i documenti ufficiali, funge da subappaltatore per vari ministeri della difesa in tutto il mondo. La compagnia opera tre voli settimanali tra Baku e l’aeroporto internazionale Ben-Gurion con Boeing 747 cargo, e l’anno scorso è stata la terza più grande compagnia aerea cargo straniera in termini di volume a Ben-Gurion.
Ma i dati rivelati qui per la prima volta mostrano che dal 2016 gli aerei IL-76 della compagnia sono atterrati almeno 92 volte all’aeroporto di Ovda, destinazione insolita per gli aerei cargo civili. Silk Way è una delle pochissime compagnie aeree che atterra a Ovda; nel corso degli anni solo una manciata di compagnie aeree dell’Europa orientale che hanno trasportato esplosivi sono atterrate e decollate da lì. Silk Way è stata persino al centro di un rapporto investigativo sui media cechi nel 2018, in cui si affermava che le armi vietate per la vendita in Azerbajgian erano state trasportate lì nonostante l’embargo sulle armi – in un accordo circolare attraverso Israele.
La legge israeliana sull’aviazione vieta il trasporto di routine di esplosivi dall’aeroporto Ben-Gurion, perché si trova nel cuore di un’area densamente popolata, hanno affermato fonti dell’industria aeronautica. L’unico aeroporto da cui è consentito importare ed esportare esplosivi è la base dell’aeronautica israeliana di Ovda, hanno detto le fonti. Nell’ottobre 2013, il capo dell’Autorità per l’aviazione civile israeliana, Giora Romm, ha firmato un’esenzione che consente agli aerei Silk Way di trasportare carichi di esplosivi – “classificati come materiali pericolosi vietati al volo” – da Ovda a un aeroporto militare alla periferia di Baku. Questa esenzione, pubblicata all’epoca sul sito web dell’Autorità per l’aviazione civile, richiede rigide condizioni di sicurezza e include un elenco degli aerei azeri autorizzati a trasportare esplosivi da Ovda all’Azerbajgian.
Questi velivoli Silk Way (e altri) sono atterrati a Ovda quasi 100 volte da quando è stato rilasciato il permesso. I dati espongono un ritmo crescente dei voli per Baku soprattutto a metà del 2016, alla fine del 2020 e alla fine del 2021, che coincidono con i periodi di combattimenti nel Nagorno-Karabakh. L’Azerbajgian e l’Armenia hanno combattuto tra loro molte volte questa regione contesa dall’inizio del XX secolo, tanto più da quando entrambi i Paesi hanno ottenuto l’indipendenza dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Alcuni di questi voli sono atterrati a Ovda con il segnale di chiamata ufficiale del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian. Nel 2016, a Silk Way è stata concessa un’altra esenzione e gli è stato permesso di continuare ad atterrare qui, anche se i suoi aerei non soddisfacevano gli standard sul rumore dell’aviazione israeliana, solo per poter continuare a volare verso Ovda.
Un nemico condiviso, un’alleanza strategica
Il Nagorno-Karabakh è la più famosa di una serie di enclavi che hanno portato alle relazioni travagliate tra l’Azerbajgian e l’Armenia nel corso della loro storia. Il regime sovietico ebbe un discreto successo nel ridurre le tensioni tra la popolazione armena cristiana e gli azeri sciiti, ma nel 1988 il parlamento della regione del Nagorno-Karabakh indisse un referendum sull’uscita dall’Azerbajgian e sull’unione con l’Armenia. Questo passo ha portato alla violenza e a quelli che sono diventati, in pratica, massacri di Armeni a Baku e in altre città dell’Azerbajgian – e atti simili contro la popolazione azera.
Quando l’Unione Sovietica crollò, il conflitto si trasformò in una guerra aperta e sanguinosa, che si concluse nel 1994 con una netta vittoria dell’Armenia, che prese il controllo di vaste aree circostanti l’enclave. Centinaia di migliaia di rifugiati di entrambe le parti sono stati espulsi o costretti a fuggire per salvarsi la vita.
Il duro conflitto ha lasciato entrambe le parti sotto sanzioni e severe restrizioni all’esportazione in Europa e negli Stati Uniti. Il Presidente Ilham Aliyev, dopo aver ereditato la carica da suo padre Heydar Aliyev, ha governato l’Azerbajgian con mano ferma e il suo regime ha una lunga storia di repressione dei diritti civili e arresti di attivisti dell’opposizione. Nel 2017, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha pubblicato un rapporto in cui condanna lo stato della comunità LGBT nel Paese, che soffre di persecuzioni, discriminazioni, sparizioni e arresti, torture e omicidi.
Le sanzioni hanno fornito un’opportunità commerciale e strategica per un partner inaspettato: Israele. Il fatto che entrambi i Paesi vedano l’Iran come una minaccia diretta non ha fatto altro che rafforzare i legami. L’Azerbajgian ha dichiarato la sua indipendenza nell’ottobre 1991 e Israele, che è stato uno dei primi paesi a riconoscere la nuova nazione, ha aperto un’ambasciata a Baku nel 1993.
“Le relazioni dell’Azerbajgian con Israele sono discrete ma strette”, ha scritto Rob Garverick, Capo del dipartimento politico ed economico dell’ambasciata americana a Baku, in un telegramma del 2009 che è stato pubblicato come parte dei documenti di Wikileaks. “Ogni Paese trova facile identificarsi con le difficoltà geopolitiche dell’altro ed entrambi considerano l’Iran una minaccia alla sicurezza esistenziale. L’industria della difesa di livello mondiale di Israele con il suo atteggiamento rilassato nei confronti della sua base di clienti è una corrispondenza perfetta per le sostanziali esigenze di difesa dell’Azerbajgian che sono in gran parte lasciate insoddisfatte da Stati Uniti, Europa e Russia per vari motivi legati all’Armenia e al Nagorno-Karabakh. Opportunamente descritto dal Presidente dell’Azerbajgian Aliyev come un iceberg, nove decimi sotto la superficie, questo rapporto è anche contrassegnato da un riconoscimento pragmatico da parte di Israele della necessità politica dell’Azerbaigian di aderire pubblicamente e nei forum internazionali all’Organizzazione dei non alleati.
L’economia dell’Azerbajgian si basa principalmente su petrolio e gas e, come parte della sua alleanza strategica, è diventato il più grande fornitore di petrolio di Israele. Secondo le stime, circa la metà del petrolio importato da Israele proviene dall’Azerbajgian.
Durante i loro primi anni di indipendenza, sia l’Armenia che l’Azerbajgian facevano affidamento sull’arsenale di armi sovietico, ma secondo lo Stockholm International Peace Institute, dal 2016 la situazione è cambiata e Israele è ora responsabile di quasi il 70% delle armi dell’Azerbajgian.
Numerosi rapporti ufficiali, dichiarazioni e video dall’Azerbajgian mostrano che Israele ha esportato una gamma molto ampia di armi nel Paese, a partire dai fucili d’assalto Tavor fino ai sistemi più sofisticati come radar, difesa aerea, missili anticarro, missili balistici, navi e una vasta gamma di droni, sia per scopi di intelligence che di attacco. Le aziende israeliane hanno anche fornito tecnologia di spionaggio avanzata, come i sistemi di monitoraggio delle comunicazioni di Verint e lo spyware Pegasus del gruppo NSO, strumenti che sono stati utilizzati anche contro i giornalisti, la comunità LGBT e gli attivisti per i diritti umani in Azerbajgian.
Le armi israeliane hanno svolto un ruolo importante quando i combattimenti contro l’Armenia sono ripresi nella Guerra dei Quattro Giorni tra i due paesi nell’aprile 2016, e in particolare durante la Seconda Guerra del Nagorno-Karabakh nel 2020, così come nelle battaglie nel 2022. “L’uso da parte delle forze armate dell’Azerbajgian di armi ad alta tecnologia e ad alta precisione, comprese quelle prodotte in Israele, in particolare i droni, ha svolto un ruolo importante nel raggiungimento della vittoria militare. Sono fiducioso che i nostri legami bilaterali saranno ulteriormente rafforzati e approfonditi in vari campi dopo la guerra patriottica”, ha dichiarato il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian, Jeyhun Bayramov, al quotidiano Israel Hayom in un’intervista nell’aprile 2021.
Lo Stockholm International Peace Institute afferma che le esportazioni di difesa di Israele in Azerbajgian sono iniziate nel 2005 con la vendita dei sistemi di razzi a lancio multiplo Lynx da parte di Israel Military Industries (IMI Systems), che ha una portata di 150 chilometri. IMI, acquisita da Elbit Systems nel 2018, ha fornito anche razzi di artiglieria leggera LAR-160 con una portata di 45 chilometri, che, secondo un rapporto di Human Rights Watch, sono stati utilizzati dall’Azerbajgian per sparare munizioni a grappolo vietate nelle aree residenziali in Nagorno-Karabakh.
L’Armenia ha anche sparato munizioni a grappolo prodotte dalla Russia e una grande quantità di ordigni inesplosi è rimasta nelle aree civili. Israele, Stati Uniti, Russia e Cina sono tra gli oppositori della Convenzione internazionale del 2008 sulle munizioni a grappolo che vieta lo sviluppo e l’uso di munizioni a grappolo, firmata da 123 Paesi.
Nel 2007, l’Azerbajgian ha firmato un contratto per l’acquisto di quattro droni per la raccolta di informazioni da Aeronautics Defense Systems. È stato il primo affare di molti. Nel 2008 ha acquistato 10 droni Hermes 450 da Elbit Systems e 100 missili anticarro Spike prodotti da Rafael Advanced Defense Systems e nel 2010 ha acquistato altri 10 droni per la raccolta di informazioni.
Soltam Systems, di proprietà di Elbit, gli ha venduto pistole ATMOS e mortai Cardom da 120 millimetri, e nel 2017 l’arsenale dell’Azerbajgian è stato integrato con i più avanzati mortai Hanit. Secondo il telegramma trapelato da Wikileaks, nel 2008 è stata firmata anche una vendita di apparecchiature di comunicazione avanzate da Tadiran.
Israele e Azerbajgian hanno portato la loro relazione a un livello superiore nel 2011 con un enorme affare da 1,6 miliardi di dollari che includeva una batteria di missili Barak per l’intercettazione di aerei e missili, oltre a droni Searcher e Heron di Israel Aerospace Industries (IAI). È stato riferito che verso la fine della seconda guerra del Nagorno-Karabakh nel 2020, una batteria Barak ha abbattuto un missile balistico Iskander lanciato dall’Armenia.
I sistemi di difesa aeronautica hanno anche iniziato a cooperare con l’industria locale degli armamenti in Azerbajgian, dove sono stati prodotti alcuni dei 100 droni kamikaze Orbiter, droni che il Ministro della Difesa dell’Azerbajgian ha definito “un incubo per l’esercito armeno”. Nel 2021 è stato presentato un atto d’accusa contro Aeronautics Defence Systems per aver violato la legge che regola le esportazioni della difesa nei suoi rapporti con uno dei suoi clienti più importanti. Un ordine di non divulgazione imposto dal tribunale impedisce la pubblicazione di ulteriori dettagli.
All’inizio degli anni 2010 è iniziato un progetto per modernizzare i carri armati dell’esercito azero. Elbit Systems ha aggiornato ed equipaggiato i vecchi modelli T-72 sovietici con nuovi dispositivi di protezione per migliorare la sopravvivenza dei carri armati e dei loro equipaggi, oltre a sistemi di acquisizione del bersaglio e controllo del fuoco rapidi e precisi. I carri armati aggiornati, noti come Aslan (Lion), hanno recitato nella parata militare del 2013.
La marina dell’Azerbajgian è stata rinforzata nel 2013 con sei navi pattuglia basate sulle navi missilistiche di classe Sa’ar 4.5 della Marina israeliana, prodotte dai cantieri navali israeliani e che trasportano la versione navale dei missili Spike, insieme a sei motovedette Shaldag MK V con il canone Typhoon di Rafael supporti e sistemi missilistici Spike. La marina dell’Azerbajgian ha anche acquistato 100 missili guidati anticarro Lahat.
Nel 2014, l’Azerbajgian ha ordinato i primi 100 droni kamikaze Harop da IAI, che sono stati uno strumento fondamentale nei successivi turni di combattimento. Nello stesso anno l’Azerbajgian acquistò anche due sistemi radar avanzati per l’allarme aereo e la difesa dalla controllata IAI Elta.
“Abbiamo acquistato le più moderne installazioni di difesa aerea. Il nostro esercito ha l’artiglieria più potente… Le armi e le munizioni che abbiamo acquisito negli ultimi anni suggeriscono che possiamo portare a termine qualsiasi compito… Proprio come abbiamo sconfitto gli Armeni sul fronte politico ed economico, siamo in grado di sconfiggerli sul campo di battaglia”, ha dichiarato Aliyev durante una visita e anche sul suo account Twitter.
Due anni dopo, l’Azerbajgian ha acquistato altri 250 droni kamikaze SkyStriker da Elbit Systems. Molti video dalle aree di combattimento hanno mostrato droni israeliani che attaccano le forze armene.
Nel 2016, durante la visita del primo ministro Benjamin Netanyahu a Baku, Aliyev ha rivelato che i contratti erano già stati firmati tra i due Paesi per l’acquisto di circa 5 miliardi di dollari in “attrezzature difensive”.
Nel 2017, l’Azerbajgian ha acquistato droni avanzati Hermes 900 da Elbit Systems e missili balistici LORA da IAI, con una portata di 430 chilometri. Nel 2018 Aliyev ha inaugurato la base dove sono schierati i missili LORA, a una distanza di circa 430 chilometri da Yerevan, capitale dell’Armenia. Durante la guerra del 2020, almeno un missile LORA è stato lanciato e, secondo quanto riferito, ha colpito un ponte che l’Armenia utilizzava per fornire armi ed equipaggiamenti alle sue forze nel Nagorno-Karabakh.
Missili Spike più avanzati sono stati inviati nel 2019 e nel 2020. Insieme ai sistemi d’arma israeliani, la Turchia, alleata dell’Azerbajgian e nemica dell’Armenia, ha fornito i suoi droni Bayraktar TB2, che hanno svolto un ruolo importante nella distruzione degli obiettivi armeni.
Una visita ufficiale e un’ambasciata
Nell’ottobre 2022, il Ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha visitato l’Azerbajgian e ha incontrato Aliyev. In una dichiarazione ufficiale, Gantz ha affermato che la sua visita riguardava questioni politiche e di sicurezza e l’approfondimento della cooperazione tra i due Paesi. Ciò che non fu reso pubblico all’epoca fu che un mese prima della visita di Gantz, Yair Kulas, il capo della direzione israeliana per le esportazioni della difesa (SIBAT), fece la sua visita in Azerbajgian e incontrò il Ministro responsabile delle industrie della difesa dell’Azerbajgian.
Il ministero azero ha affermato che i due hanno discusso dell’espansione degli affari con le industrie della difesa israeliane. Poco tempo dopo l’Azerbajgian ha annunciato ufficialmente che presto avrebbe aperto per la prima volta un’ambasciata in Israele, definendolo un “passo storico” e aggiungendo che “il cielo è il limite per le relazioni tra i due Paesi e i due popoli”.
Dopo la visita, le tensioni sono divampate tra l’Azerbajgian e il suo vicino Iran. E sulla base della situazione del Nagorno-Karabakh, le relazioni dell’Azerbajgian con l’Armenia hanno raggiunto di nuovo il punto di ebollizione e potrebbe essere incombente un altro violento conflitto.
Nel frattempo altri sette voli azeri sono atterrati alla base aerea di Ovda. Dopo due ore a terra, con il carico sono partiti per tornare a Baku.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-03-06 18:18:092023-03-07 18:19:28Ottantacinquesimo giorno del #ArtsakhBlockade. L’Azerbajgian minaccia “passi più duri e più netti”, se l’Artsakh non accetta l’integrazione (Korazym 06.03.23)
La violenza continua ad essere la principale protagonista delle relazioni di vicinato tra Armenia e Azerbaigian. Domenica, secondo la ricostruzione del Consiglio per la comunità armena di Roma, un veicolo con a bordo quattro poliziotti della repubblica di Artsakh è stato crivellato di colpi dai soldati dell’Azerbaigian. Nel corso dell’attacco tre agenti sono stati uccisi.
“Il fatto – spiegano dalla comunità armea – è avvenuto lungo una sconnessa strada sterrata di montagna che costeggia la vallata dove dal 12 dicembre gli azeri bloccano l’accesso all’Artsakh isolandolo dal resto del mondo. L’agguato al pulmino degli agenti armeni è dunque un chiaro segnale che non esistono percorsi alternativi alla strada bloccata nel corridoio di Lachin. Alla faccia di coloro che sostengono che non vi è alcun blocco”.
Da qui la richiesta del Consiglio alle istituzioni europee per l’applicazione di sanzioni all’Azerbaigian che, sempre per gli armeni, dopo alcuni giorni dalla la sentenza di condanna della Corte Internazionale di Giustizia, ha continuato a sparare contro obiettivi civili.
Agguato lungo la strada Khankendi-Khalfali-Turshsu
Di tutt’altro avviso, circa le dinamiche dell’accaduto, l’ultima nota del Ministero della Difesa della Repubblica dell’Azerbaigian: “Secondo le informazioni operative, la parte armena, contrariamente a quanto previsto dalla Dichiarazione Trilaterale del 10 novembre 2020, utilizzando la strada sterrata di Khankendi-Khalfali-Turshsu, ha continuato a effettuare il trasporto di armi, munizioni e personale militare, comprese mine antiuomo, nel territorio dell’Azerbaigian, dove è temporaneamente dispiegato il contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa”.
“Al fine di verificare le informazioni ricevute in merito al trasporto di armi e munizioni e personale militare dalle strade ausiliarie alternative alla strada Lachin, il 5 marzo è stata inviata nell’area l’unità operativa delle Forze Armate della Repubblica dell’Azerbaigian e ha tentato di controllare i veicoli che trasportavano armi, munizioni, personale militare e mine antiuomo dall’Armenia a Khankendi. Tuttavia – prosegue la nota – a seguito del fuoco aperto dal lato opposto, ci sono stati morti e feriti tra le forze armate della Repubblica dell’Azerbaigian. Queste azioni dimostrano ancora una volta la necessità di istituire un regime di checkpoint di frontiera tra l’Azerbaigian e l’Armenia”.
A richiamare le due nazioni, oggi, la nota del portavoce del SEAE, il Servizio Europeo per l’Azione Esterna, Peter Stano: “L’UE deplora lo scoppio della violenza sulla linea di contatto del Karabakh, che ha provocato almeno cinque morti. Le circostanze che circondano questo incidente mortale devono essere indagate a fondo. Esortiamo tutte le parti interessate a mostrare moderazione al fine di prevenire ulteriori azioni che potrebbero minare ulteriormente la stabilità regionale e minacciare il processo di pace”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-03-06 18:16:392023-03-07 18:17:44Caucaso. Ancora crisi lungo la linea di confine del Karabakh (Sardegnagol 06.03.23)
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