BRUXELLES – Al via la missione civile dell’Ue in Armenia (EUMA) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, istituita il 23 gennaio con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine dell’Armenia, rafforzare la fiducia e la sicurezza umana nelle zone di conflitto colpite e garantire un ambiente favorevole agli sforzi di normalizzazione tra l’Armenia e l’Azerbaigian sostenuti dall’Ue. Lo comunica il Consiglio Ue in una nota. L’Euma avrà un mandato iniziale di due anni e impiegherà circa 100 persone, di cui circa 50 osservatori disarmati. Il quartier generale operativo della missione sarà a Yeghegnadzor, nella provincia armena di Vayots Dzor. Il comandante dell’operazione civile sarà Stefano Tomat, direttore esecutivo della capacità civile di pianificazione e condotta (CPCC) del Servizio europeo d’azione esterna, mentre il capomissione, Markus Ritter, guiderà le operazioni sul terreno.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-20 19:21:522023-02-21 19:23:06Al via la missione civile in Armenia per la stabilità nelle zone di confine (ANSA 20.02.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.02.2023 – Vik van Brantegem] – «[La Security Conference 2023 di] München è passato e… non è successo niente per i 120.000 Armeni dell’Artsakh bloccati, rinchiusi nel proprio Paese ormai da 70 giorni dagli Azeri. Nessuna iniziativa umanitaria, poche dichiarazioni, niente di concreto. Il mondo tace, non gli importa. Vergogna» (Jean-Christophe Buisson, Vicedirettore Le Figaro Magazine).
Il Portavoce del Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Lusine Avanesyan, in risposta alla richiesta dell’Artsakhpress di commentare le dichiarazioni del Presidente dell’Azerbajgian in riferimento al Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Ruben Vardanyan, ha dichiarato: «L’Artsakh è la patria di tutti gli Armeni, indipendentemente dal loro luogo di nascita. Pertanto, ogni Armeno è libero di venire in patria e svolgere qui attività legali. Il Presidente dell’Azerbajgian, ragionevolmente sospettato di aver commesso o guidato numerosi crimini di guerra, corruzione e altri crimini, che attualmente sta guidando direttamente l’operazione terroristica del blocco di 120mila Armeni, parlando ancora una volta a München della rimozione di Ruben Vardanyan dall’Artsakh, sta cercando di legittimare il crimine di isolamento dell’Artsakh dall’Armenia e dal mondo intero».
«La crisi umanitaria nell’Artsakh permane mentre le difficoltà all’interno dell’Artsakh continuano ad aumentare. Il governo dell’Artsakh ha deciso di espandere ulteriormente l’uso dei tagliandi alimentari per includere nuovi alimenti e prodotti essenziali. Secondo l’Artsakh Information Center, quattro bambini e nove adulti sono ricoverati in unità di terapia intensiva. Durante il blocco sono nati 267 bambini. Circa 670 persone sono state private delle cure mediche necessarie. 105 pazienti sono stati trasferiti dall’Artsakh in Armenia per ricevere adeguate cure mediche con l’aiuto del Comitato Internazionale della Croce Rossa. 755 imprese hanno sospeso la propria attività a causa delle condizioni operative estremamente difficili. Almeno 5.100 persone hanno perso lavoro e fonti di reddito. Se questa non è una crisi umanitaria, non so cosa lo sia» (Varak Ghazarian – Medium.com, 19 febbraio 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
Սուգը հավերժ է, եթե չկա պայքար
Il lutto è eterno, se non c’è lotta
20 febbraio 1988-2023
Oggi, 20 febbraio è la Giornata della Rinascita dell’Artsakh. Esattamente 35 anni fa, il 20 febbraio 1988, la piazza di Stepanakert riecheggiava delle voci di decine di migliaia di manifestanti. Su richiesta della popolazione fu convocata una riunione di emergenza del Consiglio regionale del Nagorno-Karabakh. Nella tarda serata dello stesso giorno, i Deputati del Popolo hanno adottato la storica decisione sul ritiro della Regione Autonoma dalla Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbajgian. Gli Armeni dell’Artsakh, che si trovano da oltre due mesi sotto assedio, hanno celebrato l’anniversario del Movimento dell’Artsakh (conosciuto anche come Movimento del Karabakh).
«Anche se oggi è il 71° giorno del #ArtsakhBlockade, la nostra generazione più giovane celebra il 35° anniversario del Movimento dell’Artsakh, la nostra lotta per vivere liberamente e indipendentemente, con una danza nazionale tradizionale» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert).
«La gente si è radunata oggi a Stepanakert per celebrare il Giorno della Rinascita, una celebrazione della decisione del 1988 delle autorità della regione di unificarsi con l’Armenia sovietica. L’unica strada che collega la regione all’Armenia è bloccata da oltre due mesi» (Open Caucasus Media).
ll Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno Karabakh Arayik Harutyunyan, il Ministro di Stato Ruben Vardanyan e il Presidente del Parlamento Artur Tovmasyan hanno visitato il Memoriale di Stepanakert per rendere omaggio alla memoria degli eroi caduti in occasione del 35° anniversario del Movimento dell’Artsakh, accompagnati da altri funzionari governativi.
In occasione del 35° anniversario del Movimento dell’Artsakh, il Ministro degli Esteri della Repubblica dei Artsakh, Sergey Ghazaryan, che è nella Repubblica d’Armenia a causa del blocco in corso, ha visitato il pantheon militare Yerablur e a nome del popolo e le autorità dell’Artsakh hanno deposto una corona in memoria di coloro che hanno dato la vita per l’indipendenza e la libertà della Patria durante la Lotta di Liberazione Nazionale dell’Artsakh. Dal 12 al 16 febbraio 2023 Ghazaryan è stato in visita di lavoro nella Federazione Russa, ha dichiarato il ministero degli Esteri dell’Artsakh in un comunicato stampa. Nel corso della visita, il Ministro degli Esteri dell’Artsakh ha avuto incontri con ambienti pubblici, politici ed esperti, nonché rappresentanti della comunità armena. Ghazaryan si trovava in Armenia quando è iniziato il blocco del Corridoio il Lachin il 12 dicembre 2022.
Il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, in occasione del 35° anniversario del Movimento dell’Artsakh, ha rilasciato una dichiarazione che riportiamo di seguito nella nostra traduzione italiana:
«35 anni fa in questi giorni nasceva il Movimento del Karabakh. Le proteste spontanee e di massa iniziate dal 20 febbraio 1988 rimarranno nella storia armena come il simbolo del risveglio nazionale, dell’unità e della lotta di liberazione.
Il Movimento è diventato il primo passo nella restaurazione della nostra statualità, attraverso la quale abbiamo riacquistato la determinazione a vivere liberamente e in modo indipendente, a costruire il nostro destino ed essere responsabili del nostro futuro.
Il Movimento del Karabakh per gli Artsakhiani è iniziato per proteggere i loro diritti ed esprimere il loro diritto e volontà di vivere una vita dignitosa sulla propria terra.
A distanza di 35 anni, gli Armeni del Nagorno-Karabakh affrontano ancora le sfide più serie. Sotto il blocco, i nostri compatrioti oggi sono nuovamente costretti a esprimere la loro volontà di proteggere i loro diritti e la loro sicurezza. Come ho detto più volte, queste azioni dell’Azerbajgian hanno un obiettivo: spezzare la volontà della popolazione del Nagorno-Karabakh di vivere nella propria patria, che, tuttavia, sono convinto sia indistruttibile e incrollabile.
Cari compatrioti.
Continuiamo a moltiplicare i nostri sforzi per focalizzare l’attenzione internazionale sulla crisi umanitaria in Nagorno-Karabakh, perché solo l’incrollabile attività della comunità internazionale è l’opzione per sopprimere l’aggressività e la condotta provocatoria dell’Azerbajgian, per la completa attuazione dei suo obblighi previsti dalla Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 e lo sblocco del Corridoio di Lachin.
Allo stesso tempo, continueremo i nostri passi coerenti diretti a risolvere i problemi socio-economici degli Armeni dell’Artsakh, superare le sfide alla sicurezza e lo sviluppo di meccanismi per la protezione dei diritti e la sicurezza degli Armeni dell’Artsakh. L’attuazione di questi obiettivi richiede un lavoro disinteressato e dobbiamo essere risoluti in questo lavoro.
Cari Artsakhiani.
Siate forti e indistruttibili per il bene di una vita pacifica e sicura nella vostra patria. Di fronte alle nuove sfide globali e regionali, dobbiamo concentrare i nostri sforzi sulla realizzazione dell’agenda di pace, tanto quanto ci rendiamo conto delle difficoltà e dei problemi che ci attendono su questa strada. In generale, l’obiettivo sostanziale del Movimento del Karabakh era la vita pacifica, dignitosa e sicura, e dobbiamo dirigerci verso questo obiettivo».
Se non fosse stato per il Movimento, avremmo perso non solo l’Artsakh, ma anche l’Armenia, ha detto il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Ruben Vardanyan, in occasione del 35° anniversario del Movimento dell’Artsakh.
«La conservazione dell’Artsakh e la sensazione di vittoria nella prima guerra dell’Artsakh ci hanno dato grande forza e fiducia, perché siamo riusciti a rendere possibile quella vittoria, che a molti sembrava impossibile. Grazie al movimento, ci siamo resi conto che possiamo prevenire la catastrofe di perdere la nostra patria attraverso la lotta», ha detto Vardanyan.
«Il popolo dell’Artsakh continua a lottare per il diritto a vivere una vita libera, indipendente e dignitosa, in modo che la minaccia della pulizia etnica e della deportazione dalla patria non incomba sulle nostre teste. In risposta a ciò, abbiamo subito guerre, perdite di vite umane e prove difficili dal vicino Azerbajgian, che continuano sotto forma del blocco di oggi e delle difficoltà che ci vengono imposte», ha affermato il Ministro di Stato dell’Artsakh.
«Nonostante tutte le prove, la nostra volontà di mantenere l’Artsakh armeno rimane irremovibile. Tutti coloro che discutono e cercano di decidere il destino dell’Artsakh senza di noi, non capiscono che abbiamo preso in mano il nostro destino in questo giorno 35 anni fa. Abbiamo pagato un prezzo molto alto per quella decisione. Molti dei nostri eroi hanno dato la vita per mantenere questa terra armena, perché hanno compreso l’eccezionale importanza dell’Artsakh per la conservazione dello stato armeno e del mondo armeno», ha continuato.
«Durante questi 100 giorni del mio mandato come Ministro di Stato e in una situazione di pesante assedio, ho visto di persona la forza straordinariamente potente del popolo dell’Artsakh e mi sono reso conto che otteniamo quella forza dalla terra in cui viviamo, dove ci sono le radici della nostra identità nazionale. Ho sentito la profondità delle nostre radici e quel potere unico che ne deriva», ha detto Vardanyan.
«E ora dico con sicurezza, che anche se ci vorranno altri 35 anni per raggiungere il nostro obiettivo, niente dovrebbe fermarci, deluderci o allontanarci dal nostro obiettivo. Abbiamo abbastanza volontà e tenacia per raggiungere il nostro obiettivo e nessuno può togliercela», ha concluso il Ministro di Stato dell’Artsakh.
Un filmato postato sul canale Telegram della Comunità Russa nel Nagorno-Karabakh [QUI] mostra i membri delle famiglie delle forze di mantenimento della pace russe nel Nagorno-Karabakh che si recano alla Divina Liturgia domenicale nella chiesa ortodossa costruita nel quartier generale del contingente russo. Apparentemente non tutti i cittadini russi sono stati evacuati dal territorio bloccato. Nel post si legge: «BUONA DOMENICA MATTINA ORTODOSSI! CRISTO IN MEZZO A NOI! Parrocchiani della Chiesa della Natività di Cristo in Nagorno-Karabakh». Secondo il canale Telegram della Comunità Russa nel Nagorno-Karabakh, «i membri della comunità russa sono: cittadini della Federazione Russa, slavi e parrocchiani della Chiesa ortodossa russa che vivono nell’Nagorno-Karabakh. Numero – più di 4.000 persone. Nel 2021, per la prima volta in cento anni, è stata eretta una chiesa ortodossa nella terra del Karabakh».
«E cosa fanno gli “eco-attivisti” dell’Azerbajgian nel loro tempo “libero” dalla partecipazione alla pulizia etnica? Lavorano come neonazisti filo-turchi al soldo del governo di Ilham Aliyev» (David Galstyan). Seguono una serie di foto e commenti di Karabakh Records:
«Sono passati 71 giorni da quando i cosiddetti “eco-attivisti” dell’Azerbaigian hanno chiuso la strada della vita Stepanakert-Goris. In questa occasione condividiamo alcune immagini di “eco-attivisti” sostenuti dal governo che mostrano il segno dei neonazisti Lupi Grigi.
Cominciamo dai giovani. Questo è il “Ambasciatore di pace globale” dell’Azerbajgian. Ovunque e in qualsiasi momento è pronto a dimostrare di essere l’orgoglioso neonazista dell’Azerbaigian della Generazione Z.
Ecco uno dei più stretti collaboratori del “Ambasciatore di pace globale” dell’Azerbajgian. Prende esempio anche dal suo amico più “esperto”.
Qui le ragazze sono con İsmayıl Balcanov che rappresenta una delle agenzie di stampa del regime del Presidente azero. Rappresentano anche la parte neonazista e razzista dell’Azerbajgian.
Un altro esempio di un “giornalista” e un “eco-attivista”. Entrambi lavorano per la dittatura del Presidente azero. Nella descrizione Selcuq Elcin ha affermato che “per ora sta prendendo il posto del suo collega”.
L’esperto giornalista Hafiz Heydarov ha partecipato all’#ArtsakhBlockade. Ama il segno dei Lupi Grigi.
Sembra che Hafiz sia venuto a Shushi prima che iniziasse il vero e proprio blocco. Questa foto l’ha postata il 7 dicembre 2022 sul suo account Instagram».
Non viene imposto nessun limite al comportamento improprio del dittatore Ilham Aliyev dell’Azerbajgian, altamente corrotto, incolpa gli altri per la propria bassezza. “Ho iniziato una guerra di aggressione e i miei soldati hanno giustiziato i prigionieri di guerra armeni davanti alle telecamere e hanno mutilato donne soldato armene. E mi inviti ancora a parlare di sicurezza nel Caucaso meridionale?! Carino!”
Sui passi di Anouch
«Metti 120.000 cani su un’isola e tagliali fuori da tutto, guarda che tipo di indignazione mondiale creerebbero varie organizzazioni per i diritti, ma per gli Armeni niente!”: parole tragicamente vere del musicista franco-armeno André Manoukian, sabato scorso nella trasmissione Quelle Époque! su France 2. “Tutto il mondo ha partecipato al genocidio armeno”, ha detto ed evoca un’altra terribile notizia che sta vivendo l’Armenia: il suo conflitto con l’Azerbajgian.
André Manoukian ha ricordato anche il ruolo di complice che la Germania ha svolto nel genocidio armeno e come la tedesca Ursula von der Leyen sia attualmente complice del #ArtsakhBlockade a causa dei suoi accordi sul gas con l’Azerbajgian.
È con un album molto personale che André Manoukian si rivela per la prima volta e in musica sulle sue origini, la sua storia; mescolando le sue radici e la loro memoria con ciò che lo spinge oggi, creando così un album maestoso, solare e accessibile, intessuto di melodie malinconiche, in omaggio a sua nonna.
“Anouch ha ispirato la canzone che dà il titolo all’album. È una passeggiata. E va bene, Anouch era un’escursionista. Anouch era mia nonna. Nel 1915 percorse a piedi 1000 km da Amasya a Deir es-Zor. Se è sopravvissuta è perché aveva la bocca larga e sapeva come commuovere il comandante turco del convoglio che l’ha deportata. Anouch, in armeno, significa dolce, zuccherato. Bene, la musica è sacra e… zuccherata” (André Manoukian).
Nel 1915 vide morire i suoi genitori, uccisi dai soldati ottomani, poi i suoi figli, e attraversò il deserto siriano in una marcia forzata per mille chilometri con le sue sorelle. Anouch era la nonna armena di André Manoukian, che con questo album le rende un commovente omaggio. Il brano Anouch è una ballata malinconica, perché, cinque anni dopo Apatride, un album di riconnessione con l’Oriente dei suoi antenati, questa nuova avventura suona meno come un invito a viaggiare verso il paradiso perduto e a lungo nascosto, e più come il ripercorrere tutto ciò che compone l’identità del musicista, dal jazz alla musica classica, dal flamenco al folklore armeno. Tra motivi sufi, rondò barocco “turco”, ritornello di Schubert con accenti andalusi e un cenno alla Marcia turca di Mozart nello struggente pezzo finale (The Walk), Manoukian è il narratore di una transumanza familiare (i campi di Deir ez-Zor, Bulgaria, Smirne, Lione) intessuta di inebrianti melodie e soffici arabeschi, che parlano del dolore del lutto e della gioia della rinascita. Un duduk armeno, tablas indiane e un coro di voci femminili (Les Balkanes, La Chica) lo accompagnano in questa partitura onirica.
Con “Anouch”, André Manoukian si riconnette con le sue radici armene
Con la sua ultima produzione discografica, il musicista André Manoukian, che tanto ama trasmettere e far scoprire, si riconcilia con la sua storia raccontando quella di Haïganouch, sua nonna, di cui ha scoperto il destino, legata alla tragedia armena dell’inizio del secolo scorso
di Anne Berthod La Vie, 1° dicembre 2022
(Nostra traduzione dal francese)
Conoscevamo il pianista e compositore di jazz, pronto a suonare i teneri accompagnamenti per le voci femminili più soavi. Ma anche il cronista radiofonico illuminato (Sur les route de la musique, France Inter), il benevolo giurato di talent show, il presentatore tele-pedagogico (The Secret Life of Songs, France 3) o anche il patron del festival, co-creatore di Cosmojazz a Chamonix (Alta Savoia).
Conosciamo ora André Manoukian l’Armeno, un figlio della diaspora che si è ricollegato alle sue radici in tarda età e ha iniziato a rivelare le sfaccettature di una storia familiare disseminata di drammi ed esodi. Cinque anni dopo Apatride, il musicista 65enne dedica così Anouch, l’album più intimo della sua discografia, alla sua nonna armena, Haïganouch, che è stata l’eroina di un’epopea di cui ha a lungo ignorato tutto.
“Uno sguardo un po’ triste”
“Nelle feste di famiglia, mio padre raccontava soprattutto la storia degli uomini, e in particolare quella di mio nonno: fu arruolato dall’esercito ottomano per combattere i Russi nel 1914, fatto prigioniero, deportato in Siberia, poi fuggì in Cina, fu ripreso, è fuggito di nuovo, prima di ricongiungersi alla moglie in Bulgaria”. Di questo patriarca dall’aura travolgente, assente da casa per anni – fu nuovamente mobilitato durante il conflitto greco-turco – André Manoukian conosce a memoria l’odissea.
Suo padre, Arthur Manoukian, nato a Smirne nel 1920, gli diede addirittura il nome di battesimo, Antranig (André in armeno). Mentre di sua nonna, la discreta Haïganouch, che parlava solo armeno, ricorda soprattutto “lo sguardo un po’ triste, che a volte si perdeva lontano…”
“Ci ha cresciuti, mia sorella e me, senza mai evocare la sua vita del passato”, spiega il musicista. Va detto che a Lione, dove la famiglia Manoukian è finita dopo la Seconda Guerra Mondiale al termine di una lunga transumanza, non si vive nella nostalgia del passato.
Nel grande bagno del classico
“È stato solo negli anni ’80 che è diventato di moda fissare le sue origini come gioiello esotico. Mio padre voleva integrarsi e smettere di ascoltare le storie di massacri e orrori che lo avevano traumatizzato in gioventù. Voleva educarci in un’altra forma di umanesimo, rifiutando ogni forma di comunitarismo e donandoci il gusto della musica, della filosofia e delle montagne”.
Alla scuola armena, il piccolo André ha imparato a suonare il pianoforte e si è immerso con gioia nel grande bagno della musica classica. La sua infanzia è stata scandita dalle Invenzioni di Bach che suo padre, sarto di professione e pianista dilettante, suonava ogni sera al suo ritorno dal negozio. Da adolescente frequenta il negozio di dischi del quartiere, scopre, affascinato, il ragtime di Fats Waller, il jazz in fusione di Chick Corea, il rock progressivo di Neil Young.
I suoi studi di medicina sono un modo per procrastinare. “Ho resistito sei mesi, per compiacere mio padre. Quando gli ho detto che avrei smesso per fare il musicista, ha urlato per un’ora, alla maniera di un’imprecazione greca. ‘Finirai per giocare per un panino!’, mi ha predetto”.
Le dita piene di jazz
Il maledetto esce di casa e guadagna per un tempo la pagnotta, vendendo sintetizzatori nei supermercati. A 20 anni si trasferisce negli Stati Uniti, dove entra a far parte del prestigioso Berklee College of Music. Torna, con le dita piene di jazz e la testa piena di composizioni. In uno studio di Grenoble, dove è venuto a registrare il suo primo album, ha anche sperimentato la sua prima cotta vocale: Elisabeth Kontomanou, una jazzista greco-guineana, ha inaugurato una lunga serie di collaborazioni con delle cantanti di ogni estrazione sociale.
I suoi primi successi creati per Liane Foly (sua compagna per 11 anni), come Au fur et à mesure, aprono le porte al jazz francese (Michel Petrucciani, Richard Galliano,…) e alla canzone francese (Mireille Darc, Charles Aznavour, Gilbert Becaud, Diane Dufresne,…).
Negli anni 2000 è diventato una figura nel paesaggio audiovisivo francese (Paf): giurato di Nouvelle Star, cronista in un programma di Marc-Olivier Fogiel, ha persino presentato suo programma, Dédé les doigts de fée, su Paris Première. E poi, un giorno, nel 2007, il regista di un documentario sull’Armenia gli ha commissionato un pezzo tradizionale. “Mi sono reso conto che non conoscevo una sola melodia. Fino ad allora vedevo nella musica armena solo folklore, simile alla cucina di mia nonna: rinvigorente, regressiva, un po’ pesante e troppo dolce, come tutto ciò che veniva dall’oriente”.
Riconciliato dalla musica
Fa delle ricerche su Internet, dove il suo orecchio è attratto dal canto a cappella di una certa Lena Chamamyan. Di origine armena, è nata in Siria e canta melismi orientali, cosa diventata rara da quando gli Armeni, traumatizzati dalla pulizia etnica turca, hanno rimosso ogni influenza ottomana dalla loro musica. “In Grecia, quando suonavamo i quarti di tono, ci andava pure in prigione a metà del XX secolo!”
L’incontro con Léna Chamamyan, che sarà la voce del documentario, gli rivela un patrimonio di cui non sospettava l’esistenza, come il celebre repertorio del monaco musicista Komitas (1869-1935): “Una specie di Erik Satie armeno, i cui modi orientali, in sintonia con il jazz, mi hanno offerto un nuovo terreno di manovra”.
Haïganouch e suo marito, Antranig. Da lui, André Manoukian ha ereditato il nome.
Vittima di raid genocidi
Colui che aveva celato l’eredità del paradiso perduto si riconcilierà anche, attraverso la musica, con la sua storia. Quella di Haïganouch, sua nonna silenziosa, tiene su un foglio di carta, “due pagine annerite di mia zia che riassumono il suo calvario, che mio padre mi fece leggere un giorno”. Perché Haïganouch, il cui marito languiva in Siberia nel 1915, non sfuggì alle incursioni del genocidio.
Suoi genitori, dei Cristiani che si erano rifiutati di convertirsi all’Islam come consigliato dai loro vicini, furono uccisi davanti ai suoi occhi dai soldati ottomani nella loro città di Amasya, nell’attuale Turchia settentrionale. Senza aver potuto seppellirli, la giovane ventenne è stata imbarcata, con le sue sette sorelle minori, per una marcia forzata di 1000 km attraverso il deserto fino al campo di Deir ez-Zor, in Siria. I suoi due figli piccoli morirono di fame, ma lei salvò le sue sorelle.
Un’eroina discreta
“Aveva delle risorse, spiega André Manoukian. Per allontanarli dai Curdi che praticavano lo stupro, ad esempio, ha avuto l’idea di cospargerli di fango in faccia. Un’altra volta ha simulato la pazzia. Alla fine della guerra, Haiganouch trovò rifugio in Bulgaria. Alcuni anni dopo, Antranig e lei si stabilirono a Smirne. Sono nati due bambini, poi il marito ha ripreso le armi. Durante il grande incendio della città nel 1922, lei sola, ancora una volta, sgomberò la sua famiglia, andando a convincere un soldato del porto a farli salire su una barca.
“In realtà, era lei, l’eroina del clan!“, si realizza oggi André Manoukian. Intessuto di melodie malinconiche e morbidi arabeschi, il suo album è l’omaggio più commovente. Les Balkanes, cantanti bulgari che lo accompagnano regolarmente in tournée, lo accompagnano in questa partitura onirica, ossessionata dagli struggenti turbinii del duduk.
Tra folklore e jazz, palmas andaluse e un cenno alla Marcia turca di Mozart nell’allegorico brano conclusivo (The Walk), il loquace e romantico pianista ricompone anche ciò che costituisce la sua identità: un modo di stare al mondo, l’Armenia nel cuore e l’ispirazione in partenza, che parla del dolore del lutto e della felicità della rinascita.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-20 19:16:202023-02-21 19:17:03Settantunesimo giorno del #ArtsakhBlockade. André Manoukian: immaginate l’indignazione mondiale per 120.000 cani isolati su un’isola, ma per gli Armeni niente (Korazym 20.02.23)
L’Azerbaijan ignora da 70 giorni gli accordi con la Russia sul corridoio Lachin.
Oggi sono trascorsi esattamente 70 giorni dall’inizio del blocco del corridoio di Lachin da parte delle truppe azere. Baku, infatti, ignora da 70 giorni di fila gli accordi con la Russia e l’Armenia, e di fatto lascia sotto assedio l’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh.
Secondo la parte armena, durante questo periodo, l’Azerbaigian viola apertamente il sesto paragrafo della Dichiarazione trilaterale, e non si sa ancora quando dovrebbe essere previsto esattamente il rilascio del corridoio di Lachin.
Al momento, è noto che la parte azera non consente il passaggio di veicoli attraverso il corridoio Lachin, ad eccezione dei veicoli della Croce Rossa Internazionale. Ciò influisce sicuramente sia sugli interessi dell’Armenia che sugli abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. È piuttosto notevole che Baku non esprima alcuna richiesta sul corridoio di Lachin, e con un alto grado di probabilità l’unico percorso che consente di raggiungere il territorio dell’Artsakh può essere bloccato per un tempo molto più lungo.
Подробнее на: https://avia-pro.it/news/azerbaydzhan-blokiruet-lachinskiy-koridor-uzhe-70-dney
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-19 19:23:262023-02-21 19:27:01L'Azerbaijan blocca il corridoio Lachin per 70 giorni (Avia.pro 19.02.23)
Il Segretario di Stato USA Antony Blinken ha avuto un incontro con il Primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il Presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev a Monaco, in Germania.
Secondo quanto riportato dalla Presidenza dell’Azerbaigian, Aliyev, Pashinyan e Blinken si sono incontrati a margine della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco.
Non sono stati rilasciati ulteri dettagli sull’incontro a cui erano presenti anche il ministro degli Esteri azero Ceyhun Bayramov, il consigliere del presidente Hikmet Hajiyev, il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan e il segretario del Consiglio di sicurezza armeno Armen Grigoryan.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-19 19:20:472023-02-21 19:21:49Blinken si incontra Pashinyan e Aliyev a Monaco (Trt 19.02.23)
Amo tre popoli, tre nazioni, tre Stati, tre storie. In ordine alfabetico Armenia, Israele, Italia. Sono cittadino armeno di religione molokana. Perseguitata in Russia dal potere politico e da quello ecclesiastico, la mia comunità di “bevitori di latte” (=molokani) si insediò, accolta con benevolenza, vicino al lago di Sevan, meraviglia di acque color zaffiro. Come potevano rifiutare gli armeni dei poveretti inseguiti da tutte le parti, loro che hanno vissuto il genocidio per mano turca (un milione e mezzo di assassinati perché cristiani e armeni, essendo i due concetti inseparabili)?
Sono armeno. E come tale sono italiano! È nell’isola di San Lazzaro, a Venezia, che la cultura armena ha il suo scrigno immarcescibile di fede e cultura. La mia scrittrice del cuore è Antonia Arslan armena-italiana, e in lei questa comunione è sbocciata come una rosa che rifiorisce ogni giorno.
Sono armeno. E perciò israeliano. So bene che lo Stato ebraico non riconosce la definizione di genocidi…
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-19 19:19:532023-02-21 19:20:37Come hanno potuto Italia e Israele tradire la loro sorella Armenia? (Tempi 19.02.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.02.2023 – Vik van Brantegem] –Nell’ambito della Conferenza sulla Sicurezza di München si è svolto un incontro trilaterale tra il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, il Segretario di Stato degli USA Antony Blinken e il Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev. Durante l’incontro è stato discusso l’andamento dei lavori attorno a una bozza di trattato di pace tra Armenia e Azerbajgian, nonché lo sblocco delle infrastrutture di trasporto regionale e la delimitazione della frontiera tra i due Paesi. Il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha ribadito l’impegno dell’Armenia a raggiungere la firma di un trattato di pace che garantisca davvero pace duratura e stabilità nella regione. Allo stesso tempo, ha sottolineato il blocco illegale del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian e la conseguente crisi umanitaria, ambientale ed energetica nel Nagorno-Karabakh.
Dopo la riunione trilaterale di oggi il Corridoio di Lachin non viene riaperto e perciò si è trattato di un’altra tra le tante riunioni inutili, anche in riferimento all’auspicato accordo di pace tra l’Armenia e l’Azerbajgian.
Questa sera, alla Conferenza sulla sicurezza di München si è svolta anche una tavola rotonda con il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, il Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev, il Primo Ministro georgiano Irakli Garibashvili e il Segretario Generale dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) Helga Schmid.
Lo scorso 14 febbraio, il Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’Armenia, Armen Grigoryan, ha dichiarato che Yerevan era favorevole ai negoziati tra gli Armeni del Nagorno-Karabakh e l’Azerbajgian come parte di un “meccanismo visibile a livello internazionale” che può essere menzionato nel trattato di pace attualmente in fase di stesura da Baku e Yerevan. Ha affermato che l’Armenia continua a lavorare con i suoi partner internazionali per far funzionare questo meccanismo sotto forma di una struttura internazionale o di un formato diverso, e inserirlo nel trattato di pace per affrontare i “diritti e la sicurezza degli Armeni del Nagorno-Karabakh”. Il giorno successivo, il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha informato che le bozze di proposte di pace sono state presentate all’Azerbajgian.
Il giorno successivo, il governo dell’Azerbajgian ha respinto categoricamente la richiesta dell’Armenia di includere in un accordo di pace un articolo sui diritti e la sicurezza degli Armeni etnici che vivono nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. Il Portavoce del Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian, Aykhan Hajizade, in un conferenza stampa del 15 febbraio scorso ha affermato: «Nel processo dei negoziati sull’accordo di pace, la richiesta dell’Armenia di creare un meccanismo internazionale per i diritti e la sicurezza degli Armeni etnici che vivono nella regione del Karabakh dell’Azerbajgian e gli sforzi per includere una disposizione in merito nel progetto di accordo di pace bilaterale tra l’Azerbajgian e l’Armenia è completamente inaccettabile e tali tentativi non produrranno alcun risultato». Hajizade ha aggiunto che tali sforzi «contraddicono le norme e i principi del diritto internazionale, nonché gli accordi di Praga e Sochi tra l’Azerbajgian e l’Armenia sul riconoscimento reciproco di integrità territoriale e sovranità. Vorremmo ricordare ancora una volta che il Karabakh è parte integrante dell’Azerbajgian e che i diritti e la sicurezza della popolazione di origine armena che vive in questa regione saranno garantiti in conformità con la Costituzione della Repubblica dell’Azerbajgian. È inaccettabile che l’Armenia interferisca nel processo di reintegrazione dei residenti armeni, che è una questione interna dell’Azerbajgian».
Le autorità azere, in primis il Presidente Ilham Aliyev, hanno continuamente affermato che Baku non discuterà «dei diritti e la sicurezza degli Armeni nella regione del Karabakh in Azerbajgian con nessun Paese, poiché è una questione interna dell’Azerbajgian». Dopo l’incontro con il Primo Ministro armeno a Praga in ottobre, Aliyev aveva dichiarato: «Gli Armeni che vivono in Karabakh sono nostri cittadini. Non discuteremo del loro destino o della loro vita futura con nessun Paese, inclusa l’Armenia. Questa è una nostra questione interna e gli Armeni godranno degli stessi diritti dei cittadini dell’Azerbajgian. In ogni caso, possono essere certi che la loro vita integrata nella società azera sarà molto migliore della loro vita attuale”. Baku ha respinto la richiesta dell’Armenia di uno status speciale per il Nagorno-Karabakh come una minaccia all’integrità territoriale dell’Azerbajgian. Dalla fine della guerra dei 44 giorni del 2020, le autorità azere hanno chiesto agli Armeni etnici del Nagorno-Karabakh di «eliminare la propaganda anti-azerbajgiana e di prendere provvedimenti per far parte della società azera».
«L’odio azero anti-armeno non è nuovo. La pace con un popolo che ha odio è impossibile e inimmaginabile. È bello avere principi, lotte e valori nella vita» (Nanou Likjan).
Gli Armeni sono classificati come “non degni di nota” da molti media occidentali, il che in pratica significa che possono essere sottoposti a pulizia etnica e genocidio senza ripercussioni, visto che nessuno se ne preoccupa o addirittura lo sa.
«Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla». È urgente, quindi, continuare a parlare di Armeni.
«Ecco, la giornata di un “eco-attivista” dell’Azerbajgian. Godersi cibo caldo, elettricità, riscaldamento e un supermercato rifornito, cose di cui l’Azerbajgian priva 120.000 persone nel Nagorno-Karabakh con il blocco. Così assurdo che l’Azerbajgian porta i giovani in autobus per 800 km ogni due giorni per una “eco-protesta”. Giorno 69 del blocco azero» (Lindsey Snell).
Sull’eccidio armeno c’è un silenzio criminale
In queste settimane il Nagorno Karabakh è isolato dal mondo, con l’unica via di accesso all’enclave bloccata dai filo azeri
L’Occidente che non condanna la strage per non irritare la Turchia si rende complice della presa in ostaggio di un popolo
di Silvana De Mari
La Verità, 18 febbraio 2023
Ho amato appassionatamente il libro La masseria delle allodole, dolente e magnifico racconto della scrittrice Antonia Arslan, che spiega il genocidio degli Armeni. Con il termine negazionista si indica qualcuno che nega lo sterminio degli Ebrei. Negare lo sterminio degli Armeni è lecito. Nel vocabolario Treccani il termine negazionismo indica «una corrente antistorica e antiscientifica del revisionismo la quale, attraverso l’uso spregiudicato e ideologizzato di uno scetticismo storiografico portato all’estremo, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia contemporanea ma, specialmente con riferimento ad alcuni avvenimenti connessi al fascismo e al nazismo (per es., l’istituzione dei campi di sterminio nella Germania nazista), si spinge fino a negarne l’esistenza».
Nel 1990, il parlamentare socialista francese Jean Claude Gayssot propose una legge che intendeva punire, oltre alla negazione dell’Olocausto, anche quella dello sterminio degli Armeni, ma la proposta non fu ratificata dal Senato. Analogamente l’allora vicepresidente dell’Europarlamento, il finlandese Olli Rehn, insieme al presidente della Commissione, José Manuel Barroso, esaminarono e bocciarono la proposta in quanto avrebbe potuto compromettere una fiorente stagione di riforme democratiche in Turchia. Riforme che però, chissà come mai, si devono essere perse per strada. Quella degli Armeni quindi è un’impalpabile tragedia che si perde nel tempo e nello spazio. Parlarne, ricordarla, potrebbe compromettere il glorioso cammino della Turchia verso una scintillante democrazia.
In effetti visto che è la verità che rende liberi, dovrebbe essere il contrario. Solo l’assunzione di responsabilità dei terribili atroci fatti può permettere alla Turchia la libertà. Senza verità, nessuna giustizia è possibile. Senza giustizia, nessuna libertà è possibile. La masseria delle allodole ricostruisce tutto l’orrore: gli uomini assassinati, decapitati, castrati, le donne stuprate, vendute, trascinate in atroci marce della morte. Il motivo politico dello sterminio fu la Prima Guerra Mondiale. Nell’impero ottomano gli armeni erano dhimmi, termine con cui si indicano gli stranieri nel mondo musulmano, vuol dire sottomessi ma anche protetti: una popolazione vinta in guerra che pagava un tributo speciale e in cambio aveva il permesso di vivere. Una volta che eserciti cristiani hanno mosso guerra all’Impero ottomano, gli armeni hanno perso la loro posizione di dhimmi.
Il motivo psicologico dello sterminio e della sua crudeltà, la spiegazione del genocidio vero, e quello degli Armeni lo fu, è contenuta nell’incantevole geniale fiaba Biancaneve e i sette nani. Biancaneve non ha cercato di rubare alla regina il trono, non le ha avvelenato il gatto, non le ha fatto nessun danno. È semplicemente più bella di lei. Il genocidio vero è un atto di un inferiore contro un superiore. Il popolo sterminato ha una superiorità culturale clamorosa, tangibile rispetto al popolo sterminatore. Gli Armeni avevano un livello culturale, e di conseguenza economico clamorosamente superiore alla maggioranza della popolazione turca. Quando Gutenberg inventò la stampa il costo dei libri si abbatté e il loro numero si moltiplicò. L’oggetto fu vietato nell’Impero ottomano agli islamici, in quanto il Corano è l’unico libro che ha un valore e non è il caso di stampare altro.
La stampa fu permessa agli Armeni, che divennero rapidamente l’aristocrazia culturale e quindi economica: erano metà dei medici e metà degli ingegneri. È facile odiare i più ricchi e i più colti. Lo sterminio fu quanto di più insensato si possa immaginare. Con una guerra mondiale in corso, gli Ottomani hanno ucciso metà dei loro medici e metà dei loro ingegneri, la maggioranza dei loro fabbri e la quasi totalità degli orologiai, i dirigenti delle industrie, incluse quelle militari. Il tessuto finanziario-economico lacerato dalla mancanza del suo asse portante crollò, nello stupore dei persecutori che avevano invece pensato che l’eliminazione degli Armeni li avrebbe resi più ricchi. Il libro ricostruisce però anche l’invincibile coraggio dei pochi straordinari soccorritori. Anche lo sterminio degli Armeni ha i suoi giusti.
Ora gli Armeni sono di nuovo sotto attacco e rischiano le loro vite. Il Nagorno-Karabakh (o Artsakh, come gli Armeni chiamano il lembo orientale della loro patria antica) riceve linfa vitale dal cosiddetto Corridoio di Lachin, l’unica via d’accesso rimasta agli Armeni per l’Artsakh. Ora è stata chiusa dall’Azerbajgian, e non usando soldati ma ambientalisti o cosiddetti tali. È quindi urgente continuare a parlare di Armeni. E ora c’è un secondo libro della Arslan: Il destino di Aghavnì. «Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla». La frase del filosofo e politico britannico Edmund Burke è non a caso incisa sul monumento eretto nel campo di concentramento di Dachau. Il detto torna alla mente dopo aver letto lo struggente racconto ambientato in una piccola città dell’Anatolia nella primavera del 1915, alla vigilia del genocidio del popolo armeno. Sullo sfondo il declino dell’Impero ottomano e la presa del potere da parte dei giovani turchi, determinati a rea- lizzare uno Stato composto da un’unica etnia, la creazione del quale prevedeva di cancellare la popolazione armena, la più numerosa di religione cristiana, presente in quelle terre dal VII secolo a.C. Cancellarla come soggetto storico, culturale e soprattutto politico.
Ruolo determinante in questa scelta fu la rapina dei beni e delle terre degli Armeni, che rappresentavano l’élite culturale e finanziaria. La notte del 24 aprile 1915, la popolazione armena di Costantinopoli venne arrestata dando inizio alla deportazione sistematica degli Armeni e al loro sterminio.
I segnali di quanto sta per abbattersi sugli Armeni ci sono tutti, eppure la maggior parte di essi non vuole credere che le persone con cui vivono fianco a fianco, i vicini con cui i loro bambini giocano possano diventare una minaccia. Tuttavia serpeggia un senso d’inquietudine e gli anziani, ricordando i fatti del passato, raccomandano prudenza. «Mantenere un basso profilo», si direbbe oggi. Intimorita, ma non abbastanza, dagli avvertimenti della sua governante, la giovane Aghavnì esce di casa con il marito e i suoi due bambini da cui preferisce non separarsi, proprio per via di quei giorni calamitosi, come ella ripete. Hanno in programma la visita alla zia, l’acquisto di un paio di scarpe, la sosta alla bottega che vende la specialità amata dai piccoli, per aggrapparsi alla normalità, per convincersi che non ci sia ragione per cambiare le proprie abitudini… Nessuno li vedrà più. Le ricerche dei familiari e dell’intera comunità armena si scontrano con il muro di omertà, di disprezzo, di odio di chi sa che gli Armeni sono già condannati ed è solo questione di ore.
La vicenda della ventitreenne Aghavnì e della sua famiglia piano piano scivola nell’oblio. Alla Arslan il grande merito di averla riportata alla memoria, dopo aver visto la fotografia di Aghavnì, sorellina di suo nonno, conservata in casa di un cugino trasferitosi in America. Da qui prende il via la vicenda, in cui l’autrice immagina cosa possa essere accaduto alla giovane, a suo marito e ai suoi bambini in un racconto struggente e doloroso, ma anche ricco di speranza e consolazione, dove Aghavnì con la forza della fede, accetta il suo destino senza tuttavia rassegnarsi. E la notte del 25 dicembre, davanti alla rappresentazione deflagrante di un Uomo, una Donna e un Bambino, vittime e carnefici sentono di appartenere alla medesima umanità. Di nuovo, come ne La masseria delle allodole, insieme all’orrore, anche la grazia irrompe sulla scena.
La lettera Presidente Meloni, rischiamo un nuovo sterminio
Gentilissimo presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rappresento una comunità di cittadine italiane, mamme e donne, di origine armena.
La nostra storia di sradicamento è sempre stata accompagnata da dignità, speranza e coraggio. Questo lo dobbiamo alle nostre madri, alle nostre nonne, alle nostre famiglie. Noi donne armene siamo depositarie delle antiche e preziose tradizioni del nostro popolo e viviamo con grande orgoglio la nostra eredità culturale, in un Paese pacifico in cui ci sentiamo perfettamente integrate.
Da due mesi centinaia di attivisti azeri stanno bloccando il Corridoio di Lachin, l’unica arteria che mette in comunicazione l’Artsakh/Nagorno-Karabakh con l’Armenia e, attraverso di essa, con l’Europa e con la comunità internazionale, impedendo il transito di persone, mezzi, viveri e medicinali. Oltre 120.000 armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, da più di due mesi sono isolati dal resto del mondo. Negozi vuoti, prodotti e medicinali mancanti, persone senza lavoro, scuole chiuse, ospedali in seria difficoltà, malati in terapia intensiva che non possono essere trasportati: è in corso una vera e propria crisi umanitaria denunciata anche dall’Onu; è in atto l’ennesimo progetto genocidario contro il popolo armeno.
Non vogliamo scriverle sull’ingiustizia di questa «guerra strisciante», quale è stata definita dalle madri dell’Artsakh/Nagorno Karabakh nella lettera a Ursula von der Leyen, perché siamo certe che al di là delle valutazioni di equilibrio internazionale e dei differenti ruoli che ognuna di noi ricopre, tutte noi inorridiamo davanti alle sofferenze imposte ai nostri figli. È dilaniante dover leggere: «ci aiuti siamo disperate», «i nostri figli sono rimasti senza cibo, calore, cure mediche e senza la possibilità di studiare», e ancora, «non permetteremo che i nostri figli muoiano in silenzio». Stiamo parlando di 30.000 bambini, presidente.
Facciamo appello al suo coraggio, alla sua determinazione, alla sua volontà di difendere la voce delle donne e alla sua capacità di mediazione politica perché vengano fermati questi folli crimini contro l’umanità: non si possono distruggere la speranza e l’innocenza dei bambini. Nessuno deve rimanere inerte.
L’Italia è un partner strategico fondamentale per l’Azerbaigian e dunque ha sicuramente i mezzi per farsi ascoltare in modo da indurre la cessazione di questo isolamento che sta letteralmente spegnendo le vite di 120.000 civili.
Le chiediamo di ascoltare l’appello di noi madri e donne armene, sapienti custodi delle preziose radici del nostro popolo, e di intervenire per impedire il perdurare di questa situazione insostenibile. Non sappiamo quanto i bambini, le donne e gli anziani dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh possano ancora resistere nella drammatica situazione determinata da questo blocco.
Grazie presidente e buon lavoro.
Gayané Khodaveerdi
Presidente di Agbu (Armenian general benevolent union)
«Si sa com’è fatto il cuore degli uomini:
si arresta davanti ai piccoli contrattempi
e si fa una ragione delle peggiori sciagure»
(Didò Sotirìu, Addio Anatolia).
Addio Anatolia (Crocetti Editore 2022, 312 pagine) di Didò Sotirìu è la storia, epica e drammatica, della scomparsa dell’ellenismo dalle terre in cui era insediato da tremila anni. È il racconto di un paradiso perduto. Mostra il fallimento rovinoso e sanguinario di ogni forma di nazionalismo, sia turco che greco, e accusa con forza la politica sciagurata delle Grandi Potenze in Oriente, guidata dalla brama di petrolio e dalla corruzione. Seguendo le peripezie del protagonista Manolis e dei suoi compagni di sventura, Didò Sotirìu offre al lettore un romanzo avvincente e, allo stesso tempo, uno sguardo ricco di umanità e di una limpidezza rara sulla Grande Catastrofe dell’Asia Minore. La tragedia, che trovò compimento nella tarda estate del 1922, viene infatti descritta dall’autrice – che fu lei stessa, a soli tredici anni, una di quei profughi greci scampati ai massacri e costretti all’esilio dalla terra natìa – con grande equilibrio e apprezzabile assenza di partigianeria. Definito il Guerra e pace della letteratura greca, Addio Anatolia è ormai considerato un classico della letteratura greca contemporanea.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-18 19:19:012023-02-21 19:19:37Sessantanovesimo giorno del #ArtsakhBlockade. La pace con un popolo che ha odio è impossibile e inimmaginabil (Korazym 18.02.23)
Domani 19 febbraio la diocesi di Nardò-Gallipoli è in festa per la solennità di San Gregorio Armeno, patrono della diocesi neretina e per festeggiarlo solennemente il solenne pontificale sarà presiedutò nella basilica cattedrale di Maria SS. Assunta in Nardò da mons. Francesco Cacucci, arcivescovo emerito di Bari-Bitonto.
Correva il 20 febbraio 1743 quando la città di Nardò venne sconvolta dal violento terremoto che distrusse buona parte del paese. Dall’alto del sedile le statue dei Santi Michele e Antonio caddero, solo quella di San Gregorio resistette mentre accoglieva le preghiere della folla in panico che li si salvò. Il resto della storia ha i contorni della tradizione ma deriva da questo avvenimento il culto e la profonda devozione dei cittadini neretini per il santo conosciuto meglio come San Gregorio Illuminatore, vescovo e apostolo degli armeni, che venne quindi proclamato patrono della città e di tutta la diocesi. In ricordo di questo evento ritenuto miracoloso negli anni ‘60 il vescovo Corrado Ursi, divenuto in seguito arcivescovo di Napoli e cardinale, negli anni 50, donò alla città salentina un pregevole busto argenteo di fattura napoletana e un insigne reliquia del braccio di San Gregorio.
Dalle 18 la solenne celebrazione eucaristica verrà trasmessa in diretta anche sul canale YouTube della diocesi. Ma la preparazione alla festa è iniziata già il 13 febbraio con il settenario le cui celebrazioni si sono svolte tutte nella basilica cattedrale ogni sera con l’alternarsi della partecipazione delle varie parrocchie e confraternite della città.
Domani il solenne pontificale presieduto mons. Cacucci, arcivescovo emerito dell’arcidiocesi metropolitana di Bari-Bitonto. Concelebra con lui mons. Fernando Filograna, vescovo di Nardò-Gallipoli. Al termine, la processione per le vie cittadine accompagnata dalla banda musicale “La cittadella dei ragazzi” diretta da Giovanni Greco e lo spettacolo pirotecnico al rientro. Infine, lunedì 20 febbraio, giorno dedicato al santo, sono in programma in cattedrale le messe alle 7:30, 9, 10:30 e 18:30. Mentre alle ore 17:15 in Piazza Salandra saranno eseguiti i 120 rintocchi di campana in memoria delle vittime del terremoto.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-18 18:18:352023-02-21 18:21:30Chiesa di Nardò-Gallipoli. Per San Gregorio Armeno pontificale con l’arcivescovo Cacucci (Portalecce 18.02.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 17.02.2023 – Vik van Brantegem] –«Nessun cambiamento significativo segnalato in Artsakh/Nagorno-Karabakh, blocco dell’Azerbajgian rimane in vigore, continua la scarsità di generi alimentari e prodotti essenziali, solo i veicoli del contingente di mantenimento della pace russo e del Comitato Internazionale della Croce Rosse sono visti entrare e uscire dall’Armenia per l’Artsakh/Nagorno-Karabakh (Nagorno Karabakh Observer).
«Nel frattempo, l’Azerbajgian acquista il gas russo per il consumo interno e vende il surplus all’Europa. Per completare, le forze azere uccidono Armeni (con armi israeliane), il che non genera scompiglio nell’Unione Europea. Ipocrisia. L’Arabia Saudita fa la stessa cosa con il petrolio russo» (Guga Chakra).
La Corte Internazionale di Giustizia ha comunicato che la decisione sulla richiesta dell’Armenia di applicare una misura temporanea riguardante lo sblocco del Corridoio di Lachin sarà reso nota il 22 febbraio in un’udienza pubblica. Nello stesso giorno, successivamente, sarà pubblicata anche la decisione sulla richiesta di applicazione di una misura temporanea presentata dall’Azerbajgian.
Nel 68° giorno del #ArtsakhBlockade, 3 bambini si trovano nei reparti neonatale e di rianimazione dell’ospedale pediatrico, 8 pazienti adulti sono nel reparto di terapia intensiva, 5 di loro sono in condizioni critiche. A causa della sospensione degli interventi chirurgici programmati in tutte le istituzioni mediche dell’Artsakh, circa 660 cittadini sono stati privati dell’opportunità di risolvere i loro problemi di salute attraverso un intervento chirurgico. Fino ad oggi, 105 pazienti sono stati trasferiti dall’Artsakh all’Armenia con la mediazione e l’accompagnamento del Comitato Internazionale della Croce Rossa per ricevere cure adeguate. 755 entità economiche, il 17,7 per cento del totale, hanno sospeso le loro attività per l’impossibilità di lavorare sotto il blocco, e il resto delle entità economiche opera parzialmente o con il sostegno dello Stato. A causa della difficile situazione economica che si è creata, già almeno 5.100 persone hanno perso il lavoro e la fonte di reddito. Più di 26.800 tonnellate di beni vitali sarebbero arrivate ad Artsakh se non fosse stato per il blocco, durante il quale solo una piccola parte è stata consegnata dal Comitato Internazionale della Croce Rossa e dalle truppe di mantenimento della pace russe.
Armenia ha ritenuto che la mediazione dell’Unione Europea stesse andando in una direzione favorevole ad Azerbajgian. Le organizzazioni della società civile armena si sono lamentate del fatto che l’Unione Europea fosse diventato un promotore della pace a scapito di un promotore della democrazia. La Commissione Europea ha omologato le dittature di Erdogan e Aliyev che perseguono la pulizia etnica degli Armeni.
Al 68° giorno del #ArtsakhBlockade potresti aver imparato abbastanza sulla catastrofe umanitaria in corso nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, e anche aver capito che i 120.000 Armeni dell’Arsakh non sono le uniche vittime del regime dittatoriale di Aliyev.
Garrett Erin Reisman – un ingegnere americano ed ex astronauta della NASA, attualmente è consulente presso SpaceX e professore di pratica astronautica presso la Viterbi School of Engineering della University of Southern California – ha rifiutato di partecipare al prossimo Congresso Astronautico Internazionale (IAC) che si terrà a Baku, la capitale dell’Azerbajgian, citando l’aggressione militare di quel Paese contro l’Armenia: “Perché il Congresso Astronautico Internazionale (IAC) si tiene in Azerbaigian, un paese colpevole della recente aggressione militare contro la vicina Armenia? L’Azerbajgian è uno dei paesi più corrotti, ha uno dei peggiori indicatori di diritti umani in Europa. Non andrò, e se hai intenzione di andarci, per favore ripensaci”, ha scritto Raisman sul suo post su Twitter. Ha poi continuato a condividere rapporti e valutazioni di una serie di organizzazioni internazionali sull’aggressione militare dell’Azerbajgian contro l’Armenia.
Come il blocco del Nagorno-Karabakh sta danneggiando le famiglie che divide
Mentre l’Azerbaigian continua il suo blocco del Karabakh per il 68° giorno, Artak Beglaryan non può incontrare sua moglie e le sue figlie
di Siranush Sargsyan [*] openDemocracy, 17 febbraio 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
“Perché gli Azeri non capiscono che vogliamo che tu torni a casa così possiamo abbracciarti?” Nane, quattro anni, ha chiesto a suo padre Artak Beglaryan, il Consigliere del Ministro di Stato armeno del Nagorno-Karabakh (noto agli armeni come Artsakh).
Dal 12 dicembre, gli Azeri che affermano di essere eco-attivisti, con il sostegno del loro governo, hanno bloccato l’unica strada che collega la Repubblica non riconosciuta del Nagorno-Karabakh all’Armenia e al resto del mondo.
L’Azerbajgian ha anche attaccato le infrastrutture locali, tagliando elettricità e gas. Ciò ha lasciato sotto assedio 120.000 armeni etnici, compresi 30.000 bambini. La carenza di cibo, carburante e forniture mediche si sta aggravando.
Beglaryan si è recato a Yerevan, la capitale dell’Armenia, all’inizio di dicembre con l’intenzione di tornare a casa pochi giorni dopo. Ma il blocco, giunto al suo secondo mese, lo ha tenuto separato dalla sua famiglia, lasciando la moglie a prendersi cura da sola delle due figlie piccole.
Nel loro piccolo appartamento a Stepanakert, la capitale del Nagorno-Karabakh, Armine Vardanyan, la moglie di Beglaryan, si precipita a finire il bucato e le altre faccende domestiche prima che venga interrotta l’elettricità, il tutto mentre cerca di ottenere il suo bambino di un anno e mezzo -la vecchia figlia, Arpi, a dormire.
Nei primi giorni del blocco, Vardanyan ha criticato le madri che in preda al panico compravano pappe e pannolini. Ora, dice, mentre si avvicina alla fine della sua scorta di pannolini, si rende conto che hanno agito con saggezza. Sta allattando Arpi, ma fatica a trovare il cibo essenziale per Nane.
Ogni giorno Nane chiede yogurt, ma sua madre non riesce a trovarlo nei negozi. “Certo, è sconvolgente quando non riesci a trovare la cosa più semplice che tuo figlio desidera”, ha detto Vardanyan.
Anche Nane, come altri 5.500 bambini della regione, non può più frequentare l’asilo. Scuole e asili sono stati chiusi a causa della crescente carenza di cibo e dell’inaffidabile riscaldamento ed elettricità.
Beglaryan stima che più di 3000 persone, tra cui 400 bambini, siano state separate dalle loro famiglie all’inizio del 2023.
Per i bambini che ricordano la guerra del 2020, migliaia dei quali hanno perso genitori o parenti stretti, il blocco ha riacceso i timori che gli Azeri attacchino di nuovo. Nane aveva due anni e mezzo durante l’ultima guerra. Quello che ricorda di più è la separazione dai suoi genitori quando è stata mandata a stare con la nonna a Yerevan per sfuggire ai bombardamenti.
“È stato piuttosto difficile per lei”, ricorda Beglaryan. “Si ricorda di me da quel momento solo su Internet, a distanza”. Beglaryan ha affermato che questa “genitorialità digitale” è un problema anche per i bambini che sono separati dalle loro famiglie per lunghi periodi di tempo. “Cambia il rapporto tra genitori e figli”.
“A seconda della loro età, i bambini possono provare confusione, ansia, paura e mancanza di un fondamentale senso di sicurezza”, ha spiegato Ruzanna Mkrtchyan, psicologa di Stepanakert. “[I bambini più piccoli] possono avere difficoltà a interpretare l’improvvisa assenza di un genitore. Possono arrivare al punto di incolpare se stessi e pensare di aver fatto qualcosa di terribilmente sbagliato, che ha fatto sì che i loro genitori non volessero più vederli.
Durante la guerra del 2020, Beglaryan, che all’epoca prestava servizio come Difensore civico per i diritti umani del Nagorno-Karabakh, ha svolto un ruolo attivo nella sensibilizzazione e nella richiesta di responsabilità contro i crimini di guerra, apparendo spesso nei notiziari internazionali. “Mia moglie mi ha raccontato che, un giorno, Nane mi ha visto in TV e ha iniziato a piangere, dicendo: ‘Papà, smettila di parlare con gli altri, guardami!’”, ha raccontato.
Ora che sono di nuovo separati, i due sono tornati alle videochiamate, anche se Beglaryan è ipovedente. Quando aveva sei anni, stava giocando fuori con i suoi amici quando uno ha trovato una mina inesplosa e l’ha fatta esplodere con un martello, facendogli perdere la vista.
A volte Nane mi boicotta”, ha detto Beglaryan. “Non vuole parlare con me, e poi un’ora dopo richiama. ‘Come mai Babbo Natale può venire a Capodanno ma non tu?’, ha chiesto. Ancora una volta, è stato difficile da spiegare.
Il 17 gennaio, le forze di mantenimento della pace russe hanno aiutato a scortare un gruppo di adolescenti nel Nagorno-Karabakh. Gli adolescenti si erano recati a Yerevan per il concorso Junior Eurovision, solo per essere separati dalle loro famiglie dal blocco. Al posto di blocco, gli agenti azeri sono saliti sul loro autobus e hanno iniziato a urlare contro di loro e a molestarli, facendo svenire un adolescente. Le forze di mantenimento della pace russe alla fine hanno allontanati gli Azeri.
“Diamo la priorità al ricongiungimento dei genitori con figli minori e persone con disabilità e bisogni speciali. Finora abbiamo trasportato oltre 200 persone per questo scopo”, ha detto a openDemocracy Eteri Musayelyan, Portavoce della Croce Rossa in Nagorno-Karabakh.
La crisi ha ottenuto poca attenzione nei media internazionali. Sebbene gli Stati Uniti, l’Unione Europea e degli organismi internazionali come l’ONU abbiano chiesto all’Azerbajgian di riaprire il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’Armenia al Nagorno-Karabakh, non sono stati compiuti progressi reali.
Beglaryan ha organizzato un sit-in 24 ore su 24 davanti all’ufficio delle Nazioni Unite a Yerevan per una settimana e ha presentato le sue richieste e proposte ai funzionari delle Nazioni Unite. Ma Vardanyan è scettico. “Se non c’è azione, i ricorsi non hanno valore”, ha detto. “Perché è possibile applicare sanzioni contro la Russia, ma non contro l’Azerbajgian?”
Nonostante le difficoltà e l’incertezza che li attende, la coppia è determinata a rimanere in Nagorno-Karabakh. Alla fine della guerra nel 2020, dopo la perdita di tanti giovani soldati e le incertezze esistenti, hanno deciso di avere un secondo figlio. “Dico sempre che i miei figli sono la mia eredità. Stiamo passando la nostra responsabilità nei confronti della madrepatria alle generazioni future”, ha detto Vardanyan. “Questo è il mio modo di combattere”, ha aggiunto.
“È la nostra patria”, ha detto Beglaryan, che trova forza nella sua responsabilità nei confronti delle generazioni passate. Aveva l’età di Nane quando perse suo padre nella prima guerra con l’Azerbajgian, dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Una cosa che lo colpì particolarmente duramente durante il blocco fu non poter visitare la tomba di suo padre nell’anniversario della sua morte.
Quando Nane gli ha chiesto l’ultima volta perché gli Azeri le impedissero di abbracciarlo, lui le ha detto di non preoccuparsi, che avrebbero trovato una soluzione in modo che potesse tornare presto a casa per riabbracciare entrambi i suoi figli. “Cerco di mostrare ai miei figli che non sto mentendo loro. Sto facendo del mio meglio, insieme ad altri”, ha detto.
Trova forza nel ricordo di suo padre. “Sono sicuro che mio padre, tra molti altri che sono stati uccisi, stesse combattendo per dare a me e a migliaia di altri bambini una possibilità di vivere, e che gli piacerebbe vedere la prossima generazione felice. Sto facendo del mio meglio per i miei figli e per i figli degli altri, anche a questo scopo”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-17 19:17:162023-02-21 19:18:39Sessantottesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Il silenzio uccide (Korazym 17.02.23)
“L’Armenia ha teso una mano di amicizia al nostro popolo in questo giorni difficili mostrando una grande solidarietà e cooperazione”. Lo ha detto il ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu parlando con il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan alla conferenza stampa congiunta tenutasi a Ankara.
“L’Armenia ha inviato un team di ricerca e soccorso di 28 persone nel nostro paese dopo i terremoti, che ha alvato una bambina e una donna,”, ha affermato Çavuşoğlu.
“Vorrei anche ringraziarli molto. Hanno fatto il meglio e abbiamo visto la loro felicita’ quando hanno salvato i nostri cittadini”, ha dichiarato Çavuşoğlu.
“L’Armenia ha inviato 100 tonnellate di aiuti umanitari in Türkiye e che il suo omologo armeno Mirzoyan ha affermato che avrebbe inviato ulteriori aiuti nell’incontro di oggi ”, ha aaggiunto.
“L’Armenia ha teso una mano di amicizia al nostro popolo in questo giorno difficile e ha mostrato solidarietà e cooperazione. L’Armenia aveva inviato aiuti umanitari in Türkiye dopo il terremoto di Gölcük nel 1999”, ha ricordato.
“Vorrei ripetere la nostra volontà di costruire la pace essendo al fianco della Türkiye durante questi tempi difficili”, ha detto il ministro degli Esteri armeno Mirzoyan.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-17 18:41:052023-02-21 18:42:33L'Armenia ha teso una mano di amicizia al nostro popolo in questo giorni difficili (TRT 17.02.23)
La lettera di Gayané Khodaveerdi, presidente di Agbu (Armenian General Benevolent Union) Milano e segretaria dell’Unione degli Armeni d’Italia., al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni
Gentilissima Presidente del Consiglio,
rappresento una comunità di cittadine italiane, mamme e donne, di origine armena.
La nostra storia di sradicamento è sempre stata accompagnata da dignità, speranza e coraggio. Questo lo dobbiamo alle nostre madri, alle nostre nonne, alle nostre famiglie. Noi donne armene siamo depositarie delle antiche e preziose tradizioni del nostro popolo e viviamo con grande orgoglio la nostra eredità culturale in un paese pacifico in cui ci sentiamo perfettamente integrate.
Da due mesi centinaia di attivisti azeri stanno bloccando il corridoio di Latchin, l’unica arteria che mette in comunicazione l’Artsakh/Nagorno Karabakh con l’Armenia e, attraverso di essa, con l’Europa e con la comunità internazionale, impedendo il transito di persone, mezzi, viveri e medicinali.
Oltre 120.000 armeni dell’Artsakh/Nagorno Karabakh, da più di due mesi sono isolati dal resto del mondo. Negozi vuoti, prodotti e medicinali mancanti, persone senza lavoro, scuole chiuse, ospedali in seria difficoltà, malati in terapia intensiva che non possono essere trasportati: è in corso una vera e propria crisi umanitaria denunciata anche dall’Onu; è in atto l’ennesimo progetto genocidario contro il popolo armeno.
Non vogliamo scriverLe sull’ingiustizia di questa “guerra strisciante” , qual è stata definita dalle madri dell’Artsakh/Nagorno Karabakh nella lettera ad Ursula Von der Leyen, perché siamo certe che al di là delle valutazioni di equilibrio internazionale e dei differenti ruoli che ognuna di noi ricopre, tutte noi inorridiamo davanti alle sofferenze imposte ai nostri figli. È dilaniante dover leggere: “ci aiuti siamo disperate”, “i nostri figli sono rimasti senza cibo, calore, cure mediche e senza la possibilità di studiare” e ancora “non permetteremo che i nostri figli muoiano in silenzio”. Stiamo parlando di trentamila bambini, Presidente.
Facciamo appello al Suo coraggio, alla Sua determinazione, alla Sua volontà di difendere la voce delle donne e alla Sua capacità di mediazione politica perché vengano fermati questi folli crimini contro l’umanità: non si possono distruggere la speranza e l’innocenza dei bambini. Nessuno deve rimanere inerte.
L’Italia è un partner strategico fondamentale per l’Azerbaigian e dunque ha sicuramente i mezzi per farsi ascoltare in modo da indurre la cessazione di questo isolamento che sta letteralmente spegnendo le vite di 120.000 civili.
Le chiediamo di ascoltare l’appello di noi madri e donne armene, sapienti custodi delle preziose radici del nostro popolo, e di intervenire per impedire il perdurare di questa situazione insostenibile.
Non sappiamo quanto i bambini, le donne e gli anziani dell’Artsakh/Nagorno Karabakh possano ancora resistere nella drammatica situazione determinata da questo blocco.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-02-17 18:40:202023-02-21 18:40:52Io, armena, chiedo a Meloni di intervenire sulla crisi nell’Artsakh/Nagorno Karabakh (Start Magazine 17.02.23)
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