Armeni sotto assedio, emergenza umanitaria in Nagorno Karabakh (Pagine esteri 23.01.23)

Pagine Esteri, 23 gennaio 2023 – Il cibo scarseggia e gli abitanti di Stepanakert e dei piccoli centri contigui sono obbligati a ricorrere alla tessera annonaria istituita dal governo del Nagorno Karabakh per accedere a quel minimo di beni di prima necessità che le autorità dell’enclave riescono a distribuire alla popolazione.
Da giorni mancano anche l’energia elettrica, l’acqua potabile e il gas, perché le condotte e gli elettrodotti provenienti dall’Armenia sono stati bloccati da Baku o sono stati sabotati. Anche internet funziona a singhiozzo. Scuole e uffici pubblici sono chiusi o lavorano a ritmo ridotto per l’impossibilità di illuminare e riscaldare gli edifici.
Gli scaffali di negozi e supermercati sono vuoti e le attività produttive sono per lo più bloccate; migliaia di persone hanno già perso il lavoro.
La situazione è tragica soprattutto negli ospedali dove i medicinali scarseggiano o sono esauriti e i malati gravi possono essere trasferiti in Armenia solo in circostanze eccezionali e grazie all’intervento della Croce Rossa Internazionale. Alcuni pazienti sono già morti per mancanza di cure adeguate e tempestive.
Il disastro umanitario è dietro l’angolo. Circa 120 mila persone sono bloccate, ormai da sei settimane, all’interno di ciò che rimane della Repubblica dell’Artsakh assediata dalle forze azere. Niente e nessuno può entrare o uscire nell’isola armena incastonata in territorio azero.

120 mila persone sotto assedio
Fino al 12 dicembre, ogni giorno a Stepanakert arrivavano circa 400 tonnellate di merci dall’Armenia. Ma quel giorno un folto gruppo di cittadini azeri ha deciso di bloccare il “corridoio di Lachin”, l’unica strada che collega l’Armenia con l’ex territorio azero dichiaratosi unilateralmente indipendente da Baku nel 1991.
Ufficialmente, a trasformare in ostaggi i 120 mila abitanti dell’enclave è una “protesta ambientalista”. A bloccare l’unica via di comunicazione terrestre esistente con Erevan, infatti, sarebbe un gruppo di attivisti ecologisti azeri desiderosi di impedire che le miniere di oro, rame e molibdeno di Drombon e Kashen, nel territorio della provincia ribelle, continuino a sfornare materiali di scarto altamente inquinanti. Ma nel paese guidato da trent’anni dal clan Aliyev non si muove nulla senza il consenso del regime; nessun’altra protesta è stata inoltre inscenata per denunciare l’inquinamento, altrettanto grave, provocato dalle attività estrattive disseminate nel resto dell’Azerbaigian, alcune di proprietà dello stesso presidente Ilham.
I presunti ambientalisti, denunciano Erevan e Stepanakert, altro non sono che militari e attivisti di organizzazioni azere riconducibili al regime di Baku, che assediando il Nagorno Karabakh sperando di convincere molti dei suoi abitanti ad abbandonare quei territori per rifugiarsi in Armenia. Mostrano cartelli contro l’inquinamento, ma intonano slogan e canti ultranazionalisti. «Coloro che non vogliono essere cittadini dell’Azerbaigian sono liberi di farlo; il corridoio di Lachin è aperto, nessuno gli impedirà di andarsene» ha tuonato il dittatore azero.

Il blocco azero a Lachin

Il cessate il fuoco firmato il 10 novembre 2020 da Erevan e Baku dopo la “guerra dei 44 giorni” (durante la quale le truppe azere sostenute da Turchia e Israele hanno strappato agli armeni la maggior parte dei territori conquistati da questi ultimi all’all’inizio degli anni ’90) stabilisce che la percorribilità del “corridoio di Lachin” debba essere garantita dai 2000 soldati inviati da Mosca per monitorare il rispetto dell’accordo imposto dalla Russia per porre fine all’ennesimo scontro armato tra armeni e azeri.
Ma i membri delle forze di sicurezza azere travestiti da difensori dell’ambiente non hanno subito alcun intervento da parte dei peacekeeper russi, rimasti in disparte in prossimità della strada bloccata.
Mosca è impegnata nella difficile avventura ucraina e non vuole aprire altri fronti. Soprattutto, per quanto l’Armenia goda tradizionalmente della protezione russa, a Mosca ora interessa assai di più la proficua relazione con Baku e con Ankara, lo sponsor principale della repubblica turcofona ex sovietica divenuta negli ultimi anni una potenza regionale grazie al gas e al petrolio estratti nel Mar Caspio. E anche alle armi copiosamente acquistate proprio dalla Russia, che tramite una triangolazione con l’Azerbaigian riesce ad esportare in Europa quantità copiose di gas nonostante l’embargo decretato da Bruxelles dopo l’invasione dell’Ucraina. Forte della dipendenza russa dall’asse azero-turco, Aliyev ne approfitta per stringere la corda attorno alla comunità armena del Nagorno Karabakh, per costringerla ad abbandonare un territorio che abita da secoli e ogni pretesa di indipendenza. Baku, poi, vuole imporre all’Armenia l’apertura di un passaggio – il corridoio di Zangezur – che connetta l’Azerbaigian alla Repubblica Autonoma di Nakhchevan (una provincia azera separata dalla madrepatria dal territorio armeno) e di lì direttamente con la Turchia e il Mediterraneo.

Peacekeepers russi

Il tradimento di Mosca
Del resto, il contingente russo non mosse un dito neanche quando, il 13 settembre 2022, le truppe azere lanciarono l’ennesimo attacco militare questa volta direttamente contro il territorio dell’Armenia. L’aggressione militare azera durò alcuni giorni senza che Mosca intervenisse se non invitando entrambe le parti alla moderazione, generando così un’ondata di disillusione nei confronti di Mosca tra la popolazione e la diaspora armena.

Erevan ospita alcune basi militari russe, e l’Armenia e la Russia sono legate da un’alleanza militare diretta. Di fronte alle incursioni e ai micidiali bombardamenti azeri, Erevan chiese esplicitamente l’intervento militare russo a difesa della sua integrità territoriale, invocando l’articolo 4 del Trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO) al quale l’Armenia aderisce insieme a Mosca e ad altre repubbliche ex sovietiche.

La Russia, però, si guardò bene dall’intervenire contro gli azeri e a quel punto il leader armeno Nikol Pashinyan da un lato si dichiarò pronto ad abbandonare a sè stessi gli abitanti dell’Artsakh pur di salvare l’Armenia (scatenando feroci manifestazioni di protesta), dall’altra riprese a invocare la protezione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
Nel 2018, del resto, Nikol Pashinyan era stato eletto premier a capo di una coalizione politica filo-occidentale e anti-russa che poi però si era dovuta riavvicinare a Mosca sia per motivi economici sia per evitare che il paese fosse completamente sopraffatto dall’Azerbaigian. Ma ora molti armeni si sentono traditi da Vladimir Putin.
Se in precedenza il 64% degli armeni considerava la Russia un paese amico, nel 2021 la quota era scesa al 35%. Secondo un sondaggio pubblicato a gennaio dal Caucasus Research Resource Center, quasi la metà dei residenti dell’Alto Karabakh considerano necessaria l’indipendenza. Un quarto degli intervistati, invece, sceglierebbe l’annessione alla Federazione Russa in forma di repubblica autonoma; una quota di poco inferiore, infine, difende l’unificazione con la Repubblica Armena.

L’Armenia non si fida più di Mosca
Mentre nel territorio assediato – a rischio di essere del tutto abbandonato da Mosca – le critiche all’immobilismo russo sono moderate – in Armenia le denunce nei confronti del doppiogiochismo di Putin si fanno sempre più esplicite.

A fine dicembre, centinaia di manifestanti hanno marciato per 11 km da Stepanakert ad una base del contingente militare russo per chiedere a Mosca di intervenire per sbloccare l’assedio. Nei giorni scorsi alcune forze politiche ultranazionaliste armene hanno manifestato di fronte all’ambasciata russa, perorando un intervento militare di Erevan contro Baku che visti gli attuali rapporti di forza si rivelerebbe suicida. L’8 gennaio un’altra manifestazione è stata organizzata da movimenti nazionalisti a Gjumri, città al confine della Turchia dove si trova la principale base militare russa in Armenia; 65 manifestanti sono stati arrestati.
Pashinyan ha criticato la mancanza di iniziativa di Mosca ed ha annunciato che l’Armenia non ospiterà le esercitazioni militari delle truppe del CSTO guidate dalla Russia previste nel 2023. Per la prima volta, poi, il premier ha affermato che non solo «la presenza militare russa non garantisce la sicurezza armena, ma costituisce una minaccia», anticipando che potrebbe chiedere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di inviare i caschi blu per sostituire il contingente militare di Mosca.

Le promesse di Washington e Bruxelles
Ovviamente, sia l’amministrazione Biden che l’Unione Europea cercano di approfittarne per aumentare la propria influenza nel Caucaso a scapito di quella russa. In Europa si distingue soprattutto la Francia – paese nel quale, tradizionalmente, la diaspora armena possiede una qualche forza economica e politica – che ha alzato i toni contro Baku. Il governo italiano, al contrario, non prende posizione ed anzi il 12 gennaio il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha incontrato a Baku il presidente Aliyev in cerca di nuove forniture di gas e di commesse per le armi italiane.
Dichiarazioni roboanti a parte, comunque, né Bruxelles né Washington hanno finora intrapreso alcuna iniziativa concreta nei confronti dell’Azerbaigian. Il rapporto col regime di Aliyev e con quello turco, per l’Occidente, è importante quanto per la Russia di Putin. L’Unione Europea pretende che l’Armenia abbandoni l’Unione Economica Eurasiatica guidata dalla Russia per siglare un trattato di associazione con Bruxelles, ma a Erevan non offre alcuna garanzia contro il regime azero.
Anche Pashinyan, da parte sua, è conscio della fortissima dipendenza di Erevan dall’economia (nel 2022 gli scambi commerciali tra Erevan e Mosca sono cresciuti del 67%), dalle forniture energetiche e dalla presenza militare russa e al tempo stesso dell’estrema debolezza del suo paese rispetto alla crescente potenza militare, economica e diplomatica azera.

Manifestazione a Stepanakert contro il blocco azero

“Pulizia etnica”
Finora l’appello delle comunità armene isolate da sei settimane e delle piazze delle città armene affollate di manifestanti è stato raccolto solo dal Tribunale Internazionale dell’Aia, che ha convocato Baku per il 30 gennaio. Anche la Corte Europea dei Diritti Umani ha redarguito gli azeri, mentre il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione di condanna del blocco del corridoio di Lachin. A detta del Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, invece, la Russia «è pronta a dispiegare truppe al confine tra Armenia e Azerbaigian per sedare le tensioni nel Corridoio di Lachin» (cosa che avrebbe già dovuto fare in base dell’accordo del 2020) e starebbe pensando di inviare una missione della CSTO nella regione per “monitorare la situazione”.Dopo aver informato di aver chiesto al suo omologo azero Jeyhun Bayramov di sbloccare il corridoio di Lachin, Lavrov ha aggiunto che «una missione europea nella regione sarebbe controproducente».

Intanto, in mancanza di iniziative rapide e concrete, nell’enclave armena stretta nel gelido inverno caucasico, la situazione si fa ogni giorno più insostenibile. Le autorità dell’Armenia e dell’Artsakh chiedono all’ONU e ai paesi amici di organizzare un ponte aereo per rifornire di cibo e medicinali la popolazione stremata, ma finora nulla si è mosso. Mentre le condizioni di vita all’interno dell’enclave si fanno sempre più difficili, un migliaio di persone che era in territorio armeno al momento dell’inizio del blocco stradale non è potuto rientrare in Artsakh. Tra questi, decine di bambini di Stepanakert che si erano recati a Erevan per partecipare all’Eurovision Junior e ai quali da un mese e mezzo viene impedito di ricongiungersi ai genitori.
«L’assenza di una reazione adeguata all’aggressione azera potrebbe causare nuovi tragici sviluppi» avvertono i ministri degli Esteri di Armenia e Artsakh, mentre la diaspora armena in tutto il mondo lancia l’allarme sul rischio che nel Caucaso si realizzi un nuova ondata di pulizia etnica. Ma finora l’appello ad un intervento della comunità internazionale è rimasto inascoltato. – Pagine Esteri

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Quante Chiese ortodosse esistono? (Aleteia 23.01.23)

Le Chiese autocefale si caratterizzano per un’indipendenza quasi completa

Rispondere a questa domanda non è semplice come potrebbe sembrare.

Utilizzando una terminologia cattolica per non complicare le cose, ogni diocesi si può considerare una Chiesa particolare. Questo vale sia per la Chiesa cattolica che per quella ortodossa, ma per le circostanze motivate dalla domanda credo che non sia questo che si desidera sapere.

L’Ortodossia si divide nelle cosiddette Chiese autocefale, caratterizzate da un’indipendenza quasi completa, di modo che le nomine ecclesiastiche, a cominciare da quelle dei vescovi, si decidono al loro interno, senza bisogno di consultare nessun altro.

Quante Chiese autocefale ci sono?

Sono 14, ma ce n’è un’altra, la cosiddetta Chiesa Ortodossa in America, che rappresenterebbe la 15ma e comprende gli Ortodossi degli Stati Uniti, ma non è riconosciuta come autocefala da tutte le altre. In particolare, non lo è per la più significativa, la Chiesa di Costantinopoli.

Mosca e Costantinopoli

C’è uno sfondo di rivalità tra Mosca e Costantinopoli. Quest’ultima rivendica la giurisdizione sulla cosiddetta diaspora, che includerebbe gli Ortodossi degli Stati Uniti.

Il Patriarcato di Mosca ha però riconosciuto la loro indipendenza, come hanno fatto anche le Chiese più legate a Mosca. Questo non riguarda gli Ortodossi del Messico.

A Città del Messico ha sede un arcivescovado ortodosso, chiamato Esarcato dell’America Centrale e del Caribe, che dipende dal Patriarcato di Costantinopoli.

Chiese cattoliche e ortodosse

La Giordania, invece, è territorio del Patriarcato di Gerusalemme. Si tratta di due Chiese autocefale distinte, cosa che risulta strana.

Se, ad esempio, anziché una Chiesa ortodossa risulta che si tratta della Chiesa armena, andrebbe ricordato che ci sono due Chiese armene con lo stesso rito: una unita a Roma (Chiesa Cattolica Armena), l’altra separata (Chiesa Apostolica Armena).

Nel caso di quella cattolica, la sua sede principale è a Beirut, in Libano, e ha più senso che si invii un “rappresentante” in Messico da lì.

Non è però chiaro cosa significhi “rappresentante”. Potrebbe trattarsi di un vescovo: in Messico ci sono diocesi per gli Armeni che vi vivono.

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Sinodalità e cammino ecumenico (Osservatore Romano)

Una veglia ecumenica prima del Sinodo. Ecco come si terrà l’iniziativa (AciStampa 23.01.23)

Una veglia ecumenica di giovani, alla presenza di Papa Francesco e dei rappresentanti delle altre confessioni cristiane, ma aperta a tutto il popolo di Dio. L’idea è stata lanciata da Frere Alois, priore della Comunità di Taizé, sulla scorta dei grandi incontri ecumenici della comunità fondata da Frere Roger Schutz. La veglia, parte dell’iniziativa chiamata Together (insieme) si terrà il 30 settembre, alla vigilia del Sinodo sulla Sinodalità che si terrà in Vaticano dal 4 al 29 ottobre 2023. E dopo la veglia e prima del Sinodo, annuncia il Cardinale Hollerich, ci sarà un ritiro di tre giorni di preghiera dei vescovi e i partecipanti del Sinodo. Il ritiro sarà guidata da padre Timothy Radcliffe, domenicano, autore di diverse pubblicazioni che hanno generato vasto dibattito. È stato maestro dei domenicano.

L’iniziativa è stata presentata in Sala Stampa della Santa Sede dal Cardinale Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo, insieme al rappresentante della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede, l’arcivescovo Khajag Barsamian, al direttore dell’Anglican Center, l’arcivescovo Ian Ernest, e a Frere Alois, nonché al pastore Krieger, collegato da Parigi.

“È significativo che questa iniziativa venga presentata proprio durante la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani”, ha detto il Cardinale Hollerich. Il Cardinale ha anche affermato che “non c’è sinodalità senza unità nella Chiesa”.

Frere Alois ha sottolineato che questo sinodo cade “in un momento davvero opportuno per la Chiesa”. La preghiera comune “è aperta a tutti, non solo ai giovani”, ed includerà “preghiere di intercessioni e momenti di silenzio”. Frere Alois ha affermato che il momento di preghiera non sarà solo preparato dalla comunità di Taizé, ma da diverse comunità.

L’arcivescovo Ernest ha sottolineato di essere impressionato che la Chiesa “dia molta importanza ai giovani, invitando ad essere protagonisti, e ad essere protagonisti nell’assistere la Chiesa e nell’essere testimoni della compassione della Chiesa”. L’arcivescovo ha anche aggiunto che “unità non significa uniformità”.

L’arcivescovo Barsamian ha rimarcato l’imporanza di un incontro ecumenico, mentre il pastore Krieger ha apprezzato il coinvolgimento di altre confessioni cristiane. Barsamian ha anche ricordato che il Papa, in visita ad Etchmiadzin in Armenia, ha ricordato che “unità significa che nessuno è più grande dell’altro”, e questo è “molto significativo”, perché sente “un nuovo spirito che ci muove”.

La formula dell’evento rimarcherà un po’ quella degli eventi di Taizè, con giovani dai 18 ai 35 anni atesi a Roma dal venerdì sera 29 settembre) per un fine settimana di condivisione, ospitati dalle parrocchie di Roma e dalla popolazione locale, in un evento da vivere in continuità con la Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona.

120mila armeni nella sacca dell’Artsakh (Terra Santa 23.01.23)

Dallo scorso dicembre centinaia di sedicenti ambientalisti azeri presidiano, bloccandola, l’unica strada che collega all’Armenia l’enclave dell’Artsakh, in Nagorno Karabakh. Nella città di Stepanakert gravi i disagi per la popolazione. Il conflitto armeno-azero rischia di riesplodere con violenza.


Dal 12 dicembre 2022, circa 120mila armeni si trovano intrappolati nella regione caucasica dell’Artsakh, un pezzetto di Nagorno Karabakh rimasto sotto il controllo del governo di Yerevan e non riconquistato dall’Azerbaigian durante la guerra vittoriosa del 2020. L’unica strada di collegamento tra l’enclave e il resto dell’Armenia è bloccata da centinaia di sedicenti ambientalisti azeri che protestano, giorno e notte e ormai da molte settimane, contro attività estrattive locali. In realtà – è l’accusa dei media armeni e dei pochi osservatori internazionali presenti – non si tratta di ecologisti fanatici, ma di uomini inviati dal governo azero: tra loro sono stati riconosciuti, affermano a Yerevan, «numerosi agenti dei servizi di sicurezza dell’Azeirbagian», Paese dove peraltro è vietata ogni forma di dissenso o di manifestazione non autorizzata.

La chiusura totale del cosiddetto corridoio di Lachin si è ormai trasformata in una crisi umanitaria per gli abitanti di Stepanakert (Khankendi, per gli azeri), la cittadina dell’enclave: sono isolati dal resto del mondo, se non per poche ore di elettricità e di connessione internet al giorno, manca il gas per cucinare e riscaldarsi, scarseggia il cibo, l’acqua non è potabile. Sono circondati da territori controllati da forze azere ostili.

Le immagini messe in Rete mostrano mercati e negozi vuoti, scuole chiuse, ospedali in difficoltà. Diciotto persone in terapia intensiva hanno bisogno di essere trasferite con urgenza, e già vi è un morto a causa del blocco. Prima arrivavano ogni giorno 400 tonnellate di beni di prima necessità, inviate da Yerevan. Oggi solo la Croce Rossa è autorizzata ad entrare nel corridoio di Lachin per portare qualche aiuto alla popolazione stremata e spaventata di Stepanakert.

Le piazze delle altre città armene ribollono di rabbia: enormi manifestazioni invocano una risposta armata e chiedono alla comunità internazionale di intervenire. A Yerevan nessuno si aspetta molto dai russi, storici alleati dell’Armenia. Fu Mosca, che possiede alcune basi militari in territorio armeno, a negoziare il cessate il fuoco nel 2020 tra Yerevan e Baku: le truppe dell’Azerbaigian, con il sostegno diplomatico turco e – soprattutto – i droni forniti da Ankara, avevano ripreso in 44 giorni di guerra il controllo della maggior parte del Nagorno Karabakh, occupato sin dal 1994 dall’Armenia.

La tregua del 2020 non si è mai trasformata in un accordo di pace e, in realtà, non si tratta nemmeno di una vera tregua, perché scontri e attacchi non sono cessati. Anzi, la pressione azera, sostenuta da Ankara, si è intensificata negli ultimi mesi fino all’accerchiamento dei 120 mila di Stapanakert. La Russia di Putin, assorbita e indebolita dal conflitto in Ucraina, non è stata in grado – spiega in un incontro in Rete l’autorevole giornalista armena Alison Tahmizian – di fronteggiare la crescente aggressività dell’Azerbaigian e nemmeno di evitare il blocco del corridoio di Lachin, che in teoria dovrebbe essere presidiato proprio da forze di interposizione russe, sulla base del cessate il fuoco del 2020. Secondo Tahmizian, i militari russi, incaricati di mantenere la pace, non possono ora intervenire contro manifestanti che si dichiarano ecologisti: impotenza che in realtà sta a testimoniare non solo l’indebolimento russo, ma anche la prudenza di Mosca nei confronti della Turchia, dati i complessi rapporti con Ankara in relazione alla guerra ucraina e all’altalenante confronto sulla Siria.

Il Caucaso rischia così di ripiombare in una delle sue infinite guerre. L’obiettivo dell’Azeirbagian e della Turchia, afferma la giornalista, è quello di conquistare tutta la parte meridionale dell’Armenia, per creare una fascia di territorio sotto il controllo turco-azero dal Mar Nero al Mar Caspio, con l’effetto non trascurabile di chiudere all’Iran (altro alleato storico di Yerevan) un’importante via di collegamento nel Caucaso qualora fosse completamente e definitivamente cancellata la contiguità territoriale tra la Repubblica Islamica e l’Armenia. Sul destino dei 120 mila ostaggi armeni dell’Artsakh si gioca la partita degli equilibri sud-caucasici.

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Quarantatreesimo giorno del #ArtsakhBlockade. L’Azerbajgian non si fermerà all’Artsakh. Dopo proseguirà con l’Armenia (Korazym 23.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.01.2023 – Vik van Brantegem] – Nella foto di copertina, la capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Stepanakert, prima del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) e oggi, nel 43° giorno. L’Azerbajgian non accenna a mollare l’assedio dell’Artsakh e la situazione è letteralmente, non solo in senso figurato, congelata. È pulizia etnica e genocidio in atto che nemmeno viene nascosto, anzi apertamente promosso. Il mondo deve ancora intraprendere un’azione concreta, energica e risolutiva contro il regime criminale dell’Azerbajgian. Quasi 5.000 abitanti dell’Artsakh hanno perso il lavoro per il blocco. 30.000 mila minori sono senza luce, al freddo e con cibi razionati. Più di 20.000 minori non possono frequentano la scuola, perché le scuole non sono riscaldate, dopo che l’Azerbajgian ha chiuso il gasdotto dall’Armenia, e più di 7.000 bambini non possono frequentare la scuola materna per le scorte alimentari insufficienti.

In uno dei suoi soliti tweet ipocriti oggi, l’Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, Nasimi Aghayev, voce bugiarda del suo padrone Aliyev, informa – mostrando un filmato della televisione azera CBC – che «46 pazienti armeni sono stati trasferiti finora attraverso la strada di Lachin dal Karabakh all’Armenia senza alcun ostacolo da parte degli eco-attivisti dell’Azerbajgian. Una volta che la regione sarà completamente reintegrata, l’Azerbajgian costruirà ospedali di prim’ordine in Karabakh in modo che i nostri cittadini armeni non abbiano bisogno di trasferimenti medici in Armenia».

Quindi “senza alcun ostacola” significa lasciare che solo i malati in stato critico vadano in un’altra regione della loro patria perché gli eco-attivisti gli abbiamo bloccati, mentre non hanno possibilità di essere curati nella loro città natale.

Quale trattamento “i nostri cittadini armeni” (che rifiutano essere tali, da prima che esisteva l’Azerbajgian indipendente) possono aspettare dalla generosità azera, ha insegnato la storia, come abbiamo ancora dimostrato, per l’ennesima volta ieri [QUI]. Il blocco dell’Artsakh da parte degli agenti della dittatura familiare-ereditaria di Ilham Aliyev dell’Azerbajgian consente l’evacuazione – solo tramite il Comitato Internazionale della Croce Rossa – di pazienti in condizioni gravi (46 in totale) e (come ha affermato Aliyev) l’uscita degli abitanti Armeni dell’Artsakh che desiderano abbandonare la propria terra (0 in totale, mentre chi è bloccato fuori vuole ritornare). È merito di Aghayev ricordare giornalmente che il blocco c’è e che nessun Armeno dell’Artsakh vuole diventare un suo compatriata.
Il Ministero della Difesa russo ha dichiarato oggi, che un convoglio del contingente di mantenimento della pace russo con carico umanitario è stato scortato lungo l’autostrada interstatale Goris-Stepanakert. Il fatto di un comunicato del genere già da solo è l’ennesima conferma che la strada è bloccata. Il trattamento intimidatorio riservato dai servizi speciale dell’Azerbajgian travestiti come “eco-attivisti” ai minori che tornavano in Artsakh dall’Armenia dopo 37 giorni, dimostra quale trattamento possono aspettarsi “nostri cittadini armeni”, “una volta che la regione sarà completamente reintegrata”. Più che una promessa è una minaccia.

La storia umiliante di 16 adolescenti che sono rimasti bloccati per 37 giorni e impossibilitati a tornare alle loro case a Stepanakert, nella Repubblica dell’Artsakh.

L’ipocrisia UE (ovvero, nostra) – « Strillare sui diritti umani serve a ben poco se poi non si è disposti a sopportare le conseguenze di eventuali tagli alle forniture. (…) Ci si chiede, in conclusione, perché gli europei continuino a parlare di temi sgraditi ai governanti di nazioni per loro fondamentali dal punto di vista delle forniture [Qatar e Azerbajgian]. Strillare sui diritti umani serve a ben poco se poi non si è disposti a sopportare le conseguenze di eventuali tagli. Meglio sarebbe pensare ad una politica energetica seria nel lungo periodo da parte della UE, senza provocare altri guai con i nostri fornitori più importanti» (Michele Marsonet – Atlantico di Nicola Porro, 23 gennaio 2023).

Quando un intervistatore non vuole fare il giornalista – Il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan, è stato intervistato oggi nel programma Hard Talk della BBC. L’intervistatore Stephen Sackur ha avuto poco interesse per l’Artsakh, parlando principalmente del Presidente russo Putin e il Primo Ministro armeno Pashinyan, ma Vardanyan è riuscito a parlare del disastro umanitario e dell’aggressione azera contro l’Artsakh.

Oggi abbiamo ricevuto conferma ufficiale, che il Rappresentante speciale dell’Unione Europea per la crisi del Caucaso meridionale e della Georgia, Toivo Klaar, è resuscitato. Dopo il suo ultimo tweet del 16 dicembre 2022, più di un mese fa, con cui notificava al suo compagno di merende Ilham Aliyev che non avevo niente da obiettare contro il blocco del Corridoio di Lachin, alloro nel suo quarto giorno, è rimasto in ibernazione.

Poi, ieri notte, alle ore 23.17, Toivo Klaar ha prodotto un nuovo tweet: «Back in Yerevan for a day of meetings. The situation around the Lachin corridor is serious and solutions have to urgently be found. I look forward to discussions to explore ways forward. The Unione Europea goal remains a comprehensive Armenian-Azerbajgian settlement» [Di nuovo a Yerevan per una giornata di incontri. La situazione attorno al Corridoio di Lachin è grave e occorre trovare urgentemente delle soluzioni. Non vedo l’ora di discutere per esplorare le strade da percorrere. L’obiettivo dell’Unione Europea rimane un accordo globale armeno-azerbajgiano].

Tempo sprecato: lo sappiamo da 43 giorni – mentre lui ha dormito per 39 giorni – che la situazione per l’Artsakh è grave (che pudore, parla di “situazione attorno al Corridoio di Lachin”, la parola “blocco” non riesce a pronunciare). Invece di dire a Yerevan che “occorre trovare urgentemente delle soluzioni”, che vada a dire a Baku che il blocco deve terminare all’istante.

Oggi, l’Ufficio del Primo Ministro della Repubblica di Armenia ha informato, che Nikol Pashinyan ha ricevuto Toivo Klaar. All’incontro ha partecipato anche il Capo della delegazione dell’Unione Europea in Armenia, l’Ambasciatore Andrea Victorin. Gli interlocutori hanno discusso della situazione nella regione, nonché delle questioni relative alla cooperazione Armenia-Unione Europea. Nella nota si legge: «È diventata importante la decisione presa sull’ubicazione della nuova missione civile dell’Unione Europea al confine armeno-azerbajgiano, che contribuirà alla stabilità e alla sicurezza nella regione. Si è anche fatto riferimento alla crisi umanitaria creatasi nel Nagorno-Karabakh a seguito del blocco del Corridoio di Lachin. Il Primo Ministro Pashinyan ha sottolineato che, a causa di ciò, la situazione nel Nagorno-Karabakh sta peggiorando di giorno in giorno, le scuole e gli asili non funzionano, le istituzioni sanitarie hanno una grave carenza di medicine e stanno affrontando seri problemi. Inoltre, la fornitura di gas al Nagorno-Karabakh è stata interrotta dall’Azerbaigian, c’è anche un problema di fornitura di energia elettrica. Sottolineando l’adeguata risposta della comunità internazionale alla situazione creatasi, Nikol Pashinyan è lieto di sottolineare il fatto delle risoluzioni adottate l’altro giorno dal Parlamento Europeo».

Secondo la fonte, Toivo Klaar ha espresso preoccupazione per il blocco del Corridoio di Lachin e ha sottolineato la necessità del buon funzionamento del Corridoio. Ha osservato che l’Unione Europea è interessata a garantire stabilità e pace nella regione e continuerà a contribuire alla soluzione di questo problema. Staremo a vedere se riesce a convincere il suo amico Aliyev.

Invece, il Segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha preso il telefono e in una conversazione telefonica con il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, lo ha esortato a sbloccare immediatamente il Corridoio di Lachin per il trasporto commerciale. Al riguardo, il Dipartimento di Stato in una nota ha sottolineato che la minaccia di una crisi umanitaria con il blocco del Corridoio di Lachin mina le prospettive di pace tra l’Armenia e l’Azerbajgian. Blinken ha invitato Aliyev a raddoppiare i suoi sforzi nei negoziati di pace bilaterali con l’Armenia [seriamente, così sta scritto]. Ha anche espresso preoccupazione per i diritti umani in Azerbajgian [preoccupazione, a parole, senza azioni concrete e Aliyev se la ride].

L’Ambasciata americana in Azerbajgian ha riportato il tweet di Blinken con la traduzione in azero: “Ho esortato il Presidente Aliyev a ripristinare immediatamente il traffico commerciale sul Corridoio di Lachin. Ogni giorno che rimane bloccato rischia una crisi umanitaria e mina i passi che l’Armenia e l’Azerbajgian hanno compiuto verso la pace. Gli Stati Uniti si impegnano a sostenere questi sforzi”.

40 organizzazioni non governative della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh hanno inviato una lettera aperta ai leader dei Paesi Co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE (USA, Francia e Russia), chiedendo loro di discutere la possibilità di dispiegare in Artsakh ulteriori forze internazionali di mantenimento della pace con il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per garantire la piena sicurezza della Repubblica di Artsakh e dei suoi cittadini.

Nella dichiarazione si afferma: «Per quasi tre decenni, il Gruppo di Minsk dell’OSCE e poi i suoi tre Co-Presidenti, con un mandato internazionale pertinente, hanno svolto un ruolo di mediazione di primo piano nella ricerca di modi per raggiungere una soluzione globale del conflitto azero-karabakh, esclusivamente in modo pacifico, basata sulla Carta delle Nazioni Unite. Le proposte del Gruppo di Minsk dell’OSCE per la risoluzione del conflitto includevano anche principi importanti come il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, sulla base del quale sarà determinato lo status finale dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, nonché il non uso della forza o la minaccia della forza.
Riteniamo che la situazione derivante dall’uso illegittimo della forza non possa e non debba essere riconosciuta come punto di partenza per una soluzione globale del conflitto. Lo status indipendente della Repubblica dell’Artsakh deve essere riconosciuto dalla comunità internazionale sulla base del rispetto del diritto del popolo dell’Artsakh all’autodeterminazione. L’intervento militare della Turchia nel conflitto Azerbajgian-Karabakh con il coinvolgimento di combattenti terroristi provenienti dal Medio Oriente, la detenzione illegale di oltre un centinaio di prigionieri di guerra armeni da parte dell’Azerbajgian e i crimini di guerra sono stati condannati dai parlamenti di numerosi paesi e organizzazioni internazionali.
Approfittando della difficile situazione internazionale e del mancato riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica di Artsakh, le autorità azere sono ricorse a un’altra azione illegale contro il popolo dell’Artsakh, bloccando le comunicazioni di trasporto lungo il Corridoio di Lachin (Kashatagh), riconosciuto a livello internazionale, che è l’unico modo per collegare l’Artsakh con l’Armenia e il mondo esterno.
Il blocco dell’Artsakh, in corso dal 12 dicembre 2022, viola i diritti e le libertà dei 120.000 abitanti dell’Artsakh, compresi 30.000 bambini, oltre a decine di migliaia di donne e anziani. Ha causato seri problemi con le medicine e l’approvvigionamento alimentare, il Paese è sull’orlo di una catastrofe umanitaria. La chiusura del corridoio di trasporto ha portato alla sospensione dei lavori di costruzione su larga scala effettuati nella Repubblica per fornire alloggi ai rifugiati e agli sfollati interni che hanno lasciato le loro case a seguito dell’occupazione dei territori dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian nel 2020.
Attraverso le loro azioni criminali, le autorità azere stanno cercando di creare condizioni di vita insopportabili per costringere il popolo dell’Artsakh a rinunciare ai propri diritti fondamentali, compreso il diritto all’autodeterminazione. In alternativa, viene proposto l’eliminazione completo o lo spostamento forzato della popolazione armena indigena
dell’Artsakh dalla loro patria storica. Le azioni delle autorità azere, ufficialmente sostenute dalla leadership turca, hanno trasformato in ostaggi 120.000 cittadini dell’Artsakh e le condizioni avanzate dalla Baku ufficiale per il loro rilascio, essendo di natura politica e mercantile, sono una manifestazione di terrorismo internazionale sotto la legge internazionale.
La politica armenafobica del tandem turco-azerbajgiano continua ancora oggi. Gli appelli degli Stati Uniti, dei Paesi europei, della Russia e, in generale, l’attuazione di sole misure politiche non hanno il giusto impatto sulla politica genocida di questo tandem contro gli Armeni etnici.
A causa del fatto che, nonostante gli obblighi assunti ai sensi della Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, il contingente russo di mantenimento della pace in Artsakh non è in grado di impedire le azioni criminali dell’Azerbajgian, chiediamo gentilmente di considerare la possibilità di dispiegare ulteriori forze internazionali di mantenimento della pace in Artsakh, sotto il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per garantire la piena sicurezza della Repubblica di Artsakh e dei suoi cittadini.
Siamo convinti che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui gli Stati che rappresentate hanno lo status di membri permanenti, abbia basi legali internazionali sufficienti e opportunità per applicare pienamente gli strumenti pertinenti per impedire l’attuazione delle intenzioni di genocidio da parte dell’Azerbajgian e terminare le sue azioni criminali che violano la Carta delle Nazioni Unite».

L’Azerbaijan non si fermerà all’Artsakh
di Mira Nalbandian
Harvard Political Review, 22 gennaio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Dalla fine del 2020, gli storici avversari Armenia e Azerbajgian hanno mantenuto un precario cessate il fuoco segnato da crescenti tensioni. Mentre le scaramucce persistono dal 1994, due anni fa è scoppiata la guerra nel Caucaso per la prima volta da decenni, che ha provocato migliaia di vittime e l’Azerbajgian ha conquistato il territorio conteso. L’Armenia aveva in gran parte mantenuto il controllo informale dell’Artsakh (noto anche come Nagorno-Karabakh), una regione popolata da Armeni riconosciuta a livello internazionale come parte del territorio dell’Azerbajgian. Tuttavia, una ripresa dei combattimenti nel settembre 2022 ha lasciato l’Armenia ancora una volta a rischio di concedere più terra all’Azerbajgian.

L’Artsakh è da tempo al centro del conflitto. Durante l’integrazione della regione del Caucaso nell’URSS nel 1923, l’Artsakh fu ceduto all’Azerbajgian, insieme alla regione a maggioranza musulmana del Nakhchivan. Dalla caduta dell’Unione Sovietica, tuttavia, l’Artsakh è stato principalmente controllato dall’Armenia e ha espresso interesse per l’indipendenza dall’Azerbajgian, in particolare nel referendum del 1991 per la statualità, approvato dal 99,89% dei votanti. La regione è comunque riconosciuta a livello internazionale come azera dopo che la terra è stata conservata dall’Azerbaigian nell’era post-URSS.

Sebbene la guerra sia di natura altamente territoriale, non riguarda solo l’Armenia e l’Azerbajgian. Le tensioni nella regione sono profonde e si estendono lontano, coinvolgendo Russia e Turchia, rappresentando uno stato di disagio che ricorda le controversie ottomane e dell’Unione Sovietica. La Russia ha storicamente fornito sostegno all’Armenia, tentando anche di rimanere neutrale, come dimostrato dal suo riuscito negoziato del cessate il fuoco nel 2020 dopo i precedenti tentativi falliti delle Nazioni Unite, della Francia e degli Stati Uniti.

Ma mentre la Russia mediava la pace nella regione, la Turchia forniva un sostegno diretto all’Azerbajgian, suo alleato di etnia turca. Nella guerra del 2020, aerei da combattimento turchi sono stati avvistati in Azerbajgian e la Turchia ha inviato mercenari siriani in Artsakh per combattere con l’esercito azero.

Tale coinvolgimento puzza di pan-turchismo, un’ideologia radicata nell’unificazione di tutti i popoli di lingua turca in tutta l’Asia occidentale e centrale. Il pan-turchismo non è semplicemente un movimento edificante per i popoli turchi. Storicamente, è stato utilizzato per prendere di mira molti popoli non turchi nella regione, vale a dire Armeni, Assiri, Curdi e Greci, che sono considerati estranei all’ideologia pan-turca. Durante la Prima Guerra Mondiale, la propaganda pan-turca mirava a contrastare l’influenza russa. In una parata per la vittoria azera in Azerbajgian dopo la guerra del 2020, il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha elogiato Enver Pasha, un leader pan-turco in tempo di guerra che ha aiutato nella pianificazione del genocidio armeno, che dal 1915 in poi ha ucciso 1,5 milioni di Armeni e ne ha sfollati innumerevoli altri. Anche gli Armeni che vivono in Azerbajgian hanno subito violenze, in particolare il pogrom di Baku degli anni ’90, che ha preso di mira gli Armeni nella capitale azera. L’ideologia è apparentemente riapparsa mentre i presunti sforzi di supporto aereo e mercenario della Turchia creano un nuovo livello di pericolo per l’Armenia nella guerra in corso. In altre parole, l’Azerbaigian non ha semplicemente una vendetta isolata per l’Armenia, piuttosto, l’ultima aggressione azera segnala la continuazione di una storica persecuzione del Paese e del suo popolo.

Mentre sia l’Armenia che l’Azerbajgian hanno affermato che l’altro ha colpito per primo, il tempismo della guerra arriva in un momento strategicamente molto vantaggioso per l’Azerbajgian. Da quando la Russia ha iniziato a invadere l’Ucraina a febbraio, il principale sostenitore dell’Armenia nella regione è occupato. Di conseguenza, l’Armenia non ha il supporto fondamentale che di solito trova in Russia per contrastare gli attacchi azeri e l’Azerbajgian gode di un vantaggio significativo. Come ha detto alla National Public Radio Paul Stronski del Carnegie Endowment for International Peace: “Il tempismo, il fatto che la Russia sia occupata, ha certamente portato a quella che in questo momento sembra un’offensiva azera”.

L’Armenia e il Portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, hanno anche riferito che l’Azerbajgian non ha solo attaccato il territorio conteso, ma anche la terra armena sovrana, con Price che ha indicato “prove significative di bombardamenti azeri all’interno dell’Armenia e danni significativi alle infrastrutture armene” a settembre . Secondo quanto riferito, le truppe azere sono in territorio armeno e il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan ha rivelato che l’Azerbajgian ha occupato terra controllata dagli Armeni, confermando ulteriormente l’obiettivo alla base dell’aggressione: una campagna per catturare sempre più terra armena. Inoltre, dal 12 dicembre 2022, l’Azerbajgian ha istituito un blocco sull’Artsakh, il che significa che i cittadini della regione sono tagliati fuori dalle forniture necessarie.

In risposta alla guerra più recente, Pashinyan ha tentato di perseguire concessioni diplomatiche per placare l’Azerbajgian ed evitare ulteriori conflitti, una strategia che ha provocato forti proteste in Armenia. Si ipotizza che Pashinyan conceda l’Artsakh all’Azerbajgian, provocando richieste di dimissioni. Al contrario, il Presidente dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, si è opposto con decisione a qualsiasi concessione all’Azerbajgian.

A livello internazionale, Francia, Russia, Stati Uniti e Unione Europea hanno chiesto la pace nella regione, riflettendo le loro azioni due anni fa, quando tentarono di negoziare il cessate il fuoco. Tuttavia, durante la guerra in Ucraina, sono sorte complicazioni, con la Banca Mondiale che ha notato che i Paesi che dipendono dal gas naturale per l’energia soffriranno di un accesso limitato. L’Azerbajgian, che contiene riserve di gas naturale, ha così raccolto la simpatia della Commissione Europea, lasciando l’Armenia ancora più vulnerabile.

Ancora una volta, e non sorprende, la Turchia ha affermato che sosterrà l’Azerbajgian, in linea con la sua posizione nella guerra del 2020, fornendo ulteriori indicazioni sul fatto che l’Azerbajgian continuerà a competere per la terra armena, essendo sostenuto da un potente alleato che incoraggia l’idea che l’Armenia sia un territorio ancestrale turco. L’alleanza tra Turchia e Azerbajgian va oltre una semplice questione di interesse politico: i due Paesi hanno una lunga storia di sentimenti anti-Armeni radicati nel pan-turchismo e hanno dichiarato più volte la loro intenzione di “rivendicare” la terra nell’odierna Armenia. Il Presidente azero, Ilham Aliyev, ha dichiarato nel 2010: “Ho ripetutamente affermato che l’attuale Armenia, il territorio, chiamato Repubblica di Armenia sulla mappa, è un’antica terra azera”. Aliyev fa questa affermazione nonostante prove che gli Armeni vivono nell’odierna Armenia da circa 3000 anni.

Tuttavia, il governo azero ha fissato gli occhi all’interno dei confini dell’Armenia. Il politico azero Bahar Muradova è stato citato affermando che “gli Azeri torneranno nelle loro terre storiche, inclusa Yerevan. Non ci possono essere dubbi”. Le sue parole fanno eco ai sentimenti del suo governo, ma mentre questi politici azeri sono stati avanti nelle loro aspirazioni, il governo turco ha famigeratamente negato alcuni dei suoi più eclatanti atti anti-armeni, in particolare la sua complicità nel genocidio armeno, pur elogiando gli architetti del genocidioi.

La storia non si ripete semplicemente, prosoegue. Le azioni della Turchia e dell’Azerbajgian dimostrano la loro vera intenzione storica: il controllo della terra armena. Mentre il governo azero può rivendicare la difesa della sua terra, il suo attacco all’Armenia in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, i suoi movimenti nella terra armena sovrana e la sua storia di sentimenti pan-turchi servono solo come indicazione che l’Azerbajgian è interessato a molto di più che proteggere i suoi confini attuali.

Il Primo Ministro Pashinyan ha il dovere di resistere all’aggressione azera. Il popolo armeno ha dimostrato il suo rifiuto di soccombere alla pressione, così come lo stesso Artsakh, e il suo governo deve riflettere la sua forza.

L’Azerbajgian, e la sua alleata Turchia, hanno una lunga storia di aggressioni contro l’Armenia e hanno chiarito le loro intenzioni di invadere sempre più la terra armena. Se Pashinyan concede completamente l’Artsakh, l’Azerbajgian non sarà soddisfatto. Finché Aliyev e i suoi alleati sostengono che tutta l’Armenia è la loro patria ancestrale, sarebbe sciocco pensare che non continueranno a spingere fino a quando non avranno vinto ciò che pensano di meritare.

Il corso per placare l’Azerbajgian deve trasformarsi in sanzioni internazionali repressive – Presidenza dell’Artsakh
Armenpress, 23 gennaio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Nelly Baghdasaryan, Consigliere per le relazioni internazionali del Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno Karabakh, Arayik Harutyunyan, ha commentato la risposta internazionale e la sua efficacia al blocco azero dell’Artsakh, gli obiettivi perseguiti dall’Azerbajgian e altre questioni in un’intervista condotta da Armenpress.

Il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha recentemente annunciato che il contingente di mantenimento della pace russo, deputato a controllare il traffico lungo il Corridoio di Lachin in base alla dichiarazione trilaterale, ha tutte le capacità per controllare i mezzi di trasporto. Si prega di commentare il messaggio di questo annuncio, in particolare tenendo conto della seguente dicitura: “Il contingente di mantenimento della pace ha tutte le possibilità per controllare i mezzi di trasporto”.
La domanda chiave dopo la formulazione del Ministro degli Esteri russo riguardo al corridoio durante il blocco è la seguente: è possibile ottenere lo sblocco con l’influenza della parte russa e senza precondizioni nel quadro degli obblighi assunti dalla Russia il 9 novembre 2020? Secondo la sequenza delle ultime discussioni, il 17 gennaio si è svolto un colloquio telefonico Lavrov-Bayramov, durante il quale il Ministro degli Esteri russo ha sottolineato “la necessità di un rapido e completo sblocco del traffico lungo il Corridoio di Lachin in linea con i parametri previsti dalla Dichiarazione trilaterale di alto livello del 9 novembre 2020”, e durante la conferenza stampa del 18 gennaio che riassume il 2022 Sergey Lavrov ha citato questa telefonata. Ha ribadito i doveri assunti dalla Russia nell’ambito dell’accordo trilaterale di controllo del traffico e dei mezzi di trasporto. Allo stesso tempo, il Ministro degli Esteri russo ha in una certa misura spostato il baricentro della risoluzione della crisi nell’arena dell’Azerbajgian-Artsakh: il Ministro ha affermato che “i rappresentanti dell’Azerbajgian hanno avuto incontri con i rappresentanti del Karabakh con la partecipazione del comandante del contingente russo”. Secondo un comunicato rilasciato dal Consiglio di Sicurezza dell’Artsakh il 18 gennaio, la comunicazione del 15 gennaio con la parte azera per la riapertura del corridoio non ha dato alcun risultato. Invece di sbloccare, l’Azerbajgian sta ora sviluppando una strategia di logoramento, perseguendo l’obiettivo di costringere l’Artsakh a fare concessioni. In pratica, il blocco ha registrato uno status quo in senso negativo.

Quanto è realistica la revoca del blocco per l’influenza della comunità internazionale e dei centri di potere? In generale, quale atteggiamento della comunità internazionale ha registrato nei confronti di questo atto disumano dell’Azerbajgian? Le valutazioni e le dichiarazioni da sole sono sufficienti? Secondo lei, cosa può contribuire concretamente alla risoluzione del problema?
Il fatto ha registrato un alto livello di internazionalizzazione. Apprezziamo la solidarità internazionale e il lavoro svolto per formare il dossier politico oggettivo del blocco totale dell’Artsakh risultante dalla chiusura del Corridoio di Lachin. Il dossier sul blocco deve modificare gli approcci dei centri di potere che sostenevano la convivenza dell’Artsakh con l’Azerbajgian. I nuovi approcci concettuali per la risoluzione dei conflitti devono essere costruiti sulla base del rispetto del diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh. Fin dai primi giorni del blocco la comunità internazionale ha condannato e chiesto l’immediata eliminazione del blocco del Nagorno-Karabakh, la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stata particolarmente importante e i discorsi che vi sono stati pronunciati, ma ritengo che l’assenza di una dichiarazione di consenso sia un deplorevole errore da parte della comunità internazionale. Attribuisco importanza anche ai sostanziali discorsi nella Riunione speciale del Consiglio permanente dell’OSCE del 16 e 17 gennaio. Ricordando in generale i discorsi dei Rappresentanti permanenti degli USA, della Francia e della Russia presso l’OSCE, anche in qualità di Co-Presidenti, hanno chiesto l’adesione all’accordo trilaterale del 9 novembre 2020, il ripristino immediato e incondizionato della circolazione libera e sicura lungo il Corridoio di Lachin e di non peggiorare la crisi umanitaria. La coerenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata importante nel notificare con urgenza al Comitato dei Ministri del Consiglio Europeo la decisione riguardante lo sblocco del Corridoio di Lachin. In ambito europeo l’ultimo fatto importante è stato il Rapporto annuale 2022 della Politica estera e di sicurezza comune del 18 gennaio del Parlamento Europeo riguardante il blocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian. Il 19 gennaio il Parlamento Europeo ha adottato la risoluzione di condanna sulle conseguenze umanitarie del blocco nel Nagorno-Karabakh. Queste discussioni e pressioni internazionali, l’enorme lavoro, sono certamente molto apprezzate da noi, ma finché il blocco continua non possiamo trovarle sufficienti. Il corso di pacificazione dell’Azerbaigian, in corso dal 2020, deve trasformarsi in un corso di repressione pratica attraverso gli strumenti delle sanzioni internazionali. Il 19 gennaio il Parlamento europeo ha adottato la risoluzione di condanna sulle conseguenze umanitarie del blocco nel Nagorno Karabakh. Queste discussioni e pressioni internazionali, l’enorme lavoro, sono certamente molto apprezzate da noi, ma finché il blocco continua non possiamo trovarle sufficienti. Il corso di pacificazione dell’Azerbaigian, in corso dal 2020, deve trasformarsi in un corso di repressione pratica attraverso gli strumenti delle sanzioni internazionali. Il 19 gennaio il Parlamento europeo ha adottato la risoluzione di condanna sulle conseguenze umanitarie del blocco nel Nagorno Karabakh. Queste discussioni e pressioni internazionali, l’enorme lavoro, sono certamente molto apprezzate da noi, ma finché il blocco continua non possiamo trovarle sufficienti. Il corso di placcare l’Azerbajgian, in atto dal 2020, deve trasformarsi in un corso di repressione pratica attraverso gli strumenti delle sanzioni internazionali.

In generale, quali obiettivi minimi e massimi persegue l’Azerbajgian tenendo chiuso il Corridoio di Lachin con il falso pretesto ambientale?
“Artsakh senza gli Armeni” – questo è il calcolo massimo dell’Azerbajgian nella questione dell’Artsakh, non ci sono calcoli minimi. L’Azerbajgian ha scelto una strategia di logoramento incruento dell’Artsakh. La combinazione delle azioni armenofobe dell’Azerbajgian include una politica di pulizia etnica strisciante, occupazione strisciante e terrorismo. La popolazione di 120.000 abitanti dell’Artsakh è in condizioni di disastro umanitario, la nostra principale e fondamentale preoccupazione sono i 30.000 bambini che sono sotto blocco, che stanno vivendo le conseguenze psicologiche, sociali e fisiche del blocco in modo più acuto. Il famigerato incidente in cui un gruppo di minori dell’Artsakh che tornavano a casa da Goris con le forze di mantenimento della pace russe è stato sottoposto a una violenza psicologica organizzata da parte degli Azeri deve essere condannato nelle arene legali internazionali..

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

L’Armenia e i dipinti murali nelle chiese cristiane: la nuova mostra del Museo della Seta (Primacomo 23.01.23)

E’ stata inaugurata sabato, 21 gennaio 2023, e rimarrà aperta al pubblico fino al prossimo 19 febbraio la nuova mostra ospitata negli spazi del Museo della Seta “Armenia. Dipinti murali nelle chiese cristiane VII-XIII secolo”.

L’Armenia e i dipinti murali nelle chiese cristiane: la nuova mostra del Museo della Seta

La mostra al Museo della Seta, ripercorrendo la via della seta che da millenni unisce l’Oriente all’Occidente, illustra un percorso di studi, ricerche e restauri conservativi di cicli di dipinti murali nelle chiese in Armenia e nell’Artsakh che gli autori hanno realizzato con passione e costanza in questi ultimi dieci anni.  Il percorso è composto da pannelli con fotografie a colori, dove sono presentati i restauri dei dipinti murali di tre chiese armene: Lmbatavank’, Santo Segno del Monastero di Haghbat e Kat’oghikè del Monastero di Dadivank’.

L’esposizione è arricchita da testi scritti dagli autori, libri, locandine, materiale illustrativo, articoli, pigmenti minerali naturali armeni. É stato realizzato un piccolo catalogo con testi introduttivi di Paolo Aquilini, Antonia Arslan, Ambra Garancini, Agop Manoukian, Paolo Arà Zarian e un’introduzione storica con cartine geografiche dell’Armenia e dell’Artsakh e testi generici dedicati alla cultura dei dipinti murali nelle chiese armene.

La mostra è stata curata dall’architetto Paolo Arà Zarian e dalla restauratrice di opere d’arte, Christine Lamoureux, promossa dal Museo della Seta di Como in stretta collaborazione con Iubilantes ODV con il patrocinio del Comune di Como, della Accademia di belle arti Aldo Galli di Como, del Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena e del Consolato Onorario della Repubblica di Armenia.

Calendario degli eventi

  • Domenica 29 gennaio ore 16: “Garò. Una storia armena”, monologo interpretato da Stefano Panzeri. Testo e regia: Giuseppe di Bello. Presentazione: Agop e Vasken Monoukian
  • Sabato 4 febbraio ore 16: “Architettura e arte armena: un patrimonio gravemente minacciato”, conferenza di Gaianè Casnati
  • Domenica 19 febbraio ore 16: finissage con la conferenza “Esperienze di restauro on Armenia”, incontro co gli autori della mostra Christine Lamoureux e Paolo Arà Zarian

OMBRE SCURE SUL FUTURO DEL CAUCASO (Difesa on line 23.01.23)

(di Andrea Gaspardo)
23/01/23

Mentre l’attenzione del mondo intero è concentrata sull’evolvere della Guerra Russo-Ucraina, nelle lande del Caucaso si sta consumando una crisi finora bellamente ignorata che, se dovesse concludersi nel peggiore dei modi, rischierebbe di mettere a nudo una volta per tutte tanto il pressapochismo dell’Occidente nell’affrontare questo tipo di conflitti quanto la plasticità dei sovente strombazzati a vanvera “valori universali” del medesimo; specialmente in questo caso in cui uno dei contendenti è fiancheggiato (utilizzo deliberatamente questo termine di allusione “mafiosa” perché di questo si tratta) da un paese che formalmente fa parte della NATO ma che da anni lavora per crearsi un’area di egemonia che è completamente in antitesi con i più basilari interessi nazionali dell’Italia.

L’ho scritto un’infinità di volte e non smetterò mai di farlo: stiamo parlando della Turchia. Come dicevo poc’anzi, ci troviamo nel Caucaso e lo scenario è quello dell’ancora irrisolto conflitto del Nagorno-Karabakh, nel frattempo estesosi di fatto all’intero territorio della Repubblica d’Armenia che, sotto la pressione congiunta turco-azera, rischia di scomparire dalla mappa geografica (e visti i trascorsi storici di poco più di un secolo fa, ciò ha l’alta probabilità di trasformarsi in un secondo Genocidio per il popolo armeno).

A partire dal 12 di dicembre del 2022, la parte residuale del territorio del Nagorno-Karabakh (anche noto come “Repubblica dell’Artsakh”) non ancora rioccupata dall’Azerbaigian a seguito della guerra del 2020 e dei successivi accordi di armistizio sponsorizzati dalla Russia, è sottoposta ad una sorta di “assedio” da parte di masse di manifestanti azeri che hanno bloccato l’unica strada di collegamento esistente tra essa e l’Armenia propriamente detta.

Ufficialmente le manifestazioni sono state descritte dalla stampa di regime azera come “ecologiste”, tuttavia è assai curioso che gli organizzatori abbiano scelto come palcoscenico per inscenare le loro proteste proprio il corridoio di Lachin e non la penisola di Absheron che, dopo oltre un secolo di Storia dell’industria petrolifera locale è stata profondamente segnata dall’inquinamento chimico.

Inutile a dirlo, hanno ragione i maligni a ritenere che dietro a questa manovra di “guerra ibrida” ci siano le autorità di Baku che, con sapiente furbizia, utilizzano i cosiddetti “manifestanti” per mantenere alta la pressione sia nei confronti degli armeni nagornini (circa 120.000 anime rimaste nei loro territori ancestrali nonostante la minaccia di annichilimento da parte delle autorità azere).

Singolare il fatto che la Turchia non abbia perso tempo a manifestare la sua totale vicinanza ai manifestanti ed allo stato azero. Scelta singolare per una “manifestazione ecologista” che non fa che accreditare ulteriormente i sospetti di quanti ritengono che il tutto non rappresenti altro che l’ennesima manfrina pilotata dal “satrapo” dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev.

Ancora una volta, l’autocrate di Baku si sta dimostrando un eccellente opportunista nell’organizzare crisi geopolitiche pilotate a suo esclusivo uso e consumo nel mentre il mondo è distratto da altre emergenze più o meno gravi e può destinare all’area caucasica solamente il “residuo” delle energie. È così in particolar modo per la Russia, de facto l’unico “protettore militare” dell’Armenia, la quale è attualmente impossibilitata ad intervenire nell’area caucasica perché costretta a concentrare tutti i suoi sforzi in Ucraina. Per non parlare dei vari paesi occidentali (Italia tristemente inclusa) che hanno tutti preferito prendere una posizione sostanzialmente filo-azera sacrificando quei “valori occidentali irrinunciabili” che tanto vengono sbandierati quando si tratta di parlare di Ucraina e poi bellamente ignorati quando fa comodo

La sfrontatezza degli azeri e dei loro fiancheggiatori turchi è poi tristemente agevolata anche dal fatto che, ancora scioccato dalla sconfitta militare del 2020, lo stato armeno fatichi ancora a formulare una nuova strategia di contenimento degna di questo nome mentre qualsiasi tentativo di riforma (a questo punto disperatamente necessaria!) delle Forze Armate Armene è stato sistematicamente silurato dallo stesso primo ministro Nikol Pashinyan che da anni sembra più impegnato a preservare pervicacemente il suo potere che non a proteggere il suo paese ed il suo popolo dalle nubi scure che si stanno stagliano sopra le vette del Caucaso e non lasciano intravvedere nulla di buono per i prossimi anni.

Foto: AZERBAIJAN STATE NEWS AGENCY

#ArtsakhBlockade. Uscita mondiale di “Invisible Republic”, documentario sulla guerra dell’Artsakh. Live ZOOM Q&A alle ore 20.00 del 24 gennaio (Korazym 23.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.01.2023 – Vik van Brantegem] – La Armenian General Benevolent Union (AGBU) e Creative Armenia annunciano una campagna di sensibilizzazione e educazione sull’Artsakh in occasione dell’uscita mondiale del documentario sulla guerra dell’Artsakh Invisible Republic. Alla luce della crisi umanitaria in corso in Artsakh – con il blocco dell’Azerbajgian del Corridoio di Lachin che crea una crisi alimentare, sanitaria e umanitaria sempre più grave per i 120.000 Armeni ora intrappolati nella Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh – i produttori di Invisible Republic hanno reso il film disponibile in forma digitale in ogni parte del mondo. Ispirato all’esplosivo diario di guerra di Lika Zakaryan, il pluripremiato documentario può ora essere visto al cinema virtuale [QUI].

Invisible Republic (2022) | Il trailer ufficiale.

Il rilascio mondiale di Invisible Republic è accompagnato da una campagna globale di sensibilizzazione e educazione guidata dall’Armenian General Benevolent Union (AGBU) e da Creative Armenia. Proiezioni fisiche per gruppi governativi, organizzazioni per i diritti umani e istituzioni educative sono ora in corso a Londra, Parigi, Madrid, Berlino, Zurigo e in altre città.

Per i telespettatori digitali si stanno organizzando eventi online. Guarda il film ora e poi unisciti alle domande e risposte live su ZOOM martedì 24 gennaio alle 23.00 ora di Artsakh (ore 20.00 di Roma) per incontrare la scrittrice Lika Zakaryan, il regista Garin Hovannisian e i produttori Serj Tankian e Alec Mouhibian. Le domande e risposte saranno in inglese e saranno tradotte simultaneamente in armeno, russo e francese. Registrati [QUI].

“Questo non è solo un film su di me”, ha detto Lika Zakaryan, che è stata separata dalla sua famiglia a causa del blocco. “È la storia e la tragedia della mia famiglia, dei miei amici e della mia gente. E purtroppo non è finita. Non vedo l’ora di condividere il film con voi e di incontrarvi per discutere la storia dell’Artsakh, cosa sta succedendo lì ora e cosa possiamo fare per prevenire un altro genocidio contro il popolo armeno”.

“Questo resoconto di prima mano delle realtà vissute durante e dopo i 44 giorni di aggressione azera dal 27 settembre al 9 novembre 2020 è una documentazione critica della vera esperienza umana. Oggi l’Artsakh è minacciato da un blocco territoriale che mette a rischio la vita dei suoi cittadini. Esortiamo gli Armeni di tutto il mondo a condividere l’account di Lika e sfruttare questo impressionante documentario per aumentare la consapevolezza di ciò che sta accadendo oggi. Non possiamo rimanere osservatori silenziosi quando i nostri compagni armeni hanno bisogno delle nostre voci”, ha esortato Ani Manoukian, membro del consiglio centrale dell’AGBU.

“Inizialmente abbiamo realizzato questo film per educare il mondo non armeno sull’Artsakh e per aumentare la consapevolezza sulla guerra dell’Artsakh di 44 giorni del 2020″, ha affermato il produttore del film Dr. Eric Esrailian, che è anche membro del Consiglio centrale dell’AGBU e Fondatore-Membro di Creative Armenia. “Ma il capitolo più oscuro della guerra potrebbe ancora venire. Abbiamo deciso di migliorare i piani di distribuzione e condividere la storia di Lika con il mondo, nella speranza che commuova i cuori e le menti per stare con la gente dell’Artsakh in questo momento di crisi”.

Guarda Invisible Republic al cinema virtuale [QUI]. Il film (disponibile in inglese, armeno, russo e francese) non è solo un drammatico resoconto sul campo della guerra di 44 giorni in Artsakh nel 2020, ma anche un resoconto completo della sua storia recente e del suo importante contesto per la crisi attuale.

I biglietti virtuali costano 10 $ e l’intero ricavato dell’uscita del film sarà devoluto a enti di beneficenza umanitari e di soccorso legati all’Artsakh, tra cui il Global Relief Fund dell’AGBU.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Armenia, la nuova missione civile del Consiglio dell’UE per la sicurezza. (Sardegnagol 23.01.23)

Il Consiglio dell’UE, dopo il recente aumento della tensione al confine tra Armenia e Azerbaigian, ha istituito, nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), una missione civile in Armenia (EUMA).

Intervento che fa seguito all’istituzione dell’EUMCAP dello scorso 17 ottobre che ha portato nell’area di confine gli osservatori dell’UE. Missione propedeutica conclusasi con un totale di 176 pattugliamenti nei due mesi di attività (ottobre-dicembre 2022).

Obiettivo della missione, come ricordato oggi dall’Alto rappresentante dell’UE, Josep Borrell, sarà sostenere la stabilità nelle zone di confine dell’Armenia e garantire un ambiente favorevole per la normalizzazione dei rapporti tra l’Armenia e l’Azerbaigian.

“L’istituzione di una missione dell’UE in Armenia avvia una nuova fase del nostro impegno nel Caucaso meridionale – ha dichiarato Borrell -. L’UE continuerà a sostenere gli sforzi di allentamento della tensione e si impegna a collaborare strettamente con entrambe le parti per raggiungere l’obiettivo finale di una pace sostenibile nella regione”.

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In risposta alla richiesta dell’Armenia, l’EUMA effettuerà “costanti pattugliamenti”, riferendo sugli sviluppi nelle zone di confine.

L’EUMA avrà un mandato iniziale di due anni e la sua sede operativa sarà in Armenia. Il comandante dell’operazione civile sarà Stefano Tomat del SEAE, mentre a breve sarà nominato un capomissione che guiderà le operazioni sul campo.

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Armenia: l’UE istituisce una missione civile per contribuire alla stabilità nelle zone di frontiera

In Armenia sarà dispiegata una missione civile dell’Ue per stabilizzare il confine con Azerbaigian e il Nagorno-Karabakh

Australian Open, da Khachanov un messaggio per il Nagorno Karabakh. Gli azeri: “Punitelo” (Repubblica 23.01.23)

La politica è entrata ancora una volta in campo agli Australian Open. Dopo aver battuto il giapponese Yoshihito Nishioka 6-0, 6-0, 7-6 nel match degli ottavi, il russo Karen Khachanov ha avvicinato la telecamera e invece di lasciare il suo autografo, come accade quasi sempre nel tennis, ha scritto: “Continua a credere fino alla fine. Artsakh, resisti!”. In precedenza, dopo aver battuto l’americano Frances Tiafoe nel turno precedente, aveva scritto sull’obiettivo “Artsakh resta forte”. Il riferimento è alla Repubblica del Nagorno-Karabakh – detta anche Artsakh -, una minuscola enclave montuosa parte dell’Azerbaigian ma a maggioranza armena. La madre di Khachanov è russa, ma suo padre Abgar è un armeno di Yerevan.

La reazione dell’Azerbaigian: “Squalificate Khachanov”

Immediata la reazione della Federtennis dell’Azerbaigian (FTA) ha protestato sia con gli organizzatori dell’Australian Open che con i funzionari della Federazione internazionale di tennis (ITF). “Scrivere auguri sinceri sull’obiettivo della fotocamera è una sorta di tradizione nel tennis, ma Khachanov ne ha abusato, usandolo per i suoi sporchi piani”, ha detto l’FTA in una nota, chiedendo una squalifica esemplare per il russo. “Speriamo che questo problema trovi presto la sua soluzione oggettiva”. La scorsa settimana le truppe azere hanno bloccato il corridoio Lachin, una sorta di corridorio che collega l’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh con l’Armenia. Baku ha negato le accuse, affermando che siano state le forze di pace russe ad aver chiuso la strada.

Le dichiarazioni del passato: “Mi fa male vedere cosa succede nel paese che amo”

Khachanov aveva già parlato in passato del suo sostegno all’Armenia sul Nagorno-Karabakh: “Nonostante il fatto che io sia nato in Russia, dico sempre di avere radici armene. Mi fa male nel profondo dell’anima guardare cosa sta succedendo nel Paese, che amo molto. Stanno morendo persone innocenti e persino bambini. Il prossimo avversario di Khachanov, argento olimpico ai Giochi di Tokyo, sarà l’americano e figlio d’arte Sebastian Korda. Il 26enne numero 20 della classifica Atp gareggia sotto bandiera neutrale a causa, come i suoi connazionali e i giocatori bielorussi, dell’attacco russo in Ucraina. I funzionari dell’Australian Open hanno vietato i simboli dei due paesi dopo che le bandiere russe erano state esposte sugli spalti durante le partite del primo turno di Daniil Medvedev e Kamilla Rakhimova, che giocava contro l’ucraina Kateryna Baindl. Il numero sei del mondo russo Andrey Rublev si è poi lamentato con l’arbitro durante la sua vittoria al secondo turno contro il finlandese Emil Ruusuvuori a causa di presunti abusi verbali da parte di spettatori che sventolavano una bandiera dell’Ucraina.

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Khachanov vola agli Australian Open ma c’è chiede la sua squalifica: “Servono misure drastiche”

 

Khachanov, vittorie con dedica agli armeni del Nagorno Karaback. Il governo azero: “Venga punito” (La Stampa)