Ennesima provocazione dell’Azerbajian lunedì 12 dicembre nel corridoio di Lachin, tratto finale dell’unica strada che collega l’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh all’Armenia. Un gruppo di attivisti azeri – sfidando la forza di interposizione russa che da due anni protegge i confini della piccola enclave armena – ha inscenato nei pressi di Shoushi una manifestazione ambientalista bloccando il traffico e isolando nuovamente il Paese per molte ore.
«Una provocazione organizzata dagli organi statali dell’Azerbajian con l’obiettivo di isolare l’Artsakh dal mondo, i residenti sono stati privati del diritto alla libera circolazione: la minaccia di una crisi alimentare e umanitaria è più che mai concreta e imminente» accusa un portavoce del Ministero degli Esteri armeno.
Foto di Roberto Travan
Dopo la Guerra dei 44 giorni – la violenta offensiva con cui nel 2020 l’Azerbajian, supportato militarmente dalla Turchia, rioccupò in poco più di un mese larga parte dell’Artsakh causando oltre 7000 morti e più di 100.000 sfollati – le ostilità e le provocazioni azere continuano in questo lembo del Caucaso meridionale nonostante l’accordo di cessate il fuoco firmato il 9 novembre 2020 da Armenia, Russia e Azerbajian.
Foto di Roberto Travan
«Purtroppo è l’ennesima dimostrazione della politica genocida di Baku, un atto distruttivo e criminale per terrorizzare il nostro popolo pacifico creando instabilità nell’intera regione e ostacolando la missione di pace affidata a Mosca in base agli accordi trilaterali» ha dichiarato invece il Ministero degli Esteri dell’Artsakh. Che nel condannare gli ultimi fatti si è appellato alla comunità internazionale «affinché prenda provvedimenti concreti per porre fine alle ambizioni dell’Azerbajian nei confronti dei territori sovrani dell’Artsakh garantendo i diritti fondamentali dei suoi abitanti».
Foto di Roberto Travan
L’Armenia, condividendo le preoccupazioni per la drammatica situazione, si è rivolta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e al copresidente del Gruppo di Minsk dell’OSCE «per evitare un disastro umanitario su larga scala».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-13 17:47:482022-12-13 17:47:48Caucaso, l’Azerbajian cerca di isolare la Repubblica dell’Artsakh. Appello all’Onu: “Rischio disastro umanitario su larga scala” (La Stampa 13.12.22)
Negli ultimi mesi il Lemkin Institute, che monitora la situazione dei diritti umani nel mondo con lo scopo di prevenire i genocidi, ha diffuso diversi “alert” sul conflitto in corso tra Azerbaigian e Armenia. Riprendiamo l’ultimo comunicato, pubblicato sul sito dell’organizzazione nella prima settimana di dicembre 2022.
La mattina del 3 dicembre un gruppo di azeri in abiti civili ha bloccato la rotta Stepanakert-Goris, l’unica strada che collega gli armeni dell’Artsakh con la Repubblica di Armenia. Per più di due ore, circa 120.000 armeni dell’Artsakh sono stati isolati dall’Armenia e circondati dagli azeri. Dopo diverse ore di trattative con il regime azero, la rotta è stata finalmente riaperta e le comunicazioni sono state ristabilite. Alla luce di questo nuovo sviluppo, il Lemkin Institute for Genocide Prevention sta emettendo un altro allarme da bandiera rossa per l’Azerbaigian.
Il Lemkin Institute ricorda alla comunità internazionale che questo recente assedio dell’Artsakh non è un evento isolato ma uno di una serie di azioni criminali portate avanti dal regime autocratico di Ilham Aliyev in Azerbaigian, che continuano senza una seria opposizione da parte della comunità internazionale. La totale impunità di cui gode Aliyev unita all’intento genocida del suo regime e di molti azeri garantirà quasi il ripetersi e l’escalation di questo tipo di violenza.
Molti regimi organizzano “prove di genocidio” in fasi incrementali, misurando la risposta internazionale mentre procedono. Il Lemkin Institute for Genocide Prevention ritiene che Aliyev stia facendo proprio questo: preparare il terreno per il genocidio confermando l’apatia internazionale sulla questione dell’Artsakh e lentamente abituare gli attori internazionali alla prospettiva di un’aggressiva invasione azera dell’Artsakh, che è armeno al 99,7% e parte integrale del patrimonio culturale dell’Armenia. Oltre ad alcuni voti coraggiosi nei parlamenti spagnolo e francese, nonché le dichiarazioni di sostegno alla Repubblica d’Armenia da parte dei legislatori americani, Aliyev non ha subito ripercussioni pubbliche per le guerre aggressive e le atrocità compiute dai suoi militari o per la retorica odiosa del suo regime.
Inoltre, il totale isolamento della popolazione armena dell’Artsakh è una chiara violazione dell’accordo tripartito del 9 novembre 2020, che ha posto fine alla Guerra dei 44 giorni. L’azione di oggi è una delle numerose violazioni dell’accordo che il regime azero ha commesso fino ad oggi, compresa la guerra di aggressione del 13 settembre contro la Repubblica d’Armenia che ha ucciso oltre 200 armeni, tra cui civili, e ha portato all’occupazione di parte del territorio sovrano della Repubblica di Armenia. Inoltre, isolare gli armeni dell’Artsakh è una violazione del diritto internazionale umanitario, del diritto internazionale dei diritti umani e, verosimilmente, del diritto penale internazionale. L’intento genocida di Baku non è mai stato così chiaro e le azioni compiute fino ad ora preannunciano fortemente questo esito.
Poiché la comunità internazionale continua a scegliere di ignorare le rivendicazioni degli armeni per la sopravvivenza e l’autodeterminazione dell’Artsakh, e poiché i media in generale non riescono a ritrarre un’immagine adeguata del conflitto (ammesso che lo coprano del tutto), Aliyev è convinto della sua invincibilità. La combinazione di questi fattori, insieme alla geopolitica della regione e all’impegno della comunità europea negli affari legati al gas con il regime autocratico dell’Azerbaigian dall’inizio della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, crea l’ambiente perfetto per il regime di Baku per perseguire i suoi obiettivi di genocidio e le sue ambizioni territoriali.
Il Lemkin Institute ha emesso diversi avvisi e dichiarazioni riguardanti le minacce di genocidio nei confronti di – e le azioni criminali azere contro – gli armeni sia nell’Artsakh che nell’Armenia. Ribadiamo che crediamo fermamente che la comunità internazionale possa prevenire il genocidio esercitando una pressione diplomatica coordinata sia sul regime di Aliyev in Azerbaigian che sul suo alleato, il regime di Erdogan in Turchia. Il mondo occidentale deve chiarire che non sostiene il genocidio, affinché non finisca per diventare spettatore dell’ennesima catastrofe per il popolo armeno. Le nazioni occidentali rischiano di facilitare il genocidio e non dovrebbero ritenersi al di fuori della portata del diritto penale internazionale.
Truppe azere e veicoli blindati sono stati visti nel corridoio di Lachin.
L’esercito azero sta ora ufficialmente bloccando l’autostrada che porta al Karabakh. Al momento, la situazione continua ad aggravarsi, poiché il corridoio di Lachin è ora bloccato da veicoli blindati. Ciò indica il fatto che Baku è pronta a qualsiasi escalation, sebbene per due giorni l’Azerbaigian non abbia fornito alcuna spiegazione su cosa fosse esattamente collegato al blocco del Karabakh.
Gli “eco-attivisti” e i servizi speciali azeri che prima si trovavano nel corridoio di Lachin hanno ora lasciato la regione e il loro posto è stato completamente preso dall’esercito azero, che ha schierato mezzi corazzati nelle vicinanze nel caso in cui la situazione nella regione si risolva controllo. Allo stesso tempo, vengono commesse ogni sorta di provocazioni contro le forze di pace russe, sebbene finora non si sia raggiunto il punto di un conflitto aperto.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-13 13:44:052022-12-14 13:52:40L'esercito azero iniziò a portare il suo equipaggiamento militare nel corridoio di Lachin (Avia.pro 13.12.22)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.12.2022 – Vik van Brantegem] – Questa mattina, per la seconda volta questo mese, i provocatori azeri hanno bloccato l’autostrada che collega la Repubblica di Artsakh/Nagorno Karabakh con l’Armenia. Tensione alta con le forze di pace russe. Il dittatore azero Ilham Aliyev sta alzando il livello dello scontro per portare a termine la pulizia etnica della regione.
++++ AGGIORNAMENTO ORE 22.30 ++++
1. A fine giornata, gli Azeri che hanno isolato l’Artsakh stanno ancora bloccando la strada. Il contingente di pace russo sta rafforzando le posizioni.
Le questioni relative alla situazione creatasi a seguito delle ripetute provocazioni dell’Azerbajgian contro la Repubblica di Artsakh, le misure già intraprese per la sua regolamentazione e il piano d’azione sono state discusse durante un’ampia consultazione di lavoro convocata dal Presidente Arayik Harutyunyan. Harutyunyan ha sottolineato la necessità di avvalersi di tutte le opportunità interne ed esterne per resistere all’effettivo blocco della Repubblica di Artsakh e ottenere la sua eliminazione. Tutti i partecipanti hanno sottolineato all’unanimità l’impegno delle autorità dell’Artsakh a proteggere i diritti e gli interessi vitali della popolazione dell’Artsakh. È stata presa la decisione di convocare al mattino il Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea nazionale dell’Artsakh.
Utilizzando le pagine Facebook dei cittadini della Repubblica di Artsakh, i servizi speciali dell’Azerbajgian hanno diffuso notizie false sull’evacuazione dei residenti dell’Artsakh, che mira a diffondere il panico tra la popolazione, afferma il Servizio di sicurezza nazionale della Repubblica di Artsakh, che esorta i cittadini a non cedere alle fake news e a mantenere la calma. Il Servizio di sicurezza nazionale della Repubblica di Armenia monitora la situazione nel proprio territorio.
2. La European Union Monitoring Capacity (EUMCAP) in Armenia completerà le sue attività entro il 19 dicembre 2022, ha affermato l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, durante una conferenza stampa a Brussel. La questione è stata riesaminata durante il Consiglio Affari esteri di oggi,12 dicembre 2022 a Brussel. “Abbiamo concordato di ritirare la missione e schierare una squadra per esplorare il possibile impegno futuro dell’Unione Europea”, ha affermato Borrell. La EUMCAP è diventata operativa il 20 ottobre 2022 in seguito alla decisione dell’Unione Europea in risposta all’accordo raggiunto all’incontro quadrilaterale tra il Presidente dell’Azerbajgian Aliyev, il Primo Ministro dell’Armenia Pashinyan, il Presidente francese Macron e il Presidente del Consiglio Europeo Michel. Su proposta dell’Alto rappresentante Josep Borrell, la decisione sull’istituzione della struttura di monitoraggio dell’Unione Europea è stata adottata dal Consiglio Affari esteri del 17 ottobre. Il mandato della missione era monitorare la situazione nelle regioni di confine tra Armenia e Azerbajgian, dopo l’invasione delle forze armate azeri il 13-14 settembre scorso.
Il Primo Ministro della Repubblica di Armenia, Nikol Pashinyan, ha avuto una conversazione telefonica con il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. Gli interlocutori hanno discusso questioni relative alla risoluzione della situazione nel Corridoio di Berdzor (Lachin). Pashinyan ha sottolineato l’importanza di garantire una comunicazione ininterrotta tra l’Armenia e l’Artsakh/Nagorno-Karabakh e l’attuazione di misure coerenti da parte della missione di mantenimento della pace russa in quella direzione. Si è fatto riferimento al processo di sblocco delle infrastrutture regionali, nonché all’attuazione degli accordi tripartiti del 9 novembre 2020, 11 gennaio 2021, 26 novembre e 31 ottobre 2022.
afondaia e la minaccia dell’uso della forza l’Azerbajgian cerca di costringere l’Armenia a fare concessioni.
A questo proposito, vorrei sottolineare che mirando a contribuire alla sicurezza della nostra regione, l’Unione Europea e i suoi Stati membri dovrebbero tracciare alcune linee rosse. L’astenersi dall’uso della forza deve essere una linea rossa assoluta, e le dichiarazioni a questo proposito da entrambe le parti, infatti, incoraggiano solo l’aggressore a continuare le sue attività.
Apprezziamo molto quei partner che non esitano a indicare l’aggressore e ad esprimere la necessità di perseguire debitamente i crimini di guerra e consegnare alla giustizia i loro autori. Altrettanto importante è la continua richiesta di ritiro completo delle forze armate azere dal territorio sovrano dell’Armenia. La loro continua presenza nel territorio armeno riconosciuto a livello internazionale rappresenta una seria sfida per la già fragile pace e stabilità nella nostra regione.
Desidero ringraziare ed elogiare l’Unione Europea per il suo dispiegamento rapido ed efficiente della European Union Monitoring Capacity (EUMCAP) in Armenia [operativa dal 20 ottobre 2022 per contribuire alla stabilizzazione e agli sforzi relativi alla sicurezza nella regione]. Il suo contributo alla stabilizzazione della situazione nella regione è innegabile. L’Armenia apprezza molto il lavoro dell’EUMCAP e ritiene che, poiché la situazione continua a rimanere molto fragile e il rischio di una nuova aggressione da parte dell’Azerbajgian è molto elevato, la missione dovrebbe continuare a svolgere il suo ruolo molto importante sul campo”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-12 13:39:282022-12-14 13:41:24L’Azerbajgian alza il livello dello scontro per portare a termine la pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh armeno (Korazym 12.12.22)
Un accordo largamente osannato tra Baku e Bruxelles aveva lo scopo di liberare l’Europa dal gas russo. Ma se ora è l’Azerbaijan a importare gas russo per rispettare gli impegni presi nei confronti dell’Ue?
(Originariamente pubblicato da Eurasianet il 22 novembre 2022)
L’Azerbaijan ha iniziato a importare gas dalla Russia in base ad un accordo che dovrebbe consentire di soddisfare la propria domanda interna, ma che solleva seri interrogativi sul recente accordo sottoscritto da Baku per incrementare le esportazioni verso l’Europa.
Gazprom, l’azienda statale che produce ed esporta il gas russo, ha annunciato il 18 novembre scorso di aver iniziato a fornire gas alla società statale del gas dell’Azerbaijan SOCAR il 15 novembre, per un totale fino ad un miliardo di metri cubi da qui a marzo 2023.
Né il ministero dell’Energia dell’Azerbaijan né la SOCAR – interrogati a proposito da Eurasianet – hanno confermato l’accordo i cui dettagli rimangono poco chiari.
In una dichiarazione all’agenzia di stampa azera APA, SOCAR ha affermato di collaborare da tempo con Gazprom e che le due società “stanno cercando di ottimizzare la loro infrastruttura organizzando lo scambio reciproco di flussi di gas”.
L’accordo è stato firmato poco prima del periodo di picco della domanda di metà inverno: l’Azerbaijan cercherà di mantenere le forniture ai suoi clienti nazionali di gas rispettando anche i propri impegni di esportazione verso Georgia e Turchia, nonché il commercio recentemente ampliato con l’Europa.
Le esportazioni verso l’Ue attraverso il Corridoio meridionale del gas (Southern Gas Corridor) erano state programmate per raggiungere i 10 miliardi di metri cubi quest’anno, ma in base ad un nuovo memorandum d’intesa con l’Unione europea firmato a luglio, Baku ha accettato di aumentare le esportazioni a 12 miliardi di metri cubi.
Tale aumento aveva lo scopo di aiutare Bruxelles a compensare la perdita di forniture di gas russo, tagliate da Mosca come rappresaglia per le sanzioni imposte in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.
Sebbene l’accordo sia stato molto pubblicizzato sia a Bruxelles che a Baku, non è mai stato chiarito da dove sarebbe arrivato esattamente il gas extra.
I problemi con gli impegni presi sono emersi già a settembre, quando il ministro dell’Energia dell’Azerbaijan Parviz Shahbazov ha annunciato che quest’anno il paese avrebbe esportato in Europa solo 11,5 miliardi di metri cubi, senza dare alcun indizio sul perché l’obiettivo di esportazione si fosse ridotto.
Una fonte vicina al consorzio proprietario del gigantesco giacimento di gas di Shah Deniz in Azerbaijan, che attualmente fornisce tutto il gas esportato dal paese, ha confermato a Eurasianet che non sono stati conclusi nuovi contratti di esportazione e che il giacimento è attualmente impegnato solo per la fornitura dei 10 miliardi di metri cubi preventivamente concordati.
Ora, la notizia che l’Azerbaijan importerà gas dalla Russia quest’inverno suggerisce che Baku intende utilizzare il gas russo per rifornire il proprio mercato interno al fine di liberare gas per adempiere all’impegno con Bruxelles.
Le sanzioni imposte dall’Unione europea alla Russia non si applicano all’Azerbaijan, che resta libero di importare quanto gas russo vuole.
Tuttavia, il nuovo accordo contravviene all’intenzione politica dell’accordo di luglio, specificamente concepito per aumentare le esportazioni di gas dell’Azerbaijan verso l’Europa in modo da aiutare l’UE a ridurre la dipendenza dal gas russo.
Implicazioni a lungo termine
Il fatto che sia Mosca ad agevolare parte di queste importazioni dell’Azerbaijan suggerisce che gli sforzi di diversificazione di Bruxelles potrebbero essere vani, e non solo a breve termine.
In base all’accordo firmato a luglio, Baku ha anche accettato di raddoppiare le esportazioni attraverso il Corridoio meridionale del gas fino a raggiungere i 20 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2027, il massimo che la rete di gasdotti esistente può trasportare.
Tale aumento sarà costoso e richiederà tempo per essere realizzato, richiedendo sia l’aggiunta di nuovi compressori ai gasdotti esistenti sia enormi investimenti nei giacimenti di gas dell’Azerbaijan per produrre il gas necessario.
Al momento non è stato deciso alcun investimento per espandere i tre gasdotti che compongono il Corridoio meridionale del gas che trasporta il gas verso l’Europa, mentre rimangono dubbi sulla provenienza degli ulteriori 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
BP ha confermato all’inizio di quest’anno che il gigantesco giacimento di gas di Shah Deniz che gestisce non è in grado di fornire tutti gli ulteriori 10 miliardi di metri cubi richiesti.
L’Azerbaijan ha alcuni altri piccoli giacimenti di gas, ma la loro produzione non dovrebbe essere sufficiente nemmeno per soddisfare l’impegno di Baku verso Bruxelles, e ciò rafforza l’idea che il gas dovrebbe provenire da altri paesi della regione.
Ciò ha ravvivato le antiche speranze che l’Azerbaijan possa far transitare sul suo territorio il gas del suo dirimpettaio sul Caspio, il Turkmenistan, che vanta le seste maggiori riserve di gas del pianeta.
Le relazioni tra Baku e Ashgabat sono notevolmente migliorate negli ultimi anni, culminando in un rivoluzionario accordo di scambio di gas a tre vie con l’Iran nel dicembre 2021, in base al quale il Turkmenistan si è impegnato a fornire tra 1,5 e 2 miliardi di metri cubi di gas l’anno all’Iran nord-orientale e l’Iran nord-occidentale fornirebbe una quantità analoga di gas all’Azerbaijan.
Ampiamente osannato come un raro e notevole esempio di cooperazione regionale, quell’accordo era stato visto come una possibile fonte a breve termine di gas extra per l’Europa.
Tuttavia, lo stato attuale dell’accordo non è chiaro. L’inaspettata necessità dell’Azerbaijan di importare gas russo fa sorgere il sospetto che tale accordo possa essere caduto vittima del deterioramento delle relazioni tra Baku e Teheran.
Esistono altre opzioni per fornire gas turkmeno all’Europa: i funzionari turchi hanno confermato a luglio che Ankara ne stava esaminando tre per il transito del gas turkmeno consegnato dall’Azerbaijan attraverso il Corridoio meridionale del gas verso l’Europa.
Si ritiene che una di queste opzioni sia un progetto sostenuto dagli Stati Uniti per convogliare il gas da alcuni giacimenti petroliferi del Turkmenistan da dove potrebbe essere esportato.
Tuttavia, senza notizie di progressi su nessuna delle possibili opzioni, si fa strada la possibilità che, come per il suo impegno di consegnare 12 miliardi di metri cubi di gas all’Europa quest’anno, l’Azerbaijan possa non essere in grado di mantenere nemmeno la promessa di raddoppiare le esportazioni a 20 miliardi di metri cubi entro il 2027.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-12 13:33:442022-12-14 13:37:37Gas russo tramite l'Azerbaijan: interrogativi scomodi per l'Europa (Ossrvatorio Balcani e Caucaso 12.12.22)
Ci vollero cinquant’anni perché venisse riconosciuto ufficialmente il genocidio degli armeni, un milione e mezzo di morti ammazzati dall’esercito turco. Uno dei più grandi stermini della storia, secondo solo all’Olocausto degli ebrei e all’eccidio degli hazara in Afghanistan da parte di pashtun e talebani. La documentazione sulla caccia all’uomo nella parte Est dell’Anatolia è oramai copiosa anche se non mancano le difficoltà, visto che ufficialmente Ankara ancora oggi non riconosce l’eccidio e al massimo concede di parlare di un “cosiddetto genocidio”. Ma questo Quattro anni sotto la Mezzaluna, scritto in prima persona da Rafael de Nogales e pubblicato da Guerini e Associati, ha il valore della documentazione in presa diretta, sul campo, dal vivo diremmo oggi. «Non è certo la stessa cosa leggere di ingiustizie, crudeltà e massacri sui giornali, e assistervi di persona mentre accadono da ambo le parti senza poter fare nulla per evitarli, come spesso è capitato a me». Figura controversa, tra il romantico avventuriero e il mercenario, il venezuelano Rafael de Nogales che ha vissuto quasi sempre all’estero per fuggire al regime del dittatore Juan Vicente Gómez, è uno dei pochi preziosi testimoni del genocidio degli Armeni. Nelle pagine del suo libro che è diario militare di ufficiale dell’esercito Ottomano, rivive lo scenario che in quegli anni ridisegnerà l’intero Medio Oriente, dall’assedio della città di Van in Anatolia, affacciata su un meraviglioso lago, di cui riportiamo un brano nell’estratto, al tifo che flagella Gerusalemme, fino alle battaglie di Gaza. Un racconto in prima persona in cui Rafael de Nogales, cristiano e affatto sostenitore degli Armeni, ci riporta con la vivida crudezza della narrazione militare uno dei genocidi più infami della storia. FabioPoletti
Rafael de Nogales Quattro anni sotto la Mezzaluna traduzione e cura di Fabrizio Pesoli 2022 Guerini e Associati pagine 352 euro 28
Per gentile concessione dell’editore Guerini e Associati pubblichiamo un estratto dal libro Quattro anni sotto la Mezzaluna.
L’assedio rimase praticamente in stallo nelle giornate del 2 e 3 di maggio. Ciononostante il combattimento proseguì in modo aspro, così che all’imbrunire un centinaio o due di facce livide rimasero a contemplare con lo sguardo fisso il cielo stellato. Il 2 maggio, se non mi sbaglio, uno dei nostri ufficiali partì alla testa di una colonna per affrontare alcune bande di ribelli. Costoro, vedendolo avvicinarsi, fuggirono dal villaggio in cui erano asserragliati per andare a ingrossare le fila degli armeni nella gola di Varak. La mattina presto del 4 maggio il battaglione di gendarmi «Erzurum» comandato dal capitano Kâzım Efendi arrivò finalmente da Hasankale. Per fortuna giunsero con esso anche alcune riserve di granate, di cui avevamo urgente bisogno. Uno di quei giorni, non ricordo esattamente quando, il governatore ricevette una lettera dal dottor Ussher che lo rimproverava per aver scagliato numerose granate contro gli edifici della Missione a Van, nonostante fosse chiaramente evidenziata dalle bandiere americane. Il contenuto della lettera, che Cevdet Bey tradusse in francese per mia comodità, era espresso in toni alquanto severi e suscitò la sua ira al punto che, senza ascoltare i miei consigli, egli rispose minacciando di bombardare la Missione «sul serio» se i missionari nordamericani avessero continuato, come diceva, a sobillare gli armeni contro il governo e a presiedere raduni di rivoluzionari. Nel frattempo gli armeni si erano concentrati attorno al monastero Yedi Kilise in quantità tale da costituire una reale minaccia per noi, in caso di una ritirata in quella direzione. Di conseguenza il battaglione «Erzurum» ricevette ordine di sloggiarli dal loro rifugio. Gli armeni comunque non attesero che le nostre truppe compissero la propria missione ma se la diedero a gambe, abbandonando il palazzo storico e la sua impareggiabile biblioteca millenaria nelle mani dei turchi. I quali, come era lecito attendersi, la incendiarono subito! A quel punto non era rimasto neanche un curdo tra le nostre file. Al culmine della sfortuna, giunse notizia che il tenente colonnello Halil Bey era stato sconfitto a Dilman (in Persia) e che la nostra armata di spedizione stava lottando per ritirarsi a ovest verso la frontiera turca. I combattimenti in corso con alterne fortune sui diversi settori dell’assedio si fecero più vivaci al crescere del pericolo costituito dai russi. E Cevdet Bey, che aveva ormai quasi perso la speranza di prendere Van con la forza, cercava di ottenerne la resa per inedia. Con quel fine in vista, ordinò che qualsiasi donna o bambino armeno ancora disperso nei villaggi circostanti fosse ricondotto da una scorta di gendarmi alle trincee degli assediati, nell’opinione che questi ultimi li avrebbero fatti entrare nella città. Ma Cevdet si sbagliava. Mi trovavo per caso su una delle terrazze del castello e osservavo il passaggio di quella strana processione, e non potei credere ai miei occhi quando vidi che, invece di accogliere quegli sventurati, gli armeni sparavano contro di loro, ferendone alcuni e ammazzandone altri. Nel frattempo i sopravvissuti, avendo compreso cosa significavano quei colpi, si voltarono e strillando forsennatamente fuggirono in cerca di rifugio tra le nostre truppe, lasciandosi alle spalle un terreno disseminato di cadaveri. Come cristiano provai tale rabbia e disprezzo per il comportamento di questi Igoroti, pronti a sparare a mogli e figli per evitare di dividere il pane con loro, che ordinai subito ai miei uomini di aprire il fuoco per sezioni e non mi fermai finché non fu raso al suolo l’intero isolato dal quale quelle belve avevano colpito il loro stesso sangue. Questo episodio mi ricorda un altro incidente occorso durante l’assedio di Van. Dalla sommità di un edificio osservavo il cannoneggiamento con alcuni miei ufficiali, mentre un’anziana donna musulmana stava stendendo i panni su un cavo sospeso a un tetto vicino. Appena gli armeni la videro, aprirono un fuoco accanito contro quell’anziana creatura vacillante, intrigandosi tanto col nuovo bersaglio che smisero perfino di sparare a noi, fino a che la donna cadde crivellata di colpi. La ragione era chiara. A giudicare dalla severità del fuoco, li interessava assai più colpire una vecchia che uccidere la mezza dozzina di ufficiali a una distanza addirittura minore. Questo incidente, come pure molti altri simili che potrei citare, non mancò di influenzare la mia opinione sugli armeni sino ad avvelenarla in qualche modo. Ad ogni buon conto, pur detestando cordialmente alcune loro caratteristiche, provo ammirazione per molte altre. Non è certo la stessa cosa leggere di ingiustizie, crudeltà e massacri sui giornali, e assistervi di persona mentre accadono da ambo le parti senza poter fare nulla per evitarli, come spesso è capitato a me. Il 12 maggio eravamo già in possesso dei due terzi della città di Van. La parte restante, ancora sotto il controllo del nemico, era ormai un ammasso di abitazioni ed edifici in frantumi e crivellati da migliaia di granate che continuavano a bersagliarli giorno e notte. Gli armeni non si sbagliavano infatti nell’affermare che avevo lanciato sedicimila tra bombe e granate nelle prime due settimane di assedio. Per riuscire a controllare anche quell’ultima zona della città dovevamo prima conquistare il teerk noto come la lokanta, chiave d’accesso, per così dire, alle linee nemiche di difesa nel settore sud. Aiutati dal battaglione «Erzurum», che era riuscito a espugnare gli edifici limitrofi, concentrai praticamente tutto il fuoco della nostra artiglieria su quella fortezza e la spianai, piano per piano, fino a ridurla un mero cumulo di macerie. Eppure gli armeni seguitavano a combattere spiegati sul campo, sparandoci a breve distanza tra le crepe di quei muri cadenti. Nonostante tutti gli sforzi dei nostri uomini per incendiare quel mucchio di rovine che eruttava fuoco e piombo senza posa, fummo impediti dall’eroismo degli armeni i quali, notata ogni nuova fiamma, vi si lanciavano sopra con secchi d’acqua per spegnerla a costo della propria vita. Esasperato per i troppi inutili sforzi, alla fine mi lanciai personalmente all’attacco per incendiare le rovine, proprio mentre una granata a mano cadeva nella trincea che avevo appena lasciato, ferendo e uccidendo quasi tutti coloro che non avevano avuto il coraggio di seguirmi nell’assalto. In quel momento il governatore apparve sulla scena per informarmi che i nostri volontari nella gola di Kotur Dağ erano sul punto di arrendersi davanti agli attacchi sempre più impetuosi dei russi, che avanzavano con l’apparente intenzione di chiudere la ritirata della nostra armata di spedizione sconfitta a Dilman.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-10 17:55:322022-12-14 13:53:19I libri di NRW: Quattro anni sotto la Mezzaluna (Nuoveradiciworl 10.12.22)
Nel settembre 2020, per l’ennesima volta, la regione del Nagorno Karabakh faceva esplodere la violenza tra Armenia e Azerbaigian. Le ostilità sono durate sei settimane con la vittoria dell’Azerbaigian. Il 9 novembre 2020 è stato firmato un accordo di cessate il fuoco che ha visto l’Armenia cedere all’Azerbaigian i territori circostanti la regione contesa, oggetto di conflitto tra i due Stati nazionali dal 1988.
Il conflitto, tuttavia, continua a devastare la vita di coloro che considerano il Nagorno Karabakh la loro casa, sfociando sporadicamente ma costantemente, nella violenza con oltre 300 vittime solo nello scorso settembre. A giugno 2021 «The Art Newspaper», l’edizione internazionale di «Il Giornale dell’Arte», pubblicava per la prima volta una serie di immagini di spionaggio scattate negli anni Settanta dagli Stati Uniti, in piena Guerra Fredda. Un rapporto investigativo di Simon Maghakyan, direttore esecutivo di Save Armenian Monuments, un’associazione con sede a New York, ha esaminato le immagini fornite da Caucasus Heritage Watch (Chw), un progetto indipendente di monitoraggio e ricerca delle universtà statunitensi Cornell e Purdue.
L’indagine di Maghakyan si è concentrata sui monumenti distrutti della città di Agulis, nella vicina regione di Nakhichevan, che, pur essendo ufficialmente autonoma, è sotto il controllo dell’Azerbaigian. L’analisi ha rivelato che i siti del patrimonio culturale armeno presenti da secoli ad Agulis sono stati «completamente cancellati». Maghakyan ha anche espresso timore per l’ulteriore distruzione del patrimonio armeno nella regione e in tutto l’Azerbaigian: «Dire che questi siti del patrimonio sacro sono a rischio, ha scritto, potrebbe essere un colossale eufemismo».
La cancellazione culturale di cui parla Maghakyan continua senza sosta. A settembre Chw ha pubblicato l’ultimo di una serie di rapporti che mettono a confronto le immagini satellitari contemporanee della regione con quelle degli anni Settanta e Ottanta. Il campo dell’indagine condotta da Maghakyan ad Agulis si è ora esteso anche all’intero Nakhichevan.
Prendendo come base il lavoro pionieristico di Maghakyan, il rapporto descrive nel dettaglio la distruzione, sponsorizzata dallo Stato azero, di quasi tutto il 98% dei siti del patrimonio armeno nel Nakhichevan. Gli autori del rapporto temono che i siti del patrimonio armeno nel Nagorno Karabakh, un’area altrettanto contesa di circa 4mila kmq, stiano attualmente affrontando lo stesso destino di quelli del Nakhichevan.
Adam T. Smith, archeologo e professore di Antropologia presso la Cornell University e cofondatore di CHW, ha iniziato a lavorare nel Caucaso nel 1992. «CHW documenta come i siti del patrimonio culturale siano stati presi sempre più di mira nell’ambito di questo conflitto, afferma. Come archeologi parliamo per i monumenti che non possono parlare da soli».
I rapporti di CHW combinano i risultati delle immagini satellitari, che sono state analizzate con l’aiuto di tecnologie come i sistemi informativi geografici (GIS) e l’analisi dei dati spaziali. «Non siamo i primi archeologi a usare le immagini satellitari per documentare questo tipo di distruzione», afferma Lori Khatchadourian, docente di Studi del Vicino Oriente alla Cornell e cofondatrice di CHW. «Tecnologie come le immagini satellitari e i GIS permettono di osservare il patrimonio culturale in zone di conflitto inaccessibili o dove forze potenti cercano di mettere a tacere la verità».
Strategie di distruzione
Il rapporto di CHW sul Nakhichevan rivela la completa distruzione di 108 monasteri, chiese e cimiteri armeni medievali e della prima età moderna tra il 1997 e il 2011. Il rapporto rileva che a Nakhichevan sono rimasti solo due siti armeni, i cui dettagli gli autori lasciano specificamente oscuri per proteggerli dai danni. Tra i siti distrutti, Smith e Khatchadourian ne segnalano diversi che sono indicativi di strategie di distruzione mirate.
La Chiesa di Mijin Ankuzik a Nakhichevan, ad esempio, era in rovina da decenni prima di essere rasa al suolo a un certo punto prima del 2009 (quando le immagini satellitari mostrano la sua distruzione). «L’intero villaggio è un paesaggio post-apocalittico e in rovina, racconta Khatchadourian. Eppure il resto del villaggio è rimasto intatto; la chiesa è l’unica struttura che è stata rasa al suolo».
Il rapporto descrive come lo Stato azero abbia preso di mira in particolare i cimiteri armeni, un apparente tentativo di cancellare l’esistenza delle famiglie armene che hanno vissuto, sono morte e sono state sepolte nella regione. «Anche i fantasmi del passato sono stati sradicati», afferma Smith. Uno dei cimiteri, il Nuovo Cimitero Armeno di Nakhichevan, è stato raso al suolo qualche tempo prima del 2005. «Le immagini satellitari mostrano che un enorme monumento alla bandiera azera è stato costruito esattamente sulle tracce del luogo in cui si trovava il cimitero», afferma Khatchadourian. «Questa riappropriazione non è stata casuale. È una violenza attiva e simbolica».
L’Azerbaigian è in gran parte un Paese musulmano e il terreno su cui sorgevano altri siti del patrimonio armeno ora ospita moschee ed edifici civici statali. Una nuova moschea sorge su quello che un tempo era il sito del Monastero di San Tovma di Agulis, descritto dal CHW come «uno dei più importanti centri religiosi dell’Armenia medievale».
«Questi monumenti medievali hanno un significato sia nella storia archeologica globale che in quella locale, ma tra il 1997 e il 2011 ogni monumento armeno è stato cancellato dalla documentazione archeologica», afferma Smith. «La distruzione dei monumenti armeni a Nakhichevan costituisce una cancellazione culturale». E aggiunge: «Questa politica silenziosa dello Stato è diversa da qualsiasi altra mai vista prima. Può cancellare intere comunità e stiamo perdendo interi paesaggi culturali. Si tratta di una tragedia per comunità che hanno vissuto fianco a fianco per secoli, ma che sono state separate nel giro di trent’anni».
Smith e Khatchadourian sottolineano che gli armeni hanno danneggiato siti culturali azeri e islamici anche nei territori contesi: questo sarà l’argomento del prossimo rapporto di CHW. Secondo Khatchadourian si tratta più di un «fallimento di gestione» che di un programma di cancellazione culturale e storica sponsorizzato dal governo.
Per quanto riguarda il Nagorno Karabakh, CHW sta monitorando oltre 200 monasteri, chiese, cimiteri e siti culturali armeni. Il governo azero nega la distruzione sistematica dei siti del patrimonio armeno. «Stiamo inserendo fatti e dati empirici reali in un conflitto che è pieno di propaganda», dice Smith. Non possiamo certo risolvere il conflitto, ma possiamo almeno fornire un’analisi di ciò che sta accadendo».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-09 17:55:232022-12-13 17:53:59Nel Caucaso continua la distruzione del patrimonio armeno-cristiano da parte dell’Azerbaigian (Il Giornale dell'Arte 09.12.22)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 09.12.2022 – Vik van Brantegem] – «Tramite le forze di pace russe, loro [gli Azeri] mi hanno chiesto di abbassare la bandiera di Artsakh e hanno minacciato di usare un mortaio. Ho detto NO! Altrimenti, perché viviamo qui?», ha dichiarato il capo del villaggio di Khramort, Zorik Abrahamyan.
Khramort è una piccola comunità rurale che contava poco più di 400 abitanti, nella regione di Askeran della Repubblica di Artsakh/Nagorno Karabakh. Sorge in area pianeggiante prossima alla strada che collega Askeran ad Aghdam, distante otto chilometri. Oggi, questa strada è interrotta, perché – come parte dell’accordo di cessate il fuoco trilaterale del 9 novembre 2020, che ha posto fine alla guerra dei 44 giorni nell’Artsakh – il 20 novembre 2020 le forze armate dell’Azerbajgian hanno occupato Aghdam, città del Nagorno-Karabakh a pochi chilometri dal confine con l’Azerbajgian, insieme il distretto circostante (che Azerbajgian considera territorio suo, peraltro insieme a tutto il resto del Nagorno-Karabakh e parte dell’Armenia, incluso la capitale armena Erevan). E non tutti gli abitanti di Khramort sono ancora lì.
Sono passati più di due anni dal cessate il fuoco nella guerra dell’Azerbajgian contro l’Artsakh/Nagorno-Karabakh, ma l’Azerbaigian sta ancora facendo di tutto per interrompere la vita pacifica nei territori che sono rimasti liberi, e per seminare il terrore tra gli abitanti. Dal gennaio di quest’anno, le aggressioni quotidiane organizzate delle forze armate azere contro i pacifici residenti armeni dell’Artsakh, rappresentano esempi di crimini umanitari e di guerra.
Secondo il capo del villaggio di Khramort i residenti coltivano i loro giardini e svolgono i lavori quotidiani nei campi. “Dobbiamo assicurare che la sicurezza delle persone sia pienamente garantita. È vero, anche noi abbiamo posizioni militari, il contingente di mantenimento della pace russo ha postazioni nel villaggio, ma comunque se succede qualcosa chi risponderà? In Karaglukh, in ogni caso, la situazione è la stessa: il nemico è ancora lì”, ha detto Zorik Abrahamyan.
In una parte di una dichiarazione congiunta dei difensori dei diritti umani dell’Armenia e dell’Artsakh sui risultati della raccolta di prove delle aggressioni azeri dal 14 al 16 febbraio 2022 in Artsakh, fa riferimento all’avvelenamento dell’acqua potabile. Nel villaggio di Aghavno, le persone hanno affrontato gravi problemi di approvvigionamento idrico potabile e per l’irrigazione: quasi tutti i residenti hanno raccontato di aver visto i militari azerbajgiani ad uccidere il bestiame e poi gettare i resti nei pozzi d’acqua utilizzati dai residenti del villaggio. Ciò ha causato un avvelenamento di massa dall’acqua tra gli abitanti del villaggio: donne, bambini e anziani sono stati avvelenati.
Il 5 febbraio 2022, intorno alle 12.00, tre operai armeni sono stati colpiti da colpi di arma da fuoco azeri nel villaggio di Khramort. I militari azeri schierati in una posizione militare nota come “Oghten Mashk” vicino alla città di Askeran hanno aperto il fuoco con mitragliatrici di grosso calibro contro tre dipendenti della Future Generations Foundation LLC che stavano riparando un trattore in un sito di lavorazione della pietra. Prima dell’arrivo delle forze di polizia, i tre lavoratori sono stati costretti a mettersi al riparo per due ore. È stato avviato un procedimento penale sulla sparatoria per tentato omicidio con motivo di “odio etnico, razziale o religioso, o fanatismo religioso”.
L’11 febbraio 2022, intorno alle 05:50, sono stati sparati colpi in direzione delle case residenziali dalle postazioni militari azere situate vicino alle comunità Karmir Shuka e Taghavard nella regione Martuni dell’Artsakh, ha dichiarato il difensore dei diritti civili dell’Artsakh, Gegham Stepanyan. “Data la distanza tra gli insediamenti e le postazioni azere, e il fatto che la parte residenziale del villaggio è osservata direttamente dalle postazioni azere, è innegabile che la parte azera abbia preso di mira direttamente le case dei residenti, che sono state danneggiate. La finestra di una casa del residente di Karmir Shuka è stata sfondata durante le stesse operazioni volte a minacciare i civili, e il proiettile è penetrato nel soggiorno della casa”, ha detto. “Riaffermo l’affermazione secondo cui gli atti criminali dell’Azerbaigian sono di natura regolare e sistematica, volti a creare un’atmosfera di paura nell’Artsakh. L’Azerbajgian continuerà i suoi tentativi criminali contro il popolo dell’Artsakh fino a quando la comunità internazionale non condannerà all’unanimità gli aperti atti illegali dell’Azerbaigian contro l’umanità”, ha aggiunto.
Il 15 febbraio 2022, verso le ore 15.30, le forze armate azere hanno aperto il fuoco in direzione di un residente del villaggio Khnapat che stava lavorando nel suo campo che si trova nel territorio amministrativo di Khramort. Di conseguenza, il suo trattore è stato danneggiato, mentre il contadino è stato salvato grazie all’intervento delle forze di mantenimento della pace russe. “Ai nostri residenti è proibito lavorare; i militari azeri li hanno minacciati e avvertiti di non andare più in quei territori. Erano presenti anche le forze di pace russe. I militari azeri hanno portato i nostri residenti fuori dai vigneti con la minaccia dell’uso delle armi”, ha detto Zorik Abrahamyan. Ha notato che non solo i residenti di Khramort, ma anche i residenti della comunità vicina lavorano in questi campi. Le persone sono impegnate in varie attività agricole per guadagnarsi da vivere, ma si scopre che sono private della loro fonte di reddito”, ha detto il capo del villaggio di Khramort.
Il 18 febbraio 2022, verso le ore 17.00, dalle postazioni azere nell’area dell’insediamento di Taghavard nella regione Martuni dell’Artsakh, sono stati sparati colpi contro edifici residenziali, a seguito dei quali i proiettili hanno danneggiato i muri esterni dell’abitazione, uno dei proiettili ha colpito la finestra dell’abitazione di uno dei residenti ed è penetrato all’interno.
Il 25 febbraio 2022, alle ore 18.00 circa, le forze armate azere hanno trasmesso una registrazione audio con un altoparlante ai confini amministrativi del villaggio di Khramort, in cui si affermava in armeno che i residenti dovevano andarsene dall’insediamento, che è considerato territorio dell’Azerbajgian e così via. Zorik Abrahamyan, il capo del villaggio di Khramort, ha detto che gli abitanti non pensano nemmeno di andarsene. “Vogliono esercitare una pressione psicologica sulla gente per creare del panico. Ma non ci riguarda”, ha detto Abrahamyan.
Questi messaggi sono stati diffusi per diversi giorni. In particolare dicevano: “Lasciate urgentemente il territorio, altrimenti vi costringeremo. Tutta la responsabilità per le vittime ricadrà su di voi. Non mettere in pericolo le vostre vite e quelle dei vostri cari. Vi trovato sul territorio dell’Azerbajgian e tutte le azioni sono regolate dalla legge azera”. Tali messaggi costituiscono una grave minaccia per i residenti pacifici.
“Invece di minacciare di arrestare o perseguire i cittadini della Repubblica di Artsakh, consigliamo all’Ufficio del Procuratore della Repubblica di Azerbajgian di adottare delle misure per prevenire casi di annientamento fisico della popolazione civile dell’Artsakh e di perseguire coloro che hanno commesso tali crimini. Questo non è solo l’unico approccio civile per un Paese “in ricerca della pace”, ma anche l’impegno assunto a livello internazionale e pubblico dalla Repubblica dell’Azerbajgian, che ha aderito alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, si legge nella dichiarazione.
La questione del Nagorno-Karabakh per l’Azerbajgian è diventata “un elefante nella stanza”, ha detto il Segretario del Consiglio di sicurezza dell’Armenia, Armen Grigoryan. A Grigoryan è stato chiesto oggi in Parlamento a Erevan se l’Armenia continua a discutere separatamente della possibile questione del trattato di pace con l’Azerbajgian e della questione dei diritti e della sicurezza degli Armeni nel Nagorno Karabakh. Grigoryan ha spiegato perché l’Armenia ha concluso che questi problemi devono essere discussi separatamente. “Quando abbiamo discusso a Washington e c’era più chiarezza sulla creazione di un meccanismo internazionale, abbiamo dato la nostra approvazione per separare queste questioni. Tuttavia, quando non c’è chiarezza su un meccanismo internazionale, diventa complicato per la parte armena andare avanti in termini di trattato di pace”, ha detto Grigoryan. Ha aggiunto che la narrazione dell’Azerbajgian, secondo la quale il conflitto del Karabakh è risolto, non aiuta ad andare avanti per la risoluzione di questo problema. “La questione del Karabakh è diventata un elefante nella stanza per la parte azera, il che significa che il problema esiste ma stanno cercando di fingere che non ci sia alcun problema. Continueremo a lavorare e vedremo fino a che punto è possibile farlo in modo separato”, ha detto Grigoryan, aggiungendo che l’approccio dell’Azerbajgian crea alcuni ostacoli all’avanzamento.
Se l’Azerbajgian dovesse ritirarsi immediatamente dal territorio sovrano armeno che occupa e promettere di fermare ulteriori aggressioni, il percorso verso un accordo di pace globale con l’Armenia potrebbe essere spianato, ha detto l’Ambasciatore armeno nel Regno Unito, Varuzhan Nersesyan, in un editoriale pubblicato da The Jerusalem Post Il 7 dicembre scorso. L’Azerbajgian vuole annientare l’Armenia, l’identità armena, ha detto l’Ambasciatore. “Nel sistema scolastico dell’Azerbajgian ai bambini viene insegnato a odiare gli Armeni. In un libro di testo scolastico per bambini dai 9 ai 10 anni viene mostrata una ragazzina che uccide un soldato armeno con un’ascia. Ironia della sorte, l’assassino con l’ascia che è stato condannato dal tribunale ungherese per aver decapitato una controparte armena addormentata a Budapest è un eroe nazionale dell’Azerbajgian e secondo il difensore dei diritti umani azero, è “un simbolo per le giovani generazioni”, scrive l’Ambasciatore. “L’Armenia non è un ostacolo alla pace, ma che tipo di pace cerca l’AzerbaJgian?”, scrive. “Tuttavia, ciò da cui l’Armenia si difende è l’Azerbajgian che sfrutta il processo di delimitazione dei confini per nuove rivendicazioni e occupazioni territoriali. Ad esempio, continua a pubblicare mappe che mostrano il sud dell’Armenia come parte dell’Azerbajgian. L’Armenia ha confermato che la sua rete stradale sarebbe aperta al trasporto tra l’Azerbajgian e la sua exclave, ma che non costituirebbe in alcun modo un corridoio extraterritoriale che l’Azerbajgian potrebbe usare come pretesto per un’ulteriore aggressione”. “Le affermazioni dell’Azerbajgian di desiderare la pace sono state minate dalla decisione del Presidente Aliyev di ritirarsi da un incontro con il Primo Ministro Pashinyan, il Presidente francese Macron e il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, previsto per oggi a Brussel”, ha scritto l’Ambasciatore Nersesyan. “Tuttavia, gli stessi quattro leader si sono incontrati a Praga lo scorso ottobre, dove hanno concordato che il formato quadrilatero sarebbe stato nuovamente utilizzato a Brussel. L’Armenia rimane pienamente impegnata in un’agenda di pace. Se l’Azerbajgian è serio riguardo alla pace, l’unico modo per dimostrarlo è tornare ai negoziati invece di trovare pretesti per evitarli”, ha concluso.
In un incontro con il Presidente russo Vladimir Putin a Biškek, la capitale del Kirghizistan, il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha affermato che la situazione nella regione del Caucaso meridionale rimane tesa e ha osservato che la soluzione del Nagorno-Karabakh rimane la questione principale. “Purtroppo, recentemente abbiamo assistito anche a un aumento della tensione nel Nagorno-Karabakh sotto la responsabilità delle forze di mantenimento della pace russe. Sono sicuro che sappia che il corridoio di Lachin recentemente è stato bloccato e che al riguardo ci sono grandi preoccupazioni in Nagorno-Karabakh. Naturalmente, discutiamo sempre di questi problemi. Spero che oggi saremo in grado di discutere tutte le questioni importanti della sicurezza regionale”, ha affermato.
Nell’ambito della sua visita di lavoro nella Federazione Russa, il Ministro della Difesa armeno, Suren Papikyan, ha partecipato alla riunione congiunta dei Ministri della Difesa dei Paesi dell’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (CSO) e della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), dove ha presentato la situazione creatasi nella regione a seguito dell’ultima aggressione militare dell’Azerbajgian contro l’Armenia.
La riunione CSO e CSI è stata seguita da un incontro tra i Ministri della Difesa armeno e russo Suren Papikyan e Sergey Shoigu. Sono state discusse una serie di questioni relative alla sicurezza regionale, nonché alla cooperazione militare e tecnico-militare. Al termine dell’incontro, i Ministri hanno firmato il piano di cooperazione militare 2023 tra i Ministeri della Difesa di Armenia e Russia.
Il 10 dicembre 1991 il popolo armeno dell’Artsakh votò il referendum per l’autodeterminazione come previsto dalla legge sovietica dell’epoca. Da allora sogna un riconoscimento internazionale. La volontà del popolo è sovrana e più importante delle bombe e del gas azero.
Sullo sfondo della destabilizzazione delle relazioni tra Armenia, Azerbaigian e Turchia, l’Armenia ha ricevuto un grosso lotto di armi dall’Iran. Al momento, è noto che si tratta della fornitura di 600 missili di due tipi all’armamento dell’esercito armeno, che potrebbero benissimo essere utilizzati per causare gravi danni all’esercito azero in caso di un nuovo conflitto armato tra Erevan e Baku.
Secondo i dati forniti da fonti iraniane e turche, l’Armenia ha ricevuto da Teheran 500 missili Dehlavieh e 200 missili Almas. I missili Dehlavieh sono missili per sistemi missilistici anticarro e hanno un raggio di ingaggio del bersaglio fino a 6 chilometri, il che li rende un tipo di arma piuttosto pericoloso.
Anche i missili Almas sono anticarro, tuttavia hanno una portata molto più ampia di colpire obiettivi: fino a 8 chilometri, inoltre, tali armi missilistiche si sono già dimostrate abbastanza efficaci nello Yemen.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-08 18:01:352022-12-09 18:02:22L'Iran dona 600 missili all'Armenia in caso di guerra con Turchia e Azerbaigian (Avia.pro 08.12.22)
L’Armenia è salita agli onori della cronaca la scorsa settimana in quanto sede del summit della Collective Security Treaty Organization (Csto). Per pura coincidenza sono partita dall’Armenia proprio nel momento in cui i rappresentanti dei Paesi membri, tra cui il presidente russo Putin, vi erano appena atterrati.
Ero lì per monitorare un progetto europeo che finanzia azioni di contrasto ai cambiamenti climatici e supporta l’impegno dell’Armenia a raddoppiare la superficie forestale entro il 2050 come “contributo determinato a livello nazionale” agli impegni sottoscritti alla Cop21 di Parigi nel 2015. Ho avuto modo di visitare diverse comunità in tre regioni nel Nord del Paese che hanno ottenuto sussidi per ospitare vivai negli appezzamenti di terreno degli abitanti (le cosiddette “backyard nurseries”, i vivai dietro casa).
Le famiglie ricevono un sussidio dal progetto europeo per acquistare i semi e gli attrezzi. Piantano, accudiscono le piantine e dopo un anno o più, a seconda della varietà seminata, l’organizzazione capofila del progetto, che ha come missione piantare alberi, acquista le piantine e le trapianta nel loro sito definitivo (foreste o aree verdi urbane). Ciò consente alle famiglie non solo di contribuire al processo di riforestazione del loro Paese, ma di ottenere un’entrata che, in alcuni casi, costituisce l’unica fonte di reddito.
Ho avuto modo di intervistare i componenti di cinque comunità: sono stata accolta nelle sedi modeste ma decorose dei piccoli comuni rurali, intorno a tavoli improvvisati oppure nella sala consiliare, se esistente. Tra queste comunità ho visitato quella di Aghavnavank, un comune incastonato tra le montagne, a cui si giunge dopo vari chilometri di strade tortuose, dove si scorgono monasteri millenari in lontananza e si incontrano greggi di pecore che attraversano la strada. Mi siedo, aspetto qualche minuto che arrivino tutti: una quindicina di persone, soprattutto donne, e inizia il giro di tavolo. Scopro che questa comunità è formata quasi esclusivamente da rifugiati dall’Azerbaijan, giunti in quel luogo isolato all’inizio degli anni ‘90. Ciascuno racconta la propria esperienza con le “backyard nurseries”.
Tutti soddisfatti della partecipazione al progetto, soprattutto perché la coltivazione dei vivai è una sicura fonte di reddito. C’è anche chi si spinge a esprimere la propria visione “spirituale”: “lavorare con gli alberi è come lavorare con i bambini” oppure “noi e gli alberi facciamo parte della natura e facendoli crescere ritroviamo la nostra vera identità”. Mi colpisce una signora, che sembra desiderosa di parlare, ma indugia; la incoraggio: “io abitavo nel centro di Baku; sono dovuta scappare con i miei tre figli e ora sono qui e per vivere devo piantare alberi. Nel mondo non si conosce la nostra situazione; tutti parlano di Ucraina, ma anche in Armenia c’è una guerra in corso”.
Torno dall’Armenia e sulla stampa italiana e internazionale si parla di Armenia – fatto abbastanza inconsueto, considerando che l’invasione dei confini armeni da parte dell’Azerbaijan nel settembre scorso, che ha causato diversi morti, è passata quasi inosservata. Sarà che ci faccio caso perché ci sono appena stata oppure ora è opportuno parlare di Armenia perché il suo governo ha dato un segnale di disaccordo con la Russia durante il summit di Yerevan il 23 novembre?
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-08 17:57:102022-12-09 17:59:12Armenia, un progetto Ue finanzia azioni contro i cambiamenti climatici: sono stata a vedere come va (Ilfattoquotidiano 08.12.22)
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