Cultura: Armenia-Italia, domani a Erevan in scena l’opera Arshak II (Agenzianova 18.07.18)

Erevan, 18 lug 11:18 – (Agenzia Nova) – Andrà in scena nel teatro della capitale dell’Armenia Erevan domani sera l’opera Arshak II di Tigran Tchoukhajian, il cui libretto fu scritto nel 1868 in italiano e in armeno. L’iniziativa, che si svolge con il sostegno dell’ambasciata italiana a Erevan, avviene in coincidenza con la visita nel paese caucasico da parte di Paola Severino, rappresentante speciale della presidenza italiana dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) per la lotta alla corruzione. Il libretto in italiano è opera di Tovmas Terzyan e si basa su “La storia armena” degli storiografi medievali Mose di Corene e Fausto di Bisanzio. Arshak II è la prima opera lirica armena ed in generale la prima nella storia della cultura musicale dell’oriente, scritta nelle tradizioni di “Grand opera” italiana del XIX secolo (Rossini, Bellini, e le prime opere di Verdi). Il primo spettacolo fu messo in scena dalla compagnia teatrale italiana. La trama dell’opera è relativa al ritorno vittorioso di Arshak II dalla guerra con i persiani e alla seguente congiura ordita dal nobile Tirit per usurpargli il trono e sposare Parandzem, di cui il re era innamorato. L’iniziativa, frutto della collaborazione tra l’ambasciata italiana in Armenia e il direttore del teatro dell’opera di Erevan, Constantine Orbelian, rientra nell’innovativa strategia Vivere all’Italiana, lanciata dalla Farnesina per la promozione integrata dell’Italia all’estero. (Res)

Leonardi racconta il genocidio degli armeni (trcgiornale.it 18.07.18)

Due libri per ricordare il genocidio degli armeni e ripercorrere la loro storia. E’ questo il lavoro fatto da Letizia Leonardi, scrittrice civitavecchiese che si è posta l’obiettivo di far conoscere la storia, riguardante l’uccisione di un milione e mezzo di armeni in Turchia tra il 1915 e il 1916.

La prima opera, “Mayrig”, è una traduzione di un libro di Henri Verneuil. La seconda, invece, si chiama “Il chicco acre della melagrana” ed è stato scritto da Leonardi assieme a Kevork Orfalian, sopravvissuto al genocidio.

“Voglio far conoscere questa barbarie – spiega la scrittrice Letizia Leonardi – che molti non sanno nemmeno che sia esistita. Grazie anche all’apporto di Orfalian, i libri parlano e spiegano tutto ciò che è accaduto, anche se per molto tempo in Turchia c’è stato un fortissimo negazionismo, poi sbugiardato dalla realtà dei fatti. Chi vuole acquistare i libri può andare sulle rispettive pagine Facebook oppure richiederlo alle varie librerie in città”.

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Il Messaggero: Continua la botta e risposta con l’ambasciatore turco in Italia

Lo scorso 11 luglio 2018, L’Ambasciatore turco in Italia, aveva replicato, sempre sul quotidiano il Messaggero,  all’ultima lettera dell’Ambasciatrice Baghdassarian, ribadendo ancora una volta le tesi negazioniste della Turchia. In data 17 luglio 2018 il Messaggero ha pubblicato la risposta del “Consiglio per la comunità armena di Roma” che ripotiamo di seguito, insieme alla lettera del diplomatico turco in Italia.

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La questione armena controversia senza fine

Nevart Cricorian*

Atteso che il dibattito sul genocidio armeno prosegue con un nuovo intervento dell’ ambasciatore turco Murat Selim Esenli, riteniamo doverosa una nostra ulteriore puntualizzazione sul tema. Come armeni, come cittadini italiani di origine armena, non possiamo che essere avviliti e indignati per il fatto che a oltre un secolo dalla tragedia armena (il Grande male), gli attuali eredi dell’ impero ottomano ancora perseguano una politica armenofoba e negazionista. Qui in discussione, si badi bene, non c’ è tanto o soltanto il termine genocidio: ancora oggi infatti in Turchia lo Stato tende ad escludere o minimizzare le persecuzioni degli armeni, la deportazione e la morte di centinaia di migliaia di nostri compatrioti. Per decenni il governo turco ha perfino negato l’ esistenza stessa degli armeni e di conseguenza della questione armena; poi, a fronte dell’ evidenza dei fatti, la popolazione armena è stata classificata alla stregua di un nemico interno (in piena guerra mondiale) conferendo implicitamente una sorta di legittimità giuridica e morale al suo annientamento. Il rappresentante diplomatico di Ankara tenta di presentare come verità alcune tesi negazioniste e non esita a richiamare a testimonianza uno storico come Bernard Lewis che negli anni novanta fu condannato dalla Corte di appello di Parigi proprio per la sua visione negazionista della storia. Per quanto riguarda gli archivi ottomani ci limitiamo a riportare un dispaccio datato 1° dicembre 1915 del Ministro dell’ Interno Talaat Pasha nel quale viene riportato quanto segue: Senza ascoltare nessuna delle loro ragioni, rimuoverli immediatamente, donne, bambini, chiunque essi siano, anche se sono incapaci di muoversi Perché, invece di misure indirette di sterminio usate in altri luoghi, come severità, furia, difficoltà di viaggio, miseria, possono essere usate misure più dirette da voi, perciò lavorate con entusiasmo… Il luogo di esilio di questa gente sediziosa è l’ annientamento. Ad avallare quanto sopra non possiamo che citare il Console Onorario d’ Italia a Trebisonda dell’ epoca Giacomo Gorrini che denunciò le persecuzioni subiti dagli armeni proprio sulle pagine di questo giornale il 25 agosto 1915 Per quanto riguarda l’ elenco dei Pasha e dei ricchi faccendieri armeni, l’ ambasciatore si è dimenticato di menzionare Krikor Zohrab, deputato armeno, che qualche giorno prima del 24 aprile 1915, data di inizio del genocidio armeno, si era recato dal suo amico Talaat Pasha, per chiedere spiegazioni in merito alle deportazioni e quest’ ultimo lo rassicurò che si trattava di notizie infondate salvo poi ordinare il suo assassinio insieme a tutti i notabili armeni, inclusi i Pasha, i ricchi banchieri ed i mercanti industriali armeni. Su una cosa ci troviamo d’ accordo con l’ ambasciatore turco, dobbiamo evitare di aiutare coloro che ricorrono al fanatismo, al rancore, all’ ostilità, distorcendo e manipolando la storia, anche se ci rendiamo conto che è un dato di fatto e gli interventi del diplomatico turco lo dimostrano chiaramente che nel 2018 la Turchia ha paura di affrontare il proprio passato, gioca intorno ai termini, semina informazioni false e/o distorte sull’ argomento, cita fonti inattendibili, manda in esilio i propri storici controcorrente come il prof Taner Akcam, incrimina giornalisti, scrittori e premi Nobel come lo scrittore Orhan Pamuk e la scrittrice Elif Shafak, mette al bando partiti politici, imbavaglia l’ informazione, licenzia decine di migliaia di funzionari statali e insegnanti in un clima sempre più cupo e drammaticamente sempre più simile a un secolo fa.

*Presidente del Consiglio per la comunità armena di Roma.


Lettera dell’Ambasciatore turco del 11.07.18

 

La Russia mi cambia la fantasia (Lopinionitsa 14.07.18)

Il lamento del duduk, questo strumento tipico degli armeni, mi è arrivato addosso quando stavo uscendo dalla trattoria di San Pietroburgo dove ero stato invitato. Lo suonava un vecchio che era venuto apposta in questo locale per festeggiarmi. Un suono che sul primo momento mi ha fatto pensare alle pecore.

Uno zufolo che sicuramente riuscivano a costruirsi i pastori con le canne e con i rami del ciliegio. Una fila di buchi e una linguetta larga simile al becco di un’anatra. Ha cominciato quasi subito a incantarmi questo suo tentativo di regalarmi il motivo più noto che conosceva. Ed io sono entrato nella rete di questi dolci ricami che facevano vibrare e soffrire l’aria che usciva umida dallo strumento.

Tutto dentro di me è diventato una preghiera, una sofferenza che voleva arrivare a chiedere un perdono con un suono primitivo quasi balbettato, fino a quando moriva in un fiato lungo che si spegneva per sfinitezza.

Stavo raccogliendo questi suoni in modo così attento al musicante e ho lasciato che quei lamenti si fermassero dove nella memoria stavano raccolti i rumori della mia infanzia.

E presto tra i mandorli… Sono partito per Mosca col treno di mezzanotte. Mi incuriosivano i lumi dei marciapiedi deserti davanti a stazioni addormentate. Ho ripensato all’alfabeto italiano che avevo discusso all’Hermitage e ho ricordato quando vidi la prima volta che gli armeni avevano fatto al loro alfabeto.

Stavo capendo che era un’idea molto giusta e profonda. Perché l’alfabeto è la sostanza vera e solida di una nazione. Se si smarrisce l’alfabeto e diventa appena un rumore, quel popolo che lo usa non esiste più.

É anche per questo ho seguito con entusiasmo l’idea di Marin Azizian di illustrare le lettere dell’alfabeto italiano. E’ componendo, incastrando, allineando quelle lettere del nostro alfabeto che arriva alle orecchie del mondo la voce della “Divina Commedia” e la leggerezza magica del Petrarca, del Boccaccio, del Montale e Pasolini.

Finalmente una sosta dopo lunghi stridori degli ingranaggi per adagiare in un biancore lunare di ghiacci la nostra lunga fila di carrozze piene di sonni agitati.

Vedo che è sceso un passeggero con un grosso elefante di plastica sulle spalle. Scompare. La magia della Russia mi ha ripreso. Non si possono tagliare i ponti con una tenerezza speciale nel far cadere dolcemente le foglie d’autunno che ti porti ancora addosso.

Tra una ventina di giorni mi aspetta l’Italia e quindi Campagnola Emilia. So di tornare con una fantasia diversa, pronta a raccogliere il calore degli amici e il profumo dei mandorli in fiore.

La differenza è questa: in Russia anch’io sono un mandorlo…

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E’ il lavash il patrimonio dell’Armenia: nel sottile pane tradizionale c’è la storia bimillenaria del Paese asiatico (Turismoitalianews.it 13.07.18)

Giovanni Bosi, Yerevan / Armenia

E’ lo specchio del Paese. Un testimonial autentico e immutato di un popolo e di un Paese che ha saputo mantenere intatte le sue tradizioni difendendo la propria storia. E non è stato facile perché il passato ha riservato agli Armeni prove difficili e dolorose. Non è un caso che proprio un alimento sia il loro elemento distintivo e che l’Unesco abbia voluto iscriverlo nel Patrimonio culturale mmmateriale dell’Umanità : il Lavash, il sottile pane tradizionale che fa parte integrante della cucina armena. La sua preparazione, caratterizzata da un lavoro di gruppo al forno, rafforza i legami familiari, comunitari e sociali.

(TurismoItaliaNews) A tavola non manca mai, servito in generose porzioni in cestini intrecciati. Così quando giri per l’Armenia e sei pronto a sederti a tavola, lo sguardo corre subito sul lavash in bella mostra e il buon odore stimola l’acquolina pregustando come potrai combinarlo, in genere formaggi locali ed erbe aromatiche come il prezzemolo, il basilico rosso, il coriandolo, la menta, il dragoncello, il timo oppure la cipolla.

Ma del lavash, al di là del sapore, colpisce il metodo di preparazione sistematico intrapreso da un piccolo gruppo di donne richiedendo un grande sforzo, coordinazione, esperienza e abilità speciali. E’ dal 2014 che l’Unesco ha apposto il suo bollino di tutela perché considerato simbolo della famiglia e della prosperità e perché nel corso dei millenni ha mantenuto intatta la sua essenza e il suo sapore. Del resto la cucina armena è una delle più antiche in Asia, frutto di elaborazioni sviluppate dal popolo armeno per millenni. E si sa che il pane oltre ad un valore nutriente, ha anche un grande valore simbolico, a maggior ragione in Armenia, primo Stato cristiano del mondo, con Haik discendente di Noè considerato dalla tradizione cristiana antenato di tutti gli armeni. Fu proprio Haik, stabilitosi ai piedi del monte Ararat (che oggi si trova in territorio turco ma praticamente visibile con la sua splendida silhouette da buona parte dell’Armenia) ad assistere alla costruzione della Torre di Babele per poi sconfiggere il re assiro Nimrod presso il lago di Van.

Se dici Armenia non puoi non dire storia, non puoi non immergerti nel passato epico e tremendo di questo popolo. Così quando mangi il lavash, nel suo sapore ritrovi un passato mai dimenticato.

 

Già, ma come si fa? Un semplice impasto a base di farina di grano e acqua, un pizzico di sale e senza lievito, viene lavorato e composto in palline. Una per volta, le palline vengono preparate a mo’ di “sfoglie” sottili con un mattarello e affinate facendole volteggiare con le mani, quindi stese su uno speciale cuscino ovale che viene “schiaffeggiato” contro il muro di un tradizionale forno conico in argilla, il tonir, rivestito di pietra o di ceramica, scavato nella terra. Dopo trenta secondi il pane cotto viene estratto dalla parete del forno. Assistere alla preparazione è come trovarsi davanti a un rito ancestrale, con le donne che sorridono quando si rendono conto della nostra meraviglia nel vederle all’opera. Perché davvero di maestria si tratta nei loro movimenti rapidi e decisi, frutto di un’esperienza acquisita giorno dopo giorno, tramandata di generazione in generazione.

Il lavash (che è meglio mangiarlo appena sfornato, anche se può essere conservato per un massimo di sei mesi, in fogli essiccati e impilati l’uno sull’altro) svolge un ruolo rituale nei matrimoni, dove viene posto sulle spalle degli sposi per portare fertilità e prosperità. Non solo donne comunque nella fase di preparazione: gli uomini sono coinvolti ancor prima nella creazione dei cuscini e dei forni, con l’impegno di trasmettere la loro abilità a studenti e apprendisti come passo necessario per preservare la vitalità della produzione del lavash.

Se il lavash è una presenza irrinunciabile a tavola, la gastronomia armena si rivela una piacevole scoperta, per la sua varietà e i suoi sapori delicati tanto che in passato ne hanno parlato con ammirazione lo storico greco Senofonte e Alessandro Magno. Come nel caso delle zuppe, nelle quali insieme alla carne si possono trovare patate, cipolle, mele, mele cotogne e albicocche secche; mentre nelle zuppe di pesce si aggiunge il corniolo e in quelle con i funghi compaiono prugne e ciliegie o uva passa.

Sapori dunque di grande effetto. Una curiosità: in cucina si usano molto i vasellami di terracotta e così molti piatti hanno finito con il prendere i nomi delle stoviglie piuttosto che del contenuto, come ad esempio putuk, kchcuch e tapak.

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Cardinale Parolin striglia i negazionisti, il genocidio armeno del 1915 è un fatto storico (Il Messaggero 13.07.18)

Città del Vaticano – Se il governo turco, dopo 103 anni, si ostina a negare l’evidenza storica del genocidio armeno, il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, denuncia senza mezzi termini le responsabilità del governo ottomano dell’epoca responsabile del piano di sterminio della minoranza armena. In una lectio magistralis tenuta ad Aquileia (Udine), a cento
anni dalla conclusione della prima guerra mondiale, il cardinale parlando di quel periodo sottolinea di come il caos era riuscito a dissolvere “l’ordine internazionale centrato sull’Europa
senza riuscire a sostituirlo in maniera equa e duratura” ha affrontato la pagina più nera.

Quel conflitto mondiale ih reso possibile ciò che
 ancora ci riempie di orrore: «l’inizio delle stragi di massa, di
 cui rimase vittima allora la popolazione armena – in soccorso 
della quale si mosse allora quasi soltanto la Santa Sede – tanto
 da rendere indispensabile il conio di una parola fino a quel
 momento inesistente in tutti i vocabolari: la parola
 ’genocidio’, che oggi fa parte, purtroppo, del nostro linguaggio 
corrente».

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Armenia: elezioni comunali anticipate Erevan si svolgeranno lunedì 16 luglio (Agenzianova 12.07.18)

Erevan, 12 lug 09:53 – (Agenzia Nova) – Il consiglio comunale di Erevan ha approvato all’unanimità la proposta del vicesindaco Kamo Areyan di tenere le elezioni comunali anticipate lunedì 16 luglio. La maggioranza dei membri del consiglio comunale ha respinto la raccomandazione del leader del gruppo Yelk (Via d’uscita), Davit Khajakyan, di tenere le elezioni l’8 agosto. Il sindaco della capitale armena Taron Margaryan si è dimesso il 9 luglio. Nelle scorse settimane si sono svolte manifestazioni al di fuori del municipio di Erevan per chiedere le dimissioni del sindaco. Margaryan è stato a lungo oggetto di critiche, soprattutto per quanto riguarda la corruzione a livello municipale; i trasporti pubblici; e varie decisioni urbanistiche, fra cui la demolizione di alcuni edifici storici. (Res)

Armenia: Mogherini riceve premier Pashinyan, Ue pronta a sostenere processo di riforme (Agenzianuova 12.07.18)

Armenia: Mogherini riceve premier Pashinyan, Ue pronta a sostenere processo di riforme

Bruxelles, 12 lug 09:27 – (Agenzia Nova) – L’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha ricevuto ieri il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan con cui ha discusso degli ultimi sviluppi e sottolineato i buoni progressi nelle relazioni bilaterali Ue-Armenia. I due hanno discusso del chiaro impegno del nuovo governo armeno a favore delle riforme e dell’azione concreta già intrapresa a tal fine. L’alto rappresentante ha confermato che l’Unione europea è pronta a fornire un sostegno concreto al processo di riforme, anche attraverso assistenza tecnica e finanziaria, e ha sottolineato la lotta alla corruzione e alla riforma giudiziaria come settori di particolare importanza in questo contesto. Mogherini, come riferisce una nota, ha inoltre sottolineato la disponibilità dell’Ue a fornire assistenza per l’organizzazione e il monitoraggio delle prossime elezioni, da tenersi in linea con le raccomandazioni dell’Osce e dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (Odihr). L’Alto rappresentante ha confermato la sua adesione e il forte sostegno dell’Unione europea per la soluzione pacifica del conflitto del Nagorno-Karabakh. In questo contesto è vitale che le parti si impegnino pienamente nei negoziati senza precondizioni, sotto l’egida dei copresidenti del Gruppo di Minsk, l’organismo che monitora il rispetto del cessate il fuoco. (Res)

Viaggio in Armenia, paese di antica fede cristiana segnato dal genocidio (La Voce 12.07.18)

C’è stato un protagonista nel viaggio- pellegrinaggio dei Vescovi umbri in Armenia: non il monte Ararat, di biblica memoria, che con i suoi 5.000 metri e la calotta perennemente imbiancata giganteggia sulla capitale Erevan; non il paesaggio aspro degli altopiani, costellati di gole e incisi dal grande lago Sevan; non i monasteri antichi e moderni, austeri nei vari colori della pietra tufica con la quale sono costruiti in forme sostanzialmente immutate nel tempo, e che prevale anche negli interni disadorni.

Protagonista è stato il popolo armeno, la sua storia gloriosa e sofferta, le prospettive e le incognite del suo presente. Prima nazione ad aver abbracciato ufficialmente la fede cristiana nel 301, dodici anni prima dell’editto di Costantino, che dichiarerà il cristianesimo religio licita nell’Impero romano, e 79 anni prima dell’editto di Teodosio, che la eleggerà a religione di Stato.

Di tale primogenitura il popolo armeno va tuttora fiero, anche se gli è costata cara, e poche tracce di quel primo periodo sono sopravvissute alle distruzioni e alle guerre che periodicamente hanno afflitto una nazione che vive per più di due terzi dispersa nel mondo. Di tutte le persecuzioni, la più feroce è stata il genocidio perpetrato dalla Turchia negli anni della Grande guerra e costato un milione e mezzo di morti, tra quelli trucidati e quelli lasciati perire di fame e di sete nelle marce forzate e nei campi di prigionia.

Il museo di Erevan, visitato anche da san Giovanni Paolo II e da Papa Francesco, è ricco di testimonianze documentarie e fotografiche sul “grande male”, come lo chiamano. Il quale è stato tra l’altro una sorta di “prova generale” della Shoah, iniziata un quarto di secolo dopo. Adolf Hitler ebbe infatti a dire, progettando lo sterminio degli ebrei: “Chi si ricorda ancora del genocidio armeno?” (Continua a leggere gratuitamente sull’edizione digitale de La Voce).

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Armenia, il paese dell’omofobia (Osservatorio Balcani e Caucaso 12.07.18)

In Armenia prevale ancora una società socialmente conservatrice in cui l’omofobia rimane radicata e la vita delle persone LGBT non è facile.

12/07/2018 –  Marilisa Lorusso

C’è solo un paese nel Caucaso meridionale che non ha mai ospitato il gay-pride, e che lo ospiterà, secondo l’opinione espressa da un esponente del ministero degli Esteri  qualche anno fa – forse fra un centinaio d’anni: l’Armenia.

LGBT in Armenia

Lesbiche, gay, bisessuali e transessuali in Armenia si trovano sotto un fuoco incrociato. Da un lato il pesante lascito di omofobia sovietica, dall’altro il diktat della chiesa apostolica armena. L’Armenia, tanto quella laica quanto quella religiosa, non ammette comportamenti sessuali “non tradizionali”, come vengono definite le varie forme di identità di genere che si incontrano nella società. Durante il periodo sovietico l’omosessualità costituiva un reato penale. Il crimine di omosessualità è stato abolito in Armenia nel 2003, per cui a norma di legge non si può essere incarcerati per il proprio orientamento sessuale ed affettivo. Questo però non ha sdoganato l’omosessualità che secondo l’influente Chiesa apostolica armena è un peccato. Sono ufficialmente cristiani apostolici il 90% degli armeni, e pertanto il parere della chiesta ha ampia eco nella società.

L’opinione pubblica

L’opinione pubblica armena è largamente ostile al discorso di genere, al riconoscimento dell’omosessualità come realtà presente nella comunità armena, e al riconoscimento dei diritti per gli omosessuali e per tutti coloro che esprimono orientamenti non prettamente eterosessuali. Lo studio più completo su cosa pensino gli armeni in merito è del 2011, un accurato sondaggio realizzato dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che lascia poco spazio ai dubbi. Secondo la maggioranza degli intervistati l’omosessualità è una malattia, e secondo il quasi 10% potrebbe addirittura essere indotta dall’uso di internet. Il 72% dichiara che rifiuterebbe di interagire con un omosessuale, una volta scoperto il suo orientamento o anche solo utilizzare una stoviglia usata da un gay (86%).

Si accetta più facilmente che una persona sia omosessuale se è straniera. Insomma, si può essere gay, ma solo se non si è armeni. Nonostante una, in teoria, maggiore tolleranza verso gli stranieri, nel 2004 Joshua Hagland, statunitense docente universitario presso un’università di Yerevan, omosessuale, è stato trovato ucciso . Il reato è stato ascritto alla sua identità di genere e mai risolto. Durante l’indagine gli uomini che aveva frequentato hanno subito varie forme di pressione e umiliazione da parte degli inquirenti.

Fonte: Human Rights Violations of Lesbian, Gay, Bisexual, and Trnsgender (LGBT) People in Armenia: a Shadow Report, submitted to the UN Human Rights Committee, July 2012, Geneva, scaricabile gratuitamente http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrc/docs/ngos/LGBT_Armenia_HRC105.pdf

Le istituzioni

Anche nel rapporto con le istituzioni i membri della comunità LGBT si trovano in una condizione di grande vulnerabilità e in una sostanziale situazione di assenza di diritti. Non vi sono specifiche leggi a tutela delle persone LGBT, incluso nel settore della diffamazione e dell’hate speech. La questione del genere viene dibattuta con ferocia verbale e il cattivo esempio è in passato partito proprio dalle istituzioni. Quando Armen Avetisyan, presidente dell’Unione per l’Arianesmo armeno dichiarò che alcuni alti funzionari dello Stato erano gay , l’Assemblea nazionale dibatté una loro rimozione. La lista prodotta con i nomi dei sospetti-non-eterosessuali non fu resa nota, ma si sapeva che conteneva sette nomi, che era stata consegnata al Presidente e al Primo Ministro con la richiesta di “ripulire il paese da queste persone malate”. Nessuna misura contro-diffamatoria fu promossa a tutela dei possibili coinvolti.

Molto complicato è il rapporto di LGBT con le forze di polizia e l’esercito, in assenza di specifica formazione e training di quest’ultimi per garantire che i primi possano essere fruitori di quell’uguaglianza rispetto agli altri cittadini che la costituzione – almeno implicitamente – prevede. Il periodo di leva può essere un’esperienza molto provante per un omosessuale in Armenia, così come essere fermati da una pattuglia può rivelarsi un’esperienza estremamente negativa per un trans.

La transessualità negata

Essere transessuale in Armenia può essere ancora più difficile che altrove. Nessuno assume un transessuale, per cui di fatto l’unica occupazione a cui si è condannati è la prostituzione, ma questo succede anche altrove, dove non si incontrano postini, commercialisti, autisti, giornalisti o qualsiasi altro professionista transessuale. Ma in Armenia sono chiusi anche altri percorsi di affermazione personale, oltre al quello lavorativo.

Cambiare il proprio nome in Armenia è possibile, ma non per questioni di genere. La legge è chiara: si può cambiare nome per una disarmonia fra nome, cognome e patronimico, per difficoltà di pronuncia, per armonizzarlo a quello del coniuge, di altri membri della famiglia (i figli, il tutore legale), per tornare al cognome da nubili o per motivi di identità nazionale o tribale.

Non è possibile cambiare il sesso indicato sul documento. Gli atti civili registrabili sono la nascita, il matrimonio, il divorzio, il riconoscimento legale di un figlio, l’adozione, la morte e il cambio di nome, per i casi previsti.
Infine – secondo quanto affermato dal Dipartimento di Stato Usa in un proprio report sull’Armenia del 2016   che si sofferma sulle varie forme di discriminazione cui vanno incontro i transgender – permangono problemi relativi alla somministrazione di farmaci, di ormoni e il rischio di ricorrere a chirurgia clandestina. Insomma, non è tutelato il diritto alla salute.

Il ruolo delle ONG

Esiste una minoranza nella società che è gay-friendly e si esprime anche attraverso l’associazionismo. Sono in verità solo un paio le ong che dichiaratamente si concentrano sui diritti di LGBT, e non hanno vita facile. In alcuni casi nell’atto della registrazione, che avviene presso il ministero di Giustizia, alle ong è stato richiesto di rimuovere la questione gender dalle proprie priorità. In altri casi persone o locali dichiaratamente simpatizzanti LGBT sono stati oggetto di aggressione. Il club DIY, punto di ritrovo anche per la comunità LGBT è stato bruciato nel 2012 , quando vi sono state lanciate dentro delle bombe molotov. La polizia si è presentata sul luogo solo dopo 12 ore, e l’aggressione è avvenuta l’8 maggio, nel giorno in cui si commemora la fine della Seconda guerra mondiale.

Nel 2008 Mikael Danielyan, dell’Helsinki Group è stato ferito con una pistola ad aria compressa. Lo si accusava di essere un agente della CIA che vuole destabilizzare l’Armenia instillandovi l’omosessualità. E questo è uno dei nuovi filoni dell’omofobia in Armenia ma anche altrove: il discorso gender sarebbe un’aggressione colonizzante occidentale che attenta alle tradizioni patriarcali. Perché, come scriveva Anna Nikoghosyan, oggi in Armenia gender is geopolitical . Difendere i diritti gay significherebbe quindi ascrivere la propria posizione geopolitica a un ipotetico blocco culturale euroatlantico in opposizione al mondo eurasiatico ove le società troverebbero la propria solidità sociale non nell’inclusività ma nella perpetuazione del modo di vivere affermatosi nel passato. Insomma, non una questione di sofferenza individuale e diritti negati a intere fette di cittadini, ma di scelta di blocco, con grosse approssimazioni, peraltro. Così si fa geopolitica sulla pelle delle persone.

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