Armenia, dopo le proteste di massa il primo maggio viene eletto il nuovo primo ministro (Left.it 27.04.18)

ventolano le stoffe del tricolore armeno al vento della vittoria, le bandiere rimangono nei pugni dei ribelli  in festa nelle piazze di Erevan. Primo maggio, festa dei lavoratori: è quando il Parlamento dell’ex repubblica sovietica dell’Armenia ha dichiarato di eleggere un nuovo primo ministro, dopo le dimissioni dell’ex premier Serzh Sargsyan per le proteste di massa che hanno inondato le strade del Paese.
I manifestanti, che non hanno ancora abbandonato le strade dall’inizio delle proteste d’aprile, urlano il nome dell’uomo che ha dato inizio a tutto questo: Nikol Pashinian, il leader dell’opposizione. Piazza della Repubblica nella Capitale non tornerà vuota se non quando Pashinian sarà il nuovo premier e il partito repubblicano tutto, che siede ancora in Parlamento, non avrà seguito l’esempio dell’ex primo ministro Sargsyan.

Pashinian ha chiesto che il potere venga ora trasferito ad un «primo ministro del popolo, con elezioni lampo, non permetteremo a questo sistema corrotto di esistere, rimanete in piazza, dobbiamo finire la rivoluzione di velluto». La primavera del Caucaso del Sud sa di non aver ancora completamente vinto e le piazzde non si sono ancora svuotate.
«La rivoluzione di velluto non è finita, spero che voi siate qui per la vittoria finale». Pashinian non si è ancora tolto la maglia mimetica che ha indossato dal primo giorno delle proteste a Erevan, quando ha abbandonato giacca, cravatta, Parlamento e ha cominciato ad invitare il suo popolo ad occupare le strade. Pashinian urla da quasi due settimane al megafono bianco, stesso colore delle bende sulla sua mano rotta durante le proteste. È stato la testa d’ariete contro l’uomo più potente del Paese. Quando ha accusato Sargsyan di manipolare la costituzione a suo favore per mantenere il potere, lo hanno messo in carcere. Fino a lunedì scorso contava le sbarre della cella, dove era stato rinchiuso per aver commesso “atti pericolosi contro la società”. Poi, dopo 24 ore, è uscito e da liberato, il rivoluzionario Pashinian, è stato acclamato liberatore della nuova Armenia. “La nuova Armenia” è quello per cui adesso tutti i blocchi politici della nazione devono lavorare, ha detto il presidente dello Stato Armen Sargsyan.
Gli armeni non vanno più a dormire, rimangono in strada, non sono andati via nemmeno quando il convitato di pietra d’epoca sovietica Serzh Sargsyan, se n’è andato. Gli urlavano “Serzh, vattene!” e lui, prima presidente per dieci anni, poi primo ministro dopo una riforma costituzionale ad personam per il mantenere il potere, – approvata con un referendum nel 2015 -, ha obbedito.

«Nikol Pashinyan ha ragione, io torto»: con queste parole ha rassegnato le sue dimissioni l’ormai ex premier Serzh Sargsyan, in cima alla piramide del potere dall’indipendenza del Paese, raggiunta nel 1991. In Parlamento alle spalle aveva il partito repubblicano e quasi alcun avversario. L’opposizione reale era per le strade della sua città e continua a rimanerci. «Questa situazione richiede soluzioni, ma io non ne prenderò nessuna, lascio la carica», ha detto l’ex premier. L’aveva ottenuta lo scorso 9 aprile.
Ora il premier ad interim Karen Karapetyan,  al vertice di transizione, si dimetterà nei prossimi giorni. Ma di Pashinian ha detto: «che vuol dire candidato del popolo? Non conosco nessun Paese dove il primo ministro viene scelto in questo modo. Ci sono le elezioni per farlo. Se è la scelta del popolo, vuol dire che il popolo sceglierà lui».
Dalle lacrime per i gas sparati per disperdere i manifestanti a quelle di gioia. Centinaia di soldati che dovevano reprimere la protesta si sono uniti alla folla negli ultimi giorni. Gli scudi che dovevano levarsi per fermare il popolo in marcia verso il Parlamento alla fine si sono abbassati.
Ieri era una manifestazione non autorizzata, oggi una rivoluzione, domani non si sa. Il Paese è sempre stato nell’orbita del Cremlino, ospita due basi militari russe, è rimasto, – come dicono in Usa – “Moscow-friendly”. Nonostante il cambio di potere, continuerà ad esserlo, assicurano i russi e assicura lo stesso Pashinian. Il presidente Armen Sarkysian invece ha già avuto un colloquio telefonico con Putin. «Anche nei momenti più difficili della storia, siete un popolo unito» ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Ha concluso con: “Armenia, la Russia è sempre con te”.

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>> L’Armenia attende l’elezione del nuovo premier (Euronews 27.04.18)

Armenia, leader proteste Pashinyan: io unico premier adeguato (Askanews.it 26.04.18)

Erevan (Armenia), 26 apr. (askanews) – Il leader delle proteste in Armenia, Nikol Pashinyan, ha escluso ogni possibilità di compromesso con le autorità, affermando che dovrebbe essere eletto primo ministro durante il voto del 1 maggio.

“Se non sarò eletto primo ministro, allora l’Armenia non avrà affatto un primo ministro”, ha detto durante un comizio nella capitale Erevan.

Armenia: ministro Esteri a Mosca (Ansa.it 26.04.18)

(ANSA) – MOSCA, 26 APR – Il ministro degli Esteri armeno Edward Nalbandian è a Mosca per colloqui informali con “funzionari russi”. Lo riporta Interfax che cita sue fonti. “Il ministro degli esteri dell’Armenia è arrivato a Mosca mercoledì sera e oggi è prevista una serie di incontri con funzionari russi”, ha detto una delle fonti. Le questioni riguardanti la crisi politica interna in Armenia e le relazioni russo-armene domineranno l’agenda dei prossimi incontri, ha detto la fonte.


Mosca: con Armenia continuiamo ad avere contatti diplomatici

Mosca, 26 apr. (askanews) – “Con l’Armenia continuiamo ad avere contatti, diplomatici”. Lo ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, mettendo in risalto che nonostante i disordini e le dimissioni del premier armeno, i rapporti tra i due popoli “attraverso la diplomazia” restano.

Armenia, comincia la transizione? (Riforma.it 26.04.18)

Finita l’esperienza di governo di Sargsyan, rimane molto da fare in un Paese in cui il potere resta concentrato in pochissime mani. Il commento del giornalista Simone Zoppellaro

Dopo dieci giorni di manifestazioni pacifiche e dieci anni di potere, lunedì 23 aprile sono arrivate le dimissioni del primo ministro armeno Serzh Sargsyan, accusato di aver trasformato il Paese in uno Stato autoritario. Il premier, che era stato presidente negli ultimi dieci anni, aveva promosso un referendum per trasformare il Paese da repubblica presidenziale a parlamentare e si era fatto nominare primo ministro, in modo da aggirare il limite di due mandati presidenziali e mantenere intatta la propria posizione al vertice dell’Armenia. Domenica 22 il primo ministro aveva inoltre fatto arrestare tre importanti leader dell’opposizione, tra cui il capo delle proteste Nikol Pashinyan, liberato poi il giorno dopo, con l’accusa di aver commesso “atti socialmente pericolosi”.

Le proteste sono state pacifiche e organizzate prevalentemente dal basso e rappresentano un fenomeno raro di manifestazioni di massa di successo nelle repubbliche dello spazio post-sovietico, al punto che le dimissioni di Sargsyan sono state accolte con entusiasmo non solo tra le strade di Erevan, ma anche dalle comunità armene in diaspora in tutto il mondo. Ora, però, secondo i manifestanti è necessario che si vada verso elezioni realmente democratiche, che portino a una trasformazione della politica armena, percepita come corrotta e controllata da poche persone, realmente al potere da decenni. Il vicepremier Karen Karapetyan, che ha assunto l’incarico di primo ministro ad interim, ha dichiarato che è pronto a dichiarare lo stato di emergenza, se necessario, ma ora è sotto pressione per mantenere la promessa di elezioni anticipate. In una nota, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha invitato «tutti gli attori a continuare ad esercitare moderazione e dare priorità al dialogo».

Simone Zoppellaro, giornalista esperto di Armenia, autore del libro Armenia oggi, Drammi e sfide di una nazione vivente, racconta che «queste proteste sono state decisive e senza precedenti».

In che senso?

«L’Armenia è stata segnata negli ultimi anni a cadenza annuale da una serie di proteste importanti di cui si è anche parlato a volte in Europa, ma nulla di simile si era mai visto da un punto di vista numerico: le stime dell’opposizioni parlano di manifestazioni da 100.000 persone in un Paese da tre milioni di abitanti».

Quali sono le prospettive ora?

«Bisogna stare attenti a non abbandonarsi ai trionfalismi in questo momento. Se è vero che Sargsyan, al vertice per quasi dieci anni come presidente e ora come primo ministro con le stesse funzioni e gli stessi poteri, si è dimesso, una transizione armena è ancora agli albori, ammesso che avvenga davvero. La struttura del potere armeno è nelle mani di pochi oligarchi ed è tutt’ora nelle mani del partito repubblicano di cui Sargsyan è solo un rappresentante. Insomma, la piazza ha avuto un grande peso, ma dobbiamo stare ancora attenti».

L’Armenia guidata da Sargsyan era saldamente alleata della Russia: quanto sta accadendo in questi giorni potrebbe mettere in discussione questo rapporto, magari avvicinando l’Armenia ai Paesi occidentali?

«Non credo, ci si abbandona molto spesso a queste visioni geopolitiche perché non si conosce la realtà dall’interno. In un comunicato il Cremlino afferma che questa è una questione interna armena e al momento senza dubbio lo è, non ci sono state caratterizzazioni che facciano pensare a un cambiamento geopolitico dell’Armenia, che sarebbe assai problematico per la presenza di basi russe. Non tanto per una questione di sicurezza russa, quanto per il punto fondamentale dell’appoggio militare della Russia nei confronti dell’Armenia per la questione del Nagorno–Karabakh, così come per la questione mai risolta con la Turchia relativa al genocidio e alle tensioni del presente. Insomma, la questione di un passaggio geopolitico dalla Russia all’Occidente non è assolutamente sul tavolo e non è neanche una richiesta dell’opposizione, che parla di questioni interne, sociali ed economiche».

Quale dovrà essere il punto di partenza per l’agenda del nuovo primo ministro?

«Il cambiamento dev’essere socioeconomico e politico insieme. L’Armenia è comunque un Paese relativamente democratico comparato ad altri vicini, ad altre realtà cosiddette post-sovietiche: ci sono stati altri cambiamenti di potere, quello avvenuto grazie alla piazza negli ultimi giorni non è l’unico in questi 27 anni di indipendenza dall’Urss. Ci sono state diverse figure al potere come presidenti, ci sono stati diversi partiti al potere. Il punto è più complesso: l’Armenia è un piccolo Stato con due confini chiusi: da un lato con la Turchia e da un lato con l’Azerbaijan. Inoltre è un Paese la cui struttura sociale e soprattutto economica è nelle mani di pochissime persone, gli oligarchi, che hanno in mano tutte le leve dell’economia e di conseguenza anche tutte le leve della politica. Non è semplice immaginare un cambiamento in questi termini: anche qualora la politica subisse un cambiamento drastico negli assetti di potere, e non è ancora accaduto, questo dovrebbe produrre però una serie di cambiamenti a catena che finiscano di strutturare diversamente la società armena, perché se non esiste classe media e se esiste solo una piccola classe di persone che hanno in mano tutto è davvero difficile immaginare che l’Armenia di oggi possa cambiare».

Martedì 24 si sono svolte le celebrazioni per i 103 anni dal genocidio armeno compiuto dalle truppe dell’Impero ottomano. In una situazione politica così volatile questa celebrazione è stata un elemento di unione o di divisione?

«Sicuramente è stato un elemento di unione ed è stato anche un elemento determinante, indirettamente, per la caduta del primo ministro Sargsyan. Non a caso, le dimissioni sono arrivate il giorno prima, questo anche per una ragione di ordine pubblico, perché qualora queste manifestazioni, a cui ho preso parte diverse volte, che coinvolgono a loro volta decine di migliaia di persone, si fossero incrociate con la protesta, anche da un punto di vista numerico per la piccola Armenia sarebbe stata una cosa davvero esplosiva. Immaginare di avere degli scontri, magari anche dei morti, nel giorno delle commemorazioni per il genocidio sarebbe stato davvero un trauma che avrebbe potuto aprire pagine inquietanti da guerra civile. Le dimissioni del premier avvenute il giorno prima sono senza dubbio riferibili anche a questo, considerando che parte dei militari proprio il giorno prima delle commemorazioni del genocidio avevano deciso di raggiungere la protesta. La manifestazione per commemorare il genocidio è stata una pagina di unione per l’Armenia, lo è sempre stata, è un punto fondamentale dell’identità armena contemporanea nel Paese e nella diaspora, ma avrebbe potuto rischiare di essere invece una pagina decisamente preoccupante. Per fortuna è andata bene, è stata una scelta di responsabilità da parte del potere, che ha decisamente le sue colpe ma che in questo frangente ha evitato lo scontro aperto ed è stato saggio, per così dire».

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Armenia: il primo maggio parlamento voterà nuovo premier (Agenzianova 26.04.18)

Erevan, 26 apr 15:50 – (Agenzia Nova) – Nel mentre si è acceso il dibattito in vista del voto. Eduard Sharmazanov, portavoce del Partito repubblicano dell’Armenia (Pra, al governo) e vicepresidente del Parlamento, ha dichiarato che il suo gruppo “discuterà la questione del candidato del partito all’incarico di primo ministro entro i termini previsti dalla Costituzione, incluso il 30 aprile, e prenderà una decisione congiunta”. “Qualsiasi decisione prenderemo sarà condizionata esclusivamente all’interesse statale dell’Armenia e al servizio degli interessi dei cittadini armeni, tenendo conto della priorità della sicurezza nazionale e della stabilità interna. Siamo una forza politica per cui l’interesse dello Stato e della patria è al di sopra di tutto”, ha detto Sharmazanov. (segue) (Res)

Che novità ci sono in Armenia (Il Post 26.04.18)

Il Parlamento dell’Armenia eleggerà un nuovo primo ministro il primo maggio, dopo le sorprendenti dimissioni di Serzh Sargsyan, che governava il paese da dieci anni e che è stato costretto a lasciare il potere dopo grandi proteste di massa che vanno avanti da giorni. Secondo gli osservatori e i giornalisti locali, il favorito alla successione è Nikol Pashinyan, il capo delle proteste che hanno portato alle dimissioni di Sargsyan, lunedì.

Le grandi proteste che hanno interessato la capitale dell’Armenia Yerevan e altre città del paese sono state interrotte martedì per commemorare il genocidio armeno, ma sono riprese mercoledì. I manifestanti hanno continuato a chiedere una riforma dello Stato, trasformato secondo loro in un regime autoritario da Sargsyan. L’ex primo ministro, infatti, era stato presidente per due mandati, a partire dal 2008: non potendo ricandidarsi, aveva promosso un referendum per trasformare il paese in una repubblica parlamentare (da semi-presidenziale che era), assegnando i maggiori poteri al primo ministro. Dopo aver vinto il referendum, aveva tradito le proprie promesse facendosi eleggere primo ministro dal Parlamento, ampiamente sotto il suo controllo.

Dopo le grandi proteste, Sargsyan aveva annunciato le sue dimissioni con un comunicato giudicato sorprendente e insolitamente accomodante dalla maggior parte degli osservatori: aveva infatti scritto che Pashinyan aveva ragione, e che voleva soddisfare le richieste dei manifestanti. Le proteste di piazza erano comunque continuate, guidate da Pashinyan che ha dettato le condizioni per la transizione del potere: ha detto che il suo è un movimento pacifico e che non cerca vendette contro Sargsyan, ma che pretende «la nomina di un primo ministro del popolo», la formazione di un governo provvisorio ed elezioni anticipate (le ultime si sono tenute l’anno scorso).

Secondo gli osservatori, Pashinyan si riferisce a se stesso quando parla di «primo ministro del popolo»: il suo piano è farsi nominare dal Parlamento, approvare alcune riforme al sistema elettorale e poi convocare nuove elezioni democratiche. Dopo le dimissioni di Sargsyan, il primo ministro reggente Karen Karapetya ha provato a conservare il potere, ma Pashinyan ha convocato nuove manifestazioni per chiedere la rimozione dal potere dell’intero Partito Repubblicano, cioè quello di Sargsyan, erede del Partito Comunista e che governa il paese dall’indipendenza. L’hashtag associato alle proteste è cambiato da #RejectSerzh (“Rifiuta Serzh”) a #RejectHHK, l’acronimo del Partito Repubblicano.

Mercoledì la Federazione Rivoluzionaria Armena (ARF), un partito di ispirazione socialista alleato di governo del Partito Repubblicano, ha lasciato la maggioranza e si è schierato dalla parte dei manifestanti. Lo stesso ha fatto Armenia Prosperosa, il secondo maggiore partito del paese, che aveva a lungo tenuto una posizione ambigua.

In molti sono stati sorpresi dalla facilità con la quale Sargsyan e il Partito Repubblicano, abbia ceduto alle richieste dei manifestanti. Il fatto, però, è che si è ritrovato all’improvviso senza pavimento sotto ai piedi: isolato politicamente ed evidentemente impopolare. Le principali forze politiche hanno mollato il Partito Repubblicano quando hanno capito che la situazione era irrecuperabile, e sembra che lo stesso partito di Sargsyan stia cercando il dialogo con i manifestanti per limitare i danni. Mercoledì sera, scrivono i giornali locali, Sargsyan ha incontrato i dirigenti del Partito Repubblicano, decidendo le proprie dimissioni da presidente del partito e sostenendo la necessità di dialogare con Pashinyan, forse addirittura per votarlo come nuovo primo ministro.

Parlando in piazza, Pashinyan è sembrato in effetti suggerire che ci siano dei parlamentari Repubblicani che potrebbero sostenere la sua candidatura. Se le forze di opposizione votassero compatte, avrebbero bisogno di sei parlamentari Repubblicani per avere la maggioranza. Pashinyan ha però ribadito che nel nuovo governo non ci dovranno essere Repubblicani, e se il partito di Sargsyan proporrà un proprio candidato a primo ministro i manifestanti circonderanno il Parlamento.

Pashinyan è da almeno un decennio tra i più attivi oppositori politici di Sargsyan, prima come giornalista e poi come politico. Dopo le violente proteste del 2008, quando Ter-Petrosyan perse le elezioni contro Sargsyan, Pashinyan dovette nascondersi dalla polizia. Decise poi di costituirsi, e dopo due anni di carcere fu liberato per un’amnistia politica. Attualmente è a capo di Yelk, una nuova formazione politica considerata erede del Congresso Nazionale Armeno, che alle ultime elezioni ha preso meno dell’8 per cento e ha 9 seggi in parlamento.

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Mosca minimizza ma Erevan rischia di essere un’altra Kiev (Il Manifesto 26.04.18)

Tornano ad addensarsi pesanti nuvole nere nel cielo di Erevan. La speranza che le dimissioni del premier Sargsyan potessero portare a una transizione ordinata, dopo dieci anni di regime clientelare e corrotto, sembrano tramontare.

LE COSE NON SI ERANO MESSE sui binari giusti sin dalla mattinata di martedì. Il primo ministro ad interim Karen Karapetyan e il leader dell’opposizione Nikol Pashinyan si sono incrociati senza parlarsi alle commemorazioni per ricordare il genocidio ottomano del 1915 che condusse alla morte di un milione e mezzo di armeni. Nel pomeriggio Pashinyan è tornato a chiedere la poltrona di primo ministro e l’immediato scioglimento del parlamento. Proposta respinta dal Partito Repubblicano.

LA RINNOVATA RESISTENZA del Partito Repubblicano ai diktat dell’opposizione è giunta dopo la verifica della tenuta del suo gruppo parlamentare: nessuno dei suoi 58 deputati, che gli garantiscono ancora la maggioranza assoluta in parlamento, si è detto pronto a cambiare casacca: una compattezza su cui solo 24 ore prima non avrebbe scommesso nessuno.
Pashinyan si è quindi appellato ancora alla popolazione, proclamando una nuova mobilitazione generale per il giorno dopo. «Hanno sacrificato il presidente Sargsyan pur di non cambiare nulla. La lotta non è ancora finita», ha dichiarato. E ieri cortei e blocchi sono ripresi con maggior intensità. Assedio del parlamento ma non solo: bloccate dai dimostranti anche l’autostrada per la Georgia e quella che porta all’aeroporto.

IL NUOVO BRACCIO DI FERRO non riguarda però solo gli equilibri interni al paese ma soprattutto la sua collocazione internazionale. Pashinyan non ha mai nascosto la volontà di allineare il paese all’Occidente e ieri ha incontrato gli emissari dell’Ue e ha ha ricevuto parole di incoraggiamento dal Dipartimento di Stato americano.
Al termine della riunione, Pashanyan dopo alcune frasi di circostanza ha definito la sua agenda di politica estera. «Con la Russia abbiamo dei problemi – ha esordito Pashanyan con il piglio di chi si sente già premier – e non solo perché continua a vendere armi all’Azerbaigian».

IL LEADER DELL’OPPOSIZIONE ha affermato di non avere problemi con le basi militari russe presenti in Armenia (secondo gli accordi siglati nel 2010 l’esercito russo potrà restare nel paese fino al 2044) ma Mosca dovrà chiarire quali rapporti intende mantenere con la Turchia. Un approccio difficile da digerire al Cremlino, visti gli ottimi rapporti diplomatici e commerciali con Ankara degli ultimi tempi.
Mosca per ora mantiene la posizione prudente tenuta sin dall’inizio della crisi a Erevan. Peskov, portavoce ufficiale di Putin, ha detto di augurarsi che «il paese rimarrà nell’ordine e nella stabilità e che in un futuro molto prossimo, potremo comprendere quale sarà la nuova configurazione politica del paese». Peskov ha anche dichiarato di non vedere alcun parallelo tra la situazione armena attuale e quella ucraina di quattro anni. Tuttavia a Mosca qualcuno comincia a scalpitare. Ieri un deputato alla Duma si è dichiarato convinto dell’inaffidabilità di Pashanyan: «fa il doppio gioco: per il momento vuole continuare ad ricevere il nostro petrolio per poi passare con l’Occidente».

UN TIMORE non certo frutto di inguaribile diffidenza. In conferenza stampa Pashanyan ha affermato infatti di voler uscire dall’Unione Euroasiatica a guida russa, anche se ha precisato che la decisione «dovrà essere sottoposta a referendum popolare».

Sullo sfondo la ferita ancora aperta del Nagorno-Karabakh. La regione, contesa tra Azerbagian e Armenia, fu al centro di un conflitto i tra due paesi che si prolungò per due anni dal 1992 al 1994. Oggi la regione esiste come Repubblica de facto ma i negoziati per risolvere il conflitto non sono mai iniziati. Lunedì il ministero degli esteri azero ha intimato all’Armenia di «non cercare di sfruttare la contingenza politica per annettersi la regione» e ha rigettato l’accusa di Erevan di aver fatto ammassare alcuni reggimenti del proprio esercito al confine.

Celebrato a Milano l’anniversario del genocidio del popolo armeno (Laprimapagina.it 26.04.18)

Il Presidente del Consiglio comunale, Lamberto Bertolé, ha preso parte alla cerimonia civile in memoria del 103simo anniversario del dramma del popolo armeno. La cerimonia si è svolta davanti al Khachkar.

La Croce di pietra simbolo della cultura armena cristiana si trova a Milano in piazza Sant’Ambrogio. Qui sono stati deposti fiori e corone in memoria delle vittime.

La città di Milano negli anni ha accolto e ospitato con generosità gli armeni in diaspora e sino ad oggi ha sostenuto in molte occasioni l’impegno di far vivere la memoria storica degli armeni. E’ un popolo che nei secoli, grazie alla sua identità religiosa e culturale, è stato capace di rinascere, rinnovarsi e guardare al futuro.

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“Chi si ricorda oggi dello sterminio degli armeni?” (Notizieitalianews 26.04.18)

È la frase che Adolf Hitler pronunciò nel 1939, quando ordinò di procedere per la “soluzione finale”, quindi con lo sterminio degli ebrei. Qualcuno provò ad eccepire che sterminare milioni di ebrei non sarebbe passato inosservato, ma il Führer sentenziò: “Chi si ricorda oggi dello sterminio degli armeni?”.

Il Novecento è stato un secolo in cui, tra le altre cose, sono state perpetrate stragi efferate, è stato il secolo delle due Guerre Mondiali e dell’utilizzo a fini bellici dell’energia atomica.
Un secolo in cui si sono contati milioni di morti, quasi tutti i continenti sono stati coinvolti.
All’inizio di questo tempo così doloroso, il popolo degli armeni fu vittima di un grande massacro.
Il 24 aprile è stato il 103° anniversario del “Metz Yeghern” (il Grande Male), che causò la morte di 1 milione e mezzo di armeni e diede inizio alla diaspora dei sopravvissuti.
In quel giorno, il governo dei “Giovani Turchi” diede l’ordine di arrestare, con una enorme campagna di polizia, tutta l’élite armena: dagli intellettuali ai medici, dai religiosi ai politici e tutti coloro che erano sospettati, oppure denunciati, di aver manifestato sentimenti o idee nazionaliste ostili ai turchi. Furono arrestati e poi uccise poco più di seicento persone.
Nessuno volle o ebbe modo di protestare in maniera veemente o ufficiale: in Europa era in corso la Grande Guerra e le relazioni fra gli stati erano quasi del tutto interrotte.
Si alzò la voce della Chiesa armena, ad opera del patriarca Zaven Ter-Eghiyan, il quale chiese che fosse fermata la campagna di deportazione, ma non ottenne risultati.
Un mese dopo l’arresto degli intellettuali e dell’élite armena, il ministro dell’interni turco chiese di promulgare una legge speciale per attuare la deportazione degli armeni e la confisca dei loro beni.
L’intento era quello di colpire tutti i cristiani che vivevano dell’impero ottomano: i siriaci, i cattolici armeni, i caldei, anche gli assiri. Gli armeni vivevano in maggioranza in piccole comunità, talvolta isolate nelle campagne, tra la terra e il campanile; cioè, tra le terre da coltivare quotidianamente e il monastero in cui andavano regolarmente a pregare.
Si diede inizio ad una vera e propria caccia a tutti gli armeni: la maggioranza degli uomini furono uccisi. Furono massacrati nelle città, nei villaggi in cui vivevano, oppure furono deportati con marce terribili verso il deserto, dove i sopravvissuti furono poi fatti morire.
Assieme all’eliminazione della comunità armena, furono distrutte le chiese e i monasteri dove per secoli avevano pregato: fu attuata l’eliminazione della diversità che i cristiani avevano rappresentato per diversi secoli all’interno dell’Impero Ottomano. La diversità era divenuta la loro colpa, la minaccia che era stata fomentata davanti all’insorgere del nascente nazionalismo razzista e cieco che stava prendendo piede e la diversità divenne così un male da estirpare.
Il grandissimo sociologo Zygmunt Bauman, recentemente scomparso, nel volume “Modernità ed Olocausto” ha scritto di riconoscere nei genocidi un fattore nuovo, moderno: l’identificazione di un gruppo da criminalizzare e da annientare “in quanto tale”. Non ci si trova, dunque, di fronte a un nemico da sconfiggere perché latore, nello specifico, di una colpa, di una responsabilità, ma solo perché esiste.
Così, far memoria di storie anche lontane alla nostra cultura o origini, è comunque benefico per chiunque, permette di ricordare e sottolinea quanto sia necessario, fondamentale lavorare sempre per la pace e favorire la convivenza tra genti diverse, specialmente quando si vive in un tempo di pace e di coabitazione.
Germano Baldazzi

Rassegna stampa articoli del 24 aprile 2018

Armenia ritrova l’unità nell’anniversario del genocidio (Diarioweb-it 24.04.18)

Erevan (Armenia), 24 apr. – L’Armenia divisa politicamente, all’indomani delle dimissioni di Serzh Sarkisian dà prova di unità nell’anniversario del massacro di 1,5 milioni di armeni sotto l’impero ottomano nel 1915.

Le commemorazioni del genocidio armeno sono ricorrenza sentitissima nel Paese caucasico e gli armeni sono confluiti da tutto il Paese verso il memoriale di Tsitsernakaberd, la collina delle rondini a Erevan, con fiori e foto, per onorare le vittime della mattanza dei tempi della Prima guerra mondiale.

L’evento cade quest’anno all’indomani delle dimissioni dalla carica di premier dell’ex presidente Sarkisian, gesto che ha spiazzato il Paese a soli 10 giorni dalla sua nomina, sulla scia di proteste promosse dall’opposizione capeggiata da Nikol Pashinyan.

Ma oggi, quella che doveva essere una nuova puntata delle manifestazioni di protesta, con Pashinyan a guidare un corteo sino al memoriale, è diventata un atto di unificazione: il leader dell’opposizione ha annunciato che avrebbe marciato assieme al neo-premier ad interim Karen Karapetyan. Entrambi hanno chiamato il Paese a restare unito.


Presidente armeno rende omaggio a vittime del genocidio del 1915 (Askanews 24.04.18)

Roma, (askanews) – Il presidente armeno Armen Sarkissian ha reso omaggio alle vittime del genocidio armeno, a Erevan, 103 anni dopo il massacro di 1,5 milioni di armeni da parte delle forze ottomane nel 1915. La giornata di omaggio segna una pausa nella crisi politica che ha visto le dimissioni del premier Serzh Sarkisian dopo giorni di protesta.

“Sono piena di speranza ora, vedo quanti giovani vengono qua e vedo il cambiamento di mentalità che sta avvenendo, e spero che il nostro futuro sia ricco di cose buone”.

“Oggi sono qui per commemorare il nostro passato di lotta, e come la nostra gente è stata capace di sopravvivere, ora abbiamo vinto e siamo qui per dimostrare a tutto il mondo che siamo forti”.

“E’ tardi, ma meglio tardi che mai. E’ buono che tutto avvenga in un’atmosfera pacifica, grazie al nostro popolo”.

 


Il genocidio degli armeni. “Come si fa a dimenticare?” (La Stampa 24.04.18)

Incontro con uno degli ultimi sopravvissuti allo sterminio a opera dei turchi: “Ma tra di loro ci sono brave persone”

«Avevo sei anni quando siamo scappati dalla nostra casa di Kars. Non siamo più tornati, da quel giorno la nostra è stata una vita violata». Andranik Matevosyan, 106 anni, parla con disarmante lucidità di cose vissute un secolo fa. È un sopravvissuto – uno dei pochissimi ancora in vita – del genocidio armeno, lo sterminio sistematico su base etnica condotto dall’Impero ottomano prima, e dalla Repubblica di Turchia dopo.

Roma, 24 apr. (askanews) – Su proposta della consigliera di Fdi Rachele Mussolini l’Assemblea capitolina ha osservato in apertura di seduta un minuto di silenzio in ricordo del genocidio armeno. “Oggi 24 aprile ricorre l’anniversario del genocidio armeno 1915-16, nonostante nessuno dei canali ufficiali del Comune lo abbia ricordato”, ha lamentato la consigliera Mussolini per motivare la sua richiesta.

Genocidio armeni, assessore lombardo Galli: vicini a loro comunità (Diarioweb.it 24.04.18)

Milano, 24 apr. – “Desidero esprimere tutta la mia vicinanza morale alla comunità armena di Milano e all’Unione armeni d’Italia e, naturalmente, a tutte le comunità armene nel mondo, in questo giorno in cui si celebra il ricordo dell’immane tragedia che ha colpito questo popolo nel XX secolo”. E’ quanto ha dichiarato l’assessore all’Autonomia e alla Cultura di Regione Lombardia, Stefano Bruno Galli, ricordando “un genocidio che ha causato oltre un milione e mezzo di vittime innocenti, iniziato con gli arresti di quella famigerata notte a Costantinopoli, tra il 24 e il 25 aprile del 1915, con centinaia di migliaia di persone giustiziate, deportate, morte di stenti: si trattò di una repressione (senza eguali) contro la libertà di un popolo, contro la sua sacrosanta aspirazione all’autodeterminazione, contro la sua antica Chiesa apostolica”.

“Una persecuzione che si configurò come il tragico preludio e come l’anticipazione di un secolo che sarebbe stato segnato in profondità dai genocidi” ha rimarcato l’assessore, aggiungendo “auspico che al più presto anche il governo turco di Ankara (per quanto abbia recentemente fatto dei piccoli passi in avanti in questa direzione) arrivi a riconoscere, nelle motivazioni e nelle dimensioni messe a fuoco dagli storici, il genocidio armeno”. “Negarlo significa voltare le spalle alla storia – ha concluso – negarlo significa far morire tutte quelle vittime una seconda volta, il 24 aprile di ogni anno”.


Ricordate le vittime del genocidio armeno: commemorazione a Palazzo Moroni (Padovaoggi.it 24.04.18)

Si è svolta di fronte a Palazzo Moroni la cerimonia di commemorazione del genocidio armeno. Presenti le più alte cariche cittadine, tra cui il prefetto Renato Franceschelli che ha deposto una corona di fiori sotta la targa presente nel cortile del Municipio.

Il ricordo

Sono intervenuti il vice sindaco Arturo Lorenzoni, il vice presidente della provincia Fabio Bui, la presidente associazione Italia Armenia Flavia Randi, Vartan Giacomelli della stessa associazione e padre Grigorian Zakevos che è rappresentante della Congregazione Mechitarista Isola Armeni Venezia.


Genocidio armeno: Aleppo in piazza contro la Turchia (Cagliaripad.it 24.04.18)

«Il cittadino armeno non ha mai perdonato che si sia sgozzato suo padre sulla montagna curda, ma lui ti ama perché neppure tu hai mai perdonato a coloro che hanno marchiato con questa nera macchia la fronte del popolo turco». Così scriveva il  poeta turco Nazim Hikmet in memoria del genocidio armeno.

Era il 24 aprile del 1915 quando, nelle vaste terre dell’Impero Ottomano, circa seicento notabili armeni venivano assassinati per ordine dell’allora governo dei Giovani Turchi. Da quel momento fu una tragedia immane per il popolo armeno.

Per ricordare questo genocidio la popolazione di Aleppo in Siria, nella giornata di ieri e oggi ha manifestato contro la Turchia e per non dimenticare quell’olocausto.

Le celebrazioni sono state organizzate dalla comunità siro armena di Aleppo e si sono svolte senza alcun incidente.


Roma, 24 apr 17:00 – (Agenzia Nova) – Turchia: Erdogan, il paese ha responsabilità di condividere “storico dolore” degli armeni per eventi della prima guerra mondiale – È responsabilità della Turchia condividere lo “storico dolore” del popolo armeno per le misure adottate dalle autorità ottomane contro i sudditi armeni durante la prima guerra mondiale. È quanto afferma il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, in un messaggio alla Chiesa armena di Istanbul inviato oggi. Nella giornata odierna, gli armeni commemorano le vittime di quello che ritengono il genocidio condotto nei loro confronti dall’Impero ottomano tra il 1914 e il 1923. Nel suo messaggio, Erdogan offre le proprie condoglianze ai discendenti “degli armeni ottomani che hanno perso la vita” durante la prima guerra mondiale. “Per la Turchia, è responsabilità di coscienza e morale condividere lo storico dolore dei nostri cittadini armeni”, dichiara Erdogan nel suo messaggio. Il presidente della Turchia aggiunge: “Continueremo a condividere il vostro dolore e proveremo a risolvere i nostri problemi in futuro”. (segue) (Res)


La Turchia nega ancora il Genocidio degli Armeni. I Curdi a rischio? (secoloditalia 24.04.18)

Il 24 aprile del 1915, oltre un secolo fa, prendeva il via il Medz Yeghern, il “grande crimine” in lingua armena, ossia quello che oggi conosciamo come il genocidio degli Armeni. Nel 1915 e nel 1916 si consumava uno dei più grandi massacri etnici della storia: si calcola che l’Impero ottomano soppresse un milione e mezzo di Armeni e ne deportò un numero anche superiore. Ma a un secolo di distanza gli eredi dell’Inpero ottomano, impero espansionista e imperialista per definizione, ossia i Turchi, negano ancora che il genocidio sia mai avvenuto. Cosa in realtà oramai un po’ difficile da negare, poiché tutti gli storici concordano sulle modalità dello sterminio. Oltre a libri, film, documentari, dedicati alla tragica vicenda. Diversamente da altri stermini, questo degli Armeni fu oscurato per decenni, dapprima per ragioni di politica estera, non si voleva infastidire la Turchia, e poi perché anche l’Unione Sovietica negli anni successivi, attuò i medesimi metodi, non tanto con gli Armeni, quanto con gli Ucraini e gli altri popoli dell’Urss non russi, che subirono uccisioni di massa e deportazioni massicce. Fu solo dopo il crollo del comunismo e l’indipendenza dell’Armenia, proclamata nel 1990 e riconosciuta nel 1991, che l’olocausto armeno iniziò a essere conosciuto al di là delle comunità della diaspora armena.

Lo sterminio anticipato da una campagna d’odio

Lo sterminio fu anticipato da una campagna d’odio contro gli Armeni, che si concretizzò con la presa del potere dei cosiddetti Giovani Turchi, che già prima della Grande Guerra mostrarono ostilità verso gli Armeni temendo che potessero allearsi con i russi, tradizionali nemici degli Ottomani. Il genocidio degli Armeni fu anticipato da un massacro di 30mila Armeni nel 1909 in Cilicia, nel sud dell’attuale Turchia. Ma lo sterminio partì nel 1915, sia per la proclamazione della jihad da parte del sultano Maometto V sia per l’atteggiamento dei Giovani Turchi. In realtà, gli Armeni si trovarono contro tutta la Turchia sia per motivi religiosi, loro erano cristiani, sia per motivi nazionalisti, quindi laici. Per questo non c’è da sorprendersi se molti Armeni turchi disertassero durante la Prima Guerra Mondiale e altri addirittura si arruolassero con i battaglioni armeni dell’esercito imperiale zarista. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 furono arrestati nella zona di Costantinopoli migliaia di intellettuali armeni, le menti pensanti, dapprima deportati verso l’interno e poi massacrati durante la strada. Quelle che in seguito furono chiamate “le marce della morte” furono organizzate da ufficiali tedeschi in collegamento con l’esercito turco e coi miliziani curdi, allora fedeli alleati degli Ottomani. L’alleanza tradizionale tra tedeschi e turchi è proseguita sino ad oggi, basti pensare in Germania vivono cinque milioni di turchi. Qualcuno parla di sterminio più che armeno, cristiano, perché l’intento degli ottomani era di colpire i cristiani più che una determinata etnia. Però gli Ottomani rimproveravano agli Armeni il fatto di non essere fedeli all’Impero di Costantinopoli, cosa che contrastava col progetto della Grande Turchia portato avanti dai Giovani Turchi. Va anche detto che quando la Turchia perse la guerra gli inglesi arrestarono alcune decine di ufficiali turchi per indagare a proposito del genocidio. Tuttavia gli inglesi non trovarono prove riguardo alla volontà di compiere il genocidio.

Sono i curdi il prossimo obiettivo di Ankara?

Ancora oggi la Turchia rifiuta di riconoscere il genocidio armeno, ed è prevista addirittura la prigione per chi lo menzioni. Il comportamento di Ankara è preoccupante, anche perché in questi anni si sta profilando un altro desiderio di genocidio, quello verso i curdi, sottoposti dalla Turchia a una autentica persecuzione, dentro e fuori  i confini nazionali, alla quale va riconosciuto che alcune frange estremiste curde rispondono col terrorismo e con la violenza. I curdi abitano in cinque nazioni diverse, tra cui la Turchia, della quale rappresentano ben il 20 per cento della popolazione. Probabilmente il progetto panturco di Kemal Ataturk vive ancora in Recepì Tayyp Erdogan e nel suo governo, e sta all’Occidente era impedire altri eccessi. Va anche ricordato che l’Unione europea, prima dei recenti atteggiamenti di Erdogan, era desiderosa che Ankara entrasse nella Ue e persino l’Italia, zerbino di Bruxelles, ne auspicava l’entrata. Fortunatamente l’aggressività di Erdogan hanno allontanato la Turchia dall’Europa, dando ragione a tutti coloro che ammonivano sull’ingresso della Turchia in Europa.


Armenia: marcia per commemorare massacro nella Grande Guerra (Euronews.com 24.04.18) Video


Asolo ricorda il 103esimo anniversario del genocidio Armeno (Trevisotoday.it 24.04.18)

ASOLO Nella ricorrenza dell’anniversario del genocidio armeno (24  aprile),  Asolo ricorda la presenza in essa di una piccola comunità che ebbe origine quando, verso la fine dell’Ottocento, l’Arcivescovo Iknadios Gurekian,  Abate della Congregazione dei Padri Mechitaristi di Venezia,  acquistò  Villa Contarini,  a Sant’Anna,  quale residenza estiva del Collegio Armeno Moorat Raphael di Venezia e vi costruì la chiesetta intitolata alla Santa Croce,  con foggia ricalcante la struttura classica della chiesa armena con pianta centrale. La residenza estiva era utilizzata per consentire agli studenti,  provenienti in maggior parte dal Medio Oriente e quindi impossibilitati a ritornare a casa,  di trascorrervi il periodo delle vacanze;  in seguito,  nell’occasione della Commemorazione della Santa Croce,  divenne un ritrovo estivo per le famiglie di ex allievi che in questo modo rinsaldavano vecchie amicizie ricordando il passato. La sua frequentazione si protrasse fino agli anni ’60. La presenza ad Asolo di intellettuali armeni generò una serie di opportunità di contatti con intellettuali italiani gravitanti nella zona. Tra questi va segnalato il Maestro Gian Francesco Malipiero che si è interessato in maniera approfondita alla musica armena.

Tra le personalità vissute ad Asolo piace ricordare l’architetto Leon Gurekian (Costantinopoli 1871 – Asolo 1950), figura di intellettuale e patriota armeno i cui  familiari  perirono  tutti  nel  genocidio.  Ad  Erevan,  odierna  capitale dell’Armenia, nel marzo 2015, è stata inaugurata una mostra a lui dedicata alla quale ha partecipato anche una rappresentanza  asolana che ha portato un messaggio del Sindaco in cui veniva sottolineato il suo impegno e il suo  coraggio  nel  perseguire  l’obiettivo  della  realizzazione  dell’indipendenza della Repubblica Armena.

Dal settembre del 2016, Asolo ha stretto un “Patto di Amicizia” con la città Armena di Jermuk. “Desidero esprimere tutta la mia vicinanza morale alla comunità armena di Jermuk e all’ Unione Armeni d’Italia e, naturalmente, a tutte le comunità armene nel mondo, in questo giorno in cui si celebra il ricordo dell’immane tragedia che ha colpito questo popolo nel XX secolo – dichiara il Sindaco di Asolo, Mauro Migliorini –  un genocidio che ha causato oltre un milione e mezzo di vittime innocenti, con centinaia di migliaia di persone giustiziate, deportate, morte di stenti: si trattò di una repressione (senza eguali) contro la libertà di un popolo, contro la sua sacrosanta aspirazione all’autodeterminazione, contro la sua antica Chiesa apostolica”.