Rainews. Alcuni servizi video direttamente dal Nagorno Karabakh (Rainews24 aprile 2016)

 Il giardino nero del Caucaso: reportage Rainews dal Nagorno Karabakh in bilico su una nuova guerra  Vai al video

Resta tesa la situazione in Nagorno Karabakh. Reportage dal “fronte” di Stepanakèrt  Vai al video

 

Nel Nagorno Karabakh, terra di contesa. Il reportage Vai al video

 

Nagorno Karabakh, “Noi siamo le nostre montagne”. Reportage dalla linea di contatto Vai al video

COMUNICATO STAMPA – PREOCCUPAZIONE DEGLI ARMENI E CONDANNA PER L’AGGRESSIONE AZERA AL NAGORNO KARABAKH

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” esprime profonda preoccupazione per gli attacchi azeri di queste ultime ore al Nagorno Karabakh e nel condannare l’accaduto, chiede la massima attenzione delle istituzioni italiane e dei media affinché l’ennesima grave violazione azera del cessate-il-fuoco abbia immediato termine.

A partire dalla notte scorsa, su tutta la linea di contatto tra Azerbaigian e repubblica del Nagorno Karabakh, vi sono stati numerosi tentativi di penetrazione azera nel territorio armeno anche con utilizzo di carri armati, artiglieria pesante e mezzi aerei leggeri. Numerosi razzi BM 21 Grad sono stati lanciati su insediamenti abitativi prossimi alla linea di confine; queste criminali azioni hanno prodotto la morte di un bambino di dodici anni, il ferimento di altri due (di 15 e 16 anni) nonché di altri quattro adulti in altre villaggi del NK.

La tensione resta altissima e le autorità armene si sono appellate alla comunità internazionale affinché condanni in modo inequivocabile l’aggressione dell’Azerbaigian dietro la cui attività bellica si cela il tentativo di nascondere i gravissimi problemi di libertà e rispetto dei diritti umani del regime di Baku, sordo a tutti i recenti appelli della comunità internazionale e dei mediatori per una composizione pacifica  del contenzioso.

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” auspica che anche l’Italia si unisca alla condanna di tale aggressioni che rischiano di far precipitare la regione in una guerra che oltre a causare immani distruzioni e migliaia di vittime avrebbe conseguenti pesantissime per il comparto energetico da cui l’Italia stessa dipende. Non sarà nascondendo la testa sotto la sabbia o parteggiando per l’Azerbaigian che si potrà evitare la distruzione delle pipe line in caso di conflitto globale.

CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA

www.comunitaarmena.it

Roma, 2 aprile 2016

RadioBattle primo Campionato Europeo delle Radio. Votate Armenia

Riceviamo dall’Ambasciata Armena in Italia e debitamente trasmettiamo:

 

questa volta, complice la primavera,  vi chiediamo di sostenere una radio! Armena, ovviamente.
Domenica 3 aprile in diretta su Rai Radio2 dalle 20 alle 21 ora italiana (dalle 22 alle 24 ora armena), si svolgerà la prima delle due semifinali di RadioBattle, il Campionato Europeo delle Radio oraganizzato da Rai Radio2.

Si sfideranno l’Armenia – con i mitici Tigran e Ani della Public Radio of Armenia – (https://twitter.com/hashtag/radiobattleAM?src=hash) e la Serbia.

Il vincitore andrà in finale e sarà in Italia il prossimo 24 aprile, negli studi di Rai Radio 2, per l’ultima RadioBattle.

Votare è semplicissimo: usate TWITTER e l’hashtag #radiobattleAM

Ricordate, si vota in diretta il 3 aprile dalle 20 alle 21 e si può votare per un numero infinito di volte.
RadioBattle è il primo Campionato Europeo delle Radio che si gioca a colpi di musica su tutto il continente. Otto radio, pubbliche e private, da altrettanti paesi, si affrontano in una battaglia spettacolare ogni settimana in diretta radiofonica da almeno quattro diversi paesi. In ogni appuntamento vari Dj, da città diverse, cercano di conquistare il pubblico internazionale in una battaglia all’ultima canzone. Un incontro di pesi massimi della musica, una gara vera e propria fino all’ultima nota, alla fine della quale sarà nominata una Radio Campione d’Europa 2015. Lo studio centrale che coordinerà tutte le serate sarà quello di Radio2 a Milano, da cui andrà in onda l’arbitro Filippo Solibello

http://www.radio2.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-26597f92-35c9-42bb-8169-d7aad210f22e.html?refresh_ce
https://twitter.com/hashtag/radiobattleAM?src=hash

Diffondete e fate votare #radiobattleAM
Grazie a tutti per l’ascolto!

Stay tuned…

 

Azerbaigian: limitazione di libertà all’autore del libero “Sogni di pietra” Akram Aylisli.

Akram Aylisli autore di Sogni di pietra trattenuto ieri all’aeroporto di Baku per quasi 12 ore Avrebbe dovuto presentare oggi al festival Incroci di Civilità di Venezia il suo libro-denuncia

Nella giornata di ieri abbiamo appreso con sconcerto del fermo all’aeroporto di Baku del nostro autore Akram Aylisli, in partenza per il festival Incroci di Civilità di Venezia. L’intervento della polizia aeroportuale ha voluto mettere il bavaglio a chi, con la sua arte, ha sempre voluto parlare innanzitutto di comprensione fra i popoli. Il 79enne autore avrebbe dovuto presentare in anteprima al Festival Incroci di civiltà di Venezia il libro “Sogni di pietra”, che rappresenta due tragedie: lo scontro etnico-religioso fra armeni e azeri e il mondo violento e pericoloso che si è creato dopo la fine dell’impero sovietico.

L’autore è stato rilasciato in serata ma non potrà comunque lasciare il paese e partecipare al festival veneziano. L’editore Guerini ritiene questo gesto un’intollerabile limitazione della libertà personale ed un ostacolo alla libera circolazione delle idee e alla pacificazione, a maggior ragione in un momento socio-politico nel quale è sempre più necessaria capacità di mediazione. Ricordiamo comunque l’incontro di questo pomeriggio

Giovedì 31 marzo 2016, ore 14.30 Auditorium Santa Margherita Università Ca’ Foscari, Venezia

GIAN ANTONIO STELLA giornalista Corriere della Sera

GIAMPIERO BELLINGERI Università Ca’ Foscari di Venezia

parlano del libro di Akram Aylisli “Sogni di pietra”

Vai al sito della Guerini & Associati

ROMA – 01 marzo 2016 – IX Edizione del riconoscimento giornalistico “Hrant Dink” ad Anna Mazzone e Franca Giansoldati

Il Consiglio per la comunità armena di Roma è lieto di annunciare che

il «Riconoscimento giornalistico italiano Hrant Dink per la libertà di informazione»,

giunto alla sua nona edizione, sarà conferito alle giornaliste

Anna Mazzone (Panorama, radio rai, freelance) e Franca Giansoldati (Il Messaggero)

La cerimonia di consegna del Riconoscimento è prevista per il

1 marzo 2016, alle ore 17.00,

presso

Biblioteca Rispoli – piazza Grazioli, 4.

Scarica l’invito

 

Il riconoscimento ha lo scopo di valorizzare l’opera dei giornalisti che non esitano a parlare di questioni “spinose” qual è per esempio quella del genocidio armeno. Un premio alla libertà di informazione, ma contestualmente, un premio al coraggio ed alla onestà intellettuale, Lo stesso coraggio che ha indotto valorosi uomini, come Hrant Dink, a non tacere.

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Via alla scheda del Premio

A proposito del dietrofront vaticano sulla questione del “Genocidio Armeno”

Abbiamo letto in questi giorni e continuiamo a leggere sia sulla stampa nazionale armena che quella italiana circa la notizia di un comunicato stampa con il quale il Vaticano avrebbe fatto dietrofront sulla questione armena ed avrebbe declassato il genocidio a “tragici eventi del 1915”.
Incuriositi della notizia siamo andati a verificare il contenuto del “comunicato” in questione ed abbiamo appurato che è stato diramato il 3 Febbraio u.s., a margine dell’udienza generale in San Pietro, in occasione della presentazione al Papa di una copia del volume “La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / İlk Çanakkale Zaferi 1657”, da parte dell’autore, Rinaldo Marmara.

Nel comunicato di cui sopra, oltre alla presentazione del volume si fa cenno all’importanza delle “ricerche erudite e dell’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità…”.
Poi si aggiunge che “è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici …. inclusi i tragici eventi del 1915”.
La stessa nota poi prosegue “La memoria della sofferenza e del dolore, sia del lontano passato che di quello più recente, come nel caso dell’assassinio di Taha Carım, Ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede, nel giugno del 1977, per mano di un gruppo terroristico, ci esorta a riconoscere anche la sofferenza del presente e a condannare ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi”.
La nota conclude definendo “particolarmente odiosa e offensiva” la violenza e il terrorismo “commesso in nome di Dio e della religione”.

A seguito di questa “nota” l’astuta diplomazia turca ha dichiarato che il Papa avrebbe fatto dietrofront ed avrebbe declassato il genocidio in “tragici eventi del 1915”, e soddisfatti del passo compiuto, il Ministro degli Esteri ha permesso all’Ambasciatore turco presso la Santa Sede di fare ritorno a Roma, dopo che era stato richiamato per protesta, lo scorso 12 aprile 2015.

A nostro modesto parere, il comunicato stilato in occasione di una semplice presentazione di un libro al Papa, non ha una connessione chiara con le dichiarazioni fatte dal Pontefice, lo scorso 12 aprile 2015, a seguito delle quali uno “tsunami” senza precedenti si abbatte contro la Turchia ed i suoi governanti. Uno tsunami che ancora oggi continua ad avere il suo effetto devastante sulla Turchia che oltre a non voler riconoscere la verità storica del suo passato, viene additata come complice dei gruppi armati dell’ISIS e delle nefandezze da questi compiute, incluse le distruzione dei luoghi di culto dei cristiani, la confisca dei loro beni e la persecuzione attuata nei loro confronti e nei confronti di altre minoranze etniche e religiose.

Alla luce di ciò, riconoscendo che la Santa Sede, per l’alta istituzione morale che rappresenta, non vuole innemicarsi nessuno e vuole intrattenere sani rapporti diplomatici con tutti, anche perché il suo ruolo, per dirla con il Papa, è quello di costruire ponti e non muri, appoggiamo pienamente quanto riportato nel comunicato di cui sopra.

Non vi è dubbio che le “ricerche erudite e l’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità” siano di una grande importanza ed a tal fine apprezzeremmo anche noi “il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate” e di conseguenza condanniamo “ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi” inclusi ovviamente ” la violenza e il terrorismo “commesso in nome di Dio e della religione”.

Altro che dietrofront, questa non è altro che un’altra mossa tattica della diplomazia turca ed una ricostruzione dei fatti studiata a tavolino, nella ricerca di arginare la grave situazione in cui versa la diplomazia turca che negli ultimi mesi sta perdendo colpi e terreno nel consenso internazionale e non sa più a cosa aggrapparsi per non vedersi sottrarre quel ruolo importante che il Sultano Erdogan vorrebbe ritagliarsi nello scacchiere mediorientale, ma che di giorno in giorno diventa sempre più faticoso e complicato.

Ora se la Turchia e la sua diplomazia si accontentano di una “nota” pubblicata a margine di un dono fatto al Papa, ne prendiamo atto.

Però permetterci di fare due precisazioni: quei “eventi tragici del 1915”, il Santo Padre, Papa Francesco, proprio per amore “della verità” e basandosi su documentazione storica inconfutabile, presente anche negli archivi storici vaticani, li ha chiamati per nome e li ha definiti “il primo genocidio del XX secolo”. Non lo ha fatto di nascosto, ma durante una celebrazione pubblica in Vaticano, trasmessa in mondovisione, da Lui stesso presieduta, in occasione del centenario del genocidio armeno ed in onore dei martiri armeni.

La seconda è che nello stesso momento in cui veniva diramato il “comunicato” di cui sopra, Papa Francesco, a termine dell’udienza generale del mercoledì, evocava il Santo del giorno, San Biagio, vescovo di Sebaste, definendolo “Martire dell’Armenia”, anche se oggi Sebaste (Sivas) è in territorio turco. Anche questo lo ha fatto in un contesto pubblico.

Altro che dietrofront. Ci viene da pensare: vuoi vedere che Papa Bergoglio, in barba alla real-politik, ha voluto ancora una volta sottolineare il suo amore per la verità ed la sua condanna ad ogni atto di violenza compiuto nei confronti di esseri innocenti?

Chi si accontenta gode, recita il detto. La Turchia si accontenta di una “nota diplomatica”.
Lo abbiamo detto: ne prendiamo atto.

Noi invece continueremo a difendere sempre la verità, costi quel che costi.

9° anniversario dell’assassinio del giornalista turco-armeno Hrant Dink

Chi era Hrant Dink e perché lo hanno ucciso?

Hrant Dink è stato il fondatore e il redattore capo della rivista Agos, giornale bilingue armeno e turco. È stato pure giornalista per i giornali nazionali Zaman e Birgün.
Nacque a Malatya il 15 settembre 1954, Dink arrivò a Istanbul con la famiglia all’età di sette anni, in questa città trascorse il resto della sua vita. Dopo il divorzio dei genitori viene accolto in un orfanotrofio assieme ai fratelli. Tutto il suo iter scolastico avviene in scuole armene. Si diploma in zoologia all’università di Istanbul, dove frequentò in seguito anche corsi di filosofia.
Nel 2005 fu condannato a sei mesi di reclusione per suoi articoli sui fatti avvenuti tra il 1890 e il 1917 (Genocidio armeno).
I tribunali avevano ritenuto i suoi articoli come insulto all’identità turca secondo l’articolo 301 del codice penale turco. Questa condanna fu fortemente criticata dall’Unione europea. Venne a più riprese minacciato di morte per le sue prese di posizione su quanto subito dagli armeni negli ultimi anni dell’Impero Ottomano.
Hrant Dink ha sempre sostenuto il bisogno di democrazia per la sua nazione. La sua azione si focalizzava sui diritti delle minoranze e in particolare della minoranza armena e più in generale sui diritti civili. Negli ultimi anni sentiva forte l’odio che la sua azione suscitava in molti suoi concittadini e affermava che avrebbe voluto fuggire da questa realtà. Ma molto coraggiosamente sosteneva che se avesse compiuto questo passo, avrebbe tradito tutto quanto fatto fino ad ora. (fonte Wikipedia)
Il 19 gennaio 2007 viene ucciso ad Istambul sotto la redazione del suo giornale “Agos”. A sparargli mortalmente un diciassettenne Ogun Samast, appartenente ai circoli ultranazionalisti di Trebisonda dietro ai quali tramano oscuri servizi ed apparati.
Il 25 luglio 2011 l’imputato Ogun Samast è stato condannato a ventitre anni di prigione essendo stato riconosciuto colpevole dell’assassinio di Hrant Dink.
La pressione dell’opinione pubblica turca ed internazionale è riuscita ad avere la meglio sui tentativi di insabbiare il processo e che avevano portato addirittura alla ventilata possibilità di una scarcerazione dell’imputato. Questi nella sua memoria difensiva ha accusato la stampa turca di aver incitato al delitto.
Resta aperta la questione più importante: ossia chi siano stati i mandanti di Samast.
La Corte Europea di giustizia ha condannato la Turchia per non aver protetto Dink che pure si sapeva essere stato ripetutamente minacciato.
I complotti di Ergenekon (l’apparato deviato costituito da ultranazionalisti, generali e servizi segreti turchi), lo strano viaggio di uno degli imputati in Azerbaigian, l’ombra (anzi la certezza) di una regia occulta.
A novembre il procuratore ha deciso di continuare le indagini su trenta personalità (civili e militari) fortemente indiziate di essere dietro il delitto.


 

Ultimo articolo di Hrant Dink pubblicato su Agos
una settimana prima della sue morte.

All’inizio il processo aperto contro di me dal procuratore capo di Sisli non mi aveva preoccupato. Non era il primo. Sono sotto processo a Urfa, dal 2002 per aver detto di non essere turco, ma armeno di Turchia. Mi hanno accusato di aver offeso l’identità turca. Quando sono andato a testimoniare a Sisli l’ho fatto senza troppa preoccupazione. Perché ero sicuro che ciò che avevo scritto non poteva essere male interpretato. Il procuratore, ho pensato, non crederà che io abbia voluto offendere l’identità turca.
Sono stato rinviato a giudizio. Non ho perso la speranza. A chi mi accusava di aver insultato il popolo turco, ho detto che non avrebbe potuto gioire: non mi avrebbero condannato. Se fossi stato condannato avrei lasciato il paese. Gli esperti chiamati a giudicare i miei scritti hanno detto che non c’erano in essi elementi di offesa. Ero tranquillo: il torto sarebbe stato riparato, tutto sarebbe finito in una bolla di sapone. Ma così non è stato. Mi hanno condannato a sei mesi di carcere. La speranza che mi aveva accompagnato e sostenuto durante tutto il processo è crollata. Ma mi ha anche dato nuova forza.
Prima della sentenza, al termine di ogni udienza venivano date in pasto all’opinione pubblica notizie false su di me. Dicevano che avevo dichiarato che il sangue dei turchi è avvelenato, mi dipingevano come nemico dei turchi. Queste cattiverie hanno cominciato a fare breccia nel cuore di tanti miei connazionali. Alle udienze adesso venivo aggredito dai nazionalisti, si inscenavano violente manifestazioni nei miei confronti. Ho cominciato a ricevere telefonate e mail di minaccia, a centinaia.
Ma io continuavo a dire, pazienza, la decisione finale renderà giustizia di tutto ciò e saranno loro a vergognarsi. L’unica mia arma era la mia onestà. Ma mi hanno condannato. Il giudice aveva deciso in nome del popolo turco che avevo offeso l’identità turca. Posso tollerare tutto, ma non questo.
Mi trovavo a un bivio: lasciare il paese oppure restare. Alla stampa ho detto che mi sarei consultato con i miei avvocati, che avrei fatto ricorso in appello e anche alla Corte europea per i diritti umani.
Ho detto anche che se la condanna fosse stata confermata avrei lasciato il paese perché una persona condannata per aver discriminato suoi connazionali non ha diritto di continuare a vivere con loro.
E’ chiaro che le forze profonde che operano in questo paese vogliono darmi una lezione. Così per aver detto alla stampa queste cose è stato aperto contro di me un nuovo procedimento penale. Mi hanno accusato di aver cercato di influenzare la corte d’appello. Mi vogliono isolare, far diventare un facile obiettivo.
Mi processano perché, imputato, cerco di difendermi. Devo confessare che ho perso la mia fiducia nello stato turco e nella giustizia di questo paese. La magistratura non è indipendente, non difende i diritti del cittadino ma quelli dello stato. La condanna che mi è stata comminata non è stata pronunciata in nome del popolo turco, ma in nome dello stato turco. Abbiamo fatto ricorso. Il capo procuratore del processo di appello ha detto che non c’erano gli estremi per confermare la condanna. Ma il consiglio superiore ha deciso in maniera diversa. E anche in appello mi hanno condannato.

E’ chiaro che mi vogliono isolare, indebolire, lasciare privo di difese. Hanno ottenuto quello che volevano. Oggi sono in tanti a pensare che Hrant Dink sia uno che insulta i turchi. Ogni giorno mi arrivano sull’email e per posta centinaia di lettere di odio e minacce. Quanto sono reali queste minacce? Non si può sapere. La vera e insopportabile minaccia, però, è la tortura psicologica cui mi sottopongo. Mi tormenta pensare che cosa la gente pensa di me. Ora sono molto conosciuto «Guarda, non è l’armeno nemico dei turchi?» Sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito.
Che cosa diceva il ministro degli esteri Gul? E il ministro Cicek? «Suvvia, non esagerate con questo articolo 301. Quanta gente è finita in prigione?» Ma pagare è solo entrare in carcere? Signori ministri, sapete che cosa vuol dire imprigionare il corpo e la mente di un uomo nella paura di un colombo? In questo momento, così difficile anche per la mia famiglia, mi sento sospeso tra la morte e la vita. Ci sono giorni in cui penso di lasciare il mio paese, specie quando le minacce sono rivolte ai miei cari. Mi dicono che mi seguiranno se deciderò di andare, resteranno se deciderò di restare. Posso resistere, ma non posso mettere i miei cari a rischio. Ma se andiamo, dove andremo? In Armenia? Io che non tollero le ingiustizie, sarei forse più sicuro lì? L’Europa non fa per me. Tre giorni in occidente e il quarto voglio tornare a casa. Lasciare un inferno che brucia per un paradiso già confezionato?
Dobbiamo cercare di trasformare l’inferno in paradiso. Spero che non saremo mai costretti ad andarcene. Farò ricorso alla Corte di Strasburgo. Quanto durerà questo processo non lo so. Ma mi conforta un po’ il fatto che fino al termine del processo potrò continuare a vivere in Turchia. Il 2007 sarà un anno molto difficile. Vecchi processi continueranno, nuovi processi si apriranno. Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti. Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo paese non mi toccherà. Posso vedere la mia anima nella titubanza di un colombo ma so che in questo paese la gente non osa toccare i colombi. I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti, come me, ma come me liberi.

UNA PETIZIONE SU CHANGE.ORG CONTRO LE MOZIONI FILO AZERE DELL’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA

UNA PETIZIONE SU CHANGE.ORG CONTRO LE MOZIONI FILO AZERE DELL’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA
https://www.change.org/p/parliamentary-assembly-of-the-council-of-europe-pace-no-to-hate-filled-war-rhetoric-on-nagorno-karabakh-conflict-and-favoritism
L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) dovrebbe votare sui seguenti due progetti di risoluzione sul Nagorno Karabakh all’ordine del giorno del 26 gennaio 2016:

Progetto di risoluzione sul tema “Escalation della violenza in Nagorno-Karabakh e gli altri territori occupati dell’Azerbaigian”, relatore Robert Walter (UK)
Progetto di risoluzione sul tema “Gli abitanti delle regioni di frontiera dell’Azerbaigian sono volutamente privi di acqua”, relatore Milica Marković (Bosnia ed Erzegovina)
Quello del Nagorno Karabakh è un conflitto complesso la cui soluzione pacifica non ha alternativa. Purtroppo questi due progetti di risoluzione alimentano la guerra retorica di odio dell’attuale governo azero sul Nagorno Karabakh e promuovono favoritismi. Entrambi i progetti di risoluzione evidentemente mancano di un’approfondita, imparziale ricerca, specificatamente lasciano fuori fatti cruciali e causano danni al processo di negoziazione.
Con la presente faccio sentire la mia voce contro questi due progetti di risoluzione caratterizzati da un contenuto infiammatorio e che poco hanno a che fare con la vera e propria risoluzione del conflitto e la costruzione della pace ma piuttosto con la promozione di interessi personali ed economici di una manciata di membri della PACE.
Ulteriori dettagli sui progetti di risoluzione:

Progetto di risoluzione sul tema “Escalation della violenza in Nagorno-Karabakh e gli altri territori occupati dell’Azerbaigian”, relatore Robert Walter (UK)
Come relatore Walter ha violato diverse norme del codice di condotta dei membri PACE, come 1. il principio di neutralità, imparzialità e obiettività (norme 1.1; 1.1.1 .; 1.1.4), 2. il principio di evitare il conflitto di interesse (regola 8), 3. il principio di non utilizzare la propria posizione come membro PACE per promuovere il proprio, l’interesse di entità (regola 12) di un’altra persona o, 4. nonché il principio del rispetto dei valori del Consiglio d’ Europa (regola 7).
Mr. Robert Walter e sua moglie Feride Alp-Walter, responsabile marketing della Associazione Medio Oriente, hanno mantenuto stretti rapporti con le autorità e le élite dominanti dell’Azerbaigian per un lungo periodo, tra cui l’aver acquisito una missione di alto livello del commercio britannico a Baku in stretta collaborazione con l’Ambasciata di Azerbaigian e la Società europea Azerbaigian (TE) – un’organizzazione di lobbying che ha forti legami con il governo azero e la cerchia ristretta di Ilham Aliyev.
L’appoggio di Walter per il governo di Ilham Aliyev, chiudendo un occhio sui processi democratici del paese, è stata spesso criticata da attivisti per i diritti umani in Azerbaigian [1], come Corporate Europe Observatory [2], nonché come i vari media internazionali ben noti.

Purtroppo, solo un primo sguardo al progetto di risoluzione è sufficiente per rendersi conto che si tratta di una riflessione parola per parola della posizione ufficiale azera e turca sul Nagorno Karabakh. Ufficialmente la Turchia ha sempre sostenuto apertamente l’Azerbaigian nel conflitto del Nagorno Karabakh. Walter e sua moglie, entrambi cittadini turchi, hanno avuto legami accoglienti con il governo turco. Walter ha ricevuto la propria carta di identità personalmente dal ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu. Nel 2011 il signor Çavuşoğlu era tra gli ospiti al matrimonio del signor Walter e della signora Feride Alp.
Nonostante il titolo del progetto di risoluzione prodotta da Robert Walter, questa è ben lungi dal riflettere la realtà sull’escalation di tensione sulla linea di contatto tra l’Armenia e l’Azerbaigian e intorno al Nagorno-Karabakh negli ultimi mesi che ha portato a tragiche morti di civili.
Il progetto di risoluzione da Walter omette selettivamente le informazioni cruciali. Per esempio si omette di menzionare fatti importanti, come quello che, a differenza l’Armenia, l’Azerbaigian il 27.09.15 ha respinto la proposta del gruppo di Minsk dell’OSCE ad accettare un meccanismo OSCE per indagare sulle violazioni del cessate il fuoco. Il meccanismo consentirebbe di identificare l’iniziatore delle violazioni del cessate il fuoco e renderebbe più difficile per le parti incolparsi l’un l’altro per l’avvio di attacchi mortali. La risposta logica alla domanda perché l’Azerbaigian che accusa continuamente la parte armena per aver violato il cessate il fuoco non è interessato a un tale meccanismo, è evidente.
Questo progetto di relazione è anche un tentativo piuttosto pericoloso e irresponsabile di creare un meccanismo parallelo, senza avere la necessaria legittimità e il mandato dalle parti coinvolte nel conflitto. La reazione critica puntuale dei co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE – l’unico organo ufficiale con il mandato di mediare – al progetto di risoluzione del relatore Walter sottolinea il danno che provoca al processo negoziale e quindi alla soluzione pacifica del conflitto.

2. Progetto di risoluzione sul tema “Gli abitanti delle regioni di frontiera dell’Azerbaigian sono volutamente privi di acqua”, relatore Milica Marković (Bosnia ed Erzegovina)
– Purtroppo il progetto di risoluzione scritto dalla signora Milica Marković manca di un’imparzialee approfondita ricerca. Nonostante il pronto invito delle autorità armene e del Nagorno-Karabakh a visitare Sarsang (in “qualsiasi momento conveniente per il relatore”) come inizialmente richiesto dal relatore Milica Marković, né la signora Marković né l’esperto tecnico Dr. Lydia S. Vamvakeridou- Lyroudia furono sulluogo di indagine. Pertanto, sia il progetto di risoluzione che la relazione tecnica (che dovrebbe essere alla base del progetto di risoluzione) si basano su simulazioni piuttosto approssimative del corrispondente ministero azero sulla base dei dati del 1993 e per sentito dire, anche se c’era chiaramente l’opportunità di visitare il bacino e fare la conoscenza con lo stato attuale delle cose.
– Il relatore Marković utilizza evidentemente la questione umanitaria come pretesto per fare dichiarazioni altamente distorte sul Nagorno Karabakh in generale. Un breve confronto della relazione tecnica e la proposta di risoluzione, che dovrebbe essere basata sulla relazione tecnica, fa chiaramente capire che la signora Marković ha deliberatamente esagerato le conseguenze di potenziale pericolo o fatti importanti lasciati esposti nella relazione tecnica di progetto risoluzione, dal momento che queste informazioni non in sintonia con le sue intenzioni di parte.
La relazione tecnica redatta dall’esperto Dr. Lydia S. Vamvakeridou-Lyroudia specifica chiaramente: “Anche se Sarsang è una diga di terra di riempimento, che è molto meno pericolosa e molto più sicura quando si tratta di crollo improvviso in linea di principio (ad esempio rispetto a dighe ad arco), va sottolineato che senza un controllo visivo della diga non vi è alcun modo di valutare la sua condizione e ogni rischio potenziale dal punto di vista tecnico “.
Nonostante questo, il relatore e l’esperto tecnico hanno scelto di ignorare l’invito delle autorità del Nagorno Karabakh di visitare Sarsang ed esaminare lo stato di ispezione e manutenzione del bacino idrico. Invece, la signora Markovic ha prodotto una relazione che si riferisce alle simulazioni piuttosto approssimative del ministero delle Situazioni di emergenza, sulla base di informazioni azere di oltre venti anni or sono.
Secondo la relazione tecnica: “Sarsang da sola non può causare una grande alluvione nella regione problematica più bassa Kura, ma la mancanza di comunicazione tra l’Armenia e l’Azerbaigian fa temere che l’inspettato afflusso di acqua rilasciata da Sarsang possa aggiungersi alle conseguenze inondazioni causate da periodi di piogge eccessive nell’area”. Tuttavia, invece di sollecitare le parti a impegnarsi in un dialogo al fine di garantire una gestione sicura del bacino, la signora Markovic esige un “ritiro immediato delle forze armate armene dalla regione interessata”.

[1] https://www.youtube.com/watch?v=qOgCrsCKXt4, raggiunto il 2015/07/12
[2] “Spin medici per gli autocrati: how europeo PR ditta calce repressivo regime”, pp 22-25; http://corporateeurope.org/sites/default/files/201500303_spindoctors_lr.pdf, raggiunto il 2015/07/12

Uscito in Italia il nuovo cd Tigran Hamasyan “Luys i Luso” musica religiosa armena

http://player.ecmrecords.com/hamasyan-2447

Tigran Hamasyan
Luys i Luso
Yerevan State Chamber Choir

Tigran Hamasyan: piano, prepared piano
Yerevan State Chamber Choir
Harutyan Topikyan: conductor

ECM 2447 CD 06025 473 2383 (5) Release: September 2015

Luys i Luso – “Light from Light” – is Tigran Hamasyan’s first ECM album, a spellbinding exploration of Armenian sacred music, featuring the prodigiously gifted pianist with the Yerevan State Chamber Choir. Repertoire includes Armenian hymns, sharakans and cantos from the 5th to the 20th century, all newly arranged for voices and improvising pianist by Hamasyan himself. The album was recorded in Yerevan last October, and produced by Manfred Eicher.

Tigran Hamasayan has long been deeply interested in Armenian sacred music, increasingly drawn to its “incredibly beautiful melodies… Over the years the idea to do an entire album with Armenian sacred music had been building and growing in my mind. About two and a half years ago I began to work on the first arrangements.” Ideas about repertoire have evolved along the way. “At one point I thought about doing an album devoted to Mesrop Mashtots, the 5th century saint, composer and linguist. But the working process led me to think more broadly about it, and I decided that the album should be of mixed repertoire. So Mashtots is in there, along with Nerses Shnorhali, Grigor Narekatsi, Grigor Pahlavuni, Mkhitar Ayrivanetsi and Komitas.” These are some of the outstanding figures of Armenian music history.

Hamasyan is fascinated by the idea of Armenian sacred music as living tradition: “At its high point, everybody was singing it differently. There are a lot of places in the music open for interpretation. Nerses Shnorhali actually wrote about this in the 12th century. Letters were being exchanged between the Byzantine government and religious patriarchs, talking about the high level of Byzantine and Armenian sacred music, and comparing the different schools. And Shnorhali wrote that singers could sometimes improvise, based on the mode and where they were reaching in the melody. This is phenomenal – it’s evidence that this music had improvisation in it. And for me it’s a direct encouragement for improvisational interpretation.”

The fresh and invigorating arrangements permit a maximum of improvisational freedom for Hamasyan as soloist (“I’m playing completely different things every time we perform this music”), but to be “free” inside the material, he notes, one has to understand its special demands and idiosyncrasies.

“When I thought of the collaboration with choir I was originally looking for singers who didn’t have trained classical voices, and I especially wanted to avoid the operatic conservatory voices. It is really hard to find singers who sing naturally without a vibrato. At the same time I needed disciplined singers who could execute, for instance, quarter-tones and really sing the melodies in the right way – the way the priest might sing them. It was a big challenge and the arrangements got changed and revised in the process of learning and experiencing this material. Working with the rhythms was complicated for the choir. For instance in ‘Ov Zarmanali’ [written by Grigor Pahlavuni] they are singing chords in 13/16 and I’m improvising on it – not only do they have to keep the metre going and be very precise, but they have to accompany a soloist, with everything that’s going on in my solos, as well as all the metric modulation. So it’s challenging.”

In preparation for the project, Hamasyan also travelled to Paris to study with singer/scholar Aram Kerovpyan. Born and raised in Istanbul, Kerovpyan had moved at 25 to France where he devoted his life to Armenian sacred music. “To me, Aram is closer to the roots than many others,” says Tigran. “His singing is closer to the old Armenian ways. In Armenia, after the Soviet Union and almost a hundred years of atheism, a lot of things have been, I don’t want to say forgotten, but haven’t developed greatly. The music was in the shadow. Only a few singers were keeping it authentic, especially after people started going to the conservatory and being influenced by Russian classical music and European music – and this was beginning to happen even in Komitas’s time. I feel that Aram didn’t experience this influence, and has kept alive traditional ways of singing, rather than singing with a classical manner.”

The recording of the album took place in Yerevan’s Argo Studio. Tigran describes it as a “Traditional-Armenia-meets-ECM experience”: “It was very concentrated work, which I think brought out the best in all of us. Then, on the last day of recording, we had a power cut, and all the lights went out for four hours. So we took a little trip to a nearby 16th century church, and some members of the choir sang there. It was like God was telling us, ‘If you are recording sacred music you need to get to a church at least once before the recording is over.’ It was a strong experience. While there we took a few photos of the façade of the church, which was incredible, with its crazy, detailed ornaments. A few of these pictures made it into the CD booklet.”

2015 is, of course, the centenary of the Armenian genocide. Has this played a role in choosing to do the Luys i Luso project now?

“Even if it was not the anniversary, this project was going to happen. I’ve been listening to this music since I was 14 and the preparation for this album just happened to begin a couple of years ago. But it is important for us to be taking this music on a pilgrimage from Zvartnots, and the ruins of the of the 7th century temple there, to Istanbul. We’re going to the Cilician kingdom where Shnorhali lived and created so much music and was the patriarch of all Armenians. We’re going to Narekatsi’s birthplace. Unfortunately, the Narekavank monastery no longer exists, but we will play and sing close by. We are returning this music to its roots, in some cases to places that are like ghost towns, and where the monasteries and the forts where kings once lived are now ruins. With the music we would like to bring life back to the places where it was born. I personally feel it is a matter of saying ‘Thank you’ to those great authors, composers and saints who lived at that time, and I am glad that we are still able to perform their music today.”

Live performances presenting the music of Luys i Luso began in March 2015 with a premiere in Yerevan, continuing with concerts in Georgia, Turkey, Lebanon, France, Belgium, Switzerland, the Czech Republic, England, Ireland, Germany, Luxembourg, Russia and the United States. In total, a hundred concerts. A documentary film of the tour is in preparation.

For more information: http://www.luysiluso.com
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Tigran Hamasyan was born in Armenia in 1987, before relocating with his family to Los Angeles in 2003. He currently lives in Yerevan, Armenia. He began playing piano at the age of three, and started performing in festivals and competitions when he was 11 years old, winning the Montreux Jazz Festival’s piano competition in 2003. He released his debut album at the age of 18 in 2006. That same year he won the Thelonious Monk International Jazz Piano Competition, and the jazz world took note in earnest. Since then, Tigran’s live performances and albums have received the enthusiastic endorsement of leading jazz musicians including Chick Corea, Herbie Hancock and Brad Mehldau.

Press reactions have also been very positive. As the Daily Telegraph observed, “There are many brilliant and perfectly finished young jazz pianists around but Hamasyan stands out because he has something important and urgent to say.”

In 2016, ECM will issue a further album with improvisations around Armenian themes, on which Tigran Hamsayan appears alongside Arve Henriksen (trumpet), Eivind Aarset (guitars) and Jan Bang (electronics).

UN APPELLO ALL’ITALIA DEL CALCIO: NON DIMENTICHI I DIRITTI UMANI

Il prossimo 10 ottobre la nazionale italiana di calcio si recherà in Azerbaigian per disputare un incontro valido per la qualificazione alla fase finale dei Campionati Europei.
Per quanto consapevoli che sport e politica debbano necessariamente percorrere strade diverse, siamo altresì fermamente convinti che non è possibile astrarsi completamente da talune realtà che interessano la nostra coscienza di cittadini europei.
È bene che i nostri sportivi, le istituzioni e i media non dimentichino che la Nazionale si sta per recare in un Paese che “Reporter Senza Frontiere” colloca agli ultimissimi posti nella classifica mondiale sulla libertà di Informazione; un Paese dove i giornalisti e gli oppositori politici vengono accusati, incarcerati e condannati nel silenzio forzato dell’opinione pubblica; un Paese tra i più corrotti e corruttori del pianeta, dove il rispetto dei diritti umani viene progressivamente meno anno dopo anno; un Paese che mentre ospitava nel giugno scorso i Giochi olimpici Europei, incarcerava oppositori politici, impediva l’accesso a reporter stranieri e chiudeva la “scomoda” sede locale dell’Osce accusata di guardare troppo alla questione dei diritti umani. Un Paese che vanta il primato mondiale di riarmo e che bombarda quasi quotidianamente i villaggi di confine dell’Armenia e del Nagorno Karabakh rischiando di scatenare una guerra dalle conseguenze devastanti per tutta l’Europa.
Chiediamo ai nostri sportivi e alle nostre istituzioni di non lasciarsi distrarre dal luccichio dei petrodollari ma di guardare con spirito critico questa nazione che recentemente ha promesso di arrestare il calciatore armeno Mkhitaryan (Borussia Dortmund) in occasione della prossima trasferta a Baku della sua squadra.
Chiediamo ai giornalisti di non dimenticare i loro colleghi condannati ad anni di prigione per il solo motivo di non aver voluto allinearsi al regime di Aliyev.
Azerbaigian-Italia non può essere solo una partita di calcio ma una nuova importante occasione per chiedere all’Azerbaigian il rispetto dei diritti umani e la fine della sua armenofobia.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma
www.comunitaarmena.it