Attraverso una risoluzione votata dall’Eurocamera, il Parlamento europeo ha condannato il blocco azero della strada lungo il corridoio di Lachin, ovvero l’unico collegamento tra il Nagorno Karabakh e l’Armenia.
Una valutazione incontrovertibile quella del Parlamento europeo verso l’azione perpetrata dal governo di Baku: “Il Parlamento deplora le tragiche conseguenze umanitarie provocate dal blocco del corridoio di Lachin e dal conflitto del Nagorno-Karabakh ed esorta l’Azerbaigian a rispettare e attuare la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 e a riaprire immediatamente il corridoio di Lachin per consentire la libertà di circolazione e assicurare l’accesso a beni e servizi essenziali, garantendo in tal modo la sicurezza nella regione e salvaguardando i mezzi di sussistenza dei residenti”.
LEGGI ANCHE:Inclusione: al via il premio “Capitali europee dell’inclusione e della diversità”.
Nel provvedimento anche l’invito all’Esecutivo Aliyev a “tutelare i diritti degli armeni che vivono in Nagorno-Karabakh” e, ancora, “ad astenersi dalla sua retorica incendiaria volta a fomentare la discriminazione nei confronti degli armeni e a incalzare questi ultimi a lasciare il Nagorno-Karabakh”.
Conclusioni decisamente forti anche quelle riservate contro la persecuzione dei promotori dei diritti umani: “Condanniamo fermamente il fatto che i difensori dei diritti umani e le organizzazioni della società civile siano usati dall’Azerbaigian come capro espiatorio e invita le rappresentanze dell’UE e degli Stati membri a sostenere il loro lavoro”. Stigmatizziata anche l’inazione delle “forze di pace” russe, per le quali l’eurocamera ha chiesto la sostituzione con le forze internazionali dell’OSCE nel quadro di un nuovo mandato delle Nazioni Unite.
LEGGI ANCHE:Disinformazione e media: le ultime rilevazioni di Eurobarometro.
Ad accogliere positivamente la pronuncia del Parlamento europeo è stato il Consiglio per la comunità armena di Roma: “Esprime grande soddisfazione per la votazione al parlamento europeo. La criminale politica dell’Azerbaigian che dal 12 dicembre scorso ha isolato la regione armena spingendo sull’orlo di una crisi umanitaria 120.000 persone è stata duramente stigmatizzata dai parlamentari europei che hanno altresì denunciato il taglio delle forniture di gas, elettricità e connessione internet”.
Un voto che esprime, secondo la comunità, “un chiaro messaggio a quelle istituzioni europee e internazionali che, per mera opportunità economica, stanno avallando la politica di Aliyev, definito “partner affidabile” dalla presidente von der Leyen”.
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.01.2023 – Vik van Brantegem] – Gli Armeni dell’Artsakh parlano armeno da millenni e quindi lo dicono in armeno, come riportato nel titolo: L’Artsakh è sotto assedio da 40 giorni. L’assedio criminale azero dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh equivale a condannare il popolo armeno dell’Artsakh a una lenta morte, mentre l’Italia stringe accordi militari con Baku e i potenti balordi del mondo a Davos stringono la mano e fanno la foto con il dittatore azero Ilham Aliyev. Tutto per il gas azero (ovvero, russo riciclato). Nel frattempo, il traffico (di persone e merce) da e per la parte ancora libera della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh rimane interrotto dal 12 dicembre 2022. Passano solo veicoli delle forze di pace russi e del Comitato Internazionale della Croce Rossa. La #StradaDellaVita, lungo il segmento di Shushi dell’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, è chiuso da sedicenti “eco-attivisti” organizzati e pagati dal regime autoritario dell’Azerbajgian, sostenuti dalla polizia azera e sotto l’occhio vigile delle forze armate azere.
L’assedio di Artsakh è seguito anche in Giappone: アゼルバイジャンが今、やってる事。Cosa sta facendo ora l’Azerbajgian?
Una madre armena anni fa disse qualcosa che riassume la questione dell’Artsakh: «Con vicini come la Turchia e l’Azerbaigian, cresciamo i nostri figli in un rifugio antiaereo, per poi mandarli in trincea quando crescono. Nessuno dovrebbe vivere così». Che Toivo Klaar, Ursula von der Leyen e tutti i loro compagni di balordi che ci “governano” riuniti a Davos, ascoltino.
L’Azerbajgian è uno stato terrorista gestito da un dittatore guerrafondaio e genocida. L’Azerbajgian è una dittatura che nella classifica della libertà di Freedom House sta più in basso dell’Afghanistan. La Russia possiede quote significative nei suoi giacimenti petroliferi e l’Azerbajgian ricicla il gas russo per la rivendita in Europa, con cui finanzia le sue guerre contro gli Armeni Cristiani. È colpevole di crimini di guerra, attualmente impegnato nella pulizia etnica con il #ArtsakhBlockade, con la sicurezza dell’impunità.
«Non stare zitto oggi… perché domani potrebbe essere troppo tardi… 120.000 persone sono a rischio estinzione #ArtsakhBlockade» (Alina Bagdasaryan).
L’Azerbajgian ha commesso il peggior genocidio culturale del XXI secolo: ha distrutto tra il 1964 e il 1987 nel Nakhichevan 89 chiese armene, 5.840 khachkar e 22.000 lapidi. E questo è solo un esempio del genocidio culturale in un territorio sotto controllo azero. Come può uno Stato che non rispetta i monumenti dei morti rispettare i vivi?
L’Azerbajgian pro capite è tra i peggiori inquinatori e i maggiori contributori al riscaldamento globale del pianeta. Aggiungete a questa vasta distruzione ecologica lungo la costa e l’enorme quantità di tossine che scarica nel Mar Caspio, il più grande specchio d’acqua interno del mondo. Ma ai finti “eco-attivisti” azeri che tengono bloccato per “preoccupazioni ambientali” l’unica strada verso il Nagorno-Karabakh, se ne fregano dei 120.000 Armeni che tengono sotto assedio. Non protestano mai contro la distruzione ecologica nel proprio Paese, come farebbero se fossero dei veri ambientalisti [ritorniamo poi sulla questione].
Da oggi i generi alimentari sono razionati con un sistema di tagliandi.
Mentre il resto del mondo chiede allo stato terrorista dell’Azerbajgian di porre fine all’assedio dell’Artsakh, solo l’esercito dell’Azerbajgian con l’aiuto delle cosiddette forze di mantenimento della pace russe mantengono in piedi il #ArtsakhBloccade con l’aggiunta del sabotaggio della fornitura di gas e elettricità dall’Armenia all’Artsakh. L’Azerbajgian, sfruttando la vulnerabilità dell’infrastruttura critica dell’Artsakh, interrompe intenzionalmente la fornitura di gas e elettricità per causare più sofferenze alla popolazione civile dell’Artsakh.
Tutto questo per dire che l’autodeterminazione degli Armeni dell’Artsakh non è solo un diritto, ma anche questione di sopravvivenza.
La Commissione Permanente per gli Esteri del Parlamento canadese ha adottato all’unanimità una mozione, “che, ai sensi dell’ordine permanente 108(2) la Commissione si impegna a tenere un massimo di tre riunioni per studiare l’attuale situazione del blocco del Corridoio di Lachin, isolando di fatto la regione del Nagorno-Karabakh; che il Ministro degli Esteri del Canada, l’Ambasciatore dell’Armenia, l’Incaricato d’Affari dell’Azerbajgian, i rappresentanti delle due comunità in Canada, il Rappresentante Permanente della Repubblica di Nagorno-Karabakh negli Stati Uniti e in Canada e Gegham Stepanyan, il Difensore dei diritti umani del Nagorno-Karabakh siano invitato a testimoniare entro venerdì 3 febbraio 2023”.
“Questa è una mossa storica che darà ufficialmente l’opportunità ai rappresentanti della Repubblica di Artsakh di parlare davanti al parlamento canadese”, ha affermato il Comitato Nazionale Armeno del Canada.
“Nelle condizioni di blocco totale dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian e del suo isolamento dal mondo esterno, questa decisione è di natura eccezionale non solo perché la commissione parlamentare canadese utilizza la dicitura Repubblica di Nagorno-Karabakh, ma invita anche i rappresentanti della Repubblica di Artsakh a una discussione. Questa è una nuova manifestazione di elevazione della soggettività internazionale dell’Artsakh, su cui la rete globale delle commissioni e degli uffici della Federazione Rivoluzionaria Armena sta lavorando da molto tempo”, si legge in una nota.
Gli “eco-attivisti” dell’Azerbajgian si prendono una pausa dal blocco del Corridoio di Lachin nel comfort di un hotel: “Abbiamo bevuto il nostro tè, ora torniamo al nostro posto!”.
Invece, la popolazione dell’Artsakh per colpo loro:
«Ho bisogno di medicine per una donna incinta
Ho bisogno di legno
Ho bisogno di una stufa a legna
Ho bisogno di una bombola di gas ricaricabile
Ho bisogno di latte
Ho bisogno di un litro di benzina
Ho bisogno di Huggies
Ho bisogno di Nutella per il mio bambino
Ho bisogno di sciroppo antipiretico
Senza fine…» (Marut Vanyan, giornalista freelance a Stepanakert).
«Sono Sofia. Vivo ad Artsakh, ma sono sotto blocco da più di un mese.. Voglio vivere sotto un cielo sereno, e vivere ad Artsakh. Voglio la pace. Siamo circondati da un Paese nemico che vuole sterminarci. Non tacere».
Parlando dei residenti più vulnerabili di Artsakh, i bambini.
«Generazione della guerra․.. In Artsakh, i bambini capiscono perché la strada è chiusa, perché gli adulti devono spiegare perché Babbo Natale non ha portato i regali, perché i loro dolci preferiti, le banane e così via mancano. Di recente mio nipote mi ha chiesto se c’è un aeroporto in Artsakh e ho detto di sì. Mi ha chiesto se è possibile che i suoi regali arrivino in aereo e non gli ho spiegato perché l’aeroporto non funziona, ma lui sa già da tempo perché la strada è chiusa… Il figlio del mio amico ha un carro armato giocattolo e dice che libererà Shushi con esso. Questi sono i nostri figli, crescono come noi nell’Artsakh del dopoguerra. Questi bambini hanno giochi, sogni e morali diversi. Si rallegrano quando si accende la luce, sognano una patria libera e la pace» (Goga Baghdasaryan, 18 gennaio 2023).
Papa Francesco incontra il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, e il Primo Vicepresidente, nonché sua moglie, Mehriban Aliyeva, durante un’udienza privata in Vaticano, 6 marzo 2015 (Foto di Vatican Media/Catholic Press Photo).
L’Azerbajgian ha “acquistato” con la diplomazia del caviale anche il silenzio del Vaticano e di Papa Francesco sull’invasione dell’Armenia e dell’Artsakh [QUI, QUI e QUI]? Il celebre scrittore francese Sylvain Tesson lancia la provocazione e fa calare il mistero dopo la sua esperienza personale, quando ha chiesto al Papa e al Segretario per le Relazione con gli Stati della Santa Sede, l’Arcivescovo Paul Richard Gallagher perché non si esprimevano su ciò che accade in Armenia e Artsakh.
Il finanziamento di alcuni restauri archeologici a Roma da parte di Baku fa calare il dubbio sulla libertà di parola del Papa e della Santa Sede in materia di aggressione dell’Azerbajgian all’Armenia e all’Artsakh.
Ne parla La Vie in un articolo a firma di Pierre Jova e Marie-Lucile Kubacki del 18 gennaio 2023 (nostra traduzione italiana dal francese [QUI]): «”Sono rimasto molto deluso dalla reazione del Vaticano”. Durante una tavola rotonda online organizzata dal Fondo armeno di Francia, il 18 novembre 2022, Sylvain Tesson rivela di aver accompagnato Emmanuel Macron durante la sua ultima visita in Vaticano, qualche settimana prima. Lo scrittore di viaggi, che in Éloge de l’énergie vagabonde (Pocket 2009) ha raccontato i suoi viaggi nel Caucaso, non fa mistero della sua amicizia per gli Armeni. Ha quindi colto l’occasione per chiedere a Papa Francesco e a Paul Gallagher, Ministro degli Esteri della Santa Sede, perché il Vaticano non si è impegnato più pubblicamente con l’Armenia, il primo stato cristiano al mondo, nel conflitto tra essa e l’Azerbajgian. “L’uno mi si è opposto con un’aria di totale costernazione, e l’altro un licenziamento estremamente brutale, in nome del fatto che non spettava al Vaticano occuparsi di denunciare gli aggressori”, si stupisce Sylvain Tesson, mentre ironicamente aggiunge: “ Ho avuto davvero l’impressione di chiedere se potevo fare la pipì sul tabernacolo… Forse non ero istruito nelle sottigliezze della diplomazia vaticana!”.
Lingua papale in tempo di guerra
Lo scrittore riporta a Roma un persistente rimprovero all’interno della diaspora armena in Occidente. Durante l’invasione del Nagorno-Karabakh da parte delle forze di Baku il 27 settembre 2020, Papa Francesco si è limitato ad augurare il ritorno alla pace, in termini neutri, propri del linguaggio pontificio in situazione di guerra: “Prego per la pace nel Caucaso e invito le parti in conflitto a compiere gesti concreti di buona volontà e fratellanza che possano portare alla risoluzione dei problemi (…) attraverso il dialogo e il negoziato”. Durante tutto il conflitto, si è astenuto dal nominare l’Azerbajgian come l’aggressore, dando l’impressione di mandare le due parti schiena contro schiena. (…)».
Il dittatore dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha incontrato il Presidente del World Economic Forum, Prof. Klaus Schwab, a Davos. Prof. Klaus Schwab lo trova etico e morale stare accanto a un criminale genocida e sorride, consapevole che sta stringendo la mano a un criminale di guerra e armenofobico, che vuole far morire di fame 120.000 Armeni, nello stesso momento in cui è stata scattata questa foto. Questi che sono i valori che si sostengono a Davos. Mentre Aliyev continua con i suoi crimini con il #ArtsakhBlockade, Schwab collabora a nascondere i suoi crimini. È complice della politica genocida dell’Azerbajgian.
«Grazie @presidentaz per l’incontro piacevole, aperto e costruttivo di questa mattina durante il #wef23 a #Davos. L’@Azerbajgian è un partner importante per @BERS e rimaniamo impegnati a sostenervi nei vostri sforzi per riformare il paese e diversificare e rendere più ecologica l’economia!»
Jurgen Rigterink, Primo Vicepresidente della EBRD è complice della genocida #ArtsakhBlockade dell’Azerbajgian.
«Il WEF funziona come una corte medievale ad alta tecnologia. La maggior parte dei presenti svolge il ruolo di cortigiani in competizione per l’accesso» (Fernand Keuleneer).
Mentre Aliyev viene corteggiato a Davos per le sue forniture energetiche, Baku priva 120.000 Armeni del riscaldamento in pieno inverno. Niente gas da tre giorni. L’Azerbajgian sta cercando di far morire di fame e di congelamento, forzando gli Armeni fuori dalla loro patria. Si chiama pulizia etnica, genocidio.
La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS o, nell’acronimo inglese, EBRD) è un organismo finanziario internazionale che opera nei paesi dell’Europa centrale ed orientale e dell’Asia centrale e che viene, generalmente, ricompreso tra le banche multilaterali di sviluppo regionale, categoria nella quale, oltre alla Banca asiatica di sviluppo, alla Banca Interamericana di Sviluppo ed alla Banca africana di sviluppo, sono annoverate anche la Banca europea degli investimenti e la stessa Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (nota anche come Banca Mondiale). La BERS è stata costituita il 15 gennaio 1990 a Parigi.
Rispetto a queste istituzioni, la BERS presenta delle caratteristiche peculiari che rappresentano l’evoluzione di questa tipologia di organismi internazionali. La BERS presenta, infatti, una forte accentuazione politica del proprio mandato: secondo lo statuto della banca questa può, infatti, operare esclusivamente in quei paesi dell’Europa centrale ed orientale e dell’Asia centrale che stiano attuando la transizione da un sistema monopartitico ed un’economia centralizzata ad un sistema basato sull’economia di mercato, la democrazia pluripartitica ed il pluralismo, favorendo a tal fine il necessario sviluppo del settore privato. Il fine istituzionale della BERS si distingue quindi marcatamente da quello delle altre banche internazionali regionali, cui compete, genericamente, di favorire il progresso e la ricostruzione economica nella rispettiva area di intervento.
Non è tempo di festa: serve una svolta per i diritti umani dopo 30 anni di BERS
Bankwatch.org, 21 giugno 2021
La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) si distingue tra le banche multilaterali di sviluppo per l’impegno dei suoi Paesi azionisti nei confronti dei principi fondamentali della democrazia e del rispetto dei diritti umani. Poiché la BERS celebra il suo 30° anniversario, è un momento perfetto per riflettere sulle attività della Banca, sul quadro politico in materia di diritti umani e sull’approccio operativo. La Banca ha adottato le misure necessarie per affrontare le sfide emergenti legate alla transizione democratica e al rispetto dei diritti umani nelle regioni in cui opera? Quali progressi sono stati compiuti negli ultimi tre decenni e quali lacune restano da colmare per un sistema solido che prevenga le violazioni e promuova i diritti?
Questa relazione rileva che la BERS dispone di un sistema ben sviluppato ma inefficace per valutare i rischi politici e salvaguardare i diritti umani. Descrive la situazione in sei paesi in cui opera (Bielorussia, Uzbekistan, Turkmenistan, Turchia, Egitto e Ucraina) e le sfide pratiche relative ai diritti umani in tali paesi. La selezione tenta di presentare il problema in diverse regioni operative e di collegarlo alle esperienze della società civile con le operazioni della BERS e il dialogo politico. Sulla base di queste esperienze, il rapporto formula raccomandazioni costruttive su misure specifiche che la BERS dovrebbe adottare per migliorare il proprio approccio al fine di garantire il rispetto dei diritti umani e sostenere il processo decisionale democratico per lo sviluppo nei paesi in cui opera.
È un fatto assodato che, per quanto riguarda le libertà civili e politiche, l’Azerbajgian mantiene uno dei posti più bassi al mondo nelle classifiche internazionali, con una comprovata esperienza di repressione e con decine di prigionieri politici detenuti per aver partecipato a manifestazioni. Quindi, l’idea che in Azerbajgian potrebbero esserci attivisti della società civile in grado di lanciare una campagna di simili dimensioni, senza istruzioni dirette delle autorità statali è, a dir poco, non plausibile.
Inoltre, gli Azeri in abiti civili, presentandosi come “eco-attivisti”, che sotto false preoccupazioni ambientali hanno bloccato il Corridoio di Berdzor (Lachin), successivamente sono stati raggiunti da poliziotti e personale militare azero.
Quante sovvenzioni hanno ricevuto dal governo azero gli “eco-attivisti” del Corridoio di Lachin? Mikroskop Media [*], 19 gennaio 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Perché nessuno crede che l’azione [il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin)] sia opera di eco-attivisti?
La televisione di stato dell’Azerbajgian e le agenzie di stampa ufficiali, così come i media filogovernativi, affermano che i partecipanti a questa azione sono eco-attivisti e ONG specializzate nel campo dell’ecologia.
Dall’inizio dell’azione, solo la televisione di Stato ha trasmesso più di 50 servizi e trasmissioni in diretta. Mikroskop Media ha monitorato quelle trasmissioni e, sulla base del monitoraggio, è emerso chiaramente che la stragrande maggioranza delle persone e delle ONG che partecipavano all’azione non era coinvolta nell’ecologia, ma in aree completamente diverse: protezione dei diritti delle donne, sport, sostegno alle famiglie dei soldati, eccetera.
Allo stesso tempo, la maggior parte di queste organizzazioni risulta tra i 400 vincitori del bando indetto pochi mesi fa dall’Agenzia di Stato per il Sostegno alle Organizzazioni non Governative, Questioni di scienza, istruzione e cultura e propagazione dell’idea dell’Azerbajgian, i cui risultati sono stati annunciati nel luglio del 2022.
Nota: ci sono solo due ONG specializzate nel campo dell’ecologia nel rapporto citato e nelle trasmissioni in diretta. Entrambi hanno ricevuto una sovvenzione dal governo:
per il progetto di attuazione pratica della campagna per i villaggi ecologici (SEMA- Unione eco pubblica di sostegno allo sviluppo economico sociale)
per il progetto di monitoraggio per lo smaltimento dei rifiuti domestici (Unione pubblica di educazione ambientale e monitoraggio).
Altre ONG e i loro progetti vincitori:
Centro di ricerca scientifica di processi pubblico-politici e relazioni internazionali – per l’organizzazione di eventi a tema “Shusha-270 Anni”
Sostegno per i sfollati di Khankendi – per le riprese di un film documentario intitolato “Guerra-In cerca di una famiglia”
Sostegno per le famiglie dei soldati – per la realizzazione di un documento televisivo e sito web a tema “incontri sulla tutela dei diritti delle famiglie dei martiri e dei veterani”
Unione pubblica di ricerche sociali Hilal – per la promozione tra i giovani dei simboli dello stato e della vittoria nella guerra
Associazione di avvocati femminili – per l’organizzazione di incontri sul tema della lotta alla violenza domestica
Sostegno all’illuminazione innovativa di donne e bambini – per l’organizzazione di incontri sul tema dell’eradicazione della violenza contro le donne
Promozione della verità sul genocidio – per l’illuminazione dei giovani sulla Convenzione “sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio”
Centro di municipalità, risorse e formazione – per la questione dei matrimoni precoci nello sviluppo della società
Unione pubblico per il dialogo e il progresso – per la tutela dei valori nazionali nell’era della globalizzazione
Sostegno per le persone con disabilità e quelle bisognose – per l’illuminazione dei disabili su come utilizzare correttamente le protesi e altri dispositivi di supporto
Anche altre persone e organizzazioni che partecipano all’azione non sono specializzate nel campo dell’ecologia. Tra loro ci sono rappresentanti delle sezioni regionali del Partito Nuovo Azerbaigian al potere:
Unione pubblica per l’illuminazione dei cittadini
Società di cura per le famiglie dei martiri di Goychay
Unione mondiale dei giovani scrittori turchi
Unione pubblica dell’associazione mondiale delle donne d’affari
Unione pubblica per lo sviluppo scientifico e culturale della gioventù
Organizzazione per l’integrazione dei giovani azeri in Europa
Unione pubblica dei giovani intervistatori
Fuad Heydarli, istruttore dell’organizzazione distrettuale NAP Sabail
Volontari per lo sviluppo agrario
Unione delle organizzazioni di volontariato dell’Azerbaigian
Onorato operatore sanitario, Jamila Mammadova
Volontari dell’Università Statale di Baku
Volontari per la migrazione
Kalbajar, che è stata riconquistata dall’Azerbajgian a seguito della guerra dei 44 giorni nel settembre-novembre 2020, ha ricchezze sotterranee e depositi di minerali. Secondo l’ordine esecutivo firmato da Ilham Aliyev il 29 maggio 2021, i depositi di minerale di Gashgachay, Elbeydash e Agduzdag sono stati dati in affitto a società turche per un periodo di 30 anni, per scopi di studio, ricerca, esplorazione, sviluppo e sfruttamento: il primo alla società Qashgachay Eti Bakir AS e gli altri due alla società Artvin Maden AS.
[*] Microskop Media è stata fondata il 6 febbraio 2018 da Javid Abdullayev e Fatima Karimova con sede a Riga, Lettonia.
Se la strada non fosse bloccata
la Croce Rossa non sarebbe operativa lì
Abbiamo avuto occasione già di ammirare le performance geniali di un propagandista al soldo dello Stato dell’Azerbajgian. Continua ogni giorno senza vergogna a diffondere i suoi video amatoriali tramite Twitter, ripetendo le affermazioni diffuse dalle autorità azere secondo cui l’Azerbajgian non avrebbe posto alcuna restrizione al Corridoio di Berdzor (Lachin), che sono semplicemente false e riflettono il consueto approccio di quel Paese di incolpare la vittima, nel tentativo di negare la propria responsabilità per le gravi violazioni degli obblighi internazionali.
Se la strada non fosse bloccata, la Croce Rossa non sarebbe operativa lì.
Il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) – che viene utilizzato, contrariamente a quanto sostiene l’Azerbajgian, solo per il passaggio di persone e per merci destinate alla popolazione civile del Nagorno-Karabakh – costituisce un blocco ai danni dell’intera popolazione del Nagorno-Karabakh di 120.000 persone. Il blocco del Corridoio, anche per un breve periodo di tempo, è irto di conseguenze umanitarie irreversibili e catastrofiche. Attualmente, la popolazione del Nagorno-Karabakh è completamente privata delle forniture di beni essenziali e di prodotti alimentari, inclusi grano, farina, verdura, frutta, ecc. Anche le forniture mediche ed energetiche al Nagorno-Karabakh sono completamente interrotte.
Il videoamatore quotidiano si presenta sui social come un imprenditore di pubbliche relazioni, ma spende il suo tempo al posto di blocco degli “eco-attivisti” sotto Sushi. Perciò, è legittimo supporre che presta la sua “opera” non a gratis.
Alla fine, il genio delle pubbliche relazioni con i suoi video conferma soltanto quanto è sotto gli occhi di tutti, che è consentita, e solo con mezzi delle forze di mantenimento della pace russe e del Comitato Internazionale della Croce Rosse:
l’uscita dall’Artsakh, con il contagocce;
l’approvvigionamento, appena sufficiente per evitare che la popolazione muoia di fame e freddo troppo in fretta.
Quindi, con i suo video amatoriali conferma che il #ArtsakhBloccade c’è.
Inoltre, la leadership azera, presentando i veicoli del Comitato Internazionale della Croce Rossa che attraversano il Corridoio bloccato come un atto di umanità, conferma che l’Artsakh si trova in una profonda crisi umanitaria.
Il blocco dell’unica strada con cui si può entrare uscire dal Nagorno-Karabakh ha generato una grave crisi sanitaria per il sistema sanitario dell’Artsakh, provocando gravi situazioni di pericolo per la vita e sofferenze umane. È diventato impossibile il trasferimento negli ospedali Armeni dei pazienti per cure urgenti (con l’eccezione di alcuni trasferimenti a cura del CICR, il che ha già provocato la morte di un paziente in condizioni critiche. Anche in tempo di guerra, secondo il diritto umanitario internazionale, deve essere garantito il libero passaggio per le forniture mediche e ospedaliere alla popolazione civile. Il blocco del Corridoio costituisce una manifesta violazione della Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-01-20 17:02:002023-01-21 17:08:41Quarantesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Արցախը 40 օր պաշարման մեջ է (Korazym 20.01.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.01.2023 – Vik van Brantegem] – Giulio Meotti intervista Antonia Arslan, voce italiana della diaspora armena: «L’Italia non si vergogna neanche un po’ a inginocchiarsi di fronte a chi vuole finire il genocidio di noi Armeni?». Una domanda retorica, perché conosciamo la risposta a questa domanda, posta da Arslan, nell’intervista-audio alla scrittrice di La masseria delle allodole, pubblicata oggi, nel 40° giorno dell’assedio imposto dall’Azerbaigian alla Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh [QUI], da Giulio Meotti sulla sua Newsletter[QUI].
Antonia Arslan: «Da 107 anni negano di aver sterminato tre quarti del mio popolo, compresi i fratelli di mio nonno. Erdoğan dice: “Finiremo l’opera dei nostri antenati”». «In molti italiani, nelle persone semplici, c’è molta solidarietà verso di noi. Ma a livello alto prevale la logica di denaro, potere o petrolio. Europa e Italia siano fedeli alle radici cristiane, non a chi rade al suolo le fondamenta delle chiese».
Una chiesa armena distrutta, la scrittrice Antonia Arslan, il dittatore azero Aliyev nel “Parco della Vittoria” a Baku con gli elmetti dei soldati armeni uccisi [QUI] e il Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, la scorsa settimana a Baku [QUI e QUI].
Scrive Giulio Meotti, presentando l’intervista: «“Genocidio Armeni: Non credo che il Gran Mufti turco abbia titolo a parlare dei valori del cristianesimo”, aveva scritto Giorgia Meloni nel 2015 [QUI]. Tutto dimenticato, a quanto pare, come se una volta al potere prevalesse l’etica della convenienza per cui si salvaguarda la libertà dei popoli solo quando è utile. E la libertà dell’Armenia non sembra grande utilità. “Voglio inviare un messaggio di speranza al popolo armeno, come a tutti i cristiani d’Oriente, oggi abbandonati dall’Occidente che sta perdendo il filo della sua civiltà”, ha scritto il francese Philippe de Villiers [QUI]. Nessun politico, ministro, scrittore, giornalista o personalità pubblica italiana deve ancora scrivere tanto, neanche dopo la guerra del 2020 o in questi 40 giorni in cui gli Armeni del Nagorno-Karabakh sono sotto blocco azero totale. Il governo italiano china il capo a Turchi e Azeri e un’inchiesta rivela il silenzio del Vaticano».
Prima di cinque figli, Antonia Arslan nasce a Padova nel 1938 da Michele Arslan – medico nato anch’esso a Padova da padre armeno e madre italiana – e da (Maria) Vittoria Marchiori. Suo nonno paterno, il cui nome era originariamente Yerwant Arslanian, era nato il 23 maggio 1865 a Kharpert (oggi cittadina turca nota con il nome di Harput). Yerwant cambiò poi il cognome familiare da Arslanian ad Arslan nel 1923. È stata professoressa di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Padova. Nel 2004 ha scritto il suo primo romanzo, La masseria delle allodole, pubblicato da Rizzoli, che ha vinto il Premio Stresa di narrativa, il Premio dei Lettori di Lucca ed è stato finalista del Premio Campiello e che tre anni dopo è stato portato sul grande schermo dai fratelli Taviani. Nel 2015, sempre con Rizzoli, ha pubblicato Il rumore delle perle di legno sulla sua infanzia in Italia, sulla propria madre e sul genocidio armeno.
Questo Blog dell’Editore oggi vuole rimediare ad una grande mancanza. Anzi, due, perché non abbiamo mai parlato: per primo di Antonia Arslan, che da anni sta promuovendo un programma di scambio culturale tra l’Artsakh e l’Italia, insieme alla fondazione Christians In Need Foundation (CINF); per secondo dell’istituto professionale intitolata a Antonia Arslan a Stepanakert, la capitale della autoproclamata Repubblica armena di Artsakh/Nagorno-Karabakh.
Gli Armeni dell’Artsakh hanno aperto in collaborazione con l’Italia la scuola Antonia Arslan per formare i giovani l’anno scorso, ad un anno dalla guerra dei 44 giorni mossa da Azerbajgian e Turchia, per far ripartire l’Artsakh.
Ricordiamo che gli Azeri hanno cominciato alle ore 07.15 di domenica 27 settembre 2020 la guerra dei 44 giorni [QUI], bombardando direttamente la capitale Stepanakert e, soprattutto, mirando a punti strategici e socialmente rilevanti come l’ospedale, dove è andato distrutto il reparto maternità, la centrale elettrica, scuole e asili. L’attacco è stato portato con missili, bombe a grappolo e al fosforo. Per 40 giorni gli allarmi si susseguivano quotidianamente. Praticamente le persone vivevano negli scantinati.
La minaccia azera agli Armeni che vivono nell’Artsakh (e non solo) è esistenziale, non solo militare. È in atto un genocidio, non solo culturale. E nessuno difende gli Armeni dagli Azeri, tanto meno l’Europa e l’Occidente “cristiani”, che non hanno mosso un dito per difendergli. Solo Vladimir Putin con la Federazione Russa pone un ostacolo alle mire espansionistiche azero-turche. Il problema principale degli Armeni dell’Artsakh è che si sentono isolati e traditi dall’Occidente. Oggi l’Artsakh è il baluardo della civiltà occidentale, accerchiata da paesi islamici, vittima di un tentativo di pulizia etnica. Anche dopo la firma del cessate il fuoco, gli Azeri continuano a tagliare elettricità, acqua e internet, fino a bloccare l’unica strada con l’Armenia e il resto del mondo, per rendere la vita impossibile alla popolazione di Artsakh, nella speranza che gli Armeni andranno via tutti. Ma questa è la loro terra e qui hanno una missione.
Con la guerra dei 44 giorno di fine 2022, a causa dei missili azeri e dei droni turchi, più di 7.000 edifici residenziali sono stati colpiti per un danno stimabile in 80-90 milioni di euro. In sei settimane di guerra sono morte circa 6.000 persone, in battaglia sono caduti circa 3.300 soldati, circa 40.000 Armeni hanno dovuto abbandonare la propria casa. L’aggressore azero, con l’aiuto della Turchia, ha occupato tre quarti di territorio dell’Artsakh. L’aggressore azero ha sottratti circa 2.000 monumenti, 10 musei statali e due privati, almeno 20 mila opere d’arte. La civiltà armena è in pericolo. Dopo la guerra di ottobre 2020 non solo parte del patrimonio armeno e vigneti storici sono passati nelle mani azere, ma anche 108 scuole, 37 tra asili, istituti di musica e arte, istituzioni culturali, 11 laboratori di ingegneria.
Gli Armeni vogliono la pace, mentre l’Azerbajgian della dittatura ereditaria di Ilham Aliyev e la Turchia del sultano Recep Tayyip Erdoğan vogliono l’Artsakh e l’Armenia; vogliono completare il genocidio del 1915, minacciando l’esistenza stessa degli Armeni.
Gli Armeni dell’Artsakh rispondono all’odio, alla crudeltà, ai metodi barbari e ai crimini di guerra degli azero-turchi con la scienza e l’educazione. Il primo passo di questo cammino è proprio la scuola professionale sorta nella capitale dell’Artsakh, Stepanakert, dove con l’aiuto di insegnanti e istituzioni locali e italiane, tra le quali la scuola alberghiera dell’istituto Don Gnocchi di Carate Brianza, sono stati istituiti corsi per falegnami, cuochi, sarti, parrucchieri e molto altro.
L’iniziativa era nata nella primavera del 2019 quando, per l’occasione della Giornata della Memoria, la scrittrice Antonia Arslan, era venuta a Carate Brianza per parlare del genocidio Armeno ai ragazzi del Liceo D. Gnocchi. Poi, nei mesi di ottobre e novembre successivi sono venuti in visita all’istituto alberghiero e il liceo Don Gnocchi una preside, il Ministro dell’Istruzione e il Presidente dell’Artsakh.
La costruzione della scuola era iniziata nel 2019, ma durante la guerra l’edificio è stato colpito intenzionalmente da un missile azero, che l’ha distrutto. Ma dopo la guerra è stato ricostruito subito. Si potrebbe dire che una scuola è soltanto una goccia nel mare, di fronte ai tanti bisogni dell’Artsakh, minacciato nella sua stessa esistenza. Ma è una goccia che fa la differenza. La scuola Antonia Arslan, a parte di fornire educazione professionale ai giovani Armeni, riaccende la speranza nella popolazione dell’Artsakh.
Però, oggi, con il blocco dell’Azerbajgian, come tutti gli istituti scolastici dell’Artsakh, la scuola è chiusa.
Parole di pace per l’Armenia di Antonia Arslan
7 ottobre 2020
Il Caucaso del Sud era precipitato da più di una settimana in una nuova guerra e la scrittrice Antonia Arslan lanciò come primo firmatario un Appello per la pace e la democrazia, che ha trovato subito l’adesione di tanti personaggi del mondo della cultura e di tanti cittadini. Una guerra azero-turca, troppo spesso ignorata dai nostri media, che ha prodotto una crisi umanitaria terribile per la popolazione civile di Artsakh/Nagorno-Karabakh, in seguito all’attacco dell’Azerbajgian, con l’aiuto della Turchia e il sostegno di mercenari islamici jihadisti. I due terzi della popolazione erano stati costretti alla fuga, in seguito ai bombardamenti incessanti che colpivano Stepanakert, Shushi e altri centri dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh.
Appello per la pace e la democrazia
È ormai da più di una settimana che il popolo armeno in Armenia e in Artsakh (Nagorno-Karabakh) sta respingendo la massiccia offensiva militare dell’Azerbajgian supportata apertamente dalla Turchia.
La capitale Stepanakert e le altre città e villaggi dell’Artsakh, gli ospedali e le scuole, sono bombardate con bombe a grappolo, con missili, cacciabombardieri e droni kamikaze. Il numero delle vittime civili sta crescendo. Anche diversi giornalisti della stampa internazionali sono rimasti feriti.
Ignorando gli appelli della comunità internazionale e dei mediatori internazionali (USA, Francia e Federazione Russa) per un cessate il fuoco immediato, l’Azerbajgian sta conducendo un’offensiva militare su larga scala contro l’Artsakh, con il diretto sostegno politico e militare della Turchia che sta trasferendo nella zona del conflitto armi e istruttori militari, nonché terroristi jihadisti dalla Siria. L’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Russia e la Francia, hanno già rilasciato dichiarazioni allarmate al riguardo e le principali testate giornalistiche italiane e internazionali hanno confermato l’infiltrazione, da parte turca, di terroristi jihadisti.
Noi tutti stiamo assistendo impotenti all’esportazione nel Caucaso Meridionale della politica destabilizzante neo ottomana della Turchia. La stessa politica destabilizzante che Erdoğan sta portando avanti in Siria, Libia e nel Mediterraneo orientale e che dovrebbe destare le più serie preoccupazioni dell’Europa e dell’Italia in primis.
In piena e grave violazione del diritto umanitario internazionale, l’Azerbajgian e la Turchia hanno ignorato gli appelli del Segretario Generale dell’ONU e di Papa Francesco per una tregua globale in tempo di Pandemia da Covid-19. Proprio nei giorni in cui il mondo intero sta celebrando il trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, l’Azerbajgian intende sopprimere il diritto all’autodeterminazione che l’Artsakh esercita da prima della caduta dell’URSS.
Oggi, di fatto, il popolo armeno, sopravvissuto al genocidio commesso dall’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1923, sta di nuovo combattendo da solo contro il terrorismo internazionale e sta affrontando una minaccia per la sua stessa esistenza.
Ci appelliamo affinché l’Italia, che ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11 della Costituzione Italiana), dia il suo contributo significativo invitando la Turchia, con cui siede assieme al tavolo della Nato, a mettere immediatamente fine al coinvolgimento militare nel conflitto, e insista affinché tutte le parti ripristinino il cessate il fuoco e tornino ad accettare la strada di negoziati pacifici.
La guerra scatenata dall’Azerbajgian ha un unico obiettivo: quello di entrare in possesso del territorio dell’Artsakh ma senza i suoi abitanti.
Ci appelliamo perché, sempre fedele alla sua Costituzione, l’Italia supporti la lotta per la libertà e la democrazia del popolo dell’Artsakh. Roma, 7 ottobre 2020
Nagorno-Karabakh, il grido della scrittrice Antonia Arslan: “La mia Armenia ha bisogno di voi, ma l’Europa tace”
Per l’accademica di origini armene solo la diplomazia “a muso duro” può fermare gli scontri: “Dietro al conflitto c’è Erdoğan: è pericoloso e sottovalutato”
di Gabriella Colarusso la Repubblica, 26 ottobre 2020
Ricorda quello che i giornali tedeschi scrivevano alla fine dell’Ottocento, Antonia Arslan, gliel’hanno raccontato i sopravvissuti della sua famiglia, l’ha studiato. “Scrivevano che gli armeni erano gli ebrei del Medio Oriente”, ci dice quando la incontriamo nella sala Nassiriya del Senato. È passato più un secolo dal genocidio del suo popolo per mano dei giovani turchi ma la guerra tra azeri e armeni nel Nagorno Karabakh riaccende nella scrittrice un’”ansia” ancestrale.
Nel 2004, quando aveva 66 anni, Arslan decise di condividere la memoria che suo nonno le aveva consegnato in un libro sul genocidio armeno, La masseria delle allodole, che è poi diventato un film dei fratelli Taviani. Alle otto italiane di oggi sarebbe dovuta partire la tregua annunciata dall’amministrazione americana, ma nel Nagorno si combatte ancora e i due fronti si accusano a vicenda di averla violata.
Qual è la strada per la pace?
“La diplomazia, anche dura. Visualizzo questo piccolo popolo arrampicato sulle montagne, che voleva solo vivere tranquillo, e poi questo attacco terribile che si è scatenato sulla capitale del Nagorno colpendo l’unica frazione degli armeni che non aveva subito il genocidio. Parliamo di un piccolo gruppo di montanari cristiani che vivono da sempre nel Caucaso, la terra delle mille nazionalità diverse. Temo per quello che può succedere. Nel 2006 l’Arzebajian distrusse i cimiteri armeni nel Nakhichevan con i carri armati, lì della presenza armena non c’è più traccia. Cancellata anche la loro memoria [*]. I 150mila armeni del Nagorno non voglio subire la stessa sorte. E il silenzio delle istituzioni italiane e dell’Europa mi lascia molto perplessa”.
Gli azeri sono finanziati e sostenuti dalla Turchia di Erdoğan, con cui l’Europa ha rapporti tesi in questa fase ma anche molti interessi condivisi.
“Erdoğan apre continui fronti di guerra, in Siria, con la Grecia, ora nel Nagorno, è pericoloso ed è sottovalutato. Non chiedo a nessuno di “morire per Danzica”, ma la diplomazia è anche saper usare il muso duro quando serve. E invece l’Europa tace in un silenzio assordante”.
Cosa muove l’ambizione turca?
“Lo chiamano neo-ottomanesimo ed è vero. Il sogno di Erdoğan è diventare il grande Califfo, conquistare la parte sud dell’Armenia, che fu data da Stalin all’Azerbaijan, prendersi quel pezzetto e collegare via terra la Turchia con le Repubbliche musulmane ex sovietiche dell’Asia centrale per esercitare influenza anche su quei territori”.
Il bombardamento della chiesa di Stepanakert, la capitale del Nagorno, è stato uno dei momenti più cruenti del conflitto finora. Perché un luogo di preghiera?
“Ci sono stata tre volte in quella chiesa, è su un’altura circondata dal verde, non c’è niente di militare intorno, volevano colpirla come simbolo. Il messaggio è che vogliono fare di questo conflitto anche una guerra di religione perché è quello che trascina le masse”.
Denuncia il silenzio dell’Europa e del nostro governo, ma l’Italia ha bisogno di Erdoğan in Libia.
“Se Erdoğan pensa di non avere bisogno dell’Italia non vedo perché dovrebbe aiutarci in Libia. Macron in Europa è l’unico che si fa sentire, anche perché la Francia ha una forte minoranza armena al suo interno, 500mila persone ben inserite, hanno avuto dei ministri, sindaci di grandi città. L’Europa segue la Germania e se la Germania non si muove non accade nulla”.
La Turchia è schierata con gli Azeri, ma cosa si aspettano gli armeni dai Russi?
“La Russia sta tenendo un atteggiamento ambiguo, ma non difendere il suo alleato storico significherebbe perdere la faccia in Asia centrale”.
[*] L’Azerbajgian ha commesso il peggior genocidio culturale del XXI secolo: ha distrutto tra il 1964 e il 1987 nel Nakhichevan 89 chiese armene, 5.840 khachkar e 22.000 lapidi. E questo è solo un esempio del genocidio culturale in un territorio sotto controllo azero. Come può uno Stato che non rispetta i monumenti dei morti rispettare i vivi? [V.v.B.].
A ventisei anni dal temporaneo accordo di Biškek, la regione caucasica del Nagorno-Karabakh è tornata nel caos. Lo scorso 27 settembre l’artiglieria azera ha effettuato degli attacchi missilistici e aerei diretti verso centri a maggioranza armena, tra cui la capitale Stepanakert. Da allora sono migliaia le vittime denunciate da entrambi gli schieramenti, di cui almeno un centinaio di civili, e ogni tentativo di attuare tregue naufraga poche ore dopo il cessate il fuoco.
Abitato da una maggioranza armena ma riconosciuto internazionalmente come parte dell’Azerbajgian, il territorio è conteso tra Baku ed Erevan. Dal primo conflitto del 1988, terminato nel 1994 con un cessate il fuoco privo di una concreta risoluzione della controversia, sono state diverse le recrudescenze degli scontri armati tra forze azere e armene (il cui apice si è raggiunto nella guerra dei quattro giorni in Nagorno Karabakh del 2014).
Gli interventi armati delle truppe azere possono configurarsi come atti di pulizia etnica? Quali scenari si stanno delineando nell’immediato futuro? Qual è la posizione dell’Unione europea? Quali strategie geopolitiche e interessi hanno Turchia e Russia? A queste e altre domande risponde il giornalista Simone Zoppellaro, con cui abbiamo analizzato la situazione. Autore dei libri Armenia oggi (2016) e Il genocidio degli yazidi (2017), Zoppellaro scrive per diversi media italiani, tra cui Frontiere News.
Quali sono le prospettive più verosimili nell’immediato?
Gli armeni hanno una posizione di debolezza evidente – in questo l’intervento turco è stato determinante a mutare gli equilibri. Una debolezza che si riflette in una perdita di posizioni, sia a Nord che al Sud del Karabakh, come ammesso anche dagli armeni. Ma anche e soprattutto nel fatto che la capitale Stepanakert e gli altri centri del Karabakh sono giorno e notte sotto i bombardamenti azeri, che hanno già provocato la fuga dei due terzi della popolazione, rifugiatasi in Armenia.
Se il conflitto dovesse continuare, difficile immaginare che gli armeni possano resistere e tenere la linea del fronte per molto tempo. La Russia, dati gli accordi militari con Yerevan, non è tenuta a intervenire fino a che non venga invaso il territorio armeno. E il Karabakh, da un punto di vista legale, non lo è. La teoria della guerra per procura fra Mosca e Ankara, a cui non ho mai creduto, trova assai poco terreno fertile in questa guerra. La realtà è assai più complessa. E la realtà è che l’Armenia, al momento, è sola a fronteggiare avversari assai più potenti.
Il rischio concreto è che si passi presto a un’invasione via terra. A una strage di dimensioni immani, nutrita da uno spirito di vendetta determinato dalla sconfitta azera degli anni Novanta e dal nazionalismo del regime, che vede negli armeni l’essenza stessa del male assoluto. Sono in tanti a fare finta di non vederlo, oggi.
Come giudichi l’approccio dell’Unione europea? Qualcosa inizia a muoversi, anche perché è evidente ormai che l’intento di Erdoğan e Aliyev è quello di cercare di ridimensionare, tutto a loro favore, il peso diplomatico dell’Europa e degli USA nella regione, facendo leva su una Russia che al momento, però, è in posizione attendista.
Ma quanto finora fatto è poco: sembra quasi che le democrazie, ancora una volta, non abbiamo né la volontà né gli strumenti per fronteggiare stati assai più spregiudicati, che si fanno beffe dell’immobilismo, delle contraddizioni interne e delle retoriche accomodanti e non incisive dei nostri governi e delle istituzioni europee. Segni assai incoraggianti anche per gli aspiranti dittatori di domani; che non mancano, anche qui da noi.
Si parla di genocidio, termine spesso abusato. Lemkin, nel coniare questo termine, si riferiva allo sterminio di gruppi razziali e nazionali, contro le popolazioni civili di determinati territori occupati al fine di distruggere particolari razze e classi di persone e gruppi nazionali, razziali o religiosi. Secondo te l’offensiva azera è inquadrabile in questa prospettiva? Presto per dirlo, ma gli indizi non mancano, e non vanno sottovalutati. I genocidi vanno prevenuti, non commemorati quando ormai sono storia. Questa è la lezione più grande che ci ha lasciato Lemkin. Al momento, direi senza esitazioni che è in atto un tentativo di pulizia etnica. Se poi la linea del fronte da parte armena non reggesse, dobbiamo essere pronti al peggio. Erdoğan stesso, che ha affermato pubblicamente di voler portare a termine la missione degli antenati ottomani rispetto alla questione armena, ha contribuito a fare della minaccia presente di genocidio un’arma. Che è anche un’arma psicologica, chiaramente, per seminare terrore fra gli armeni. Ma ve l’immaginate che succederebbe se la Merkel affermasse una cosa simile contro Israele?
Eppure, al regime di Ankara si abbona questo ed altro. Nel timore di fare il gioco delle destre e degli xenofobi, molti governi europei preferiscono nascondere la testa sotto la sabbia. Spianando la strada peraltro, come detto, ai negazionisti e agli estremisti che – in Italia, in Germania, e in tanti altri paesi – sognano un ritorno della dittatura in Europa.
Cosa vuole portarsi a casa da questa situazione la Turchia? La Turchia rientra di prepotenza nel Caucaso, rafforza la sua componente nazionalista interna, che si nutre di un odio viscerale contro gli armeni. È ingenuo considerare la Turchia di oggi uno stato su sola base religiosa. La formula vincente di Erdoğan è un mix tossico, ma molto ben calibrato, di religiosità popolare e nazionalismo. Ankara sogna di scalzare l’Europa e gli USA nel Caucaso, e di fare una bella spartizione con la Russia, con la quale ha già in corso una contrattazione sia sulla Siria che sulla Libia. Ma Putin, al momento, non sembra dargli corda.
E la Russia? La Russia ha ben altri interessi che gli premono rispetto al Karabakh. A Putin interessa semmai l’Armenia, ed interessa che sia sempre più dipendente da Mosca. Che non ha mai digerito del tutto la rivoluzione di velluto del 2018. Un’anomalia nello spazio post-sovietico. Ora, la nuova Armenia di Pashinyan è costretta ad andare in ginocchio Putin di aver salva la vita. Per non parlare dei milioni di dollari in armamenti che la Russia esporta, con un doppio gioco evidentissimo, sia a Baku che a Yerevan. Cosa sarà mai un fazzoletto di terra come il Karabakh, privo di risorse peraltro, per Mosca? Poco o nulla, credo.
Amnesty International ha dichiarato il 5 ottobre di aver identificato “munizioni a grappolo M095 DPICM di fabbricazione israeliana che sembrano essere state sparate dalle forze azere”. Che idea ti sei fatto a tal proposito? Del resto anche l’Azerbaigian ha accusato l’Armenia di usare munizioni a grappolo. Un’idea assai precisa, dato che sono armi che ho visto con i miei occhi nel 2016 in Karabakh. Non è la prima volta che vengono usate in questo contesto. Sono anni, appunto. L’ospedale di Stepanakert, mi raccontano due e colleghi e amici che l’hanno visitato nei giorni scorsi, Daniele Bellocchio e Roberto Travan, è pieno di feriti con frammenti di bombe a grappolo nel corpo e nel cervello.
Non sono però in grado di valutare se anche gli armeni le abbiano utilizzate nei loro attacchi contro le città azere. Amnesty stessa, se si legge il loro comunicato, ammette di non aver le prove per affermarlo, mentre afferma, al contempo, il loro utilizzo contro la popolazione del Karabakh.
Da Salvini a una certa cerchia ultra-cattolica, sembra che il conflitto in Nagorno Karabakh venga usato in funzione anti-islamica. Del resto, da gran parte del mondo politico e culturale c’è un assordante silenzio. Sei d’accordo? Ai leghisti ricorderei che, da diversi anni, a capo della lobby pro-azera nel parlamento italiano ci sono membri del loro partito. Al Vaticano, che hanno ricevuto finanziamenti assai ingenti, ufficialmente per scopi culturali, dal regime di Baku. Non scherziamo. Non bastano un paio di selfie e una frasetta pronunciata all’Angelus per modificare la nostra politica estera; che, fra quelle europee, è fra le più asservite ad Ankara e a Baku.
Giusto per essere ecumenico, ricorderei il silenzio assordante della sinistra italiana in queste settimane. Un silenzio che parte dai media, passa per il mondo dell’associazionismo e del pacifismo e arriva dritto al governo. Per non parlare di Renzi, grande sostenitore del regime di Baku, di cui ha tessuto panegirici degni di un poeta medievale.
Tornando alla domanda, è in atto un tentativo goffo e improprio (soprattutto in Italia) di far passare questa guerra come un conflitto di religione. Basta andare a leggersi la lista dei prigionieri politici in Azerbaigian per rendersi conto come il gruppo più nutrito sia proprio quello di matrice religiosa. Parliamo piuttosto del gas e del petrolio che importiamo da Baku, uno dei nostri principali fornitori. Si toccasse quel punto, e questa guerra cadrebbe come un bel castello di carte.
Come raccontare in maniera equilibrata questo conflitto senza cadere nelle trappole del fanatismo o del tifo da stadio? Per raccontare in modo equilibrato questa guerra, infine, basta conoscerla. Si deve uscire dalla logica feroce e ludica della geopolitica per guardare al dramma delle popolazioni civile coinvolte. Gli armeni che vivono da venti giorni stipati in rifugi aerei, nel Karabakh, o in fuga per l’impossibilità a resistere a questo inferno. Gli azeri, anch’essi colpiti in alcune città, e sottomessi da una dittatura feroce, quella della famiglia Aliyev, al potere quasi ininterrottamente dal 1969. Una dittatura che trae il suo primo sostentamento proprio da questo conflitto, che rappresenta la leva fondamentale con cui si soffoca ogni opposizione interna.
I contrapposti nazionalismi, sempre più accesi in questi giorni, minacciano di avvelenare le future generazioni di armeni e di azeri, con danni che rischiano di estendersi ben oltre la conclusione di questa guerra. Lo stato di eccezione e la legge marziale rischiano inoltre di mandare in cenere i progressi democratici dell’Armenia del post-2018.
Hai vissuto per molto tempo in Armenia e per qualche mese in Karabakh. Che aria si respirava? Le persone si aspettavano questo conflitto? Questo conflitto, che è rimasto congelato per oltre un quarto di secolo, aveva subito una prima scossa violente nell’aprile del 2016, quando in quattro giorni c’erano state centinaia di morti. Il timore di un ritorno alla guerra aperta c’è sempre stato, ma la violenza e la velocità con cui si sono svolti gli eventi di queste tre settimane di guerra – nessuna donna o uomo, non solo in Karabakh, può essere preparato a questo. Ricevo tutti i giorni messaggi e chiamate da armeni, spesso in lacrime, che sono distrutti, demoralizzati e arrabbiati. Arrabbiati soprattutto perché pensano, non a torto, che il mondo li abbia abbandonati.
Perché l’Armenia non riconosce l’Artsakh? Perché, dopo il cessate il fuoco del 1994, non si è mai arrivati a un accordo di pace. Un accordo sul quale, allora, le speranze erano assai più concrete di oggi. Il punto non è solo il riconoscimento dell’Artsakh, come gli armeni chiamano il Karabakh. Un altro punto importante sono i sette distretti adiacenti che non sono parte del Karabakh, nonostante siano occupati dagli armeni sin dalla guerra. Un compromesso territoriale non sarebbe impossibile da raggiungere. Eppure, dopo oltre un quarto di secolo, siamo ancora qui.
In che modo lo scioglimento dell’URSS ha influito sul riemergere della questione? La questione del Karabakh, la cui attribuzione all’Azerbaigian (allora repubblica socialista parte dell’Unione) fu determinata agli inizi dell’esperienza sovietica, riesplode durante la Perestrojka, proprio in ragione della maggior libertà di espressione che si afferma. Se i confini attuali di Armenia e Azerbaigian, e non solo, furono determinati da un processo non troppo dissimile, mutatis mutandis, da quello portato avanti in Africa da potenze coloniali quali Inghilterra e Francia, non fu mai offerto alle popolazioni coinvolte la possibilità di esprimersi in proposito. Questo ha provocato tante guerre, non solo in Karabakh.
Chi seguire, in Italia e a livello internazionale, per avere notizie accurate sul conflitto? Uno dei problemi che si trova a dover fronteggiare chi cerchi di fare informazione sulla guerra in Karabakh è il problema di trovare fonti attendibili. È una richiesta che mi viene fatta spesso, e denota da un lato l’incapacità tutta italiana di comprendere e raccontare una guerra di cui non si è mai occupato nessuno per anni.
L’Azerbaigian, secondo il World Press Freedom Index di RSF (lo studio più accreditato al mondo in materia) è al 168 posto su 180 paesi per la libertà di stampa e dei media. 14 posti dietro alla Turchia, per intenderci. Non solo: il sito del Ministero degli Esteri azero pubblica e aggiorna periodicamente sul suo sito una lista di persone non gradite (1.020, nell’ultima versione) a cui è impedito di viaggiare sul suo territorio. Include soprattutto giornalisti, scrittori, donne e uomini di cultura.
A molti di loro (o meglio, di noi, perché anch’io sono in quella lista) arrivano periodicamente minacce e intimidazioni da troll anonimi o anche da figure governative. Purtroppo, fra le vittime di questo sistema, ci sono anche le vittime (reali) di questo conflitto che sta colpendo, in questi giorni, anche Ganja e altri centri dell’Azerbaigian, non solo gli armeni. Vittime su cui grava il buio di un sistema di disinformazione fra i più malati al mondo. Da parte armena, dove normalmente la situazione è assai migliore, la legge marziale introdotta all’inizio della guerra impone un controllo capillare sui media.
Ci sono giornalisti italiani che hanno fatto lavori splendidi in questi giorni, come i già ricordati Daniele Bellocchio e Roberto Travan, oltre ad analisti come Aldo Ferrari, che ha scritto libri fondamentali sul Caucaso. E ci sono siti di informazione, come East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, che sono di ottima qualità. Da un punto di vista internazionale, raccomando OC Media, oltre ad analisti come Thomas de Waal, autore di uno splendido libro sul Karabakh. Raccomando infine di usare Twitter che nel Caucaso è da sempre il riferimento fondamentale per raccogliere voci fuori dal coro (e dalla censura).
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-01-20 16:56:362023-01-21 16:59:33Genocidio armeno atto finale. Europa e Italia chinano il capo a Turchi e Azeri. La Santa Sede rimane in silenzio (Korazym 2001.23)
Il 2023 per il teatro comunale Corsini di Barberino di Mugello è “Young”. È soprattutto ai giovani spettatori che il più grande spazio teatrale del Mugello si apre, con tanti appuntamenti a loro dedicati. Si parte con “Garò. Una storia armena”, che racconta di un giovane, della sua famiglia e della vita in un piccolo villaggio di montagna. Attraverso le sue parole conosceremo i riti di passaggio, i giochi, le feste e i colori di quella cultura straordinaria. Lo spettacolo, con un linguaggio adatto sia agli adulti che al target giovani, racconta così le vicende del popolo armeno, vittima di un’ideologia nazionalista, che sfocerà nella pianificazione e nell’attuazione del più atroce e terribile dei crimini: il genocidio. Uno spettacolo che apre alla settimana della Memoria che vede al Corsini mettere in scena lo spettacolo “L’albero della Memoria” dedicato ai ragazzi delle scuole del territorio, mentre il 27 gennaio, dalle 21 si terrà una serata promossa dal Comune e dall’associazionismo barberinese, con testimonianze, video-interviste e riflessioni sul tema. La rassegna “”Young” continuerà poi fino ad aprile: per fermarsi agli spettacoli più prossimi, sabato 28 gennaio alle ore 21 e domenica 29 alle 16.30 è in programma “Il circo delle bolle di sapone in su”: tre figure danzanti fuori dal tempo che creano senza sosta migliaia di bolle usando oggetti tra i più disparati in un vortice di giochi, musiche e colorate corografie. Uno spettacolo dedicato ai bambini e alle famiglie, ma anche a tutti quelli che non smettono di sognare e stupirsi.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-01-20 10:19:172023-01-20 18:20:49Il teatro è Young con "Una storia armena" (Lanazione 20.01.23)
Domani sera, ore 21, l’attenzione sarà sugli armeni dell’Artsakh.
Venerdì 20 gennaio alle ore 21 torna in piazza Tre Martiri l’Appello all’umano in difesa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente e in tante altre parti del mondo. Questa volta ci soffermiamo su una delle tante situazioni di guerra dimenticate, o anche “oscurate” dal conflitto in atto ormai da quasi un anno tra Russia e Ucraina. Si tratta della repubblica dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), Caucaso meridionale, auto dichiaratasi indipendente il 6 gennaio 1992.
Come riportato dal giornalista riminese Leone Grotti sul mensile Tempi, da quasi due mesi l’Azerbaigian ha chiuso il corridoio di Lachin che ha bloccato il transito sull’unica strada che porta in Armenia. Sicché 120mila armeni dell’Artsakh stanno patendo una situazione di gravissima crisi umanitaria. Non arriva loro né cibo, né benzina, né medicine, oltre a tutto quello che serve alle imprese per lavorare. C’è una gravissima crisi sanitaria e mancanza di cure per bambini e anziani; i macchinari sanitari sono fuori uso per mancanza di pezzi di ricambio; gli scaffali dei supermercati sono vuoti. Ma ancor più preoccupante della crisi economica è quella che riguarda le famiglie: attualmente bloccati in Armenia ci sono un migliaio di genitori che non possono raggiungere i figli piccoli, che perciò devono essere accuditi dai vicini o dai servizi sociali. Ovviamente questi piccoli vivono un tremendo disagio psicologico. Complessivamente ci sono 120mila armeni che si vedono calpestare i fondamentali diritti umani. Appelli recenti all’Azerbaigian di riaprire quel corridoio sono stati fatti fra l’altro dal Segretario generale delle Nazioni Unite, dal Papa, dal Parlamento europeo, finora senza esito. Anzi l’unico intervento è stato peggiorativo della situazione: l’Azerbaigian ha tagliato la connessione a internet in tutto il Nagorno Karabakh.
Con tutto ciò abbiamo voluto dedicare l’appello a questa situazione. Dopo la recita del rosario in piazza ci sarà la testimonianza di un armeno dell’Artsakh: si tratta di Hamlet Harutyuyan, un giovane universitario che studia a Ferrara.
Comitato Nazarat di Rimini
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-01-19 18:16:022023-01-20 18:17:59L’Appello all’umano in piazza Tre Martiri (Riminduepuntizero 19.01.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.01.2023 – Vik van Brantegem] – Ignorare l’assedio criminale azero dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh equivale a condannare il popolo armeno dell’Artsakh a una lenta morte, mentre l’Italia stringe accordi militari con Baku per il gas azero (ovvero, russo riciclato). Tutto il traffico (di persone e merce) da e per la parte ancora libera della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh rimane interrotto dal 12 dicembre 2022. Passano solo veicoli del contingente di pace russi e del CICR. La #StradaDellaVita, lungo il segmento di Shushi dell’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, è chiuso da sedicenti “eco-attivisti” organizzati e pagati dal regime autoritario dell’Azerbajgian, sostenuti dalla polizia azera e sotto l’occhio vigile delle forze armate azere.
L’Azerbajgian è uno stato terrorista gestito da un dittatore guerrafondaio e genocida. L’Azerbajgian è una dittatura che nella classifica della libertà di Freedom House sta più in basso dell’Afghanistan. La Russia possiede quote significative nei suoi giacimenti petroliferi e l’Azerbajgian ricicla il gas russo per la rivendita in Europa, con cui finanzia le sue guerre contro gli Armeni Cristiani. È colpevole di crimini di guerra, attualmente impegnato nella pulizia etnica con il #ArtsakhBlockade, con la sicurezza dell’impunità.
L’Azerbajgian ha commesso il peggior genocidio culturale del XXI secolo: ha distrutto tra il 1964 e il 1987 nel Nakhichevan 89 chiese armene, 5.840 khachkar e 22.000 lapidi. E questo è solo un esempio del genocidio culturale in un territorio sotto controllo azero. Come può uno Stato che non rispetta i monumenti dei morti rispettare i vivi?
L’Azerbajgian pro capite è tra i peggiori inquinatori e i maggiori contributori al riscaldamento globale del pianeta. Aggiungete a questa vasta distruzione ecologica lungo la costa e l’enorme quantità di tossine che scarica nel Mar Caspio, il più grande specchio d’acqua interno del mondo. Ma ai finti “eco-attivisti” azeri che tengono bloccato per “preoccupazioni ambientali” l’unica strada verso il Nagorno-Karabakh, se ne fregano dei 120.000 Armeni che tengono sotto assedio. Non protestano mai contro la distruzione ecologica nel proprio Paese, come farebbero se fossero dei veri ambientalisti [ritorniamo sulla questione in fondo a questo articolo].
L’Azerbajgian continua a non consentire la riparazione dell’unica linea ad alta tensione che alimentava l’Artsakh dall’Armenia. La situazione dell’approvvigionamento energetico rimane tesa. Inoltre, il 18 gennaio 2023 l’Azerbajgian ha chiuso il gasdotto dall’Armenia all’Artsakh.
Mentre il resto del mondo chiede allo stato terrorista dell’Azerbajgian di porre fine all’assedio dell’Artsakh, solo le forze armate dell’Azerbajgian con la neutralità delle forze di mantenimento della pace russe mantengono in piedi il #ArtsakhBloccade. L’Azerbajgian, sfruttando la vulnerabilità dell’infrastruttura critica dell’Artsakh, blocca la strada e interrompe la fornitura di gas e elettricità per causare più sofferenze alla popolazione civile dell’Artsakh.
«Ringrazio le organizzazioni internazionali, i parlamenti di diversi paesi, tutti i funzionari stranieri che non sono indifferenti al destino dell’Artsakh per aver ascoltato la voce dell’Artsakh, risposto e sollevato la questione dalla loro parte. Spero che grazie alla continua pressione della comunità internazionale, l’Artsakh supererà rapidamente questa crisi» (Ruben Vardanyan – Telegram, 19 gennaio 2023).
«Aliyev dice agli Armeni del Nagorno-Karabakh: accetta la cittadinanza azera o vattene. Dichiarazioni del genere sono inaccettabili per un Paese che si definisce un “partner affidabile” dell’Unione Europea» (Eurodeputato Marina Kaljurand, Presidente della Delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale).
Il modo migliore per porre fine a questa storia
è riconoscere l’Artsakh come Stato indipendente
L’unico modo per vivere fianco a fianco
è essere vicini e non far parte dell’Azerbajgian
Il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Ruben Vardanyan, nella sua seconda intervista alla televisione francese France 24 dall’inizio dell’assedio dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian, presentando la situazione, ha detto che gli Europei devono mettere pressione sull’Azerbajgian e creare un ponte aereo in modo per portare il cibo e le medicine di cui il popolo dell’Artsakh ha tanto bisogno.
Vardanyan ha sottolineato: «Penso anche che il modo migliore per porre fine a questa storia sarebbe riconoscere l’Artsakh come Stato indipendente. Perché l’Azerbajgian non è in grado di fornire condizioni di vita normali non solo agli Armeni, ma anche al proprio popolo. La situazione attuale dimostra ancora una volta che non è possibile vivere in Azerbajgian, dove c’è tanta pressione e tanti attacchi alla popolazione civile».
Alla domanda di France 24, che ha in mano la chiave per la soluzione e la fine delle sofferenze del popolo del Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan ha detto, che il principale “beneficiario” di tutto questo è il regime di Aliyev, perché avere un nemico esterno gli permette mantenere il suo regime. «Non dimentichiamo che il Paese è stato governato da una sola famiglia per decenni. Pertanto, l’unico modo per mantenere l’unità all’interno del Paese è avere un nemico esterno che possa sempre essere utilizzato per consolidare il proprio potere. Ecco perché la chiave è nelle mani del popolo dell’Azerbajgian, perché i loro figli muoiono durante la guerra, sono poveri, anche se hanno tanto petrolio e gas. E la civilizzata comunità internazionale dovrebbe spiegare che questo è inaccettabile. Francia, Russia, Stati Uniti, Iran, Turchia sono grandi attori, ma alla fine, il nostro obiettivo e la nostra responsabilità è mostrare determinazione e coraggio per difendere la nostra indipendenza. Un giorno, l’Azerbajgian dovrebbe capire che l’unico modo per vivere fianco a fianco è essere vicini e non far parte dell’Azerbajgian».
Il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh ha anche osservato che l’Europa continua le attività commerciali con l’Azerbajgian, sostenendo il regime autoritario, che sta cercando di distruggere un paese democratico come l’Artsakh. Lo ha definito “un esempio dei doppi standard di molti dei grandi giocatori”. «Russia, Europa, Stati Uniti possono svolgere un ruolo importante. La Francia è uno dei Paesi eccezionali che ha sostenuto gli Armeni dell’Artsakh fin dal primo giorno del blocco. Voglio ringraziarla per questo. Penso che Russia, Francia e Stati Uniti dovrebbero tornare al tavolo del Gruppo di Minsk dell’OSCE e fare pressione sull’Azerbajgian da tre parti”, ha detto Ruben Vardanyan.
Risoluzione del Parlamento europeo sulle conseguenze umanitarie del blocco in Nagorno-Karabakh (2023/2504(RSP)) – 19 gennaio 2023
Il Parlamento europeo,
– viste le sue precedenti risoluzioni sull’Armenia e l’Azerbaigian,
– visti l’articolo 144, paragrafo 5, e l’articolo 132, paragrafo 4, del suo regolamento,
A. considerando che l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia e il mondo esterno, il corridoio di Lachin, dal 12 dicembre 2022 è bloccata da sedicenti ambientalisti dell’Azerbaigian; che ciò perturba l’accesso a beni e servizi essenziali, tra cui cibo, carburante e medicinali, per i 120 000 armeni che vivono in Nagorno-Karabakh, ponendoli di fatto sotto un blocco;
B. considerando che il blocco ha causato una grave crisi umanitaria, che sta colpendo in modo significativo le popolazioni più vulnerabili; che il trasferimento di pazienti gravemente malati è quasi impossibile e si è già registrato un decesso; che centinaia di famiglie rimangono separate;
C. considerando che la crisi umanitaria è stata ulteriormente aggravata dall’interruzione da parte dell’Azerbaigian delle forniture di gas naturale verso il Nagorno-Karabakh, che ha lasciato senza riscaldamento abitazioni, ospedali e scuole;
D. considerando che, sostenendo il blocco del corridoio di Lachin, l’Azerbaigian viola i suoi obblighi internazionali derivanti dalla dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, in base alla quale l’Azerbaigian deve garantire la sicurezza delle persone, dei veicoli e delle merci che circolano lungo il corridoio in entrambe le direzioni;
E. considerando che gli impedimenti all’utilizzo del corridoio di Lachin frenano il processo di pace tra Armenia e Azerbaigian e minano la fiducia internazionale;
1. deplora le tragiche conseguenze umanitarie provocate dal blocco del corridoio di Lachin e dal conflitto del Nagorno-Karabakh;
2. esorta l’Azerbaigian a rispettare e attuare la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 e a riaprire immediatamente il corridoio di Lachin per consentire la libertà di circolazione e assicurare l’accesso a beni e servizi essenziali, garantendo in tal modo la sicurezza nella regione e salvaguardando i mezzi di sussistenza dei residenti;
3. sottolinea la necessità di un accordo di pace globale che garantisca i diritti e la sicurezza della popolazione armena del Nagorno-Karabakh; invita l’Azerbaigian a tutelare i diritti degli armeni che vivono in Nagorno-Karabakh e ad astenersi dalla sua retorica incendiaria volta a fomentare la discriminazione nei confronti degli armeni e a incalzare questi ultimi a lasciare il Nagorno-Karabakh;
4. esorta l’Azerbaigian ad astenersi dal compromettere in futuro il funzionamento dei collegamenti di trasporto, energia e comunicazione tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh;
5. condanna fermamente il fatto che i difensori dei diritti umani e le organizzazioni della società civile siano usati dall’Azerbaigian come capro espiatorio e invita le rappresentanze dell’UE e degli Stati membri a sostenere il loro lavoro;
6. condanna l’inazione delle “forze di pace” russe; ritiene che dovrebbe essere negoziata con urgenza la loro sostituzione con le forze di pace internazionali dell’OSCE, nel quadro di un mandato delle Nazioni Unite;
7. chiede che alle organizzazioni internazionali sia concesso un accesso senza ostacoli al Nagorno-Karabakh per valutare la situazione e fornire la necessaria assistenza umanitaria;
8. chiede una missione conoscitiva delle Nazioni Unite o dell’OSCE nel corridoio di Lachin per valutare la situazione umanitaria in loco;
9. chiede l’urgente ripresa, senza condizioni preliminari, dei negoziati basati sui principi dell’Atto finale di Helsinki;
10. sollecita l’Unione Europea a coinvolgersi attivamente e a garantire che gli abitanti del Nagorno-Karabakh non siano più tenuti in ostaggio dall’attivismo di Baku, dal ruolo distruttivo della Russia e dall’inattività del gruppo di Minsk;
11. incarica la sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione all’Armenia, all’Azerbaigian e alle istituzioni internazionali.
Il Parlamento Europeo condanna il blocco azero al Nagorno-Karabakh
Il Presidente von der Leyen prenda atto o si dimetta Il governo italiano prenda in considerazione quanto indicato e agisca di conseguenza
Il Consiglio per la Comunità Armena di Roma esprime in un comunicato grande soddisfazione per la votazione odierna al Parlamento Europeo di una risoluzione che condanna il blocco azero della strada lungo il Corridoio di Lachin, unico collegamento tra il Nagorno-Karabakh (Artsakh) e l’Armenia.
La criminale politica dell’Azerbajgian che dal 12 dicembre scorso ha isolato la regione armena spingendo sull’orlo di una crisi umanitaria 120.000 persone è stata duramente stigmatizzata dai parlamentari europei che hanno altresì denunciato il taglio delle forniture di gas, elettricità e connessione internet.
Il Consiglio per la Comunità Armena di Roma sottolinea nel comunicato l’importanza del voto politico odierno, che è un chiaro messaggio a quelle istituzioni europee e internazionali che, per mera opportunità economica, stanno avallando la politica di Aliyev (definito “partner affidabile” dal Presidente von der Leyen).
Ad avviso del Consiglio per la Comunità Armena di Roma, se legge nel comunicato, von der Leyen dovrebbe prendere atto di questa importante votazione e agire di conseguenza, sensibilizzando nel merito il “partner” azero, esprimendo pubblica solidarietà alla popolazione armena del Nagorno-Karabakh, intervenendo con una urgente missione umanitaria di soccorso.
O, in alternativa, rassegnando le proprie dimissioni.
Il Consiglio per la Comunità Armena di Roma invita il governo italiano a prendere in considerazione quanto indicato nella risoluzione e ad agire di conseguenza attivandosi per quanto del caso.
Il Parlamento Europeo e i media internazionali stanno iniziando a mobilitarsi contro la disumanità del blocco dell’Artsakh.
Siranush Sargsyan (una giornalista indipendente di Stepanakert, Artsakh/Nagorno Karabakh, che si occupa di politica e diritti umani) e Lynn Zovighian (una filantropa e co-fondatrice di The Zovighian Partnership, che lavora con le comunità che affrontano il genocidio in Medio Oriente e nel Caucaso) hanno intervistato per Newsweek delle madri in Artsakh che hanno condiviso le loro paure un mese dopo l’inizio del #ArtsakhBlockade. Non si tratta più solo di non avere cibo, medicine, elettricità, gas. Mariam gli ha detto: “Penso che le madri con bambini piccoli si stiano rivelando come un obiettivo del blocco. Secondo me, il blocco ha colpito soprattutto le famiglie con bambini piccoli”. Le madri dell’Artsakh temono il genocidio. È ora che le loro domande non restino più senza risposta Dobbiamo ascoltare con attenzione i loro appelli all’azione. Per rispondere in modo efficace è necessario il sostegno collettivo urgente del mondo.
Ascolta le madri assediate in Artsakh/Nagorno-Karabakh
di Siranush Sargsyan e Lynn Sovighian Newsweek, 18 gennaio 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
A un mese dall’inizio del blocco nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh senza ancora alcuna mediazione diplomatica internazionale in corso, 120.000 cittadini di etnia armena, 30.000 dei quali bambini, rimangono isolati dal mondo.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha recentemente tenuto una sessione per discutere del blocco del Corridoio di Lachin che collega l’Armenia con l’Artsakh/Nagorno-Karabakh e ha incoraggiato tutte le parti a mostrare moderazione. Ma gli Stati membri non sono riusciti a mettersi d’accordo su una dichiarazione di condanna e sui passi successivi.
I media internazionali hanno appena iniziato a parlare del disastro umanitario sul campo. A un mese dall’inizio del blocco del Corridoio Lachin, il mondo comincia a porsi domande serie che meritano risposte serie.
Le madri giovani, e per la prima volta bloccate, hanno posto domande difficili sin dal primo giorno, il 12 dicembre 2022. Abbiamo parlato con loro ad un mese del blocco, perché come dice l’adagio, le madri ne sanno di più.
Marta Kostanyan tiene in braccio sua figlia di 5 mesi a Stepanakert (Foto di Sona Ohanjanyan).
A Stepanakert, Marta Kostanyan, una madre di 24 anni di Sona di 5 mesi, ci ha chiesto: “Come dovrei sentirmi, come giovane donna che ha appena messo su famiglia, quando invece di godere del calore e dell’amore di mia famiglia e mia figlia, devo pensare a come evitare che mia figlia si raffreddi e dove procurarle del cibo?” Con temperature fino a -6 °C dall’inizio del nuovo anno, i sistemi immunitari di neonati e bambini vengono compromessi.
Mentre il blocco continua senza una fine in vista, ci sono pressioni significative sulle catene di approvvigionamento; i negozi non hanno più cibo e merci sugli scaffali. Il rischio di malnutrizione e persino di fame per neonati e bambini piccoli è reale.
Mariam Abrahamyan abbraccia i suoi gemelli di 18 mesi e la figlia di 5 anni a casa di suo padre a Stepanakert il 30° giorno del blocco del Corridoio di Lachin (Foto di Siranush Sargsyan).
La trentenne Mariam Abrahamyan, che ha tre figli con gemelli di 18 mesi, ci ha detto: “Penso che le madri con bambini piccoli si stiano rivelando come un obiettivo del blocco. Secondo me, il blocco ha colpito soprattutto le famiglie con bambini piccoli”. Ci ha chiesto: “In queste condizioni estreme, i genitori non sanno cosa fare: concentrarsi sui figli? Andare a lavorare? Procurarsi il pane?” Prive di risorse e indifese, le madri non sono più in grado di risolvere i problemi delle loro famiglie. “Mi sembra che ogni giorno assistiamo a ulteriori problemi”, ha spiegato dal soggiorno di suo padre a Stepanakert.
“Nonostante sia pronto ad affrontare i bisogni umanitari urgenti, le risorse del CICR potrebbero essere ancora ragionevolmente limitate”, ci ha detto al telefono da Yerevan Zara Amatuni, responsabile delle comunicazioni e della prevenzione presso la Delegazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Armenia.
Ani Tovmasyan, responsabile dell’informazione e delle pubbliche relazioni presso il Ministero dello Sviluppo Sociale e della Migrazione in Artsakh, è la madre di un bambino di 3 mesi e dal suo ufficio a Stepanakert ha chiesto: “Come ti prendi cura di un bambino a queste condizioni? Con cosa si sostituiscono i pannolini perché il bambino non si ammali, soprattutto che non ci siano farmaci anche nelle farmacie? In realtà la situazione è veramente orribile”.
L’inazione globale sta mettendo in pericolo madri e bambini, che rimarranno cicatrici per tutta la vita se non avranno la priorità ora. Le implicazioni sulla salute dei conflitti e dell’instabilità sui bambini sono incommensurabili. Le paure delle madri sono cresciute oltre il semplice nutrire i propri figli. L’obiettivo è ora anche preservare la stabilità mentale dei bambini ed evitare danni permanenti allo sviluppo cognitivo, emotivo e motorio.
Mentre la politica continua a dettare termini e condizioni sulla scena diplomatica globale, le madri di Stepanakert chiedono che la crisi dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh sia umanizzata. Le loro domande sono ciò di cui abbiamo bisogno per iniziare a rispondere.
Mariam Sargsyan cerca di far addormentare sua figlia di un mese alla fine di una lunga e fredda giornata a Stepanakert il 30° giorno del blocco del Corridoio di Lachin (Foto di Siranush Sargsyan).
“Cosa succederà se questa situazione durerà ancora un po’?” ha chiesto Mariam Sargsyan, 28 anni, mentre cullava Sate, la sua bambina di un mese nel suo soggiorno a Stepanakert. “Anche una settimana o un mese è un tempo molto lungo per noi.” Dall’inizio del blocco del Corridoio di Lachin sono nati 144 bambini.
“Se non sappiamo nemmeno cosa accadrà e quanto durerà questa situazione, mi chiedo: ho fatto la cosa giusta decidendo che i nostri figli vivano in Artsakh in modo che ereditino ciò che abbiamo passato noi e i nostri genitori?” chiese Abrahamyan. Le domande ora sono esistenziali. Ascolti e senti l’ansia di una comunità che continua a sperimentare insicurezza e incertezza e un blocco che non può essere normalizzato e aggirato. Queste madri temono che un genocidio colpisca loro e i loro cari.
La risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su donne, pace e sicurezza incoraggia l’inclusione delle donne come costruttori di pace. Sfortunatamente, ciò accade spesso troppo tardi e talvolta solo nelle fasi successive al conflitto.
Dobbiamo ascoltare le madri Artsakhi. Ci stanno dicendo cosa è pericolosamente in gioco, prima che l’Artsakh/Nagorno-Karabakh diventi ancora una volta un conflitto lungo e complesso con poche strade per allentare la tensione e risolverlo in modo significativo e pacifico.
È ora che le loro domande non restino più senza risposta.
Le notizie che arrivano ogni giorno dal Caucaso meridionale promettono niente di buono, anche sul piano militare. Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian continua a diffondere notizie sulla preparazione offensiva dell’esercito alle frontiere con l’Armenia e l’Artsakh. L’ultima è in riferimento della dirigenza del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian alle nuove reclute presso una base militare a Ganja, un’installazione militare a Khoshbulag e una nuova base di commando a Dashkesan vicino al confine con l’Armenia, insieme a diverse altre installazioni nell’area.
Il Capo di Stato Maggiore Generale dell’Esercito dell’Azerbajgian, il Colonnello generale Karim Valiyev, il Comandante delle forze di terra, il Tenente generale Anvar Efendiyev e altri funzionari del Ministero hanno visitato diversi unità militari.
Il processo di reclutamento del personale, la sua partecipazione al corso di addestramento di base iniziale e la sua fornitura completa sono stati verificati nell’unità militare, dove è raccolta la maggior parte dei giovani appena arruolati per il servizio militare.
Il Colonnello generale K. Valiyev ha incaricato i funzionari di educare i giovani soldati nello spirito del patriottismo, di rispettare rigorosamente i requisiti della legge e dei regolamenti militari, nonché di prestare particolare attenzione alle questioni relative all’organizzazione e allo svolgimento di un intenso addestramento al combattimento.
Successivamente, la Dirigenza del Ministero della Difesa ha visitato il commando e altre unità militari situate al confine con l’Armenia e ha assistito all’intenso addestramento in montagna del personale.
Il Colonnello generale K. Valiyev, che ha ispezionato l’addestramento dei commando in un terreno montuoso e difficile, ha ordinato che l’attenzione principale fosse focalizzata sui metodi e sulle tattiche di conduzione della battaglia negli esercizi pratici del personale militare.
Durante le esercitazioni diurne e notturne, vengono studiati l’addestramento tattico e antincendio in condizioni di montagna, la capacità di attraversare strade di montagna, passi e altezze, nonché il coordinamento con altre unità.
Tenendo conto dell’esperienza di combattimento delle truppe nelle attività di addestramento in montagna, viene prestata particolare attenzione al miglioramento delle capacità del personale per superare gli ostacoli naturali nelle aree montuose, all’uso efficace delle armi, compresi i droni, nonché alla capacità di condurre combattimenti in qualsiasi tempo durante il giorno e la notte.
Il Capo di Stato Maggiore Generale ha impartito adeguate istruzioni ai funzionari competenti in merito al miglioramento del livello di addestramento professionale del personale militare, all’ulteriore aumento dell’intensità e della qualità dell’addestramento e delle esercitazioni.
L’Unione Europea entra nel territorio di Putin con la nuova missione di monitoraggio dell’Armenia Almeno sulla carta, uno dei più stretti alleati della Russia e membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC) guidata dal Cremlino
Mentre la Russia vacilla in Ucraina, l’Unione Europea interviene per aiutare in una regione in cui Mosca una volta ha chiamato i colpi
di Gabriele Gavin Politico, 18 gennaio 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Per settimane, c’è stato uno spettacolo nuovo sulle polverose strade di montagna dell’Armenia. Tra le vecchie Lada russe e le auto tedesche importate, vedrai una flotta di SUV luccicanti con la bandiera blu e dorata dell’Unione Europea montata sul davanti. Sbircia attraverso il vetro colorato e vedrai una mezza dozzina di giubbotti antiproiettile ed elmetti ammucchiati nella parte posteriore.
A settembre, città e villaggi dell’ex Repubblica sovietica sono stati presi di mira dal vicino Azerbajgian, mentre le truppe azere si sono spinte oltre il confine per conquistare altezze strategiche. Le ostilità, note a molti Armeni come la guerra dei due giorni, si conclusero con un cessate il fuoco sostenuto dall’Occidente, ma causarono la morte di centinaia di soldati di entrambe le parti.
Il sanguinoso episodio è stato l’escalation più grave dal 2020, quando i due Paesi hanno combattuto una brutale guerra per la contesa regione del Nagorno-Karabakh, all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Azerbajgian ma controllata dalla sua maggioranza etnico-armena dalla caduta dell’URSS.
Poche settimane dopo gli scontri, il primo dei circa 40 osservatori civili dell’Unione Europea ha iniziato ad arrivare nella regione, guidando ogni giorno per ispezionare la tesa linea di demarcazione che divide le due nazioni del Caucaso meridionale, tra continue segnalazioni di bombardamenti, spari e violazioni del cessate il fuoco. A quasi 1.000 chilometri dallo stato membro più orientale del blocco e tre fusi orari avanti rispetto a Brussel, il gruppo proveniente da Francia, Germania, Polonia, Grecia, Italia e altre nazioni europee è molto lontano da casa.
L’Armenia è, almeno sulla carta, uno dei più stretti alleati della Russia e un membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC) guidata dal Cremlino. In base ai termini del patto di mutua difesa, migliaia di soldati di Mosca sono stati schierati in basi permanenti nel Paese, vicino alle frontiere con Turchia, Georgia e Iran. L’agenzia di sicurezza russa FSB supervisiona il confine e le aziende statali del Paese gestiscono le sue ferrovie e una serie di altri settori strategici.
L’influenza russa diminuisce
Tuttavia, quando i proiettili sono piovuti a settembre, gli appelli del Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan. all’intervento della OTSC sono caduti nel vuoto, con il blocco che alla fine ha accettato solo di inviare una missione di “accertamento dei fatti” senza denti. “Abbiamo più amici nella OTSC di quanti ne abbia l’Armenia”, ha detto a novembre il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, nonostante il suo stesso Paese si sia ritirato dall’alleanza nel 1999. Nel frattempo, Alexander Lukashenko, l’uomo forte leader dello stato membro Bielorussia, ha descritto Aliyev come ” il nostro uomo” e ha sostenuto la campagna militare di Baku in Nagorno-Karabakh due anni fa.
Allo stesso tempo, ormai da più di un mese, le aree della regione separatista ancora sotto il controllo armeno sono state effettivamente bloccate da sedicenti eco-attivisti azeri, con scorte di cibo e medicine in esaurimento. L’unica strada in entrata o in uscita dal Nagorno-Karabakh, nota come Corridoio di Lachin, era stata supervisionata dalle forze di pace russe come parte di un accordo di pace che ha posto fine alla guerra del 2020. Yerevan sostiene che la lite, apparentemente per l’impatto dell’estrazione illegale dell’oro, è in realtà un pretesto per la “pulizia etnica”, e le forze di Mosca sembrano non voler o non essere in grado di porre fine al blocco.
Con la rabbia crescente nei confronti della Russia, mentre la situazione umanitaria peggiora, una serie di proteste senza precedenti si sono svolte in Armenia e nel Nagorno-Karabakh, chiedendo invece il ritiro dalla OTSC e il sostegno dell’Occidente. Insieme a Stati Uniti, Regno Unito e una serie di altre nazioni europee, Brussel ha espresso la sua preoccupazione per la situazione. “L’Unione Europea invita le autorità azere a garantire libertà e sicurezza di movimento lungo il corridoio”, si legge in una dichiarazione di dicembre. “Le restrizioni a tale libertà di movimento causano notevoli disagi alla popolazione locale e creano preoccupazioni umanitarie”.
Giovedì, il Parlamento europeo voterà [ha votato, vedi sopra. V.v.B.] una risoluzione, che “condanna fermamente l’ultima aggressione militare dell’Azerbajgian a settembre” e “sottolinea la disponibilità dell’Unione Europea a essere coinvolta più attivamente nella risoluzione dei conflitti protratti nella regione”.
Diversi membri dell’assemblea hanno esortato Brussel a offrire all’Armenia qualcosa di più che semplici parole affettuose. Nathalie Loiseau, Eurodeputato francese e Presidente della Sottocommissione per la Sicurezza e la Difesa, ha affermato all’inizio di questo mese che la Russia “non è più un attore affidabile nella regione”, con l’influenza di Mosca in calo dalla sua catastrofica invasione dell’Ucraina, aggiungendo che il blocco dovrebbe intervenire per “difendere i valori universali”.
Missione ampliata dell’Unione Europea
Ora, però, sembra che ci siano piani per svolgere un ruolo più deciso nella regione. Mercoledì, una persona che segue il caso all’interno del Servizio Europeo per l’Azione Esterna ha confermato a Politico che sono in fase di definizione i piani per estendere ed espandere la missione di monitoraggio lungo i confini dell’Armenia dopo la fine del suo mandato a dicembre.
“C’è stata una comprensione reciproca con le autorità di Yerevan sulla necessità di una rinnovata presenza, ma quella precedente era troppo piccola. Fino a 100 monitor saranno ora dispiegati nella regione come parte di una vera e propria missione di politica di sicurezza e difesa comune”. Secondo l’insider, “ci sono ancora diversi passaggi che devono essere chiariti prima del loro dispiegamento, e ora andrà al Comitato politico e di sicurezza a Brussel, chiedendo un mandato di due anni”.
Tuttavia, il funzionario ha sottolineato che le relazioni tese con la Russia dovranno essere affrontate data la sua presenza nella regione. “L’FSB è ovunque in Armenia. Abbiamo avuto alcuni casi in cui i nostri osservatori sono stati respinti dalle guardie di frontiera russe, anche se erano accompagnati dal personale del Ministero della Difesa armeno, il che era preoccupante dato che si tratta di territorio armeno”.
La scorsa estate, il Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è volata a Baku per firmare un accordo con il Presidente Aliyev che vedrà l’Azerbajgian intensificare le sue esportazioni di energia verso i Paesi membri e fornire 20 miliardi di metri cubi di gas naturale entro il 2027 (da un previsto 12 miliardi di metri cubi nel 2023), contribuendo a sviluppare alternative alle forniture russe.
Avendo descritto il Paese come un “partner affidabile” nella regione, la mossa è stata criticata da analisti e responsabili politici che temevano che avrebbe compromesso la capacità dell’Europa di condurre negoziati di pace nella regione segnata dalla guerra.
Da allora l’Azerbajgian ha rifiutato di concedere il permesso per una missione transfrontaliera, con Aliyev che ha affermato all’inizio di gennaio che parlare di una presenza importante dell’Unione Europea era “molto spiacevole” e “non avrebbe aumentato la sicurezza, ma avrebbe compromesso i negoziati”.
Nonostante ciò, Rusif Huseynov, Direttore del think tank Topchubashov Center di Baku, afferma che mentre l’Azerbajgian è riluttante a “internazionalizzare” la crisi in Nagorno-Karabakh, Brussel è vista come un attore da svolgere nella prevenzione delle ostilità tra il suo Paese e l’Armenia. “L’Unione Europea è stata vista come un attore positivo in Azerbajgian per molti anni, ed è un importante partner economico”, ha spiegato, “ed è vista come un mediatore migliore rispetto agli altri disponibili”.
Reagendo al discorso sulla potenziale delegazione di monitoraggio, il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha detto mercoledì, che Mosca sarebbe pronta a inviare una propria missione, se solo fosse stata richiesta. “Nonostante il fatto che siamo alleati, la parte armena preferisce negoziare con l’Unione Europea”, ha detto furioso.
“È importante che l’Unione Europea svolga un ruolo anche ai margini dell’Europa”, ha affermato Henri Duquenne, Portavoce del Rappresentante Speciale dell’Unione Europea per il Caucaso meridionale e la crisi in Georgia [*]. “Diversi Stati membri hanno interessi diversi, ma nel complesso questa è una regione prioritaria per noi”.
Mentre la Russia fa tutto il possibile per conquistare l’Ucraina, Mosca sembra incapace di dire lo stesso.
[*] Il “desaparecida” Toivo Klaar, compagno di merenda del dittatore azero Ilham Aliyev [V.v.B.].
Il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, in una conferenza stampa a Mosca il 18 gennaio 2023, si è detto fiducioso che il Corridoio di Lachin possa presto riaprire: “Due giorni fa si è tenuto un incontro dei rappresentanti dell’Azerbajgian con i rappresentanti del Karabakh e con la partecipazione del comando del contingente russo. Penso che la questione si risolverà presto”. Lavrov ha affermato che la dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, che ha posto fine alla guerra del 2020, stabilisce che il Corridoio di Lachin deve essere libero per il traffico civile, merci e veicoli, e “c’è un accordo separato secondo cui nessun carico militare dovrà trasportato attraverso quella rotta”. Lavrov ha sottolineato che la Russia ha fatto una semplice offerta: le forze di pace russe hanno tutte le possibilità per controllare le merci che passano attraverso il corridoio per impedire il trasporto di merci vietate.
Lavrov non ha escluso la possibilità di inviare una missione di monitoraggio dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC) al confine tra Armenia e Azerbajgian, ma ha affermato che potrebbe essere controproducente senza il consenso di Baku. “Nonostante il fatto che siamo alleati, che la missione [OTSC] sia completamente pronta, la parte armena preferisce accordarsi con l’Unione Europea per dispiegare lì una missione di osservatori civili a lungo termine. È il confine con l’Azerbajgian, e forse, se quella missione si svolge senza il consenso dell’Azerbajgian, potrebbe essere controproducente. Invece di rafforzare la fiducia al confine, può causare ulteriori conflitte”, ha detto Lavrov. Ha confessato, senza ulteriori dettagli, che esistono “difficoltà” con la OTSC per quanto riguarda l’attuale situazione in Armenia.
Alto Karabakh, 120 mila armeni sempre più isolati Nel corridoio di Lachin che collega il territorio con l’Armenia non passano più cibo, medicinali e carburanti. Tagliata anche l’elettricità e la connessione ad Internet. Nessuno entra ed esce mentre la situazione umanitaria diventa sempre più critica di Michele Raviart Vatican News, 17 gennaio 2023
Rimane critica la situazione di 120 mila armeni nell’Alto Karabakh, sempre più isolati a causa del blocco del corridoio di Lachin, l’unica strada che collega questo territorio con l’Armenia. Una situazione che va avanti almeno dal dicembre dello scorso anno, quando sedicenti manifestanti ambientalisti azeri organizzarono un posto di blocco per protestare contro le attività minerarie in due siti nel territorio armeno. Da allora la libertà di transito, prevista da un accordo di tregua del novembre 2020 e formalmente garantita da duemila soldati russi, non è stata più rispettata.
Si stanno esaurendo le scorte di cibo
Nella repubblica di Artsakh, come gli armeni chiamano il territorio dell’Alto Karabakh, non arrivano più le 400 tonnellate di merci che quotidianamente giungevano dall’Armenia e il cibo nei negozi sta scarseggiando. Il governo locale ha istituito una tessera annonaria per gli acquisti calmierati di generi alimentari e sta attingendo a scorte statali destinate a esaurirsi nel giro di pochi giorni. Per la mancanza di cibo sono stati chiusi anche asili e nidi per l’infanzia. “È la prima volta che si arriva a un blocco di questo livello e la gente non era preparata”, spiega la scrittrice italiana di origine armena Antonia Arslan. “Sono gente di montagna e qualche riserva la hanno, ma si va verso il razionamento, che è già attivo per i generi di prima necessità – sottolinea – prima il corridoio era stato interrotto più di una volta, ma per 24 ore o un giorno e mezzo”.
Solo alcuni malati gravi riescono ad uscire
Stanno per terminare anche i medicinali e sono state sospese tutte le operazioni chirurgiche programmate, in un’area in cui vivono 30 mila ragazzi e 20 mila anziani. Solo dopo la pressione del Consiglio d’Europa e della Croce Rossa internazionale, seguite alla morte di un malato grave in un ospedale a Stepanakert, alcuni pazienti vengono trasferiti con dei convogli speciali in centri specialistici in Armenia. Nessuno infatti può lasciare o raggiungere il territorio, con la situazione paradossale di circa un migliaio di persone – tra cui alcune decine di bambini – che il 12 dicembre scorso erano nella capitale armena Yerevan per assistere alla finale dell’Eurovision Song Contest Junior e che ora non riescono a rientrare a casa loro e ricongiungersi con le proprie famiglie. “Hanno dovuto passare il Natale in condizioni veramente precarie”, spiega Siobhan Nash-Marshall, docente di filosofia e saggista. “Sono in condizioni difficili e più sono lì più viene l’angoscia di sapere cosa succede ai loro genitori, sapendo che non possono neanche avere i medicinali. È una crisi umanitaria a pieno titolo”. Altre 1.500 persone sono invece bloccate nell’Alto Karabakh e non possono tornare in Armenia.
Una crisi anche economica
Pochi i veicoli in circolazione a causa del poco carburante, mentre per giorni è stata interrotta la rete elettrica. Alla società armena che dovrebbe riparare il guasto non è stato permesso il transito e le piccole centrali idroelettriche presenti nell’Artsakh garantiscono l’elettricità solo per poche ore al giorno. A causa della difficile situazione economica quasi il 20% delle imprese nel territorio hanno cessato le attività e almeno 3.400 persone hanno perso il loro impiego
L’appello di Papa Francesco all’Angelus
Numerosi sono stati gli appelli per sbloccare questa crisi umanitaria, tra cui quello di Papa Francesco all’Angelus del 18 dicembre scorso. “Mi preoccupa la situazione creatasi nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso Meridionale”, aveva detto il Pontefice:“In particolare sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni, che rischiano ulteriormente di deteriorarsi nel corso della stagione invernale. Chiedo a tutti coloro che sono coinvolti di impegnarsi a trovare soluzioni pacifiche per il bene delle persone.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-01-19 18:11:572023-01-20 18:16:01Trentanovesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Ascoltare il grido di aiuto del popolo armeno dell’Artsakh sotto assedio dell’Azerbajgian (Korazym 19.01.23)
Non solo l’Azerbaigian blocca dal 12 dicembre il Corridoio di Lachin, scatenando così una crisi umanitaria nel territorio dell’Artsakh, dove vivono 120 mila armeni. Ma il governo di Baku ha deciso di aggravare ulteriormente la situazione, tagliando per la seconda volta le forniture di gas al territorio.
«Ci restano solo le stufe a legna»
Gli azeri avevano interrotto le forniture di gas per la prima volta il 13 dicembre, sbloccandole solo tre giorni dopo. Il 17 gennaio hanno di nuovo fermato il flusso, ripristinandolo dopo qualche ora, per poi richiudere nuovamente i rubinetti.
Con le temperature che sulle alture del Nagorno-Karabakh scendono abbondantemente sotto lo zero, la situazione è critica. Soprattutto perché dal 10 gennaio l’Azerbaigian ha bloccato anche le forniture di energia elettrica dall’Armenia all’Artsakh, impendendo la manutenzione degli impianti e causando ripetuti black-out nei territori abitati dagli armeni e problemi a quelle famiglie che utilizzano l’energia elettrica per riscaldare le case.
«Non sappiamo che cosa pensare, ormai l’unico modo per riscaldarci è ricorrere alle stufe a legna», ha dichiarato a Rfe Nona Baghdasarian, residente di Stepanakert.
Armeni senza gas ed elettricità
L’assenza del riscaldamento è solo l’ennesimo supplizio inferto gratuitamente, e in spregio di tutte le convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti umani, dall’Azerbaigian agli armeni del Nagorno-Karabakh. A un mese e mezzo dall’inizio del blocco dell’unica strada che collega l’Artsakh al mondo esterno, nelle città armene del Nagorno-Karabakh manca tutto: cibo, benzina, medicine.
Le autorità locali hanno iniziato a razionare il cibo: ogni residente riceve un litro di olio per cucinare, un chilo di riso, pasta, grano saraceno e zucchero al mese. Verdura e frutta sono introvabili e i negozi vendono quasi solamente pane, latte e altri beni di prima necessità prodotti in loco. «Ma il pane non si trova sempre», spiega Baghdasarian, «e altri prodotti essenziali si riescono ad acquistare solo se si fa la coda davanti ai negozi a partire dalle prime ore del mattino».
Per sfuggire alle critiche del mondo intero – già arrivate da Nazioni Unite, Stati Uniti, Unione Europea, Russia e organizzazioni umanitarie internazionali – l’Azerbaigian sta affinando la sua tecnica. Ieri le centinaia di cosiddetti “ambientalisti” che bloccano il Corridoio di Lachin hanno permesso il passaggio di diversi veicoli della Croce rossa internazionale con a bordo 19 bambini che, bloccati in Armenia, da oltre un mese erano separati dai genitori rimasti in Artsakh.
Durante il passaggio di una delle auto, però, 10-15 azeri con il volto mascherato hanno bloccato il veicolo, entrando a forza nell’abitacolo, filmando i bambini e gridando contro i civili. Uno dei bambini è svenuto prima che i peacekeepers russi intervenissero e lasciassero passare l’auto.
Il difensore dei diritti umani dell’Artsakh, Gegham Stepanyan, ha denunciato le «azioni criminali» degli azeri che dimostrerebbero «l’odio etnico senza confini nei confronti degli armeni».
L’Italia non ha niente da dire?
L’Azerbaigian sta acconsentendo al passaggio di pochi veicoli al giorno attraverso il Corridoio di Lachin per vendere al mondo la menzogna secondo la quale non ci sarebbe alcun blocco né alcuna crisi umanitaria. Tesi insostenibile e ampiamente invalidata dal fatto stesso che sta intervenendo la Croce rossa internazionale, la quale opera soltanto in contesti di emergenza e crisi umanitaria.
L’obiettivo di Baku, oltre che mantenere gli armeni del Nagorno-Karabakh in un continuo stato di tensione e fare pressione perché abbandonino definitivamente la loro terra, è quello di controllare tutto ciò che passa dall’Armenia all’Artsakh, imponendo di fatto un embargo illegale.
Molti paesi si sono già espressi per invocare la fine di questa colossale violazione del diritto internazionale. Il 13 gennaio la presidente dell’Assemblea nazionale francese, Yael Braun-Pivet, si è recata a Erevan per denunciare la «crisi umanitaria». Viene da chiedersi quand’è che il Parlamento italiano, per non parlare del governo, disperderà questa coltre di omertà che impedisce la difesa del diritto degli armeni a vivere in pace nella loro terra.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-01-19 16:53:382023-01-19 16:53:38La nuova strategia dell’Azerbaigian: far morire di freddo gli armeni (Tempi 19.01.23)
(ANSA) – EREVAN, 19 GEN – Almeno 15 persone hanno perso la vita, e tre sono in gravi condizioni, in seguito ad un incendio scoppiato in una caserma militare in Armenia. Ne dà notizia il ministero della Difesa. “Secondo le prime informazioni – afferma il ministro in una nota – quindici militari sono morti a causa del rogo divampato nella caserma che ospita un’unità militare di ingegneri e cecchini…le condizioni di altri tre militari sono valutate come gravi”. (ANSA).
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-01-19 16:48:412023-01-20 18:11:53Armenia: incendio in una caserma, almeno 15 morti (Ansa e altri 19.01.23)
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, continua l’operazione di pulizia etnica messa in atto dall’Azerbaijan nei confronti della popolazione armena dell’Artsakh/Nagorno Karabakh, mentre giunge al trentottesimo giorno il blocco da parte degli azeri del corridoio di Lachin, l’unico collegamento via terra per centoventimila armeni con il mondo esterno. Stilum si è occupato di questo lento genocidio aquesto collegamento, a questo e a questo. Buona lettura e condivisione.
§§§
L’Azerbaigian ha interrotto le forniture di gas naturale al Nagorno-Karabakh più di un mese dopo aver bloccato il collegamento terrestre della regione con l’Armenia, hanno dichiarato martedì le autorità di Stepanakert.
In un comunicato, un ente governativo del Karabakh ha affermato che un gasdotto che fornisce gas dall’Armenia e passa attraverso il territorio controllato dall’Azerbaigian è stato nuovamente bloccato da Baku nel primo pomeriggio.
“L’Azerbaigian continua le sue azioni volte alla pulizia etnica dell’Artsakh”, ha scritto su Facebook un assistente di Ruben Vardanyan, il premier del Karabakh.
Vardanyan ha tenuto a Stepanakert una riunione d’emergenza di una task force del Karabakh che si occupa delle conseguenze economiche e di altro tipo del continuo blocco. Una dichiarazione ufficiale sull’incontro ha detto che si è discusso di “garantire il funzionamento ininterrotto delle strutture vitali” tagliate fuori dal gas. Vardanyan ha dato istruzioni ai funzionari del Karabakh di trovare “modi alternativi” per sostenere tali strutture e soddisfare “i bisogni minimi della popolazione”.
Le forniture vitali di gas erano già state interrotte il 13 dicembre, il giorno in cui i manifestanti sostenuti dal governo azero avevano bloccato l’unica strada che collegava il Karabakh all’Armenia. Sono state ripristinate tre giorni dopo.
Anche le forniture di elettricità dall’Armenia al Karabakh sono state bloccate dall’Azerbaigian il 10 gennaio, causando gravi carenze di energia nel territorio popolato da armeni. Le conseguenti interruzioni giornaliere di corrente hanno colpito in modo particolare i residenti locali che utilizzano l’elettricità per riscaldare le loro case. L’assenza di gas naturale non farà che aggravare il problema.
Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Russia hanno ripetutamente sollecitato l’Azerbaigian a sbloccare il Corridoio di Lachin. Baku ha respinto i loro appelli e ha difeso i manifestanti azeri che continuano a occupare una sezione del corridoio per motivi apparentemente ambientali.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-01-18 16:54:372023-01-19 16:55:23Lento Genocidio Armeno in Artsakh/Nagorno. Baku Taglia Gas ed Elettricità. (Stilum Curiae 18.01.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.01.2023 – Vik van Brantegem] – L’assedio criminale azero dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh equivale a condannare il popolo armeno dell’Artsakh a una lenta morte, mentre l’Italia stringe accordi militari con Baku per il gas azero (ovvero, russo riciclato). Tutto il traffico (di persone e merce) da e per la parte ancora libera della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh rimane interrotto dal 12 dicembre 2022. Passano solo veicoli del contingente di pace russi e del CICR. La #StradaDellaVita, lungo il segmento di Shushi dell’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, è chiuso da sedicenti “eco-attivisti” organizzati e pagati dal regime autoritario dell’Azerbajgian, sostenuti dalla polizia azera e sotto l’occhio vigile delle forze armate azere.
L’Azerbajgian è uno stato terrorista gestito da un dittatore guerrafondaio e genocida. L’Azerbajgian è una dittatura che nella classifica della libertà di Freedom House sta più in basso dell’Afghanistan. La Russia possiede quote significative nei suoi giacimenti petroliferi e l’Azerbajgian ricicla il gas russo per la rivendita in Europa, con cui finanzia le sue guerre contro gli Armeni Cristiani. È colpevole di crimini di guerra, attualmente impegnato nella pulizia etnica con il #ArtsakhBlockade, con la sicurezza dell’impunità.
L’Azerbajgian ha commesso il peggior genocidio culturale del XXI secolo: ha distrutto tra il 1964 e il 1987 nel Nakhichevan 89 chiese armene, 5.840 khachkar e 22.000 lapidi. E questo è solo un esempio del genocidio armeno culturale in uno dei territori sotto controllo azero. Come può uno Stato che non rispetta i monumenti dei morti rispettare i vivi?
L’Azerbajgian pro capite è tra i peggiori inquinatori e i maggiori contributori al riscaldamento globale del pianeta. Aggiungete a questa vasta distruzione ecologica lungo la costa e l’enorme quantità di tossine che scarica nel Mar Caspio, il più grande specchio d’acqua interno del mondo. Ma ai finti “eco-attivisti” azeri che tengono bloccato per “preoccupazioni ambientali” l’unica strada verso il Nagorno-Karabakh, se ne fregano dei 120.000 Armeni che tengono sotto assedio. Non protestano mai contro la distruzione ecologica nel proprio Paese, come farebbero se fossero dei veri ambientalisti [ritorniamo sulla questione in fondo a questo articolo].
L’Azerbajgian continua a non consentire la riparazione dell’unica linea ad alta tensione che alimentava l’Artsakh dall’Armenia. La situazione dell’approvvigionamento energetico rimane tesa e da ieri è stato introdotto un programma di 4 ore di blackout continui. Inoltre, è stato nuovamente chiuso sul territorio controllato dall’Azerbajgian il gasdotto dall’Armenia all’Artsakh.
Nell’Artsakh è iniziato il processo di distribuzione dei tagliandi di razionamento dei generi alimentari.
«Sembra che l’autocrate dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, voglia cacciare definitivamente lo stato de facto del Nagorno-Karabakh e i suoi abitanti Armeni dal territorio del suo Paese. Ci sono tutte le ragioni per aspettarsi più violenza, più disordini quest’anno. Non mi aspetto necessariamente una guerra interstatale su vasta scala, ma le escalation che non sono ancora guerra sono un risultato molto probabile» (Caucaso esperto Laurence Broers in un’intervista con Spiegel International, 18 gennaio 2023).
Ieri sera, 21 minori armeni che dopo aver partecipato al Junior Eurovision Song Contest a Yerevan e erano rimasti in Armenia separati dalle loro famiglie dal 12 dicembre 2023, a causa del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin), sono stati autorizzati dall’Azerbajgian con la mediazione delle forze di mantenimento della pace russe a tornare a casa a Stepanakert, la capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, accompagnati da 6 adulti, con un convoglio delle forze di mantenimento della pace russe. Le autorità dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh riferiscono che quando il convoglio è arrivato alla zona del blocco, circa 15 Azeri mascherati in abiti civili si sono avvicinati e hanno fermato i veicoli. Alcuni sono entrati nel primo autobus, hanno filmati illegalmente i minori, violando la loro privacy e integrità psicologica. Hanno molestato i minori, uno dei quali ha perso conoscenza. Alla fine sono intervenute le forze di pace russe che hanno allontanato gli invasori e impedito l’ingresso nel secondo autobus con l’altro gruppo di minori.
«I media statali azeri hanno riferito che un convoglio di tre veicoli del contingente di mantenimento della pace russo “ha attraversato il posto di blocco senza ostacoli”, affermando che su 26 [etnici] Armeni, 20 erano minorenni. Nessun dettaglio del veicolo in fase di controllo o fermo. I filmati dei media statali azeri mostrano il momento in cui le autorità azeri entrano nel primo autobus che trasporta i minori. Il suono si interrompe mentre entrano. Non è chiaro cosa sia stato detto, poco prima che si sentissero in sottofondo i canti nazionalisti azeri (Nagorno Karabakh Observer).
L’armenofobia non conosce limiti, si rivolge anche ai minori. «Questo incidente dimostra ancora una volta che gli Armeni non hanno sicurezza nemmeno intorno ai cosiddetti “attivisti” azerbajgiani. Un minore è persino svenuto. Tutti loro hanno vissuto una terribile esperienza psicologica solo per raggiungere i loro genitori, che non sono stati in grado di vedere per 6 settimane a causa del blocco» (Tatevik Hayrapetyan).
«A causa dell’assedio, 19 minori, separati dai genitori e dalle famiglie per più di un mese, sono tornati a casa attraverso la strada Goris-Stepanakert. I minori sono stati accompagnati da Goris a Stepanakert dalle forze di mantenimento della pace russe. Il convoglio è stato fermato dagli Azeri nell’area Shushi-Karin Tak nella parte transennata della strada, dove stazionano gli agenti del governo azero che si fingono “eco-attivisti” e i giornalisti che li servono. Quindi, 10-15 Azeri mascherati in abiti civile con telecamere si sono avvicinati. Alcuni di loro si sono entrati nell’autobus e hanno filmato i minori. A seguito delle azioni provocatorie degli Azeri, c’è stato un trambusto in macchina e, di conseguenza, uno dei minori è svenuto. Con l’intervento delle forze di mantenimento della pace russe, gli Azeri sono stati rimossi dall’autobus. Un individuo azero che tentava di filmare all’interno dell’altro autobus, allungando il braccio è stato immediatamente tirato fuori da un militare russo. Né lui né altri sono mai entrati completamente nell’altro autobus. Poi, il convoglio ha continuato il suo viaggio.
«Mentre attraversavano il blocco, gli Azeri hanno gridato in modo dimostrativo in direzione degli autobus che trasportavano i minori. Questo comportamento sfacciato degli agenti del governo azero è un’ingerenza arbitraria e illegale nella vita privata e nell’integrità psicologica dei minori. Queste azioni criminali rivelano completamente i loro veri obiettivi e desideri. L’odio etnico degli Azeri verso gli Armeni non conosce confini, prendendo di mira anche i minori. Questa azione provocatoria e criminale dimostra ancora una volta il fatto che la strada è bloccata e l’impossibilità di percorrerla in sicurezza, anche se accompagnati dalle truppe di mantenimento della pace russe» (Gegham Stepanyan, Difensore dei Diritti Umani della Repubblica di Artsakh).
Il caso dell’invasione di un autobus che trasportava una parte dei 21 minori dall’Armenia all’Artsakh in un convoglio della forza di mantenimento della pace russa in Nagorno-Karabakh, da parte di falsi attivisti azerbajgiani e l’abuso psicologico dei minori, presentato dal Difensore dei Diritti Umani dell’Artsakh, sono stati documentati dal Difensore dei Diritti Umani dell’Armenia e presentati agli organizzazioni per i diritti dell’infanzia regionali e internazionali, organismi di monitoraggio delle Nazioni Unite e titolari di mandati speciali. Nella dichiarazione che è stata diffusa si legge:
«Il caso ha una serie di particolarità. I minori che sono stati ricongiunti alle loro famiglie hanno sofferto sofferenza psicologica per più di un mese, sono stati separati dai genitori e dai famigliari, privati del loro diritto a vivere in condizioni favorevoli all’istruzione e allo sviluppo. Durante questo periodo, hanno subito le conseguenze dell’eccessiva curiosità pubblica, hanno subito sofferenze psicologiche per la sicurezza delle loro famiglie che vivono in Artsakh.
Purtroppo, durante il trasferimento, non è stato possibile fornire sufficienti garanzie per l’integrità psico-fisica dei minori.
Il caso dei falsi attivisti azeri che hanno bloccato illegalmente il Corridoio umanitario di Lachin, invadendo un veicolo che trasportava i minori e terrorizzandoli, a seguito del quale uno dei minori è svenuto, è un fatto di presa di mira deliberata di minori armeni basata sull’odio etnico, viola la garanzia dei principi e delle norme internazionali fondamentali nell’interesse superiore del minore in situazioni di conflitto e di crisi senza discriminazione.
Le azioni dei falsi attivisti controllati dalle autorità azere nel caso citato rientrano pienamente nella politica statale azera di creare un ambiente di terrore e pericolo immediato di integrità fisica in Artsakh».
Il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Ruben Vardanyan, ha convocato un’ampia consultazione con la partecipazione del personale dirigente degli organi statali. Vardanyan ha osservato che il blocco in corso da parte dell’Azerbajgian richiede non solo di prendere decisioni su questioni urgenti, ma costringe anche a organizzare il lavoro in un modo nuovo, perché è possibile affrontare nuove sfide solo con un lavoro coordinato e di squadra.
Vardanyan ha osservato che sebbene la parte azera stia cercando in tutti i modi di dimostrare al mondo che non c’è blocco, l’incidente di ieri con i giovani che venivano trasportati da Goris a Stepanakert, accompagnati dalle forze di mantenimento della pace russe, dimostra il contrario: «Si è verificato un incidente inaccettabile, che ha confermato che la strada rimane chiusa. Si è tentato di restituire i giovani che erano stati separati dalle loro famiglie per circa sei settimane attraverso le forze di mantenimento della pace russe, ma abbiamo visto che anche in questo caso gli Azeri sono lasciati entrare nell’autobus che trasportava i giovani, per filmare. Questo è un chiaro abuso ed è stato molto stressante per i giovani».
Parlando delle ragioni del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin), Vardanyan ha osservato: «Questo è un blocco politico, questo non è solo un posto di blocco. L’obiettivo dell’Azerbajgian è distruggere la soggettività dell’Artsakh. È una lotta per la soggettività».
Spiegando il suo approccio alla situazione, Vardanyan ha dichiarato: «Dico chiaramente che il nostro obiettivo è avere un Artsakh indipendente, che dovrebbe essere sicuro e sviluppato. È un obiettivo molto importante che è molto difficile da raggiungere. Ma lo considero l’unico modo e sono arrivato a fare tutto insieme per raggiungere quell’obiettivo. L’unico modo per avere successo è essere uniti e, sì, lavorerò con chiunque sia d’accordo con i miei principi. Ora siamo a un punto tale che non abbiamo il diritto di fallire».
Valutando la situazione, Vardanyan ha notato che è estremamente complicato, perché il vecchio sistema e i meccanismi non funzionano in condizioni di crisi, ed è necessario considerare la formazione di un nuovo e più efficace sistema con soluzioni flessibili che rispondano alla crisi. Nel corso della consultazione sono stati anche discussi i problemi creati in alcune zone a seguito del blocco e le misure volte a garantire il sostentamento della popolazione in queste condizioni.
Ieri abbiamo riferito che secondo rapporti non confermati si sarebbe svolti dei negoziati tra rappresentanti dell’Azerbajgian, dell’Artsakh e della Russia all’aeroporto di Stepanakert. Non erano disponibili dettagli sul tema dei negoziati. Dati gli sviluppi di ieri, molto probabilmente si sono incontrati per discutere/negoziare l’evacuazione dall’Artsakh in Armenia dei cittadini russi e il ritorno dall’Armenia in Artsakh di 21 minori separati dalle loro famiglie a causa del blocco.
I membri della Camera dei Lord hanno discusso del blocco in corso contro l’Artsakh, condannando l’Azerbajgian
Si è svolta un’interessante discussione alla Camera dei Lord del Regno Unito [QUI] sull’atto di pulizia etnica dell’Azerbajgian contro gli Armeni dell’Artsakh, piacevolmente obiettivo nelle sue esplicite condanne dell’Azerbajgian, a differenza del normale entrambismo. Tuttavia, non aspettatevi che l’inutile governo del Regno Unito faccia altro che produrre parole.
Il Parlamento europeo ha pubblicato il suo rapporto sulla politica estera, che contiene la condanna dell’Azerbajgian per violazione del diritto internazionale
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
«Il Parlamento Europeo:
(…)
91. accoglie con favore il maggiore impegno dell’Unione nei confronti dei Paesi del Caucaso meridionale, in particolare la rapida adozione di una missione di capacità di monitoraggio dell’UE lungo il confine internazionale dell’Armenia con l’Azerbajgian al fine di monitorare la situazione nella regione, rafforzare la fiducia e contribuire a ripristinare la pace e la sicurezza; sottolinea l’importanza di ridurre l’influenza russa nella regione attraverso una maggiore presenza dell’UE; invita il Consiglio ad aumentare il numero di esperti inviati e ad aumentare la capacità della missione e chiede una presenza più forte nella regione;
92. condanna fermamente l’ultima aggressione militare dell’Azerbajgian il 12 settembre 2022 sul territorio sovrano dell’Armenia, che ha costituito una violazione del cessate il fuoco e sta avendo gravi conseguenze sul processo di pace; è altresì preoccupato per i presunti crimini di guerra e il trattamento inumano perpetrati dalle forze armate dell’Azerbajgian nei confronti dei prigionieri di guerra e dei civili armeni; ribadisce che l’integrità territoriale dell’Armenia deve essere pienamente rispettata e sottolinea la disponibilità dell’UE a partecipare più attivamente alla risoluzione dei conflitti protratti nella regione; invita pertanto le autorità azere a ritirarsi immediatamente da tutte le parti del territorio dell’Armenia e a rilasciare i prigionieri di guerra sotto il loro controllo; ricorda che solo i mezzi diplomatici porteranno una risposta giusta e duratura al conflitto di cui beneficeranno le popolazioni dell’Armenia e dell’Azerbajgian;
93. è convinto che una pace sostenibile tra l’Armenia e l’Azerbajgian non possa essere raggiunta con mezzi militari, ma necessiti di una soluzione politica globale in conformità del diritto internazionale, compresi i principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) del 1975 Atto finale di Helsinki, nonché i Principi di base del 2009 del Gruppo di Minsk dell’OSCE sull’integrità territoriale, l’autodeterminazione e il non uso della forza;
94. sostiene l’iniziativa del Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel di convocare e mediare riunioni bilaterali dei leader di Armenia e Azerbajgian a Brussel e incoraggia il lavoro sul campo del Rappresentante speciale dell’UE per il Caucaso meridionale e la crisi del Georgia [*]; ritiene che l’UE possa svolgere il ruolo di mediatore onesto per prevenire un’ulteriore escalation e raggiungere una pace sostenibile; esorta l’Armenia e l’Azerbaigian a impegnarsi pienamente nell’elaborazione di un trattato di pace globale; ribadisce che tale trattato deve affrontare tutte le cause profonde del conflitto, compresi i diritti e la sicurezza della popolazione armena che vive nel Nagorno-Karabakh, il ritorno degli sfollati e dei rifugiati alle loro case sotto il controllo dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, il dialogo interreligioso, la tutela e la conservazione del patrimonio culturale, religioso e storico e l’integrità territoriale;
95. chiede la piena attuazione dell’accordo di partenariato globale e rafforzato con l’Armenia e sottolinea la necessità di proseguire i negoziati sull’accordo di partenariato globale e rafforzato tra l’UE e l’Azerbajgian;
96. insiste sul fatto che qualsiasi approfondimento delle relazioni dell’UE con l’Azerbajgian deve rimanere subordinato al fatto che il Paese compia progressi sostanziali per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, lo Stato di diritto, la democrazia e le libertà fondamentali;
(…)».
[*] Avete sentito parlare di Toivo Klaar, avvolto da un assordante silenzio. Come abbiamo già riferito in precedenza, il suo ultimo tweet è datato 16 dicembre 2022, 4 giorni dopo l’inizio del #ArtsakhBlockade, per rassicurare il suo compagno di merende Aliyev a Baku, che non era un problema per lui [QUI].
Sarebbe opportuno di smettere con l’entrambismo e di parlare di “accordi di pace”, e invece ad iniziare a parlare di ciò che è veramente necessario: il riconoscimento della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh e le sanzioni contro l’Azerbajgian e la famiglia Aliyev e la sua corrotto cricca, incluso i politici e giornalisti nostrani sul libro paga della diplomazia al caviale.
La campagna di pubbliche relazioni europea esplode in faccia all’Azerbajgian
di Andrew Rettmann EUobserver, 17 gennaio 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Un illustre scienziato australiano afferma di essere stato indotto a fare propaganda per l’Azerbajgian, in un fiasco di pubbliche relazioni che fa luce su losche tattiche di fake news a Brussel. Il Professore Bill Laurance della James Cook University di Cairns (Australia) ha detto all’EUobserver che una società di pubbliche relazioni con sede a Londra chiamata BTP+Advisers lo ha ingannato facendogli firmare un editoriale infiammatorio pagato dal governo dell’Azerbajgian. BTP+Advisers lo ha poi presentato a EUobserver a Brussel e alla rivista National Interest a Washington, per motivi di interesse ecologico. L’abbiamo rifiutato, ma National Interest stava per pubblicarlo, quando Laurance ha saputo dell’Azerbajgian, ha ritirato la sua firma e ha denunciato pubblicamente la società di pubbliche relazioni britannica.
“Ho chiesto se loro [BTP+Advisers] avessero interessi finanziari nella questione e mi hanno detto che stavano lavorando per il governo dell’Azerbajgian”, ha detto Laurance al telefono lunedì (16 gennaio). “[L’editoriale] non uscirà, almeno non a mio nome”, ha detto Laurance. E non lavorerà mai più con i BTP+Advisers, che ora definisce “radioattivi”, ha aggiunto.
L’editoriale proposto in questione riportava la propaganda azera secondo cui gli eco-manifestanti avevano bloccato un passo di montagna per fermare l’inquinamento da miniere armene. “Ci vuole vero coraggio per difendere ciò che è giusto… questi manifestanti meritano il nostro sostegno”, diceva.
Ma la storia completa è che il blocco approvato dallo stato dell’Azerbaijan del passo di Lachin nella regione del Nagorno-Karabakh in Azerbaigian nell’ultimo mese ha isolato 120.000 Armeni etnici che vivono lì, causando un’emergenza umanitaria. L’”assedio disumano” equivale a uno sfollamento forzato, affermano i diplomatici armeni. L’Unione Europea esorta inoltre l’Azerbajgian a mostrare misericordia. “L’Azerbajgian dovrebbe adottare misure che rientrano nella sua giurisdizione per garantire la libertà e la sicurezza di movimento lungo il Corridoio [di Lachin]”, ha detto il servizio estero dell’Unione Europea a EUobserver. Il blocco di Baku stava causando “significativo disagio” alla popolazione locale, ha aggiunto.
Ma l’editoriale proposto non menzionava nulla di tutto ciò, mentre dipingeva l’Azerbajgian, una draconiana dittatura petrolifera, come un paradiso per i movimenti ecologici di base.
Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha schiacciato la vera società civile in patria. Il suo regime è noto anche ai veri ambientalisti, come Greenpeace, per le pozze di petrolio lasciate galleggiare sul mare, i cumuli di immondizia in fiamme a Baku e l’acqua non potabile.
Ma BTP+Advisers ha fatto sembrare che Laurance, uno “scienziato e attivista ambientale eminentemente neutrale che è illustre professore di ricerca e laureato australiano alla James Cook University di Cairns”, stesse in modo indipendente dalla parte di Aliyev. Faceva sembrare che la verità scientifica si fosse schierata in un brutto conflitto etnico.
Brussel non è estranea a losche campagne di lobbying, una delle quali è esplosa al Parlamento Europeo in uno scandalo globale nella vicenda di corruzione del Qatargate l’anno scorso.
I lobbisti assumono abitualmente ex funzionari dell’Unione Europea o altri VIP per ottenere influenza dall’interno e le società di pubbliche relazioni cercano grandi nomi per parlare per i loro clienti in editoriali che sono stati in gran parte redatti dallo staff della società di pubbliche relazioni.
L’industria del tabacco ha coinvolto per la prima volta scienziati seri in campagne di lobbying negli anni ’60, con tattiche successivamente copiate dalle industrie petrolifere e farmaceutiche.
Ma nonostante tutto ciò, è molto insolito cercare di trasformare un vero accademico in un inconsapevole burattino per un dittatore. E gli attivisti pro-trasparenza hanno faticato a pensare a un precedente quando richiesto da questo sito web, facendo di BTP+Advisers e Laurance un nuovo caso. In un caso parallelo, scienziati di alto profilo sono stati ingannati da un gruppo che nega il cambiamento climatico chiamato Creative Society a comparire in eventi online pro-negazione lo scorso aprile, ha osservato Greenpeace. Ma il lavaggio scientifico in genere coinvolgeva scienziati disonesti che agivano in malafede, ha affermato Greenpeace, citando come esempio la sua indagine sul lobbismo statunitense nel 2015.
In una panoramica sul modus operandi delle pubbliche relazioni, Laurance ha affermato di aver lavorato in passato con BTP+Advisers su editoriali senza problemi. Non gli è mai stato offerto denaro, ha detto. E BTP+Advisers gli aveva assicurato che stavano agendo per genuina preoccupazione ecologica e avevano informazioni privilegiate sui fatti sul campo in Nagorno-Karabakh, ha detto il professore.
Trasparenza
EUobserver ha, in buona fede, pubblicato anche quattro editoriali inviati dalla società negli ultimi quattro anni, a nome di persone che vanno dal Primo Ministro del Montenegro a un rabbino di New York. Una volta abbiamo anche pubblicato un articolo della parte interessata, chiaramente dichiarato, del Ministro dell’Ambiente dell’Azerbajgian.
BTP+Advisers ha uffici a Belgrado, Kampala, Londra, Parigi e Washington. Non vi è alcun suggerimento che abbia infranto leggi o requisiti di registrazione. Il suo amministratore delegato, Mark Pursey, ha anche detto a EUobserver che non intendeva ingannare nessuno. L’imbroglio di Laurance è stato un errore umano una tantum, ha detto. “Avremmo dovuto dire in anticipo al Professor Laurance che lavoriamo per il governo dell’Azerbaigian”, ha detto Pursey. “Potete scegliere di non credermi, ma questo è stato un vero errore”, ha detto. In tutti gli altri casi, BTP+Advisers ha dichiarato apertamente che lavorava per l’Azerbajgian, ha affermato Pursey. Ma non lo ha detto quando ha proposto il “Laurance” a EUobserver. Non menziona l’Azerbajgian sul suo sito Web né lo elenca come cliente nei registri di lobbisti open source in tutto il mondo. E i commenti di Pursey su questo sito Web sono stati i suoi primi commenti pubblici sul suo nuovo contratto con Baku. Pursey ha preso il lavoro nel 2020 “perché [l’Azerbajgian] aveva bisogno di aiuto quando è iniziata la guerra”, ha detto a EUobserver, riferendosi alla riconquista del Nagorno-Karabakh dagli Armeni, che è costata migliaia di vite.
Nel frattempo, negli ultimi anni l’Azerbajgian si è già guadagnato una cattiva reputazione per sporchi trucchi di lobbying, come viaggi sontuosi e regali per i politici europei, in una pratica soprannominata “diplomazia del caviale”. Anche le sue risposte opache alle domande di EUobserver sui BTP+Advisers hanno mostrato un volto tutt’altro che trasparente. “L’Azerbajgian non paga nessuna società lobbista a Brussel”, ha detto a EUobserver Ramil Taghiyev, il Portavoce dell’Ambasciata dell’Azerbajgian presso l’Unione Europea, quando gli è stato chiesto se il suo governo collaborasse con gli spin doctor londinesi. Ha insinuato che la nostra storia fosse una melma vuota sulla scia del Qatargate. “È chiaro che gli argomenti relativi a certe istituzioni europee impantanate nella corruzione sono popolari ora e il vostro interesse sembra emergere da questo”, ha detto Taghiyev. L’Ambasciata dell’Azerbajgian nel Regno Unito non ha risposto alle domande.
Casino
“Non è fantastico, sono d’accordo con te… è un casino”, ha detto Pursey di BTP+Advisers, riferendosi all’ottica dell’incidente di Laurance per lui e il suo cliente.
Ma per gli Armeni ci sono problemi più grandi in gioco. “Storicamente, la diplomazia del caviale dell’Azerbajgian ha esercitato una copertura mediatica favorevole e squilibrata”, ha detto il Portavoce del Ministero degli Esteri armeno, Vahan Hunanyan. “Indipendentemente dai budget illimitati per le lobby dispiegati dall’Azerbajgian, è diventato difficile per chiunque giustificare le continue violazioni del diritto internazionale umanitario”, ha aggiunto.
Segnalazione Caucaso, pulizia etnica in Nagorno Karabakh: il Tribunale dell’Aia convoca l’Azerbaijan. L’Italia ignora la grave crisi umanitaria e stringe nuovi accordi militari con Baku di Roberto Travan (tra i pochi giornalisti italiani che hanno fatto lavori splendidi sul conflitto nel Caucaso meridionale, sulla guerra dei 44 giorni del 2020 e sul blocco del Corridoio di Lachin oggi) su La Stampa, 18 gennaio 2023 [QUI].
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-01-18 16:53:522023-01-19 16:54:26Trentottesimo giorno del #ArtsakhBlockade. L’assedio degli Armeni di Artsakh è pulizia etnica. Il mondo fermi l’Azerbajgian (Korazym 18.01.23)
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.Ok