L’Altra Memoria per una “MEMORIA” condivisa – Il Consiglio per la comunità armena per la giornata della Memoria

L’Altra Memoria per una MEMORIA condivisa. E’ questo lo slogan che è stato scelto dal Consiglio per la comunità armena di Roma che  come negli anni passati si appresta anche  quest’anno a fornire il proprio contributo agli eventi organizzati per la commemorazione della giornata dedicata alle vittime dell’Olocausto, il prossimo 27 gennaio. 

Partendo dalla testimonianza dell’immane tragedia del “genocidio” che la popolazione armena subì per prima nel lontano 1915 ad opera dell’impero ottomano,  il Consiglio per la comunità armena con la propria partecipazione agli incontri organizzati in occasione della Giornata della Memoria, intende lanciare un monito affinché la “Memoria” non venga mai manipolata o sminuita e non si limiti solo ad una giornata celebrativa, ma diventi un esercizio quotidiano, per ricordare e condannare , e far si che le atrocità della storia non abbiano mai più a ripetersi.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma, che esprime vicinanza e solidarietà al popolo ebraico ed a tutte le vittime dei genocidi, al di là della loro appartenenza razziale, politica o religiosa, è stato invitato per l’occasione a presiedere ed a partecipare a vari incontri organizzati dalle scuole e/o dai circoli culturali al fine di rendere testimonianza delle atrocità subite dalla popolazione armena, di quel Medz Yeghern – Grande Male, il genocidio che tanti storici definiscono “il padre” di tutti gli altri genocidi che hanno caratterizzato il XX secolo e che ahinoi continuano a caratterizzare il secolo appena iniziato.

L’Altra Memoria per una MEMORIA condivisa.

L‘Altra Memoria per ricordare e condannare.

L’Altra Memoria per credere ancora in un mondo migliore.

19 gennaio 2007 – 19 gennaio 2017 – In memoria di Hrant Dink a dieci anni dal suo assassinio

IN MEMORIA DI HRANT DINK

In occasione della decima ricorrenza del barbaro assassinio di Hrant Dink (19 gennaio 2007- 19 gennaio 2017) nel rendere omaggio alla memoria di questo grande intellettuale, che è stato “vittima delle verità”, riproponiamo di seguito il comunicato stampa pubblicato subito dopo la notizia del suo assassinio insieme all’ultimo articolo scritto da Dink e pubblicato post-mortem sul giornale da lui diretto.

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«Quello che voglio è vedere i turchi che parlano di quanto è successo. Bisogna che turchi e armeni inizino a dialogare.

C’è una sola strada percorribile ed è quella del dialogo. Sempre».

Hrant Dink


 

COMUNICATO STAMPA

Comunità armene in lutto per il barbaro assassinio del giornalista armeno Hrant Dink  19.01.2007

L’uccisione di un giornalista rappresenta sempre un fatto tragico, legato al tentativo dei criminali di limitare la libertà di parola e di pensiero.

L’assassinio di Dink, giornalista armeno in Turchia, assume ancora più tragica rilevanza se solo si considera il suo impegno da sempre profuso a favore del dialogo e della tolleranza.

Nato il 15 settembre 1954, dopo aver frequentato le scuole armene, si laureò in zoologia pur continuando a dedicarsi agli studi di filosofia.

Dal 1996 è stato direttore responsabile di Agos , giornale bilingue della comunità armena di Istambul, dalle colonne del quale si è sempre battuto per la ricerca del dialogo tra turchi ed armeni e tra Turchia ed Armenia.

Nonostante questo suo impegno, non è sfuggito alle mire del famigerato art. 301 del codice penale turco ed è finito sotto processo e condannato a sei mesi di prigione (con la condizionale) nell’ottobre del 2004 con l’accusa di “lesa turchicità”.

Il suo carattere mite è evidenziato dalle parole che pronunciò, a caldo, dopo la sentenza: “ se la mia condanna verrà confermata significherà che ho insultato questa gente e sarà un grande disonore per me restare nello stesso paese. Quello che è successo è inconcepibile”.

La sua morte è frutto della cultura dell’odio verso gli armeni che ancora resiste nelle frange estremiste della società turca; un odio alimentato dal potere di Ankara, da una mentalità ancora troppo nazionalista, da un orgoglio turco che non si piega  neppure davanti alle pagine più tragiche della storia come il genocidio degli armeni.

Ma l’assassinio di Dink è, purtroppo,  anche il frutto di quell’opportunismo politico, di quegli interessi economici, di quella indifferenza che alberga in taluni settori della società europea ed italiana.

Il Consiglio per la Comunità armena di Roma nel mentre piange Hrant Dink, si augura che il suo sacrificio non sia vano; che i suoi assassini siano prontamente assicurati alla giustizia, che il governo turco abbia la forza morale di condannare l’episodio e di cancellare immediatamente – logica risposta alla violenza – quel mostruoso art. 301 in nome del quale ogni giorno si celebrano processi…  e ora ammazzano persone.


 

“Sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito. Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti. Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo paese non mi toccherà. Perchè qui non si fa male ai colombi. I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti come me, ma come me liberi.” Hrant Dink.

 

Ultimo articolo di Hrant Dink pubblicato su Agos una settimana prima della sue morte.

All’inizio il processo aperto contro di me dal procuratore capo di Sisli non mi aveva preoccupato. Non era il primo. Sono sotto processo a Urfa, dal 2002 per aver detto di non essere turco, ma armeno di Turchia. Mi hanno accusato di aver offeso l’identità turca. Quando sono andato a testimoniare a Sisli l’ho fatto senza troppa preoccupazione. Perché ero sicuro che ciò che avevo scritto non poteva essere male interpretato. Il procuratore, ho pensato, non crederà che io abbia voluto offendere l’identità turca. Sono stato rinviato a giudizio. Non ho perso la speranza. A chi mi accusava di aver insultato il popolo turco, ho detto che non avrebbe potuto gioire: non mi avrebbero condannato. Se fossi stato condannato avrei lasciato il paese. Gli esperti chiamati a giudicare i miei scritti hanno detto che non c’erano in essi elementi di offesa. Ero tranquillo: il torto sarebbe stato riparato, tutto sarebbe finito in una bolla di sapone. Ma così non è stato. Mi hanno condannato a sei mesi di carcere. La speranza che mi aveva accompagnato e sostenuto durante tutto il processo è crollata. Ma mi ha anche dato nuova forza. Prima della sentenza, al termine di ogni udienza venivano date in pasto all’opinione pubblica notizie false su di me. Dicevano che avevo dichiarato che il sangue dei turchi è avvelenato, mi dipingevano come nemico dei turchi. Queste cattiverie hanno cominciato a fare breccia nel cuore di tanti miei connazionali. Alle udienze adesso venivo aggredito dai nazionalisti, si inscenavano violente manifestazioni nei miei confronti. Ho cominciato a ricevere telefonate e mail di minaccia, a centinaia. Ma io continuavo a dire, pazienza, la decisione finale renderà giustizia di tutto ciò e saranno loro a vergognarsi. L’unica mia arma era la mia onestà. Ma mi hanno condannato. Il giudice aveva deciso in nome del popolo turco che avevo offeso l’identità turca. Posso tollerare tutto, ma non questo. Mi trovavo a un bivio: lasciare il paese oppure restare. Alla stampa ho detto che mi sarei consultato con i miei avvocati, che avrei fatto ricorso in appello e anche alla Corte europea per i diritti umani. Ho detto anche che se la condanna fosse stata confermata avrei lasciato il paese perché una persona condannata per aver discriminato suoi connazionali non ha diritto di continuare a vivere con loro. E’ chiaro che le forze profonde che operano in questo paese vogliono darmi una lezione. Così per aver detto alla stampa queste cose è stato aperto contro di me un nuovo procedimento penale. Mi hanno accusato di aver cercato di influenzare la corte d’appello. Mi vogliono isolare, far diventare un facile obiettivo. Mi processano perché, imputato, cerco di difendermi. Devo confessare che ho perso la mia fiducia nello stato turco e nella giustizia di questo paese. La magistratura non è indipendente, non difende i diritti del cittadino ma quelli dello stato. La condanna che mi è stata comminata non è stata pronunciata in nome del popolo turco, ma in nome dello stato turco. Abbiamo fatto ricorso. Il capo procuratore del processo di appello ha detto che non c’erano gli estremi per confermare la condanna. Ma il consiglio superiore ha deciso in maniera diversa. E anche in appello mi hanno condannato. E’ chiaro che mi vogliono isolare, indebolire, lasciare privo di difese. Hanno ottenuto quello che volevano. Oggi sono in tanti a pensare che Hrant Dink sia uno che insulta i turchi. Ogni giorno mi arrivano sull’email e per posta centinaia di lettere di odio e minacce. Quanto sono reali queste minacce? Non si può sapere. La vera e insopportabile minaccia, però, è la tortura psicologica cui mi sottopongo. Mi tormenta pensare che cosa la gente pensa di me. Ora sono molto conosciuto «Guarda, non è l’armeno nemico dei turchi?» Sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito. Che cosa diceva il ministro degli esteri Gul? E il ministro Cicek? «Suvvia, non esagerate con questo articolo 301. Quanta gente è finita in prigione?» Ma pagare è solo entrare in carcere? Signori ministri, sapete che cosa vuol dire imprigionare il corpo e la mente di un uomo nella paura di un colombo? In questo momento, così difficile anche per la mia famiglia, mi sento sospeso tra la morte e la vita. Ci sono giorni in cui penso di lasciare il mio paese, specie quando le minacce sono rivolte ai miei cari. Mi dicono che mi seguiranno se deciderò di andare, resteranno se deciderò di restare. Posso resistere, ma non posso mettere i miei cari a rischio. Ma se andiamo, dove andremo? In Armenia? Io che non tollero le ingiustizie, sarei forse più sicuro lì? L’Europa non fa per me. Tre giorni in occidente e il quarto voglio tornare a casa. Lasciare un inferno che brucia per un paradiso già confezionato? Dobbiamo cercare di trasformare l’inferno in paradiso. Spero che non saremo mai costretti ad andarcene. Farò ricorso alla Corte di Strasburgo. Quanto durerà questo processo non lo so. Ma mi conforta un po’ il fatto che fino al termine del processo potrò continuare a vivere in Turchia. Il 2007 sarà un anno molto difficile. Vecchi processi continueranno, nuovi processi si apriranno. Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti. Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo paese non mi toccherà. Posso vedere la mia anima nella titubanza di un colombo ma so che in questo paese la gente non osa toccare i colombi. I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti, come me, ma come me liberi.


 

>> Foto di archivio della cerimonia del 26.01.2007 in memoria di Dink 

 

 

La rivista “LEA – Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente” dedica una sezione al ricordo di Gabriella Uluhogian

L’ultimo numero della rivista  “LEA – Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente” contiene una sezione intitolata “Armenia nelle pieghe della memoria e nel laboratorio delle idee. In ricordo di Gabriella Uluhogian” con diversi articoli sulla storia e la cultura armene. (Vai al sito)
Armenia nelle pieghe della memoria e nel laboratorio delle idee. In ricordo di Gabriella Uluhogian
La doppia salvezza di Noemi Khardiashian (racconto-saggio) PDF
Antonia Arslan 77-80
Un selfie alla cultura armena del settimo secolo: l’“Autobiografia” di Anania Širakacci PDF
Alessandro Orengo 81-102
Re-readings of the epic Sasna Tsrrer (Daredevils of Sassoun) in contemporary Armenian prose: from epic to novel PDF
Hayk Hambardzumyan 103-116
Il cerchio del ritorno. A proposito dell’arte di Mikayel Ohanjanian (con riproduzioni) PDF
Vazgen Pahlavuni-Tadevosyan (Vazo) 117-124
Narrating the Armenian Genocide: an Italian Perspective PDF
Sona Haroutyunian 125-138
Cento anni di Metz Yeghern, tra silenzio e speranza. A proposito del volume di Yeghiayan Vartkes, Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno, a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti (2015) PDF
Diana Battisti 139-159
L’Armenia, la diaspora, gli altri: questioni aperte ed urgenze culturali. A proposito del volume a cura di Stefan Nienhaus e Domenico Mugnolo Questione armena e cultura europea (2013) PDF
Diana Battisti 161-178
Viaggio nei luoghi della memoria armena in Turchia e Azerbaigian PDF
Aldo Ferrari 179-192
Occasioni perdute. Frammenti di letteratura sulle tracce dell’utopia? PDF
Giampiero Bellingeri 193-204
Dal giornale Agos alla riscoperta del patrimonio culturale armeno in Turchia PDF
Francesca Penoni 205-216
Nei luoghi della spiritualità armena (lavoro fotografico) PDF
Andrea Ulivi 217-227
Interview with Contemporary Armenian Writer and Translator Diana Hambardzumyan PDF
Beatrice Tottossy 229-235

Novità in Libreria: “Armenian – Aryans” di Enrico Ferri – Ebrei, Armeni e Razzisti – Il Mito del Sangue

Negli anni Trenta furono promulgate, prima in Germania (1935) e poi in Italia (1938), una serie di leggi in “difesa della razza”. Partendo dall’ipotesi di un’originaria lingua indoeuropea, s’immaginava un altrettanto ancestrale popolo ariano con caratteristiche psico-fisiche ed una visone del mondo tipici di una razza guerriera fondata su valori come il senso dell’onore, l’amore del rischio, la voglia di affermarsi e il rispetto della gerarchia; valori e stili di vita che ne avrebbero legittimato il primato. Tale popolo si sarebbe poi diviso in varie etnie, che ne conservavano i caratteri originari presenti in gran parte dei popoli europei. Negli anni trenta dello scorso secolo, partendo da questi fragili presupposti, attraverso una serie di pseudo-scienze, come la frenologia e la fisiognomica ed altrettante mal definite “dottrine della razza”, si stabilirono criteri di appartenenza o di esclusione alla “razza ariana” e, di contro, alle razze semite e non arie, tesi che costituirono le premesse ideologiche per la discriminazione, la segregazione e la persecuzione di interi popoli e comunità, come gli ebrei e i rom. Nello studio si ricostruisce questo complesso quadro in riferimento alle vicende della comunità armena in Italia e in Europa, esponendo ed analizzando i vari argomenti che furono presentati a favore e contro il carattere ariano del popolo armeno ed il contesto storico in cui questo dibattito si svolse.

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COMUNICATO STAMPA: L’Azerbaigian viola il confine dello Stato sovrano dell’Armenia

COMUNICATO STAMPA

Azione militare dell’Azerbaigian contro l’Armenia.

l’Azerbaigian viola il confine dello Stato sovrano dell’Armenia

”Condanniamo con fermezza le azioni militari messe in atto dall’Azerbaigian nel tentativo di infiltrazione nel confine dello Stato sovrano dell’Armenia, che hanno  causato diverse perdite umane”. E’ quanto si legge in un comunicato diramato dal Ministero degli Esteri armeno dopo che truppe azere hanno cercato di penetrare il confine armeno nella provincia nord orientale di Talish,  causando la morte di tre militari armeni, mentre gli aggressori  hanno lasciato sul terreno sette soldati.

Non è la prima volta che il dittatore Aliyev ricorre a simili «provocazioni» nel tentativo di far fallire tutti gli accordi di cessate il fuoco e far saltare il tavolo di trattative avviato dal Gruppo Minsk il quale vede come unica soluzione del conflitto Armeno-Azero quello del negoziato pacifico. Soluzione alla quale l’Armenia ha dato piena adesione ma che  il regime di Aliyev continua ad ostacolare con tutti i mezzi a disposizione.

E’ notizia di qualche ore fa, la firma da parte del Presidente azero del bilancio preventivo per le spese militari per l’anno 2017 che sono in netto aumento e raggiungono quota 1,6 miliardi di dollari (nel 2016 ammontavano ad 1,43 miliardi), e sono il  segno che Baku è intenzionata a perseverare nella sua politica belligerante infischiandosi delle raccomandazioni della comunità internazionale.

Sono anni che sulla stampa internazionale vengono segnalate violazioni dei diritti umani da parte del dittatore di Baku, giornalisti incarcerati senza ragione, cittadini privati della loro libertà,  perseguitati e torturati dal regime, per non parlare poi delle migliaia di profughi azeri che non ricevono alcun aiuto da parte dello Stato mentre la famiglia Aliyev continua a sperperare il denaro pubblico ed arricchirsi sulle spalle degli ignari cittadini, cercando di «comprare» all’estero una reputazione a suon di caviale.

Nel clima delle festività natalizie e di capodanno il Consiglio per la comunità armena di Roma nel condannare fermamente le azioni militare intraprese da tempo dal Governo di Baku ed in particolare dal dittatore Aliyev, si appella alla comunità internazionale ed in particolare a tutte le forze politiche italiane ed alla società civile affinché  facciano sentire la loro voce nelle sedi opportune per far tacere, una volte per tutte, le armi del dittatore Aliyev, e le provocazioni dallo stesso avanzate e scongiurare che il Caucaso possa diventare teatro di altre atrocità disumane che la guerra provoca.

Noi diciamo no alla guerra. No all’odio. No al prevalere degli interessi personali e statali sui valori umani. Diciamo no, con forza, alle azioni militari. Diciamo no alla violenza.

E diciamo si alla convivenza tra i popoli, al rispetto delle regole e delle leggi internazionali.

Diciamo si alla pace.

Consiglio per la comunità armena di Roma

Auguri di Cuore per un Natale pieno di gioia, serenità pace e speranza.

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AUGURI DI CUORE

PER UN NATALE

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Novità in libreria: E’ uscito il nuovo libro di Pietro Kuciukian “I disobbedienti. Viaggio tra i giusti ottomani del genocidio armeno”

Kuciukian Pietro

I disobbedienti

Viaggio tra i giusti ottomani del genocidio armeno
Prefazione di Marcello Flores

Perché raccontare le storie dei giusti ottomani?
L’azione di chi non ha partecipato, di chi ha detto no, di chi ha agito secondo coscienza vincendo l’indifferenza e la paura, oltre a costituire la denuncia del crimine che il governo turco ancora oggi nega, rende visibile la distinzione tra popolo e governo impedendo di riferirsi a un generico «popolo nemico» che si è macchiato del crimine di genocidio. Mostra che il fronte dei carnefici, nel male estremo, non è mai compatto e serve ai sopravvissuti armeni, ai loro figli e nipoti, per non diventare schiavi del risentimento, per non sentirsi i soli disperati portatori di una storia negata. Forse per perdonare senza dimenticare.

Anno: 2016 | Pagine: 224 | Edizione: Guerini e Associati

Gabriella Uluhogian ci ha lasciati.

Una delle esponenti di spicco della comunità armena italiana, insigne studiosa e appassionata di armenità,

Gabriella Uluhogian ci ha lasciati.

Nata in Italia da genitori armeni, parmense di adozione, per trenta anni docente all’Università di Bologna con la prima cattedra di lingua e letteratura armena (dal 1973), la professoressa Uluhogian ha svolto un’encomiabile

opera di divulgazione formando generazioni di armenologi e cultori della materia, prodigandosi a sostegno della causa armena anche con frequenti viaggi in Armenia nonché con iniziative benefiche come in occasione del terremoto del 1988.

L’ultimo riconoscimento è arrivato all’inizio del mese quando il suo pregevole saggio “Gli Armeni” ha vinto la sezione Saggistica del Premio AlessandroTassoni di Modena.

Catalogatrice di manoscritti armeni conservati in molte biblioteche italiane, è stata insignita nel 1996 dall’Accademia delle scienze dell’Armenia con il titolo di dottore honoris causa.

 

La sua scomparsa rappresenta per la comunità armena e la cultura italiana una grave perdita.

 

Il Consiglio per la comunità armena di Roma si unisce commosso al dolore della famiglia Uluhogian

ed a tutti coloro che l’hanno conosciuta e le hanno voluto bene.

 

  Un faro si è spento ma ha lasciato dietro di sè un raggio di luce che continuerà ad illuminarci.

“La mia Armenia” documentario a cura della giornalista Lucia Cuocci

La mia Armenia

La giornalista Lucia Cuocci, da poco rientrata da un lungo viaggio in Armenia, racconta in parole e immagini le impressioni raccolte in un Paese segnato dal ricordo di una terribile tragedia, ma anche ricco di un patrimonio cristiano dalle radici antichissime e attraversato da una profonda voglia di riscatto.
Ospite: Lucia Cuocci, giornalista e regista televisiva
Settimanale protestante a cura di Paolo Tognina

Soldi e caviale: così si comprerebbero i voti al Consiglio d’Europa (Corriere della Sera 21.11.16)

Per vedere la puntata clicca QUI

 

Secondo la Procura di Milano Luca Volontè avrebbe ricevuto 2 milioni e 39 0mila euro per orientare il voto e far ottenere la patente di Paese democratico all’ Azerbaijan, con cui l’Italia fa affari. Questa sera a Report, alle 21.30 su Rai3

di Paolo Mondani

“Chiunque può finire in prigione, anche per un like a un articolo che critica il governo” afferma Khadija Ismaylova giornalista e dissidente azera. Eppure l’Italia ci fa affari senza problemi. Con cento prigionieri politici, tra cui otto giornalisti, elezioni manipolate e una sola famiglia al potere da decenni questo è l’Azerbaigian, il Paese caucasico primo fornitore di petrolio italiano che si accinge a venderci anche il gas con il TAP in arrivo in Puglia.

Ma il governo azero sa anche coltivare le amicizie, ospitando politici stranieri che non disdegnano cadeau di lusso come il pregiato caviale del Mar Caspio. Così quando al Consiglio d’Europa, storico presidio dei diritti umani, il Paese finisce sotto accusa per il carcere facile agli oppositori, l’amicizia viene ricambiata. E l’assemblea dei parlamentari del Consiglio boccia il rapporto Strasser, dal nome del deputato tedesco che denunciava le detenzioni illegali. E che ricorda: “125 contrari, favorevoli 79.

L’aula era insolitamente piena: tutti i russi, tutti i turchi, molti spagnoli e molti italiani che votarono contro insieme ai conservatori e ad alcuni membri del gruppo socialista.” Christoph Strasser spiega che un ruolo centrale lo ebbe un politico italiano, capo del gruppo popolare, Luca Volontè.

Secondo gli inquirenti milanesi Volontè (ex deputato Udc) avrebbe ricevuto 2milioni e 390mila euro per orientare il voto. Molto più di una scatoletta di caviale, ma pochi spicci per l’Azerbaijan che così ha ottenuto il bollino di democrazia proprio dall’istituzione più prestigiosa che la tutela.

Vai al sito (Video)


Report, “soldi e caviale dell’Azerbaigian a Volonté (Udc) per … (Il Fatto Quotidiano 21.11.16)