VENEZIA – dal 10 marzo al 12 maggio – II Seminario di Arte Armena

SEGNALAZIONE

Si segnala che a causa di un problema logistico gli incontri del II Seminario di Arte Armena si svolgeranno a partire dal 17 marzo nell’aula C  di Ca’ Bottacin, Dorsoduro 3911, Calle Crosera 3911, 30123 Venezia. La nuova sede del seminario si trova a circa cento metri da Ca’ Foscari ed è più vicina alla stazione e a Piazzale Roma della precedente.

L’ultimo incontro, il concerto di Ani Martirosyan si svolgerà invece al Collegio Armeno, come da programma.

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VENEZIA – dal 10 marzo al 12 maggio – II Seminario di Arte Armena

Scarica il programma

 

ROMA – 11 marzo 2016 – Il diritto alla Memoria l’autodeterminazione del popolo armeno…

CASA DELLA MEMORIA E DELLA STORIA
Via S. Francesco di Sales 5
11 marzo 2016 ore 17.00

IL DIRITTO ALLA MEMORIA
L’AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO ARMENO
TRA LOTTA E COSCIENZA NAZIONALE
relatori:
– dott. Emanuele Aliprandi direttore della rivista Akhtamar on line (Consiglio per la comunità armena di Roma)
– prof. Enrico Ferri professore di Filosofia del Diritto e di Storia dei Paesi islamici nell’Università Niccolò Cusano Roma
– arch. Garagin Gregorian (Karechin Cricorian) responsabile cultura Consiglio per la Comunità Armena di Roma

Riflessioni sul libro di Monte Melkonian “Right to struggle”

———————————–

La memoria del popolo armeno vista attraverso la lente di ingrandimento di alcuni passaggi storici: l’elaborazione interiore del lutto per il “Grande Male”, la (ri)scoperta di un diritto alla memoria, il processo di globalizzazione internazionale della questione, il negazionismo,  il progetto dello scontro come tentativo alternativo a un dialogo impossibile fino alla strenua difesa del territorio armeno.

Non un percorso didascalico sulla storia del genocidio armeno, ma il tentativo di capire come si sia sviluppata e rafforzata la memoria armena attraverso le generazioni.

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Locandina casa memoria 11.02.16

INVITO al IX Edizione del riconoscimento giornalistico “Hrant Dink”

logo com armena

in collaborazione con

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Il Consiglio per la comunità armena di Roma

è lieto di invitare la S. V. alla celebrazione

della IX edizione del Riconoscimento giornalistico

“Hrant Dink “ per la libertà di informazione

che sarà conferito alle giornaliste

Franca Giansoldati e Anna Mazzone

Martedì 1 Marzo 2016 ore 17.00

Biblioteca Rispoli

p.zza Grazioli 4—Roma

 


 

Perché il riconoscimento “Hrant Dink”

L’idea di un premio giornalistico italiano intitolato ad “Hrant Dink” nasce all’indomani dell’uccisione ad Istambul (19 gennaio 2007) del giornalista armeno di cittadinanza turca.

Dink non era un rivoluzionario; era un uomo buono, mite, propenso al dialogo ed alla tolleranza.

Dalle pagine del suo giornale bilingue “Agos” si è sempre battuto per la conciliazione, cercando di avvicinare per quanto possibile, lui armeno e cittadino turco, i due popoli.

La sua unica colpa è stata quella di scrivere ciò che pensava anche se ben consapevole che quelle sue parole di speranza non erano gradite a chi dell’intolleranza faceva il proprio credo politico.

Un giornalista “scomodo” che ha pagato con la propria vita il coraggio di fare il suo mestiere.

Lui, già condannato ai sensi del famigerato art. 301 del codice penale turco, ha vissuto la propria passione lavorativa alla stessa stregua di tutti quei suoi colleghi che nel mondo rischiano la propria vita per fare ciò che altrove è considerata una tranquilla ed ambita professione.

Il riconoscimento giornalistico italiano “Hrant Dink” si propone dunque due obiettivi: ricordare la figura di questo giornalista e sottolineare la vitale importanza della libertà di informazione, collante fondamentale della società moderna.


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“Sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito.  Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti.  Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo paese non mi toccherà.  Perché qui non si fa male ai colombi.  I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti come me, ma come me liberi.”  Hrant Dink.

Scarica invito in pdf

 

 

A proposito del dietrofront vaticano sulla questione del “Genocidio Armeno”

Abbiamo letto in questi giorni e continuiamo a leggere sia sulla stampa nazionale armena che quella italiana circa la notizia di un comunicato stampa con il quale il Vaticano avrebbe fatto dietrofront sulla questione armena ed avrebbe declassato il genocidio a “tragici eventi del 1915”.
Incuriositi della notizia siamo andati a verificare il contenuto del “comunicato” in questione ed abbiamo appurato che è stato diramato il 3 Febbraio u.s., a margine dell’udienza generale in San Pietro, in occasione della presentazione al Papa di una copia del volume “La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / İlk Çanakkale Zaferi 1657”, da parte dell’autore, Rinaldo Marmara.

Nel comunicato di cui sopra, oltre alla presentazione del volume si fa cenno all’importanza delle “ricerche erudite e dell’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità…”.
Poi si aggiunge che “è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici …. inclusi i tragici eventi del 1915”.
La stessa nota poi prosegue “La memoria della sofferenza e del dolore, sia del lontano passato che di quello più recente, come nel caso dell’assassinio di Taha Carım, Ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede, nel giugno del 1977, per mano di un gruppo terroristico, ci esorta a riconoscere anche la sofferenza del presente e a condannare ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi”.
La nota conclude definendo “particolarmente odiosa e offensiva” la violenza e il terrorismo “commesso in nome di Dio e della religione”.

A seguito di questa “nota” l’astuta diplomazia turca ha dichiarato che il Papa avrebbe fatto dietrofront ed avrebbe declassato il genocidio in “tragici eventi del 1915”, e soddisfatti del passo compiuto, il Ministro degli Esteri ha permesso all’Ambasciatore turco presso la Santa Sede di fare ritorno a Roma, dopo che era stato richiamato per protesta, lo scorso 12 aprile 2015.

A nostro modesto parere, il comunicato stilato in occasione di una semplice presentazione di un libro al Papa, non ha una connessione chiara con le dichiarazioni fatte dal Pontefice, lo scorso 12 aprile 2015, a seguito delle quali uno “tsunami” senza precedenti si abbatte contro la Turchia ed i suoi governanti. Uno tsunami che ancora oggi continua ad avere il suo effetto devastante sulla Turchia che oltre a non voler riconoscere la verità storica del suo passato, viene additata come complice dei gruppi armati dell’ISIS e delle nefandezze da questi compiute, incluse le distruzione dei luoghi di culto dei cristiani, la confisca dei loro beni e la persecuzione attuata nei loro confronti e nei confronti di altre minoranze etniche e religiose.

Alla luce di ciò, riconoscendo che la Santa Sede, per l’alta istituzione morale che rappresenta, non vuole innemicarsi nessuno e vuole intrattenere sani rapporti diplomatici con tutti, anche perché il suo ruolo, per dirla con il Papa, è quello di costruire ponti e non muri, appoggiamo pienamente quanto riportato nel comunicato di cui sopra.

Non vi è dubbio che le “ricerche erudite e l’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità” siano di una grande importanza ed a tal fine apprezzeremmo anche noi “il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate” e di conseguenza condanniamo “ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi” inclusi ovviamente ” la violenza e il terrorismo “commesso in nome di Dio e della religione”.

Altro che dietrofront, questa non è altro che un’altra mossa tattica della diplomazia turca ed una ricostruzione dei fatti studiata a tavolino, nella ricerca di arginare la grave situazione in cui versa la diplomazia turca che negli ultimi mesi sta perdendo colpi e terreno nel consenso internazionale e non sa più a cosa aggrapparsi per non vedersi sottrarre quel ruolo importante che il Sultano Erdogan vorrebbe ritagliarsi nello scacchiere mediorientale, ma che di giorno in giorno diventa sempre più faticoso e complicato.

Ora se la Turchia e la sua diplomazia si accontentano di una “nota” pubblicata a margine di un dono fatto al Papa, ne prendiamo atto.

Però permetterci di fare due precisazioni: quei “eventi tragici del 1915”, il Santo Padre, Papa Francesco, proprio per amore “della verità” e basandosi su documentazione storica inconfutabile, presente anche negli archivi storici vaticani, li ha chiamati per nome e li ha definiti “il primo genocidio del XX secolo”. Non lo ha fatto di nascosto, ma durante una celebrazione pubblica in Vaticano, trasmessa in mondovisione, da Lui stesso presieduta, in occasione del centenario del genocidio armeno ed in onore dei martiri armeni.

La seconda è che nello stesso momento in cui veniva diramato il “comunicato” di cui sopra, Papa Francesco, a termine dell’udienza generale del mercoledì, evocava il Santo del giorno, San Biagio, vescovo di Sebaste, definendolo “Martire dell’Armenia”, anche se oggi Sebaste (Sivas) è in territorio turco. Anche questo lo ha fatto in un contesto pubblico.

Altro che dietrofront. Ci viene da pensare: vuoi vedere che Papa Bergoglio, in barba alla real-politik, ha voluto ancora una volta sottolineare il suo amore per la verità ed la sua condanna ad ogni atto di violenza compiuto nei confronti di esseri innocenti?

Chi si accontenta gode, recita il detto. La Turchia si accontenta di una “nota diplomatica”.
Lo abbiamo detto: ne prendiamo atto.

Noi invece continueremo a difendere sempre la verità, costi quel che costi.

Il Consiglio d’Europa boccia la risoluzione “WALTER” (Karabakh.it 27.01.16)

L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ha rigettato nella sessione del 26 gennaio la risoluzione azera basata sul discusso rapporto dell’anglo turco Robert Walter. Il documento, intitolato provocatoriamente “Escalation della violenza in Nagorno Karabakh e negli altri territori dell’Azerbaigian” aveva suscitato la ferma opposizione di molte forze politiche, armene e non, in quanto faziosa espressione del solo punto di vista azero sul contenzioso. Con 70 voti contro 66 (e 45 astenuti) il testo della risoluzione non è stato approvato.

Sull’altra risoluzione riguardante l’utilizzo della riserva idrica di Sarsang, l’Assemblea ha invece espresso voto favorevole (98 a 71 con 40 astenuti). Anche questo testo era stato criticato giacché la relatrice bosniaca (Milica Markovic) non aveva ritenuto opportuno effettuare un sopralluogo in loco nonostante l’espresso invito delle autorità del Nagorno Karabakh. Una mozione, in chiave meno politica e più ambientalista, il cui esito non cancella comunque la soddisfazione della parte armena per la reiezione dell’altro documento.

Riguardo a Sarsang, il ministero della difesa del NK ha rilasciato una dichiarazione nella quale si sottolinea come l’uso della riserva idrica, collocata nel territorio dello Stato, rimane un diritto sovrano del popolo del Karabakh che non potrà essere violato da alcuna risoluzione.

Nei giorni scorsi il Gruppo di Minsk dell’Osce aveva lanciato un fermo monito al Consiglio d’Europa e alle altre organizzazioni internazionali affinché si astengano dal votare risoluzioni che possano ostacolare la difficile via del negoziato.

VOTAZIONE SU RAPPORTO WALTER

http://assembly.coe.int/nw/xml/Votes/DB-VotesResults-EN.asp?VoteID=35783&DocID=15681&MemberID=

Questo il voto espresso dai parlamentari italiani (14 votanti: 10 No, 3 SI, 1 astenuto)

TAMARA BLANZINA (pd) NO

VANNINO CHITI (pd) NO

PAOLO CORSINI (pd) NO

MANLIO DI STEFANO (5S) NO

CLAUDIO FAZZONE (pdl) SI  (sottoscrittore)

GIUSEPPE GALATI (pdl)   ASTE (sottoscrittore)

FRANCESCO M. GIRO (pdl)   NO  (sottoscrittore)

FLORIAN KRONBICHLER (sel)   SI

CARLO LUCHERINI (pd)   NO

MICHELE NICOLETI  (pd)   NO

ANDREA RIGONI (pd)   SI

MARIA EDERA SPADONI  (5S)   NO

SANDRA ZAMPA  (pd)   NO

 

VOTAZIONE SU RISERVA DI SARSANG

http://assembly.coe.int/nw/xml/Votes/DB-VotesResults-EN.asp?VoteID=35800&DocID=15704&MemberID=

Questo il voto espresso dai parlamentari italiani (14 votanti: 9 No, 4 SI, 1 astenuto)

TAMARA BLANZINA   NO

ELENA CENTEMERO          NO

VANNINO CHITI   NO

PAOLO CORSINI   NO

MANLIO DI STEFANO   NO

CLAUDIO FAZZONE   SI  (sottoscrittore)

GIUSEPPE GALATI   ASTE (sottoscrittore)

FRANCESCO M. GIRO   NO  (sottoscrittore)

FLORIAN KRONBICHLER   SI

CARLO LUCHERINI   SI

MICHELE NICOLETI             NO

ANDREA RIGONI     SI

MARIA EDERA SPADONI    NO

SANDRA ZAMPA                  NO

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ROMA – 26 gennaio 2016 – “L’Altra Memoria” Incontro con gli alunni dell’ Istituto Comprensivo Piazza Minucciano

Roma 26.01.2016

In occasione della giornata della Memoria

Il Consiglio per la comunità armena di Roma

incontra

gli alunni dell’Istituto Comprensivo Piazza Minucciano

per parlare di

“l’Altra Memoria – il Genocidio degli Armeni dopo cento anni”

9° anniversario dell’assassinio del giornalista turco-armeno Hrant Dink

Chi era Hrant Dink e perché lo hanno ucciso?

Hrant Dink è stato il fondatore e il redattore capo della rivista Agos, giornale bilingue armeno e turco. È stato pure giornalista per i giornali nazionali Zaman e Birgün.
Nacque a Malatya il 15 settembre 1954, Dink arrivò a Istanbul con la famiglia all’età di sette anni, in questa città trascorse il resto della sua vita. Dopo il divorzio dei genitori viene accolto in un orfanotrofio assieme ai fratelli. Tutto il suo iter scolastico avviene in scuole armene. Si diploma in zoologia all’università di Istanbul, dove frequentò in seguito anche corsi di filosofia.
Nel 2005 fu condannato a sei mesi di reclusione per suoi articoli sui fatti avvenuti tra il 1890 e il 1917 (Genocidio armeno).
I tribunali avevano ritenuto i suoi articoli come insulto all’identità turca secondo l’articolo 301 del codice penale turco. Questa condanna fu fortemente criticata dall’Unione europea. Venne a più riprese minacciato di morte per le sue prese di posizione su quanto subito dagli armeni negli ultimi anni dell’Impero Ottomano.
Hrant Dink ha sempre sostenuto il bisogno di democrazia per la sua nazione. La sua azione si focalizzava sui diritti delle minoranze e in particolare della minoranza armena e più in generale sui diritti civili. Negli ultimi anni sentiva forte l’odio che la sua azione suscitava in molti suoi concittadini e affermava che avrebbe voluto fuggire da questa realtà. Ma molto coraggiosamente sosteneva che se avesse compiuto questo passo, avrebbe tradito tutto quanto fatto fino ad ora. (fonte Wikipedia)
Il 19 gennaio 2007 viene ucciso ad Istambul sotto la redazione del suo giornale “Agos”. A sparargli mortalmente un diciassettenne Ogun Samast, appartenente ai circoli ultranazionalisti di Trebisonda dietro ai quali tramano oscuri servizi ed apparati.
Il 25 luglio 2011 l’imputato Ogun Samast è stato condannato a ventitre anni di prigione essendo stato riconosciuto colpevole dell’assassinio di Hrant Dink.
La pressione dell’opinione pubblica turca ed internazionale è riuscita ad avere la meglio sui tentativi di insabbiare il processo e che avevano portato addirittura alla ventilata possibilità di una scarcerazione dell’imputato. Questi nella sua memoria difensiva ha accusato la stampa turca di aver incitato al delitto.
Resta aperta la questione più importante: ossia chi siano stati i mandanti di Samast.
La Corte Europea di giustizia ha condannato la Turchia per non aver protetto Dink che pure si sapeva essere stato ripetutamente minacciato.
I complotti di Ergenekon (l’apparato deviato costituito da ultranazionalisti, generali e servizi segreti turchi), lo strano viaggio di uno degli imputati in Azerbaigian, l’ombra (anzi la certezza) di una regia occulta.
A novembre il procuratore ha deciso di continuare le indagini su trenta personalità (civili e militari) fortemente indiziate di essere dietro il delitto.


 

Ultimo articolo di Hrant Dink pubblicato su Agos
una settimana prima della sue morte.

All’inizio il processo aperto contro di me dal procuratore capo di Sisli non mi aveva preoccupato. Non era il primo. Sono sotto processo a Urfa, dal 2002 per aver detto di non essere turco, ma armeno di Turchia. Mi hanno accusato di aver offeso l’identità turca. Quando sono andato a testimoniare a Sisli l’ho fatto senza troppa preoccupazione. Perché ero sicuro che ciò che avevo scritto non poteva essere male interpretato. Il procuratore, ho pensato, non crederà che io abbia voluto offendere l’identità turca.
Sono stato rinviato a giudizio. Non ho perso la speranza. A chi mi accusava di aver insultato il popolo turco, ho detto che non avrebbe potuto gioire: non mi avrebbero condannato. Se fossi stato condannato avrei lasciato il paese. Gli esperti chiamati a giudicare i miei scritti hanno detto che non c’erano in essi elementi di offesa. Ero tranquillo: il torto sarebbe stato riparato, tutto sarebbe finito in una bolla di sapone. Ma così non è stato. Mi hanno condannato a sei mesi di carcere. La speranza che mi aveva accompagnato e sostenuto durante tutto il processo è crollata. Ma mi ha anche dato nuova forza.
Prima della sentenza, al termine di ogni udienza venivano date in pasto all’opinione pubblica notizie false su di me. Dicevano che avevo dichiarato che il sangue dei turchi è avvelenato, mi dipingevano come nemico dei turchi. Queste cattiverie hanno cominciato a fare breccia nel cuore di tanti miei connazionali. Alle udienze adesso venivo aggredito dai nazionalisti, si inscenavano violente manifestazioni nei miei confronti. Ho cominciato a ricevere telefonate e mail di minaccia, a centinaia.
Ma io continuavo a dire, pazienza, la decisione finale renderà giustizia di tutto ciò e saranno loro a vergognarsi. L’unica mia arma era la mia onestà. Ma mi hanno condannato. Il giudice aveva deciso in nome del popolo turco che avevo offeso l’identità turca. Posso tollerare tutto, ma non questo.
Mi trovavo a un bivio: lasciare il paese oppure restare. Alla stampa ho detto che mi sarei consultato con i miei avvocati, che avrei fatto ricorso in appello e anche alla Corte europea per i diritti umani.
Ho detto anche che se la condanna fosse stata confermata avrei lasciato il paese perché una persona condannata per aver discriminato suoi connazionali non ha diritto di continuare a vivere con loro.
E’ chiaro che le forze profonde che operano in questo paese vogliono darmi una lezione. Così per aver detto alla stampa queste cose è stato aperto contro di me un nuovo procedimento penale. Mi hanno accusato di aver cercato di influenzare la corte d’appello. Mi vogliono isolare, far diventare un facile obiettivo.
Mi processano perché, imputato, cerco di difendermi. Devo confessare che ho perso la mia fiducia nello stato turco e nella giustizia di questo paese. La magistratura non è indipendente, non difende i diritti del cittadino ma quelli dello stato. La condanna che mi è stata comminata non è stata pronunciata in nome del popolo turco, ma in nome dello stato turco. Abbiamo fatto ricorso. Il capo procuratore del processo di appello ha detto che non c’erano gli estremi per confermare la condanna. Ma il consiglio superiore ha deciso in maniera diversa. E anche in appello mi hanno condannato.

E’ chiaro che mi vogliono isolare, indebolire, lasciare privo di difese. Hanno ottenuto quello che volevano. Oggi sono in tanti a pensare che Hrant Dink sia uno che insulta i turchi. Ogni giorno mi arrivano sull’email e per posta centinaia di lettere di odio e minacce. Quanto sono reali queste minacce? Non si può sapere. La vera e insopportabile minaccia, però, è la tortura psicologica cui mi sottopongo. Mi tormenta pensare che cosa la gente pensa di me. Ora sono molto conosciuto «Guarda, non è l’armeno nemico dei turchi?» Sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito.
Che cosa diceva il ministro degli esteri Gul? E il ministro Cicek? «Suvvia, non esagerate con questo articolo 301. Quanta gente è finita in prigione?» Ma pagare è solo entrare in carcere? Signori ministri, sapete che cosa vuol dire imprigionare il corpo e la mente di un uomo nella paura di un colombo? In questo momento, così difficile anche per la mia famiglia, mi sento sospeso tra la morte e la vita. Ci sono giorni in cui penso di lasciare il mio paese, specie quando le minacce sono rivolte ai miei cari. Mi dicono che mi seguiranno se deciderò di andare, resteranno se deciderò di restare. Posso resistere, ma non posso mettere i miei cari a rischio. Ma se andiamo, dove andremo? In Armenia? Io che non tollero le ingiustizie, sarei forse più sicuro lì? L’Europa non fa per me. Tre giorni in occidente e il quarto voglio tornare a casa. Lasciare un inferno che brucia per un paradiso già confezionato?
Dobbiamo cercare di trasformare l’inferno in paradiso. Spero che non saremo mai costretti ad andarcene. Farò ricorso alla Corte di Strasburgo. Quanto durerà questo processo non lo so. Ma mi conforta un po’ il fatto che fino al termine del processo potrò continuare a vivere in Turchia. Il 2007 sarà un anno molto difficile. Vecchi processi continueranno, nuovi processi si apriranno. Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti. Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo paese non mi toccherà. Posso vedere la mia anima nella titubanza di un colombo ma so che in questo paese la gente non osa toccare i colombi. I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti, come me, ma come me liberi.

UNA PETIZIONE SU CHANGE.ORG CONTRO LE MOZIONI FILO AZERE DELL’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA

UNA PETIZIONE SU CHANGE.ORG CONTRO LE MOZIONI FILO AZERE DELL’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA
https://www.change.org/p/parliamentary-assembly-of-the-council-of-europe-pace-no-to-hate-filled-war-rhetoric-on-nagorno-karabakh-conflict-and-favoritism
L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) dovrebbe votare sui seguenti due progetti di risoluzione sul Nagorno Karabakh all’ordine del giorno del 26 gennaio 2016:

Progetto di risoluzione sul tema “Escalation della violenza in Nagorno-Karabakh e gli altri territori occupati dell’Azerbaigian”, relatore Robert Walter (UK)
Progetto di risoluzione sul tema “Gli abitanti delle regioni di frontiera dell’Azerbaigian sono volutamente privi di acqua”, relatore Milica Marković (Bosnia ed Erzegovina)
Quello del Nagorno Karabakh è un conflitto complesso la cui soluzione pacifica non ha alternativa. Purtroppo questi due progetti di risoluzione alimentano la guerra retorica di odio dell’attuale governo azero sul Nagorno Karabakh e promuovono favoritismi. Entrambi i progetti di risoluzione evidentemente mancano di un’approfondita, imparziale ricerca, specificatamente lasciano fuori fatti cruciali e causano danni al processo di negoziazione.
Con la presente faccio sentire la mia voce contro questi due progetti di risoluzione caratterizzati da un contenuto infiammatorio e che poco hanno a che fare con la vera e propria risoluzione del conflitto e la costruzione della pace ma piuttosto con la promozione di interessi personali ed economici di una manciata di membri della PACE.
Ulteriori dettagli sui progetti di risoluzione:

Progetto di risoluzione sul tema “Escalation della violenza in Nagorno-Karabakh e gli altri territori occupati dell’Azerbaigian”, relatore Robert Walter (UK)
Come relatore Walter ha violato diverse norme del codice di condotta dei membri PACE, come 1. il principio di neutralità, imparzialità e obiettività (norme 1.1; 1.1.1 .; 1.1.4), 2. il principio di evitare il conflitto di interesse (regola 8), 3. il principio di non utilizzare la propria posizione come membro PACE per promuovere il proprio, l’interesse di entità (regola 12) di un’altra persona o, 4. nonché il principio del rispetto dei valori del Consiglio d’ Europa (regola 7).
Mr. Robert Walter e sua moglie Feride Alp-Walter, responsabile marketing della Associazione Medio Oriente, hanno mantenuto stretti rapporti con le autorità e le élite dominanti dell’Azerbaigian per un lungo periodo, tra cui l’aver acquisito una missione di alto livello del commercio britannico a Baku in stretta collaborazione con l’Ambasciata di Azerbaigian e la Società europea Azerbaigian (TE) – un’organizzazione di lobbying che ha forti legami con il governo azero e la cerchia ristretta di Ilham Aliyev.
L’appoggio di Walter per il governo di Ilham Aliyev, chiudendo un occhio sui processi democratici del paese, è stata spesso criticata da attivisti per i diritti umani in Azerbaigian [1], come Corporate Europe Observatory [2], nonché come i vari media internazionali ben noti.

Purtroppo, solo un primo sguardo al progetto di risoluzione è sufficiente per rendersi conto che si tratta di una riflessione parola per parola della posizione ufficiale azera e turca sul Nagorno Karabakh. Ufficialmente la Turchia ha sempre sostenuto apertamente l’Azerbaigian nel conflitto del Nagorno Karabakh. Walter e sua moglie, entrambi cittadini turchi, hanno avuto legami accoglienti con il governo turco. Walter ha ricevuto la propria carta di identità personalmente dal ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu. Nel 2011 il signor Çavuşoğlu era tra gli ospiti al matrimonio del signor Walter e della signora Feride Alp.
Nonostante il titolo del progetto di risoluzione prodotta da Robert Walter, questa è ben lungi dal riflettere la realtà sull’escalation di tensione sulla linea di contatto tra l’Armenia e l’Azerbaigian e intorno al Nagorno-Karabakh negli ultimi mesi che ha portato a tragiche morti di civili.
Il progetto di risoluzione da Walter omette selettivamente le informazioni cruciali. Per esempio si omette di menzionare fatti importanti, come quello che, a differenza l’Armenia, l’Azerbaigian il 27.09.15 ha respinto la proposta del gruppo di Minsk dell’OSCE ad accettare un meccanismo OSCE per indagare sulle violazioni del cessate il fuoco. Il meccanismo consentirebbe di identificare l’iniziatore delle violazioni del cessate il fuoco e renderebbe più difficile per le parti incolparsi l’un l’altro per l’avvio di attacchi mortali. La risposta logica alla domanda perché l’Azerbaigian che accusa continuamente la parte armena per aver violato il cessate il fuoco non è interessato a un tale meccanismo, è evidente.
Questo progetto di relazione è anche un tentativo piuttosto pericoloso e irresponsabile di creare un meccanismo parallelo, senza avere la necessaria legittimità e il mandato dalle parti coinvolte nel conflitto. La reazione critica puntuale dei co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE – l’unico organo ufficiale con il mandato di mediare – al progetto di risoluzione del relatore Walter sottolinea il danno che provoca al processo negoziale e quindi alla soluzione pacifica del conflitto.

2. Progetto di risoluzione sul tema “Gli abitanti delle regioni di frontiera dell’Azerbaigian sono volutamente privi di acqua”, relatore Milica Marković (Bosnia ed Erzegovina)
– Purtroppo il progetto di risoluzione scritto dalla signora Milica Marković manca di un’imparzialee approfondita ricerca. Nonostante il pronto invito delle autorità armene e del Nagorno-Karabakh a visitare Sarsang (in “qualsiasi momento conveniente per il relatore”) come inizialmente richiesto dal relatore Milica Marković, né la signora Marković né l’esperto tecnico Dr. Lydia S. Vamvakeridou- Lyroudia furono sulluogo di indagine. Pertanto, sia il progetto di risoluzione che la relazione tecnica (che dovrebbe essere alla base del progetto di risoluzione) si basano su simulazioni piuttosto approssimative del corrispondente ministero azero sulla base dei dati del 1993 e per sentito dire, anche se c’era chiaramente l’opportunità di visitare il bacino e fare la conoscenza con lo stato attuale delle cose.
– Il relatore Marković utilizza evidentemente la questione umanitaria come pretesto per fare dichiarazioni altamente distorte sul Nagorno Karabakh in generale. Un breve confronto della relazione tecnica e la proposta di risoluzione, che dovrebbe essere basata sulla relazione tecnica, fa chiaramente capire che la signora Marković ha deliberatamente esagerato le conseguenze di potenziale pericolo o fatti importanti lasciati esposti nella relazione tecnica di progetto risoluzione, dal momento che queste informazioni non in sintonia con le sue intenzioni di parte.
La relazione tecnica redatta dall’esperto Dr. Lydia S. Vamvakeridou-Lyroudia specifica chiaramente: “Anche se Sarsang è una diga di terra di riempimento, che è molto meno pericolosa e molto più sicura quando si tratta di crollo improvviso in linea di principio (ad esempio rispetto a dighe ad arco), va sottolineato che senza un controllo visivo della diga non vi è alcun modo di valutare la sua condizione e ogni rischio potenziale dal punto di vista tecnico “.
Nonostante questo, il relatore e l’esperto tecnico hanno scelto di ignorare l’invito delle autorità del Nagorno Karabakh di visitare Sarsang ed esaminare lo stato di ispezione e manutenzione del bacino idrico. Invece, la signora Markovic ha prodotto una relazione che si riferisce alle simulazioni piuttosto approssimative del ministero delle Situazioni di emergenza, sulla base di informazioni azere di oltre venti anni or sono.
Secondo la relazione tecnica: “Sarsang da sola non può causare una grande alluvione nella regione problematica più bassa Kura, ma la mancanza di comunicazione tra l’Armenia e l’Azerbaigian fa temere che l’inspettato afflusso di acqua rilasciata da Sarsang possa aggiungersi alle conseguenze inondazioni causate da periodi di piogge eccessive nell’area”. Tuttavia, invece di sollecitare le parti a impegnarsi in un dialogo al fine di garantire una gestione sicura del bacino, la signora Markovic esige un “ritiro immediato delle forze armate armene dalla regione interessata”.

[1] https://www.youtube.com/watch?v=qOgCrsCKXt4, raggiunto il 2015/07/12
[2] “Spin medici per gli autocrati: how europeo PR ditta calce repressivo regime”, pp 22-25; http://corporateeurope.org/sites/default/files/201500303_spindoctors_lr.pdf, raggiunto il 2015/07/12

Dossier articoli sul genocidio armeno di Osservatorio Balcani e Caucaso (2015)

Il 24 aprile 2015 si ricordano i cento anni trascorsi dal primo grande genocidio del XX secolo, il Metz Yeghern, che in lingua armena significa “il Grande Male”. In questo dossier OBC raccoglie articoli e interviste e iniziative su questo anniversario… Continua

Novità in Libreria “Perché la Turchia non può entrare in Europa” Guerini e Associati

‘Perché la Turchia non può entrare in Europa’
di Alexandre Del Valle. Edizioni Guerini e Associati – pagg. 238 – euro 22,50.
Edizione italiana a cura di Alberto Rosselli; prefazione di Roberto De Mattei.

 


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Si Segnala inoltre:
I liMATTIOLI-Scheda-Califfato-LEGGERA-210x300bri di Alberto Rosselli (Edizioni Mattioli 1885, Fidenza).